Giustizia: sull’abolizionismo un dibattito aperto di Domenico Letizia L’Opinione, 15 settembre 2013 La necessità dell’azione dei Radicali e di Marco Pannella in questo paese è di estrema necessità, non solo per la difesa del diritto e della politica, ma soprattutto per l’approccio culturale e metodologico che il movimento radicale ancorato alla sua estrema concretezza non sa di donare ma che invece instaura nelle teste e nelle coscienze delle persone e del popolo. Pensiamo alla questione giustizia, carceri ed ergastolo, argomenti tabù in questo paese ancorato ai conservatorismi di destra e di sinistra, eppure nonostante un Grillo al 25% che parla di “patrie galere” come alberghi a 5 stelle o l’istinto comune che vede nell’ergastolo la sensata punizione per chi compie eclatanti azioni criminali, nonostante questo magma culturale imposto e non costruttivo nel nostro paese sempre più persone si recano a firmare i referendum radicali sulla giustizia giusta, in tanti iniziano a capire la necessità dell’amnistia e dal mondo della cultura in molti iniziano a muoversi per l’abolizione dell’ergastolo, “in primis” Umberto Veronesi. Non è tutto, con un ragionamento storico - mentale pensiamo ad un paio di anni fa, nulla avrebbe fatto meditare ad un simile dibattito intorno al tema della giustizia, delle carceri e dell’ergastolo. La particolarità da notare, e che non può non essere evidenziata, è il diffondersi nel dibattito culturale tra gli animatori e gli appassionati “alla materia” del tema dell’abolizionismo, concreta proposta politica - antropologica che vede nel carcere, in qualsiasi dimensione o struttura un danno e un ingiustizia per l’individuo vivente e pensante. Oggi tali proposto di discussione non vengono solo dagli ambienti dei circoli libertari o dalle federazioni anarchiche sparse per il territorio nazionale ma sono elemento di dibattito in varie associazioni e movimenti e stesso all’interno della galassia radicale come non accadeva da decenni. L’irrompere della “prepotente urgenza” della giustizia, da decenni denunciata dai radicali, ma solo dalle ultime politiche, con la presentazione delle liste “Amnistia Giustizia Libertà”, agenda prioritaria in casa radicale ha permesso negli anni gelidi della crisi economia e delle problematiche legate alla gestione europea dell’economia dell’Euro di poter parlare di diritti civili e libertà individuale a partire proprio dagli ultimi di questo sistema, i detenuti. Tale prospettiva di probabile percorso storico è da analizzare e da tener fortemente in considerazione poiché l’impatto di tale dibattito sulle forze della sinistra laica potrebbe ridar vigore a quell’anima della sinistra socialista, liberale e libertaria che da decenni è vive all’ombra dell’altra sinistra quella post e neo - marxista, statalista, autoritaria e giustizialista. Il garantismo e successivamente l’abolizionismo, insomma, come primo passo per risvegliare una sinistra laica e libertaria che diventi di nuovo protagonista della storia di questo paese, come il socialismo libertario del novecento ricorda, riuscendo a dar un nuovo slancio e nuove prospettive anche all’agenda politica di questo paese. Riuscire ad ottenere l’amnistia, l’abolizione dell’ergastolo ed una radicale riforma della giustizia, espressione dei referendum radicali, deve essere visto come quella linea che dal giustizialismo becero dei conservatorismi, di tutti i colori, conduce alla presa di coscienza della necessità di una società più libera e antiautoritaria, la società sinceramente e spontaneamente libertaria a partire proprio dal cambiamento delle sue strutture gerarchiche e repressive, strutture che girano proprio attorno alle tematiche della giustizia e delle “patrie galere”. Giustizia: nelle carceri sofferenza e inciviltà di Rita Faletti www.radiortm.it, 15 settembre 2013 Alcuni dei referendum radicali hanno rimesso il dito su alcune delle più dolorose piaghe del nostro paese: la situazione carceraria e i diritti umani. Ormai tutti sanno delle condizioni inumane vissute dai detenuti in Italia. A cominciare dallo spazio (4 metri quadrati sono la misura standard stabilita per ogni detenuto) di gran lunga inferiore a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo, visto che le carceri italiane sono in grado di ospitare circa 47mila detenuti mentre, stando ai dati del Ministero della Giustizia, ne contengono oltre 66mila. Sovraffollamento quindi, per non parlare delle condizioni igienico sanitarie degne delle galere brasiliane. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha già rivolto all’Italia un appello perché acceleri i tempi per la soluzione del sovraffollamento e ci ha condannato a risarcire 100mila euro per danni morali a 7 detenuti rinchiusi nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza dove la popolazione carceraria è il doppio di quanto dovrebbe. Intanto, dopo la sentenza di Strasburgo, i detenuti che hanno fatto ricorso sono diventati un migliaio. Così al problema del sovraffollamento si aggiunge quello del risarcimento. Eppure non è da ieri che lo stato di degrado nelle carceri ha superato il livello di guardia, e non è da ieri che Marco Pannella e i radicali, da sempre gli unici sensibili al problema, cercano, anche attraverso i reiterati scioperi della fame e della sete, di scuotere dal letargo colpevole i politici e rendere consapevole l’opinione pubblica di questa realtà, di tutte la più vergognosa. Qual è la risposta politica? È il decreto “svuota carceri” che stabilisce una doppia linea di intervento: favorire l’uscita dal carcere di chi ha parzialmente scontato la pena ed è ritenuto non pericoloso e offrire la possibilità che i condannati scontino pene alternative alla detenzione. La toppa è peggio del buco. Di fatto, il decreto “svuota carceri” così come amnistie varie e indulti, non ha alcun senso, se prima non si affronta una questione ben più grave e lesiva dei diritti dell’uomo, in primis il diritto fondamentale alla libertà. Mi riferisco alle 26mila persone in stato di custodia cautelare che, in attesa della sentenza definitiva, sono in carcere in condizioni incivili. Secondo l’Osservatorio Antigone, delle oltre 66.685mila persone detenute al 31 ottobre 2012, ben 26804mila (40,1%) scontavano una condanna definitiva, ma erano ancora in custodia cautelare. Dato sconvolgente se comparato con la media europea che è del 28,5%. La custodia cautelare è un strumento di emergenza trasformato in una sorta di anticipazione della pena che una volta si chiamava, meno ipocritamente, carcerazione preventiva. La carcerazione preventiva aveva la funzione di impedire la fuga, l’inquinamento delle indagini, o la reiterazione del comportamento di una persona la cui colpevolezza era ancora da dimostrare, ma su cui gravavano seri sospetti. Oggi ti può capitare, come spesso riporta la cronaca, di essere sbattuto dietro le sbarre da innocente, perché qualche magistrato “diligente” si è dimenticato di verificare tutte le circostanze di cui sopra, in barba alla presunzione di innocenza e con l’aggravio dell’insopportabile sovraffollamento. Aboliamo la carcerazione preventiva e così l’ergastolo, definito dalla Corte di Strasburgo una violazione dei diritti umani se non prevede alcuna possibilità di liberazione anticipata. Risolveremmo così, contemporaneamente, due problemi: il primo attinente alla difesa dei diritti umani come l’art. 27 della Costituzione rivendica, il secondo relativo al mantenimento in carcere di troppi detenuti, nella stragrande maggioranza stranieri. Questi ultimi, dovrebbero essere mandati a scontare la pena nei paesi di origine, soprattutto se macchiatisi di crimini gravi. Tre i vantaggi: vivibilità all’interno delle carceri, abbattimento dei costi esagerati e riutilizzo delle risorse per concreti programmi di rieducazione. Giustizia: Ucpi; da domani cinque giorni di sciopero, anche per emergenza carceri Agi, 15 settembre 2013 Cinque giorni di astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria, da domani al 20 settembre, e, in concomitanza con l'inizio dello sciopero, domani, una giornata di raccolta firme per i referendum sulla giustizia che sarà attuata su tutto il territorio nazionale davanti ai palazzi di giustizia. Il 19 mattina, infine, un incontro con la politica sui temi dell'astensione alla Residenza di Ripetta a Roma. è dura la presa di posizione degli avvocati penalisti "contro una politica sempre più debole sulla giustizia è inadempiente" sull'emergenza carceri". Si tratta, spiega l'Ucpi, di "questioni che andrebbero affrontate con interventi strutturali, e vi sarebbero le iniziative legislative per farlo, ma il Parlamento appare condizionato da fatti di cronaca e da polemiche spicciole i cui effetti si riscontrano nei ritmi alternati di importanti disegni di legge". La protesta dei penalisti, di "forte denuncia politica" affinchè vi sia in Parlamento "una sessione straordinaria sulla giustizia", passa attraverso la battaglia per "restituire un grado minimo di civiltà alle carceri, uno dei punti fondanti del programma di governo", su cui, è l'accusa, "non sono state licenziate fin qui misure davvero efficaci per fronteggiare l'emergenza". La questione del dibattito costituzionale e, comunque, complessivo sul tema giustizia, reclamato da anni e con forza dai penalisti, diventa cosi' tema di stretta attualità "cui la politica è di nuovo chiamata a rispondere". Giustizia: essere genitori anche dal carcere, con il progetto di @uxilia Onlus di Giulia Basso Il Piccolo, 15 settembre 2013 Grazie alle nuove tecnologie di barriere ne sono state abbattute tante. Ora, con un progetto promosso dall’associazione @uxilia Onlus, si tenta di abbattere anche la più resistente: quella rappresentata dall’isolamento carcerario, che oltre ad azzerare la libertà di movimento rende anche complicatissimo mantenere le altre libertà, la comunicazione con i propri familiari al di fuori del carcere in primis. Un peso che avvertono soprattutto i genitori detenuti, privati della possibilità di seguire i propri figli nel loro percorso di crescita. Muove da queste considerazioni il progetto “Detenuti e genitorialità”, seconda edizione, presentato ieri al Coroneo, dove è stato avviato in via sperimentale qualche anno fa. I numeri sono ancora ridotti, si parla di tre detenuti che hanno potuto usufruire del progetto in questa edizione, ma l’idea è di quelle vincenti: mettere in comunicazione tramite Skype i genitori carcerati con gli insegnanti dei figli, per renderli partecipi del loro percorso scolastico, per farli essenzialmente sentire davvero “genitori”. Spiega Massimiliano Fanni Canelles, presidente di @uxilia Onlus: “La nostra associazione svolge principalmente attività umanitarie nei Paesi in via di sviluppo. Proprio in uno dei miei viaggi in Sri Lanka ho fatto un incontro che mi ha indotto ad allargare il raggio d’azione anche in Italia, perché anche qui c’è bisogno di nuove idee in ambito sociale. Ho conosciuto un guerrigliero tamil, un terrorista, che mi ha recitato una frase celebre di Nelson Mandela: i Paesi devono essere valutati non per come trattano i cittadini migliori, ma per come trattano i peggiori”. “È un principio di diritto naturale - prosegue il direttore della Casa circondariale di Trieste Ottavio Casarano - che le colpe dei genitori non debbano ricadere sui figli. Per l’amministrazione penitenziaria è importante tentare di rimuovere le restrizioni nei rapporti che i detenuti hanno con i propri familiari, perché la pena detentiva di per sé dovrebbe limitare soltanto la libertà di movimento. Quello di @uxilia Onlus è un progetto innovativo, un embrione di quello che potrebbe essere l’utilizzo di tecnologie informatiche per favorire la comunicazione anche tra i detenuti con famiglie lontane. Da questo punto di vista Skype potrebbe essere uno strumento che si aggiunge alle ordinarie comunicazioni epistolari e telefoniche”. Ma per farlo, spiega Casarano, sarebbe necessaria una modifica normativa che inserisse anche questa modalità di comunicazione tra quelle autorizzate. “Da parte nostra - conclude - abbiamo potuto testare con mano la grande felicità dei partecipanti a questo progetto, che si sono finalmente sentiti genitori attivi”. Giustizia: assolto dopo sei anni di carcere “speciale”, non ha avuto nessun risarcimento Il Tempo, 15 settembre 2013 Il telefono gracchia. La voce va e viene. Giulio Petrilli è a Belgrado per un lavoro. “Ogni tanto torno in Italia”, spiega. Ma, dal tono, sembra che stia meglio in Serbia. Qui, nel suo Paese, gli hanno rubato sei anni di vita e poi, dopo aver riconosciuto tardivamente l’errore, si sono rifiutati di risarcirlo. Il danno e la beffa. Per un cavillo, il primo comma dell’articolo 314 del codice di procedura penale, che dà ai giudici il potere di decidere se il rimborso va concesso o no. Petrilli fu arrestato il 23 dicembre 1980. L’accusa era pesante: banda armata. I pm sostenevano che era coinvolto nell’organizzazione terroristica Prima Linea. Lui all’epoca era uno studente ventunenne della facoltà di Lettere all’Aquila. In primo grado fu condannato. A otto anni. Ne ha scontati sei, in regime speciale: un’ora d’aria e 23 in cella. Poi, in appello, è stato assolto. La sentenza venne confermata in Cassazione. E Giulio nel maggio dell’86 tornò libero. Anche se la sua vita era ormai devastata. “Mi accusarono di partecipazione a banda armata con funzioni organizzative”, ricorda. Un’accusa pesante, specialmente in quegli anni. Il pm chiese undici anni. La Corte ne “concesse” otto, trascorsi passando da un penitenziario all’altro in un regime peggiore dell’attuale 41 - bis: isolamento totale e sessanta minuti soltanto all’aperto. “Il primo comma del 314 - sottolinea - prevede il rifiuto del risarcimento in caso di colpa grave o dolo. Ma, in realtà, basta una frequentazione sbagliata. Nel caso mio facevo politica e andavo all’università. È una cosa folle perché così il giudizio diventa arbitrario”. In secondo grado, l’assoluzione. “Marco Donat Cattin mi scagionò e venni assolto - continua Petrilli. Allora avviai le pratiche per la riparazione da ingiusta detenzione”. Il primo ostacolo fu il tempo. nel senso che i fatti risalivano a nove anni prima l’entrata in vigore del nuovo codice penale, che prevedeva i rimborsi per errori giudiziarie e ingiuste carcerazioni. “Per questo feci una battaglia che vinsi - spiega ancora Petrilli. Riuscimmo a far passare una legge nazionale che rendeva retroattivo il rimborso”. Il secondo ostacolo venne rappresentato dal parere “discrezionale” dei magistrati. “La Corte d’appello di Milano e la Cassazione mi negarono il risarcimento per i sei anni che avevo passato dietro le sbarre. Non solo. Mi condannare anche a pagare le spese processuali”. Il motivo? Semplice: dietro quelle definizioni di “colpa grave” e di “dolo” ci può essere di tutto. “Nel mio caso dissero che avevo tratto in inganno gli inquirenti frequentando persone di un certo tipo - precisa Petrilli - È una normativa assurda, che non esiste nel resto dell’Unione europea. E il 70 per cento delle domande vengono rigettate con questa motivazione, com’è accaduto per Calogero Mannino. Ma chi vive in quartieri particolari di Napoli o Palermo è normale che possa conoscere qualche pregiudicato. Che vuol dire?”. Ora Petrilli ha presentato, tramite il suo legale Francesco Caterini, un ricorso alla Corte di Strasburgo. “Ma quel comma andrebbe abolito - conclude lui - Dà la possibilità ai giudici di decidere in base a un criterio morale, su chi frequenti. Ma se io sono stato assolto, perché non rispettano la sentenza e basta. E perché i magistrati non pagano mai?” Alcuni invece il risarcimento l’hanno ottenuto…. Gezim Muca finisce in manette nel 1996 per sequestro di persona; trascorre 210 giorni di carcere: la Corte d’appello gli riconosce 120 milioni di risarcimento. Arben Kola, 1996, viene arrestato con l’accusa di sequestro di persona; resta 210 giorni di carcere: riceverà dallo Stato 120 milioni di lire di risarcimento. Dritain Peculi, 1996, sempre per sequestro di persona e sempre con una detenzione che arriva a 210 giorni di carcere, ottiene un assegno di 120 milioni di lire. Ardian Buzzani, 1999, lo fermano per prostituzione; trascorre 21 giorni in un penitenziario: il risarcimento per ingiusta detenzione ammonta a 12 milioni di lire. Anna Iacono, 1992, è indagata per associazione camorristica; in galera ci rimane 270 giorni, l’indennizzo è di appena 12 milioni. Roberto Salmoiraghi, 2006, viene accusato di corruzione dai pm; assolto, ottiene 11mila euro di risarcimento. Gino Protto, 1994, indagato per falso e truffa, sconta 14 giorni di carcere preventivo a fronte dei quali ottiene 11mila euro di risarcimento. Enzo Sindoni, 2012, deve rispondere di truffa: per 22 giorni di carcere, gli riconoscono appena 11mila euro. Gianluigi Centofanti, 2002, finisce dentro per omicidio preterintenzionale; ci resta 120 giorni e alla fine lo Stato lo rimborsa con 112mila euro. Norberto Molini, 1999, è accusato di spaccio di droga; sconta 180 giorni di carcere e viene rimborsato, dalla Corte d’appello, con un assegno da 110mila euro. Klaus Rainer, 1999, viene anche lui sottoposto a fermo per droga; il gip lo lascia 180 giorni in carcere: alla fine, otterrà 110mila euro. Salvatore Pangallo, 1999, per i pm è un picciotto, un uomo d’onore: per 479 giorni di carcere, viene liquidato con 110mila euro. Karl Schweigkofler, 1999, lo mettono sott’inchiesta per droga; passa 160 giorni in stato di detenzione, alla fine, l’assegno è di 110mila euro. Francesco Adesso, 2013, è accusato di violenza; la sua detenzione dura 17 giorni, a fronte dei quali ottiene 10mila euro come “scuse” da parte dello Stato italiano. Claudio Pedicone, 2002, viene indagato per sfruttamento della prostituzione; accusa che gli costa 90 giorni di carcere e che lo Stato quantifica in appena 10mila euro di indennizzo. Luca Delli, 2002, è indagato per reati da paura: omicidio e soppressione di cadavere; si fa 38 giorni di carcere e si ritrova, dopo l’assoluzione, senza scusa e con una “mancia” da 10mila euro. Salvatore Cacace, 2004, lo ritengono colpevole di tentata violenza sessuale; 27 giorni di detenzione valgono 10mila euro. Walter Di Clemente, 2012, finisce in un fascicolo giudiziario per droga con un “soggiorno” detentivo di 12 giorni che vale 10mila euro tondi tondi. Daniele Perrucci, 2012, trascorre 2 giorni di carcere per l’accusa di omicidio, per lui, l’assegno sarà di 10mila euro. Z.C., 1999, un bel giorno si scopre mafioso: trascorre 365 giorni di carcere: dopo la sentenza di assoluzione, passa all’incasso dei 107mila euro di indennizzo. Sergio Marcello Gregorat, 1996, finisce nei guai con l’accusa di violenza sessuale; tutto falso, otterrà 100mila euro di “buona uscita”. Ben Mansour, 2002, lo mettono in galera per terrorismo; dopo 540 giorni di custodia cautelare, ritirerà l’assegno firmato dal ministero del Tesoro: 100mila euro. Così il suo presunto complice, Mohamed Ikbal, 2003, anche lui accusato di terrorismo e anche lui per 540 giorni ospite delle patrie galere: il risarcimento è lo stesso, 100mila euro. Ottavio Zirilli, 2003, è indagato per corruzione; la custodia cautelare si ferma a 80 giorni per 100mila euro di indennizzo per ingiusta detenzione. Pino Torielli, 1993, lo ritengono addirittura un omicida; il suo incubo dura 131 giorni di carcere: il ministero gli riconoscere 100 milioni di lire di indennizzo. Giovanni Martelli, 1993, accusato di spaccio di droga, trascorre 165 giorni di detenzione preventiva: alla fine del processo in Cassazione, chiederà e otterrà 100 milioni di lire. Clelio Darida, 1993, finito nel mirino dei pm con l’accusa di corruzione, trascorre 54 giorni in custodia cautelare: i magistrati gli riconoscono il danno subito e lo liquidano in 100 milioni di lire. Altin Leka, 1997, è sottoposto a fermo con l’accusa di rapina; viene privato della libertà per 450 giorni: il risarcimento è di 100 milioni di lire. Vincenzo Deaglio, 1992, per il reato di abuso ufficio trascorre 25 giorni in stato di detenzione: l’indennizzo? Quasi da ridere: 10 milioni di lire. Ottavio Berardo, 1993, è indagato per rapina; così, trascorre 90 giorni in regime di custodia cautelare: l’errore della giustizia vale, per lui, 10 milioni di lire. Donato Ricci, 1994, viene travolto da una storia di tangenti e passa 7 giorni in carcere: i giudici gli riconosceranno 10 milioni di lire di indennizzo. Vincenzo Campana, 1994, trascorre 75 giorni di custodia cautelare per omicidio: 10 milioni di lire. Dario Ruggiero, 1994, è considerato un armiere dai pm, che lo spediscono 4 giorni in carcere; ricostruzione errata, risarcimento tocca quota 10 milioni di lire. Maurizio Corleone, 1994, è accusato di tentata estorsione; la misura cautelare sfonda il tetto dei 100 giorni (107 in realtà) ma per i giudici sono sufficienti 10 milioni di lire per ristorarlo. Leonard Zaimi, 1999, per i pubblici ministeri sarebbe uno dei capi di un giro di prostituzione; gli fanno fare 76 giorni di carcere, ma poi davanti all’assoluzione, il ministero dell’Economia gli deve 10 milioni di lire di risarcimento. Rudi Poli, 1999, secondo i magistrati, sarebbe un camorrista: le assoluzioni a raffica non gli fanno ottenere più di 10 milioni di lire. Francesco Sossi, 1992, deve rispondere di traffico di armi e ricettazione; 4 giorni di carcere gli “fruttano” 1 milione di lire. Vito Sacconi, 1992, viene ritenuto colpevole di truffa ed estorsione, e per questo sottoposto a una misura cautelare che dura 80 giorni, il risarcimento è tra i più alti mai pagati dal ministero del Tesoro: 1 miliardo di lire. Nicola Siccardi, 2003, finisce sott’inchiesta per corruzione; scattano le manette e una detenzione lunga 180 giorni: sarà risarcito. Naim Stafa, 1998, si ritrova davanti al giudice per violenza sessuale; in totale, trascorre 720 giorni di detenzione: sarà assolto e risarcito. Ines Pagnozzi, 2000, è processata per appartenenza a un clan di camorra; 91 giorni di detenzione, ottiene il risarcimento dopo l’ennesima assoluzione. Terenzio Mué, 2002, deve rispondere di ricettazione, corruzione e truffa; la detenzione è assai lunga: 900 giorni: anche lui, otterrà l’assegno firmato dal ministero del Tesoro. Turi Lombardo, 1994, lo mettono ai ceppi per corruzione e lo lasciano in custodia cautelare per 130 giorni: 210mila euro è l’entità del risarcimento che riesce ad ottenere. Adriana Iacob, 2013, passa 900 giorni di detenzione per l’accusa di omicidio: l’assegno porta questa cifra: 210mila euro. Anastasia Montanariello, 2000, finisce sott’inchiesta per corruzione di minori; sopporta la custodia cautelare, e alla fine le riconoscono 20mila euro; Calogero Giordano, 2004, è imputato per turbativa d’asta, passa 180 giorni di detenzione, e alla fine incassa 20mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione. Gheorghe Florin, 2007, per l’accusa di violenza sessuale “soggiorna” 90 giorni in regime di custodia cautelare: otterrà solo 20mila euro. Donato Privitell i, 2012, sarebbe secondo i pm un corriere della droga: il gip lo lascia 101 giorni in custodia cautelare, salvo poi essere assolto e risarcito con 20mila euro per ingiusta detenzione. Vincenzo Fragapane, 2012, i giudici sono convinti che faccia parte della mafia siciliana: “dona” alla malagiustizia 500 giorni della sua vita, e la magistratura gli restituisce 204mila euro. Antonio Gava, 1993, è l’unico ex ministro dell’Interno finito in un’inchiesta per associazione camorristica: 180 giorni di detenzione domiciliare: assolto, e risarcito da quello stesso Stato che aveva rappresentato per tanti anni con un assegno da 200mila euro, Vincenzo Guarneri, 2004, lo tirano in ballo per una storiaccia di mafia; 780 giorni di detenzione non sono facili da smaltire, ma per i magistrati un assegno da 200mila euro può andar più che bene. Roberto Giannoni, 1992, anche lui è indagato per mafia; la sua detenzione cautelare dura giusto la metà: 365 giorni ma ottiene 200 milioni di lire. Piero Pizzi, 1993, agli occhi dei sostituti procuratori che lo ammanettano sarebbe un tangentista: gli unici soldi che incassa, invece, sono i 200 milioni di lire di risarcimento danni, dopo le assoluzioni. Adriatik Goga, 1994, è indagato per droga e un bel può di reati minori: la custodia cautelare arriva a 440 giorni ma il risarcimento per ingiusta detenzione si ferma a 200 milioni di lire. Salvatore Giambrone, 1993, finisce in galera in un’inchiesta assai complessa: assai facile, invece, è la procedura per ottenere il risarcimento che tocca 20 milioni di lire. Filippo Portaro, 1995, droga, 27 milioni di lire; Filippo Portaro, 1999, droga, 1020 giorni di detenzione, 52 milioni di lire. Sicilia: il Garante dei detenuti; se le carceri sono senza umanità poi niente buoni cittadini www.altratrapani.net, 15 settembre 2013 Per l’on. Salvo Fleres, garante dei detenuti della regione Sicilia, servono “Azioni utili affinché i futuri provvedimenti legislativi possano prevedere un minor ricorso alla carcerazione preventiva ed un maggior utilizzo delle pene alternative al carcere, il Coinvolgimento maggiore degli Enti Locali e delle Istituzioni presenti nei vari territori, il Rifinanziamento del capitolo di bilancio relativo alla realizzazione di attività di lavoro autonomo da parte dei detenuti in espiazione di pena”. Queste le uniche soluzioni possibili per ridurre il sovraffollamento nelle carceri italiane e, soprattutto, le condizioni inaccetabilmente disumane di vita all’interno di queste strutture nonché la reiterazione delle attività criminose da parte dei detenuti che hanno espiato una prima pena. “Secondo uno stereotipo culturale dominante, ma non condiviso, il carcere è un’istituzione necessaria in una società civile. Esso è in questa inserita, ma da essa nettamente separata, in quanto accoglie al suo interno la cosiddetta “parte marcia” dei consociati che ivi vengono reclusi a scontare i loro “peccati”. È quanto scrive nell’ultima recente relazione annuale, Salvo Fleres. “Dunque - prosegue Fleres, il cittadino “onesto” è, o sarebbe, del tutto indifferente alle condizioni di vita dei reclusi ma, a parte il fatto che un incidente di percorso potrebbe capitare a chiunque, non si deve mai dimenticare che la pena non può, né deve, consistere in una forma di vendetta della società, ma deve tendere al recupero di coloro che hanno sbagliato”. L’on. Fleres, invece, ricorda come al “detenuto non deve essere mai privato della sua dignità di essere umano”. Andando al merito della relazione del garante dei detenuti, questa non presenta “novità” rispetto a quello che già si sa: “Le strutture siciliane sono, sotto questo aspetto, ormai al collasso, anche perché, purtroppo, molte sono fatiscenti e ciò rende ancora più gravosa la detenzione. In alcuni istituti si raggiungono cifre impensabili, come nel caso di Piazza Lanza a Catania o all’Ucciardone di Palermo”. Gli investimenti per la costruzione di nuovi padiglioni nelle carceri già esistenti ci sono, ma sono, evidentemente, a carico dell’Erario e delle tasche dei cittadini: 14,3 milioni di euro per creare 200 nuovi posti - letto a Trapani; 13,5 milioni per altrettanti posti a Siracusa; 11,6 milioni sempre per 200 posti ma a Caltagirone; 33 milioni di euro per 450 nuovi posti - letto a Catania; ulteriori 11,6 milioni per ampliamenti in altre carceri siciliane. Ma la situazione è ancora quella: “Dieci/dodici detenuti stipati in una cella di pochi metri quadrati, costretti a fare il turno per poter stare in piedi o per consumare i pasti; senza una branda, perché la cella non la contiene, sono talvolta costretti a dormire per terra. Questo è quanto è possibile vedere visitando le strutture appena citate”. Le conseguenze sono evidenti: “una maggiore esposizione a malattie di tipo contagioso, la difficoltà, alle volte l’impossibilità, di svolgere attività trattamentali, poiché gli spazi in genere destinati alla “socialità” vengono utilizzati per allocare i ristretti. Tutto ciò rende la detenzione inumana e degradante”. È il cane che si morde la coda: condizioni inumane nelle carceri producono esseri asociali e nuovi reati. Perché non intervenire a monte, quindi? Fra una sagra della spingia ed una del melone, i nostri sindaci, i nostri direttori didattici, cosa fanno per il reingresso in società degli ex detenuti? Sicilia: Inca Cgil; nuova MiniASpI stagionale discriminante per i lavoratori detenuti www.siracusanews.it, 15 settembre 2013 “La nuova MiniASpI, prestazione economica istituita dal 1 gennaio 2013, in sostituzione dell’indennità di disoccupazione ordinaria a requisiti ridotti per i cd. stagionali, rischia di rivelarsi fortemente discriminante nei confronti dei lavoratori disoccupati delle case circondariali. Ci associamo alle denunce dell’Inca Cgil dell’Umbria che ha ricevuto, dai suoi operatori presenti negli istituti di pena della regione, segnalazioni e proteste. La MiniASpI è infatti una prestazione a domanda, che viene erogata però a fronte di alcuni requisiti del lavoratore. Il richiedente deve avere almeno 13 settimane di contributi da attività lavorativa nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, ma deve anche dichiarare immediatamente, presso il Centro per l’Impiego, la propria disponibilità ad un nuovo lavoro”. Essendo indispensabile l’immediata disponibilità allo svolgimento di una nuova attività è evidente che i lavoratori delle Case Circondariali si trovano impossibilitati alla percezione di questo ammortizzatore sociale, non potendo sottoscrivere tale dichiarazione. In altre parole, sono esclusi da questo diritto nonostante l’attestazione del direttore della Casa Circondariale. Dunque, nel sottolineare l’assoluta importanza della difesa del diritto al lavoro nelle carceri e, di conseguenza, anche di quegli strumenti che garantiscono continuità reddituale nei periodi di non lavoro, sarebbe opportuno chiedere una deroga per i lavoratori detenuti, o attraverso una circolare interministeriale, o con una presa d’atto diretta da parte dell’Inps che sani questa situazione di palese discriminazione per permettere alle sedi nel territorio di operare con una chiara interpretazione estensiva del diritto. L’Inca, a livello nazionale si fa portavoce dell’istanza presso l’Inps, ma è indispensabile un intervento politico, pertanto chiediamo, come anche in Umbria, ai parlamentari di sostenere la nostra iniziativa sollecitando il governo ad un rapido intervento correttivo. Per quanto riguarda la provincia di Siracusa, l’Inca ha instaurato da anni una convenzione esclusiva con la Casa Circondariale di Augusta per la tutela di lavoratori - disoccupati ed invalidi. Abbiamo notato un’altra importante criticità, legata al minimale retributivo obbligatorio per raggiungere le 13 settimane lavorative. L’anno scorso detto requisito non era richiesto purché vi fossero almeno 78 giorni di calendario contrattualizzate. Questa altra questione limita ulteriormente il diritto già compromesso da quanto sopra riportato. È chiaro, insomma, come la riforma del mercato del lavoro dei tecnici, abbia prodotto tantissime malfunzioni che scontano poi soltanto i lavoratori (siano essi incensurati o detenuti). È una questione di diritto che va affrontata nelle sedi opportune”. Toscana: mentre i penitenziari cadono a pezzi si pensa a riaprire quello di Pianosa di Fabrizio Ciuffini (Segretario Generale Fns Cisl) www.gonews.it, 15 settembre 2013 “Ci risiamo, mentre molte delle carceri della Toscana (per non dire d’Italia) cadono a pezzi, mentre il Personale di Polizia Penitenziaria è allo stremo per una gestione così difficile come quella che ogni giorno rappresentiamo all’Amministrazione Penitenziaria ed alle Istituzioni tutte, si torna a parlare di riaprire Pianosa. In un momento di difficoltà economica come quella che vive il nostro Paese si pensa di spendere milioni di euro per ripristinare una situazione in stato di abbandono da anni e anni, invece di mettere mano a ristrutturare carceri in toscana che hanno metà dei reparti detentivi in situazioni di gravissimo degrado ambientale, e padiglioni che sarebbero utili ad ospitare centinaia di detenuti, ormai dichiarati inagibili e lasciati andare all’incuria del tempo e dello Stato. Non ci sono soldi e mezzi per assicurare diritti e sicurezza agli Operatori Penitenziari tutti ed il Ministro che fa, si propone di fare accordi con l’Ente Parco e la Regione Toscana per riaprire Pianosa? Per far credere ai Cittadini che non ci sono particolari problemi ad una operazione del genere, dichiarano che a Pianosa andrebbero solo detenuti in regime di articolo 21 (una norma che ammette i detenuti, durante le ore dirne, a lavorare all’esterno del carcere senza sorveglianza continua) o detenuti semiliberi. Ma devono spiegare ai Cittadini che non conosco molto bene le norme penali che - comunque - sempre di detenuti si tratta. Questo presuppone che su Pianosa debba essere riaperta una Struttura Penitenziaria, perché così è previsto e imposto dalle leggi. Anche in questi giorni abbiamo effettuato visite negli Istituti della Toscana ( Lucca e Sollicciano di Firenze gli ultimi visitati) e la situazione strutturale è disastrosa. Zone interdette all’agibilità, risorse economiche sostanzialmente esaurite, Personale allo stremo della sopportazione per una diffusa disorganizzazione generale del Ministero. Basta allora con queste trovate mediatiche…. Il Ministro della Giustizia dovrebbe occuparsi di ben altro che continuare a pensare a Pianosa. Vada a rileggersi cosa hanno patito e sofferto per generazioni intere chi ci ha vissuto (i detenuti) e chi ci ha lavorato (i Poliziotti Penitenziari). Vada a leggersi il Ministro Cancellieri cosa portò i suoi predecessori a chiudere il carcere sull’isola. E se poi il Ministro Cancellieri vuole sostenere i bisogni dell’Ente Parco e della Regione Toscana a trovare un modo per ristrutturare e riorganizzare l’Isola di Pianosa in quanto tale, s’impegni nel Governo per trovare risorse straordinarie per sostenere il lavoro, magari finanziando un progetto che consenta a disoccupati e cassa integrati di avere una opportunità, di lavoro per l’appunto, oggi così difficile da trovare”. Busto Arsizio: d-day della giustizia ed è già caos… detenuti in arrivo da altre province www.varesenews.it, 15 settembre 2013 Di fronte all’apparente calma piatta che regna nella Procura e nel Tribunale bustocchi si percepisce che il caos è dietro l’angolo tra forze dell’ordine, personale mancante, fascicoli che si spostano, carcere insufficiente. La riorganizzazione degli uffici giudiziari è entrata in vigore ma nessuna risposta ufficiale è arrivata su molte questioni ancora aperte, tra le quali quella del carcere, e il procuratore capo di Busto Arsizio, Gianluigi Fontana, deve attenersi alle disposizioni della legge: il carcere circondariale di Busto dovrà ricevere anche i cittadini maschi in stato di arresto delle nuove zone di competenza di Legnano e Rho, comprendenti 42 comuni per circa 500 mila cittadini. L’estremo tentativo del direttore della struttura Orazio Sorrentini, dopo aver ricevuto un primo benestare dal provveditore perché si mantenesse lo stesso regime carcerario coinvolgendo anche San Vittore, non ha ancora una risposta ufficiale e da oggi, 13 settembre, entra in vigore la tanto contestata nuova geografia della giustizia che trasforma il Tribunale di Busto Arsizio nel secondo della Lombardia e il nono d’Italia. Il direttore Sorrentini è preoccupato ma non si fascia la testa: “Per il momento non abbiamo avuto risposte ma voglio sperare che sia solo questione di giorni - spiega - la situazione del carcere che dirigo è ben nota a tutti i livelli”. Una struttura da meno di 300 posti ne ospita attualmente più di 400 e dovrà farsi carico di un territorio che ha una media di 800 arresti l’anno. Questi i numeri freddi e ben conosciuti anche negli uffici di via dell’Arenula, al Ministero di Grazia e Giustizia e che, a quanto pare, non hanno impressionato più di tanto. Questo problema, inoltre, rischia di creare un conflitto tra la struttura carceraria, che spinge perché venga investito anche il carcere di San Vittore, e i giudici che si troverebbero a dover allungare i viaggi per gli interrogatori in carcere e preferirebbero continuare a vertere su Busto Arsizio. Intanto questa mattina il d-day in Procura a Busto è arrivato ma quello che si percepisce è solo il caos che questo passaggio ha portato, con il sospetto che un decreto nei prossimi giorni stravolga anche il lavoro fin qui fatto riportando i fascicoli di Rho a Milano, aggiungendo caos al caos. Alcuni comandi dei Carabinieri vedono il loro territorio suddiviso su tre procure, come ad esempio Abbiategrasso che fa riferimento a Milano, Pavia e Busto Arsizio con un notevole dispendio di energie da parte delle pattuglie che devono affrontare lunghi percorsi per depositare presso le procure di competenza gli atti prodotti. Questo caos sarà più evidente nei prossimi giorni quando uffici come quello della ricezione atti, formato attualmente da due sole dipendenti e con un blocco del turn over che l’ha più che dimezzato, dovranno fare fronte a centinaia di richieste di ogni tipo da parte del pubblico e delle forze dell’ordine. Staremo a vedere. Bologna: Sappe; alla Dozza ci sono 916 detenuti, contro una capienza di 470 posti Agi, 15 settembre 2013 Secondo il Sappe, al carcere di Bologna dovrebbe essere assegnato al più presto “un direttore in pianta stabile, ma, soprattutto, un dirigente che abbia davvero interesse e voglia di affrontare i tanti problemi di uno degli istituti più complessi d’Italia”. Attualmente sono 916 i detenuti presenti a fronte di una capienza di 470 posti. Il personale di polizia penitenziaria diminuisce costantemente. La scorsa settimana sono stati trasferiti in altre sedi 20 agenti e ne sono arrivati 15. “A questo decremento si aggiungerà quello determinato dai pensionamenti, il 60% dei quali in anticipo, per patologie contratte in servizio”. La caserma del personale di polizia penitenziaria, spiega il Sappe, necessita di urgenti lavori di ristrutturazione per adeguarla agli standard normativi e, soprattutto, “per rendere le stanze più dignitose. Abbiamo constatato che ci sono camere con cinque letti, altre con i letti a castello. Dobbiamo purtroppo constatare che le camere in cui dorme il personale sono peggiori delle celle dei detenuti, fatta eccezione per quelle dei funzionari, dotate di tutti i comfort. Nonostante ciò l’amministrazione aveva pensato di far pagare gli alloggi al personale di polizia penitenziaria. Abbiamo constatato - continua il sindacato - che mancano i mezzi per il trasporto dei detenuti. Dei circa dieci automezzi in dotazione al reparto di Bologna ce ne sono solo due funzionanti. Il trasporto dei detenuti viene fatto con le auto noleggiate”. Aumentano in regione gli eventi critici. Nel 2012 sono stati 157 i gesti di autolesionismo, dei quali 34 a Bologna, 20 a Piacenza, 9 a Reggio casa circondariale e 8 all’ospedale psichiatrico giudiziario, 16 a Rimini, 7 a Ravenna, 15 a Modena, 7 a Forlì, 10 a Ferrara, 30 a Parma e 1 a Castelfranco Emilia; 67 i tentativi di suicidio, dei quali 12 a Bologna, 15 a Piacenza, 4 a Reggio Opg, 5 alla casa circondariale, 4 a Rimini, 8 a Modena, 1 a Forlì, 5 a Ferrara, 13 a Parma; 3 i suicidi e 5 i decessi per cause naturali. 81 i ferimenti e 273 le colluttazioni”. Nuoro: Fp-Cgil; scabbia tra detenuti, allarme nella Casa di reclusione di Is Arenas di Luciano Onnis La Nuova Sardegna, 15 settembre 2013 Alcuni casi di scabbia sono stati accertati all’interno della casa di reclusione di Is Arenas. Ad esserne affetti sono due detenuti extracomunitari, ma altri sono in cura preventiva, tanto da far temere un’epidemia. La denuncia arriva dal coordinamento regionale Sardegna della Fp-Cgil Polizia penitenziaria. Una nota del suo rappresentante in servizio a Is Arenas, Sandro Atzeni, informa i massimi funzionari dell’istituzione carceraria in Sardegna (capo Dipartimento e Provveditore) sulla preoccupazione del personale di polizia penitenziaria di Is Arenas e degli stessi reclusi per i casi di scabbia e per la condizione sanitaria e igienica, nonché di sicurezza complessiva, nella casa di reclusione per via del sovraffollamento di detenuti e la carenza degli organici nel personale nell’istituto: “Siamo fortemente preoccupati che possa esplodere un’epidemia - dice l’esponente sindacale - perché tutti saremmo esposti al contagio, con possibile trasmissione ai nostri familiari. Ed è per questo che chiediamo all’amministrazione carceraria di provvedere in tempi rapidi a un’adeguata profilassi. C’è molta tensione tra il personale penitenziario e quello civile che opera nell’istituto, ma anche fra gli stessi reclusi”. Ad aggravare la situazione - sempre secondo Sandro Atzeni e la Fp Cgil regionale - c’è anche un aspetto di carattere sanitario della massima importanza: il medico del carcere non avrebbe preso alcun provvedimento perché la salute dei detenuti, degli agenti e dello stesso personale infermieristico sia salvaguardata: “Chiediamo all’amministrazione di predisporre adeguate misure sanitarie a Is Arenas e in tutti gli istituti di pena - prosegue il rappresentate sindacale - non è più tollerabile che tutti dobbiamo continuare ad essere esposti al rischio di subire il contagio di malattie come la scabbia, ma anche tubercolosi ed epatiti, infezioni sempre più diffuse nelle nostre carceri”. Un rilievo viene mosso anche sull’informazione al personale dei focolai infettivi che si sviluppano negli istituti di pena: “Abbiamo il diritto di essere informati preventivamente di casi sospetti senza attenderne la certezza clinica - sostiene ancora Atzeni - ne va di mezzo la salvaguardia della nostra salute e dei nostri familiari, non solo dei detenuti”. Tutti problemi che erano stati esposti anche al presidente della Regione nel corso di una sua visita nell’istituto penitenziario di Arbus, tirato a lucido per l’occasione, ma in realtà in grande sofferenza quotidiana. Sassari: processo per la morte di Marco Erittu, in carcere nessuno credette al suicidio di Nadia Cossu La Nuova Sardegna, 15 settembre 2013 Il carattere dominante, a tratti violento, di Pino Vandi e la sua “supremazia” rispetto agli altri detenuti di San Sebastiano emerge dalle parole dei testi che ieri mattina hanno risposto - per il vero con più di qualche tentennamento - alle domande del pubblico ministero Giovanni Porcheddu durante il processo che si sta celebrando in corte d’assise per il presunto omicidio (avvenuto il 18 novembre del 2007) del detenuto Marco Erittu, trovato morto (soffocato) in una cella del vecchio carcere di Sassari. La violenza di Vandi. “Nell’ambiente di San Sebastiano molti non hanno creduto fin dall’inizio alla tesi del suicidio. Dicevano che Erittu fosse stato ucciso per vendetta. Alcuni amici mi rivelarono che era stato ammazzato perché sapeva cose importanti su Pino Vandi. Un uomo tosto, vendicativo, che picchiava i suoi spacciatori”. A parlare è il maghrebino Khalid Kabbab chiamato ieri a testimoniare in aula insieme a Giovanni Spanedda e Antonio Dessì. Anche se quelle due parole di Kabbab - “alcuni amici” - (troppo vaghe in un’aula di tribunale dove sempre si dovrebbero indicare nomi e cognomi) tolgono forza alle sue dichiarazioni. I dubbi sul suicidio. Una morte, quella di Erittu, che inizialmente era stata “liquidata” come suicidio e che poi invece ha cambiato veste: il detenuto sarebbe stato ucciso. E per questo sono finiti sul banco degli imputati il reo confesso Giuseppe Bigella che ha chiamato in causa l’ex detenuto Nicolino Pinna indicandolo come suo complice nell’esecuzione materiale del delitto. Tra gli imputati c’è anche l’agente di polizia penitenziaria Mario Sanna (sospettato di aver aperto la porta della cella di Erittu ai componenti del presunto commando omicida). Un omicidio commissionato - a detta del supertestimone Bigella - proprio da Pino Vandi. La ragione? Erittu sarebbe stato a conoscenza del coinvolgimento di Vandi nella scomparsa di Giuseppe Sechi, il muratore di Ossi il cui orecchio mozzato fu inviato alla famiglia di Paoletto Ruiu - il farmacista di Orune rapito nel 1993 e mai tornato a casa - come prova in vita del proprio caro. Sfilata di testi. Davanti alla corte presieduta da Pietro Fanile (a latere Teresa Castagna) sono stati sentiti anche Antonio Dessì e Giovanni Spanedda. Racconti, i loro, contradditori rispetto alle dichiarazioni che gli stessi resero in passato ai carabinieri: “Vandi non aveva alcun atteggiamento dominante - ha detto Dessì - quando era in galera con me, e non era violento”. “Ma ai carabinieri lei disse il contrario - contesta Porcheddu - Raccontò anche di aver visto Vandi pestare “Mafietta” (un personaggio di Sassari che aveva accusato numerose persone di spaccio ndr)”. “Non l’ho mai detto”, la replica di Dessì che poi conferma al pm la “fama” di confidente delle forze dell’ordine che Erittu aveva in carcere: “Dicevano che era un canterino”. Tanto da essere soprannominato “il finanziere”. Il mistero della lettera. Due giorni fa - in una precedente udienza in corte d’assise - è venuto fuori un altro elemento importante. Il sovrintendente della polizia penitenziaria Luciano Piras, ha riferito che la famosa lettera nella quale Erittu chiedeva di essere sentito dalla Procura uscì dal carcere, arrivò all’ufficio postale e da qui partì per la Procura. Quella missiva, però, non arrivò mai a destinazione. Perché? Chi la fece sparire? Archiviazione per Zara. Altro dettaglio emerso in udienza: Bigella sta scontando 30 anni per l’omicidio della gioielliera di Porto Torres, Fernanda Zirulia (2005). Raccontò di averla uccisa su commissione del figlio della donna, Sergio Zara, che avrebbe avuto un debito di droga con Vandi. Ebbene: il gip ha archiviato la posizione di Zara, considerandolo quindi estraneo a quei fatti. Un provvedimento che potrebbe far vacillare l’attendibilità del supertestimone. Ivrea (To): il Garante; ex casermette ferrovia trasformate in case accoglienza per detenuti di Rita Cola La Sentinella, 15 settembre 2013 Armando Michelizza, garante per i diritti dei detenuti del carcere di Ivrea, butta lì un concetto da emulare. “Lungo la linea ferroviaria Chivasso - Ivrea - Aosta ci sono diverse casermette abbandonate dal genio ferrovieri. Sono abbandonate e oggetto di atti vandalici. Posto che io penso sia un vandalismo lasciare che luoghi che potrebbero essere utili siano lasciati al degrado, sarebbero venti, trenta alloggi disponibili. Se poi servono esempi di buone pratiche, ci sono pure quelli”. Eccoli, gli esempi già riusciti. Ore 13, Candia Canavese. Sotto la pensilina della stazione, Vincenzo Di Mauro, presidente dell’associazione Santa Croce, racconta del giorno in cui nacque l’idea di andare a Reti ferroviarie italiane e chiedere in comodato d’uso le casermette. “L’idea fu della moglie di un detenuto - ricorda - e allora mi sono detto: proviamo. In Rfi ho trovato persone eccezionali ed eccoci qui”. La casermetta di Candia è diventata luogo di accoglienza per persone ammesse a misure alternative al carcere. Misure che potrebbero essere adottate in numeri maggiore, ma che a volte non trovano applicazione perché, per chi è dentro, non è facile sapere dove andare e cosa fare. Perché il dentro e il fuori è un discorso complesso che tocca paure e diffidenze, richiede coraggio e assunzioni di responsabilità. Michelizza, che prima di essere nominato garante per i diritti dei detenuti è stato vent’anni insegnante in carcere, lo sa bene e in ogni occasione punta il dito sullo stato di inedia in cui i detenuti si trovano in carceri sovraffollate e, da molto tempo, senza risorse. Michelizza parla sempre di un infantilismo di ritorno che parte dal linguaggio stesso e ricorda, come anche a Ivrea, ormai manchino, per i detenuti, cose fondamentali come i prodotti per l’igiene personale. Vincenzo Di Mauro sa le stesse cose. E cerca di darsi da fare. Sprigiona una grande calma, Di Mauro. Lo sostiene una fede profonda e non ha remore nel dire di avere sofferto di fronte a cattolici che si sono tirati indietro di fronte a impegni troppo diretti. Lui va avanti. E dopo il progetto di Candia è arrivato Montanaro, per ragazze e madri. Mentre Vincenzo racconta, in cucina c’è chi prepara il pranzo (pasta con verdure dell’orto, squisita frittata di patate con insalata di pomodori). Ha le idee chiare, Vincenzo, sottolineando come solo con le attività e l’impegno ci si riesca a riappropriare delle proprie vite con tanti (a volte troppi) sbagli. “Io ci provo con tutti - racconta - chiedo chiarezza e condivisione. Dico sempre che non sono io che sorveglio, ma che i progetti si fanno insieme”. Quelle di Vincenzo non sono favole, e quindi capita che facciano capolino i problemi. Ma lui guarda oltre e racconta come egli stesso e tutto quanto sta intorno non capiti per caso e la Santa Croce Onlus vada avanti perché, come dice lui, “c’è qualcuno che spinge”. “Ogni persona che sta qui ha potenzialità e capacità e tutti insieme andiamo avanti. Certi Comuni lo hanno capito - dice - e abbiamo convenzioni dove facciamo opere di manutenzione. Stessa cosa al parco del lago di Candia. Poi facciamo l’orto, il miele, le coltivazioni. Ci sono tanti spazi, incontriamo tanta gente nel nostro cammino”. E sabato, a partire dalle 16,30, nella ex casermetta del genio - ferrovieri di Candia, ci sarà una festa. Alle 18 la messa con don Alfredo Stucchi. Accolto dai detenuti l’appello del Papa Molti detenuti hanno accolto l’invito di Papa Francesco per il digiuno di sabato scorso. E un gruppo scrive alla Sentinella: “È con piacere che aderiamo all’iniziativa che tocca i nostri cuori, soprattutto per quegli innocenti che devono morire per mano dell’uomo che si attribuisce il diritto alla vita”. “Le nostre riflessioni - scrive il gruppo di detenuti - si orientano verso i poveri e sofferenti, emarginati e afflitti, vessati e perseguitati perché possano essere accolti al cospetto di Dio. Illustrissima Santità, sia per noi fede e speranza e attraverso i suoi ministri di culto veicolo per renderci timorosi di Dio, affinché il suo amore giunga a noi e ci doni la forza di essere uomini umili ed esigenti verso il nostro prossimo. Allontani da noi l’unica via di uscita dalla sofferenza con l’autolesionismo e la privazione della vita nell’atto dell’impiccagione. Allontani l’insensibilità e l’egoismo spesso attribuito alla polizia penitenziaria, gravati anch’essi da turni al limite della tollerabilità e determinando conseguentemente un clima di non serenità”. Trapani: deputato regionale Nino Oddo in visita nella Casa circondariale di San Giuliano www.telesud.com, 15 settembre 2013 Celle sovraffollate e carenza idrica: i problemi toccati con mano, questa mattina, dal deputato regionale Nino Oddo che ha eseguito una visita ispettiva alle carceri di San Giuliano. Accompagnato dal segretario regionale del Coordinamento nazionale della polizia penitenziaria Arcangelo Poma, l’onorevole ha parlato anche con i detenuti. “Mi hanno espresso - dice l’esponente del Partito socialista - il loro malcontento dovuto ai disagi con i quali sono costretti a convivere con cadenza quotidiana. In particolare lamentano le condizioni igienico - sanitarie che sono assai precarie. È pazzesco - rileva Oddo - che una struttura carceraria che conta 500 reclusi usufruisca della stessa quantità di acqua che viene distribuita ad un condominio”. Nei prossimi giorni il deputato regionale chiederà un incontro con il prefetto Leopoldo Falco quantomeno per risolvere la questione relativa alla mancanza di acqua e “al tempo stesso mi attiverà presso il ministero di Giustizia perché c’è un altro problema da affrontare: il sovraffollamento delle celle”. Agli agenti di polizia penitenziaria, Oddo ha fatto i complimenti “perché nonostante le problematiche che di riflesso colpiscono anche loro, svolgono il loro lavoro con grande professionalità e abnegazione. Dobbiamo assicurare - afferma - condizioni di vivibilità a detenuti e agenti perché sono l’indice di civiltà di una comunità”. Problemi quelli riscontrati da Oddo, più volte, in passato, denunciati dalle organizzazioni sindacali di categoria. “La carenza d’acqua - denuncia Arcangelo Poma - si trascina da tutta l’estate ed è ovviamente causa di disagio e malcontento per la popolazione carceraria”. Genova: Uil-Pa Penitenziari; detenuto affetto da Tbc nel carcere di Marassi Ansa, 15 settembre 2013 Il sindacato di Polizia Penitenziaria della Uil ha denunciato l’ingresso, nel carcere di Marassi, di un detenuto senegale affetto da tubercolosi polmonare il quale prima di essere isolato ha avuto contatti con diverse unità di Polizia Penitenziaria e con le altre Forze dell’ Ordine che hanno proceduto all’arresto”. Il Segretario Regionale della Uil Pa Penitenziari, Fabio Pagani, non nasconde la preoccupazione per l’evolversi della situazione sanitaria al carcere genovese che proprio la UIL aveva denunciato qualche mese fa rendendo noto il caso di tbc attiva riscontrata ad un detenuto italiano. “Piuttosto che minimizzare o banalizzare il problema, come nuovamente hanno fatto gli addetti ai lavori, sarebbe stato meglio attivarsi immediatamente nell’ isolare e curare il detenuto affetto da questa gravissima patologia, contagiosa, all’interno del Centro Clinico dell’Istituto, piuttosto che ubicarlo in una Sezione Comune (in camera singola), affidando tale particolare gestione “esclusivamente” alla Polizia Penitenziaria. Chieti: Camera penale di Lanciano appoggia Referendum Radicali sulla giustizia Asca, 15 settembre 2013 La Camera penale di Lanciano (Chieti), in occasione del primo giorno di astensione dalle udienze e da ogni altra attività giudiziaria, il 16 settembre prossimo, predisporrà, unitamente al locale comitato referendario e grazie alla disponibilità della direttrice della Casa circondariale di Lanciano, Maria Lucia Avantaggiato, una postazione di raccolta delle firme per i referendum promossi dai Radicali ed appoggiati dall’Unione delle Camere penali italiane, al quale potranno accedere i detenuti e il personale operante all’interno dello stesso carcere. In una nota, il presidente della Camera penale di Lanciano, Michele Di Toro, sottolinea l’importanza dei quesiti (oltre quello sulla responsabilità civile dei magistrati e magistrati fuori ruolo): 1) per l’abrogazione della pena dell’ergastolo, in quanto la detenzione - secondo la Carta costituzionale - deve avere come finalità la rieducazione del condannato. È un principio di civiltà giuridica in clamorosa contraddizione con il carcere a vita; 2) contro l’abuso della custodia cautelare (da limitare ai soli reati gravi). Attualmente migliaia di cittadini vengono arrestati e restano in carcere in attesa di processo o di una sentenza definitiva, per mesi o anni, in condizioni incivili. La carcerazione preventiva si è trasformata, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, in vera e propria forma di anticipazione di pena; 3) Per separazione delle carriere dei giudici - giudicante e requirente - al fine di garantire al cittadino che il processo sia celebrato da un giudice realmente terzo ed imparziale. La Camera penale di Lanciano, invita altresì la cittadinanza a sostenere l’iniziativa referendaria firmando presso il Comune. Sciacca (Ag): Centro Studi “Pedagogicamente”; raccolta firme per Referendum Radicali Il Fatto Popolare, 15 settembre 2013 La raccolta firme per sottoscrivere i 12 referendum per la giustizia giusta e i nuovi diritti umani proposti dai Radicali giunge anche a Sciacca. Il 9 settembre potranno firmare i detenuti della casa circondariale saccense mentre il 16 settembre il banchetto per la raccolta sarà posto dinanzi il tribunale. Lo conferma Antonello Nicosia, direttore del centro studi “Pedagogicamente” e referente siciliano dell’associazione “Antigone”. Le delegazioni radicali, guidate dall’Onorevole Rita Bernardini, hanno già fatto tappa al carcere di Catania e a quello di Agrigento. Particolarmente significativa la tappa del “Petrusa” dove hanno firmato tantissimi detenuti aventi diritto. L’esponente radicale Rita Bernardini da tempo gira le carceri italiane sensibilizzando la società nei confronti della difficilissima situazione in cui versa il sistema penitenziario nazionale. “I referendum sono per una giustizia che manca da 30 anni in questo Paese - ha detto Rita Bernardini - e per la quale siamo condannati in Europa, per trattamenti inumani e degradanti nelle carceri e per l’irragionevole durata dei processi”. Tra i vari quesiti referendari spiccano quelli sull’abolizione dell’ergastolo, quello sulla separazione delle carriere dei magistrati, quello sulla responsabilità civile dei magistrati, quello relativo alla riforma delle politiche su droghe e immigrazione, per il divorzio breve, per l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e sull’otto per mille. Si tratta ovviamente di tematiche molto sentite, specie in questi giorni. “Pedagogicamente” da anni si batte affinché i detenuti possano scontare in modo dignitoso e civile il proprio periodo di restrizione e affinché le carceri rieduchino davvero, per come impone la Costituzione Italiana. Il saccense Antonello Nicosia sottolinea ancora una volta le precarie condizioni delle carceri siciliane, in parti - colar modo di quello di Sciacca. “Sulla costruzione di un nuovo istituto di pena dobbiamo metterci ormai una pietra sopra, non ci sono fondi - afferma Nicosia. Ma deve essere doveroso migliorare le condizioni dell’attuale istituto dove manca l’acqua, dove si soffre il freddo d’inverno e il caldo d’estate e dove esiste il problema del sovraffollamento. I detenuti durante l’estate protestavano battendo gli oggetti contro le sbarre per contrastare l’aumento dei prezzi dei prodotti che è possibile acquistare dentro il carcere. La crisi ha colpito pure questo settore tra l’indifferenza generale. Invito - conclude Nicosia - tutti i detenuti aventi diritto presenti nel carcere saccense di fare la necessaria richiesta e firmare così i 12 referendum proposti dai Radicali”. Comunicato stampa Centro Studi “Pedagogicamente” Dopo le circa 100 firme raccolte al Petrusa di Agrigento e le 15 nel carcere di Sciacca raccolta effettuata insieme al consigliere David Emmi e al presidente della camera penale avv. Paolo Imbornone, la delegazione referendaria guidata dal Dott. Antonello Nicosia direttore del Centro Studi Pedagogicamente che ha aderito al progetto dei Radicali Italiani, il 10 settembre ha fatto ingresso all’interno della Casa Circondariale di Castelvetrano. Autenticatore delle firme il consigliere comunale Giuseppe Di Maio, esperienza bellissima, così si è espresso Di Maio, 24 detenuti hanno firmato con convinzione e senso civico. Antonello Nicosia che studia e osserva il pianeta carcere dichiara soddisfazione e apprezzamento per le condizioni della struttura, ma soprattutto fa rilevare che il Carcere di Castelvetrano è una di quelle strutture che meriterebbero più attenzione perché ho potuto appurare che tutte le aree sono curate e gestire davvero professionisti che credono alla funzione del carcere, abbiamo avuto il piacere di incontrare insieme al consigliere Di Maio il Direttore Dott. Malato, il Vice Commissario Dott. Antoci e la dott.ssa Conigliaro Direttore dell’area trattamentale, dal confronto è emersa grande capacità professionale, senso umano e conoscenza del microcosmo carcere, proiezione nel futuro con una certa tendenza a far divenire quel luogo struttura di eccellenza per permettere ai detenuti di rieducarsi attraverso il trattamento, un rispetto e una considerazione dell’uomo a prescindere dallo stato in cui si trova. La direzione scientifica di Pedagogicamente ha già pensato di presentare dei progetti per attività di volontariato e attività formativo - culturali al fine di contribuire a migliorare l’offerta formativa che è già buona all’interno della struttura. Un ringraziamento va a tutto il personale che con pazienza ha gestito la giornata di ieri e ha permesso ai detenuti di vivere momenti di mera democrazia. Pescara: premio di poesia Alda Merini ai detenuti del carcere di Chieti di Federica D’Amato Il Centro, 15 settembre 2013 Giunge a compimento la prima edizione del premio “Alda Merini”, organizzato dall’associazione culturale Donna Cultura di Spoltore, e lo fa nel modo più congruo ad un premio dedicato alla poesia e alla scrittura, con una pubblicazione, a cura della casa editrice Tracce di Pescara. Oggi pomeriggio, infatti, alle ore 17, presso la sala conferenze della Fondazione Pescarabruzzo, a Pescara, si terrà la presentazione ufficiale dell’antologia dedicata alla sezione detenuti del Premio “Alda Merini - A tutte le donne”, in un incontro ricco di interventi: ci saranno Nicola Mattoscio, presidente della Fondazione, Gemma Andreini, Presidente Commissione Pari Opportunità Regione Abruzzo, l’attore Walter Nanni, presidente della giuria del premio, Giuseppina Ruggero, direttore Casa Circondariale di Chieti; i contributi critici saranno a cura di Massimo Pasqualone, Daniela Quieti e Annamaria Raciti, educatrice alla Casa Circondariale di Chieti. Durante l’evento si terrà un’esposizione di dipinti di Carlo Di Camillo (detenuto Casa Circondariale di Pescara) in collaborazione con l’associazione Voci di Dentro, mentre tutto sarà coordinato da Veruska Caprarese. La presentazione del volume arriva dopo la consegna ufficiale, avvenuta mercoledì 11 settembre presso il carcere di Chieti; in quella occasione sono stati omaggiati del volume i premiati della sezione “In volo verso la libertà”, i detenuti Cristian Di Marzio 1° premio, Domenico De Clerico Di Pillo 2° premio ed Elisabetta Sozio 3° premio. Il premio, di cui sta per essere bandita la seconda edizione, si pone nel contesto culturale italiano con una sua originale caratterizzazione che lo rende un “unicum” nel panorama nazionale. “Esso, infatti - afferma Veruska Caprarese - non limita la sua attività all’usuale selezione e premiazione dei meritevoli, ma vuole concorrere e promuovere lo sviluppo e l’integrazione culturale, in particolare di coloro che ne hanno maggiore bisogno: le giovani generazioni e le realtà di disagio sociali gravanti sul territorio regionale. In tal senso, queste prime poesie vincitrici, testimoniano come la parola poetica sia in grado di superare ogni barriera e di porgere un’ulteriore opportunità di riscatto al disagio sociale e psicologico. I migliori componimenti attestano quanto l’espressione lirica possa diventare mezzo di emancipazione dello spirito, con una specifica attenzione alle giovani generazioni e alle crescenti realtà di malessere sociale”. Cagliari: appello per i detenuti, già stanziati i 600mila euro della Regione La Nuova Sardegna, 15 settembre 2013 Dopo la richiesta espressa dai detenuti di Buoncammino attraverso l’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, d’incontrare in carcere il Papa nel suo viaggio l’ex ministro della Marina Mercantile, Ariuccio Carta, ha scritto una lettera al ministro della Giustizia, Anna Maria cancellieri, e all’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio. E spiega: “Ricordo, tanti anni fa (era domenica 20 ottobre 1985), che come ministro, per mandato del governo, potei accompagnare in carcere Giovanni Paolo II nella visita a Cagliari che suscitò, non solo tra i detenuti, ma nell’intera Sardegna, una grande commozione”. “Interpretando il diffuso sentimento dei carcerati - prosegue - vorrei che venisse esaminata, con motivato realismo, l’ipotesi di una visita, anche con un solo saluto, nell’istituto di pena cagliaritano, secondo in Italia, per la sua storia, solo a Regina Coeli”. Pare comunque che il corteo papale possa transitare vicino a Buoncammino e alla chiesa dei frati cappuccini, Sant’Ignazio. Intanto sono stati resi noti i particolari del finanziamento da parte della Regione per la visita. La giunta ha stanziato 600.000 euro per “la realizzazione delle attività preparatorie”. È previsto che il contributo venga affidato alla Curia arcivescovile della Diocesi di Cagliari. Nella delibera si dà mandato all’agenzia Sardegna Promozione “perché siano attivate le procedure opportune al fine di supportare i vertici della Chiesa cattolica regionale e di contribuire finanziariamente alla migliore riuscita della visita”. La somma stanziata proviene dal bilancio 2013 dell’assessorato regionale del Turismo. Il contributo alla diocesi di Cagliari - viene precisato nel provvedimento - si inserisce tra gli interventi finanziari a sostegno dei programmi per sviluppare il turismo religioso in Sardegna. Pescara: detenuti firmano le 12 proposte referendum radicali www.liberoquotidiano.it, 15 settembre 2013 Dopo l’exploit della scorsa settimana nel penitenziario di Chieti nella serata di ieri i radicali abruzzesi, accompagnati dall’assessore provinciale Roberto Ruggieri, hanno fatto il pieno di firme anche nel carcere San Donato di Pescara dove ben 240 detenuti hanno sottoscritto tutte le 12 proposte referendarie. Per Gennaro Mone, dell’associazione radicali Abruzzo “si tratta di un risultato significativo che si è reso possibile grazie alla disponibilità e collaborazione del direttore del carcere Franco Pettinelli”. Per il presidente dei radicali d’Abruzzo Roberto Di Masci “ancora una volta i detenuti hanno dimostrato di avere sete e fame di legalità e giustizia: proprio loro che sono costretti a vivere in una condizione di vera e propria tortura che a Pescara come altrove sono vittime dello stato disastroso degli istituti di pena italiani”. Aversa (Ce): l’associazione Musicale e Sociale “Casmu” al fianco degli internati dell’Opg www.casertafocus.net, 15 settembre 2013 L’Associazione Musicale e Sociale “Casmu” al fianco della popolazione carceraria. Ancora una volta il sodalizio presieduto da Mario Guida organizza una manifestazione a favore dei detenuti dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, per portare loro un messaggio di speranza e solidarietà. Giovedì 19 settembre, infatti, in occasione della festività di San Gennaro - patrono di Napoli, culla dell’arte e dello spettacolo campano - a partire dalle ore 18 presso la struttura normanna dell’Amministrazione Penitenziaria, si terrà uno spettacolo musicale che servirà ad offrire ai detenuti una giornata diversa. Saranno presenti molti dei “beniamini” della canzone napoletana. L’iniziativa è promossa d’intesa tra Casmu, la Rassegna Nazionale di Teatro scuola Pulcinellamente, guidata dal direttore Elpidio Iorio, gli assessorati del comune di Aversa ai Servizi Sociali e alla Cultura, guidati rispettivamente da Romilda Balivo e Nicla Virgilio, i vertici dell’Opg aversano, ovvero il direttore Elisabetta Palmieri, il comandante commissario Luigi Mosca, il capo area pedagogica Angelo Russo. “L’evento - come sottolineano gli stessi promotori - è finalizzato ad implementare occasioni di incontro con il territorio e al contempo allietare la quotidianità delle persone a vario titolo detenute ed internate nell’Opg”. Intenso e articolato il programma artistico alla stesura del quale ha lavorato con generosità e spirito di solidarietà un ampio gruppo di soggetti associativi o rappresentativi di mondi artistici e culturali da sempre in prima linea nella promozione di eventi in grado di esaltare i valori dell’uomo e il rispetto della sua dignità umana. Gli artisti accompagneranno gli spettatori in un suggestivo quanto emozionante viaggio musicale nello splendido mondo del repertorio classico napoletano. Tra gli artisti in concerto anche il musicista e cantautore Filippo Schisano. Ospiti Rosaria Argento e Davide Centanni. Patrizia Mazzola presenterà l’evento; Antonio Belardo coordinerà i service tecnici di audio e luci. L’Associazione Musicale e Sociale “Casmu”, con il suo presidente Mario Guida, non è nuova a questo tipo di iniziative. In passato ha già organizzato eventi del genere, in quasi tutti gli istituti penitenziari della Campania, “esportando” questo tipo di iniziativa, che coniuga sapientemente musica e solidarietà, anche oltre i confini regionali. Libri: “È ai vinti che va il suo amore”, di Armando Punzo La Repubblica, 15 settembre 2013 È stato più tempo in carcere lui che non tanti detenuti. Stiamo parlando del regista e attore Armando Punzo, da venticinque anni anima della Compagnia della Fortezza, composta da attori - detenuti del carcere di Volterra. Ciò che rende unica l’esperienza - a livello europeo - è il fatto che al contrario di esperienze simili il gruppo di Punzo ha sempre privilegiato l’aspetto artistico rispetto a quello sociale, seppure anch’esso innegabile. La scommessa vinta è stata ed è ancora oggi, quella di riuscire a mettere in scena l’eccezionalità del teatro. Dopo venticinque anni di “teatro impossibile” e tanti premi vinti, Punzo ha deciso di raccontare i segreti del teatro della Compagnia della Fortezza. Lo ha fatto nel bellissimo libro “È ai vinti che va il suo amore”. I primi venticinque anni di autoreclusione con la Compagnia della Fortezza di Volterra (edizioni Clichy, euro 25). Oggi Punzo assieme ai suoi attori incontrerà il pubblico a Piazza dei libri. Napoletano, autodidatta, Punzo è stato aiuto regista di un grande maestro, Thierry Salmon. Da venticinque anni i suoi attori - detenuti della Compagnia della Fortezza recitano all’interno del carcere, a torso nudo, sudati, con tatuaggi e volti abbronzati da pirata: riescono ad estasiare il pubblico con spettacoli pieni di tensione, forza, autoironia. Che regalano ai protagonisti una soddisfazione enorme e brevissima. Punzo, cosa significa fare teatro in carcere? “Ogni spettacolo ci costa un anno di lavoro. Raccontiamo l’anormalità del mondo che ci circonda”. Lavorate un anno intero per produrre uno spettacolo è tanto. “Utilizziamo il tempo in prove, in lunghe discussioni, in tutte quelle attività tipiche di una compagnia teatrale. Io sto in carcere almeno otto ore al giorno, che diventano dodici in prossimità dei debutti”. Un vostro attore, Aniello Arena, è il protagonista di Reality l’ultimo film di Matteo Garrone. “E per tutti noi è stata una grande soddisfazione”. Cosa chiede per il futuro della sua Compagnia della Fortezza? “Due cose: il riconoscimento di un Teatro Stabile all’interno del carcere di Volterra e la possibilità di girare in tournée, non soltanto in Italia come già facciamo, ma anche all’estero. Pensi che la Compagnia della Fortezza è richiesta nei teatri e nei festival di tutta Europa. A vederci verrebbero spettatori di ogni nazionalità. Credo che i nostri spettacoli diventerebbero un caso, una sorpresa positiva in ogni parte del mondo”. Immigrazione: la chimera della “pena alternativa”, anche per i reclusi nei Cie di Italia Razzismo L’Unità, 15 settembre 2013 Riguardo al tema del trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi di origine per espiare la condanna definitiva loro inflitta, le convenzioni in tal senso stipulate dal nostro Paese hanno dato sinora scarsi risultati per una serie di difficoltà anche procedurali”. Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha risposto al problema del sovraffollamento, denunciato dal Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe). Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri ha poi sostenuto che “le pene alternative sono una strada fondamentale da percorrere per risolvere il problema del sovraffollamento. A maggio dobbiamo poter dire all’Europa che abbiamo risolto in parte la questione”. Le carceri italiane ospitano, ad oggi, oltre 22mila persone straniere, molte delle quali non hanno l’accesso alle misure alternative alla detenzione perché prive di una residenza e senza riferimenti fuori dal carcere. Va detto che esistono alcune strutture in cui è possibile dimorare durante il periodo della detenzione alternativa, ma il loro numero è irrisorio. Anche chi è trattenuto nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) potrebbe accedere alle misure alternative una volta che l’identificazione è avvenuta. Possono farlo coloro che hanno un documento originale (passaporto) e che dimostrano l’assenza del pericolo di fuga. In questo senso il fatto di avere una famiglia in Italia potrebbe essere un disincentivo a fuggire. Non è così, però, per i Giudici di Pace addetti alle convalide del trattenimento all’interno dei Cie, che - nella maggior parte dei casi - non tengono conto di questo aspetto, confermando la reclusione a persone che potrebbero attendere l’espulsione fuori dai Cie e che, nel frattempo, avrebbero anche maggiori possibilità di sanare la propria posizione giuridica irregolare. Ma non solo. Quel periodo all’interno del Cie può incidere assai negativamente sulle relazioni familiari. “Fuori” ci sono compagne in stato di gravidanza desiderose - in molti casi - di diventare mogli; bambini costretti al distacco da un genitore; madri e padri che temono il ritorno al paese di origine di uno dei loro figli. Si tratta dunque di un trattenimento considerato ingiusto da chi lo subisce e che, provocando malcontento e frustrazione, non fa che rendere più faticosi e contraddittori i percorsi d’integrazione. Immigrazione: se è emergenza… non è accoglienza di Fulvio Vassallo Paleologo Il Manifesto, 15 settembre 2013 Gli allarmi si susseguono ma rimangono privi di una base statistica attendibile. Secondo quanto riferisce l’Ansa, nei primi 7 mesi del 2013 sono sbarcate in Italia circa 12 mila persone, contro le 50 mila del 2011. Nel mese di agosto gli sbarchi si sono intensificati, ma comunque si sono mantenuti al livello di alcuni anni precedenti, come il 2008, addirittura meno che alla fine degli anni 90, e dunque non dovevano costituire un evento straordinario. Male istituzioni italiane di fronte a questi prevedibili eventi si sono fatte trovare del tutto impreparate, riuscendo solo a moltiplicare gli allarmi, fino al rischio terrorismo, diffuso dai soliti servizi segreti e rilanciato persino dal ministro dell’interno Alfano, con una gestione degli sbarchi affidata esclusivamente ai prefetti ed ai nuclei antimmigrazione. Si torna a parlare di emergenza sbarchi, in particolare per l’arrivo di alcune migliaia di profughi dalla Siria, dopo che il governo, lo scorso 28 febbraio, ha proclamato la fine della cosiddetta Emergenza Nordafrica, che era stata caratterizzata da una forte presenza della Protezione Civile, nelle sue articolazioni a livello regionale, del Comitato per i minori stranieri e di Natale Forlani, nominato nel 2011 Commissario per l’emergenza minori stranieri non accompagnati. Il passaggio ad un sistema di accoglienza ordinario avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il coordinamento e la programmazione delle diverse fasi da parte di tavoli regionali, che avrebbero dovuto coordinare l’attività dei prefetti nelle diverse province, con il monitoraggio delle persone presenti, delle risorse impiegate, dei percorsi di inserimento attivati. Sono stati invece i prefetti a gestire questa tormentata fase estiva della nuova emergenza sbarchi, dopo che nel 2011 era già emersa l’incapacità delle prefetture a gestire (come avvenne dal 12 febbraio al 30 giungo di quell’anno) qualsiasi situazione di emergenza derivate dall’arrivo più consistente di migranti, sempre più spesso veri e propri profughi di guerra. In Sicilia si sono così moltiplicati i centri di prima accoglienza aperti dalle prefetture in virtù dalla legge Puglia del 1995, luoghi dalle caratteristiche giuridiche affidate alla discrezionalità della polizia, talora del tutto a porte aperte, ma senza alcuna mediazione ed informazione legale, talvolta veri e propri centri di detenzione informale, utilizzati dalle forze di polizia e dalla magistratura alla ricerca dei soliti scafisti da gettare in pasto all’opinione pubblica. Gli arresti degli scafisti, anche quindici su una unica imbarcazione, potrebbero distogliere l’attenzione dalle clamorose lacune del sistema di accoglienza e dai frequenti allontanamenti. Le pressanti indagini di polizia, subito dopo gli sbarchi accrescono le fughe dei migranti che rimangono liberi di uscire dai centri di prima accoglienza, anche per gli effetti perversi del regolamento Dublino II che inchioda in Italia, senza una prospettiva credibile di integrazione, gli immigrati identificati dopo lo sbarco. Per le persone coinvolte in questo meccanismo di prima accoglienza in centri “informali”, l’immediato rilievo “forzato “ delle impronte digitali, la prospettiva di una lunga attesa in condizioni disumane di sovraffollamento, una totale carenza di informazioni e di assistenza legale, una grande difficoltà di accesso alla procedura di asilo e ad un vero sistema di accoglienza, nessuna prospettiva di integrazione. Tutte ragioni che spiegano il ripetersi di fughe di massa. Ed è anche alto il rischio, per coloro che vengono ritenuti egiziani, di essere arrestati e processati come “scafisti”, quando non scattano immediatamente le misure di rimpatrio collettivo, sulla base di un accordo bilaterale con l’Egitto che contrasta con le normative internazionali e con la legge italiana che prevede un’identificazione completa prima dell’allontanamento forzato. Sempre più drammatica la situazione dei minori stranieri non accompagnati, che ormai rappresentano una parte rilevante dei profughi salvati in mare aperto o sbarcati sulle coste dopo che le loro imbarcazioni si sono arenate. Si deve impedire che nelle regioni di primo arrivo, come la Sicilia, si prosegua con la prassi secondo la quale il collocamento dei minori avviene, da parte dell’autorità di polizia, o delle Prefetture, direttamente presso strutture di accoglienza che sono destinate ai minori italiani in condizioni di abbandono, al di fuori di qualsiasi piano regionale, senza il previo accordo e autorizzazione con gli enti locali territorialmente competenti. Ed anche sulle strutture di accoglienza per minori andrebbe effettuato un monitoraggio continuo, che fin qui si è svolto solo in rare occasioni. Congo: aiuti al carcere minorile di Bukavu grazie al contributo dei detenuti italiani www.santegidio.org, 15 settembre 2013 Comunità di Sant’Egidio - la consegna dei materassi al carcere minorile di Bukavu, settembre 2013La Comunità di Sant’Egidio di Bukavu prosegue i suoi aiuti alla sezione per i minori della prigione centrale della città. Bambini e adolescenti detenuti in questo carcere gravemente sovraffollato, vivono in celle dove spesso mancano anche gli oggetti di uso comune e i generi di prima necessità. Per questo, nei giorni scorsi, si è proceduto alla consegna di alcune decine di materassi, che andranno a migliorare le condizioni di vita dei ragazzi. Al Erano presenti alla distribuzione il direttore del carcere e il capo dipartimento del ministero provinciale della giustizia. Questa donazione fa seguito agli impegni presi in occasione della visita del presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, nel luglio scorso. Di notevole interesse il fatto che l’acquisto dei materassi è stato possibile da una colletta effettuata tra detenuti delle carceri italiane, che hanno già da tempo fatto una scelta di solidarietà con l’Africa. I ragazzi della prigione di Bukavu hanno quindi ricevuto un dono che, non solo permetterà loro di avere delle condizioni detentive più umane, ma ha il valore di un gesto di affetto e di solidarietà che arriva da lontano, e insegna anche a loro che “nessuno è così povero da non poter aiutare un altro”. Svizzera: rapita e uccisa educatrice sociale, portava un detenuto in terapia Corriere della Sera, 15 settembre 2013 L’ultima segnalazione risaliva a giovedì mattina, quando erano stati visti assieme a piazza del Mercato, a Carouge, comune svizzero di 20.000 abitanti nel Cantone di Ginevra. Poi il buio. A metà mattinata di venerdì è arrivata la notizia che tutta la Svizzera temeva: il corpo di Adeline M., educatrice sociale scomparsa in compagnia del detenuto francese Fabrice Anthamatten, condannato a dieci anni di carcere per violenza carnale, è stato ritrovato senza vita a Versoix. La trentaquattrenne, madre di una bambino, avrebbe dovuto accompagnare il prigioniero in terapia in un centro sociale alle porte di Ginevra, ma il detenuto avrebbe rapito la donna e più tardi l’avrebbe uccisa. Per adesso non si sa se la vittima ha subito violenza sessuale. Il trentanovenne Fabrice Anthamatten stava scontando la sua pena nel carcere ginevrino di Champ - Dollon e periodicamente poteva recarsi in un centro di terapia sociale fuori Ginevra accompagnato da una guida. Adesso, dopo che la notizia è stata diffusa dal sito web del quotidiano Le Matin, gli esperti si chiedono perché gli sia stata assegnato come assistente una donna: “È davvero inconcepibile - spiega al sito web del quotidiano Le Matin Vincent Spira, ex Presidente degli ordine degli avvocati elvetici - Come si può far uscire dal carcere uno stupratore pericoloso assieme a una donna, anche se questa è una educatrice sociale professionista? Sarebbe stato più logico che il detenuto fosse accompagnato da un uomo. Spero davvero che questo caso non metterà a repentaglio l’esistenza del centro di terapia sociale che funziona particolarmente bene .Molti dei miei clienti ci sono stati e le loro condizioni sono migliorate in un modo che nessuno avrebbe mai immaginato”. Dopo che la notizia della scomparsa della coppia era stata diffusa, i presunti avvistamenti dei due si erano moltiplicati. Secondo la polizia elvetica i due sarebbero stati segnalati su una Citroen Berlingo bianca nel pomeriggio di giovedì a un centinaio di chilometri da Ginevra. Naturalmente erano state contattate anche le polizie dei paesi che confinano con la Svizzera, in tanti accusano gli inquirenti di essersi mossi troppo tardi. Da parte sua, già giovedì pomeriggio, la polizia elvetica aveva definito la situazione “preoccupante” e aveva dichiarato di temere che si ripetesse la tragedia di Maria, ragazza elvetica rapita e uccisa lo scorso maggio da Claude Dubois, assassino che era stato rilasciato dalla polizia da qualche giorno. Un avvocato di Ginevra, che preferisce rimanere anonimo, spiega al sito del quotidiano elvetico che lo scopo della detenzione nel carcere di Champ - Dillon, che ospita detenuti pericolosi, è quello di recuperare e riabilitare i carcerati: “Probabilmente per consentire a Anthamatten di uscire dal carcere, qualcuno ha stabilito che non mostrava più segni di pericolosità. Mi chiedo chi abbia preso questa decisione? Prima o poi lo sapremo. E capiremo anche perché la giovane educatrice sociale è stata lasciata sola con lo stupratore”. Sospese le uscite per i detenuti “Le uscite accompagnate per tutti i detenuti che sottostanno alla giurisdizione ginevrina sono state sospese a tempo indeterminato”. Lo ha dichiarato venerdì il capo del Dipartimento della sicurezza del canton Ginevra, Pierre Maudet, nel corso di una conferenza stampa indetta poco dopo il ritrovamento del cadavere della socio terapeuta scomparsa, mentre si trovava in uscita accompagnata con un detenuto, condannato per stupro. Bocche cucite, invece, per quanto riguarda le modalità del delitto, su cui indaga il Ministero pubblico. Nel corso dell’incontro in molti si sono chiesti come la donna, seppur con esperienza in materia di accompagnamento di persone psicologicamente instabili, fosse potuta uscire da sola con uno stupratore recidivo. “La scelta dell’accompagnatore spetta all’istituto interessato, in accordo con il Servizio di applicazione delle pene del Canton Ginevra, e si basa sulle competenze specifiche della persona”, è stato ricordato. La 34enne uccisa lavorava alla Pâquerette dal 2007 - la struttura carceraria dove il presunto assassino, tuttora latitante, era recluso - e aveva già effettuato oltre 200 uscite con detenuti. L’uomo sospettato del delitto non era nuovo ad uscite del genere: già il 3 settembre gli era stata concessa un’uscita pianificata; anche in quel caso era stato accompagnato da una donna sola. Lo stupratore e presunto assassino era stato condannato in Svizzera a 5 anni di reclusione per violenza sessuale e ad altri 15 anni in Francia, sempre per stupro. Le due pene erano state cumulate e, di conseguenza, stava scontando 20 anni di carcere in Svizzera, una pena insolitamente lunga. Il 21 gennaio del 2014 avrebbe scontato i 2/3 della pena e nel febbraio del 2015 - stando al diritto elvetico - sarebbe dunque stata discussa la sua scarcerazione, sotto forma di libertà condizionata. Alla luce di quanto accaduto, il Consiglio di stato ha dichiarato che “molte domande dovranno essere poste” e che “l’intero sistema di concessione di uscite accompagnate dovrà essere rivisto”. Hong Kong: Festa di Mezzo autunno, Papa Francesco dona i dolci della luna ai detenuti www.asianews.it, 15 settembre 2013 Più di 10mila mooncake (dolci della luna) saranno distribuite a tutti i detenuti di Hong Kong, grazie alle donazioni di papa Francesco e dei fedeli della diocesi, segno che l’obiettivo di raccolta fondi di questo evento benefico è stato raggiunto. È il quarto anno che il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, ha invitato i cattolici a fare donazioni per comprare 10.500 mooncake (o “dolcetti della luna”) per tutti i carcerati, affinché anche loro possano condividere la gioia della Festa di mezzo autunno, una festività tradizionale nelle famiglie cinesi che quest’anno cade il 19 settembre. Le mooncake simboleggiano la riunificazione della famiglia e la riconoscenza per il raccolto autunnale con la luna piena. Rispondendo all’appello del card. Zen, papa Francesco ha fatto una donazione, mandata insieme a un biglietto datato 7 agosto scorso. “Papa Francesco - ha detto ad Asia News l’81enne porporato di Hong Kong - si preoccupa per i prigionieri e ha risposto alla mia richiesta”. Nel biglietto, il papa ha scritto in italiano: “Cari fedeli, volentieri mi associo a voi per donare il dolce di luna ai nostri fratelli e sorelle nelle prigioni di Hong Kong. Gesù ci riconoscerà alla porta del Paradiso. Buona Festa della Luna! Vi benedico di cuore, P.P. Francesco”. Il card. Zen ha tradotto le parole del papa in cinese e le ha inserite nel biglietto insieme a una foto di entrambi, scattata durante un loro incontro nel giugno scorso alla Casa Santa Marta, in Vaticano. Copie del biglietto (v. foto) sono state mandate ai donatori. All’inizio di settembre il porporato ha dichiarato: “Ho inviato al Santo Padre una scatola di mooncake, per condividere la gioia di questa festa con lui”. I “dolcetti della luna” sono ripieni di pasta di semi di loto e due tuorli d’uovo sotto sale. Le visite in carcere sono uno dei ministeri a cui il card. Zen non ha mai rinunciato, anche dopo il suo ritiro da vescovo di Hong Kong nell’aprile 2009. “Quando sono andato a trovare i detenuti - spiega il presule - mi hanno ricordato delle mooncake. Sono certo che sanno che papa Francesco ha sostenuto questo evento, perché leggono sempre i giornali. A volte con loro discutiamo di attualità e vediamo video sulla Chiesa”. Nell’ottobre 2011 il Kung Kao Po, settimanale diocesano di Hong Kong, aveva pubblicato una lettera firmata da “un carcerato”. La lettera ringraziava apertamente il card. Zen per aver mandato loro le mooncake, non solo come dolce festivo, ma come segno di “accettazione e amore dalle persone”. Intanto, gruppi ecclesiali e organizzazioni civiche hanno raccolto dolcetti da distribuire ad anziani che vivono soli e a famiglie povere. Questo permetterà a tutti di vivere la gioia della festa.