Giustizia: Ucpi; cinque giorni di astensione dei penalisti, per riforme e situazione carceri Ansa, 13 settembre 2013 Cinque giorni di astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria, dal 16 al 20 settembre prossimi, e, in concomitanza con l’inizio dello sciopero, il 16, una giornata di raccolta firme per i referendum sulla giustizia che sarà attuata su tutto il territorio nazionale davanti ai palazzi di giustizia. E infine, il 19, un incontro con la politica sui temi dell’astensione alla Residenza di Ripetta a Roma (dalle 9,30 alle 13,30), per affrontare il merito delle questioni urgenti in tema di riforme della giustizia. Dura presa di posizione degli avvocati penalisti contro una politica definita sempre più “debole” sulla giustizia e “inadempiente” sull’emergenza carceri. Questioni che andrebbero affrontate con interventi strutturali, e vi sarebbero le iniziative legislative per farlo, ma il Parlamento - incalza l’Ucpi - appare condizionato da fatti di cronaca e da polemiche spicciole i cui effetti si riscontrano nei ritmi alternati di importanti disegni di legge”. La protesta dei penalisti di “forte denuncia politica” affinché vi sia in Parlamento “una sessione straordinaria sulla giustizia”, passa attraverso “la battaglia per restituire un grado minimo di civiltà alle carceri, uno dei punti fondanti del programma di governo”, ma su cui, si ricorda, “non sono state licenziate fin qui misure davvero efficaci per fronteggiare l’emergenza”, fino alle riforme costituzionali e del sistema penale nel suo complesso, che ha visto protagoniste, oltre alla mancanza di coraggio della politica, “le reazioni corporative del sindacato dei magistrati e quelle velenose dei giustizialisti”. Per questo la questione del dibattito costituzionale e comunque complessivo sul tema giustizia, reclamato da anni e con forza dai penalisti, diventa tema di stretta attualità “cui la politica è di nuovo chiamata a rispondere”. Il primo appuntamento di confronto sarà quello del 19, alla Residenza di Ripetta, a Roma: hanno confermato la loro partecipazione il ministro per le Riforme costituzionali Gaetano Quagliariello, il presidente Luciano Violante, Danilo Leva, responsabile Giustizia del Pd e i senatori Giacomo Caliendo e Benedetto Della Vedova. Giustizia: Martinelli (Sappe); detenuti stranieri via dall’Italia, no ad abolizione ergastolo di Lorenzo Lamperti www.affaritaliani.it, 13 settembre 2013 “In Italia ci sono 65 mila detenuti, 23 mila sono stranieri. In alcune zone del Nord Italia si arriva anche al 70% del totale, a Padova dell’80%”. Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe, lancia una proposta in un’intervista ad Affaritaliani: “Non accedono alle misure alternative perché senza fissa dimora e creano tensione, bisogna espellerli e farli tornare nei loro paesi”. Per risolvere il sovraffollamento delle carceri il Sappe propone “il rafforzamento delle misure alternative”. Pd e Radicali vogliono abolire l’ergastolo: “Non siamo assolutamente d’accordo. Cancellieri? Non può prendere decisioni senza nemmeno consultarci...” Il Sappe insiste a dire che i detenuti stranieri sono un grave problema. Perché? Guardi proprio in questi giorni nel carcere di Udine si è verificato un episodio che ha visto protagonisti dei detenuti stranieri che hanno scatenato una rissa nella quale sono rimasti feriti tre agenti di polizia penitenziaria. Il detenuto straniero determina problemi non tanto perché è straniero ma perché determina problemi di comunicazione. Spesso sono aggressivi e questo è dovuto in buona parte al fatto che essendo molto sovente senza fissa dimora e appoggi all’esterno non possono accedere a misure alternative al carcere. Vivono la detenzione con molta tensione. Come si può risolvere il problema? Il problema è significativo perché stiamo parlando di circa 23 mila detenuti stranieri rispetto ai 65 mila che sono oggi nelle carceri italiane. La media nazionale è del 36-37% ma a livello locale negli istituti del Nord Italia la percentuale aumenta in maniera emblematica e si arriva anche al 60-70%. Addirittura nel carcere di Padova si arriva all’80% di detenuti stranieri. Noi pensiamo che la situazione si possa risolvere in maniera molto semplice, cioè con gli accordi bilaterali che il governo deve fare con i paesi di provenienza per fare in modo che i detenuti scontino la pena nel loro Paese. Marocco, Romania, Albania, Algeria, Tunisia e Nigeria sono le nazionalità più rappresentate in carcere. Servirebbe un accordo almeno con questi paesi. Tra i detenuti stranieri quelli comunitari sono circa il 40% e anche su questi il Sappe ha proposto di valutare la circolarità dei detenuti e cioè fare in modo che gli italiani detenuti nei paesi comunitari possano rientrare da noi e viceversa. La politica è d’accordo con voi? Lo stesso Presidente della Repubblica ci ha indirizzato un documento durante una conferenza a Budapest riconoscendo che finora sono stati ottenuti scarsi risultati sul tema. C’è stato però l’impegno sia da parte del capo dello Stato sia da parte del ministro della Giustizia di agire in questo senso e noi auspichiamo che vengano compiuti gli sforzi necessari per risolvere un problema urgente. Il ministro Cancellieri e Napolitano hanno più volte parlato del sovraffollamento delle carceri. Quanto è grave la situazione? Il sovraffollamento è un problema oggettivo. Le carceri italiane avrebbero 46 mila posti letto ma c’è costantemente una media di circa 65 mila detenuti. Abbiamo oltre 20 mila persone in più del consentito e tra l’altro buona parte di queste sono persone ancora in attesa di un giudizio definitivo. In quali modi si può risolvere il problema del sovraffollamento? Oltre alle espulsioni si potrebbe ad esempio far scontare la pena ai tossicodipendenti fuori dal carcere in centri di recupero. Un altro intervento necessario è il potenziamento delle misure alternative al carcere per reati minori. Non può essere sempre e solo il carcere la risposta. E poi, indipendentemente dal sovraffollamento, sarebbe importante fare in modo che si renda obbligatorio lavorare per tutti i detenuti. Oggi abbiamo una percentuale ancora minima di detenuti che lavorano, tra l’altro prevalentemente in impieghi interni. Stare in cella 20-22 ore al giorno senza fare assolutamente nulla non fa altro che aumentare la tensione che sfocia in risse e azioni di autolesionismo. Il carcere deve preparare i detenuti a rientrare in società seguendo un percorso di legalità. I dati dicono che chi sconta la pena lavorando ha una percentuale di recidiva molto bassa. Siete d’accordo con Radicali e Pd che vogliono abolire l’ergastolo? L’ergastolo è una norma che è prevista e che a nostro avviso deve rimanere per alcune tipologie di reati. Non siamo assolutamente d’accordo con la sua abolizione. Non è eliminando l’ergastolo che si rende il carcere più civile. Con Cancellieri c’è stata qualche frizione sul piano carceri. Com’è il rapporto del Sappe con il ministro? Noi abbiamo sollecitato in diverse occasioni un incontro con il ministro Cancellieri per individuare insieme le soluzioni per un lavoro complessivo sull’esecuzione della pena. Certo che poi quando sentiamo le dichiarazioni del ministro sul carcere di Pianosa ma anche sul caso Cucchi esterniamo le nostre convinzioni. Fu sbagliato chiudere Pianosa perché era un carcere che ci voleva ma la politica non ci ascoltò. Ora si vuole riaprire una struttura che ha subito l’incuria del tempo mentre vengono soppresse nuove carceri senza sapere quali e come. Nessuno ci comunica niente, senza tenere conto che in quelle carceri ci sono tante persone: detenuti ma anche lavoratori. Così non ci sta bene. Lettere: carcere e cartella sanitaria informatizzata di Mario Iannucci* Ristretti Orizzonti, 13 settembre 2013 Ho trovato, su Ristretti Orizzonti del 6 settembre, una comunicazione, non si capisce fatta da chi, relativa alla “Cartella Clinica Informatizzata” che sembra essere stata messa a punto dal Dap. Poiché conservo i miei vecchi messaggi di posta elettronica, ho subito pensato di avere commesso un errore nell’ordinare la posta in arrivo e di avere quindi cliccato su di un numero molto vecchio di Ristretti Orizzonti, un numero del 2007, del 2006 o ancora prima. Poi ho guardato bene e ho visto che il Notiziario era proprio del 6 settembre 2013. Un progetto Dap di Cartella Sanitaria, interfacciato con la piattaforma Afis, che viene elaborato nel 2013. Mi è venuto il sospetto che qualcuno volesse “tornare indietro” e sono quindi a chiedere dei chiarimenti. Il Dap è un organo del Ministero della Giustizia. Dall’aprile del 2008 tutta l’assistenza sanitaria nei penitenziari italiani è stata assunta dal Ministero della Salute, nelle sue articolazioni regionali. Mi chiedo, allora, a cosa servirebbe adesso una “Cartella Clinica Informatizzata” del Ministero della Giustizia. Chi la potrebbe usare? A cosa servirebbe? Nelle mani di chi dovrebbe andare, visto che ci sono ineludibili questioni di privacy? La ragione dice che non si potrebbe utilizzare in alcun modo. Lavoro in carcere dal 1979 e mi sono venute in mente le diverse riunioni sulla “Cartella Clinica Informatizzata” alle quali ho partecipato negli ultimi quindici anni. Ci veniva illustrato il funzionamento della “Cartella”, ci venivano mostrate le varie “finestre a tendina”, i menu, le opzioni, le interfacce, i fogli di lavoro e così via. Ci veniva detto che di lì a poco la “sperimentazione” sarebbe partita e noi, fiduciosi, aspettavamo contenti. Alle varie riunioni partecipavano molti operatori sanitari, tutti ovviamente retribuiti per farlo. La “Cartella Clinica Informatizzata” del Ministero della Giustizia, però, non è mai partita. La si vorrebbe forse far partire adesso? Adesso che le competenze assistenziali nei penitenziari sono passate al Sistema Sanitario Regionale? Il S.S.R. d’altronde, almeno quello toscano, si sta muovendo con un suo progetto di “Cartella Clinica Informatizzata”. Qualche mese addietro, in effetti, assieme a molti altri operatori ho partecipato a una prima riunione, nella quale i tecnici regionali hanno cominciato a illustrarci il funzionamento della nuova “Cartella Clinica Informatizzata Regionale”, che sarebbe dovuta entrare in funzione di lì a poco. Tutti auspichiamo, com’è ovvio, che questa Cartella si cominci presto ad usarla nell’attività quotidiana. Io, nel frattempo, ho già dimenticato come funziona la “Nuova Cartella Regionale”, tanto è vero che non saprei dire se si tratta dello stesso strumento illustrato nell’allegato di Ristretti Orizzonti. Spero di sì, e spero che sia stato dato un respiro “nazionale” al progetto toscano di informatizzazione del materiale clinico. Vi immaginate, altrimenti, come potrebbe essere gestita tale Cartella nei trasferimenti da un istituto penitenziario a un altro di diversa Regione? Sono un po’ disorientato. Io, però, non faccio testo: la mia memoria è senza dubbio lacunosa e, inoltre, troppe “Cartelle Cliniche Informatizzate” mi sono state illustrate negli ultimi anni senza che ne abbia mai potuta usare una! Continuo, in ogni caso, ad attendere fiducioso, già pronto a partecipare alla prossima riunione per apprendere il funzionamento della “Cartella Clinica Informatizzata”. * Psichiatra psicoanalista, Servizio di Salute Mentale Firenze 4 e Casa Circondariale di Sollicciano Genova: nel carcere di marassi raccolta firme per i referendum dei radicali Agi, 13 settembre 2013 L’iniziativa, unica in Italia e concordata col direttore della casa circondariale Salvatore Mazzeo, è stata promossa proprio dalla Camera penale di Genova, presieduta dall’avvocato Vittorio Pendini. I penalisti genovesi hanno dunque offerto la possibilità ai detenuti di esprimere per la prima volta il proprio pensiero su materie referendarie prima dell’eventuale apertura delle urne. I punti appoggiati, spiega Stefano Sambugaro, delegato alle carceri della Camera penale genovese, la separazione delle carriere dei magistrati, l’abolizione dell’ergastolo, i magistrati fuori ruolo, la revisione della custodia cautelare e l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati. Un analogo banchetto di raccolta firme sarà installato il 16 davanti al Tribunale di Genova. I penalisti genovesi hanno inoltre ricordato che aderiranno all’astensione nazionale prevista dal 16 al 20 settembre e che si pone l’obiettivo di stimolare gli organi legislativi al varo di una riforma della giustizia da anni caldeggiata e “sempre rimandata a fronte di altre emergenze nazionali. Intanto le carceri scoppiano e non esiste una soluzione reale problema mentre l’UE ci guarda in attesa di risposte concrete che l’estensione del cosiddetto svuota carceri non può dare” dice Pendini. Cagliari: Sdr; dopo 1 anno sanità penitenziaria Buoncammino ancora problema irrisolto Ristretti Orizzonti, 13 settembre 2013 “Le problematiche relative alla salute dei cittadini privati della libertà sono tutt’altro che risolte. A un anno di distanza dal passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle aziende sanitarie locali, sono cresciute le difficoltà. In particolare a Buoncammino, dove è ubicato un Centro Clinico specialistico peraltro ancora da ristrutturare, la situazione risente di una scarsa organizzazione sistemica”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che facendosi interprete delle segnalazioni dei detenuti e dei loro familiari rileva “una mancanza di considerazione della condizione di detenzione dei pazienti”. “La questione di maggiore rilevanza - osserva Caligaris - riguarda non solo la tempestività degli interventi chirurgici e delle visite diagnostiche da effettuare nelle strutture ospedaliere esterne ma anche l’assistenza all’interno. Il detenuto conserva il diritto alla salute ma essendo privato della libertà incontra oggettive difficoltà a usufruirne pienamente. La sanità pubblica in Sardegna infatti non sembra aver raggiunto un livello di efficienza tale da permettere ai cittadini di sentirsi completamente tutelati. Per quelli privati della libertà la realtà appare ancora più grave”. “Sarebbe inoltre indispensabile, ma finora non è stato oggetto di alcun intervento regolatore, considerare un Istituto Penitenziario - con in media 500 detenuti e 200 agenti (senza contare gli amministrativi) - alla stregua di un paese di medie dimensioni che quindi necessita di servizi e di specificità organizzative. Accade invece che, in assenza di figure professionali stabili tipiche di un reparto ospedaliero o più semplicemente della medicina di base o di un poliambulatorio, vi sia una diffusa mancanza di continuità terapeutica al punto che i detenuti non sanno a chi rivolgersi per avere chiarimenti sulla terapia o sui disturbi. La sanità penitenziaria - sottolinea la Presidente di Sdr - per poter corrispondere agli stessi criteri di quella riservata ai cittadini liberi deve poter contare su punti di riferimento costanti oltre che responsabilizzati e professionalmente all’altezza. Deve essere istituito un medico di base che nelle diverse sezioni si occupi costantemente dell’ordinaria cura dei pazienti”. “Occorre ricordare inoltre che per poter effettuare una visita ospedaliera - rileva ancora Caligaris - ogni detenuto deve essere accompagnato, salvo eccezioni, da una scorta. Analogamente ciò avviene in caso di ricovero in una struttura anche per terapie in ricovero diurno per poche ore. C’è poi il problema della preparazione all’esame specialistico da effettuare in day hospital che deve essere progettata almeno il giorno precedente. Accade invece che talvolta sia disponibile la scorta e il paziente non sia stato invece preparato o al contrario l’appuntamento fissato diversi mesi premi non possa essere rispettato perché manca la scorta”. “Queste problematiche possono essere risolte almeno in parte facilmente con un’organizzazione accurata e con l’assunzione di impegni da parte dei responsabili delle Aziende Sanitarie Locali in attuazione delle linee guida dell’assessorato della Sanità. Le condizioni rischiano di peggiorare - conclude Caligaris - con il trasferimento dei detenuti e degli Agenti a Uta. In quel caso ci sarebbe anche la difficoltà derivante dalla distanza per raggiungere i nosocomi. Un problema grave soprattutto in caso di emergenze. L’auspicio è che si faccia una seria verifica anche attraverso l’Osservatorio attivato dall’assessore della Sanità Simona De Francisci che in questi mesi sta effettuando un monitoraggio della situazione nei dodici istituti penitenziari dell’isola”. Pesaro: Sappe; agente aggredito da un detenuto straniero, 7 giorni di prognosi Adnkronos, 13 settembre 2013 Un assistente della Polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto straniero nel carcere di Pesaro. Ne dà notizia il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe. “Il poliziotto - riferisce il segretario del Sappe, Donato Capece - è stato colpito con un violento pugno al volto dopo avere richiamato il detenuto, lavorante, a non fumare. Gli sono stati diagnosticati 7 giorni di prognosi. A lui va tutta la nostra vicinanza e solidarietà, ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro Personale di Polizia Penitenziaria perché si decida di intervenire concretamente sulle criticità di Pesano, istituto nel quale vige la vigilanza dinamica voluta dall’Amministrazione Penitenziaria”. “Questa aggressione ci preoccupa, anche perché nessun provvedimento punitivo è stato assunto verso il detenuto che continua tranquillamente a lavorare”, denuncia Capece. “Sgomenta constatare la frequente periodicità con cui avvengono queste aggressioni: servono provvedimenti veramente punitivi per i detenuti che in carcere aggrediscono gli agenti o provocano risse. Il progetto dei circuiti penitenziari studiato dall’Amministrazione penitenziaria, che ha coinvolto anche il carcere di Pesaro con la vigilanza dinamica, non ci sembra la soluzione idonea”. Milano: la teatro-terapia aiuta i detenuti: “Ma… La… Vita” in scena a Bollate www.apollodoro.it, 13 settembre 2013 Si è concluso oggi alle ore 13:00 lo spettacolo “Ma… La… Vita” di teatro-terapia tenutosi presso il carcere di Bollate, interpretato dai detenuti del VII reparto. Come avevamo già preannunciato, lo spettacolo ha ricreato la difficile vita in cella. Superata la difficoltà iniziale per entrare fisicamente in carcere, sono arrivata finalmente al teatro. Sicuramente la parola teatro non è ciò che ci si aspetterebbe sentire: si tratta di un ampio spazio, con spalti per il pubblico e le quinte per gli attori. Il regista Mario Ercole ha prediletto una sceneggiatura pressoché spoglia, portando i letti per riprodurre le celle, direttamente da esse, per far concentrare l’attenzione del pubblico sui personaggi e sui contenuti esposti: obiettivo pienamente raggiunto. Cagliari: un nuovo appello a Papa Francesco “non si dimentichi dei detenuti” www.unionesarda.it, 13 settembre 2013 La speranza: una visita, anche per un solo saluto, nel carcere di Buoncammino. Dopo la richiesta espressa dai detenuti del carcere di Buoncammino attraverso l’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, di poter incontrare Papa Francesco nella sua visita a Cagliari il prossimo 22 settembre, anche l’ex ministro della Marina Mercantile, Ariuccio Carta, ha scritto una lettera al ministro della Giustizia, Anna Maria cancellieri, e all’arcivescovo di Cagliari, mons. Arrigo Miglio, per rappresentare “la speranza dei detenuti di avere una visita del Santo Padre”. “Ricordo, tanti anni fa (era domenica 20 ottobre 1985), che come ministro, per mandato del Governo, potei - ha scritto nella missiva - accompagnare in carcere Papa Giovanni Paolo II nella visita a Cagliari che suscitò, non solo tra i detenuti, ma nell’intera Sardegna, una grande commozione. Interpretando il diffuso sentimento dei carcerati di Buoncammino, vorrei che venisse esaminata, con motivato realismo, l’ipotesi di una visita, anche con un solo saluto, nell’istituto di pena cagliaritano, secondo in Italia, per la sua storia, solo a Regina Coeli”. Barcellona (Me): Camera Penale promuove raccolta firme per i referendum sulla giustizia www.24live.it, 13 settembre 2013 Gli avvocati penalisti di tutta Italia si fermano per una settimana dal 16 al 21 settembre, per chiedere la riforma complessiva del sistema penale, il miglioramento della carceri italiane e un nuovo assetto della magistratura. Lunedì 16 settembre la Camera Penale di Barcellona, insieme a tutte quella italiane, promuoverà anche la raccolta di firme a sostegno dei referendum sulla giustizia: separazione delle carriere, ergastolo, magistrati fuori ruolo, custodia cautelare, responsabilità civile dei magistrati. Il presidente Fabrizio Formica ed il vice presidente Pinuccio Calabrò hanno diffuso una nota per chiarire le ragioni dell’iniziativa. “I fatti - dichiarano - hanno dimostrato, da tempo ormai, che la politica non intende affrontare seriamente problemi importanti come la condizione delle carceri in Italia, la riforma complessiva del sistema penale e quella costituzionale dell’assetto della magistratura. A tale scopo non sono serviti neppure i richiami della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, costretta a sanzionare economicamente il nostro Paese per la gravità delle condizioni in cui vivono i detenuti, o della Presidenza della Repubblica che è dovuta intervenire più volte a segnalare pubblicamente l’urgenza di una riforma organica della Giustizia. In questo contesto l’Unione delle Camere Penali Italiane, oltre a promuovere, con l’astensione per una settimana, una iniziativa di forte denuncia per sensibilizzare la politica ad un approccio serio alla soluzione di questi problemi, essendo tra i promotori dei referendum sulla giustizia, ha ritenuto anche di contribuire direttamente a tale iniziativa dedicando la prima delle giornate di astensione alla raccolta delle firme dinanzi ai Palazzi di Giustizia”. Anche a Barcellona, la Camera Penale sarà impegnata lunedì 16 settembre dinanzi al Palazzo di Giustizia a dare il proprio sostegno alla raccolte delle firme mettendo a disposizione di tutti i cittadini i moduli da firmare ed a fornire informazioni e chiarimenti sulle tematiche referendarie. Lo slogan dei manifesti che saranno divulgati a questo scopo illustra efficacemente il senso della iniziativa: la tua firma per una riforma! “L’importanza per la tutela dei diritti dei cittadini dei sei quesiti referendari abrogativi sulla giustizia - precisa l’avvocato Calabrò - evidenzia la loro centralità nel panorama di una più complessa stagione di riforma della macchina giudiziaria, che ormai palesemente incongruente con gli stessi principi costituzionali, è incapace di garantire certezza del diritto”. Verona: detenuti rifiutano il vitto dell’amministrazione e donano gli alimenti alla Caritas Ristretti Orizzonti, 13 settembre 2013 Il Coordinamento nazionale dei detenuti dal 10 settembre ha messo in atto una forma di mobilitazione collettiva, articolata su 8 giorni, che prevede l’astensione dal consumo dei pasti forniti dall’Amministrazione Penitenziaria. A Verona si è deciso di effettuare questa azione, civile e pacifica, per 3 giorni, devolvendo alla Caritas le derrate alimentari non consumate. La parola d’ordine dell’azione di questi giorni è “sovraffollamento”, la più manifesta contraddizione con l’articolo 27 della Costituzione. “Sovraffollamento” non significa per i detenuti soltanto trascorrere le giornate in strutture inadeguate che mortificano la dignità delle persone, il sovraffollamento significa anche indisponibilità, per mancanza di risorse, di educatori, psicologi, assistenti sociali e psichiatri, figure fondamentali per l’azione di recupero; significa anche non disporre di opportunità lavorative; significa anche ostacoli, causa l’alto numero di bisogni, a reali azioni di reinserimento nel tessuto cittadino. Se questa azione, propagatasi da Milano a Palermo vede la partecipazione di oltre 100 direttori penitenziari, di provveditori regionali e in precedenza dei garanti dei diritti delle persone private della libertà personale, nonché di numerosi volontari; se lo stesso Papa Francesco, per 3 giorni, ha pregato e digiunato e i componenti le camere penali si astengono dalle udienze per intere settimane ciò significa che lo Stato, con le leggi che nel tempo si è dato, non è riuscito a rispondere alle richieste di legalità che si alzano dagli istituti di pena. Attendevamo con ansia i decreti che ci rifiutiamo di chiamare “svuota carceri” e che hanno prodotto, ad oggi, minimi miglioramenti. Dalle carceri non è uscito quasi nessuno dimostrando ancora una volta che i decreti di emergenza in materia di giustizia e di carcere, in generale, non portano a nulla, neppure a risolvere il problema della recente condanna di Strasburgo. Ricordiamo che la capienza del carcere di Verona è di circa 450 detenuti, ad oggi le persone qui ospitate sono mediamente 870, rinchiuse in celle di 4 persone con un metro e mezzo di spazio calpestabile a persona. Con la nostra azione vorremmo richiamare l’attenzione sull’urgente necessità di misure concrete volte a migliorare l’attuale situazione, Verona è un grande carcere, parlano i numeri. Si rendono indispensabili processi veloci affinché nessun innocente sia trattenuto in carcere, l’applicazione di misure alternative, spazi di sostentamento e di vita per chi può lasciare il carcere e chi si trova alla fine della sua pena. Vogliamo fare, vogliamo esserci per recuperare la nostra dignità di donne e uomini ed è con questo spirito che chiediamo alla Magistratura di Sorveglianza la più ampia applicazione delle leggi esistenti. Non possiamo trascurare il fatto che Verona ospita una percentuale altissima, il 70%, di popolazione detenuta proveniente da altri Paesi, meno fortunati dell’Italia e ad alto tasso di emigrazione. Se non ci sono misure che prevedano per queste persone una possibilità di integrazione, il loro destino sarà quello di percorrere all’infinito i corridoi delle carceri a meno che non si apra un canale con i Paesi d’origine attraverso i consolati, sì da consentire un possibile rimpatrio anche per quanti sono oggi sprovvisti di documenti di identità e vorrebbero poterlo fare. Affidiamo le nostre parole alle Autorità affinché possano intervenire, le affidiamo ai cittadini, fiduciosi nella loro sensibilità e nel loro sostegno pienamente consapevoli del difficile momento economico che attraversa il nostro Paese. Benevento: “Storia di un attimo”, in un film storie dei ragazzi detenuti all’Ipm di Airola di Stefano Rottigni Ansa, 13 settembre 2013 L’Ira: “Io ho ucciso, devo scontare 15 anni”. La gola: “Io rubavo nei supermercati”. Per raccontare la “Storia di un attimo” che ha portato i carcere i ragazzi dell’Istituto di pena per minori di Airola, nel Beneventano, Antonella D’Agostino, moglie di Renato Vallanzasca, ha scelto l’espediente dei Sette vizi capitali nel “corto”, ma che probabilmente diventerà un film, in fase di realizzazione nel carcere minorile campano. La D’Agostino, scrittrice (suoi i libri “Lettere a Renato” e sulla vita del rivale del marito, Francis Turatello), e gli interpreti definiscono “Storia di un attimo” un “piccolo film per una grande idea: l’obiettivo è infatti quello di allestire una cucina professionale all’interno del carcere per formare i detenuti e dare loro la possibilità di trovare lavoro una volta liberi. “Il film non è solo la raccolta di testimonianze in cui i ragazzi raccontano il loro vissuto - spiegano - ma un film dove i giovani detenuti interpretano dei personaggi attraverso i quali raccontare quelle scelte fatte in un attimo ma che segnano la vita”. C’è un ruolo anche per due noti volti tv: la cantautrice D’Aria, che ha scritto la colonna sonora, e l’attore Vincenzo Soriano. Soriano, protagonista ne “La nuova Squadra 3” e interprete in “Con tutto l’amore che ho”, dove recita al fianco di Barbara De Rossi e Cristel Carrisi, è da anni fortemente impegnato nel sociale. Per Giuseppe Centomani, direttore del Centro giustizia minorile di Napoli, il film è “l’occasione perché, per la prima volta, questi ragazzi siano veramente adolescenti, poiché sono sempre stati costretti a essere adulti, dalla criminalità organizzata”. Per Michele Napoletano, sindaco di Airola, il film è il proseguimento di un’attività cominciata da tempo con i minori detenuti, undici dei quali sono già sul territorio, lavorando in pizzerie o svolgendo altri lavori. I ragazzi di Airola, spiega infine il comandante degli agenti della Polizia penitenziaria, Mario Pirozzi, hanno storie diverse ma ugualmente drammatiche: sono detenuti per rapina, omicidio, spaccio. “Per noi è essenziale che si raccontino, capiscano le loro responsabilità, per questo abbiamo spalancato le porte a questa esperienza”. Mondo: pena di morte; Nessuno Tocchi Caino denuncia “è record di esecuzioni” Agi, 13 settembre 2013 Il boia ha ripreso a lavorare di buona lena. Nel giorno in cui l’India commina quattro condanne a morte “Nessuno tocchi Caino” lancia un allarme sul numero record di esecuzioni registrate in Iran, Iraq, Arabia Saudita, Somalia e Corea del Nord negli ultimi 20 giorni e sulla ripresa delle esecuzioni in Vietnam e Giappone. Positive invece sono le notizie della sospensione delle esecuzioni in Pakistan, della proposta di abolizione in Tanzania, della decisione della Svizzera di porre un bando all’esportazione di sostanze usate nelle esecuzioni tramite iniezione letale, della decisione della Cina di eliminare gradualmente, a partire dal novembre 2013, la prassi pluridecennale di utilizzare gli organi dei prigionieri giustiziati per le operazioni di trapianto. Il vento riformista levatosi in Iran con la presidenza di Hassan Rohani non sembra impensierire il boia. Dal 18 agosto all’11 settembre 2013, dopo la fine del Ramadan, sono state effettuate e reso note almeno 35 esecuzioni, e al modello iraniano sembra adeguarsi l’Iraq di Al Maliki, che dall’inizio dell’anno ha già giustiziato almeno 70 persone, 21 delle quali sono state impiccate tra il 19 agosto e il 4 settembre. Dal 2005 a oggi, l’Iraq post-Saddam ha eseguito almeno 517 condanne a morte “legali”, nulla di nuovo rispetto al regime di Saddam. L’altro versante dell’Islam, la famiglia sunnita, non è da meno. Dall’inizio dell’anno e fino all’11 settembre, in Arabia Saudita sono state decapitate 66 persone, 7 delle quali negli ultimi 20 giorni. Molte delle persone giustiziate sono stranieri provenienti quasi tutti dai Paesi poveri del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia. I lavoratori immigrati sono vulnerabili agli abusi dei loro datori di lavoro e delle autorità. Spicca nel mondo la Nord Corea, tra quei Paesi che fanno maggiormente ricorso alla pena di morte anche se il numero delle esecuzioni è tenuto assolutamente nascosto Corea del Nord. Tra le 12 esecuzioni del 20 agosto, c’è stata anche quella di Hyon Song-wol, l’ex fidanzata di Kim-Jong-un che con altri 11 artisti famosi è stata giustiziata da un plotone di esecuzione per aver violato le leggi contro la pornografia. E dalle informazioni in mano all’associazione, emerge negativamente il Giappone di Shinzo Abe: l’ultima esecuzione è stata ieri 12 settembre 2013, con l’impiccagione di un uomo di 73 anni, Tokuhisa Kumagai: in tutto sei detenuti sono stati giustiziati da quando il governo conservatore è al potere, dal dicembre 2012. Positivo, invece, il quadro che arriva dal Pakistan, dove alla fine di agosto il premier, Nawaz Sharif, ha sospeso l’esecuzione della pena capitale per 468 detenuti, compresi terroristi e altri condannati a morte da tribunali militari. Sharif ha rinviato le esecuzioni capitali fino a nuovo ordine dopo essersi consultato con il capo dello Stato, Asif Ali Zardari, da sempre contrario alle esecuzioni. Questa moratoria temporanea è stata anche il frutto delle pressioni dell’Ue, che avrebbe posto questo come condizione per assegnare alle esportazioni pakistane uno stato di priorità. Quanto alla Cina, che ogni anno si pone in cima alla cima della classifica delle esecuzioni, il 15 agosto 2013 Huang Jiefu, capo dell’ufficio trapianti di organi del ministero della Sanità, ha detto che, a partire dal novembre 2013, la Cina avrebbe eliminato gradualmente la prassi pluridecennale di utilizzare gli organi dei prigionieri giustiziati per le operazioni di trapianto. “Le luci e le ombre del rapporto annuale sulla pena di morte fanno comprendere quanto sia importante proseguire sulla battaglia della moratoria, tema che non riguarda solo il passato ma anche il presente, e che interessa anche quelle che si ritiene siano democrazie compiute”, ha detto il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti Umani del Senato. “La geopolitica della morte nel mondo impone, a distanza di pochi mesi, un aggiornamento - ha sottolineato Manconi - soprattutto a fronte della cupa novità dell’imposizione della pena di morte per fatti di terrorismo in Bahrain e, soprattutto, delle esecuzioni extragiudiziarie, che tendono a diffondersi sempre di più”. Tra queste, per il presidente di “Nessuno tocchi Caino” rientrano anche quelle operate dai droni, che “negli ultimi anni hanno fatto circa 4.770 morti, in gran parte civili”. “Andrebbe introdotta -ha concluso- una moratoria sul loro utilizzo”. Mondo: non si placa lo scandalo delle carceri segrete Usa in Europa di Serghei Duz Voce della Russia, 13 settembre 2013 Nel maggio 2006 la maggior parte delle carceri segrete della Cia è stata già chiusa. Tuttavia le domande agli americani rimangono senza risposta. Nel giorno di un anniversario di turno degli atti terroristici del 2001 Nils Muižnieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha di nuovo richiamato l’attenzione della società europea su questo tema difficile e dolente. Capisco che è una questione molto delicata per molti paesi. Quando tocco questo tema, sento a volte la seguente risposta: “Non disponiamo di nessuna informazione in merito, in quanto il relativo programma è stato attuato dagli Usa sul nostro territorio, ma noi non abbiamo cooperato con loro”. Alcuni paesi si rifiutano del tutto, in maniera categorica, di discutere la questione e di ritornare alla stessa. Ma si tratta della supremazia della legge. Gli esperti ritengono che il problema sia molto più largo, visto che il rifiuto cinico di rispettare le norme del diritto internazionale è stato quasi l’unica risposta degli Usa e dei loro alleati più fedeli alle sfide della contemporaneità. I partecipanti del programma antiterroristico della Cia devono essere chiamati a rispondere, ritiene il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Secondo l’opinione del politologo militare Aleksandr Golck. Gli approcci dei dirigenti Usa al problema dei diritti umani sono entrati in contrasto con gli approcci dei paesi membri dell’UE. Ciò è successo non oggi. Non tutti si rendono conto che dopo l’11 settembre 2001 gli Usa vivono nelle condizioni in cui operano leggi d’emergenza. Per quel che riguarda le carceri stesse, la loro apparizione è il risultato delle discordanze tra la legislazione interna e quella internazionale. Per evitare la necessità di seguire la lettera della legge i servizi speciali hanno scelto la via più semplice dal loro punto di vista. È ovvio che queste persone abbiano agito con il benestare delle massime autorità degli Usa. Le persone che sono a favore delle carceri e che vanno punite per questo sono George Bush junior e, ad esempio, il ministro della difesa Ramsfeld. Legislatori dei paesi dell’Unione Europea, media europei ed americani, organizzazioni non governative per la difesa dei diritti dell’uomo di tutto il mondo sono intervenuti contro le violazioni dei diritti umani nel corso della lotta al terrorismo. Dalla parte degli oppositori della politica degli Usa sono anche le strutture dell’Unione Europea, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’Europarlamento. I partecipanti al programma antiterroristico della Cia devono essere citati in giudizio, dice Nils Muižnieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Gli esperti addossano tutte le colpe alla disonestà politica di singoli membri dell’UE e alla politica dei doppi standard portata avanti da Washington. Aleksej Kuznecov, direttore del Centro di studi sull’Europa presso l’Istituto dell’economia mondiale e delle relazioni internazionali dell’Accademia delle scienze della Russia, dice: Sappiamo bene che i piccoli paesi dell’UE, soprattutto quelli dell’Est europeo, non possono vantare una politica estera indipendente. Per molti decenni hanno manovrato prima nell’ambito del blocco sovietico, poi hanno cominciato a costruire rapporti “speciali” con gli Usa. È paradossale ma l’Unione Europea cerca di non intromettersi in queste cose sostenendo che ciò limiterebbe la sovranità degli stati. Ma questi stati usano la loro presunta autonomia a scopi tutt’altro che plausibili. L’ondata di indignazione s’infrange contro il muro indistruttibile della dipendenza, artificialmente creata, degli stati più deboli sul piano economico e politico da Washington, che non vuole permettere a questi stati di diventare realmente sovrani. Finché le cose rimangano così, si può solo sognare la fine dell’epoca dei doppi standard nei rapporti internazionali. Bolivia: sovraffollamento delle carceri, il presidente Morales spinge per un nuovo indulto di Luca Pistone www.atlasweb.it, 13 settembre 2013 Il presidente della Bolivia, Evo Morales, ha firmato questa settimana un decreto presidenziale che, se approvato i prossimi giorni dall’Assemblea Legislativa Plurinazionale, concederà l’amnistia ai detenuti per reati minori con pene pari o inferiori agli otto anni. Una misura “necessaria” per risolvere il sovraffollamento nelle carceri e il ritardo della giustizia nel paese. Beneficeranno dell’indulto i detenuti con pene pari o inferiori agli otto anni che hanno commesso reati minori, i detenuti più anziani, gli adolescenti, i giovani fino ai 25 anni, le persone con malattie gravi o terminali, i disabili e i padri di famiglia con figli sotto i dodici anni. Ne beneficeranno anche i detenuti processati e quelli in custodia cautelare il cui processo sia durato quattro anni. Ne restano fuori le persone condannate per omicidio, pedofilia, tradimento della patria, spionaggio, sequestro e traffico umano, terrorismo, separatismo ed estorsione. Si tratta del secondo decreto di indulto in meno di un anno: in dicembre il governo ha approvato l’amnistia per circa 1.600 detenuti. Morales, riportano i media nazionali, ha precisato che “questo indulto avrà una durata di un anno perché il primo, di tre mesi, non ha lasciato abbastanza tempo ai familiari delle persone recluse per presentare la relativa documentazione”. L’83% degli oltre 13.800 detenuti in Bolivia è in stato di detenzione preventiva senza processo e i loro casi soffrono il cronico ritardo della giustizia del paese. Negli ultimi mesi la Bolivia è finita sotto i riflettori di tutti i media internazionali dal momento che circa 2.100 bambini vivono nelle carceri con i propri genitori, una situazione inedita nel mondo, secondo l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il carcere che presenta i maggiori problemi è quello di San Pedro, a La Paz, costruito per ospitare 600 prigionieri maschi, ma dove al momento ce ne sono 2.500. Il centro è oggetto di continue critiche per la sua precaria infrastruttura e la situazione di estrema insalubrità. Egitto: Amnesty International; detenuti pro-Morsi vessati e senza diritti in carcere www.repubblica.it, 13 settembre 2013 Lo fa sapere Amnesty International che ha documentato molti casi di arresto senza che i detenuti abbiano poi avuto vedere parenti e avvocati né la possibilità di ricorrere contro la legittimità della loro detenzione. Dal 3 luglio le forze di sicurezza avrebbero arrestato almeno 3000 persone. Settantasette uomini e tre donne sono stati trattenuti in due celle che possono ospitare al massimo 20 persone ciascuna. Numerosi detenuti arrestati il mese scorso al Cairo, dopo lo sgombero di due grandi manifestazioni di sostenitori dell’ex presidente egiziano Mohamed Morsi, sono privati dei loro diritti legali fondamentali. Amnesty International ha documentato parecchi casi di manifestanti che, dopo l’arresto, non hanno avuto accesso immediato a parenti e avvocati né la possibilità di ricorrere contro la legittimità della loro detenzione. “L’assenza di rispetto per il giusto processo, da parte delle autorità egiziane, è un segnale allarmante. Ognuno dev’essere uguale di fronte alla legge. È inaccettabile che sostenitori di Morsi o della Fratellanza musulmana siano trattati in modo iniquo a causa della loro affiliazione politica” - ha detto Philip Luther, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International - a tutti questi detenuti dev’essere consentito immediato accesso a parenti e avvocati”. Arrestate tremila persone. Dal 3 luglio, secondo fonti legali, le forze di sicurezza hanno arrestato almeno 3000 persone, per lo più - secondo quanto sostengono i loro avvocati - sostenitori o militanti della Fratellanza musulmana. Circa 600 di essi sono stati poi rilasciati. Amnesty International è preoccupata per il fatto che tra gli arrestati vi siano uomini e donne che stavano semplicemente esercitando il loro diritto alla libertà d’espressione e di riunione, protestando a sostegno del deposto presidente Mohamed Morsi. Molti detenuti rischiano di essere incriminati per gravi reati, tra cui omicidio, aggressione a funzionari della sicurezza, possesso di armi, istigazione all’omicidio e ad altre forme di violenza. A 50 avvocati è stato impedito di assistere i detenuti. Molti manifestanti arrestati il 14 agosto durante lo sgombero dei sit-in di Rabaa al-Adawiya e Nahda non hanno potuto incontrare gli avvocati almeno per quattro giorni. I legali della Fratellanza musulmana hanno dichiarato di non aver potuto seguire le indagini in quanto gli interrogatori si svolgevano durante le ore del coprifuoco o perché non sapevano dove si trovassero i loro clienti o la data e l’ora in cui sarebbero stati esaminati i casi. Un avvocato del Fronte per la difesa dei manifestanti egiziani, un gruppo legale indipendente, ha riferito ad Amnesty International che il 27 agosto le forze di sicurezza hanno impedito a 50 avvocati di entrare nella prigione di Abu-Zaabal per presenziare all’esame dei fascicoli e all’estensione della durata della detenzione dei manifestanti arrestati alla vigilia di Ferragosto durante lo sgombero del sit-in di Rabaa al-Adawiya. L’esame di 600 reclusi è durato 15 minuti. Sono stati fatti entrare solo 20 avvocati, sebbene le indagini riguardassero 700 detenuti. I legali presenti hanno riferito che l’esame dei casi di 600 detenuti è durato solo 15 minuti, senza che i detenuti o i loro avvocati potessero presentare prove a loro difesa. In molti casi i detenuti sono stati interrogati in assenza dei loro avvocati. Inoltre, in molti casi, i pubblici ministeri hanno svolto le indagini all’interno di stazioni di polizia, prigioni o basi della Forza centrale di sicurezza. La presenza nelle vicinanze di uomini della sicurezza potrebbe mettere in dubbio l’imparzialità delle procedure. Nonostante sia previsto dalla legge egiziana, molti detenuti non sono stati portati di fronte a un giudice entro 24 ore. Di conseguenza, la durata della loro detenzione è stata prolungata. In 77 in due celle che ne ospitano 20. “Impedire l’accesso alla rappresentanza legale è una grave violazione dei diritti umani. Tutti gli arrestati devono avere la possibilità concreta di vedere il loro caso esaminato da un ufficiale giudiziario alla presenza di un rappresentante legale e di essere sottoposti a processo entro un tempo ragionevole oppure rilasciati”, ha sottolineato Luther. Tra le persone arrestate il 16 agosto durante le violenze di piazza Ramsis, 77 uomini e tre donne sono stati trattenuti per almeno 14 giorni nella stazione di polizia di Hadayek El-Kubba, in due celle che possono ospitare al massimo 20 persone ciascuna. Le tre donne sono state poste in una cella separata. Una di esse, nonostante una gamba fratturata, ha atteso quattro giorni prima di essere visitata ed è stata ricoverata in ospedale solo dopo che la sua ordinanza di detenzione era stata rinnovata. Un centro di detenzione non ufficiale. Amnesty International ha inoltre appreso che almeno 250 persone sono trattenute all’interno del campo Al-Salam, appartenente alla Forza centrale di sicurezza, un centro di detenzione non ufficiale. Almeno ulteriori 30 persone arrestate durante le violenze scoppiate a Giza il 16 agosto rimangono in luoghi sconosciuti. “Le forze di sicurezza e gli inquirenti devono fornire informazioni dettagliate sui luoghi in cui si trovano questi detenuti”, ha concluso Luther. Cuba: nastrini gialli per chiedere a Usa rilascio agenti in carcere dal 1998 www.lapresse.it, 13 settembre 2013 Migliaia di nastrini gialli spiccano oggi in tutta Cuba per chiedere il rilascio e il ritorno di un gruppo di agenti segreti detenuti nelle carceri degli Stati Uniti, gli ormai celebri Los Cincos. I nastri sono stati appesi alle case, agli alberi, ai lampioni, negli edifici pubblici e privati, così come nei piccoli negozi, e i bambini delle scuole elementari li hanno posti tra i capelli, per sollevare l’opinione pubblica e ricordare la missione degli uomini, in patria considerati eroi. Sempre oggi l’associazione degli artisti e degli intellettuali cubani ha tenuto una marcia dalla sua sede fino alla missione diplomatica degli Usa all’Avana, lungo il Malecon, il lungomare della capitale, per sensibilizzare il governo di Washington. “Hanno sofferto già troppo”, commenta il 50enne Jorge Luis Maresma, 50, che ha preso parte alla marcia. Una manifestazione è stata organizzata anche dagli studenti all’esterno dell’Università dell’Avana. La campagna è stata annunciata la settimana scorsa da René Gonzalez, l’unico dei cinque che finora è riuscito a fare ritorno in patria. Ricorre infatti oggi il 15esimo anniversario dell’arresto degli agenti. I cinque furono fermati il 12 settembre 1998 e condannati tre anni dopo per aver spiato sulle installazioni militari Usa nella Florida meridionale, oltre che su gruppi di esuli e su politici. L’Avana sostiene che i cinque stessero solo monitorando i militanti esuli e cercando di sventare attacchi terroristici, e che non rappresentassero alcuna minaccia alla sovranità Usa. “Il simbolismo dei nastri gialli - spiega lo stesso René Gonzalez - ha un forte impatto nella mente degli americani. È un messaggio di amore che fa appello alle emozioni. Stiamo cercando di inviare il messaggio che anche noi siamo umani”. Gonzalez è stato rilasciato su cauzione nel 2011 dopo aver scontato gran parte della sua sentenza. All’inizio di quest’anno un giudice americano gli ha permesso di rinunciare alla cittadinanza e fare ritorno a Cuba. Gli altri quattro rimangono in carcere e uno di loro dovrebbe venire rilasciato a febbraio. Ieri sera il presidente Raul Castro e altri alti funzionari cubani hanno preso parte a un concerto per Los Cincos al teatro Karl Marx della capitale.