Giustizia: la riforma impossibile di Giovanni Pellegrino L’Unità, 25 settembre 2013 Il presidente della Repubblica, in un commosso ricordo di Loris D’Ambrosio, è tornato ad invitare politica e giustizia a spegnere, o almeno rendere meno aspra, la situazione di conflitto che da circa un ventennio domina la scena. I tempi avventurati che viviamo rendono però improbabile che l’autorevole invito possa essere accolto. Sin troppo agevole è prevedere che l’attacco a una magistratura accusata di essere politicizzata, e di avere per questo a lungo operato per eliminare Berlusconi dalla scena politica e per indebolirne il potere imprenditoriale, sarà per la rinata Forza Italia uno dei temi dominanti di una campagna elettorale sostanzialmente già iniziata. Posta dinanzi al reiterarsi di attacchi così virulenti è anche fisiologico che la magistratura associata reagisca con una chiusura sostanzialmente corporativa, lasciando inascoltato l’invito del Capo dello Stato ad assumere un’attitudine meno difensiva e più propositiva rispetto alle prospettive di riforma della giustizia, di cui Napolitano ha ribadito la urgente necessità. In questo clima inviti coraggiosi all’assunzione di posizioni autocritiche, come quello recente di Ilda Boccassini, sono destinati a restare isolati. A ciò si aggiunga che, tramontato l’astro di Di Pietro, uno spazio è venuto ad aprirsi per nuove posizioni politiche ispirate ad un giustizialismo estremo, che il M5S si è affrettato ad occupare, reiterando nella rozzezza dei toni il messaggio politico, che fu già proprio della prima Lega Nord. In questo quadro generale e alla vigilia di un nuovo confronto elettorale diviene oggettivamente difficile la posizione del Pd, che, stretto tra due opposti manicheismi, sarà indubbiamente frenato dall’approfondire la pur iniziata opera di revisione di una posizione politica, che fu a lungo ancillare rispetto a quella della magistratura associata. Penso alle valutazioni che Luciano Violante esprime ormai da anni e anche al modo in cui Andrea Orlando ha svolto il suo ruolo di responsabile Giustizia del Pd. Continueremo quindi a vivere giorni oscuri, in cui sarà oggettivamente difficile sui temi della giustizia articolare anche nel Pd ragionamenti pacati e approfonditi, che sfuggano alla tenaglia dei due opposti estremismi. Il danno che da ciò deriverà per il Paese non è discutibile, perché perpetuerà una anomalia che ci rende più deboli nel confronto competitivo con le altre democrazie europee. Ritenere che a tale anomalia possa porsi riparo soltanto attraverso interventi - pur urgenti e indispensabili - che abbrevino i tempi delle decisioni giudiziarie è abbastanza illusorio, perché non varrebbe ad attenuare quella pervasività dell’intervento giudiziario, che caratterizza il nostro Paese e che non ha eguali in Europa e per vero negli altri Paesi a democrazia avanzata. Ovviamente non è prospettabile un antistorico ritorno a tempi d’antan, atteso che un nuovo ruolo è stato assunto da poteri di controllo neutrali in tutto il mondo nato dalla globalizzazione. Ma è appunto la maggiore importanza che il controllo di legalità ha nella complessità degli aggregati sociali, che caratterizza il tempo presente, a rendere urgenti in Italia riforme, che senza attenuarne il rigore, lo riportino ad un dovuto parametro di armonizzazione e di razionalità, ponendosi come obiettivo non il ritorno a un antistorico primato della politica, ma quello del raggiungimento di un nuovo punto di equilibrio tra politica e giustizia, che giovi ad un regolare e ordinato svolgersi della vita associata. L’ipertrofia e pervasività assunte dall’intervento di giudici di ogni ordine e grado nel nostro Paese non è oggettivamente negabile e nasce da un complesso di cause abbastanza universalmente riconosciute. Penso alla continua implementazione del numero dei divieti penalmente sanzionati, che lasciano da sempre disattesa l’aspirazione, pur a parole declamata, di riservare la sanzione penale soltanto ai fenomeni patologici di maggior rilevanza sociale. A questo si aggiunge la tendenza sempre più accentuata ad una interpretazione estensiva delle norme incriminatrici, che caratterizza l’effettività della nostra giurisprudenza con buona pace del principio di stretta legalità dell’incriminazione penale pur formalmente sancito nell’articolo 25 della Costituzione. E ciò nell’inestricabile groviglio di una legislazione amministrativa sempre più articolata e complessa, che moltiplica i momenti di controllo con un insieme di regole di difficile applicazione. Da qui un abnorme implementazione delle occasioni di intervento giudiziario in un ordinamento come quello italiano in cui è ben possibile, e addirittura fisiologico, che su di una singola vicenda amministrativa si attivino tre forme diverse di controllo di legalità affidate a tre ordini giudiziari distinti (quello ordinario, quello amministrativo e quello contabile), l’uno dall’altro indipendenti e che quindi ben possono sul medesimo atto pervenire a valutazioni diverse e tra loro contraddittorie affidate a verdetti giudiziari, pur pronunciati tutti in nome del popolo italiano. È quindi innegabile l’esigenza di una complessiva riforma del nostro sistema giustiziale, che introduca, quantomeno nel settore civile e amministrativo, opportune forme di filtro, che consentano l’accesso alla giustizia togata di una conflittualità opportunamente scremata; soluzioni di cui però è problematica la compatibilità con le garanzie di piena giusti-ziabilità previste negli articoli 24 e 113 della nostra Costituzione. Così come è oggettivamente problematico nell’attuale assetto costituzionale porre un freno al soggettivismo, che spesso ispira l’iniziativa di magistrature inquirenti (ordinaria e contabile) organizzate secondo il modulo diffuso proprio delle magistrature giudicanti e che conduce su specifici strature giudicanti e che conduce su specifici problemi a valutazioni difformi da un luogo all’altro del Paese, rendendo così sostanzialmente illusorio il valore della certezza del diritto, già posto in crisi da una produzione legislativa alluvionale e poco coordinata. Dovrebbe quindi essere chiaro che, riesaminate alla luce delle esigenze del presente, anche su alcune scelte operate dal Costituente in materia di organizzazione giudiziaria, sarebbe opportuno attivare un confronto approfondito e pacato, come appare oggettivamente ben difficile se alla discussione sono chiamati a partecipare Beppe Grillo e Daniela Santanché. Diviene così dovuto concludere che il tema della riforma della giustizia e della determinazione di un nuovo punto di equilibrio tra poteri di controllo e poteri rappresentativi non potrà essere affrontato se non da un sistema politico che sia stato prima capace di riformare se stesso; ma nemmeno questo risulta agevole, una volta che autorevoli vestali della Costituzione contestano alla politica persino la possibilità di riorganizzare le forme istituzionali della rappresentanza. Giustizia: Ucpi; i Referendum dei Radicali, ovvero l’ultimo treno per la riforma di Riccardo Cattarini, Massimiliano Annetta e Stefano Pagliai www.camerepenali.it, 25 settembre 2013 L’appello dei militanti rivolto al Partito Democratico sui temi referendari, definiti “l’ultimo treno per la riforma”. Leonardo Sciascia, a chi lo etichettava come “garantista”, rispondeva, in modo lapidario: “mi ripugna quando mi sento dire che sono un garantista. Io non sono un garantista: sono uno che crede ne diritto, che crede nella giustizia”. Anche noi non abbiamo altra ambizione se non quella di vedere semplicemente applicato il diritto ed in forza di tale aspirazione, senza bisogno di “ismi”, soffriamo assistendo da anni quotidianamente alle storture dei processi mediatici, alle inquietanti voragini degli impianti accusatori sublimate da disinvolti maitre à pense impietosi sostenitori delle manette, alle perduranti scorie dell’eredità inquisitoria, allo squilibrio nei rapporti tra il Giudiziario ed il Legislativo e così via dicendo. Anche alla luce dell’impulso deciso del Presidente della Repubblica avevamo, se non creduto, almeno sperato che fosse giunto il momento di una riforma costituzionale della Giustizia. Questa speranza è stata come tante, troppe volte nel passato, tradita ed anche in questa legislatura abbiamo dovuto assistere al paradosso dell’incapacità della Politica ad intervenire sul tema della riforma della Giustizia. Ecco perché crediamo che i referendum proposti dai Radicali costituiscano, parafrasando Guido Vitiello, “l’ultimo treno” per la Riforma. Certo non si annuncia come un viaggio comodo per chi come noi milita nel Partito Democratico. Siamo perfettamente consapevoli che l’appoggio di Silvio Berlusconi alle istanze referendarie sia esclusivamente strumentale e funzionale alla narrazione dell’eroe vittima dell’ingiustizia italica. La nostra attenzione però non è su Berlusconi. Giudichiamo questa fase politica l’ultima di una storia già conclusa che stancamente volge all’epilogo. La nostra attenzione è tutta sul PD, il nostro partito. Siamo convinti, infatti, che i referendum e le scelte obbligate che ne conseguono e ne conseguiranno strappino il velo di ipocrisia e di confusione identitaria dietro cui si nasconde la Sinistra italiana in tema di Giustizia. Perché per noi i referendum proposti dai Radicali sono intimamente di Sinistra. Tutti i 12 referendum, non solo quelli sulla Giustizia, ma anche quelli sulla depenalizzazione dei reati legati al possesso ed al consumo delle cosiddette droghe leggere, sull’abrogazione del reato di clandestinità, sulla libertà di scelta di destinazione dell’otto per mille e così via. Nencini (Psi): basta casi Tortora, ora referendum “Sulla questione giustizia c’è bisogno di un cambio di passo e firmare i referendum è la cosa giusta da fare”. Lo ha detto Riccardo Nencini, segretario nazionale del Psi, commentando la notizia della procedura di infrazione della Ue contro l’Italia per i limiti posti alla responsabilità civile dei magistrati. “Il richiamo che proviene dall’Europa - prosegue Nencini - deve servirci per affermare un principio di libertà e di civiltà che ci metta in linea con tutte le grandi democrazie europee. Di casi Tortora questa Italia ne ha abbastanza” aggiunge il Segretario Psi. - “Per ogni violazione di legge o una errata interpretazione e valutazione delle norme di diritto ci deve essere la possibilità di ricorrere in sede civile contro il magistrato, così come avviene per ogni altro professionista. La normativa attuale - continua Nencini - non è sufficiente e spesso, come sosteneva Nenni, la legge è debole con i forti e forte con i deboli. Mancano pochi giorni alla scadenza della raccolta delle firme per i referendum che il Psi ha promosso con i radicali sui temi della giustizia. Quei referendum - conclude Nencini - possono servire a Governo a Parlamento per mettere sul tavolo una urgente riforma della giustizia. E intanto si ristabilizzi una norma di democrazia e giustizia”. Giustizia: l’Ue apre un’infrazione contro l’Italia su responsabilità civile dei magistrati La Repubblica, 25 settembre 2013 Mai rispettata la sentenza della Corte di giustizia europea del novembre 2011, secondo la quale l’Italia protegge i magistrati in modo eccessivo dalle conseguenze del loro operato. Se il nostro Paese non si adeguerà al più presto al diritto europeo, c’è rischio di sanzioni pecuniarie. Csm: “Nessun obbligo di responsabilità diretta del giudice”. Anm: “No a strumentalizzazioni”. La Commissione Ue ha deciso di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per i limiti posti alla responsabilità civile dei giudici nell’applicazione del diritto europeo. L’iniziativa nasce dal mancato rispetto della condanna decretata per lo stesso motivo dalla Corte di giustizia Ue nel novembre 2011. La proposta di aprire una nuova procedura d’infrazione è stata preparata dal servizio giuridico della Commissione che fa capo direttamente al gabinetto del presidente Josè Manuel Barroso. Secondo fonti comunitarie, “se entro i prossimi mesi l’Italia non si adeguerà alla prima sentenza della Corte sarà deferita nuovamente ai giudici europei. Con il concreto rischio, questa volta, di dover pagare anche sanzioni pecuniarie”. Bruxelles si è in pratica limitata a constatare che a quasi due anni dalla prima condanna, l’Italia non ha fatto quanto necessario per eliminare la violazione del diritto europeo verificata nel 2011. La prima sentenza emessa dai giudici europei ha decretato che la legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati li protegge in modo eccessivo dalle conseguenze del loro operato, ovvero rispetto agli eventuali errori commessi nell’applicazione del diritto europeo (oggi circa l’80% delle norme nazionali deriva da provvedimenti Ue). Due in particolare le ragioni che hanno portato Commissione e Corte a censurare la normativa italiana giudicandola incompatibile con il diritto comunitario. In primo luogo, osservano fonti europee, la legge nazionale esclude in linea generale la responsabilità dei magistrati per i loro errori di interpretazione e valutazione. Inoltre, la responsabilità dello Stato scatta solo quando sia dimostrato il dolo o la colpa grave. Un concetto, quest’ultimo, che secondo gli esperti Ue la Cassazione ha interpretato in maniera troppo restrittiva, circoscrivendola a sbagli che abbiano un carattere manifestamente aberrante. Csm: “Nessun obbligo di responsabilità diretta del giudice”. Nessun “obbligo per l’Italia di introdurre una responsabilità diretta e personale del singolo giudice”: l’Europa “conferma che nei confronti del cittadino l’unico responsabile è lo Stato”. Il vice presidente del Csm Michele Vietti commenta così la notizia dell’avvio di una procedura da parte dell’Ue. La precisazione di Anm. “L’Europa ha parlato di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario; non entra invece nella questione della responsabilità personale dei giudici perché è un problema di diritto interno, regolato diversamente nei vari Stati membri”, ha puntualizzato il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli, che sin da ora avverte: “Denunceremo ogni tentativo di condizionamento dei magistrati attraverso una disciplina della responsabilità civile che violi i principi di autonomia e indipendenza”. Le reazioni. “La Commissione Ue ha deciso oggi di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per la mancata responsabilità civile dei giudici. Per due anni non abbiamo rispettato la condanna decretata per lo stesso motivo dalla Corte di giustizia Ue nel novembre 2011. Non solo Forza Italia, ma il presidente della Repubblica ha detto autorevolmente che nel nostro Paese c’è urgenza di affrontare il problema giustizia, invocando più equilibrio da parte di tutti, toghe comprese”, è stato il commento del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi. “La mancata responsabilità per le conseguenze dei loro errori - ha aggiunto - è uno degli aspetti di questa emergenza. Tutti siamo civilmente responsabili del nostro operato professionale, i magistrati no. Ora anche l’Ue ce lo ricorda pesantemente avvisandoci del rischio concreto, questa volta, di dover pagare anche sanzioni pecuniarie”. Il presidente dei senatori del Pdl, Renato Schifani spera che “l’importante monito europeo sia di stimolo nei confronti della classe politica italiana per l’introduzione di regole che ci pongano in sintonia con le altre democrazie europee in tema di responsabilità civile. Se si abbatteranno le barriere e i pregiudizi riusciremo a rendere il rapporto tra cittadini e magistratura più sereno e responsabile”. Soddisfatto il presidente dei deputati del Pdl, Renato Brunetta, che ha commentato: “La responsabilità civile dei magistrati dev’essere legge, come da precisa norma della Ue. In Italia non lo è. E l’Europa intende punirci per questo”. “La pronuncia della Corte di giustizia europea alla base della procedura di infrazione aperta oggi dalla commissione Ue non attiene alla responsabilità del singolo magistrato, bensì alla responsabilità dello Stato italiano nel caso in cui vi sia da parte dei giudici violazione del diritto dell’Ue”, ha chiarito a Radio Radicale la presidente della commissione giustizia della Camera Donatella Ferranti, deputata del Pd. “Il campo di applicazione riguarda il diritto comunitario da parte della giurisdizione italiana - spiega Ferranti - e l’ambito su cui è intervenuta la Corte è l’ampiezza di responsabilità dello stato nei confronti del cittadino. Questi sono i punti. Mai la corte è intervenuta sotto il profilo né di richiedere una responsabilità diretta del magistrato, né tantomeno di richiedere una modifica della nostra legislazione interna. Il ragionamento che fa la Corte è il seguente: quando c’è stata una violazione, una erronea interpretazione derivante da uno scostamento che non sia scusabile da una interpretazione dominante giurisprudenziale del diritto comunitario e magari non ci siano altre scusanti che derivano dal fatto che la legge è poco chiara, lo stato deve avere un tipo di responsabilità più ampia di quella che vuole sostenere l’Italia sui parametri del dolo e della colpa grave”. Giustizia. Gozi (Pd): infrazione Ue è una cattiva notizia per Italia, ma buona per i cittadini Dire, 25 settembre 2013 “È una cattiva notizia per la Repubblica italiana, una buona notizia per i cittadini italiani”. Il deputato del Pd Sandro Gozi, presidente della delegazione italiana presso il consiglio d’Europa e presentatore in Cassazione dei referendum radicali in materia di giustizia, commenta così l’apertura della procedura di infrazione da parte della commissione Ue nei confronti dell’Italia in tema di responsabilità civile dei magistrati. “Da anni spiega Gozi a radio Radicale - è aperto un contenzioso tra l’Italia e la Corte di giustizia europea, e quindi anche con la Commissione europea, sul tema della responsabilità civile dei magistrati. È evidente che il giudice europeo si occupa di diritto europeo, ma è altrettanto evidente che non si può pensare in Italia di avere una normativa sulla responsabilità civile dei giudici per l’interpretazione del diritto comunitario ed una per il diritto italiano, per ovvie ragioni politiche e soprattutto giuridiche, visto che c’è la supremazia del diritto europeo sul diritto italiano”. Per il deputato Pd “è impensabile fare finta che non sia successo nulla o che vada solo reinterpretata la normativa italiana dal giudice interno. Gozi conclude sottolineando che “questa infrazione ci costerà molto e anche per questo che i referendum non servono a Berlusconi, anche se li ha firmati (e anzi occorre assolutamente evitare che questi referendum diventino ostaggio dello scontro tra Berlusconi e magistratura) ma servono agli italiani, servono all’Italia ad uscire dalla illegalità europea, servono a noi ad avere più giustizia vera perché la normativa sulla responsabilità civile dei giudici è insufficiente”. Giustizia: Pd; domani conferenza stampa su riforma custodia cautelare ed ergastolo Adnkronos, 25 settembre 2013 Domani, alle 13, presso la sala stampa della Camera, Roberto Speranza, capogruppo Pd, e Danilo Leva, responsabile nazionale Giustizia del partito, presenteranno le proposte di legge sulla riforma della custodia cautelare e l’abolizione dell’ergastolo. Alla conferenza parteciperanno Anna Rossomando, responsabile Giustizia penale, Walter Verini, capogruppo Pd in commissione Giustizia della Camera, e Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri dei Democratici. Giustizia: Amnesty; da Governo Letta più attenzione a diritti umani ma ancora vizi e tabù Adnkronos, 25 settembre 2013 È cresciuta l’attenzione del governo sul tema dei diritti umani, ma restano ancora vizi antichi e tabù da superare. Amnesty International Italia ha presentato il bilancio sull’attività di governo e Parlamento sui diritti umani nei primi sei mesi della legislatura. A gennaio, in vista delle elezioni politiche, ricorda una nota, l’organizzazione aveva lanciato la campagna “Ricordati che devi rispondere”, sottoponendo ai leader delle coalizioni in lizza e a tutti i candidati un’Agenda in 10 punti per la tutela dei diritti umani in Italia: dal contrasto al femminicidio e all’omofobia alla situazione dei detenuti nelle carceri, dalla lotta contro la pena di morte nel mondo al controllo sulle armi. L’Agenda è stata sottoscritta, integralmente o quasi, da 117 parlamentari e da tutti i leader delle forze politiche che compongono l’attuale governo. “La nostra campagna ha contribuito, insieme alle iniziative di altre associazioni ed espressioni della società, a portare per la prima volta questioni importanti relative ai diritti umani al centro del dibattito elettorale e poi dell’azione del parlamento e del governo - ha sottolineato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia. Di diritti umani si è discusso, in questi primi sei mesi, in modo quantitativamente e qualitativamente migliore rispetto al passato. L’analisi del lavoro della XVII Legislatura nei primi sei mesi di attività ci dice che sulla maggior parte dei 10 punti della nostra Agenda è stato almeno presentato un disegno di legge, come in materia di tortura e omofobia”. “A questo nuovo dinamismo ha fatto pero’ da contraltare un conservatorismo trasversale - ha denunciato Marchesi - che ha riprodotto alcuni antichi vizi, come quelli che da 25 anni ostacolano l’introduzione del reato di tortura nella definizione richiesta dalle Nazioni Unite, se non addirittura veri e propri tabù, come nel caso degli accordi con la Libia, di cui continuiamo a chiedere la sospensione e che risultano tanto assenti dal dibattito parlamentare quanto ampiamente presenti invece nell’agenda governativa”. Tra gli interventi in campo internazionale, Marchesi ha ricordato “oltre al rinnovato impegno per la moratoria sulla pena di morte, la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e l’approvazione alla Camera del disegno di legge di ratifica del Trattato Onu sul commercio di armi”. Ma per il presidente di Amnesty International Italia, resta “una grave macchia il comportamento delle autorità italiane nella vicenda della moglie e della figlia di un dissidente del Kazakistan, espulse illegalmente verso il paese di origine nonostante i rischi di persecuzione”. In tema di violenza contro le donne, oltre alla ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, “è positivo che ad agosto sia stato presentato un testo specifico, ma continuiamo a chiedere misure concrete di sostegno alle vittime della violenza, adeguatamente finanziate, e azioni di prevenzione efficaci. La repressione è importante ma da sola non risolverà il problema”, ha commentato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia, che ha annunciato sul tema il lancio, a novembre, di una campagna di sms solidali. In materia di omofobia e transfobia “siamo soddisfatti per il risultato ottenuto a settembre alla Camera, attraverso un dibattito di elevato spessore e l’approvazione del disegno di legge che include l’orientamento sessuale e l’identità di genere nell’elenco dei motivi discriminatori associati ai reati specifici descritti nell’articolo 1 del decreto legge 122/1993 e che emenda l’art. 3 dello stesso decreto, aggiungendo l’orientamento sessuale e l’identità di genere alle circostanze aggravanti - ha concluso Giusy D’Alconzo, direttrice delle Campagne e della ricerca di Amnesty - Ci riserviamo tuttavia di capire quali effetti pratici sulla lotta alle discriminazioni potrebbe avere la clausola di salvaguardia introdotta dagli emendamenti relativi alla libertà d’espressione. Ci aspettiamo un’analoga riflessione nelle sedi istituzionali in vista del passaggio al Senato”. Giustizia: la Corte di Strasburgo dà ragione a Belpietro “no al carcere per diffamazione” Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2013 La condanna per diffamazione non giustifica il carcere. La Corte europea dei diritti dell’Uomo accoglie il ricorso dell’ex direttore del Giornale, Maurizio Belpietro, condannato, con una pena poi sospesa, a quattro mesi di prigione. Alla base della condanna il mancato controllo sulla pubblicazione di un articolo firmato da un senatore che denunciava l’esistenza di una “guerra” tra carabinieri e magistrati nel contesto della lotta antimafia. Le toghe coinvolte erano state accusate di perseguire strategie politiche nel contrastare la criminalità organizzata. I giudici di Strasburgo confermano la diffamazione, ma negano la possibilità di prevedere il carcere. La Cedu prende le distanze dalla Corte d’Appello che aveva puntato sull’effetto “significativamente dissuasivo della prigione”. “Il caso esaminato, malgrado il mancato controllo riguardo alla diffamazione - si legge nella sentenza - non è contraddistinto da alcuna circostanza eccezionale che giustifichi il ricorso a una sanzione così severa”. I giudici di Strasburgo ricordano il precedente del caso Perna, in cui il giornalista - che va trattato al pari del direttore che omette il controllo - fu punito con una semplice ammenda. Per la Cedu l’articolo 57 del codice penale italiano che impone un controllo al direttore non è contrario alla Convenzione, né è pensabile che quest’ultimo sia esonerato dal verificare quanto viene pubblicato nel suo giornale se a scrivere è un membro del Parlamento. Diversamente deputati e senatori godrebbero della libertà illimitata di insultare chiunque. Ma così non è. Il direttore è stato dunque giudicato responsabile per la visibilità data a un articolo corredato anche da fotografie che inducevano i lettori ad abbracciare la tesi sostenuta dall’autore del pezzo. Verificata la colpa è però necessario fare una valutazione sulla proporzionalità della pena. E sul punto la Cedu, a differenza di quanto aveva fatto la Cassazione nel 2010, dà ragione a Belpietro, a cui oltre alla condanna pecuniaria di no mila euro erano stati inflitti quattro mesi di prigione. La Corte considera violato l’articolo io della Convenzione che tutela la libertà di espressione: la misura del carcere è sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti. Lettere: la morte oltre le mura… più di duemila i detenuti deceduti negli ultimi dieci anni di Marco Solimano, Garante dei diritti dei detenuti Comune di Livorno Il Tirreno, 25 settembre 2013 Aveva 37 anni il detenuto, di nazionalità marocchina, che questa notte è morto all’interno della Casa Circondariale di Livorno. È accaduto in piena notte in una delle celle sovraffollate della Sezione Transito, è accaduto in silenzio, chissà in quale angolo di una cella piccolissima che accoglie quattro persone, stivate in meno di dieci metri quadrati, dove non esiste spazio neanche all’intimità dei propri pensieri. I periti e le indagini della Autorità Giudiziaria ci diranno delle cause o delle concause che hanno determinato la morte. Abbiamo bisogno di sapere di cosa si muore in carcere, ma soprattutto abbiamo il dovere di capire perché si muore. Il nome di quest’uomo allungherà la lista dei decessi in carcere, oltre 2000 negli ultimi dieci anni, una ecatombe inaccettabile per la coscienza civile di un Paese democratico. Il carcere dei nostri tempi è sempre più luogo dell’assenza: assenza di diritti, assenza di umanità, assenza di prospettive, assenza di legalità. Poco importa se la Corte Europea di Giustizia condanna il nostro Paese per la condizione inaccettabile in cui versano le nostre carceri, per la costante e reiterata violazione di diritti umani inalienabili. Questo carcere è sempre più il paradigma della nostra realtà civile e sociale, luogo in cui si ritiene di poter riversare le più profonde e drammatiche contraddizioni che attraversano i territori, vera e propria discarica sociale ove nascondere e comprimere vecchie e nuove marginalità. In questa situazione di devastazione sembra illusorio il richiamo all’art. 27 della Costituzione, quasi inconcludente un ragionamento profondo e positivo sul senso della pena e soprattutto di quale pena. C’è una responsabilità non emendabile delle Istituzioni del nostro Paese e del sistema dei partiti per non aver portato a compimento un processo di riforma fortemente sollecitato anche dal Capo dello Stato. Intanto in carcere si continua a morire e a sopravvivere. Quel muro alto e spesso insormontabile ci impedisce di vedere e coglierei la parcellizzazione di tante esistenze in faticosa ricerca di unità ed identità. Ma il muro più resistente ed impenetrabile è quello sedimentato nelle nostre teste, il muro del pregiudizio, dello stigma sociale, di una concezione punitiva e vendicativa della pena. Quel muro che spesso nega la straordinaria energia del cambiamento e fotografa la vita di un individuo unicamente al momento in cui commette un reato, vanificando purtroppo l’importante lavoro del personale interno, del volontariato e di quanti pensano che un’altra idea di carcere è possibile. Perché in carcere succede di morire per paura, per solitudine, per assoluta incapacità nella costruzione di una prospettiva di vita possibile, per abbandono, per fragilità, perché non ce la fai a resistere alla dimensione totalizzante di questa realtà e cerchi qualcosa che ti allontani da questo terribile confronto. Nonostante questa ulteriore tragedia non bisogna fermarsi, anzi, da oggi abbiamo un motivo in più per continuare nel nostro impegno. Livorno: detenuto di 37 anni ritrovato morto in cella, ora la Procura apre un’indagine Il Tirreno, 25 settembre 2013 Domenica sera alle 20.30, tre ore prima di morire, aveva cenato e riso con gli amici. E ieri mattina avrebbe iniziato un corso di inglese insieme a un compagno di cella. La morte di Assanlal Foad, il detenuto marocchino di 37 anni deceduto due notti fa alle Sughere, nel bagno della sua cella, ha sconvolto il carcere. Sarà l’autopsia, disposta dal pm, a stabilire le cause della sua morte. L’esame sarà eseguito nei prossimi giorni. La Procura, che indaga sul caso, vuole capire cosa abbia stroncato il giovane. L’ipotesi più accreditata è che il decesso sia stato causato non solo dall’inalazione del gas della bombola del fornello in dotazione alla cella (come è emerso sin dai primi minuti dopo la tragedia), ma forse anche da farmaci e sostanze che il 37enne assumeva. Il detenuto aveva infatti problemi di droga. Prima di essere arrestato per motivi inerenti gli stupefacenti, Foad viveva a Piombino con la moglie e due figli. Alle Sughere si trovava nella sezione transito, la più affollata e disagiata, ed era in una cella da due insieme ad altri tre compagni. Nell’ambiente era conosciuto come una persona molto gioviale. Ieri Marco Solimano, garante dei detenuti, s’è recato in carcere e ha parlato cella per cella con tutti i detenuti del transito. “C’è molto dolore e sgomento, sentimenti che in carcere sono amplificati: il 37enne era ben voluto e molto comunicativo. La cosa positiva, però, è che ho colto nei detenuti un desiderio di andare avanti, di non arrendersi a un destino che sembra segnato, ma di reagire”. Bologna: Sezione AS, problemi organizzativi non consentono di sottoscrivere i referendum Asca, 25 settembre 2013 Desi Bruno, Garante dei detenuti della Regione Emilia Romagna, si è recata al carcere di Bologna perché i detenuti delle sezioni di Alta Sicurezza dell’Istituto Dozza hanno recentemente espresso la volontà di sottoscrivere i referendum su cui è in corso la raccolta di firme promossa dal Partito Radicale. Lo fa sapere una nota del Garante. Fra i dodici referendum proposti, alcuni rivestono un’importanza cruciale per i reclusi: abolizione della pena dell’ergastolo, introduzione di limiti al ricorso della custodia cautelare, decarcerizzazione per i reati di droga di lieve entità. “Nonostante la volontà di dare risposta al desiderio espresso da alcuni detenuti - che peraltro corrisponde al preciso diritto a prendere parte alla vita democratica del Paese - problemi organizzativi ne hanno finora impedito la soddisfazione - si legge nella nota. Oltre alla raccolta in carcere delle firme, alla presenza di un autenticatore, sarebbe stato necessario reperire i certificati elettorali di ogni singolo detenuto presso i Comuni di residenza: tutto questo entro il termine massimo del 25 settembre. Tempi assolutamente inadeguati per garantire tutti questi passaggi. La Garante - aggiunge il comunicato - si è recata alla Dozza per dare conto di tutto questo: ha incontrato sette persone, in rappresentanza dei detenuti in Alta Sicurezza, per spiegare di persona le difficoltà riscontrate nella gestione della procedura e accogliere le richieste di chiarimento in proposito. Compresa la situazione, i detenuti hanno espresso l’intenzione di scrivere - in maniera collettiva - una lettera di adesione alla campagna referendaria: un modo per esserci, comunque, anche da dietro le sbarre”. Garante incontra detenuto in sciopero fame Desi Bruno, garante delle persone private della libertà personale della Regione, ha incontrato nel carcere bolognese della Dozza un detenuto trentenne da due mesi in sciopero della fame: ha già perso 18 kg e per muoversi ha bisogno dell’ausilio di una carrozzella. Si tratta di una forma di protesta pacifica che il detenuto sta praticando perché chiede di essere interrogato dal Pubblico ministero. Durante il colloquio con la Garante - spiega una nota della Regione, il detenuto ha accettato di assumere una bustina di zucchero: “Un fatto che certamente non risolve la situazione, ma che testimonia del bisogno di attenzione che questo ragazzo sta disperatamente esprimendo”, ha detto Desi Bruno. La Garante si è immediatamente attivata per cercare di sbloccare la situazione: il Pubblico ministero interessato ha garantito che si recherà quanto prima alla Dozza. Savona: carcere per 90 persone nella Scuola Polizia di Cairo Montenotte? Sappe contrario www.savonanews.it, 25 settembre 2013 E da Albisola Superiore arriva la disponibilità per erigere un nuovo carcere. All’interno il commento del segretario generale del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria Capece. Modifiche strutturali alla Caserma ed alla Mensa Agenti per realizzare una struttura detentiva a custodia attenuata capace di ospitare 90 detenuti con pena inferiore ai 3 anni e riconversione dell’Aula Magna a sale destinate alla socialità dei ristretti mentre l’attuale carcere di Savona verrebbe trasformata in “Casa di arresto”. Sono questi gli interventi previsti nella Scuola di Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte per realizzarvi un carcere all’interno, che sarà separato dalle aule di formazione ed aggiornamento professionale dei Baschi Azzurri della Penitenziaria con un nuovo muro di cinta interno. Ed intanto una disponibilità per realizzare un nuovo carcere arriva da Albisola Superiore. “Un progetto che avrà una spesa esosa ed assurda”, commenta il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece, contrario all’idea. “Un progetto che davvero non riusciamo a comprendere se non come l’ultima stravaganza di chi per dieci anni non ha fatto assolutamente nulla, insieme agli Enti locali savonesi, per risolvere l’emergenza penitenziaria del carcere S. Agostino di Savona ed ora vorrebbe intervenire con una medicina che è peggio della malattia: mi riferisco al provveditore penitenziario ligure, Giovanni Salamone, che non ha mai nascosto di voler creare un carcere dentro alla scuola mettendo così una pietra tombale sui corsi di formazione ed aggiornamento professionale dei poliziotti penitenziari. Ma dove è stato fino ad oggi Salamone, che peraltro da martedì sarà in pensione e quindi vorrebbe lasciare ad altri l’eredità delle sue decisioni stravaganti? Perché non ha pensato prima ad impiegare meglio e a tutto vantaggio della formazione gli spazi inutilizzati della Scuola di Cairo Montenotte?” Capece ricorda che per ristrutturare il S. Agostino di Savona si sono spesi “8 miliari di lire nel 1997 ed un milione di euro nel 2012: altri 6 milioni di euro sono attualmente congelati” e ricorda come “realizzare un carcere dento la Scuola di Polizia è assurdo ed è impraticabile per ragioni pratiche, logistiche e funzionali. Le diffuse incapacità di dirigenti ed amministratori locali a realizzare un nuovo carcere per la città di Savona non possono supportare scelte sbagliate ed illogiche quale quella di creare un reparto detentivo nella Scuola di Polizia di Cairo Montenotte. Perché, nonostante i soldi stanziati negli anni, gli amministratori comunali di Savona non hanno permesso la realizzazione di un nuovo carcere che sanasse la vergogna del S. Agostino?”. Ferrara: Garante regionale Desi Bruno e comunale Marcello Marighelli visitano il carcere La Nuova Ferrara, 25 settembre 2013 La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno e collega ferrarese Marcello Marighelli si sono recati in visita alla Casa circondariale di via Arginone. I due garanti hanno avuto modo di confrontarsi con la direttrice Carmela De Lorenzo, che regge temporaneamente l’istituto penitenziario, oltre ad avere in pianta stabile la titolarità del carcere di Ravenna. Tanto in Emilia-Romagna (ci sono altri casi di attribuzioni plurima di direzioni) quanto su tutto il territorio nazionale, è in atto la tendenza all’accorpamento di più istituti sotto una direzione unica: il rischio concreto è che l’assenza della titolarità della direzione, con i conseguenti disagi per chi riveste ruolo direttivo nell’organizzare la vita dell’istituto e assicurare la fondamentale presenza all’interno, possa comportare una caratterizzazione della detenzione in termini prevalentemente custodiali. Alla data del 18 settembre, erano circa 400 i detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare di 250. Si è dunque progressivamente esaurito l’effetto legato agli eventi sismici del maggio 2012, quando alcune sezioni erano state chiuse per inagibilità, con conseguente trasferimento dei detenuti in altre sedi. A oggi, continua a non essere agibile lo spazio della zona del laboratorio teatrale, storica esperienza di questo carcere. Risulta essere in programma, anche alla luce del recente intervento legislativo (dl 78/2013, convertito in legge 94/2013), l’avvio di un confronto con il Comune di Ferrara per la stipula di una convenzione che possa prevedere la possibilità per i detenuti di lavorare all’esterno del carcere, prestando la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità. Ancora a Ferrara, la Garante regionale è intervenuta alla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa “Libri galeotti. Carcere, pena (e dintorni) nelle pagine di recenti volumi”, organizzato dal professor Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale dell’Università di Ferrara. L’iniziativa fa parte di un ciclo di quattro incontri, ogni venerdì, dal 20 settembre all’11 ottobre. Si partirà da un libro per approfondire alcuni temi con l’autore ed esperti del tema (giuristi, filosofi, magistrati, Garanti dei detenuti). Desi Bruno introdurrà poi il secondo incontro, che si svolgerà venerdì 27 alle 17.30, che si intitola “Le prigioni degli altri: i centri d’identificazione e di espulsione”, in cui verrà trattata la tematica dei Cie grazie al libro di Caterina Mazza “La prigione degli stranieri. I centri di identificazione e di espulsione” (Ediesse, 2013); a discutere con l’autrice, Andrea Pugiotto e Alberto Burgio, ordinario di Storia della filosofia dell’Università di Bologna, e Giuditta Brunelli, ordinario di Diritto costituzione dell’Università di Ferrara. Promossa dall’Università di Ferrara, in collaborazione con il Garante dei diritti dei detenuti di Ferrara, il Garante delle persone private della libertà della Regione Emilia-Romagna, il Difensore civico della Regione e la scuola forense dell’Ordine degli avvocati di Ferrara, l’iniziativa ha avuto il patrocinio di Comune e Provincia, della Fondazione forense e dello Iuss Ferrara 1391. Catania: percorsi di inclusione sociale, Officine Culturali ospiterà i giovani detenuti di Leandro Perrotta www.ctzen.it, 25 settembre 2013 Visite guidate e didattiche per i minori e i giovani adulti dell’istituto penitenziario minorile etneo, per un ritorno in società da attuare grazie ai beni culturali. Settore nel quale potrebbero decidere di trovare il proprio nuovo sbocco lavorativo. Questo il contenuto dell’accordo di collaborazione tra l’ente e l’associazione che coinvolgerà i ragazzi nelle proprie attività all’interno del Monastero dei Benedettini. Con due obiettivi: “Inserimento sociale e innovazione”, spiega il presidente Francesco Mannino. Visite guidate ed eventi culturali al Monastero dei Benedettini, realizzati con l’obiettivo del reinserimento nella società dei minori e giovani adulti oggetto di misure restrittive della libertà personale. Questo il contenuto dell’accordo operativo siglato tra l’Istituto penitenziario per i minorenni di Catania e Officine Culturali, associazione che da diversi anni si occupa della gestione dei servizi aggiuntivi al Monastero di piazza Dante, dai percorsi prettamente turistici a quelli di didattica culturale. Che in questo progetto ha un obiettivo in più: creare nei giovani detenuti un’occasione per l’accrescimento della curiosità culturale, anche in vista della scelta del proprio percorso lavorativo da adulti. “Questo accordo permetterà di far vivere i beni culturali non come luoghi autoreferenziali, ma da luoghi pubblici a tutti gli effetti”, spiega Francesco Mannino, presidente dell’associazione. “Gli utenti potrebbero essere coinvolti nelle nostre attività e stiamo dando la piena disponibilità alla collaborazione. La troviamo un’idea intrigante, perché potrebbe diventare un ulteriore tassello del dialogo difficile tra il quartiere Antico corso e l’università”. Il progetto, che porterà i ragazzi dell’istituto a partecipare alle attività della sede del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, si basa su due concetti cardine: inclusione sociale e innovazione. “Sono le parole chiave del futuro, non solo in Italia ma in tutta Europa - continua Mannino. E sull’inclusione sociale abbiamo già lavorato con gli istituti scolastici Caronda e Deledda, con l’aiuto degli studenti più grandi del liceo classico Spedalieri”. L’opportunità di apprendere e appassionarsi da vicino alla storia cittadina viene dunque oggi offerta anche ai ragazzi dell’Ipm. Che potrebbero in futuro riuscire ad usufruire anche di eventuali borse lavoro per il reinserimento sociale nel settore. Un obiettivo ancora lontano secondo Mannino, che ricorda però come la comunicazione del bene culturale Monastero presso i giovani sia uno degli obiettivi dell’università da ormai una decina d’anni. “Ricordo l’iniziativa I miti dell’Antico corso nella quale, partendo dalle leggende, si raccolsero i disegni dei bambini del quartiere. Noi diamo il nostro contributo a questo percorso che va avanti da anni”, conclude Mannino. Pisa: un nuovo spazio destinato ai colloqui, per essere ancora genitori anche se detenuti di Candida Virgone Il Tirreno, 25 settembre 2013 Il nuovo spazio colloqui è stato aperto una settimana fa e inaugurato ieri. Finanziato in toto dalla Fondazione Pisa è costato dodicimila euro. È composto da due salette e una terrazza esterna. All’interno ci sono una decina di tavolini, fuori - spazio che verrà utilizzato solo in estate e nei mesi più caldi - quattro. Ogni tavolo ha quattro posti per intrattenere i detenuti con i familiari. Le pareti sono pastello e affrescate con personaggi di Disney e delle fiabe, compresa la banda Bassotti. Per gli ospiti più piccoli ci sono libri e giochi da tavolo. All’inaugurazione educatori, il cappellano, volontari di varie associazioni, reclusi, recluse, per lo più giovani. Fra gli altri, c’erano per il Cif Maria O’ Reily, con la volontaria Elena Baldetti, la presidente regionale Maria Letizia Gaudenzi, la responsabile degli educatori, Liberata Di Lorenzo, la volontaria Piera Rocchetti e Giuliana Palmesino, di Controluce. Il rinfresco è stato opera dei detenuti studenti. Tra loro c’è Pietro, 38 anni, secondo anno di Scienze politiche, che ha dato una mano anche come manovale, perché ex carpentiere. “Che bello mamma! L’hai fatta tu questa stanza?”. Lorenzo guarda ammirato Topolino, Bambi, Paperino, le pareti a colori pastello piene di fiori dipinti, e sorride felice ed emozionato. Gli fa piacere andare a trovare la mamma in un ambiente colorato e che sembra il tinello di casa. La sua reazione è il regalo più bello che una giovane donna in carcere possa ricevere. Ce lo racconta Irene, incontrata ieri mattina al Don Bosco, dove è stato inaugurato lo spazio colloqui destinato ai genitori che in prigione devono avere la possibilità di ricevere i figli minori, uno spazio in funzione già da una settimana. Una stanza per i minori e anche per quelli cresciuti, realizzata grazie all’impegno delle volontarie del Cif, della Cassa Edile e al contributo della Fondazione Pisa. Il lavoro lo hanno fatto i detenuti, da quello murario ai dipinti sulle pareti, opera di Marcelino e Kaled su progetto e disegni di Alfredo. Il nuovo “parlatorio” destinato ai bimbi di detenuti e detenute è composto da due salette, una dopo l’altra, arredate con tavoli e sedie multicolori, più una terrazza esterna con tanto di ombrelloni e tavolini, contornata da pareti su cui sono disegnati i lungarni, piazza dei Miracoli e i Monti Pisani. A terra, nelle salette, giochi e libri per bambini. “Mio figlio ha sei anni - racconta Irene, dietro le sbarre da un anno e che dentro deve restare ancora nove anni e otto mesi - e per ora non si rende ben conto: io gli ho spiegato che ho sbagliato e che per questo sono in punizione. Conoscendo la verità si affronta meglio il dolore. Lo vedo tutte le settimane, lo porta mia madre, e aspettarlo in parlatorio per me era una pena; riceverlo qui ci ha cambiato la vita, ci ha reso felici entrambi. Lui era raggiante e oltre al solito “quando torni a casa?” mi ha chiesto se l’avevo dipinta io”. “I miei figli sono grandi, 23 e 19 anni”, racconta Tamara, dentro da due mesi e con sette anni e otto mesi da scontare, una testa piena di riccioli biondi. “Quando sono entrati li ho abbracciati, ci siamo seduti al tavolo, e dopo un po’ mi sono dimenticata di tutto e di tutti, mi sembrava di stare a casa. Anche quando il colloquio è finito sono rimasta in estasi per tutta la giornata, mi sentivo un’altra persona, sospesa a mezz’aria. Loro erano raggianti”. Yussuf, che al progetto ha lavorato alacremente, sua figlia di tre anni e quattro mesi in carcere non ha mai voluto che entrasse. “Devo ancora scontare tre anni e mezzo - spiega - ma domani esco con un permesso e non vedo l’ora di riabbracciarla. Ora potrò farlo anche qui e, se verrà, ne sarò felice. Prima con quel bancone, quell’atmosfera non volevo che mi vedesse così”. Claudio non ha figli ma è contento di aver lavorato alla realizzazione delle salette. “Sono qui da due anni - spiega - ma ora c’è il processo e spero che vada bene. Sono felice di aver fatto questa cosa per i bimbi dei miei compagni”. Le stanzette per i figli minori serviranno per il momento a tutti i colloqui con i familiari, in attesa che vengano conclusi i lavori in corso al parlatorio, per l’abbattimento del famoso bancone divisorio, secondo l’adeguamento alle normative che prevedono un ambiente più umano per tutti. Sono una trentina i bambini, dai neonati ai 12 anni, i quali ogni settimana, a Pisa, varcano le soglie del Don Bosco (dove sono ospitati in media 200 detenuti, il 60% stranieri, una cinquantina donne) per andare a trovare padri o madri che hanno sbagliato. C’è anche una buona parte di adolescenti e ragazzi maggiorenni. “Genitori e figli sono contenti soprattutto perché possono abbracciarsi, stringersi”, ha commentato ieri il direttore del Don Bosco, Fabio Prestopino, che ha definito questa inaugurazione “un ulteriore passo in avanti per il miglioramento delle condizioni della detenzione”. “Un motivo di orgoglio - ha detto l’assessore comunale al sociale, Sandra Capuzzi - perché agli adulti in un certo senso si prospetta un futuro e ai bambini una dimensione normale”. Napoli: conferenza stampa su “Pene alternative per detenuti con grave stato di salute” www.julienews.it, 25 settembre 2013 “Pene alternative per i detenuti con grave stato di salute”. Questo il tema della conferenza stampa organizzata dalla Garante dei Detenuti della Regione Campania, prof.ssa Adriana Tocco, che si svolgerà venerdì 27 settembre alle ore 11 presso la Sala “Martiri di Nassirya” del Consiglio Regionale della Campania (Centro Direzionale di Napoli - isola F/13 - 21° piano). L’incontro vedrà tra gli altri anche la partecipazione del Presidente del Consiglio regionale della Campania, Paolo Romano, dei componenti della Commissione Giustizia Camera dei Deputati, il vice presidente Carlo Sarro e Assunta Tartaglione, il coordinatore dei cappellani di Poggioreale, don Franco Esposito e i familiari di alcuni detenuti in condizione molto precaria. Inoltre nel corso della conferenza stampa, la Garante dei detenuti, presenterà un’istanza ai componenti della Commissione Giustizia, affinché l’organo collegiale del Parlamento, individui e proponga al Ministro della Giustizia gli strumenti adeguati a garantire le cure dei detenuti affetti da patologie gravissime debitamente certificate. Bari: “Caffè ristretto-percorsi e discorsi dentro le mura”, cantiere culturale per i detenuti Agenparl, 25 settembre 2013 “Caffè ristretto - percorsi e discorsi dentro le mura” è un cantiere culturale promosso dall’istituto comprensivo “Massari Galilei”, dall’Assessorato per le Politiche giovanili del Comune di Bari, dall’ Ufficio regionale del “Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale”, ed è coordinato dalla scrittrice drammaturga Teresa Petruzzelli. Aperto a 30 detenuti, attraverso laboratori, letture, cineforum e sollecitazioni musicali, il progetto ha voluto costruire una serie di percorsi tematici per veicolare valori di legalità, integrazione e relazione. All’appuntamento del 30 settembre prossimo, che avrà luogo presso il carcere di Bari, interverranno l’assessore regionale Silvia Godelli, l’assessore del Comune di Bari, Fabio Losito, il dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo “Massari Galilei” Francesco Lorusso, con tutto il personale della sua scuola, il garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale Piero Rossi, la direttrice del C.C. di Bari Lidia De Leonardis, i responsabili delle aree Sicurezza e Trattamentale del C.C. di Bari, Francesca De Musso e Tommaso Minervini, oltre che amministrativi, educatori e rappresentanti della polizia penitenziaria. Torino: nel carcere delle Vallette detenuto aggredisce due agenti di Polizia penitenziaria Agi, 25 settembre 2013 Aggrediti due agenti della polizia penitenziaria. È accaduto ieri mattina all’interno del carcere delle Vallette di Torino. Dove un detenuto marocchino di 28 anni ha colpito con calci e pugni i due per futili motivi, provocandogli diverse contusioni. La denuncia arriva direttamente da Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “L’episodio di ieri - sottolinea Leo Beneduci, segretario generale Osapp - al di là delle dirette conseguenze la dice lunga sulla situazione di un istituto penitenziario quasi completamente abbandonato a se stesso e in cui il personale teme ogni giorno di più per la propria incolumità nel prestare servizio in ambienti privi di controllo”. Per mettere fine ad una situazione esasperata ed esasperante, in cui gli stessi agenti sono continuamente esposti alle continue aggressioni di detenuti senza scrupoli, Beneduci chiede che “il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria si assuma le proprie responsabilità disponendo la sostituzione di direttore e comandante di reparto e per dare ai poliziotti in servizio - conclude - i necessari supporti”. Lucca: in carcere carenza di organico, archivio degli atti giudiziari affidato a un detenuto di Roberto Salotti www.luccaindiretta.it, 25 settembre 2013 Sarebbe un detenuto ad occuparsi dell’archiviazione degli atti depositati al carcere di Lucca. I drammatici effetti della carenza di personale, uniti a quelli del sovraffollamento del San Giorgio sono al centro di uno scontro aperto tra la direzione del carcere e i sindacati della polizia penitenziaria. A far esplodere la bufera l’affidamento ad un carcerato dell’archiviazione di materiale depositato al San Giorgio, con libero accesso all’area dei semiliberi. Il fatto già di per sé singolare, ha scatenato però la viva protesta dei rappresentanti degli agenti, che definiscono l’atto “sottoscritto dal comandante di reparto” e avallato “con provvedimento formale dal direttore” Francesco Ruello “paradossale e pericoloso”. Già perché - sostengono - in quell’archivio ci sono anche i dati personali, gli indirizzi e perfino le indicazioni su eventuali malattie degli agenti che lavorano all’interno delle mura del San Giorgio. Per questo motivo il segretario nazionale del sindacato della polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, il 2 ottobre sarà a Lucca per un sopralluogo al carcere. L’obiettivo è affrontare le annose questioni legati alla scarsità di organici e al sovraffollamento della casa circondariale, ma soprattutto quello di andare a fondo alla questione dell’archivio. Una lettera recapitata al direttore Ruello e, per conoscenza, anche al provveditore regionale dell’amministrazione carceraria Carmelo Cantone, è rimasta per ora senza risposta. Eppure, i sindacati sottolineano come nell’archivio cui ha accesso il detenuto siano “depositati documenti contenenti dati personali nonché indirizzi, utenze telefoniche e pratiche sanitarie” e perfino le eventuali patologie degli agenti della polizia penitenziaria. “Esporre dati sensibili degli agenti ad un detenuto è qualcosa di veramente sconcertante”, sottolinea ancora Donato Capece: “Voglio avere personalmente delle spiegazioni in merito e mi batterò perché sia impedita questa attività ai detenuti. In un clima già così teso non è possibile esporre in questo modo gli agenti”. Sconcerto è, del resto, anche il sentimento dei rappresentanti degli agenti che lavorano in carcere. Che ora chiedono che l’intera questione sia approfondita “a tutela di tutto il personale” del San Giorgio, e desiderano “capire - si legge nella lettera inviata al direttore - se i detenuti dei reparti sono venuti a conoscenza dei nostri dati personali”. Secondo quanto sostengono le sigle sindacali, infatti, l’accesso all’archivio da parte del detenuto sarebbe stato autorizzato su disposizione del comandante di reparto, con un provvedimento del direttore del 16 aprile scorso. Per questa e per altre gravose questioni, il segretario nazionale del Sappe sarà a Lucca per incontrare il direttore: “Desidero capire come viene gestita la vita dei detenuti all’interno del carcere -sottolinea Capece - e se vengono messe in atto tutte le cautele necessarie per evitare episodi di violenza, che negli ultimi mesi sono stati numerosi, come dimostrano tutte le risse, in alcune delle quali sono rimasti feriti, per fortuna lievemente, anche gli agenti della polizia penitenziaria. La situazione di Lucca a mio parere deve essere risolta al più presto - sottolinea ancora il numero uno del Sappe - altrimenti la situazione diventerà ancora più ingestibile. Se i detenuti vengono tenuti chiusi 20 ore su 24 in celle sovraffollate senza che vengano impiegati in attività alternative è chiaro che la tensione rischia di esplodere ad ogni occasione”. L’obiettivo di Capece è anche quello di confrontarsi con il provveditore dell’amministrazione penitenziaria toscana, per capire “cosa si intenda fare per risolvere la situazione del carcere di Lucca”. Saluzzo (Cn): tutto esaurito per “Amunì”, nuovo spettacolo dei detenuti da oggi in scena www.targatocn.it, 25 settembre 2013 Una storia di figli in attesa del padre diretta da Grazia Isoardi da oggi fino a sabato in carcere. Programmata una nuova data di spettacolo, il 12 ottobre con prenotazione obbligatoria. Tutto esaurito per la prima di oggi 25 settembre alle 18 e per le tre repliche di “Amunì”, il nuovo spettacolo teatrale dei detenuti del carcere di Saluzzo in scena fino a sabato 28 settembre. Per consentire la visione ad altro pubblico è stata programmata la data di sabato 12 ottobre, alle 14 con prenotazione obbligatoria da effettuare al numero: 0172.89893 o via info(at)vocierranti.org. “Amunì” vede interpreti di una storia di figli in attesa del padre 13 detenuti ospiti della Casa di Reclusione Morandi diretti da Grazia Isoardi con le coreografie di Marco Mucaria. Lo spettacolo è il risultato del percorso annuale dell’ attività di laboratorio in carcere con la Compagnia Voci Erranti onlus, giunta al decimo anno. “Davanti a me vedo un gruppo di detenuti che si muovono in un grande spazio vuoto - descrive la regista - Li osservo e vedo uomini nel pieno della vita, nell’età di essere padri. Basta un gesto involontario o una parola uscita dal controllo e la visione cambia completamente, ora li vedo figli. Figli-padri, padri-bambini, figli difficili e padri assenti, figli senza padri non perché orfani ma in quanto privi di padri autorevoli, testimoni delle responsabilità della vita. Ora vivono nell’attesa del ritorno alla libertà e nel frattempo, diventati loro stessi padri, attendono il ritorno del padre. Questo è il punto di partenza di Amunì, ultimo lavoro di Voci Erranti con i detenuti del carcere di Saluzzo in scena in questa storia di figli che attendono il ritorno del padre e, nell’attesa, attraverso i ricordi, ritornano a loro volta bambini per poi prendere consapevolezza della propria paternità. È passato il tempo del padre-padrone e del padre-eroe, ora viviamo la necessità di avere dei padri testimoni di come si possa trasmettere ai propri figli e alle nuove generazioni la speranza nell’avvenire, il senso dell’orizzonte. Forse esiste un’alternativa alla guerra tra generazioni e all’individualismo senza speranza che caratterizza le relazioni quotidiane. Telemaco, il figlio di Ulisse, ha atteso il ritorno del padre, ha pregato affinché si ristabilisse la Legge nella sua casa invasa dai Proci… ma oggi nessuno sembra più tornare dal mare anche se tutti abbiamo, almeno una volta, guardato l’orizzonte in attesa che qualcosa da lì tornasse per noi. Con Davide Sannazzaro, responsabile dell’area educativa del carcere di Saluzzo, si scopre attraverso le parole dei detenuti, quella che è stata la loro esperienza nella costruzione dello spettacolo: Stefano: Negli anni l’attività di laboratorio mi ha insegnato a vivermi, a vivere le mie emozioni. Il lavoro, il gioco, il movimento o il semplice esercizio di respirazione sono stati un modo per conoscermi. Oggi sono un uomo sereno. Quest’anno parliamo di padri e figli, di rapporti negati o assenti, di ruoli che si mescolano e si scambiano in un gioco surreale ma forse, proprio perché surreale, molto vicino al vero. Luciano: È la mia prima esperienza di teatro e quando ho incontrato Grazia mi sono detto “Questa è dura, vuole tirar fuori tutto di me”. Ma non ho mollato ed ora che prepariamo lo spettacolo provo le emozioni di quando ero bambino. Recitare, che bello! Il teatro mi ha aiutato tanto moralmente e spero di imparare ancora. Pablo: Secondo me in questo spettacolo c’è un po’ di tutti noi. Mi piace fare la parte di diventare padre perché è un mio sogno, una cosa che da sempre ho desiderato e che fino adesso non è ancora accaduta. Mentre recito penso che un giorno succederà e intanto aspetto. Oscar: Questo spettacolo mi fa meditare molto, perché tutti siamo figli e tutti vogliamo essere padri, ma si può essere dei bravi padri se non siamo stati dei bravi figli? Lo spettacolo sottolinea Grazia Isoardi è stato realizzato, nonostante le difficoltà economiche che l’istituto penitenziario presenta, grazie alla volontà del Direttore Giorgio Leggieri, del Comandante e degli agenti di Polizia Penitenziaria, degli Educatori e, ancora, grazie al contributo della Compagnia di San Paolo di Torino. “Amunì” sarà replicato nel mese di ottobre, su prenotazione per gli Istituti Scolastici, Associazioni e Centri Diurni interessati nell’ambito del progetto Scuola – Carcere Prenotazioni obbligatorie all’Associazione Voci Erranti: tel. 0172-89893 - info(at)vocierranti.org - cell. 340.6703534. Lecco: i detenuti-writers riqualificano il sottopasso pedonale della stazione ferroviaria La Repubblica, 25 settembre 2013 Da detenuti a writers per un giorno, con l’obiettivo di riqualificare il sottopasso pedonale della stazione ferroviaria di Lecco: due street artist professionisti e conosciuti in ambito internazionale, il romano Lucamaleonte e il belga Roa, hanno guidato dieci persone agli arresti nella realizzazione di un murales durante l’edizione 2013 di “Lecco street view”. La manifestazione, organizzata dall’assessorato comunale alle Politiche giovanili e dall’associazione Art company di Milano, è stata dedicata al tema ‘Arte e legalità. I detenuti hanno partecipato a un workshop con i writers che hanno aderito al progetto e hanno poi avuto l’opportunità di mettere in pratica quanto imparato. “Abbiamo deciso di promuovere un’iniziativa di forte impatto sociale, utilizzando il writing per unire la cittadinanza, l’amministrazione penitenziaria e le associazioni della zona”, spiegano i promotori del progetto. Perugia: devasta la cella e poi aggredisce agenti, processato per direttissima www.perugiatoday.it, 25 settembre 2013 Nuovo caso di violenza e follia da parte di un detenuto che ha divelto e distrutto tutto quello che trovava a tiro. Processo per direttissima il 25 settembre. Ancora una volta gli agenti della Penitenziaria presi di mira dopo essere costretti a carceri affollate. Lo scatto d’ira dentro la cella e poi il trambusto. Sgabelli e sanitari spaccati. Le guardie provano a calmarlo, ma l’uomo non sente ragioni e si scaglia contro di loro con violenza. Poche testimonianze, quelle che servono, per portare l’uomo in questione di fronte al giudice, rischiando così di tornare nuovamente in una delle celle che tanto ha detestato. Attende silenzioso. Viso gonfio da notte insonne. Attende in quella sedia mentre le guardie sfilano una a una per raccontare quello che è successo incalzati dal pubblico ministero. A difendere l’uomo Barbara Romoli. Al momento il processo è stato rinviato, mancava uno dei test. Poi si vedrà che pena infliggere o se assolvere qualora mancassero le prove. Ma la situazioni delle carceri è sempre la stessa. La stessa che da anni ormai finisce sui giornali, il sovraffollamento e la carenza di personale questi sono i veri problemi. Tutti ne parlano, ma le soluzioni sono ben poche. Solo in Umbria il numero dei detenuti è di 300 persone in più rispetto alla capienza prevista. E gli agenti? Troppi pochi. C’è chi protesta con scioperi della fame e chi addirittura si cuce le labbra pur di non parlare, sono principalmente gli extracomunitari a farlo. Le violenze sessuali sembrano essere all’ordine del giorno. Ma sono soprattutto le violenze nei confronti degli agenti a preoccupare i sindacati: molti gli agenti feriti e con il timore spesso di essere contagiati anche reclusi sieropositivi o con epatite. Napoli: avvocato lascia a un detenuto lima e telefonino e si rende complice dell’evasione Il Mattino, 25 settembre 2013 L’avvocato Giuseppe Stabile, arrestato ieri mattina nel blitz contro il clan camorristico degli Aversano, è accusato anche di avere agevolato l’evasione del boss Vincenzo Marrazzo dalla casa di lavoro di Isili, in provincia di Cagliari, avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 maggio 2008. Il penalista, in particolare, avrebbe consegnato a Marrazzo (condannato successivamente all’ergastolo per l’omicidio del boss rivale Francesco Verde) due lime per segare le sbarre della cella ed un telefonino, con il quale il detenuto prese accordi con i familiari perché lo andassero a prendere in auto una volta evaso. Lo conferma lo stesso Marrazzo, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia: “Io avevo organizzato tutto. Mi serviva un seghetto e un telefonino. Durante un colloquio lo dissi a mia moglie e le chiesi di dire all’avvocato Stabile di portarmi questa roba. Al colloquio l’avvocato venne e porto’ due seghetti e il telefonino. Io andai, come vado sempre, al colloquio con gli avvocati portando con me una cartellina con all’interno delle carte processuali”. “Solo che quella volta, - ha aggiunto - sapendo che avrei ricevuto il seghetto e il telefonino, preparai la cartellina facendo un po’ di spazio in modo da poter nascondere questi oggetti”. L’evasione avvenne mentre gli agenti di guardia guardavano una partita della Nazionale alla tv. Marrazzo, che aveva segato le sbarre della cella e le aveva poi rimesse a posto servendosi di nastro adesivo trasparente, si lasciò scivolare lungo il muro grazie a lenzuola annodate. India: i due marò italiani, dimenticati dalla politica… ma non dai cittadini www.newtuscia.it, 25 settembre 2013 Spesso, con un pizzico di ipocrisia, non si perde occasione per rendere omaggio ai militari italiani deceduti in “terra straniera”, nei tanti episodi che hanno caratterizzato le missioni di pace del nostro Paese in giro per il mondo. La vicenda di Massimiliano La Torre e di Salvatore Girone, i due marò trattenuti in India da quasi due anni, ha coinvolto anche la nostra Amministrazione Comunale, o meglio, la precedente “Giunta Marini” che ha partecipato alla “campagna di solidarietà” per i due marinai prigionieri, con uno striscione affisso al balcone dell’ufficio che prima era del Sindaco e oggi, a quanto pare, ad uso del vice sindaco. Ebbene, quello striscione che, per diverso tempo, è stato l’emblema della partecipazione dei viterbesi alla disgraziata vicenda dei due militari italiani, è stato opportunamente rimosso per la festa di Santa Rosa ma, inspiegabilmente, non più riposizionato, quasi a sancire un imbarazzante disinteresse per il mancato ritorno in Patria di Massimiliano e di Salvatore che, è bene ricordarlo, ci copre di ridicolo e di indisponente derisione. Sig. Sindaco, lo striscione non c’è più ma restano i fili penzolanti in vistoso contrasto con la bellezza architettonica del balcone comunale e tutti noi ci chiediamo se non è il caso di ripristinare il vecchio “slogan” che possa ancora dimostrare l’attenzione e la sensibilità dei viterbesi alla prigionia dei marò, ormai passata alla storia come una delle più clamorose “debolezze” del governo italiano in fatto di “politica estera”. Inoltre, FondAzione vuole sollecitare tutte le “Associazioni d’Arma” su tale spinosa questione che, per come si sono messe le cose, ha messo in seria discussione l’onore e il valore delle nostre “Forze Armate” e le invitiamo ad intervenire con azioni che possano riportare in prima pagina, anche a Viterbo, una storia che ha semplicemente dell’incredibile. Uruguay: oltre 700 uruguayani detenuti all’estero, contro i 270 stranieri reclusi nel Paese di Mirko Peddis www.lindro.it, 25 settembre 2013 Buenos Aires - Nonostante l’aumento della criminalità interna registrato negli ultimi anni l’Uruguay esporta nei paesi limitrofi il triplo dei criminali che riceve. Succede, così, che in Argentina ci sono 600 detenuti uruguayani, in Brasile meno di 100 e in Paraguay 7. Nelle carceri dell’Uruguay, invece, ci sono solamente 270 prigionieri stranieri, 128 dei quali arrestati per narcotraffico. Lo ha rivelato il quotidiano di Montevideo El Observador entrando nel merito di una polemica avviata qualche giorno prima dal sottosegretario agli Interni uruguayano Jorge Vázquez, che nel corso di un’intervista televisiva aveva dichiarato che l’Uruguay dovrebbe “restituire al loro Paese d’origine alcuni narcotrafficanti di grosso calibro attualmente detenuti nelle nostre carceri”. Parole in linea con quelle pronunciate dal suo più diretto superiore, il ministro degli Interni Eduardo Bonomi, secondo il quale la via migliore di agire riguardo ai detenuti stranieri è quella adottata dall’Argentina. Non è un caso che Bonomi abbia citato proprio l’Argentina, perché tutta la discussione sugli stranieri nelle carceri è partita dalla vicenda di Luis Mario Vitette, cervello del cosiddetto ‘furto del secolo’, storico colpo con il quale, nel 2006, un gruppo di cinque persone svaligiò 145 cassette di sicurezza di una banca di Buenos Aires. Vitette, uruguayano, era in carcere in Argentina proprio per quel furto. Era, perché alla fine di agosto la giustizia argentina, che lo aveva condannato a 21 anni e sei mesi di reclusione, ha deciso di avvalersi di una speciale norma migratoria e di estradarlo nel suo Paese natale, dove ha ritrovato la libertà. Attivissimo via twitter e per nulla pentito, Vitette, appena tornato in libertà ha, per giunta, annunciato che il suo prossimo obiettivo saranno nientemeno che i gioielli personali della Presidente argentina Cristina Kirchner, che da parte sua, sempre via twitter si era detta “sollevata dalla notizia dell’estradizione”. L’articolo pubblicato da El Observador, in questo senso, non ha fatto altro che aumentare la tensione. Questioni politiche a parte, non tutti sono d’accordo con Bonomi e Vázquez ma, anzi, c’è chi è convinto che l’applicazione da parte di Montevideo delle stesse leggi migratorie di Buenos Aires porterebbe più problemi che benefici. È il caso di Fernando Gil, consulente di Bonomi che sul suo blog personale ha definito la proposta come “poco corretta, in quanto l’estradizione implicherebbe togliersi di dosso il problema per lasciarlo, irrisolto, a un altro Paese”. Gil, nello stesso post, ha anche cercato di ammorbidire le parole di Bonomi, scrivendo che “il Ministro non parla di deportazione, ma di accordi tra Paesi mediante i quali gli stranieri possano completare la pena nel Paese d’origine”, lanciando in questo modo anche una velata accusa al Governo Kirchner, le cui leggi in materia si curano solo dell’espulsione del criminale dal Paese. Altra voce contraria alla proposta di adozione del modello argentino è quella del Commissario parlamentare per le carceri, Álvaro Garcé, secondo il quale una soluzione di questo tipo “sarebbe come un invito a delinquere in Uruguay”. Molto meglio, secondo Garcé, applicare i trattati internazionali e puntare a che gli stranieri, specialmente i narcotrafficanti, compiano parte della loro condanna nel loro Paese d’origine. Tutto questo, però, non toglie importanza ai dati diffusi da El Observador; perché se è vero che l’Argentina ha “rispedito a casa” 150 detenuti uruguayani, è anche vero che i cittadini dell’altro lato del Rio de La Plata detenuti fuori dai confini nazionali continuano ad essere di gran lunga più numerosi. La figura di Vitette, come detto, era balzata al centro delle cronache grazie al colpo del 2006 al Banco Rio di Acassuso, entrato nella mitologia popolare, oltre che per il bottino, per la teatralità dell’operazione, degna del miglior film di Hollywood sul tema. Il “furto del secolo”, come lo ribattezzarono prontamente i media, avvenne il 13 gennaio di quell’anno, quando cinque malviventi entrarono nella banca appartenente al gruppo spagnolo Santander. Mascherati e con le armi alla mano i ladri presero in ostaggio 23 persone, tra impiegati e clienti, e cominciarono un lungo negoziato con la polizia. Sette ore dopo, quando le forze dell’ordine si decisero ad irrompere nella banca trovarono solo gli ostaggi, delle armi giocattolo e 145 cassette di sicurezza vuote. Solo più tardi si scoprì che i delinquenti erano scappati con dei gommoni attraverso un tunnel di scarico. Trattandosi di cassette di sicurezza, non è mai stato dato a conoscenza l’ammontare esatto del bottino, ma secondo le stime si tratterebbe di almeno otto milioni di dollari, due terzi dei quali mai recuperati. Luis Mario Vitette, insomma, è un personaggio che fa clamore, e il suo ritorno in libertà, seppure con la condizione che non potrà mai più mettere piede in Argentina, già di per se fa notizia. In questo contesto hanno fatto la loro comparsa le dichiarazioni del Ministro Bonomi e del sottosegretario Vázquez. “Sono ormai due anni che l’Argentina sta liberando detenuti uruguayani arrestati nel suo territorio” aveva detto Bonomi, aggiungendo che “una volta che compiono un terzo della pena, vengono messi in libertà e spediti in Uruguay”. La Legge Nazionale Migratoria argentina, infatti, consente agli stranieri condannati a più di tre anni di reclusione e che non abbiano altre cause pendenti, di richiedere l’espulsione definitiva dal Paese per un periodo non inferiore a quello della condanna. Ed è stato proprio questo il caso di Vitette, il cui impatto mediatico ha amplificato a dismisura la questione. Turchia: 18 membri del Pkk evasi dal carcere attraverso un tunnel Nova, 25 settembre 2013 Circa 18 detenuti, membri del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) sono fuggiti da una prigione nella provincia orientale di Bingol in Turchia tramite un tunnel. Le forze di polizia e della gendarmeria hanno lanciato un’operazione per catturare gli uomini evasi attraverso la galleria scavata dagli stessi detenuti. Il ministro della Giustizia turco, Sadullah Ergin, ha detto che la fuga è stata scoperta durante l’appello mattutino. “Dei 18 detenuti, quattro sono stati condannati e 14 erano in attesa di giudizio”, ha riferito Ergin alla stampa. Il Pkk è un movimento politico clandestino armato, sostenuto dalle masse popolari, prevalentemente agricole, del sudest della Turchia, zona popolata in maggioranza dall’etnia di lingua curda. Alta tensione in sud-est curdo dopo maxi evasione La fuga dei detenuti curdi rappresenta un ulteriore elemento di tensione nella fase più delicata dall’inizio del processo di pace a fine marzo. Il 9 settembre il Pkk ha fermato il ritiro dei suoi militanti dal territorio turco e Erdogan è accusato dal movimento curdo di non fare abbastanza per fare procedere il negoziato. Dopo l’avvertimento del leader curdo Abdullah Ocalan dal carcere nelle scorse settimane oggi il capo militare del Pkk Cemal Bayik ha rincarato la dose in un’intervista rilasciata a una televisione curda in Nord Iraq: “Il governo dell’Akp (il Partito della giustizia e dello sviluppo di Erdogan) ha visto nel ritiro dei guerriglieri una possibilità e non ha fatto nessun passo avanti. Gli incontri ad Imrali (l’isola carcere dove è detenuto Ocalan) non si sono trasformati da dialogo a negoziato. Lo stop al ritiro dei guerriglieri è stato un avvertimento per il governo. Se il governo dell’Akp non farà passi avanti noi metteremo fine al processo (di pace). Non possiamo continuare così” ha detto Bayik. Secondo le indiscrezioni apparse sulla stampa turca negli scorsi giorni il Pkk avrebbe già pronto un piano per il ritorno ad azioni armate nel caso il processo fallisca. Per mostrare che il governo è intenzionato a dare maggiori diritti alla comunità curda Erdogan annuncerà lunedì i provvedimenti contenuti nel “pacchetto di democratizzazione” messo a punto due settimane fa. Il vice-premier Bulent Arinc, tuttavia, ha detto oggi in una conferenza stampa a Bursa che il pacchetto di democratizzazione non va interpretato come una vittoria del Pkk: “Il primo ministro annuncerà il pacchetto di democratizzazione lunedì. Allora vedrete che su una serie di questioni è già stata presa una decisione e su altre, come il sistema elettorale, vogliamo si apra un dibattito nell’opinione pubblica. Il pacchetto che abbiamo preparato non ha niente a che fare né con il processo di pace, nè con Imrali, nè con il Pkk”. Secondo le indiscrezioni apparse sui giornali il pacchetto darà maggiore diritti non solo alla comunità curda, ma anche a quella armena e greca e ai cristiani, escluso invece il diritto di istruzione in lingua curda e l’abbassamento della soglia di sbarramento elettorale fissata in Turchia al 10% dei voti, come chiesto da tempo dal movimento curdo. Russia: arrestati 30 attivisti di Greenpeace accusati di pirateria, tra loro anche un italiano Ansa, 25 settembre 2013 Tra loro c’è anche l’italiano Cristian D’Alessandro. Saranno interrogati nelle prossime ore. I trenta attivisti di Greenpeace membri dell’equipaggio del rompighiaccio Arctic Sunrise, tra cui l’italiano Cristian D’Alessandro, si trovano in custodia cautelare in “centri di detenzione provvisoria” per essere interrogati. Il gruppo era stato accusato martedì di “pirateria” dalle autorità russe. Lo ha reso noto l’organizzazione ambientalista. Gli attivisti, ha detto una rappresentante di Greenpeace, Eugenia Beliakova, “sono stati trasferiti in centri di detenzione provvisoria” dopo essere stati sbarcati a Murmansk (nord ovest) per essere interrogati. Secondo quanto riferito, sarebbero in diversi centri di detenzione nella città e nei dintorni. Brasile: terminati i mondiali di calcio lo stadio Manaus potrebbe diventare un carcere Ansa, 25 settembre 2013 Uno degli stadi della Coppa del mondo di calcio dell’anno prossimo, l’Arena Amazonas a Manaus, in Brasile, dopo i Mondiali potrebbe diventare provvisoriamente un carcere, per far fronte al sovraffollamento dei penitenziari nella regione. È quanto suggerisce un giudice locale, Sabino Marques, secondo il quale lo spazio, una volta terminata la prestigiosa competizione sportiva, resterà “totalmente inattivo”. “Tutti i giorni accogliamo mandati di arresto da queste parti e non sappiamo più dove mettere i detenuti”, ha detto il magistrato, precisando che “il carcere di Manaus ha una capacità di 200-300 persone, ma ce ne sono almeno mille adesso là dentro”. Lo stadio di Manaus, costato oltre 200 milioni di euro, sarà inaugurato all’inizio del prossimo anno e avrà una capienza di 44 mila spettatori. La città, che ha 2,5 milioni di abitanti, non ha alcuna squadra di calcio, neppure in serie D. Intanto a Natal i ritardi nei cantieri mondiali hanno reso circa 18 milioni di euro più care anche le opere attorno allo stadio. Lo ha reso noto l’ufficio stampa comunale.