Giustizia: il countdown è iniziato, per le carceri bisogna fare qualcosa… e “fare presto” di Stefano Anastasia www.huffingtonpost.it, 20 settembre 2013 Il countdown è iniziato il 27 maggio. Entro un anno l’Italia dovrà aver adeguato il proprio sistema penitenziario agli standard (di civiltà) europei, altrimenti la Corte per i diritti umani si darà la licenza di condannarci a raffica, per le inumani e degradanti condizioni di detenzione nelle nostre carceri. “Una realtà che ci umilia in Europa”, diceva qualche tempo fa il Presidente Napolitano. Sia il governo Monti che il governo Letta hanno esordito tentando di affrontare il grave sovraffollamento delle carceri, ma né il decreto Severino allora, né il decreto Cancellieri oggi sembrano avere una forza risolutiva. Giustamente, da più parti, si invoca un provvedimento di amnistia-indulto che possa dare respiro alle nostre carceri e ai loro ospiti coatti. Molto ci aiuterebbero alcuni dei referendum radicali e le proposte di legge di iniziativa popolare avanzate dall’associazionismo. Tutte cose da fare e da fare presto. “Fate tutti presto, presto”: così Laura Lombardo Radice chiudeva la sua lettera aperta indirizzata al direttore generale degli istituti di pena, Nicolò Amato, dalle colonne de La Repubblica nel giorno di ferragosto di ventisette anni fa. “Il mio amico - e tanti altri come lui - non possono più aspettare, e anche la civiltà della democrazia non può più aspettare”. Neanche due mesi e in Gazzetta ufficiale sarebbe arrivata la legge che prese il nome di Mario Gozzini, quel caparbio senatore della Sinistra indipendente che volle riprendere l’accidentata strada della decarcerizzazione dopo gli anni dell’emergenza anti-terrorismo. “Fate tutti presto, presto”, dovremmo tornare a dire con Laura, che a molti di noi, molti anni fa, insegnò l’utilità del volontariato in carcere, l’importanza di “lavorare con gli invisibili”, come si intitola la giornata che la Conferenza del volontariato della giustizia, Antigone, Arci solidarietà e Ora d’aria hanno voluto dedicarle nel centenario della nascita, sabato prossimo, il 21 settembre, alla Casa delle donne di Roma. Laura conosce il carcere prima della guerra, quando il fratello Lucio e l’amico Aldo Natoli - giovani cospiratori antifascisti - vengono arrestati e portati a Regina Coeli. Scopre così “quell’altra città” che si affollava in vicolo della Penitenza, nella consegna dei pacchi e delle lettere ai familiari incarcerati: “una folla multiforme, inquieta, spesso grama, che noi non avevamo mai visto nella sua molteplice composizione”. Uomini e donne semplici cui dedicherà il suo impegno politico e di insegnante nei quarant’anni seguenti, fin quando - accidentalmente - torna in carcere, nei primi anni Ottanta, per assistere a una rappresentazione dell’Antigone di Sofocle. Ne viene folgorata, ci trascina anche il compagno di una vita, il marito Pietro Ingrao. Inizia lì, per Laura ormai in pensione, l’impegno da insegnante volontaria a Rebibbia: “uno straordinario mezzo per scoprire se stessi”. Uno straordinario mezzo per scoprire se stessi, per aiutare chi ha bisogno (ovviamente), ma soprattutto per costruire un ponte tra quelle due città separate dalle mura del carcere. Non c’è riforma che possa cambiare durevolmente le cose se non c’è partecipazione e se non c’è condivisione, se quelli di fuori non scoprono “quell’altra città” che si affolla, oggi come allora, in vicolo della Penitenza. Ecco il senso di un incontro sul volontariato in carcere oggi, a (quasi) trent’anni dalla legge Gozzini e dalle speranze che essa animò in persone come Laura Lombardo Radice e in tanti operatori penitenziari, per nulla convinti che la giustizia debba necessariamente coincidere con l’inflizione di una sofferenza, che la pena non possa fare a meno del carcere, che il carcere debba sempre assomigliare a se stesso. Giustizia: i 100 anni di Laura Lombardo Radice e lo stato delle carceri di Sergio Giovagnoli (Arci Solidarietà Onlus) Il Manifesto, 20 settembre 2013 Il 21 settembre alla Casa internazionale delle donne a Roma ricorderemo una grande figura femminile che quest’anno avrebbe compiuto cento anni: Laura Lombardo Radice. La ricorderemo nel giorno della nascita per riflettere su un pezzo importante del suo impegno civile e politico, il volontariato in carcere. Laura, insegnante, partigiana e donna di cultura, decise negli anni ‘80 di impegnarsi per il sostegno e recupero delle persone recluse, mettendo a disposizione le sue competenze educative, la sua passione civile, la sua sensibilità umana. Erano gli anni della speranza e del riscatto. Dopo la stagione delle lotte civili e del pensiero critico che aveva passato al vaglio le istituzioni totali, dal manicomio al carcere a tutti i luoghi di “contenimento e reclusione dei corpi”, per dirla con Foucault, si era aperto in tutto l’occidente un grande dibattito sulle riforme necessarie ad umanizzare il carcere e sulla funzione sociale della pena. La legge Gozzini in Italia aveva aperto la strada a una svolta che tentava di minare le radici ideologiche della carcerazione rivalutando nella sua pienezza la parola recupero e rigettando la politica del rifiuto e della vendetta. In quegli anni sono nate le associazioni che cominciarono a occuparsi di diritti dei carcerati, tra queste Ora d’aria, di cui Laura fu tra i protagonisti, che per prima promosse circoli culturali dentro i penitenziari. In quasi tutte le carceri italiane agivano gruppi di volontari che organizzavano compagnie teatrali, attività sportive, recupero scolastico, formazione lavoro. Si era accesa la speranza che anche chi aveva sbagliato potesse avere una nuova opportunità. Furono emanate leggi che prevedevano il reinserimento sociale con canali preferenziali per gli ex detenuti, mentre la società cominciava a cambiare radicalmente, tanto da rovesciare in pochi anni il paradigma della decarcerizzazione. La tendenza a ridurre la carcerazione prevedendo pene alternative e la depenalizzazione dei reati minori venne interrotta dalla nuova destra che aveva cominciato a rielaborare i vecchi luoghi comuni sulla devianza in una veste nuova che andava sotto il nome di sicurezza. Per nessun altro termine la manomissione delle parole è stata così violenta e sfacciata. La sicurezza sociale e anche quella civile erano stati bandiere dei ceti popolari che lottavano per il lavoro, l’istruzione e la sanità pubblica, i servizi sociali. Quando la sicurezza è stata rovesciata in ricerca spietata di un nemico, sia esso tossicodipendente, delinquente o immigrato, le porte del carcere si sono spalancate a nuove figure sociali che si pensava di recuperare con ben altri strumenti. Così le persone come Laura sono state messe un po’ in disparte, hanno visto arretrare le piccole conquiste che avevano prefigurato un carcere più umano e una pena più civile. Siamo arrivati al sovraffollamento disumano, ai suicidi a catena, alle sofferenze di una condizione che annulla la speranza di un riscatto. Contro questo accanimento ideologico vale la pena ricordare figure straordinarie come Laura, che con determinazione è passata dai banchi della scuola a quelli del carcere pensando che l’educazione e la cultura sono le risorse necessarie per provare a restituire un futuro a chi nella vita ha sbagliato. Giustizia: errori giudiziari, trent’anni dal caso di Enzo Tortora e nulla è cambiato di Valter Vecellio Il Tempo, 20 settembre 2013 Caro Direttore, che bella, puntuale, commovente, l’inchiesta che hai pubblicato su Il Tempo; io, pur con più di trent’anni di mestiere alle spalle, mi barcameno in ogni sorta di nefandezza e barbarie consumate “in nome del popolo italiano”, ne resto sgomento, e rabbioso. Molti anni fa, il povero Enzo Tortora non era ancora stato arrestato e parlare di responsabilità civile per il magistrato era dubitare della verginità della Madonna, raccolsi un “catalogo” di vicende di “ordinaria ingiustizia”: c’era la donna finita in carcere per detenzione di armi, e solo dopo mesi si scopre che era una innocua pistola giocattolo del figlio; i “soliti” casi di omonimia (ma a controllare le date di nascita ci hanno messo mesi, trascorsi ovviamente in cella); e decine di altri casi, che inevitabilmente si concludevano con la domanda di Alberto Sordi nel bellissimo “Detenuto in attesa di giudizio”: “Ma se sono innocente, perché mi avete arrestato?”. Per quel libretto Leonardo Sciascia scrisse la prefazione, quel “catalogo” lo aveva inorridito. “Accade - scrisse - che un giovane esca dall’Università con in tasca una laurea in giurisprudenza; non ha, ovviamente alcuna pratica forense, e a questo si può sopperire; spesso ha anche pochissima esperienza, per dirla con Alessandro Manzoni, del “cuore umano”, e a questo c’è poco rimedio, purtroppo. Il giovane si presenta al concorso, lo supera magari brillantemente, non ci vuole poi tanto anche a svolgere temi inerenti astrattamente al diritto e rispondere a quesiti parimenti astratti. Da quel momento entra nella sfera di un potere assolutamente indipendente da ogni altro, e sostanzialmente “irresponsabile”; un potere che non somiglia a nessun altro che sia possibile conseguire attraverso un corso di studi di uguale durata, attraverso una uguale intelligenza e diligenza di studio, attraverso un concorso superato con uguale quantità di conoscenza dottrinaria e con uguale fatica. Sappiamo, purtroppo, e la vostra inchiesta lo conferma, che l’innegabile crisi in cui versa in Italia l’amministrazione della giustizia (e crisi è un eufemismo) deriva principalmente come Sciascia ci ha avvertito, “dal fatto che una parte della magistratura non riesce a introvertire il potere che le è assegnato, ad assumerlo come dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto a destrovertirlo, ad esteriorizzarlo, a darne manifestazioni che sfiorano, o addirittura attuano, l’arbitrio. È amaro trent’anni dopo dirci le stesse cose. È amaro che nulla o quasi sia cambiato. Speriamo dunque che questa volta i referendum non siano traditi; e che la volontà popolare sia finalmente rispettata. Giustizia: ddl sulla “messa alla prova”, introdotte più garanzie alla vittima di Beatrice Migliorini Italia Oggi, 20 settembre 2013 Il domicilio indicato nel programma di messa alla prova dell’imputato deve essere idoneo a garantire le esigenze di tutela della persona offesa del reato. Il parere dell’imputato, in merito alla modifica del programma di messa alla prova, non sarà più vincolante per la decisione del giudice. Resta fermo però, l’obbligo da parte di quest’ultimo, di consultare anche il pubblico ministero. Queste le novità introdotte al ddl 925, recante norme per la delega al governo in materia di péne detentive non carcerarie, durante le votazioni agli emendamenti in Commissione giustizia al Senato. In base alla proposta di modifica all’art. 3, presentata dal governo e, successivamente, approvata, il giudice, nel valutare la possibilità di sospendere il procedimento e concedere la messa alla prova deve prendere in considerazione non solo, la possibilità che l’imputato si astenga dal commettere ulteriori reati ma anche il fatto che il “domicilio indicato nel programma dell’imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa del reato”. Sempre al fine di integrare l’art. 3 è stato, poi, approvato l’emendamento a firma di Giacomo Caliendo (Pdl) volto a limitare il potere decisionale dell’imputato. La proposta di modifica approvata, prevede, infatti, che “durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, sentito imputato e sentito il pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova”. In origine la disposizione prevedeva che il giudice non dovesse solo sentire il parere dell’imputato ma dovesse ottenere da questo un vero e proprio consenso. Nessuno spazio ha trovato, invece, la proposta volta a estendere la messa alla prova ai reati punibili con pena fino a cinque anni. “Se questa misura avesse trovato approvazione”, ha spiegato in corso di seduta il presidente della Commissione giustizia, Nitto Francesco Palma, “la norma avrebbe riaperto l’annosa questione relativa alle pene detentive per il reato di stalking, già risolta dalla legge 193/2013”. Civitavecchia (Rm): detenuto di 42 anni ritrovato morto in cella al carcere di Aurelia Ansa, 20 settembre 2013 Sarà l’autopsia ad accertare le cause del decesso di un detenuto di 42 anni, morto nella sua cella del carcere di via Aurelia di Civitavecchia. La notizia di questo nuovo decesso registrato nelle carceri del Lazio, il 14esimo dall’inizio del 2013, è stata resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Il decesso risale allo scorso martedì. Della vittima, un detenuto italiano di 42 anni, non sono state rese note le generalità. A quanto appreso dai collaboratori del Garante che operano quotidianamente nei due istituti di pena di Civitavecchia, la vittima era in attesa di primo giudizio ma, in passato, era già stato in carcere per altre circostanze. Tossicodipendente conclamato, era stato preso in cura dal Sert. Dal gennaio scorso ad oggi i decessi registrati nelle carceri del Lazio sono stati 14: cinque suicidi, tre per malattia e cinque per cause da accertare. Al computo va aggiunta anche una donna che lavorava come infermiera a Rebibbia. “Dalle prime informazioni assunte - dichiara il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - quello di Civitavecchia non dovrebbe essere classificato come suicidio. Al di là delle circostanze che hanno portato alla morte di quest’uomo - continua Marroni - resta da affrontare il nodo dei detenuti tossicodipendenti in carcere che rappresentano oltre il 25% dei reclusi in tutta Italia. La tossicodipendenza è una malattia, non un reato - sottolinea il Garante dei detenuti del Lazio - e chi vi è affetto non dovrebbe stare in un carcere ma in una comunità terapeutica di recupero, soprattutto se è accusato di reati minori. Il problema è che non è in grado di offrire alcun conforto medico e terapeutico per i tossicodipendenti, per i più deboli e per quanti sono affetti da problematiche di carattere psichiatrico. Il sovraffollamento, la ristrettezze economiche, i vuoti di organico - conclude Marroni - sono tutti fattori che costringono a guardare ai grandi numeri e non alle persone, ai loro problemi ed alle loro debolezze”. Teramo: i detenuti di Castrogno protestano contro le condizioni di sovraffollamento www.cityrumors.it, 20 settembre 2013 Anche i detenuti del carcere di Castrogno a Teramo hanno aderito alla mobilitazione indetta dal “Coordinamento dei Detenuti” per protestare contro le condizioni in cui versano le carceri italiane, il sovraffollamento, la differenziazione, i trasferimenti e per chiedere l’abolizione dei regimi di tortura legalizzati 41bis, 14bis e alta sorveglianza. Per questo motivo, i detenuti del carcere teramano promettono forme di protesta pacifiche, come lo sciopero della fame di 8 giorni assieme a scioperi del carrello e battiture. “La lotta alla sopravvivenza e l’egoismo che vigono dentro queste mura - fanno sapere in una nota - sono stati abbattuti dalla solidarietà fraterna che ci ha reso consapevoli che solo la lotta paga. Non c’è un’adesione totale ma una grande risposta sì e la vicinanza avuta dai tanti movimenti antagonisti impegnati nella lotta anti carceraria hanno portato come primo risultato quello di far uscire la nostra voce fuori da queste mura”. Deciso, inoltre, di non limitarsi alla sola protesta, ma di incontrare anche l’amministrazione penitenziaria, che ha ascoltato le problematiche e le difficoltà esistenti nella struttura. “Sappiamo dai dati - continuano i detenuti - che giungono da ogni parte che la situazione è realmente al collasso e con questa pacifica protesta chiediamo innanzitutto risposte a questo scempio tutto italiano. Questi luoghi vengono dipinti come posti adibiti alla rieducazione e al reinserimento del detenuto, ma la realtà è ben diversa. Qui l’essere umano viene annientato fisicamente e psicologicamente, e l’unico risultato posto in essere è la formazione e la specializzazione del delinquente. La mobilitazione è un mezzo per far conoscere tutti gli abusi che siamo costretti a vivere e proviamo, nel limite che una carcerazione comporta, di creare una coscienza comune che sia in grado di ottenere migliori condizioni di vita e il rispetto dei diritti naturali dell’uomo. Hanno creato carceri adatte a bestie e come animali ci rinchiudono dentro delle celle ammassati gli uni sopra gli altri; tentano di toglierci anche la dignità ma per persone a cui hanno già tolto tutto questo sarà difficilmente possibile. Noi continuiamo la lotta nella speranza che la nostra voce tocchi i vostri cuori. Un mondo migliore è possibile”. Pordenone: nuovo carcere a San Vito Tagliamento, entro ottobre la gara d’appalto Messaggero Veneto, 20 settembre 2013 Il progetto è stato presentato a esponenti della giunta e capigruppo da due tecnici ministeriali. Dovrebbero essere rispettati, per ora, i tempi (rapidi) già indicati per arrivare alla costruzione del nuovo carcere nell’ex caserma Dall’Armi di San Vito, col bando di gara europeo che pare imminente: ieri il progetto preliminare, i cui particolari rimangono top secret, è stato mostrato a esponenti della giunta e capigruppo di fronte a due tecnici ministeriali che l’hanno curato. Una riunione, a dir poco, carbonara: vige il massimo riserbo su quanto rivelato (nel rispetto - questo è quanto riferito ai partecipanti - della procedura commissariale relativa al piano carceri del ministero), e così sia dal sindaco, Antonio Di Bisceglie, sia dal resto della giunta e dai capigruppo dell’opposizione non si sono potuti apprendere dettagli. Ed era stata proprio l’opposizione, in particolare, a chiedere in consiglio comunale un maggiore coinvolgimento sul tema del carcere, che a questo punto è arrivato, ma senza che ne possa derivare qualcosa - stante il riserbo - per la popolazione. Ci sarebbero state richieste di delucidazioni su vari aspetti (in consiglio, per esempio, era emersa la presunta eccessiva altezza di qualche edificio, problema che non esisterebbe). Qualcosa trapela sui tempi. Pare certo, ormai, che venga rispettata la generica indicazione emersa alla conferenza dei servizi che, lo scorso luglio, ha dato il via libera al carcere a San Vito: si parlerebbe dell’avvio della gara d’appalto europea entro l’autunno. Questo, appunto, pare acclarato. Ma ci sono voci che porterebbero a considerare questo termine persino pessimistico, nel senso che al bando di gara mancherebbe poco. Ovvero, conclusi a giorni gli ultimi calcoli sugli importi (i costi del carcere rimarrebbero intorno ai 25 milioni di euro, a carico dello Stato, annunciati sempre alla conferenza dei servizi), la gara potrebbe prendere avvio già a fine mese o - secondo un’altra indiscrezione - entro la metà di ottobre. A ogni modo, si diceva, tempi rispettati: nei mesi scorsi l’obiettivo annunciato era quello di concludere i lavori entro il 2015, per utilizzare la nuova struttura a inizio 2016. Altro aspetto che pare acclarato è che una parte degli immobili all’interno delle mura che delimitano la Dall’Armi (ovviamente quelli in stato accettabile) saranno recuperati per la nuova funzione penitenziaria. Inoltre, sarebbe ipotizzata qualche opera esterna per garantire l’accesso alla struttura (si presume che un parcheggio trovi spazio in via Divisione Garibaldi). Pavia: Uil-Pa Penitenziari; all’interno del carcere di Torre del Gallo condizioni da incubo La Provincia Pavese, 20 settembre 2013 “Quanto è successo è l’ennesima conferma di una situazione ormai al limite”. Gian Luigi Madonia, segretario regionale della Uil di categoria, ha visitato l’altro giorno il carcere di Torre del Gallo, da cui ieri è sparita la cassaforte. “Il vecchio reparto non può certo suscitare giudizi positivi - dice il sindacalista. Già in altre occasioni avevamo avuto modo di visitare la struttura pavese. E rispetto alle rilevazioni e problematiche riscontrate in passato non abbiamo registrato o nessuna miglioria”. Madonia mostra le foto che ha scattato all’interno della casa circondariale, “segno - spiega nella relazione che ha stilato al termine della visita - di una manutenzione pressoché assente”. Poi passa ad elencare i problemi riscontrati nella vecchia struttura, dalle “evidenti infiltrazioni d’acqua piovana” del passaggio pedonale e del passo carraio fino alla “muffa e agli odori sgradevoli” riscontrati dai sindacalisti nell’area colloqui. “Un vero e proprio incubo - continua il segretario regionale della Uil Pubblica amministrazione - sono i locali interessati all’ufficio preposto e sorveglianza generale, e il corridoio che conduce alla palestra detenuti: all’interno di questi locali l’umidità ha addirittura modificato il colore delle pareti e soffitti”. Una situazione che mette a rischio anche la sicurezza degli agenti, sostiene il sindacato. “A nostro avviso il rischio di caduta di parti di soffitto e o di calcinacci non è poi così remoto”, continua Madonia nella sua relazione, dove parla anche delle “condizioni indecenti che sono state registrate anche nelle postazioni di vigilanza cortili passeggi, dove oltre all’umidità dovuta alle infiltrazioni si è riscontrata anche una scarsissima tenuta igienica”. Infiltrazioni d’acqua e scrostature dei muri che fanno definire la situazione di questo reparto “fuori dagli standard previsti”. “C’è preoccupazione, anche per l’imminente apertura del nuovo padiglione - dice ancora Madonia - su cui ad oggi non c’è stato nessun confronto con le organizzazioni sindacali”. Un’intrusione e tre evasioni Un caso senza precedenti? Non proprio. Chi lavora al carcere di Torre del Gallo dalla sua inaugurazione, nel 1992, ricorda il furto nell’ufficio del gestore dello spaccio alla fine degli anni 90. Meno grave, forse, dell’intrusione della scorsa notte nell’ufficio dei vertici, ma molto simile sia per il bottino che per la tecnica usata. Anche in quel caso i ladri entrarono nella struttura scardinando le porte dei sotterranei, attraverso cui fuggirono con 12 milioni di vecchie lire. Ma a mettere in discussione l’inviolabilità di Torre del Gallo è anche l’elenco delle evasioni dei detenuti, tre in sei anni. La fuga del camorrista nel 1997. Nel mese di agosto del 2007 Giancarlo Gallucci, un camorrista di 29 anni di Acerra, fugge confondendosi tra i parenti dei detenuti, con in braccio il figlio di quattro anni. L’evasione avviene durante una delle sei visite mensile di cui l’uomo può usufruire. Al temine della visita, esce come se niente fosse mescolandosi tra i parenti degli altri detenuti. Qualche ora dopo viene bloccato alla stazione di Bologna. I vertici del carcere e alcuni agenti finiscono sotto inchiesta, ma vengono alla fine prosciolti. Nel 2010 evade un killer della sacra corona unita. La seconda evasione si verifica nel mese di novembre del 2010. Valerio Paladini, killer della sacra corona unita, esce dalla palazzina delle celle a mezzogiorno insieme ad altri detenuti per andare in palestra. All’improvviso si stacca dal gruppo e, attraverso una scala appoggiata al muro, si cala giù oltre la recinzione. Viene catturato cinque ore dopo in una cascina del Cassinetto. Agosto 2013, cinque ore di libertà. Gjoke Aroni, un albanese di 23 anni, residente a Broni, si cala dal muro di cinta del carcere di Torre del Gallo con una corda e fugge nei campi di mais. Dopo cinque ore di libertà gli agenti della polizia penitenziaria lo rintracciano e arrestano vicino a un bar a Valle Salimbene. Siamo pochi… così non si può vigilare “Un episodio strano, che mi lascia molto perplesso”. Luigi Pagano, per anni provveditore alle carceri della Lombardia, commenta la vicenda in veste di vice capo della Direzione amministrativa penitenziaria. La notizia del carcere violato dai ladri lo ha raggiunto a Roma, dove ieri mattina era in corso una riunione con l’attuale provveditore della Lombardia, Aldo Fabozzi. Che ha dovuto lasciare la capitale in fretta per rientrare in sede e affrontare il clamore suscitato dalla vicenda. “Se ho capito bene nella cassaforte non c’era nemmeno poi così tanto - aggiunge Pagano. Comunque bisogna prima attendere le conclusioni degli investigatori, poi possiamo fare delle valutazioni”. I sindacati, invece, non aspettano che si scopra l’autore del misfatto. Ciò che è successo nella notte tra martedì e mercoledì nell’edificio che dovrebbe essere il più protetto della città, basta e avanza a scatenare le polemiche. “Tra qualche settimana aprirà il nuovo padiglione che dovrà accogliere altri 300 detenuti - attacca Gianluigi Madonia, della direzione nazionale Uilpa penitenziari - e noi dobbiamo fare i conti con carenze di personale e con una direzione che non ascolta e non recepisce i modelli di sorveglianza proposti dal Dipartimento. È come se a livello centrale si andasse con una Ferrari mentre sul territorio siamo ancora fermi ai mezzi di trasporto del Cinquecento”. L’apertura del nuovo padiglione, prevista per il 25 settembre, è slittata ai primi di ottobre. “Ma il 24 saremo comunque presenti davanti al carcere con un presidio - dice Fabio Catalano, della Fp Cgil. Da mesi stiamo sollecitando l’amministrazione a incontri per affrontare il problema degli organici, inadeguati, e dell’organizzazione. Questo episodio testimonia la situazione di grave deficit dell’istituto di Pavia soprattutto in relazione all’apertura del padiglione nuovo, per il quale da Roma non è stata prevista nessuna nuova assegnazione. In altre parole, non saranno aggiunti agenti nonostante l’incremento dei detenuti”. Salvatore Giaconia, dell’Osapp, solleva il problema dell’assenza di telecamere, “presenti soltanto nelle zone dei detenuti, dal muri di cinta verso l’interno - dice -. All’esterno non c’è niente e nemmeno nell’area degli alloggi del personale. La direzione non ha mai pensato di mettere un impianto che potesse garantire un minimo di sicurezza. Ipotesi sull’autore del furto? Sicuramente qualcuno che conosce bene il carcere”. Bari: carcere di Borgo San Nicola, da oggi celle aperte durante il giorno per 50 detenute di Antonio Della Rocca Corriere del Mezzogiorno, 20 settembre 2013 Celle aperte, da oggi in avanti, per i detenuti del penitenziario leccese di Borgo San Nicola che potranno trascorrere otto ore al giorno fuori dalle anguste stanze di prigionia, appropriandosi di spazi più ampi in cui socializzare e, forse, patire meno il gravame afflittivo della detenzione. Si comincia con un gruppo di circa 50 donne detenute in regime di media sicurezza, poi si andrà avanti concedendo il beneficio ad ampia parte della popolazione carceraria. La casa circondariale leccese, secondo il direttore dell’istituto di pena, Antonio Fullone, è fra le prime strutture italiane ad adeguarsi alle disposizioni con cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dato l’input affinché si crei un regime carcerario pesante. Tema, quest’ultimo, particolarmente caro al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che più volte è intervenuto sulla necessità di migliorare le condizioni di vita nelle carceri, arrivando a manifestare apertamente la sua mortificazione dopo la sentenza con cui lo scorso 8 gennaio la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per il trattamento inumano e degradante di sette carcerati reclusi nei penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza. La dilatazione della canonica ora d’aria all’interno del carcere di Lecce può, quindi, considerarsi conseguenza della severa bacchettata dei giudici di Strasburgo prima ancora che delle norme ministeriali. A Borgo San Nicola, tuttavia, il processo di adeguamento alle nuove disposizioni sarà graduale. Entro un anno saranno circa 900, su un totale di oltre un migliaio, i detenuti cui sarà concesso di passeggiare e sostare per buona parte del giorno fuori dalle celle, nei corridoi e negli spazi comuni. Inoltre, sul tavolo del direttore ci sono diverse proposte avanzate da associazioni e da altri organismi che vorrebbero avviare attività didattiche e culturali per i carcerati. “Stiamo valutando quali e quante iniziative attuare - riferisce Antonio Fullone - perché occorre anche riempire in modo costruttivo il tempo che i detenuti trascorrono fuori dalle loro celle”. Nel carcere di Lecce sono detenute attualmente circa 1.100 persone a fronte di una capacità di accoglienza di 700 individui. Una situazione di sovraffollamento cui si dovrebbe porre rimedio con la costruzione, da tempo annunciata, di un nuovo plesso carcerario. A Borgo San Nicola vi è una quota non trascurabile di reclusi costretti a vivere in tre all’interno di celle ampie nove metri quadrati. A malapena entro i limiti minimi al di sotto dei quali la detenzione diventa inumana oltre che inaccettabile in paese civile. Catania: visita ispettiva al carcere di Piazza Lanza della Senatrice Ornella Bertorotta www.justicetv.it, 20 settembre 2013 Il carcere di Piazza Lanza di Catania è stata al centro dell’attenzione della procura di Catania per riportare un ambiente di civiltà molte volte denunciato da più parti. La senatrice Ornella Bertorotta ha effettuato una visita ispettiva per toccare con mano quale era la condizione della struttura penitenziaria. Un sopralluogo che ha permesso di constatare i primi passi avanti verso un ridimensionamento del fenomeno delle porte girevoli e soprattutto del grande problema del sovraffollamento. “Attraverso l’applicazione di questi provvedimenti - spiega Ornella Bertorotta - sono riusciti a portare i detenuti da oltre 600 a quasi 400, permettendo così che in ogni cella dove prima stavano anche in 10 ora vivono 6 - 7 detenuti. Inoltre ho visto una struttura abbastanza pulita e organizzata. Nella mia visita sono stata accompagnata dal vicedirettore che mi ha anche illustrato le varie iniziative di reinserimento lavorativo e sociale dedicate ai detenuti”. Ornella Bertorotta ha chiesto all’amministrazione di Piazza Lanza di poter visionare il bilancio in modo da poter comprendere come vengono utilizzati i fondi pubblici. “È nostro intento capire come vengono gestite le risorse - aggiunge ai microfoni di Justice Tg - e non solo per questo istituto penitenziario. Ho in cantiere nuove visite ispettive nel carcere di massima sicurezza di Augusta e in quello di Bicocca, è importante guardare e toccare con mano come è gestito e amministrato il sistema carcerario in Sicilia”. Roma: Coordinamento Nazionale Teatro Carcere, una firma per detenuti in cerca d’autore di Francesco Mattana Vita, 20 settembre 2013 Siglato presso l’Issp il protocollo che coordina l’attività dei 39 aderenti al Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere. A Roma, presso la sede dell’Issp (Istituto Superiore di Studi Penitenziari), è stato firmato il protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) e il Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere, che sancisce l’unità di intenti tra i due organismi. Un passo importante, che riconosce in maniera ufficiale l’importanza dell’attività di teatro in carcere - come testimonia anche il capolavoro dei Fratelli Taviani “Cesare deve morire”, Orso d’oro al Festival di Berlino - e rafforza il coordinamento delle diverse esperienze di drammaturgia che negli ultimi anni si sono affermate in oltre cento istituti penitenziari italiani. Nello specifico, il Coordinamento Nazionale Teatri in Carcere si impegna a: 1. Garantire l’attivazione di iniziative sia di carattere prettamente teatrale, sia di carattere formativo, nell’ambito della formazione professionale legata alla realizzazione degli spettacoli 2. Utilizzare le riviste specializzate per la diffusione delle manifestazioni teatrali che vedranno protagonisti i detenuti 3. Collaborare all’attività di studio e ricerca dell’Issp a sostegno di un’attività formativa finalizzata a creare uno stabile coordinamento delle diverse esperienze teatrali 4. Favorire il coinvolgimento delle realtà associate al proprio circuito organizzativo 5. Realizzare attività concertate tra i responsabili delle Compagnie aderenti al Coordinamento e i Dirigenti Penitenziari preposti ai singoli istituti penitenziari coinvolti L’Amministrazione Penitenziaria, da parte sua, si impegna ad inserire la “Drammaturgia penitenziaria” quale disciplina di studio , qualora risulti coerente con gli obiettivi dei corsi di formazione programmati dagli operatori penitenziari. Alla cerimonia hanno preso parte le seguenti autorità: Giovanni Tamburino, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; Massimo De Pascalis, Direttore generale dell’Issp; Vito Minoia, Presidente del Coordinamento Nazionale del Teatro in Carcere. Una riflessione - quella sull’importanza della recitazione per alleviare il dolore della pena - cominciata il 27 novembre 2012 durante il convegno “La Drammaturgia Penitenziaria”, anch’esso svoltosi presso l’Issp. Da quella giornata è emersa la volontà comune di realizzare uno stabile coordinamento delle diverse esperienze teatrali. Sono 112 le realtà censite dal Dap che svolgono attività di questo tipo in carcere. Di queste, 39 aderiscono al Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere - che è nato nel 2011, e raccoglie soggetti attivi in 13 regioni italiane. Emerge dal protocollo l’intento di allargare il raggio non fermandosi solo al teatro, ma completando il quadro formativo dei detenuti con attività cinematografiche, culturali ed artistiche. Il protocollo d’intesa, firmato dal Presidente Tamburino e dal Professor Minoia, ha durata triennale. Rinnovabile, se gli organismi in questione decideranno di proseguire il cammino comune. Cagliari: Sdr; carcere Buoncammino non chiuderà, nonostante nuova megastruttura Uta Ristretti Orizzonti, 20 settembre 2013 “Nonostante la ormai prossima apertura della megastruttura di Uta, il carcere di Buoncammino non chiuderà. Lo storico edificio, nei progetti del Ministero della Giustizia, sembra destinato infatti ad ospitare gli Uffici della Esecuzione Penale Esterna e del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme, avendo appreso che “i lavori per ultimare il nuovo penitenziario di Uta hanno subito un’accelerazione per consentire entro l’anno al Ministero delle Infrastrutture di consegnare l’opera a quello della Giustizia nella prospettiva di una sua apertura entro la primavera dell’anno prossimo”. “Nonostante le sollecitazioni e l’impegno dei lavoratori delle ditte di appalto e subappalto e dei detenuti, che da alcune settimane stanno sistemando gli arredi delle celle, difficilmente - sostiene la presidente del SDR - la nuova struttura sarà operativa entro il 2013. Alcuni evidenti ritardi infatti non consentiranno l’inaugurazione della nuova Casa Circondariale in tempi brevi, come vorrebbe il Ministero. Non sono ancora stati ultimati i locali che dovranno ospitare gli alloggi e la mensa degli Agenti della Polizia Penitenziaria, due dei Padiglioni indispensabili per la sua funzionalità. Con il cantiere ancora aperto il nuovo “Villaggio penitenziario”, articolato in diversi edifici e arricchito da vaste aeree a verde, in parte da utilizzare per l’orticoltura, non sarà agibile neanche per accogliere i detenuti e neppure il personale delle aree amministrativa, educativa e sanitaria. Quest’ultima conta oltre un centinaio di persone. Risulterebbe infatti impossibile garantire la sicurezza e l’efficienza del servizio”. “La prima fase del nuovo agglomerato - afferma ancora Caligaris - sarà dedicata agli allestimenti degli spazi interni e alle dotazioni. Oltre all’arredamento delle celle e degli Uffici, la parte più delicata e impegnativa è rappresentata dall’area sanitaria. Una parte considerevole delle apparecchiature del Centro Diagnostico Terapeutico di Buoncammino necessita ormai di una totale sostituzione per il mancato aggiornamento degli ultimi anni. L’Azienda Sanitaria Locale dovrà quindi provvedere a dotare il Centro Clinico di strumenti diagnostici adeguati. Dovrà inoltre provvedere a disporre un servizio ambulanze per far fronte alle emergenze. La distanza dai principali Ospedali infine imporrà un aggravio di spese in occasione delle visite specialistiche. Non è stato neppure ancora risolto il problema dei miasmi maleodoranti provenienti dalla vicina azienda per lo smaltimento dei residui delle carcasse degli animali”. “Uno dei pochi padiglioni pronti del “Villaggio Penitenziario” è quello destinato ai detenuti in regime di massima sicurezza. È tuttavia impensabile che il Ministero possa inaugurare il nuovo carcere di Cagliari aprendo soltanto qualche struttura e consentendo agli operai di ultimare i lavori. Anche l’idea di una permuta del vecchio Buoncammino con altri edifici di proprietà del Comune di Cagliari per gli uffici del Prap non sembra perseguibile per i vincoli a cui è soggetto l’edificio ottocentesco. L’auspicio - conclude Caligaris - è che la nuova sede per i detenuti non presenti i problemi che Massama e Bancali hanno manifestato. Ma per queste verifiche occorrerà aspettare ancora un po’”. Reggio Calabria: Longo (Prc); riapre carcere Laureana di Borrello, un riscatto importante Asca, 20 settembre 2013 “La riapertura del carcere Luigi Daga di Laureana di Borrello rappresenta un riscatto importante per la nostra terra, troppo spesso sedotta da promesse e passerelle e quasi sempre abbandonata al proprio destino”. Lo ha dichiarato Giuseppe Longo (Prc), consigliere provinciale di Reggio Calabria. “Una soddisfazione personale e norme condivisa con il comitato spontaneo “Salviamo il carcere di Laureana”, che non si è mai arreso di fronte alla chiusura del primo istituto italiano a custodia attenuata - dice Longo - in grado di offrire ai detenuti, come alternativa al percorso detentivo tradizionale, un cammino di riflessione consapevole finalizzata al reinserimento sano nella società. L’assurda motivazione della carenza di personale, alla base del provvedimento di chiusura, era, oltre che assurda , irricevibile, in quanto penalizzava ulteriormente la Piana di Gioia Tauro e la sua economia reale, già colpita da una politica regionale e nazionale lontana anni luce dalle vere emergenze sociali del nostro territorio”. Taranto: Sappe; sprecate ingenti risorse per edilizia, ma mancano perfino sedie Ansa, 20 settembre 2013 Gli agenti di Polizia penitenziaria impiegati nel carcere di Taranto "non possono nemmeno sedersi poiché le sedie sono rotte e non si possono sostituire sempre perché non ci sono soldi". E' quanto denuncia in una nota Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria", secondo il quale sono state sprecati ingenti risorse dall'amministrazione penitenziaria con "propaganda di facciata". Pilagatti ricorda che sono stati stanziati "in due anni circa dieci milioni di euro per costruire una nuova sezione che ospiterà circa duecento detenuti" e nel giro di pochi mesi con un intervento "di decine se non centinaia di migliaia di euro, si sta ripristinando una sezione detentiva che potrà ospitare non più di una quarantina di detenuti". Ma l'amministrazione penitenziaria, attacca Pilagatti, nel contempo "non ha soldi per una manutenzione ordinaria di un carcere che ospita più di 600 detenuti, il doppio di posti disponibili, e che sta quasi collassando con cancelli rotti e pieni di ruggine, stanze dei detenuti dove entra l'acqua quando piove, mezzi per le traduzioni dei detenuti insufficienti, obsoleti e fermi nelle officine per mancanza di fondi". Se non si interviene con urgenza, conclude il segretario del Sappe, "quando la nuova sezione sarà terminata ci saranno circa duecentocinquanta posti nuovi, ma il carcere andrà in macerie". Forlì: missione a Bucarest per lo scambio di buone prassi nei sistemi penitenziari europei www.forlitoday.it, 20 settembre 2013 Una delegazione forlivese ha partecipato, la scorsa settimana, ad una missione a Bucarest per lo scambio di buone prassi nell’ambito dei sistemi penitenziari europei. La missione, della durata di 6 giorni, ha previsto la partecipazione di sei persone, tre delle quali provenienti dal nostro territorio. In particolare, hanno partecipato Palma Mercurio, direttrice della casa circondariale di Forlì, Lia Benvenuti direttore generale di Techne, ente di formazione che opera all’interno del carcere di Forlì e Cinzia Fontana, responsabile di progettazione del medesimo ente. Techne ha partecipato alla missione in qualità di socio fondatore del Consorzio Open, soggetto che opera a livello nazionale, in numerose carceri italiane, per promuovere il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti. Alla delegazione si è aggiunto anche il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria dell’Emilia Romagna, Pietro Buffa. La missione, finanziata nell’ambito di un progetto europeo Leonardo da Vinci Mobilità, aveva lo scopo di trasferire conoscenze e scambiare buone pratiche nell’ambito dei sistemi penitenziari europei. Ospite dell’Amministrazione Nazionale Penitenziaria Rumena, la delegazione ha visitato tre dei più grandi carceri rumeni con i rispettivi ospedali penitenziari ed ha realizzato numerosi incontri con le direzioni penitenziarie e le Organizzazioni non governative operanti all’interno delle carceri rumene. “L’esperienza di alto valore ed interesse - sottolinea Palma Mercurio direttrice del carcere di Forlì - ci ha permesso di toccare con mano un sistema penitenziario che, nonostante le comuni difficoltà dovute alla crisi economica ed al sovraffollamento, riesce ad assicurare un alto livello di informatizzazione che garantisce un processo informativo per il detenuto chiaro e funzionale. È stato un importante momento formativo e di arricchimento professionale - continua la Mercurio - che ci ha permesso di conoscere da vicino un sistema carcerario diverso dal nostro ma dal quale possiamo trasferire buone pratiche ed idee innovative funzionali al nostro territorio”. “Significativi - chiarisce Lia Benvenuti, direttore generale di Techne - sono anche i numerosi interventi riabilitativi per i detenuti che vengono attivati in Romania, così come peraltro già da anni nel carcere di Forlì; attraverso attività laboratoriali e formative infatti le carceri rumene offrono numerose possibilità di imparare un mestiere, importante volano per un reingresso nella legalità e nella comunità sociale. Il grande valore aggiunto del sistema penitenziario rumeno - continua la Benvenuti - è che i detenuti vengono impegnati in tali attività fuori dalle proprie celle per molte ore della giornata, permettendo così alla persona di arricchire il proprio bagaglio professionale e migliorando al contempo lo stato psicologico”. Techne, che da decenni si occupa di formazione ed inserimento lavorativo per i detenuti della casa circondariale di Forlì, era a capo della delegazione che durante la settimana ha incontrato le massime cariche nazionali dell’Amministrazione Penitenziaria Rumena facente capo al Ministero di Giustizia nazionale. Sanremo (Im): Sappe; permangono violazioni e criticità, pessima organizzazione del lavoro www.sanremonews.it, 20 settembre 2013 Restano molte le problematiche e le violazioni nel carcere di Valle Armea: a denunciarlo è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, che ha incontrato in assemblea i poliziotti in servizio a Valle Armea. “Le principali contestazioni sono state indirizzate all’organizzazione del lavoro e alla mancata adozione di adeguati provvedimenti nei confronti dei detenuti che si rendono protagonisti di eventi critici” spiega il Segretario Generale Aggiunto Sappe Roberto Martinelli. “Gli agenti lavorano per mesi nella stessa sezione detentiva, nello stesso posto di servizio, violando il principio della rotazione. Vi sono unità assegnate in taluni posti di servizio senza interpelli e senza criteri di trasparenza e funzionalità, come nel caso del fantomatico Padiglione “Zeta” (addetto alla custodia dei collaboratori di giustizia). E in più, se un detenuto si rende responsabile di eventi critici - atti di autolesionismo, risse, colluttazioni - non si adottano adeguati strumenti di contrasto a livello disciplinare, come anche il trasferimento in altra sede. Addirittura, in alcuni casi, sono stati gli Agenti che hanno fatto rapporto disciplinare al detenuto ad essere assegnati in altri posti di servizio”. Il Sappe denuncia anche “il costante ricorso alle contestazioni disciplinari nei confronti dei poliziotti penitenziari in servizio a Sanremo, metodologia assolutamente disdicevole che di fatto sembra essere l’unico strumento di controllo e gestione del Personale, al quale si contrappone la pressoché totale assenza di segnalazioni alla Commissione per le Ricompense del Dap per la valutazione di una ricompensa come riconoscimento di applicazione e di impegno professionali che vanno oltre il doveroso espletamento dei compiti istituzionali dei poliziotti di Sanremo visto anche l’alto numero di eventi critici che si verificano”. Martinelli, che annuncia una protesta del Sappe ai vertici del Dap su quanto accadrebbe a Sanremo, ricorda infine che “la provincia di Imperia ha complessivamente oltre 610 soggetti coinvolti a vario titolo nell’esecuzione della pena: 450 nelle carceri di Sanremo e Imperia e 176 nel ‘carcere invisibile’ delle misure alternative e di sicurezza e di altre misure sostitutive della detenzione”. Nuoro: convegno “Una questione di prepotente urgenza… carcere, ergastolo e riforme” Ansa, 20 settembre 2013 L’Italia ha incassato una condanna della Corte Europea sui Diritti Umani, il sovraffollamento delle carceri continua ad esser un problema irrisolto. Questi ed altri problemi, tra cui l’ergastolo ostativo e le iniziative per le riforme della giustizia, al centro di un dibattito organizzato per questo pomeriggio a Nuoro dai Garanti dei detenuti di Sassari e Nuoro, con l’Ordine degli Avvocati di Nuoro e la Cooperativa Sociale Lariso. Il convegno “Una questione di prepotente urgenza. Carcere, ergastolo e riforma della giustizia”, prende spunto dalla lettera aperta del professor Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Ferrara, ed inviata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che aveva risposto evidenziando l’attenzione e la preoccupazione per il tema della giustizia e quello del suo drammatico punto di ricaduta, la realtà carceraria. Relatori saranno Franco Corleone, coordinatore nazionale dei garanti, Stefano Anastasia, presidente onorario di Antigone, e Adriana Carta magistrato di Sorveglianza di Nuoro. Interverranno Gianfranco Oppo e Cecilia Sechi, garanti dei detenuti di Nuoro e Sassari, e Giuseppe Conti, vicepresidente dell’Unione Camere penali italiane. Garanti al lavoro (La Nuova Sardegna) L’ufficio del Garante dei detenuti del comune di Nuoro e l’ufficio del garante dei detenuti del comune di Sassari, in collaborazione con la scuola forense, l’ordine degli avvocati di Nuoro e la cooperativa sociale Lariso Onlus, organizzano il convegno “Una questione di prepotente urgenza”, carcere, ergastolo e riforma della giustizia” che si terrà domani, alle 16, nell’auditorium della Camera di commercio nuorese. “Il titolo del convegno - spiega, il garante dei detenuti per il Comune di Nuoro, Gianfranco Oppo - prende spunto dalla lettera aperta stesa dal professor Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Ferrara, e inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel giugno 2012. La lettera-aperta è stata sottoscritta da 120 docenti universitari di materie giuridiche, da 16 garanti dei detenuti tra cui quello del Comune di Nuoro e vi hanno aderito 1598 persone. Il presidente ha risposto evidenziando la preoccupazione per il tema della giustizia e quello del suo punto di ricaduta, la realtà carceraria”. Da allora ben poco è accaduto e tutti gli interventi sono risultati blandi e poco significativi. Il sovraffollamento continua ad essere un problema irrisolto. Questi e altri problemi saranno oggetto del dibattito di domani. Tra i relatori Franco Corleone, coordinatore nazionale dei garanti, Stefano Anastasia, presidente onorario di Antigone, e Adriana Carta, magistrato di Sorveglianza di Nuoro. Introdurranno i lavori Gianfranco Oppo e Cecilia Sechi, garanti dei detenuti del Comune di Nuoro e di Sassari. Ginevra: niente grazia a detenuto più anziano, 89enne con tumore alla prostata e demenza www.tio.ch, 20 settembre 2013 L’89enne, che soffre di tumore alla prostata e demenza, deve scontare 10 anni per aver violentato la figlia adottiva. Il Gran Consiglio ginevrino si è rifiutato oggi di concedere la grazia al più anziano detenuto della Svizzera, condannato nel 2010 a dieci anni di carcere per aver violentato la sua figlia adottiva. I deputati hanno seguito il punto di vista della commissione, che considera i fatti particolarmente gravi. L’89enne, che soffre di tumore alla prostata ed è affetto da demenza, sconta attualmente la sua pena presso l’unità carceraria dell’ospedale universitario di Ginevra (Hug), dove è sottoposto a cure palliative. Il legislativo cantonale aveva già respinto una sua domanda di grazia nel 2012. Russia: Putin; non escludo amnistia per oppositori in carcere a seguito manifestazioni Tm News, 20 settembre 2013 Vladimir Putin “non esclude l’amnistia” per gli oppositori che si trovano in carcere per il cosiddetto “caso Bolotnaya”, ovvero in seguito alla manifestazione sfociata in scontri a maggio 2012, subito dopo il suo terzo insediamento alla presidenza. Lo ha dichiarato alla riunione annuale del Valdai club, forum di dibattito organizzato da Ria Novosti, a cui Tm News partecipa. Cile: Isabel Allende; basta “carceri dorate” per condannati dittatura La Presse, 20 settembre 2013 Le persone condannate per violazioni dei diritti umani nel corso della dittatura in Cile dovrebbero essere trasferite in carceri normali, fuori dalla lussuosa prigione in cui stanno scontando le loro condanne. Così Isabel Allende, scrittrice e figlia dell’ex presidente cileno Salvador Allende, morto durante il colpo di Stato militare del 1973 che rovesciò il suo governo e instaurò la dittatura. Nel corso di un’intervista rilasciata ad Associated Press, la senatrice Allende attacca inoltre uno dei prigionieri a cui fa riferimento, l’ex capo dello spionaggio cileno Manuel Contreras. In occasione del 40esimo anniversario del golpe, lo scorso 11 settembre, Contreras aveva dichiarato che le migliaia di desaparecidos causati dalla dittatura erano guerriglieri di sinistra uccisi in combattimento. “Ascoltare Contreras è disgustoso, mente senza vergogna e le sue dichiarazioni sono, ovviamente, uno schiaffo alle famiglie delle vittime e alla verità. Francamente, è ripugnante”, ha commentato Allende, secondo cui le parole di Contreras dimostrano che l’ex capo dello spionaggio del generale Augusto Pinochet non merita alcun privilegio. Il presidente cileno Sebastian Pinera ha fatto sapere di stare valutando la possibilità di chiudere la prigione di Contreras, in cui i detenuti possono usufruire di campi da tennis, passeggiare in giardini e guardare la tv via cavo. Gran Bretagna: dal 2014 divieto di fumo nelle carceri di Inghilterra e Galles www.ilmondo.it, 20 settembre 2013 Per il timore di cause di risarcimento del personale penitenziario vittima di fumo passivo. Vietato fumare in tutte le prigioni di Inghilterra e Galles. Questo il progetto pilota che verrà lanciato all’inizio del prossimo anno dalle autorità britanniche, per il timore di costose cause di risarcimento da parte del personale penitenziario vittima di fumo passivo. Il divieto entrerà in vigore in tutti i penitenziari nell’arco di 12 mesi. Ai detenuti verranno garantiti cerotti di nicotina per aiutarli a smettere di fumare e scongiurare eventuali proteste. “Non sono sicuro che sia il momento giusto - ha commentato una fonte del sistema penitenziario al Times - la situazione nelle carceri è tesa e si prevedono ulteriori tagli all’occupazione”.