Giustizia: Napolitano visita Poggioreale “Parlamento pensi a necessità indulto o amnistia” Italpress, 28 settembre 2013 “Voglio richiamare i termini molto stretti di obbligo che dobbiamo soddisfare e pongo al Parlamento l’interrogativo se non ritenga di prendere in considerazione un provvedimento di indulto o di amnistia che possa più radicalmente risolvere il problema”. Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo intervento al carcere di Poggioreale dove si è recato in visita. “Non lo può fare il presidente della Repubblica o il governo da solo - ha aggiunto - ma che ha bisogno di un consenso molto ampio, forse troppo secondo quanto previsto dalla norma costituzionale, ma non deve essere un freno per esaminare la necessità di questo provvedimento”. Risolvere sovraffollamento è imperativo morale “Noi abbiamo un obbligo giuridico. La sentenza della corte di Strasburgo ci obbliga a dare una risposta soddisfacente al sovraffollamento delle carceri”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in visita a Napoli al carcere di Poggioreale, spiegando che non si tratta però solo di un obbligo di legge ma anche di un “imperativo umano e morale”. Situazione attuale nega Costituzione, vanno cambiate le cose “È pronto il mio messaggio al Parlamento sulla situazione delle carceri”. Lo ha annunciato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo intervento durante la visita al carcere di Poggioreale. “Per trasmetterlo - ha spiegato il Capo dello Stato - aspetto soltanto un momento di maggiore serenità e attenzione politica perché mi auguro venga letto e meditato”. Napolitano ha poi sottolineato: “Abbiamo bisogno di giustizia e anche severa per reprimere i reati e per un decremento degli episodi di criminalità”. Tuttavia, dice ha detto ai detenuti di Poggioreale, “non è giustizia scontare la pena come molti di voi sono costretti a scontarla. Non è giustizia, non è Costituzione e abbiamo il dovere di cambiare questo stato di cose”. Serve maggioranza due terzi, ma questo non sia un freno a esame Il Parlamento prenda in considerazione un provvedimento “di indulto o amnistia”. È l’invito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo intervento durante la visita al carcere di Poggioreale. Un provvedimento, ha spiegato il Capo dello Stato, “che non può prendere d’autorità il Presidente della Repubblica, che non ne ha i poteri; né il governo da solo”, perché “c’è bisogno di un consenso molto ampio del Parlamento, forse troppo ampio per come è stabilito con una modifica della norma originaria della Costituzione”, ovvero la maggioranza dei due terzi. Ma questo vincolo, ha concluso sul punto Napolitano, “non deve essere un freno per esaminare fino in fondo la necessità di questo provvedimento”. Giustizia: il Ministro Cancellieri; il sovraffollamento è un’emergenza civile, etica e morale Ansa, 28 settembre 2013 Il sovraffollamento nelle carceri “è una vera e propria emergenza civile, oltre che etica e morale, che ci allontana sempre più inesorabilmente dalla funzione di rieducazione che il costituente ha assegnato alla pena”. Lo ribadisce il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, nell’intervento che ha inviato al Congresso straordinario dell’Unione delle camere penali. Per questo il sistema penitenziario rappresenta “un prioritario terreno di intervento” e in particolare “l’eccesso di carcerazione che ancora connota la nostra legislazione”. Bisogna “sempre più far leva sulle misure alternative alla detenzione carceraria, ovviamente senza trascurare le altrettanto forti esigenze di sicurezza”, sostiene il Guardasigilli, che pone tra priorità anche la questione della “durata irragionevole dei processi”. Cancellieri invita infine a “sostenere con saggezza” la riforma della geografia giudiziaria, più che per i risparmi che consentirà, per le “notevoli ricadute positive” sul piano dell’efficienza della macchina giudiziaria. Giustizia: commenti politici a dichiarazioni Presidente Napolitano su amnistia e indulto Ristretti Orizzonti, 28 settembre 2013 Gonnella (Antigone): sistema sprofondato in illegalità, bene Napolitano su amnistia “Il carcere napoletano di Poggioreale è l’emblema di un sistema che è sprofondato nella illegalità. Nel carcere di Napoli vi è un tasso di affollamento che sfiora il 180%, un tasso che non ha pari in alcun Paese dell’Unione Europea”. Lo dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che ringrazia il Capo dello Stato perché “nonostante la grave crisi in atto è andato in visita in uno dei luoghi più difficili dove scontare la pena in Italia”. E sottolinea: “Ieri nell’altro carcere di Napoli e precisamente nella sezione Opg di Secondigliano un altro detenuto si è suicidato. Era gravemente malato. È il secondo in circa tre mesi. Un altro detenuto si era ammazzato lo scorso giugno sempre nella stessa struttura”. “Il Parlamento ha fatto poco e male sinora - spiega Gonnella. L’Italia deve entro il 27 maggio 2014 tornare nella legalità altrimenti scatteranno le condanne della Corte Europea che ci ha messo sotto giudizio. Pendono davanti alla Corte circa 600 ricorsi. 150 presentati dal nostro difensore civico. Per la Corte Europea, infatti, non prevedere almeno 3 metri quadri a persona comporta la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea del 1950 sui diritti umani che proibisce la tortura e ogni forma di trattamento inumano o degradante”. “I ricorsi - aggiunge Gonnella - sono tutti relativi alla mancanza di spazi vitali, ovvero alla disponibilità di meno di tre metri quadri. I detenuti presenti sono 65 mila. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria afferma che i posti letto regolamentari sarebbero 47 mila. Antigone ne conta 10 mila in meno, ovvero 37 mila, in quanto detrae dai posti letto presenti sulla carta tutti quelli relativi a reparti chiusi in quanto in ristrutturazione (ad esempio due reparti del carcere romano di Regina Coeli). Circa 28 mila persone quindi vivono in spazi ritenuti degradanti dalla Corte di Strasburgo”. “Se tutti e 28 mila i detenuti in surplus e senza spazio vitale dovessero fare ricorso - dice ancora - l’Italia dovrà sborsare una cifra intorno ai 420 milioni di euro a titolo di risarcimento. Infatti nella ultima sentenza (la Torreggiani) la Corte ha assicurato una media di 15 mila euro di risarcimento a detenuto”. “E allora - conclude Gonnella - si facciano le riforme e insieme si approvi un provvedimento di clemenza che ci consenta di ripartire in condizioni di normalità. Un paio di esempi di cose utili che si possono fare subito. Va abrogata la legge sulle droghe che produce il 40% circa dei detenuti in Italia. Va abrogata la legge ex Cirielli sulla recidiva. Infine, l’amministrazione penitenziaria, nel frattempo, consenta a tutti i detenuti di stare almeno dodici ore al giorno fuori dalla cella, impegnati in attività di reparto che siano significative. La pena carceraria è una pena a stare in carcere non una pena a stare in celle piccole e maleodoranti. Oggi la media è invece di 3-4 ore trascorse fuori dalla cella, il resto lo si trascorre nell’ozio a guardare la tv”. Pagano (Dap): provvedimento clemenza creerebbe basi per ripartire “Quello dell’amnistia è un tema prettamente politico. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri hanno sempre dimostrato attenzione e partecipazione ai problemi del mondo carcerario. Un eventuale provvedimento di clemenza avrebbe l’effetto di creare le migliori condizioni per ripartire su basi nuove. A condizione che l’attenzione verso i problemi delle carceri non venga meno neanche in futuro, altrimenti sarebbe l’ennesima occasione persa”. Lo sottolinea all’Adnkronos il vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Luigi Pagano, commentando le parole del Capo dello Stato. “Come amministrazione -aggiunge il vice capo del Dap - stiamo lavorando per promuovere una serie di misure per alleviare il sovraffollamento e per incentivare la cosiddetta attività trattamentale che favorisce il reinserimento del detenuto nella società. La situazione del sovraffollamento carcerario, con 65mila detenuti attualmente presenti negli istituti penitenziari, è difficile nonostante gli sforzi di tutta l’amministrazione. È importante assicurare anche in futuro questo impegno fondamentale, insieme a quello della società nel suo insieme”. Brunetta (Pdl): bene Napolitano, serve grande riforma e amnistia “Sono totalmente d’accordo con quanto detto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: serve una grande riforma della giustizia, serve affrontare il problema delle carceri, e serve anche un’amnistia. Perché quando si fanno le grandi riforme, la grande riforma della giustizia, occorre cancellare parte del passato per ricominciare”. Così Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera dei deputati, in un’intervista a TgCom24. “Quindi perfettamente d’accordo con il presidente Napolitano, anche perché proprio nei giorni scorsi l’Unione europea ci ha richiamato, ha aperto una procedura d’infrazione, su un altro tema di giustizia: la responsabilità civile dei magistrati - prosegue Brunetta -. Allora uno dei punti programmatici fondamentali su cui fare questa verifica, o fare questo grande accordo programmatico, come io preferisco, con il Pd e con il presidente Letta, è proprio questo: una grande riforma della giustizia”. “Se anzi, il presidente della Repubblica, tutte queste cose le dicesse in un suo alto messaggio alle Camere, sarebbe ben apprezzato e sarebbe anche un grande contributo alla soluzione dei problemi politici che abbiamo oggi nel nostro Paese”, conclude Brunetta. Cicchitto (Pdl): bene Napolitano su riforma giustizia e amnistia “Napolitano ha detto cose condivisibili per ciò che riguarda una grande riforma della giustizia, da sempre boicottata dall’associazione nazionale dei magistrati, e anche poi l’amnistia e l’indulto. Il problema delle carceri va affrontato a tutti i costi perché è diventato un autentico segno di inciviltà del nostro Paese, in tandem con la riforma della giustizia che richiede anche una diversa regolamentazione della custodia cautelare limitandone i reati e le procedure che la determinano”. Lo ha detto il deputato Pdl, Fabrizio Cicchitto. Ferranti (Pd): sì riforma ma no amnistia pro-Berlusconi La riforma della giustizia “è sì una priorità, ma non può certo essere una scorciatoia per un impossibile salvacondotto a favore di Silvio Berlusconi”. È quanto afferma Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia alla Camera. “Il terreno su cui intervenire con urgenza, come bene dice il ministro Cancellieri, è quello della durata dei processi e del sovraffollamento carcerario, e il Pd su questi temi - assicura - è pronto già da tempo al confronto”. Ma “deve essere chiaro che tutto ciò - avverte Ferranti - non ha nulla a che fare con improponibili amnistie o indulti pro Berlusconi. Il Pdl la smetta di strumentalizzare le sollecitazioni del capo dello Stato motivate dalla drammatica condizione in cui si vive nelle nostre carceri”. Leva (Pd): interventi strutturali su leggi Bossi-Fini, Fini-Giovanardi ed ex Cirielli “Il presidente Napolitano ha evidenziato un’urgenza che sta portando il nostro paese fuori dalla culla della civiltà giuridica europea. Ritengo sia quindi compito del Parlamento intervenire immediatamente per affrontare le cause che hanno stravolto l’uso della carcerazione”. Lo dichiara Danilo Leva, presidente Forum Giustizia del Pd, che sposta l’attenzione dalla questione amnistia per concentrarla su leggi del centrodestra ritenute colpevoli del sovraffollamento carcerario. “Le forze politiche prendano in considerazione l’ipotesi di fissare una sessione straordinaria delle Camere - afferma Leva -per rivedere le normative frutto di scelte politiche penali sbagliate che hanno riempito nel corso degli ultimi anni gli istituti di pena italiani. In particolare la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli, sono i tre provvedimenti sui quali bisogna intervenire in maniera ragionata ma puntuale. Si tratta di norme dove l’ideologia ha preso il posto del buon senso e da cui bisogna ripartire per affrontare in maniera strutturale una situazione oramai al limite. Inoltre è necessario che si rivedano anche le norme relative alla custodia cautelare”. Maroni (Lega): amnistia e indulto sono il peggio che si possa fare “Sono piuttosto preoccupato se è vera la notizia che il Presidente Napolitano manderà un messaggio alle Camere per chiedere un provvedimento di amnistia o indulto”. Afferma Roberto Maroni al termine della riunione del Consiglio federale della Lega Nord. Giorgio Napolitano, ha proseguito Maroni, “non solo dirige il traffico istituzionale, ma detta anche la linea sui contenuti del nuovo governo. Amnistia e indulto sono ciò che di peggio il Parlamento può fare in questo momento”. “Mi pare ci sia un braccio di ferro in corso - ha affermato il leader della Lega, riferendosi alla tenuta del governo - e soprattutto è il protagonismo di Napolitano che detta la linea: siamo in una Repubblica presidenziale di fatto”. Deputati M5S: Napolitano sotto ricatto, prepara terreno per amnistia a Berlusconi “Napolitano, con grande tempismo e sotto il ricatto del Pdl, prepara un appello alle Camere per un provvedimento di clemenza nei confronti dei carcerati. Così Berlusconi sarebbe salvo e l’Italia eviterebbe di pagare le multe all’Europa per le indegne condizioni delle nostre carceri”. Lo sostengono i deputati del M5S. “La soluzione al sovraffollamento carcerario non può consistere nel svuotarle - proseguono i grillini - ma in una razionalizzazione degli spazi e del servizio di sorveglianza. Già da tempo il ministro Cancellieri ha nelle sue mani un piano che consentirebbe di uscire dall’emergenza in tempi brevi, con costi bassi e, soprattutto ridando dignità ai reclusi. Ma, probabilmente, il ministro l’ha chiuso nel cassetto, perché la priorità è l’amnistia, la priorità è salvare Berlusconi”, concludono. Villarosa (M5S): grottesco che Napolitano parli oggi di amnistia e indulto “Amnistia e indulto. È grottesco che lo chieda lui e lo faccia oggi”. Così Alessio Villarosa, capogruppo del M5S alla Camera, commenta le parole di Giorgio Napolitano, che oggi, da Poggioreale, ha invitato il Parlamento a prendere in considerazione un provvedimento di clemenza. “In un momento come questo e alla luce di quel che sta avvenendo - riflette Villarosa - suona strano che Napolitano parli proprio di questo”. Cirielli (FdI): no indulto e amnistia, servono riforme strutturali “Fratelli d’Italia dice no all’indulto e all’amnistia. Il sovraffollamento delle carceri è un’emergenza che va risolta, però, con riforme strutturali e misure globali. Non ci stancheremo mai di dirlo. I provvedimenti di clemenza non servono. L’Italia deve affrontare il problema una volta per tutte, costruendo nuove carceri, facendo accordi con gli Stati di origine dei detenuti stranieri, per far scontare loro la pena nei loro Paesi, limitando l’uso della custodia cautelare essenzialmente alle ipotesi di flagranza di reato. Chi sostiene la necessità e l’utilità di questi provvedimenti dimostra di non avere una visione complessiva, scarica un’inefficienza dello Stato sui cittadini e soprattutto non ha rispetto delle vittime”. È quanto dichiara Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia e componente dell’Ufficio di Presidenza di Montecitorio. Capece (Sappe): amnistia da sola non basta a rimediare a criticità settore “Non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena”. Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), commenta così le parole del presidente della Repubblica su un possibile provvedimento di clemenza. “Avere appreso - continua Capece - che il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha pronto un messaggio di sensibilizzazione ai componenti del Parlamento sulle criticità e sulle problematiche delle carceri italiane, è una buona notizia e conferma la spiccata sensibilità del presidente della Repubblica sui temi penitenziari”. A giudizio di Capece, è urgente “che la classe politica rifletta seriamente sui concetti espressi, in più occasioni, dal capo dello Stato sulle criticità penitenziarie ed intervenga con urgenza per deflazionare il sistema carcere del paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere”. “L’emergenza carceri - afferma - è sotto gli occhi di tutti e servono necessariamente adeguate strategie di intervento”. Moretti (Ugl): Napolitano consideri anche ripianamento pianta organica “Il presidente della Repubblica non è nuovo a gesti di attenzione nel confronti del mondo penitenziario che confortano sia chi, come la polizia penitenziaria, lavora in condizioni critiche ma sempre con grande dignità e umanità, sia chi subisce una carcerazione indubbiamente non consona ad una società evoluta come quella italiana”. Lo afferma il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti. “Nel messaggio alle Camere auspichiamo che il Presidente della Repubblica non dimentichi di ricordare anche le donne e gli uomini della polizia penitenziaria che hanno bisogno prima di tutto di un ripianamento della pianta organica, anche qualora siano accolti provvedimenti di clemenza quali indulto o amnistia”, conclude Moretti. Matteoli (Pdl): bene Napolitano, sì a amnistia o indulto “Non posso non apprezzare le parole del Capo dello Stato. Ho sempre creduto, assumendo in passato ed in piena coscienza posizioni diverse dal mio partito, che una democrazia è forte anche se è capace di essere clemente con chi ha sbagliato. Auspico che il Parlamento raccolga rapidamente il monito di Napolitano ed approvi un provvedimento di amnistia o di indulto”. Lo dichiara il senatore del Pdl Altero Matteoli. De Magistris (Sindaco Napoli)): c’è bisogno di carceri degne di uno Stato di diritto “Un segnale significativo”. Così il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, commenta la visita del Capo dello Stato al carcere di Poggioreale. “Noi dobbiamo ricordare che tutte le persone hanno pari dignità” ha detto De Magistris, a margine delle celebrazioni per i 70 anni delle Quattro Giornate di Napoli alle quali ha partecipato il Presidente Napolitano. “Anche chi ha commesso un crimine - ha aggiunto - o è in attesa di giudizio, merita rispetto e attenzione”. Il sindaco di Napoli ha sottolineato che “la misura della civiltà di un Paese non è il livello di vita dei ricchi, ma di chi è in difficoltà. C’è bisogno - ha concluso - di carceri degne di uno Stato di diritto”. Spigarelli (Ucpi): con Napolitano consonanza su amnistia “Fa piacere che il presidente della Repubblica chieda finalmente il coraggio al Parlamento per una cosa straordinaria, l’amnistia e l’indulto”. Il presidente dell’Unione delle camere penali Valerio Spigarelli commenta con soddisfazione l’intervento del capo dello Stato a Poggioreale. E sottolinea la “felice consonanza” con la posizione dei penalisti: “anche l’avvocatura penale chiede l’amnistia, assieme a riforme strutturali”. Spigarelli (Ucpi): il Ministro Cancellieri riflette… ma servono fatti “Prendiamo atto che il ministro Cancellieri riflette sulla riforma del sistema delle pene; tuttavia l’azione di governo si misura non sulle idee ma sugli effetti. E la sua svuota - carceri è stata una timidissima iniziativa”. Resta critico il giudizio dei penalisti sull’efficacia dell’azione del governo sulle carceri e in generale sulla giustizia. “Il ministro dice che bisogna discutere del sistema complessivo delle sanzioni. Ma poi il governo deve difendere in Parlamento le idee che propone, altrimenti restano buone intenzioni senza efficacia - osserva il presidente dell’Unione delle camere penali Valerio Spigarelli, dopo aver letto l’intervento che il ministro Cancellieri ha inviato al Congresso della sua organizzazione. Anche le idee buone che si stanno discutendo nelle Commissioni ministeriali hanno bisogno di buone gambe, altrimenti resteranno solo un esercizio di stile”. Il giudizio resta severo anche sulla riforma della geografia giudiziaria: “è necessaria ma continuare a non prendere atto delle storture che sta producendo è un fenomeno stupefacente”. Morra (M5S): su indulto o amnistia, Silvio c’entra qualcosa? Dal carcere di Poggioreale Giorgio Napolitano è tornato a parlare di indulto o amnistia. “Silvio c’entra qualcosa? Perchè il Parlamento deve lavorare per gli italiani non per Berlusconi”. Lo dice all’Adnkronos il capogruppo uscente del M5S al Senato, Nicola Morra, commentando le parole del Capo dello Stato. “Di indulto o amnistia si potrà ragionare - aggiunge Morra - sappiamo che c’è una grave questione di sovraffollamento carcerario. Occorrerà valutare con attenzione tutto, ma se dovesse esserci anche il minimo sospetto” su un qualche legame con le vicende giudiziari del Cavaliere, “allora non ci siamo”. “Di certo - osserva il capogruppo M5S - è il caso di procrastinare la questione e affrontarla dopo che la Giunta per le elezioni e l’Aula del Senato si saranno pronunciate sulla decadenza di Berlusconi”. Ministro Mauro: indulto e amnistia non sono compromesso ma giustizia per tutti “Grazie Presidente Napolitano: indulto e amnistia non significa cedere ai compromessi, ma promuovere la giustizia per tutti”. Lo scrive il ministro della Difesa, Mario Mauro, sulla sua pagina Facebook. Sarno (Uil-Pa): d’accordo con Napolitano, scettico su volontà Parlamento “Sono assolutamente d’accordo con il presidente Napolitano ma molto scettico che questo Parlamento, questa classe politica, abbia cognizione di ciò che siano effettivamente le carceri”. Lo sottolinea all’Adnkronos Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, commentando le parole del presidente della Repubblica su un possibile provvedimento di clemenza. “Da anni - dichiara Sarno - sono sostenitore di un provvedimento che consenta un vero start-up per l’intero sistema penitenziario, e questo provvedimento credo che vada individuato proprio nell’amnistia e nell’indulto”. “Purtroppo - aggiunge - ho avuto modo di rilevare che, fermo restando l’autorevolezza degli appelli pronunciati da Napolitano, sono stati finora sostanzialmente inutili perchè il Parlamento mi pare poco incline ad accoglierli”. Giustizia: il coraggio della clemenza, per avere carceri degne di un Paese civile di Antonio Mattone Il Mattino, 28 settembre 2013 Questa mattina il Capo dello Stato Giorgio Napolitano varcherà il portone della Casa circondariale “Giuseppe Salvia - Poggioreale”. È una visita storica. Per la prima volta, infatti, un presidente della Repubblica entrerà nel penitenziario napoletano. Ma è anche una decisione inaspettata, presa all’improvviso. Nonostante il grave momento politico che il Paese sta vivendo, il presidente ha voluto recarsi nell’Istituto di pena dedicato a Giuseppe Salvia, ed essere vicino ai duemila seicento sessanta detenuti attualmente rinchiusi. È stata una delle poche personalità che ha fatto sentire più volte la sua voce per denunciare la drammatica condizione delle prigioni italiane. E proprio durante una sua visita nel carcere minorile di Nisida, nel 2011, disse che l’emergenza carcere è “una vergogna per il nostro Paese, che non ci fa dormire sonni tranquilli”. L’incontro del presidente Napolitano assume una grande importanza per il discorso che pronunzierà, o meglio per quella parola che i detenuti si aspettano di ascoltare: “Amnistia”. Perché, oggi, solo un provvedimento di clemenza può essere il punto di partenza per fare delle galere dei luoghi degni di un paese civile. Il carcere di Poggioreale rappresenta il simbolo del fallimento del sistema penitenziario. Sovraffollamento, penuria di lavoro e di attività intramurarie, misure alternative concesse con il contagocce, personale insufficiente e demotivato, rappresentano la sintesi della disfatta. Se pensiamo che l’articolo 6 dell’ordinamento penitenziario, una legge di quasi 40 anni fa, distingueva i locali nei quali si deve svolgere la vita dei detenuti da quelli destinati al pernottamento, mentre oggi per 22 ore al giorno si resta chiusi nella propria cella, ci rendiamo conto degli anni e delle occasioni perse per costruire un carcere più umano. Anche il regolamento di esecuzione della legge penitenziaria del 2000 che prevede l’abolizione dei divisori nei banconi delle sale colloqui, attraverso i quali un detenuto non riesce quasi neppure a toccare i figli e la moglie, in molte case di reclusione è rimasto lettera morta. Per non parlare poi della cura dei malati. La Riforma del 2008, che ha trasferito le competenze della Sanità penitenziaria dal ministero di Giustizia al sistema sanitario nazionale è una grande incompiuta, con una palleggio di responsabilità tra medici e amministrazione penitenziaria e il disinteresse più totale di alcuni manager delle Asl che di carcerati non vogliono proprio sentirne parlare. È giusto punire chi ha commesso un reato, ma è altrettanto opportuno non rendere disumana la permanenza nelle prigioni, soprattutto in vista di una rieducazione e di un cambiamento, che in queste condizioni appare veramente difficile. L’opportunismo della politica si contorce tra la valutazione della perdita di voti che un provvedimento di amnistia comporterebbe e le conseguenze che esso avrebbe nelle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi e parla alla pancia dell’opinione pubblica, speculando sulle paure collettive di cui la nostra società è prigioniera. Nelmaggio2014 l’Europavalu - terà l’Italia sulla condizione delle carceri, esaminando l’adeguamento imposto dalla Corte europea dei diritti umani dopo la sentenza Torreggiani. Se il 75% dei detenuti di media sicurezza non starà fuori dalle celle per 8 ore al giorno scatteranno altre sanzioni. Questa scadenza imposta da Bruxelles costringe a dare una brusca accelerata al processo di rinnovamento del sistema carcere, indipendentemente dalla volontà di rendere più umana la condizione in cui vivono i carcerati italiani. La venuta di Giorgio Napolitano nel carcere di Poggioreale proprio nel giorno in cui si commemorano le quattro giornate di Napoli e si ricordano grandi figure di uomini come Salvo D’Acquisto, può sembrare inopportuna e stridente. Eppure assume una valenza tutta particolare. Se da una parte vuole essere una scossa per spingere la politica a prendere quei provvedimenti che rendano meno umiliante la vita nelle carceri, dall’altra vuole richiamare il nostro Paese, nato dal sacrificio di uomini giusti e coraggiosi, a non negare mai i diritti fondamentali, e a sperare sempre nel cambiamento di chi ha commesso dei reati. Un incoraggiamento e un’ iniezione di fiducia di cui abbiamo un grande bisogno. Giustizia: Ucpi; provvedimento di amnistia e indulto, accompagnato dalla chiusura dei Cie di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2013 Una spinta permettere la politica con le spalle al mura La relazione di apertura del Congresso delle camere penali del presidente Valerio Spigarelli parte proprio dai referendum per lanciare un guanto di sfida alle inerzie di Governo e Parlamento. E allora i temi sono quelli sui quali in queste settimane si stanno raccogliendo le firme: terzietà del giudice, responsabilità professionale dei magistrati, collocamento fuori ruolo, tutela della libertà personale. Una scelta in qualche modo obbligata vista la natura di un governo che, ne giudizio di Spigarelli, naviga a vista e di suo non avrebbe mai la forza di proporre iniziative sui temi referendari. E in ogni caso, il merito del referendum sta nel “consegnare nelle mani dei cittadini una contesa che la politica distorce da anni” e nel chiedere ai cittadini, finalmente, quale magistraura vogliono e, dì più, in quale modello di Stato intendono vivere. Ma la relazione di Spigarelli va a toccare altri temi caldi come la nuova geografia giudiziaria, bollata senza scampo come “una somma d’errori”. Per le Camere penali, avere realizzato un ridisegno delle circoscrizioni in nome solo di una malintesa spending review darà un risultato fallimentare. L’approccio doveva essere un altro, con una vera riscrittura in cui accanto ai necessari tagli si sarebbero dovuti registrare anche ampliamenti per le realtà medio - piccole in relazione alle particolarità socio economiche del territorio e anche una migliore funzionalità degli uffici già esistenti. Sull’ordinamento forense Spigarelli rivendica di avere contribuito a portare a casa una riforma nella quale non tutti, neppure al congresso forense di un anno fa a Bari, credevano, ma i rapporti con le altre associazioni forensi restano complicati. Al di là della sintonia su alcuni temi, tra gli altri da ultimo le critiche al ministero della Giustizia per non avere esercitato la delega in materia di società per avvocati, le forme di rappresentanza dell’avvocatura devono essere, per le Camere penali, profondamente trasformate. La relazione di Spigarelli sottolinea come si deve scommettere su un modello federativo, abbandonando un modello come quello dell’Oua che continua a rimanere del tutto inaccettabile per ì penai isti sia dal punto di vista della sua conformazione, con l’ibridismo fra associazionismo e rappresentanza istituzionale sia per una pratica politica di stampo solo corporativo. Sul processo penale, le “Camere” chiedono un intervento ad ampio raggio; sul terreno cautelare, oltre all’innalzamento dei limiti edittali ed al definitivo superamento di qualunque presunzione, si suggerisce un netto irrigidimento degli obblighi di motivazione sul tema dell’attualità delle esigenze, insieme ad una coerente ricalibratura dei poteri del Tribunale del riesame. Spazio poi per una riflessione sull’obbligatorietà dell’azione e sul controllo di legai ita sulle scelte e sui tempi investigai ivi, sulla previsione esplicita di un sindacato giurisdizionale “diffuso” sulla tempestività delle iscrizioni, e sull’introduzione di una nuova ipotesi dì proscioglimento e di archiviazione per particolare tenuità del fatto. E ancora, razionalizzazione del giudizio abbreviato, ampliamento delle possibilità di accesso al patteggiamento e delle opzioni sanzionatone alternative nel procedimento per decreto, irrobustimento degli oneri di motivazione della sentenza di merito, ampliamento delle chances difensive in caso di appello dell’accusa contro il proscioglimento, in vista di una auspicabile rimeditazione in senso accusatorio del doppio grado. Infine il tema delle carceri: dalle Camere penali arriva la richiesta di una revisione del sistema delle sanzioni spiegando che non si tratta di un favore alla criminalità, ma piuttosto alla sicurezza collettiva. Con “uno scatto di orgoglio civico nazionale” serve poi un provvedimento di amnistia e indulto accompagnato dalla chiusura dei Cie. Giustizia: Sottosegretario Berretta; procedimenti giudiziari più snelli con Decreto del Fare di Luca Salici Quotidiano di Sicilia, 28 settembre 2013 Qual è l’intervento di maggiore urgenza su cui il ministero della Giustizia sta lavorando? “La priorità per l’Italia su cui il governo deve intervenire con immediatezza e concretezza è il lavoro, tutti devono essere partecipi di questo sforzo perché il Paese possa intraprendere la via dello sviluppo e della coesione. La Giustizia è chiamata a dare un contributo di efficienza: migliorare i tempi della giustizia italiana è essenziale per attrarre investimenti. L’imprenditore, che deve ricorrere alla giustizia civile, come ogni cittadino avrà bisogno di una giustizia certa e veloce. Il sistema della giustizia civile è il “tallone d’Achille” del nostro sistema economico: siamo al 160° posto su 185 per “Risoluzione di dispute commerciali”. Il “Decreto del Fare” ha introdotto una serie di misure per diminuire il numero dei procedimenti giudiziari in entrata, attraverso la mediazione obbligatoria per numerose tipologie di cause e l’istituzione di un contingente di 400 giudici onorari, per la definizione del contenzioso pendente presso le Corti di Appello. Nei prossimi 5 anni, le decisioni del Governo abbatteranno il contenzioso civile e porteranno a un impatto totale di maggiori processi definiti (più 950.000), minori sopravvenienze (100.000 in meno) e minori pendenze complessive (oltre 1.000.000 in meno). Sono aperti numerosi altri fascicoli che arriveranno a conclusione entro i prossimi 12 mesi: la previsione di ulteriori limiti all’appello; il rafforzamento degli incentivi alla mediazione; la prosecuzione del percorso di telematizzazione della giustizia, rafforzando lo strumento del Processo civile telematico (Pct); il completamento delle banche dati sui singoli procedimenti presso ciascun ufficio giudiziario (ovvero i “data warehouses”), che consentirebbe una valutazione più rapida ed accurata delle misure già adottate e dei problemi già incontrati”. In queste settimane abbiamo assistito a numerose proteste, scatenate della riforma dei Tribunali. La ministra Cancellieri ha dichiarato che tale provvedimento porterà ad un risparmio di circa 80 milioni di euro. Pensa che la mappa sia stata tracciata in maniera equa e tale da assicurare una maggiore efficienza? “Partiamo dai numeri confermando le stime del ministero di Giustizia che indicano in 80 milioni di euro il risparmio derivante dall’approvazione della riforma della geografia giudiziaria che ha ridisegnato una mappa vecchia di 150 anni. A poco più di una settimana dall’entrata in vigore della riforma i dati del ministero della Giustizia dicono che su 420 sedi toccate dalla riforma, solo 25 sedi, pari al 6 per cento del totale, stanno incontrando problemi di varia rilevanza. In particolare 13 sedi accorpanti hanno problemi di spazio; 6 sedi accorpate hanno subito ritardi a causa delle manifestazioni di protesta e altre 6 hanno ricevuto azioni legali di opposizione al trasloco e al trasferimento del personale. Complessivamente, vista la vastità dell’operazione (soppressi 30 tribunali, 30 procure, 220 sezioni distaccate e 667 giudici di pace; recupero di 2.300 magistrati e oltre 7.000 amministrativi da impiegare in modo più efficiente) è stato un inizio più che incoraggiante. In base a queste prime cifre possiamo affermare che la riforma sta cominciando con il piede giusto: si tratta di una riforma epocale che non è stata facile da attuare, abbiamo ascoltato le ragioni di centinaia di amministratori, conosciamo ed abbiamo approfondito le problematiche legate ad ogni tribunale. Entro un anno avremo un quadro ancora più chiaro”. La riforma ha avuto ricadute locali, in particolare riguardo ai tribunali della nostra Isola. “Da siciliano ho seguito con particolare attenzione le vicende dei Tribunali dell’Isola, perché la nostra è una regione in cui va mantenuta alta l’attenzione nella lotta alla criminalità ed ogni ufficio giudiziario rappresenta un imprescindibile presidio di legalità. Sulla vicenda di Nicosia ci sono dei segnali incoraggianti e di sicuro il caso sarà uno di quelli che saranno valutati dalla commissione per la valutazione della riforma istituita dal ministero della Giustizia. Ho seguito anche la vicenda del Tribunale di Ragusa, per cui è stato autorizzato, per un periodo di due anni, l’utilizzo dei locali ospitanti presso il tribunale di Modica per la trattazione degli affari civili ordinari pendenti e per la dislocazione del relativo archivio”. Per risolvere il sovraffollamento nelle carceri non servono solo nuovi istituti detentivi, ma anche, e soprattutto, le pene alternative al carcere. In primo luogo per quei reati che sono considerati minori. “Siamo fortemente orientati a favorire il ricorso a pene sostitutive alla detenzione e una forte riduzione del ricorso al carcere in tutti quei casi in cui non è necessario. Per migliorare le condizioni dei detenuti siamo orientati a favorire l’inserimento lavorativo, inteso come strumento fondamentale di rieducazione e reinserimento sociale. Intendiamo assumere tutti i provvedimenti necessari per dare piena attuazione all’ordinamento penitenziario”. Cosa si intende fare per questo? “Vanno introdotte nuove norme di depenalizzazione, e su questo il lavoro potrebbe presto giungere a buon fine, specie ricorrendo ancora di più alle misure alternative. Spesso nelle carceri si sono relegati i problemi che la società non riesce ad affrontare o preferisce rimuovere. L’immigrazione è uno di questi. Credo vada rivista la legge Bossi - Fini, che rappresenta uno di quei casi in cui si è cercato di governare con il carcere fenomeni più complessi. Sull’enorme numero di detenuti stranieri. Il Governo è fortemente impegnato perché sia possibile far scontare ai detenuti la pena nel proprio Paese d’origine, ma è una strada molto complessa poiché mancano gli accordi specifici con i singoli stati. Cominciamo dall’abrogazione della Bossi - Fini, per dimostrare che il carcere non può essere usato come strumento per governare l’immigrazione”. Diritti umani e referendum meglio delle leggi in Parlamento... I Radicali di Pannella stanno promuovendo 12 referendum che hanno come tema “i nuovi diritti umani e la giustizia giusta”: divorzio, immigrazione, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, libertà di scelta nella destinazione dell’8 per mille, tra gli altri. Qual è la sua opinione a riguardo? “Secondo me vengono poste questioni serie che per anni sono state rinviate. Se il Parlamento intervenisse prima dei referendum, si risparmierebbero le risorse di una consultazione popolare e i parlamentari svolgerebbero il lavoro per il quale sono stati eletti. Meglio una legge che un referendum, sono necessari approfondimenti e competenze che non tutti i cittadini posseggono. La Fini-Giovanardi, per esempio, è una di quelle norme approvate sull’onda emotiva di fenomeni percepiti come socialmente rilevanti ma che ha finito per provocare più problemi, a partire dal sovraffollamento carcerario, che soluzioni. Su questo e sulla Bossi-Fini il mio auspicio è che intervengano presto il Governo ed il Parlamento. Penso che sulla custodia cautelare in carcere e sugli altri temi riguardanti la Giustizia si debba intervenire e non per via referendaria. Serve una legge che riordini la materia della custodia cautelare e anche questa servirebbe a ridurre il sovraffollamento delle carceri. Così come penso sia necessario intervenire sulla responsabilità civile dei magistrati. È notizia di ieri l’apertura, da parte della commissione europea, di una procedura d’infrazione contro l’Italia per i limiti posti alla responsabilità civile dei giudici nell’applicazione del diritto europeo. Sono favorevole all’abolizione dell’ergastolo, il condannato deve avere la possibilità di redimersi. Sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti sta lavorando il Parlamento. Si tratta di trovare un accordo sul tetto di donazione dei privati”. Il lavoro come strumento principale di rieducazione Quali sono le azioni che potrebbero riequilibrare la condizione delle carceri nel Paese? “Quella delle carceri è una situazione inammissibile, come ci ha più volte autorevolmente ricordato il Presidente Napolitano, è una questione di “prepotente urgenza costituzionale e civile”. Secondo l’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa sulla popolazione carceraria, l’Italia è il Paese del Consiglio d’Europa con il maggior sovraffollamento nelle carceri: per ogni 100 posti ci sono 147 detenuti ed è terzo anche per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio. Con il decreto sull’esecuzione della pena abbiamo dato una prima risposta ottenendo un alleggerimento del nostro sistema penitenziario, incidendo strutturalmente sui flussi carcerari in entrata, limitando gli ingressi in carcere e favorendo l’uscita dei detenuti non pericolosi. Abbiamo cercato di raggiungere un punto di equilibrio tra le richieste di sicurezza dei cittadini e l’obiettivo del reinserimento sociale delle persone che hanno commesso reati. Il lavoro è stato individuato come lo strumento principale di rieducazione e molto significativo è l’ampliamento delle possibilità di utilizzare, a titolo volontario e gratuito, i detenuti in lavori di pubblica utilità. Inoltre, sono stati aumentati gli sgravi contributivi ed il credito di imposta per chi assume i detenuti e gli ex detenuti”. Si prevede la costruzione di nuove carceri? “Il ministero della Giustizia sta proseguendo il suo “piano carceri” che prevede la costruzione di nuove carceri e la ristrutturazione di quelle esistenti, per creare nuovi posti che abbiano i requisiti previsti. Entro la fine del corrente anno saranno disponibili 2.509 nuovi posti detentivi che diventeranno circa 10mila al completamento del piano”. Giustizia: Sottosegretario Ferri; no amnistia, per l’emergenza carceri interventi strutturali Ansa, 28 settembre 2013 In Italia esiste un’emergenza carceri: lo ha ricordato Cosimo Maria Ferri, sottosegretario alla Giustizia, che oggi ha visitato il carcere fiorentino di Sollicciano. “C’è un problema di sovraffollamento che va risolto” ha osservato, segnalando anche “tanti problemi strutturali che vanno risolti”, come ad esempio le infiltrazioni di acqua che stanno portando a un deterioramento della struttura carceraria. “Il ministro Cancellieri ha lanciato la proposta dell’amnistia: io ho un approccio più da magistrato, e quindi vedo l’amnistia come una sconfitta per lo Stato, una rinuncia a una pretesa punitiva che pure ci deve essere”. Lo ha affermato Cosimo Maria Ferri, sottosegretario alla Giustizia, parlando a margine della sua visita al carcere fiorentino di Sollicciano. “La certezza della pena deve essere garantita”, ha detto Ferri, sottolineando che “è ovvio che se tutto rimane così ci sarà bisogno di misure forti perché altrimenti non ci sono altre soluzioni”, a proposito dei problemi di sovraffollamento delle carceri, questione che riguarda anche l’istituto penitenziario di Firenze. Secondo Ferri, una eventuale amnistia sarebbe una “extrema ratio”, e quindi per risolvere i problemi di sovraffollamento carcerario “servono misure urgenti, non si può aspettare, altrimenti sarà l’unica soluzione percorribile; ma sarà una sconfitta per tutti”. “L’Europa ci guarda - ha ricordato il sottosegretario - ci ha già condannati, e ora inizieranno anche i risarcimenti del danno”. “Vanno investite risorse in interventi strutturali”, ha detto Ferri, secondo cui i problemi derivanti dalle infiltrazioni “si possono risolvere con cifre non ingenti”, e anche per altre questioni ci sono “piccoli segnali di attenzione che vanno dati sia ai detenuti sia a chi lavora in questo istituto, segnali che lo Stato c’è e può risolvere questi problemi”. Il sottosegretario, che ha ringraziato gli agenti di polizia penitenziaria per il loro costante sacrificio, ha inoltre lanciato un appello per la riapertura dell’Icam, l’istituto di custodia attenuata per le madri: “Non possiamo consentire - ha affermato - che dei bambini crescano all’interno di questo istituto. Ho incrociato lo sguardo di un bambino di sei anni, che soffriva e non riusciva a spiegarsi perché la sua vita fosse all’interno di questo carcere. Le colpe dei genitori non devono ricadere sui loro bambini”. Poi un’appello a tutte le forze politiche: “Al Paese oggi interessano poco i temi di cui si dibatte oggi sui giornali, il congresso del Pd, la leadership del prossimo governo, la decadenza di senatori: il Paese ha bisogno che siano risolti altri problemi”. “Lasciamo stare i problemi e le lotte reciproche della politica. Faccio un appello a tutte le forze politiche affinché si rispettino reciprocamente, e trovino soluzioni guardando al bene del Paese”. Giustizia: risarcimenti G8 Genova; l’ultima vergogna… soldi solo a chi è ricorso alla Ue di Marco Preve La Repubblica, 28 settembre 2013 L’Europa pressa, Roma continua a prendere tempo: il pagamento sarà effettuato solo per 31 delle 154 vittime delle violenze a Bolzaneto. Con il cinismo tipico della burocrazia senza volto né nome, e quindi priva di responsabilità, il Ministero dell’Interno, dopo anni di solleciti e proteste, ha annunciato ad un gruppo di legali che inizierà quanto prima a risarcire le parti offese del processo per gli abusi e le violenze della caserma di Bolzaneto trasformata in carcere speciale per il G8 del 2001 con l’avallo della procura di Genova. Sembrerebbe una buona notizia dopo cinque anni di vane attese (le cosiddette provvisionali stabilite dal Tribunale avrebbero dovuto essere pagate già dopo la sentenza di primo grado del 2008), ma in realtà nasconde solo la coda di paglia dello Stato italiano di fronte alla Cedu, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Infatti, il Viminale ha comunicato che il pagamento avverrà nei confronti di 31 vittime (in tutto sono 154), e guarda caso si tratta proprio dei 31 firmatari dei ricorsi depositati alla Cedu. Tra l’altro, la Corte di Strasburgo ha di recente trasmesso allo Stato italiano una serie di interrogativi decisivi per valutare se il nostro paese abbia violato i diritti fondamentali delle persone da un lato e abbia applicato nei confronti dei responsabili i provvedimenti necessari. Due domande per le quali l’Italia è ormai palesemente inadempiente. Si chiede, infatti, al governo italiano se durante i processi gli imputati - poi condannati o prescritti ma responsabili civilmente - siano stati sospesi o le loro carriere interrotte. Tutti sanno che nulla di tutto ciò accadde, anzi vi furono promozioni e avanzamenti di carriera. Ma la Cedu chiede anche al nostro governo se siano state risarcite le parti offese dopo le sentenze di primo e secondo grado, e ormai anche dopo la Cassazione. E anche qui la risposta è un secco “no”. In barba agli appelli e alle lettere scritte in particolare da Enrica Bartesaghi, portavoce del Comitato Verità e Giustizia per Genova. Di fronte ad uno score da zero assoluto il Ministero dell’Interno ha pensato di recuperare in zona Cesarini e così, ha deciso di tamponare sul fronte europeo rimborsando i 31 ricorrenti e ignorando bellamente tutti gli altri. “Aldilà di una scelta che si commenta da sola - dice l’avvocato Emanuele Tambuscio, uno dei legali che a seguito i processi del G8 e firmato i ricorsi alla Cedu - l’unica cosa che mi sento di aggiungere è che i ricorsi alla Corte di Strasburgo sono ancora aperti e quindi presto si aggiungeranno al primo elenco dei 31 tutte le altre parti offese”. Giustizia: trattativa Stato-mafia; i pm “Napolitano venga a testimoniare al processo” Adnkronos, 28 settembre 2013 Il pm di Matteo: “La testimonianza del Capo dello Stato è certamente pertinente e rilevante in questa sede dibattimentale”. E poi aggiunge: “Dialogo occulto tra parti delle istituzioni e i vertici di Cosa nostra proseguì anche dopo la strage di via D’Amelio”. “La testimonianza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano al processo per la trattativa tra Stato e mafia è certamente pertinente e rilevante in questa sede dibattimentale”. Lo ha detto il pm Nino Di Matteo durante la relazione introduttiva del processo che si sta celebrando davanti alla Corte d’assise di Palermo all’aula bunker del carcere Ucciardone. Era stata la Procura a inizio processo a chiedere di potere ascoltare il Presidente della Repubblica. Di Matteo si riferisce in particolare a una telefonata intercettata tra l’ex consigliere giuridico di Napolitano Loris D’Ambrosio, morto un anno fa, e l’ex ministro Nicola Mancino, tra gli imputati del processo. Nella telefonata del 5 aprile 2012, tra l’altro, all’indomani della lettera inviata dal Colle al Procuratore generale della Cassazione, dopo che Mancino aveva trasmesso per iscritto alcune rimostranze, D’Ambrosio disse a Mancino: “Il Presidente condivide la sua preoccupazione ciò, diventa una cosa... inopportuna...”. E Mancino aveva replicato: “Questi si dovrebbero muovere al più presto”. Ma ci sono anche altre telefonate intercettate. in un’altra telefonata, del 25 gennaio, D’Ambrosio parlò con Mancino della sua nomina al Viminale nel luglio 1992, al posto di VIncenzo Scotti. “È importante ascoltare Napolitano - ha detto Di Matteo - perché è l’unica possibilità per approfondire i timori espressi da D’Ambrosio”. Le altre telefonate di Mancino, intercettate per caso dalla Procura, con Giorgio Napolitano, sono state distrutte nei mesi scorsi. “Intendiamo dimostrare che il dialogo occulto tra parti delle istituzioni e i vertici di Cosa nostra proseguì anche dopo la strage di via D’Amelio del luglio del ‘92, dopo l’arresto di di Vito Ciancimino del dicembre dello stesso anno e dell’arresto del boss Totò Riina avvenuto nel gennaio del 1993”, ha poi detto il magistrato. “Questo dialogo occulto proseguì anche attraverso durissime missive ricattatorie, la più importante delle quali ad opera di sedicenti parenti di detenuti per mafia - ha proseguito Di Matteo. La minaccia proseguì con l’attentato di Roma che coinvolse anche Maurizio Costanzo, l’attentato di via dei Georgofili del maggio 1993 e gli attentati di Milano e Roma per intimidire ulteriormente le istituzioni per attenuare il trattamento penitenziario dei detenuti più pericolosi”. “Intendiamo dimostrare - ha detto ancora Di Matteo - come ci siano stati inequivocabili segnali di cedimento di soggetti per il trattamento penitenziario”. E ha parlato della mancata proroga di 334 decreti di carcere duro, il cosiddetto 41 bis, per altrettanti mafiosi. “In quel periodo c’è stato l’avvicendamento del ministro Claudio Martelli alla Giustizia con Giovanni Conso e l’avvicendamento tra il capo del Dap Niccolò Amato con il duo Adalberto Capriotti e Francesco Di Maggio”. Poi ha annunciato che la Procura “intende dimostrare la certa individuazione del Ros dell’allora latitante Nitto Santapaola nell’aprile del 1993 e la mancata attivazione per la cattura del latitante”. Subito dopo le stragi mafiose del 1992, alcuni rappresentanti dello Stato avrebbero avviato una trattativa con i vertici di Cosa nostra per fare terminare la strategia stragista, ha spiegato poi il pm Roberto Tartaglia. “Intendiamo provare - dice Tartaglia - che con l’ideazione di questa strategia i vertici di Cosa nostra si determinarono a perseguire una pluralità di obiettivi: quello di neutralizzare definitivamente i cosiddetti nemici storici dell’organizzazione mafiosa, ovvero i magistrati che si erano maggiormente esposti nell’azione antimafia, quello di punire tutti coloro che, tra cui politici, non avevano garantito i risultati auspicati”. E ha ricordato l’omicidio dell’ex eurodeputato Salvo Lima, ucciso nel marzo 1992. A parlare anche gli avvocati degli imputati: “Nicola Mancino, da privato cittadino, non ha interferito nel mondo politico - istituzionale, come dice l’accusa, ma quello è da sempre il suo mondo”, ha detto l’avvocato Nicoletta Piergentili replicando in udienza alla relazione introduttiva dei pm - Nella relazione il pm Francesco Del Bene, aveva detto più volte che Mancino “da privato cittadino avrebbe tentato di interferire nelle indagini”. “Da cittadino comune - ha ribadito il legale di Mancino - è piuttosto una persona disorientata”. E ha ricordato le migliaia di telefonate in cui Mancino, oggi assente, è stato intercettato. “Il generale Mario Mori e il generale Antonio Subranni, sono persone per bene e fedeli servitori dello Stato e noi lo dimostreremo con le prove, non con le illazioni del pm”, ha detto subito dopo l’avvocato Basilio Mili, il legale dei due ufficiali dei carabinieri imputati nel processo. A parlare a Palermo anche Massimo Ciancimino, che ha fatto dichiarazioni spontanee: “Da quando ho iniziato a rispondere alle domande dei magistrati nei giorni precedenti ai processi ho subito ogni forma di attacco personale teso a minacciarmi o a screditarmi”. A fine giornata è stata aggiornata al 10 ottobre l’udienza del processo. Lo ha deciso il presidente della Corte d’Assise di Palermo Alfredo Montalto. Lettere: caro amico drogato, lasciati aiutare… non gettare la tua vita come me di Vincenzo Lepore Il Mattino, 28 settembre 2013 “Ciao Massimo, sarai incuriosito da una lettera che ti giunge da un carcere. Se mi sono preso la libertà di scriverti è perché io e te abbiamo più cose in comune di quanto tu possa immaginare. Anch’io come te sono campano, di Pagani in provincia di Salerno. Anch’io come te ho conosciuto la dipendenza dalla droghe, specie l’eroina. Anch’io come te ho sperimentato la devastazione interiore a cui ti può condurre questo rapporto. Anch’io come te ho buttato via un pezzo della mia vita e forse più di altri posso comprenderti. Il messaggio che vorrei lanciarti è semplice: lasciati aiutare”. Vincenzo e Massimo non si conoscono e chissà se si conosceranno mai. Le loro storie lontane si incrociano in una lettera e nelle parole che raccontano di un dolore vissuto da entrambi. Vincenzo Lepore ha 53 anni, sta scontando una pena di due anni per stalking nei confronti dell’ex compagna. Lui giura che tra le tante condanne subite questa è l’unica ingiusta. È malato di cuore e per questo si trova nel secondo reparto medicina del Centro clinico di Regina Coeli. Tra poco uscirà - questione di giorni - le sue condizioni di salute non sono più compatibili con il carcere. L’ossessione della droga l’ha attraversata tutta, ne conosce ogni sfumatura e sa che, benché sia ormai distante, finirà con lui. Massimo ha 32 anni e non riesce a liberarsi dalla dipendenza, prigioniero più di Vincenzo che la libertà l’ha persa da un pezzo e la vita l’ha passata più dentro che fuori, tra celle e comunità. Il detenuto sa di lui e di cosa sta vivendo da un’insegnante di Regina Coeli, zia del giovane. Scrive a Massimo e a tanti come lui in lotta per riprendersi la vita. Ai ragazzi di Scampia o dei quartieri dove la droga è la sola legge, si consuma e si spaccia, non c’è altra scelta. Quelli che per una dose rubano, picchiano, sparano, diventano criminali. C’è la roba nelle loro giornate già segnate e niente più. Vincenzo sa bene cosa vuol dire essere disposti a morire per la roba, provare ad uscire e poi di nuovo precipitare, la sua storia con l’eroina la racconta in questa lettera aperta. “Sai, Massimo, anche se ormai da dieci anni non tocco l’eroina posso affermare di aver vinto la battaglia con la droga ma non la guerra che finirà solo quando morirò. Vedi, io ho dovuto imparare a considerare la dipendenza dall’eroina al pari di quella che può essere una relazione con una donna bellissima e fatale. Se ci pensi bene, Massimo, l’eroina è come una bella donna che forte del suo fascino ci riduce a marionette o peggio veri e propri zombie. Io ho pagato e ancora sto pagando un caro prezzo. Ho fatto terra bruciata intorno a me fino ad essere così malridotto da essere evitato come un appestato. Ho perso mia madre, mio padre, i miei fratelli, mia moglie e mi miei figli. Ho vissuto per strada come un randagio, ho dormito nei vagoni di binari morti e sulle panchine dei parchi di mezza Europa. Ho vissuto rinchiuso a Park Splitz, a Zurigo, paradiso dei tossici di ogni luogo dove qualsiasi abuso di droga veniva tollerato nella convinzione di contenere al suo interno il problema. Un vero inferno dei vivi dove la morte da overdose era considerata un effetto collaterale previsto ed accettato. Ho conosciuto il carcere, l’abbandono, la solitudine e il dolore dell’astinenza. In più di 30 anni di dipendenza non ho conosciuto nessuno che come me fosse convinto di poter gestire e controllare il proprio consumo e che non sia finito per condividere il destino inevitabile dell’autodistruzione. Perché ti ho raccontato tutto questo? Perché sono convinto che anche tu avrai provato mille volte a smettere. Io non ci sono riuscito finché non ho accettato l’idea che da solo non potevo farcela. Avevo bisogno di aiuto e l’aiuto che mi serviva non era quello di trovare soldi o di qualcuno che mi aiutasse a trovarli. Avevo bisogno di qualcuno disposto a donarmi il suo tempo, la sua pazienza e il suo affetto senza alcun pietismo. Io ho intrapreso la strada che mi ha portato a smettere solo quando ho cominciato a fidarmi del prossimo e a non guardare le persone che mi circondavano come fossero salvadanai da derubare ma come maniglie a cui aggrapparsi. Caro Massimo, chi ti parla è alla fine della sua corsa a causa delle conseguenze di una vita regalata all’eroina. Anche se ho già la mano della morte appoggiata sulla spalla non mi sono mai sentito così felicemente libero e pronto ad affrontarla. Spero di non averti offeso e ti saluto con un doloroso abbraccio”. Napoli: il presidente Napolitano in visita tra i disperati del carcere di Poggioreale di Bianca De Fazio La Repubblica, 28 settembre 2013 Il Presidente nell’inferno di Poggioreale. Giorgio Napolitano, in città per la celebrazione del settantesimo anniversario delle Quattro Giornate di Napoli, farà visita, questa mattina, al penitenziario dove vivono, per scontare la pena, 2.800 detenuti stipati in celle, in ambienti, in locali, che ne potrebbero contenere meno della metà: 1.350. “Una visita attesa da tempo, sollecitata più volte - ha spiegato il garante regionale dei detenuti, Adriana Tocco. Una visita messa in agenda perché la sensibilità del presidente per le condizioni di gravissimo disagio della popolazione carceraria non è affidata alle chiacchiere, ma fa parte del suo vero sentire. Ed oggi Napolitano prenderà coscienza, personalmente, del dolore ancor più evidente nei detenuti malati, persone che pur in grave o gravissimo stato di salute, non riescono ad ottenere pene alternative”. Dunque la Tocco ha annunciato ieri ufficialmente la presenza del capo dello Stato a Poggioreale, nel corso di una conferenza stampa nella quale, insieme ad alcuni parlamentari della Commissione Giustizia della Camera - Carlo Sarro del Pdl e Assunta Tartaglione del Pd - ha chiesto la sospensione della pena o misure alternative per i carcerati gravemente ammalati. Alle 12 Napolitano varcherà i cancelli di Poggioreale, sarà accolto dal sindaco de Magistris ed incontrerà, nella chiesa del carcere, un centinaio di detenuti. Tra loro Vincenzo Di Sarno, 37 anni, esempio vivente “di come la detenzione possa trasformarsi in tortura”, afferma il coordinatore dei cappellani del penitenziario, don Franco Esposito. Vincenzo lotta da 10 anni contro un cancro al cervello ed alla colonna vertebrale. Dal 2009 è in galera. “Era un ragazzone di oltre 115 chili, quando è entrato. Adesso è ridotto a 60 chili. Una larva”, racconta il sacerdote. Che insiste: “Il carcere diventa fuorilegge, se non garantisce i diritti dei suoi detenuti “. E lo dirà chiaro, don Franco, anche al presidente della Repubblica. Non sarà una visita di maniera, quella di Napolitano: “Dopo la tappa in chiesa, dopo le parole di uno dei detenuti - spiega la Tocco - il presidente andrà personalmente a rendersi conto delle condizioni del carcere, vedrà come si vive, ad esempio, nel padiglione Avellino”. Uno dei più affollati. Un carcere dove “può accadere - racconta il garante - che quattro paraplegici finiscano nella stella cella, dove si attendono mesi per un accertamento, dove le ragioni della sicurezza prevalgono su quelle della salute, pur essendo, la salute, un diritto costituzionalmente garantito”. Adriana Tocco ribadisce che “il detenuto è affidato allo Stato, ma lo Stato non è in grado di curare adeguatamente il detenuto”, e lo fa sedendo accanto ai familiari di alcuni detenuti gravemente ammalati. Ci sono la madre di Vincenzo, la sorella, la madre e la nipote di Enzo Fattore, colpito da un ictus, in carcere, ed oggi non più autonomo, incapace di parlare, di muoversi. “Lo vorremmo a casa”, chiede la nipote Sara. “O in un ospedale dove possa essere curato”. Ed è la moglie di un ex detenuto, la signora Esposito, a raccontare l’angoscia dei parenti degli ammalati ai colloqui, “quando fai la fila per accedere all’incontro senza sapere se tuo marito, tuo padre, tuo fratello, sono ancora vivi. Senza sapere se quell’ambulanza arrivata all’alba ha portato via proprio lui. Ci sono carcerati costretti in celle affollate avendo fatto la chemioterapia due ore prima, uomini diventati ciechi che devono arrampicarsi sulla branda al terzo livello del castelletto”. “Testimonianze con le quali - aggiunge don Franco - sembra che le famiglie chiedano l’elemosina. Invece il loro, il nostro, è un grido per ottenere diritti sacrosanti. Contro la solitudine di chi vive la malattia in carcere, contro l’impossibilità di cure adeguate e di affetto. Contro questa tortura”. Un grido che oggi si leverà perché lo ascolti il presidente. “Confidiamo nella sua sensibilità”, affermano le famiglie dei detenuti malati. Milano: i “frutti del carcere”, una giornata per conoscere i prodotti delle cooperative di Elisabetta Longo Tempi, 28 settembre 2013 Cordata, impresa sociale, organizza l’evento “I frutti del carcere”. Un’occasione per incontrare i detenuti e conoscere il lavoro delle varie associazioni delle case di reclusione lombarde. Il carcere può dare frutti. Frutti da cogliere domani 28 settembre, presso la cooperativa la Cordata, in via San Vittore 49. La Cordata è un’impresa sociale che si è sempre occupata di accogliere e ospitare offrendo insieme spunti educativi e un tetto per chi ne avesse bisogno. Una volta alla settimana, da circa due anni, la Cordata organizza, nel cortile interno del suo stabile, un mercato agricolo e di oggettistica varia, chiamato appunto “mercato artigianale e agricolo”. Da qualche tempo tra le bancarelle e le cassette di frutta e verdura trovano spazio anche i prodotti delle cooperative carcerarie. Spiegano gli organizzatori che il problema più grande per queste cooperative è uscire dalle mura delle case di reclusione e fare conoscere ai cittadini la propria realtà e i propri manufatti, siano questi prodotti di serra o lavori in tessuto. Per questo motivo la Cordata ha pensato di ospitarne alcune nell’appuntamento classico settimanale - che si tiene ogni giovedì in via San Vittore 49. E provando poi, con la giornata di domani, a attirare l’attenzione dei cittadini sui prodotti delle cooperative, visto che collaborano all’evento anche il comitato di Zona 1 e Cittadini Solari per Milano. Un appuntamento nuovo, che potrebbe diventare fisso. Nel corso della giornata non ci sarà solo tempo per fare shopping, ma anche per ascoltare qualche intervento. Saranno presenti Lucia Castellano, consigliere e vicepresidente Commissione Regionale delle carceri, Massimo Parisi, direttore del carcere di Bollate, Alessandra Naldi, garante dei diritti dei detenuti di Milano e altri. Al mattino ci saranno testimonianze di detenuti che lavorano nelle cooperative, mentre nel pomeriggio si discuterà di “lavoro dopo il carcere”. Nel mezzo, Trasgressione, un gruppo misto di psicologi e studenti di varie facoltà, discorreranno con i detenuti, per ascoltarli e aiutarli. Esposti tra i banchi ci saranno prodotti ortofrutticoli, dolciari e da forno e perfino di artigianato, mobili o gioielli. La varietà delle cooperative delle carceri lombarde è infatti molto vasta. La maggior parte di coloro che vi prestano servizio vivono in regime di articolo 21, che permette loro di uscire dal carcere nelle ore lavorative e tornarvi poi una volta terminato il compito. Alla Cordata ritengono che sia proprio questo il momento più a rischio per un detenuto, a metà tra la libertà. Il lavoro aiuta a non perdere di vista il percorso fatto. Massa: detenuti al lavoro in tribunale, la seconda vita del mafioso che diventa chef Il Tirreno, 28 settembre 2013 Al lavoro nell’apparato che li ha giudicati e condannati. Cinque detenuti del carcere di Massa sono stati impiegati nel lavoro di riordino e catalogazione informatica dell’archivio del tribunale cittadino. Altri dieci reclusi inizieranno a lavorare lunedì. Il tutto per un progetto di (felice) reinserimento che sta facendo scuola. Dopo il successo del primo progetto, ieri nell’ufficio del presidente del tribunale Maria Cristina Failla è stata firmato un secondo progetto di reinserimento, che partirà da lunedì prossimo e avrà una durata di sei mesi: si chiama Apuane (acronimo di Attività di pubblica utilità archivio nuova edizione) e coinvolge tribunale, procura, ufficio di sorveglianza, Provincia, direzione casa di reclusione, ufficio di esecuzione penale esterna e centro sociale Caritas. Dopo la fase sperimentale di sei mesi si valuterà se prorogare l’impegno. Il progetto ha l’obiettivo di agevolare e sostenere il reinserimento sociale di persone condannate con sentenza irrevocabile, ristrette presso la casa di reclusione di massa (o affidate ai servizi sociali in carico all’ufficio esecuzione penale esterna, impegnandole in varie attività di pubblica utilità. Tali attività si caratterizzeranno per lo spirito solidale che le sorregge; esse saranno svolte a titolo di volontariato gratuito a favore della collettività e saranno legate al senso di riscatto sociale che le persone in esecuzione penale impegnate nel progetto sapranno dimostrare. Tali attività consisteranno, principalmente, nel riordino degli archivi del tribunale e della procura della repubblica di Massa e nella risistemazione degli uffici e arredi di tali enti, in base alle esigenze imminenti determinate dal riassetto territoriale degli uffici giudiziari. Con la realizzazione del progetto, inoltre, s’intende conseguire la finalità di sollecitare in ciascuno dei condannati coinvolti un processo di revisione critica del proprio passato deviante e di accrescerne il senso di responsabilità. stavolta saranno dieci le persone coinvolte, cinque sono detenuti e altri cinque invece affidati. C’è Giovanni, uno che della mafia aveva fatto una ragione di vita, poi, si è pentito, ha collaborato e si è ricostruito un futuro nella ristorazione. Oppure Giuseppe, laureato in lingue e maestro di tennis, che per uno scatto di nervi temeva di aver buttato via quello che aveva costruito con tanta fatica e sacrifici finendo in cella con una pesante condanna per minaccia, danneggiamento e lesioni: si era chiuso in se stesso, non comunicava più con nessuno. Fino a quando non gli è stata concessa la possibilità di uscire per quattro ore al giorno dal carcere a lavorare. Ora dà lezioni di inglese e tedesco e insegna, a chi glielo chiede, come si tiene una racchetta in mano. C’è pure Paolo, truffatore per la sua fedina penale, ma da un paio di anni abile restauratore di mobili, fabbro sopraffino (cambia una serratura a occhi chiusi) e uomo d’ordine (dove passa lui non c’è uno scaffale in disordine). E infine Francesco e Maria, soci nella gestione di un ristorante che per una serie di reati finanziari avevano imboccato la strada sbagliata: sono tornati sulla retta via, uno ai fornelli e l’altra in sala. Sono loro i primi cinque protagonisti di un progetto nato nel 2010 a Massa e già copiato in altre parti d’Italia per la sua forza di reinserimento nella società civile di chi ha infranto il codice penale una volta e promette di non farlo mai più. In questi tre anni altri dieci hanno fatto un percorso simile, prestando volontariamente la loro opera a favore del tribunale di Massa. Un po’ come archivisti, un po’ come factotum. Si sono mischiati con gli impiegati, hanno lavorato gomito a gomito con i dipendenti veri e propri del ministero della giustizia. E si sono concessi una seconda opportunità per vivere nella legalità. “Giovanni, Francesco, Maria e Giuseppe sono condannati affidati in prova al servizio sociale, che, insieme ad altre dieci persone come loro, grazie a una convenzione tra gli uffici giudiziari e il carcere, hanno scontato la pena prestando volontariamente la loro opera nel tribunale di Massa”, scrive il presidente Maria Cristina Failla. E aggiunge: “In linguaggio burocratico questa situazione viene definita una buona pratica perché consente di ottenere risultati per la pubblica amministrazione a costo zero; in effetti, con l’opera dei condannati è stato possibile iniziare e portare avanti il lavoro di riordino dell’archivio del tribunale e della procura e catalogare informaticamente i fascicoli archiviati, consentendone l’immediato reperimento in caso di necessità. I condannati in questo modo hanno finito di pagare il loro debito alla società proprio a favore di quell’apparato che li aveva giudicati e puniti, impiegando positivamente il loro tempo e, forse, imparando un lavoro, ma, soprattutto, hanno avuto l’occasione per sentirsi inseriti in una comunità accogliente, dove condividere le proprie esperienze e crescere nella sicurezza e nella speranza”. Parlano gli esperti: ecco chi può uscire La segnalazione delle persone in stato di detenzione presso la casa di reclusione di Massa da coinvolgere nel progetto è stata effettuata a cura di un’equipe di osservazione e trattamento dell’istituto penitenziario, successivamente, i nominativi sono sottoposti al direttore per l’ammissione alla misura del lavoro all’esterno (ex articolo 21). I primi quattordici nominativi sono usciti da una rosa di venti. Tutte persone che avevano già scontato una parte della pena e che avevano una serie di requisiti - l’età tra i 40 e 50 anni per esempio - in regola. Il direttore Maria Martone a sua volta ha coinvolto il magistrato di sorveglianza Michela Mencattini per l’approvazione. Ecco cosa dice la legge: “I detenuti e gli internati di norma possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito, tenendo conto anche delle loro specifiche professionalità e attitudini lavorative, nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgere presso lo stato, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, le unioni di comuni, le aziende sanitarie locali o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. I detenuti e gli internati possono essere inoltre assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi”. E ancora: “L’attività è in ogni caso svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dei detenuti e degli internati. Sono esclusi dalle previsioni del presente comma i detenuti e gli internati per il delitto di cui all’articolo 416bis del codice penale e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero alfine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste”. La segnalazione delle persone in stato di esecuzione penale esterna da coinvolgere nel progetto, invece, è stata effettuata a cura delle assistenti sociali dell’Uepe ed approvata dal magistrato di sorveglianza di Massa. Ogni persona designata, secondo la procedura indicata dalla legge, sottoscrive un patto trattamentale per svolgere le attività previste dal progetto. Reggio Calabria: Sappe; trasferiti 20 detenuti, riattivato il carcere di Laureana di Borrello Ansa, 28 settembre 2013 Questa mattina il personale della Polizia Penitenziaria ha effettuato il trasferimento dei detenuti alla Casa di Reclusione di Laureana di Borrello dopo che il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ne aveva disposto ufficialmente la riapertura. Lo rendono noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. I detenuti trasferiti sono 20, si tratta di condannati in espiazione di pena che si trovavano ristretti nell’istituto penitenziario di Arghillà. A distanza di un anno esatto, infatti la struttura era stata chiusa il 28 settembre dello scorso anno, ritorna in funzione l’istituto voluto dall’allora Provveditore regionale Paolo Quattrone. “Dopo le attività preparatorie - affermano i sindacalisti - per la riapertura della struttura di Laureana di Borrello, con l’assegnazione ed il trasferimento dei primi detenuti dovrebbero riprendere regolarmente tutte le attività della struttura penitenziaria che era stata chiusa esattamente un anno fa, con un provvedimento d’urgenza, per fronteggiare, secondo quanto sostenuto dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, l’insostenibile carenza di personale di Polizia Penitenziaria necessario per garantire la corretta gestione delle traduzioni dei detenuti nelle udienze per la celebrazione dei processi. Viene così mantenuto l’impegno assunto dal Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri il 23 luglio scorso nel corso della visita a Reggio Calabria per l’inaugurazione, tra l’altro, anche della nuova struttura penitenziaria di Arghillà”. “Ci auguriamo, adesso, che vengano assunti precisi impegni - proseguono - anche per quanto riguarda l’assegnazione in pianta stabile, a Laureana di Borrello, di un adeguato contingente di personale del Corpo, attraverso il trasferimenti degli interessati che sono utilmente collocati nella vigente graduatoria trasferimenti. È evidente, infatti, che non è possibile continuare nell’attivazione di nuovi istituti, padiglioni, sezioni e servizi vari, senza un indispensabile integrazione del personale di polizia penitenziaria in servizio nella regione Calabria che, già allo stato, patisce una consistente insufficienza delle risorse umane disponibili. Ciò determina il continuo ricorso al lavoro straordinario, peraltro retribuito con notevole ritardo, notevoli difficoltà nella concessione del congedo e dei riposi al personale ed un notevole carico di lavoro a causa del continuo accorpamento dei posti di servizio”. Torino: con Confcooperative lavoro e futuro per i detenuti del carcere delle Vallette Ansa, 28 settembre 2013 In carcere per droga, ha imparato a cucinare e, una volta libero, ha aperto un ristorante. È la storia di un camionista bulgaro, una delle tante raccontate oggi da Confcooperative Torino, che da dieci anni opera all’interno del carcere delle Vallette. Un modo per riempire la vita dietro le sbarre e dare una professione - e un futuro - a chi è stato dentro. Alle Vallette sono otto le cooperative oggi presenti. Danno lavoro a 65 detenuti, alcuni dei quali autorizzati a uscire dal carcere per ragioni di servizio. Tra queste la cooperativa Libera Mensa, che gestisce la ristorazione e il bar del carcere e, all’estero, alcuni servizi di catering. In otto anni di attività ha dato lavoro a 180 persone. Ancora prima è nata Eta Beta, cooperativa che si occupa di servizi editoriali e si sta specializzando negli e-book. Ci sono poi la cooperativa Terra di Mezzo, che si occupa di falegnameria, la Senza Macchia (lavanderia), la Pausa Caffè (torrefazione), la Uno di Due (oggettistica e accessori, costituita solo da donne), la Ergonauti (officina meccanica) e la Extraliberi (serigrafia). “Grazie a questi progetti - spiega Aldo Romagnolli, presidente Confcooperative Torino - molti detenuti hanno iniziato a lavorare per la prima volta dopo anni passati a delinquere. Il risultato più grande è che hanno potuto apprendere non soltanto un lavoro, ma anche un nuovo modo di vivere fatto impegni, scadenze, rispetto e confronto con altre persone”. Salerno: furti in carcere, l’agente penitenziario nega tutto e chiede di tornare libero La Città di Salerno, 28 settembre 2013 Ha respinto tutto le accuse l’agente penitenziario Giancarlo Picariello, accusato di aver sottratto soldi a tre detenuti per un totale di poco superiore ai mille euro. Accompagnato dall’avvocato Michele Sarno, è stato interrogato ieri mattina dal giudice delle indagini preliminari Donatella Mancini, che gli ha contestato il reato di peculato per la sparizione di alcune centinaia di euro di due romeni e di 900 euro dell’imprenditore cilentano Emanuele Zangari, finito in manette in seguito all’inchiesta “Due Torri” sugli appalti truccati. Secondo l’accusa la guardia carceraria di Montoro avrebbe approfittato del suo ruolo di incaricato alla registrazione dei depositi per mettere in cassaforte soltanto parte degli averi degli arrestati, annotando sui documenti cifre inferiori a quelle consegnate. Ieri Picariello ha negato tutto, affermando di non aver mai preso soldi e di non avere falsificato alcun atto. Il suo legale ha chiesto per questo la revoca degli arresti domiciliari a cui è sottoposto da martedì, chiedendo al giudice di tener conto anche della sospensione dal servizio disposta dalla direzione penitenziaria, che impedisce una reiterazione del reato. La decisione del gip è attesa per la prossima settimana, intanto il difensore ha già proposto istanza al Riesame. Sassari: nel vecchio carcere di San Sebastiano la storia della città di Sandro Roggio La Nuova Sardegna, 28 settembre 2013 A Sassari, ancora a metà dell’Ottocento, le carceri erano al centro dell’abitato, contigue al palazzo del duca che amministrava la giustizia. Una presenza insopportabile per i cittadini che se ne lamentavano già nel XVII secolo, preoccupati per le condizioni igieniche e i rischi per la salute (la loro salute: non quella dei disgraziati reclusi). Il terribile carcere di San Leonardo - presso “Carra manna” con ingresso dalla “Carra piccola”, era antico quanto la città. È stato aggiustato chissà quante volte nell’ottica di ampliarne la capienza, aumentando ciclicamente il rischio di sommosse di carcerati e carcerieri legati dal destino di abitare ammassati quei fetidi locali (in una pianta del 1824 è identificata la stanza del boia e della famiglia costretta a convivere con quelle atrocità). Gli allarmi per il barbaro trattamento dei detenuti si sono intensificati dappertutto nell’Ottocento. Un tema carico di implicazioni (come aveva spiegato Cesare Beccaria); ma ci vorrà tempo per capire, a Sassari come altrove, che la reclusione riguarda la civitas e interessa gli assetti dell’urbs. Un carcere incivile è ignominia per la comunità che ce l’ha in carico, specie se trascorrono - come a Sassari - cinque secoli per mettervi fine. Italia preunitaria A confronto sono nulla i 15 anni occorsi per completare, tra il 1857 e il 1871, il nuovo carcere. L’Italia non è ancora unita quando il governo avviava l’iter per realizzarlo. Scegliendo tempestivamente quella area a sud, marginale quanto basta per tenere i carcerati a debita distanza, ma non troppo. È appena oltre le mura delle quali si avverte ormai l’inutilità, e comunque ancora in grado di accreditare la distinzione tra il dentro e il fuori. La piazza d’Italia ha già preso forma e da lì sarà ben visibile perché serva continuamente da monito, un po’ come il patibolo rizzato di fronte alla chiesa di San Paolo per l’ultima volta nel 1869. L’imponente architettura evocherà l’autorità dello Stato e si integrerà, che piaccia o meno, nel tessuto urbano. Ma se la distanza è destinata ad annullarsi, la chiusura verso l’interno ne confermerà l’alterità lasciando intuire l’abisso di sofferenze. Solo l’ingresso monumentale, come vedremo, guarda verso la città, ma per comunicare la supremazia del giudice sull’imputato sottolineando la gravità dell’atto di chi è costretto a varcare quella soglia. Il dibattito sul regime carcerario ha condotto alla ricerca di una idonea tipologia. Vi concorre l’idea di riformare i metodi punitivi (i vincoli fisici come le catene), e insieme il bisogno di economizzare nella custodia dei detenuti. Ovvio che si preferisca il modello panottico promosso dai fratelli Bentham, in grado di soddisfare la necessità di un efficace controllo sui reclusi da un solo punto di vista. Il dibattito sulle carceri Anche il progetto di Sassari sta in questa temperie di rinnovamento funzionale delle strutture per la detenzione. Il suo autore è l’architetto di Asti Giuseppe Polani (1815 - 1894) che ha assunto l’incarico nel 1857 sulla base del concorso bandito dal ministero dell’Interno. Per il quale ha progettato le carceri “cellulari” di Torino, Genova, Perugia oltre a quello di Sassari. Un gruppo di lavori che concorrono a costituire il corpus dell’edilizia penitenziaria più evoluta in Italia (insieme al carcere di Alessandria di Henri Labrouste e a quello milanese di Francesco Lucca composto da sei bracci come quello sassarese). Non sono molte le notizie sul cavalier Polani. La cui storia professionale è legata essenzialmente a questo genere di opere molto specializzate e introverse, sulle quali la critica non si è esercitata volentieri, ragione per cui l’architetto non è celebrato (della sua attività a Torino sono documentate numerose prestazioni per privati, dal 1851 al 1888, e la collaborazione con Carlo Promis per i piani di espansione fuori Porta Nuova). Sviluppa nella edilizia carceraria le tesi dei Bentham. Sperimentando, con varianti tipologiche, il ricorso all’unità radiale in almeno quattro casi (un progetto del 1865 per Chivasso in provincia di Torino resterà sulla carta). Polani è stato a Sassari una volta dopo l’assegnazione dell’incarico, trattenendosi per il tempo occorrente per accertare lo stato dei luoghi, la disponibilità e i costi dei materiali. Alcuni documenti nell’ Archivio della Camera dei deputati, spiegano l’avventura sassarese, conclusa con successo nonostante i contrattempi. Prima nella fase dell’approvazione, quando a sciogliere i dubbi sulla coerenza del progetto è chiamato l’ing. Giovanni Antonio Carbonazzi, considerato ancora il massimo esperto di cose di Sardegna per il suo rapporto con l’isola dai tempi della costruzione della strada reale. Poi nella fase esecutiva, avviata nel 1862 grazie alla legge che ha giù stanziato 860mila lire per un complesso che possa accogliere almeno 340 detenuti. Quando i lavori si interrompono per una verifica richiesta nel 1863 dall’ingegnere capo del Genio di Sassari, responsabile del cantiere. Ritiene la pietra prevista troppo tenera, per cui, d’accordo con l’appaltatore Bernardo Bonomi, si converrà di impiegare quella “durissima” della Crocetta con un aumento di spesa di 377mila lire. Le celle senza detenuti Sono trascorsi 150 anni dall’avvio di questi lavori, ma dietro quelle mura il tempo è come sospeso, nonostante le modifiche apportate. La prima prodotta dall’addossamento del Palazzo di Giustizia che ha riempito lo spazio antistante facendosi carico di comunicare con un surplus di retorica la funzione che lì si svolge; negando allo stesso tempo il fronte su cui era l’ingresso monumentale classicista previsto da Polani (le grandi colonne dell’atrio sono per fortuna incorporate nella occlusione). La seconda, più grave e irreversibile, è data dal taglio, in due tempi, dei bracci verso via Roma. Ho avuto modo di constatare anche questo nella visita fatta “a caldo” dopo il trasferimento dei detenuti a Bancali. La suggestione di un carcere appena abbandonato è molto forte (al punto di scompigliarti le idee sugli usi possibili). E fa capire che il tema è di quelli che contano. In grado, forse, di appassionare una città immemore; ma che è stata al passo dell’Europa, quando portava avanti, nel secondo Ottocento, il vecchio disegno urbanistico integrato da attrezzature in grado in grado di rinnovarne le ambizioni: dall’ ospedale al palazzo della Provincia, dal mattatoio al manicomio, dal carcere alla stazione alla caserma al politeama. Ognuna di queste parti notevoli sottintende altrettante nuove storie indispensabili alla città di domani. Servirà un istruttoria molto pertinente per evitare che il confronto sul ruolo dell’ex carcere di San Sebastiano sia estemporaneo e infruttuoso. Orgosolo (Nu): è morto Antonio Bassu, poeta simbolo della giustizia negata di Paolo Pillonca La Nuova Sardegna, 28 settembre 2013 L’uomo - simbolo della giustizia negata non c’è più: Antonio Bassu è morto ieri a 91 anni nell’ospedale San Francesco di Nuoro dov’era ricoverato da qualche giorno per l’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute. In questi ultimi mesi Bassu lavorava alla limatura delle sue memorie in versi. In quel poema doloroso non ci sono soltanto le sue vicende giudiziarie al limite dell’incredibile ma anche una serie di fantastici quadri del pianeta Orgosolo, dalla sua infanzia di servo pastore orfano di padre, il carcere, la libertà, fino al tempo scanzonato dei murales di Francesco Del Casino e Pasquale Buesca, per giungere a questi ultimi anni nostri, “la stagione della decadenza” (definizione sua). Nel maggio scorso, in un’intervista per La Nuova, gli chiesi: in che cosa consiste il degrado? Mi rispose con voce forte e sicura: “Nell’attenuarsi progressivo della solidarietà e nella comparsa di una malattia dello spirito: l’egoismo”. Un tempo non era così, in quel di Orgosolo. Sa Vidda, il paese natale, l’aveva saputo dal primo momento: Antonio Bassu era innocente e fin da allora la solidarietà comunitaria non gli mancò mai, rinnovellata in ogni occasione idonea. Il 28 agosto del 1950, giorno della strage di Monte Maore (quattro carabinieri uccisi in una rapina alla camionetta dell’Erlas che trasportava le paghe degli operai), lui era a Nuoro, monte Ortobene. Su consiglio del suo avvocato - il senatore democristiano orgolese Antonio Monni-Bassu nel frattempo si era costituito, sicuro di poter dimostrare la propria innocenza di fronte alla gravissima accusa. Una lunga schiera di testimoni più che affidabili - 17 professionisti nuoresi - lo disse ai giudici della Corte d’Assise nel processo del 1953. Non furono creduti ma contro di loro non scattò, come sarebbe dovuto essere ovvio, l’accusa di falsa testimonianza. La scena si ripete nel processo d’appello (il pm era sempre lo stesso: Francesco Coco, poi ucciso dalle Brigate Rosse l’8 giugno del 1976 a Genova) e su Antonio Bassu calò la mannaia del “ fine pena mai”: ergastolo. Un quarto di secolo della sua vita - 25 anni meno 25 giorni - gli venne rubato senza motivo, né prove né indizi. Ma Antonio Bassu veniva dal cuore della “zona delinquente” e già questo, allora, costituiva una prova. Il pellegrinaggio attraverso vari penitenziari della penisola è raccontato nel poema inedito. Il culmine dell’emozione finale è in un’ottava dedicata al momento della liberazione: “E prò s’ùrtima vorta torro in cella/ cun sa divisa de su galeoto./ In presse mi preparo su fagoto,/ mi retiro sa cosa pius bella:/ dae su muru ch’ispico una foto/ chi fut lughente comente e istella,/ sa chi m’at fatu semper cumpanzia, / sa figura fut sa de marna mia” (Per l’ultima volta rientro in cella/ con la divisa del galeotto./ Mi preparo in fretta il fagotto,/ ritirando la cosa più bella:/ da una parete stacco una foto/ luminosa come una stella/ che mi aveva sempre fatto compagnia: / il ritratto di mia madre). Il ritorno in paese fu un trionfo e l’isola intera venne coinvolta nel clima di festa. La mamma dell’ergastolano graziato commentò: “Adesso che sei tornato tu, in casa è ricomparsa l’allegria: quando morirò andrò via contenta”. L’antica fidanzata Grazia Ungredda, che gli aveva dato una figlia, Mara, potè finalmente sposarlo. Da ieri pomeriggio Antonio riposa nel cimitero del paese natale. Il suo sarà un sepolcro speciale, di profondo rimando simbolico. Meglio una terra senzapane che una terra senza giustizia. Tempio Pausania: i detenuti della Casa circondariale di Nuchis presto attori di teatro di Giuseppe Pulina La Nuova Sardegna, 28 settembre 2013 Una compagnia teatrale tra le mura di un carcere di alta sicurezza. È l’idea che potrebbe presto prendere corpo nella casa circondariale di Nuchis, dove una direttrice molto combattiva e dai propositivi innovativi ha da tempo deciso che la struttura che dirige deve avere un rapporto organico con il territorio, dal quale può prendere molto, dando altrettanto in cambio. L’idea in questione ha un preciso referente in Alessandro Achenza, artista tempiese, con un passato da attore professionista, oggi imprenditore del settore turistico. Da diverse settimane Achenza sta, infatti, lavorando con i detenuti per individuare talenti, maestranze e appassionati della recitazione, per dare vita ad un progetto che altrove ha già prodotto risultati interessanti. Se gli sforzi della direttrice Carla Ciavarella, del suo staff e di Alessandro Achenza saranno ripagati, il carcere di Nuchis potrebbe diventare in poco tempo come quello di Volterra, dove una compagnia di attori detenuti fa da un ventennio teatro d’avanguardia. “L’obiettivo, per noi - dichiara Achenza - è creare una compagnia teatrale stabile, con un proprio teatro, entrambi autonomi, sulla base di un progetto di lungo periodo che non sia fine a sé stesso”. Un progetto ambizioso, insomma, che, come tiene a chiarire Achenza, “non deve limitarsi a un compitino da bravo cittadino”. Se la compagnia inizia a formarsi (oggi sono quasi una quarantina i detenuti che potrebbero farne parte), la stessa cosa non può dirsi per il teatro. Questo, ospitato all’interno della struttura, dotato di una buona capienza, deve essere ancora ultimato. Ma c’è da scommettere che appena verrà inaugurato, la compagnia si farà trovare più che pronta. Ma quale sarà il ruolo di Achenza e in quale modo il teatro del supercarcere offrirà servizi al territorio? Diversamente dall’esperimento di Volterra, dove c’è un primo attore che ha spesso anche compiti di regia, a Nuchis il ruolo di Achenza si limiterà (ma non sarà, comunque, poco) alla messinscena del canovaccio. “Il teatro - dichiara, a scanso di equivoci, Achenza - sarà completamente dei detenuti”. Avellino: in carcere il tributo a De Andrè, i detenuti cantano “Don Raffaè” www.ottopagine.net, 28 settembre 2013 Il tributo ad un grande artista della musica italiana arriva questa volta dal carcere di Ariano Irpino. Un repertorio quello dei Coda di Lupo ispirato alla produzione di Fabrizio De Andrè, definito il più grande cantautore e poeta del mondo. Un concerto molto apprezzato dai detenuti, dal direttore Gianfranco Marcello e dal personale di polizia penitenziaria, guidato dal vice comandante Nicola Limone. L’attesa è tutta per Don Raffaè, il brano di Fabrizio de André che racconta la storia di una guardia carceraria, Pasquale Cafiero, che lavorava a Poggioreale, il carcere di Napoli, dove era rinchiuso il ricco boss camorrista Don Raffaè. Atmosfera coinvolgente, Il ritmo sale altissimo e lo spazio allestito per i Coda di Lupo, diventa una piccola tribunetta da stadio. Un carcere in salute, tra i più attivi in Italia, dove esiste una grande sinergia tra direzione, polizia penitenziaria e associazioni di volontariato, che svolgono attività rieducative tra i detenuti. Un risultato eccellente che premia dunque gli sforzi di tutti gli operatori. Non si contano le iniziative che hanno visto protagonista in senso positivo la casa circondariale di via Cardito. Attività che s’intende portare avanti in quello che a tutti gli effetti oggi è da considerare senza dubbio un carcere modello. Un ruolo importante è quello svolto dalla chiesa con il cappellano, Padre Nicola, entrato ormai nel cuore dei detenuti, che davvero non riescono a fare a meno di lui durante il giorno. Radio: “Piazza Verdi” (Radio3), oggi puntata speciale realizzata nel carcere di San Vittore Agi, 28 settembre 2013 Piazza Verdi torna su Radio 3 sabato 28 settembre con una puntata speciale realizzata all’interno degli spazi della Casa Circondariale di San Vittore a Milano. “I suoni e le voci dentro” questo il titolo della prima puntata. E saranno proprio le detenute, i detenuti ed il personale della polizia penitenziaria che opera all’interno della struttura della Casa Circondariale ad offrire, durante le tre ore di messa in onda, l’impianto artistico e performativo della trasmissione. Tutti insieme di volta in volta si avvicenderanno nella lettura di frammenti da romanzi in via di realizzazione, nella danza flamenco su canti di Sevillanas, in brani di musica rap e rock, in brani teatrali di “La casa di Bernarda Alba” da Garcia Lorca e letture di testi poetici, sino a brani dalle “Voci dal buio” di Ariel Dorfman. In un processo creativo che si sviluppa all’interno della casa circondariale grazie al lavoro delle tante associazioni di volontariato che qui prestano il loro prezioso contributo. Con noi anche il quartetto jazz di Giovanni Falzone e le Mosche Elettriche. Ai microfoni di Radio3 durante la trasmissione, anche la direttrice della casa circondariale dott.ssa Gloria Manzelli. Sudan: 600 arresti dall’inizio delle proteste contro misure di austerità del governo Nova, 28 settembre 2013 Sarebbero almeno 600 le persone arrestate in Sudan dallo scorso lunedì, giorno in cui sono iniziate le proteste in tutto il paese contro le nuove misure di austerità del governo. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione “Anadolu”, secondo la quale la maggior parte delle persone arrestate proverrebbero dalla capitale sudanese Khartoum. Il ministro dell’Interno sudanese Ibrahim Mahmoud Hamid ha detto che i detenuti sono stati accusati di “saccheggio e vandalismo” e che i processi inizieranno la prossima settimana. “Non ci sarà indulgenza nei confronti di chi cerca di scuotere la stabilità del paese”, ha aggiunto Hamid. Secondo testimoni, ieri gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine avrebbero provocato sette morti: due persone sarebbero rimaste uccise nel quartiere Berri, nella parte orientale di Khartoum e altre due a Wad Madani, dove, sempre secondo testimoni, la polizia avrebbe utilizzato proiettili veri per disperdere la folla. Le autorità non hanno ancora rilasciato nessuna dichiarazione per quanto riguarda tali incidenti. Inoltre il governo sudanese ha ordinato la chiusura di cinque quotidiani per impedire la diffusione di notizie riguardanti le proteste dei giorni scorsi contro il rincaro del prezzo della benzina. Da tre giorni non vengono stampati infatti i quotidiani “al Sudani”, “al Ayam”, “al Jarida”, “al Qarar” e “Alwan”. Le redazioni delle prime tre testate sono state chiuse dalle forze di sicurezza sudanesi mentre le ultime due hanno bloccato le pubblicazioni per l’impossibilità dei loro dipendenti di recarsi sul luogo di lavoro e dei giornalisti di seguire le manifestazioni anti - governative. In particolare alcuni giornalisti hanno spiegato al quotidiano “Asharq al Awsat” di considerare più dignitoso non lavorare “piuttosto che dover pubblicare solo le veline del governo”. Intanto il sindacato della stampa sudanese pensa di avviare uno sciopero generale contro la censura mentre l’opposizione ha chiesto le dimissioni del presidente Omar al Bashir “per evitare che il paese cada nel caos”. Ieri il segretario generale della Camera di distribuzione della benzina in Sudan, al Aqab Suleiman, ha reso noto che 69 stazioni di benzina sono state distrutte dalle proteste dei manifestanti in Sudan e in particolare nella provincia di Khartoum, così come sono 105 gli autobus danneggiati oltre a numerosi negozi e abitazioni. “Nonostante questo al momento non si registrano problemi nella distribuzione del carburante nel paese - ha affermato Suleiman al quotidiano locale “al Nilin” - anche se questo clima condiziona il lavoro delle pompe che sono ancora attive e che temono di essere attaccate”. Le compagnie petrolifere locali registrano danni per centinaia di migliaia di euro e molte delle stazioni attaccate non erano assicurate contro gli atti vandalici.