Giustizia: l’amnistia sociale… per tutti quelli (tanti) che criticano il potere di Giovanni Russo Spena Il Manifesto, 12 settembre 2013 Ci battiamo da anni contro un sistema carcerario fuorilegge, per l’amnistia, l’indulto, insieme a decine di associazioni. Oggi ci è inibito da larga parte delle sinistre. È inutile precisare, con argomenti e scienza giuridica che Berlusconi non potrebbe fruire delle nostre proposte di amnistia. Ha ragione Bascetta: nel nome del cosiddetto “antiberlusconismo” il merito di ogni questione, ogni principio può essere sacrificato, lasciando campo libero al giustizialismo populista e all’ipertrofia punitiva in un carcere diventato sempre più una struttura classista. Sento, allora, il dovere di aggiungere la mia modesta testimonianza alle argomentazioni di Pepino, Gianni, Corleone, Gonnella, Romeo. Forse possiamo cogliere l’occasione per squarciare ipocrisie, per aprire, dopo anni di rimozione istituzionale, finalmente, un “dibattito sul diritto penale che vogliamo e sulle modalità di gestione del conflitto sociale”. Terreni su cui le sinistre hanno fatto bancarotta e che ritengo, invece, fondativi per la costruzione di una sinistra alternativa. Non sono temi collaterali, da specialisti marginali, così come, ad esempio, non lo è l’organizzazione dei migranti. Ritengo, anzi, che il contesto, con la connessione tra crisi del liberismo, recessione, postdemocrazia (il capitale pretende, e ottiene dalle maggiori forze politiche, una ex democrazia costituzionale) ci induca ad assumere la centralità della campagna per l’”amnistia sociale”(bene illustrata da Romeo sul manifesto qualche giorno fa. Parlo della guerra che il potere ha aperto contro migranti, movimenti, settori sindacali, militanti politici, grumi di resistenza sociale. Vengono applicati spesso, contro ragazze e ragazzi, figure di reato (devastazione, saccheggio) inusuali, che Mussolini pretese per gli oppositori del regime. Correttamente Pepino scrive di un’amnistia che guarda al futuro “perché sia l’anticipazione di un sistema penale diverso che includa i reati che stigmatizzano le persone ma escludendo quelli che destano allarme sociale. Come i reati fiscali”. Va combattuto il paradigma impostosi negli anni del “diritto del nemico” (il “nemico migrante clandestino” ne è metafora, per le legislazioni emergenzialiste, ma anche per le ordinanze di tanti sindaci, anche del Pd). Ho vissuto di persona l’amnistia (che Pepino descrive) del’70. Essa da un lato proiettò la sua forza politica sul miglioramento della generale condizione carceraria (è sempre così: i provvedimenti di clemenza preparano ed agevolano riforme strutturali), dall’altro lato ricostruì un equilibrio sociale che era stato rotto dalla repressione di stato contro conflitto operaio, agrario, studentesco. Proprio qui siamo ora. Denunce di attivisti sociali, condanne, penalizzazione e carcerizzazione di circa ventimila persone (in quotidiana crescita), colpevoli di lotta di classe, a cui viene impedito il già aspro percorso lavorativo, con applicazione di misure dettate da una logica strisciante, anche negli apparati statali, di “stato di eccezione”, di “stato penale” (fogli di via, sorveglianze speciali, ecc.). La Val Susa e tutte le zone di insediamento di discariche, inceneritori, grandi abnormi impianti sono diventate “zone rosse” (a controllo e disciplina militare); e il diritto di resistenza, anche il più aspro, contro la militarizzazione è dentro i principi della legalità internazionale. Le fabbriche in lotta (da Pomigliano alla Irisbus) sono militarmente presidiate. Le lotte per il diritto all’abitare diventano associazioni sovversive. E così via. La guerra giudiziaria contro la critica del potere agita concretamente i mille rivoli carsici nei territori. Con la proposta di “amnistia sociale” ci richiamiamo a diritti costituzionali vissuti, non solo proclamati. Posso permettermi di proporre che anche questo tema sia assunto all’interno dell’importante “via maestra” del 12 ottobre? Giustizia: cento direttori delle carceri “non vogliamo essere complici illegalità” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 12 settembre 2013 È accaduto un qualcosa di “storico”, anche se pochi hanno mostrato di accorgersene. Il Si.Di.Pe., il sindacato dei direttori penitenziari, ha aderito all’iniziativa promossa da Marco Pannella di tre giorni di digiuno per l’amnistia e la giustizia. Una sorta di reazione a catena: papa Francesco promuove un giorno di digiuno contro la guerra di Siria; Pannella aderisce e rilancia con tre giorni, aggiungendo all’obiettivo papale, la situazione delle carceri; e i vertici del Si.Di.Pe. aderiscono a loro volta: adesione non formale, invitando i loro aderenti a partecipare. È la prima volta che decine di direttori e dirigenti di carcere danno vita a una simile iniziativa. È certamente una notizia. Per questo la si ignora. Rosario Tortorella è segretario del Si.Di.Pe. “Dal carcere di Milano fino al carcere di Palermo sono più di cento i direttori penitenziari e i provveditori regionali che hanno partecipato allo sciopero della fame fissato, in concomitanza con il digiuno di Papa Francesco, dal 7 al 9 settembre e promosso da Marco Pannella anche contro la violenza di Stato che si consuma, nostro malgrado, nelle carceri. Con questa partecipazione straordinaria dei direttori penitenziari abbiamo voluto far sentire anche la nostra voce perché non vogliamo più essere, o sembrare, complici di uno Stato che non è più in grado di applicare la propria legalità, quando noi invece vogliamo e dobbiamo essere messi in condizione di applicare la legge”. È questo, il punto cruciale: “Come è noto il 27 maggio di quest’anno la Grand Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha confermato la sentenza della Corte stessa dell’8 gennaio scorso che, rilevando il carattere strutturale del sovraffollamento carcerario, aveva già condannato il nostro Paese, assegnandogli il termine di un anno per risolverlo, termine che scadrà il 27 maggio 2014. Noi del Si.Di.Pe., da anni denunciano che l’emergenza penitenziaria discende da problemi strutturali che traggono origine dall’errata cultura secondo la quale il carcere è l’unica pena utile per un fatto costituente reato, da una ipertrofia del diritto penale, dal depotenziamento delle misure alternative, da un uso abnorme della custodia cautelare. In altri termini, la situazione delle carceri italiane, nonostante i recenti interventi normativi, resta gravissima, perché il sovraffollamento è conseguenza di cause strutturali che stanno prima e fuori dal carcere”. I dirigenti penitenziari, insieme agli altri operatori, vivono e patiscono in prima persona le conseguenze di questa grave emergenza, a cui si aggiungono quelle derivanti dalla sempre maggiore carenza di risorse, che incidono pesantemente anche sulle condizioni di lavoro di tutti gli operatori, con ricadute negative anche sulla vita privata di ciascuno. Per queste ragioni e per richiamare l’attenzione sul problema delle carceri, Tortorella ha aderito all’iniziativa radicale: “Una iniziativa simbolica”, la definisce, da cui scaturisce “un momento di concentrazione e di riflessione sugli altri e sulle cose davvero importanti per una comunità sociale che deve essere governata dal diritto: importanti come il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, dei lavoratori, dei cittadini, ma anche come i principi di giustizia, perché una società che si possa definire civile ha bisogno di alimentarsi di giustizia e di diritti umani”. Il risultato è stato straordinario: “Hanno aderito o comunque sostenuto l’iniziativa un terzo dei dirigenti penitenziari, tra cui diversi dirigenti generali, e tutto questo in un tempo ridottissimo! Le numerose adesioni ed il sostegno pervenuti hanno confermato che il problema del sovraffollamento è fortemente sentito e tocca non solo le persone detenute ma tutta la comunità penitenziaria, ad ogni livello”. Una situazione, dicono i dirigenti penitenziari che annichilisce la persona umana “perché non riesce a fare della pena uno strumento di rieducazione e di reinserimento ma solo di afflizione e produce frustrazione nel personale penitenziario che non solo è, a causa di ciò, privato dell’alto ruolo di attore del processo rieducativo della pena che discende dalla Costituzione e dall’ordinamento penitenziario, ma è anche nell’impossibilità di assicurare pienamente una detenzione conforme alle norme internazionali, costituzionali e dell’ordinamento penitenziario”. L’emergenza penitenziaria, dice Tortorella, produce condizioni lavorative assolutamente gravose che oltre ad avere ricadute negative, anche gravi, sulla vita privata di tutti gli operatori penitenziari, determina maggiori rischi professionali per i dirigenti penitenziari, esposti a più elevate responsabilità, amministrative, civili e finanche penali. “Senza contare che le responsabilità ed i rischi professionali aumentano in modo esponenziale a causa della carenza oramai cronica di dirigenti, che determina sempre più spesso la concentrazione in capo ad uno stesso dirigente di più direzioni di istituti penitenziari o di uffici di esecuzione penale esterna”. Istituzioni, politici, opinione pubblica, questo in sostanza è l’appello di Tortorella, devono abbandonare “le sterili visioni securitarie che inseguendo il consenso basato sull’emotività hanno avvilito e svilito il sistema penitenziario italiano, producendo la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e facendo del carcere una discarica di quei problemi sociali, che non si vuole o non si sa affrontare, per poi pretendere che esso risolva ciò che si sarebbe dovuto risolvere prima e al di fuori del carcere”. Giustizia: Cgil e Inca; lavoratori detenuti esclusi da MiniASpI Agenparl, 12 settembre 2013 "La nuova MiniASpI, prestazione economica istituita dal 1 gennaio 2013, in sostituzione dell'indennità di disoccupazione ordinaria a requisiti ridotti, rischia di rivelarsi fortemente discriminante nei confronti dei lavoratori/disoccupati delle case circondariali". A denunciarlo sono la CGIL regionale e l'Inca Cgil dell'Umbria che ha ricevuto, dai suoi operatori presenti negli istituti di pena della regione, segnalazioni e proteste. "La MiniASpI è infatti una prestazione a domanda, che viene erogata però a fronte di alcuni requisiti del lavoratore. Il richiedente deve avere almeno 13 settimane di contributi da attività lavorativa nei 12 mesi precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, ma deve anche dichiarare immediatamente, presso il Centro per l'Impiego, la propria disponibilità ad un nuovo lavoro". “Essendo indispensabile l'immediata disponibilità allo svolgimento di una nuova attività - spiegano Franca Gasparri e Giuliana Renelli, di Inca e Cgil dell'Umbria - è evidente che i lavoratori delle Case Circondariali si trovano impossibilitati alla percezione di questo ammortizzatore sociale, non potendo sottoscrivere tale dichiarazione. In altra parole – concludono– sono esclusi da questo diritto”. Dunque, nel sottolineare l'assoluta importanza della difesa del diritto al lavoro nelle carceri e, di conseguenza, anche di quegli strumenti che garantiscono continuità reddituale nei periodi di non lavoro, l'Inca Cgil dell'Umbria e la Cgil regionale chiedono una deroga per i lavoratori detenuti, o attraverso una circolare interministeriale, o con una presa d'atto diretta da parte dell'Inps che sani questa situazione di palese discriminazione. “Come Inca – conclude Gasparri – ci siamo già attivati presso l'Inps nazionale, ma - aggiunge Renelli - è indispensabile un intervento politico, pertanto chiediamo ai parlamentari umbri di sostenere la nostra iniziativa sollecitando il governo ad un rapido intervento”. Giustizia: Stracquadanio (Pdl); amnistia ragionevole conclusione processo riforme di Domenico Letizia L’Opinione, 12 settembre 2013 Giorgio Stracquadanio, giornalista, pubblicista e politico. Due anni al Senato, cinque anni alla Camera, a lungo ghost writer di Silvio Berlusconi, è stato prima il più berlusconiano dei berlusconiani, per poi lasciare il partito del Cavaliere nel luglio 2012 e il Parlamento nel 2013. Con lui parliamo della necessità di una riforma della giustizia e dell’amnistia e del percorso teorico che a partire proprio dalla giustizia potrebbe far evolvere il dibattito politico verso ipotesi interessanti, anche di matrice abolizionista. Onorevole, oramai grazie soprattutto all’azione di Marco Pannella e dei Radicali il problema giustizia è considerato una “prepotente urgenza” in costatazione anche dal fatto che i mezzi d’informazione iniziano a dedicare più informazione alla tematica di quanto avveniva in passato. Dal suo punto di vista può riassumerci quali sono stati i fattori di tale cambiamento in questi anni? Ho militato nel Partito Radicale dal 1979 al 1993. E ho combattuto le battaglie per una “Giustizia Giusta”. Dal 1995 al 1996 ho guidato il comitato “Italia Giusta”, un comitato aperto a personalità di ogni orientamento, che si definiva “Comitato per l’affermazione dello Stato di diritto”. Da decenni considero la giustizia un problema apparentemente privo di soluzioni. Ogni anno che passa l’Italia si allontana dal modello di Stato di diritto che conosciamo in Occidente. Nell’attuale schieramento politico tutti parlano del problema della riforma della giustizia ma pochi sembrano partorire qualche proposta davvero risolutrice. Escludendo le proposte populiste dei leghisti e simili che vorrebbero la creazione di più carceri e pene detentive ancora maggiori, lei come ritiene che vada affrontato il problema della giustizia anche in luce dei referendum radicali sulla giustizia giusta? Cominciamo a smontare il problema nei suoi diversi aspetti. Abbiamo un problema di ordinamento costituzionale: la magistratura è diventato un potere fuori controllo che pretende di sottomettere ogni altro potere legittimo; l’obbligatorietà dell’azione penale è l’alibi dietro il quale ogni pubblico ministero sceglie chi mettere nel proprio mirino e pretende di risolvere - con lo strumento penale - problemi civili, sociali ed economici. Abbiamo un problema di produzione legislativa: in Italia ha preso piede da anni un orientamento ideologico panpenalistico, secondo il quale qualunque problema civile o sociale si risolve con una legge penale, il che porta ad “inventare” nuovi reati, come il femminicidio, l’omofobia o l’omicidio stradale. Abbiamo un problema di amministrazione della giustizia penale: si va in galera da presunti innocenti e poi si sta fuori da acclarati colpevoli. Abbiamo anche un problema carcerario. Ci sono istituti in cui la detenzione è subumana. E parliamo solo di giustizia penale, perché su quella civile e amministrativa stiamo forse peggio. Qual è la sua opinione riguardo il procedimento di amnistia? Che dovrebbe essere la ragionevole conclusione di un profondo processo riformatore che porti l’Italia a diventare uno Stato di diritto. In passato molti radicali si dedicarono al mondo della giustizia e delle “patrie galere” in ottica profumatamente libertaria e abolizionista, tale ragionamento sembra ritornare, almeno tra le discussioni, proprio a partire dal dibattito intorno ai referendum e all’Amnistia. C’è chi ha ipotizzato, come Fabio Massimo Nicosia su “A” Rivista Anarchica, un dibattito tra anarchici, libertari e radicali sul percorso comune da poter intraprendere per un cambiamento della giustizia che rimetta al centro l’individuo e la propria sovranità individuale. Tale “humus” potrebbe spingere il movimento radicale e liberale verso posizioni ancora più libertarie del passato facendo avvicinare il movimento alla cultura “anarchica” e libertaria? Non conosco contesti storici e politici nei quali non esista un apparato giudiziario penale. Prima di pensare all’abolizione, mi accontenterei di un ordinamento giudiziario e costituzionale di impronta liberale. Il Popolo della Libertà sembra schierarsi, soprattutto dopo le vicende su Berlusconi, per un concreto sostegno alla battaglia referendaria e ad un pragmatico cambiamento della giustizia. Secondo lei quale “battaglia politica” sta sviluppando Berlusconi? Come affronterà il centro destra la questione dell’amnistia nei prossimi mesi? Il centrodestra berlusconiano, di cui ho fatto parte con convinzione, ha avuto almeno tre storiche occasioni per rivoluzionare il sistema giudiziario e non l’ha fatto. Non credo che saprà combattere ora la battaglia. E non credo che si batterà per l’amnistia. A partire da tali tematiche e rimettendo al centro della discussione politica le libertà civili, una parte della sinistra laica italiana potrebbe riprendere coscienza non dogmatica divenendo in alcuni suoi settori libertaria, laica e liberale? Insomma, c’è speranza per la sinistra? La sinistra italiana ha alimentato da almeno trent’anni una cultura giustizialista diffusa e profonda. Il Giudice è per gli uomini di sinistra divenuto l’oracolo di un potere sovrannaturale. La Legge un dogma religioso, la libertà una concessione limitata e temporanea del Leviatano. Non mi illudo sulla sinistra italiana: tra loro non solo mancano i cultori di Locke e Hobbes, ma anche i seguaci di Marx, secondo il quale la giustizia è il frutto dei rapporti di forza economico politici. La sinistra italiana. orfana del comunismo, ha sposato l’ideologia giustizialista, l’unica che poteva riempire il vuoto lasciato dal pensiero politico autoritario. Giustizia: papa Francesco riceve familiari delle "vittime del carcere" Ansa, 12 settembre 2013 Ennesimo esempio di grande umanità e di vicinanza alle persone colpite da tragedie familiari arriva da Papa Francesco che questa mattina ha ricevuto i familiari di alcune vittime tra cui la sorella di Giuseppe Uva, la figlia di Michele Ferrulli e la sorella di Stefano Cucchi. Ennesimo esempio di grande umanità e di vicinanza alle persone colpite da tragedie familiari arriva da Papa Francesco che mercoledì mattina ha ricevuto i familiari di alcune vittime. Cinque giorni fa Lucia Uva ha inviato un fax al pontefice: “Caro papa Francesco, sono la sorella di Giuseppe Uva, morto il 14 giugno 2008 dopo esser stato trattenuto per due ore e mezzo in una caserma dei carabinieri di Varese”. Mercoledì mattina Lucia Uva, è stata ricevuta in udienza dal papa e ha avuto un colloquio lui. Lo rende noto Luigi Manconi, senatore del Pd, che aggiunge: “Insieme a Lucia hanno preso parte all’udienza Ilaria Cucchi, sorella di Stefano morto a Roma il 22 ottobre 2009, Claudia Budroni, sorella di Dino morto a Roma il 30 luglio 2011, Domenica Ferrulli, figlia di Michele morto a Milano il 30 giugno 2011, Grazia Serra, nipote di Francesco Mastrogiovanni morto a Vallo della Lucania il 4 agosto 2009 legato a un letto di contenzione, Luciano Diaz che ha subito gravissime e permanenti lesioni durante un fermo a opera di carabinieri. Con loro hanno preso parte all’udienza Luigi Manconi e Valentina Calderone dell’associazione “A buon diritto” e l’avvocato Alessandra Pisa”. Giustizia: Fp Cgil e Osapp “situazione insostenibile, ma basta mobilità arbitraria” Asca, 12 settembre 2013 “Il sit - in effettuato stamane (11 settembre, ndr) dall’Fp Cgil e dall’Osapp davanti alla sede romana del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha dato i suoi primi frutti con la convocazione di un incontro tra i vertici del Dap e le organizzazioni sindacali. Un fatto positivo che non cancella le ragioni per cui abbiamo convocato la protesta”. Con queste parole Fabrizio Fratini, segretario nazionale Fp Cgil, commenta la convocazione di un incontro tra il Dap e le organizzazioni sindacali, giunta dopo il sit - in di protesta di questa mattina. “L’amministrazione abbandoni la politica di mobilità arbitraria, quando non punitiva, e ripristini corrette relazioni sindacali. La crisi del sistema penitenziario è di tali dimensioni da dover dissuadere chiunque da questo genere di forzature. Inoltre - aggiunge il sindacalista - vanno affrontati temi urgenti come l’eccessivo carico di lavoro per le donne e gli uomini in divisa e il sovraffollamento delle strutture”. “Dopo gli errori e le forzature di questi mesi - conclude Fratini - ci attendiamo un atteggiamento più rispettoso e soprattutto un clima che permetta di affrontare i problemi e, se possibile, di iniziare a risolverli. È evidente che la nostra mobilitazione, qualora dovesse mancare il confronto e non dovessero arrivare le risposte auspicate dai lavoratori, continuerà in modo più incisivo”. Lettere: ex detenuto; grazie ai mie nuovi amici, ora anche la mia vita è bella di Carmelo www.ilsussidiario.net, 12 settembre 2013 Caro direttore, ero un gran lavoratore. Avevo 14 o 15 anni e facevo il muratore. Al mattino andavo a scuola e il resto della giornata lo passavo in cantiere. Lavoravo tanto e con impegno, ma a un certo punto i datori di lavoro hanno cominciato a non pagare regolarmente o a non pagare affatto. Per un po’ ho resistito, con pazienza, perché volevo conservare quel posto, ma a lungo andare ho mollato. Ho conosciuto dei tizi e, affascinato dal soldo facile, ho cominciato a commettere i primi furti. Il primo arresto è stato il giorno del mio diciottesimo compleanno. A casa, la mia famiglia mi aspettava con la torta e io ero finito in cella. Poi ho cominciato con la droga. Avevo bisogno di soldi e l’unico modo per ottenerli in fretta era rubare. Così continuavo a delinquere. Entravo, uscivo e ritornavo dentro. Sono stato trasferito in altre città, anche lontane dal paese dove vivevo, e i miei erano costretti a fare lunghi viaggi per venirmi a trovare. Io, intanto, continuavo a ricadere negli stessi errori. L’esperienza del carcere è stata dura, ma mi ha insegnato a vivere. Durante la detenzione, per sopravvivere alla privazione della libertà e alla sofferenza che genera, ho imparato a organizzare le giornate fino all’ultimo minuto. Mi buttavo a capofitto in qualsiasi attività mi proponessero, lavoravo, mi allenavo, cucinavo... Riempivo il tempo che avevo a disposizione per non pensare al dolore che provavo a essere rinchiuso. Ricordo l’abbattimento delle sbarre, le domandine per chiedere anche le cose più semplici, l’impossibilità di farsi una doccia senza essere accompagnati da qualcuno che ti controlla, le lunghe attese per ricevere i tuoi cari… Il carcere non è un bel posto, ma ha rafforzato il mio carattere, mi ha trasformato. Non sapevo cuocere un uovo sodo prima di entrare, in carcere ho imparato a cucinare e a fare il giardiniere. Ho avuto la possibilità di uscire e intraprendere un percorso in comunità. Mi trovavo bene, avevo la mia casa e lavoravo come giardiniere. Una volta sono stato licenziato. Sono andato avanti per un po’ con i soldi che avevo messo da parte ma senza svolgere attività ho avuto una ricaduta e sono stato costretto a rientrare in comunità. Dopo un mese sono tornato a galla, ma ero senza lavoro e sono finito sulla strada. Dormivo sulle panchine dei giardini pubblici di Milano. Ero sempre alla ricerca di un lavoro, ma anche di persone disposte ad aiutarmi. Poi, grazie a un lavoretto, ho incontrato alcuni amici che fanno i volontari nelle carceri, i quali mi hanno accolto, offrendomi ospitalità in un appartamento e una concreta possibilità di accompagnamento. Finalmente non ero più solo: sulla strada della riconquista di una vita normale adesso ci sono questi nuovi amici. Tante volte mi sono sentito cadere le braccia, ma per fortuna c’è sempre stato qualcuno che mi ha dato una mano a ripartire. Oggi vivo in affitto in un monolocale e gestisco l’archivio di uno studio commercialista di Milano. Mi piace molto cucinare. Stasera avrò ospiti a cena. Dormo tranquillo sul mio cuscino e la mia famiglia è contenta. Adesso sì che la vita è bella! Lettera aperta alla Cancellieri da un gruppo di Dirigenti Penitenziari “territoriali” Il Manifesto, 12 settembre 2013 Abbiamo notato che la questione carceraria è centrale nella sua attività di governo, e di questo la ringraziamo. Oltre alle sue iniziative concrete, come la promozione del Decreto Legge 73, non passa giorno in cui non vi sia una sua dichiarazione sulle inumane condizioni dovute al sovraffollamento dei detenuti, sulla necessità di rispettare la sentenza della Cedu dello scorso gennaio, sulla opportunità di un provvedimento di amnistia. Intendiamo per un attimo portare la sua attenzione su chi è preposto all’applicazione dell’esecuzione penale: i direttori degli istituti penitenziari e degli Uepe (uffici dell’esecuzione esterna). Una categoria negletta dall’Amministrazione: basti pensare che da oltre otto anni è in attesa del primo contratto di categoria ed è destinataria ancora di un trattamento economico provvisorio, mentre quello giuridico è mutuato ora da questa ora da quella categoria. E come se non bastasse è in gestazione un decreto per l’attribuzione degli incarichi superiori, e sarà presto portato alla sua attenzione una bozza che favorisce, senza alcun velo, i dirigenti che sono in servizio presso gli uffici centrali e regionali dell’amministrazione, a danno di chi invece lavora nelle articolazioni territoriali. Il meccanismo è semplice: 1) Siamo tutti parificati con lo stesso punteggio, a parità di dimensioni dell’unità cui si è preposti, ma non si comprende quali siano le motivazioni di questa equiparazione, dal momento che sono praticamente inesistenti le responsabilità - giuridiche - di chi opera in un ufficio ministeriale che dipende da un altro funzionario, il Dirigente Generale; 2) vengono attribuiti quozienti ulteriori a chi ha partecipato alle commissioni, che sono di nomina ministeriale e si tratta quasi sempre di incarichi attribuiti a funzionari ministeriali, per ovvie ragioni di risparmio; 3) vengono considerati gli ultimi 7 anni di servizio, a discapito di chi svolge funzioni di alta responsabilità semmai dall’inizio della carriera. Sig. Ministro, non sembra questa la maniera per attribuire un giusto riconoscimento a chi, lavorando quotidianamente negli istituti ed uffici territoriali gestisce la cosa penitenziaria direttamente, con tutte le difficoltà e le responsabilità personali conseguenti, accentuate nel presente periodo storico, per le difficoltà complessive del mondo penitenziario, ma comunque sempre presenti in quanto giuridicamente insite nel mandato professionale. Campania: Caputo (Pd); assistenza sanitaria, tutelare diritto alla salute dei detenuti Il Mattino, 12 settembre 2013 All’audizione sullo stato della sanità penitenziaria, il presidente della Commissione regionale Trasparenza Nicola Caputo ha annunciato verifiche sullo stato delle carceri. “Visiteremo con la Commissione regionale Trasparenza alcune case circondariali per verificarne da vicino lo stato dell’assistenza sanitaria. Chiederò che questa ricognizione sia affiancata dai dirigenti del Dipartimento della Salute della Regione”. Lo hanno dichiarato Nicola Caputo, consigliere regionale del Pd e presidente della commissione Trasparenza, e Giulia Abbate consigliere regionale del Pd e vicepresidente della Commissione Trasparenza, a margine dell’audizione sullo stato della sanità penitenziaria. Alla stessa audizione hanno preso parte Costantino Verrone, Camillo De Lucia, Silvana Cella, Pietro Del Vecchio, il consigliere regionale e vicepresidente della Commissione Giulia Abbate e Aurelio Buchet e Vittorio Borrelli per l’assessorato alla Sanità. “Occorre verificare consistenza e qualità dei livelli essenziali assistenziali - aggiungono Caputo e Abbate - della case circondariali. Temiamo che le carenze che già erano presenti siano state accentuate dai provvedimenti di riassetto del personale presi nel 2011”. “Il riordino della medicina penitenziaria, contempla il principio fondamentale della parità di trattamento in tema di assistenza sanitaria dei cittadini liberi e degli individui detenuti ed internati. All’interno delle strutture penitenziarie invece, si continua ad offrire un servizio sanitario insoddisfacente, con tempi lunghissimi per le visite specialistiche, carenza di personale e l’assenza di un rapporto di continuità assistenziale tra i sanitari e i detenuti. Quello alla salute è un diritto costituzionalmente garantito, anche ai detenuti. L’obiettivo della visita che effettueremo nelle prossime settimane è quello di verificare la situazione di persona e chiedere ai soggetti preposti di dare risposte celeri e risolutive”, concludono Caputo e Abbate. Emilia Romagna: Sappe; aumentano detenuti in regione 3.800 per 2.500 posti Adnkronos, 12 settembre 2013 “Continuano a crescere i detenuti in Emilia Romagna. Dagli ultimi rilevamenti effettuati hanno superato i 3.800, a fronte di una capienza di circa 2,500 posti. Mentre i detenuti aumentano il personale di polizia penitenziaria diminuisce”. Lo dichiara in una nota Giovanni Battista Durante, Segretario generale aggiunto Sappe, che aggiunge: “Mancano mezzi, uomini e risorse economiche, mentre il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria pensa di costruire ed aprire nuovi padiglioni detentivi”. Sabato prossimo, annuncia la nota, una delegazione del sindacato autonomo di polizia penitenziaria visiterà il carcere di Bologna e alle 11 terrà una conferenza stampa, sempre all’interno del carcere. Nel corso della visita saranno effettuate riprese e foto che potranno essere consegnate ai giornalisti. Bologna: Uilpa; lunedì il tour fotografico per documentare stato penitenziari Adnkronos, 12 settembre 2013 Nuova tappa del tour fotografico “Lo scatto dentro”, della Uilpa Penitenziari. Dopo la visita in diversi penitenziari italiani (tra cui Firenze Sollicciano, Cagliari Buoncammino, Venezia Giudecca, Palermo Ucciardone, Ascoli, Monza, Avellino, Trento, Palermo Pagliarelli, Potenza), il 16 settembre il tour fotografico arriverà a la Dozza di Bologna. “Il segretario generale della Uilpa Penitenziari, Eugenio Sarno, capitanerà una delegazione che visiterà l’istituto felsineo - spiega Giuseppe Crescenza, segretario regionale della Uilpa Penitenziari - e nell’occasione effettueremo un servizio fotografico per documentare lo stato dei luoghi e le condizioni di vita e di lavoro degli operatori penitenziari”. La visita rientra nell’iniziativa “Lo scatto dentro”, che la Uilpa Penitenziari ha organizzato per documentare attraverso servizi fotografici le verità spesso taciute sulle effettive condizioni in cui versano i nostri istituti penitenziari. “Questo è il nostro obiettivo - rimarca Crescenza - spostare la discussione non in termini accademici ma reali. La Dozza, tra l’altro, è uno degli istituti più complessi del nostro panorama penitenziario non solo in termini di deficienze strutturali, ampliati dalla mancata manutenzione, ma anche in termini di sovraffollamento, come dimostrano le 910 presenze odierne a fronte di una disponibilità massima di 480 posti”. Gorizia: Garante provinciale “aiuti per migliorare la vita dei detenuti” Messaggero Veneto, 12 settembre 2013 Si è tenuto, nei giorni scorsi, un incontro tra l’assessore alle Pari opportunità Ilaria Cecot, il consigliere provinciale Stefano Cosma e il Garante per i diritti delle persone private delle libertà personali, don Alberto De Nadai, nominato dalla Provincia di Gorizia nel giugno scorso. Un incontro in cui si è parlato sia della situazione carceraria regionale, sia della situazione al Cie e al Cara, visto che, con una deliberazione del consiglio provinciale, don Alberto è stato nominato garante, ma ampliando le sue competenze anche ai due istituti di Gradisca d’Isonzo. Don Alberto ha spiegato che nei giorni scorsi, assieme agli altri garanti della regione, ha incontrato l’assessore regionale alla salute, Maria Sandra Tedesca, e il presidente della Commissione regionale Tutela salute e servizi sociali, Franco Rotelli, per avviare l’iter che consenta anche ai detenuti di avvalersi delle servizio sanitario regionale, possibilità che, nonostante l’autonomia amministrativa della Regione, non esiste ancora. De Nadai ha poi voluto sottolineare la necessità di costruire, per condanne miti o per persone in attesa di giudizio, percorsi alternativi al carcere, attraverso specifici progetti di reinserimento e utili alla collettività, magari in accordo con Comuni, associazioni e cooperative di volontariato. Anche per questo si augura che i lavori di ristrutturazione della Casa di Farra vengano eseguiti in modo adeguato rispetto alle norme vigenti in materia di accoglienza e di servizi a cui i detenuti hanno diritto. Si è poi discusso delle madri detenute con figli di età inferiore ai tre anni, bimbi costretti a crescere in carcere, a volte senza neppure le strutture e i servizi necessari. Per questo motivo il garante provinciale si muoverà per creare strutture ad hoc per le detenute e i loro figli e sensibilizzerà le associazioni, gli enti e i cittadini affinché dedichino l’assistenza e l’aiuto adeguato, in funzione del valore rieducativo della pena. Nei prossimi giorni don Alberto De Nadai incontrerà il prefetto, Maria Augusta Marrosu, cui illustrerà la sua figura e attività di garante per i diritti delle persone private delle libertà personali. Inoltre, assieme agli uffici della Provincia, affronterà un percorso di formazione per lavorare all’interno del Cie di Gradisca e chiederà l’autorizzazione permanente di accesso alla struttura. L’incontro si è concluso con l’auspicio, da parte di don Alberto, affinché, dopo la sua ristrutturazione, il carcere di Gorizia continui nella sua funzione, con servizi sempre più adeguati al reinserimento nella società dei detenuti. Udine: Sappe; aggrediti tre poliziotti, c’è carenza personale di polizia penitenziaria Adnkronos, 12 settembre 2013 “Questa aggressione ci preoccupa, la carenza di personale di polizia penitenziaria a Udine, più di 20 agenti in meno rispetto all’organico previsto, il costante sovraffollamento della struttura (erano 198 i detenuti presenti il 31 agosto scorso, il 50% dei quali stranieri, rispetto ai circa 100 posti letto regolamentari) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. Lo denuncia in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), a seguito di una colluttazione tra detenuti stranieri, scoppiata ieri nel carcere di Udine, che ha ferito tre poliziotti. “I poliziotti, seppur feriti, sono riusciti ad evitare conseguenze peggiori - spiega Capece - ma di fronte a questa ingiustificata violenza servono risposte forti, come quella di espellere tutti gli stranieri detenuti in Italia (oltre 23.200 sui 66mila presenti) per far scontare loro la pena nelle carceri dei loro paesi”. “Le tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante, come dimostra il grave episodio contro i nostri agenti a Udine, bisogna intervenire tempestivamente - sostiene - per garantire adeguata sicurezza agli agenti e alle strutture, punendo con severità e fermezza coloro che si rendono responsabili di aggressioni ai baschi azzurri”. “L’auspicio - afferma il segretario del Sappe - è che la classe politica ed istituzionale del paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri terribilmente sovraffollate e ci si dia da fare per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso, come l’ espulsione dei detenuti stranieri per far scontar loro la pena nei paesi di provenienza e - conclude - un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale, con contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio”. Varese: non esistono ragazzi cattivi, parola del cappellano dell'Ipm Beccaria www.varesenews.it, 12 settembre 2013 Il torneo di Paletto, nel centralissimo oratorio di via San Francesco, ferma il pallone per una sera e invita giocatori e non a un evento collaterale dedicato alla riflessione. Don Claudio Burgio, prete della diocesi di Milano e cappellano del carcere minorile milanese, racconterà coi suoi ragazzi l’esperienza di vita del penitenziario. Il titolo dell’incontro e l’omonimo libro - testimonianza scritto dal sacerdote spiegano come don Claudio, attraverso una conoscenza quotidiana, si sia discostato dalla mentalità comune che considera questi giovani come difficilmente recuperabili, ma li valuti semplicemente come ragazzi. Persone degne d’essere ascoltate e accolte soppesandone le paure e le angosce mentre attraversano la tanto difficile fase dell’adolescenza. Don Burgio, classe 1969, è anche fondatore e presidente dell’associazione Kayròs che dal 2000 gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti. Accanto all’attività pedagogica che lo vede impegnato quotidianamente con i ragazzi delle comunità, numerosi sono gli interventi in dibattiti ed incontri pubblici su temi sociali di attualità, su spiritualità, educazione, famiglia, tossicodipendenza, emarginazione giovanile. È anche direttore della Cappella musicale del Duomo di Milano. Al Torneo di Paletto don Claudio si troverà a suo agio visto l’interesse che da sempre ha verso mondo dello sport. Nel 2005, infatti, ha fondato insieme ad altri preti, la “Selecao Internazionale Sacerdoti Calcio”, una simpatica iniziativa che coinvolge più di cento preti italiani e stranieri uniti dalla comune passione per lo sport e che promuove progetti di solidarietà su tutto il territorio nazionale. Al termine della serata si disputerà una partita amichevole tra una rappresentativa dell’oratorio San Vittore e la squadra dei ragazzi di “don Claudio”. Un’occasione per stare insieme, di condivisione per pensare e divertirsi. Arezzo: Festival Cinema Sociale oltre le sbarre, Alessio Boni incontra i detenuti giurati www.arezzonotizie.it, 12 settembre 2013 “Questo è un Festival che ha radici nel sociale e si affida a una giuria popolare per decretare i meritevoli”, dichiara il direttore artistico del VI Festival Italiano del Cinema Sociale Alessio Boni alla vigilia del suo incontro - venerdì prossimo 13 settembre alle ore 15 - con i detenuti della casa circondariale di Arezzo che, grazie alla collaborazione del direttore Paolo Basco, partecipano da due anni alla giuria popolare della manifestazione organizzata e promossa da Cesvot - Centro Servizi Volontariato Toscana. “Parleremo di cinema - continua Boni - e di festival, di come lavora una giuria, ma anche di libertà, di diritti, dei temi che sono il cuore stesso del Festival”: Festival che quest’anno, grazie a un nuovo bando, apre il concorso anche ai documentari. Quando il direttore artistico Alessio Boni avrà selezionato le pellicole finaliste, i detenuti - che non potranno assistere alle proiezioni pubbliche in programma nella settimana dal 17 al 24 novembre al Teatro Pietro Aretino - potranno vederle in carcere e, a maggioranza, esprimere il proprio voto per il miglior film e i migliori attori protagonisti, maschile e femminile, accompagnati nella visione e nella riflessione dai volontari del Cesvot di Arezzo. Della giuria popolare - coordinata dall’Associazione The Dreamers - faranno parte, tra gli altri, anche studenti delle scuole superiori della città che, nelle prossime settimane, inizieranno il percorso di avvicinamento al Festival con proiezioni e discussioni collettive dei film finalisti. Nelle scuole medie continua il lavoro, avviato negli anni scorsi, attorno al “dialogo generazionale” tra nonni e nipoti, con incontri aperti nei quali verranno proiettati brani di film vecchi e nuovi e stimolate le riflessioni di adulti e ragazzi su stili e contenuti degli uni e degli altri. Le bambine i bambini delle scuole elementari verranno invece coinvolti attraverso pellicole di animazione su temi “sensibili”, dunque vicini a quelli del Festival, che - con gli insegnanti e i volontari di Cesvot - potranno mettere a fuoco e comprendere nella maniera più appropriata. L’obiettivo è di impegnare i bambini attorno a un tema di forte impatto sociale, perché realizzino - con la loro freschezza e spontaneità - uno spot video che sarà lanciato sulla rete. Una classe dell’istituto d’arte “Piero della Francesca” sarà inoltre impegnata nella visione e selezione dei corti a sfondo sociale del parallelo concorso nazionale “C’è tutto un mondo intorno”, realizzati nelle scuole superiori di tutta Italia. Il Festival Italiano del Cinema Sociale di Arezzo - giunto alla VI edizione - è organizzato dalla Delegazione di Arezzo di Cesvot - Centro Servizi Volontariato Toscana e promuove pellicole italiane prodotte negli ultimi quattro anni aventi in argomento temi di profondo interesse e valore sociale. Premia - attraverso un’ampia giuria popolare - il miglior film e i migliori protagonisti maschile e femminile. Il premio alla miglior sceneggiatura viene indicato dal direttore artistico del Premio Franco Solinas. Il premio al miglior documentario viene assegnato da una giuria di tre esperti. Grazie ai patrocini delle Presidenze di Camera e Senato, Cesvot assegna anche due speciali premi alla carriera. Nel 2012 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito alla Delegazione Cesvot di Arezzo un riconoscimento al valore della manifestazione. Al Festival è abbinato il concorso nazionale “C’è tutto un mondo intorno”, per cortometraggi a carattere sociale realizzati dagli studenti delle scuole superiori. Pescara: Premio “Alda Merini” sezione detenuti, presentazione antologia Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2013 Venerdì 13 settembre, alle ore 17:00, presso la sala conferenze della Fondazione Pescarabruzzo, in C.so Umberto I 83, a Pescara, si terrà la presentazione ufficiale dell’antologia dedicata alla sezione detenuti del Premio “Alda Merini - A tutte le donne” (Edizioni Tracce 2013). Interverranno: Nicola Mattoscio (Presidente Fondazione Pescarabruzzo), Gemma Andreini (Presidente Commissione Pari Opportunità Regione Abruzzo), Walter Nanni (Presidente Giuria Premio), Giuseppina Ruggero (Direttore Casa Circondariale di Chieti). Presenteranno: Massimo Pasqualone (Docente universitario), Daniela Quieti (Scrittrice), Annamaria Raciti (Educatrice Casa Circondariale di Chieti). Coordinerà l’evento Veruska Caprarese (Presidente Associazione Donna Cultura). Durante l’evento si terrà un’esposizione di dipinti di Carlo Di Camillo (detenuto Casa Circondariale di Pescara) in collaborazione con l’Associazione Voci di Dentro. Immigrazione: Garante detenuti Milano “chiarezza su quanto accaduto nel Cie” Dire, 12 settembre 2013 Il Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano, Alessandra Naldi, ha scritto al Prefetto in merito al Cie di via Corelli, chiedendo chiarimenti sia su quanto accaduto di recente nel centro, sia sul destino della struttura nei prossimi mesi. “Abbiamo appreso dalla stampa e da altre fonti indirette le notizie preoccupanti che pervengono dal Cie di via Corelli”, si legge nella lettera che il Garante Naldi ha inviato al Prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca. La lettera è sottoscritta anche da Antonella Calcaterra, referente carcere della Camera Penale di Milano, Paolo Oddi, avvocato Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Valeria Verdolini, presidente Associazione Antigone Lombardia e Ilaria Scovazzi di Arci Milano. “Più volte in passato - prosegue Naldi - abbiamo segnalato la criticità della situazione del Centro di Identificazione milanese e la difficoltà per chi, come noi, si occupa della difesa dei diritti delle persone trattenute di avere informazioni certe e non mediate su quello che accade quotidianamente all’interno del Cie. Chiediamo pertanto alle Autorità competenti di avere informazioni sugli accadimenti che hanno interessato il Centro di via Corelli nei giorni scorsi e sulle prospettive di funzionamento di questa struttura nei prossimi mesi, vista anche l’imminente conclusione dell’appalto con l’Ente che ha attualmente in gestione il Centro”. “Chiediamo inoltre - conclude la lettera - la possibilità di una visita congiunta al fine di riprendere attivamente le comunicazioni con la struttura in un’ottica di trasparenza e garantismo”. Israele: governo pagherà 1 mln di dollari alla famiglia del “detenuto X” Adnkronos, 12 settembre 2013 Israele pagherà 4 milioni di shekel, oltre un milione di dollari, alla famiglia di Ben Zygier, alias “detenuto X”, la misteriosa spia del Mossad morta suicida nel carcere di Ayalon, in Israele, nel dicembre 2010. L’accordo raggiunto prevede che, in cambio, i familiari si asterranno dal cercare di rivalersi sulle autorità dello Stato ebraico in un aula di tribunale con l’accusa di negligenza. Zygier, un israeliano di origini australiane, si era impiccato legando il proprio lenzuolo alle sbarre della finestrella del bagno nella sua cella di isolamento. Secondo quanto emerso da un’inchiesta giudiziaria, le guardie non lo avevano controllato adeguatamente e almeno una telecamera non era funzionante. Svizzera: celle con pareti rosa per tranquillizzare i detenuti 9Colonne, 12 settembre 2013 “Cool Down Pink” è il nome del progetto lanciato dal sistema carcerario svizzero per tranquillizzare i detenuti più aggressivi. Il programma consiste nell’utilizzo di 30 celle dipinte di rosa in cui ruotare i prigionieri. La psicologa Daniela Spath sembra essere molto soddisfatta dei primi risultati: i detenuti vengono ospitati nelle “pink cell” con turni da due ore e, come ha spiegato la dottoressa, “i livelli di rabbia si riducono sostanzialmente già nei primi 15 minuti”. Come scrive il Telegraph, l’idea non è però una novità. Gli psicologi hanno infatti condotto numerosi esperimenti sull’effetto dei colori sull’uomo, e si ritiene che il rosa abbia un effetto “ammorbidente”. Una prova interessante della teoria è data dal calore dello spogliatoio degli ospiti del Kinnick Stadium in Iowa, impianto casalingo dell’University of Iowa, completamente dipinto di rosa per scaricare psicologicamente gli avversari. Anche nelle carceri era già stato utilizzato il colore con intento tranquillizzante. Nel 2006, infatti, un istituto texano aveva fornito ai detenuti delle divise interamente rosa per diminuire i rischi di risse. Iran: giustiziate in pubblico 3 persone accusate di stupro Tre detenuti sono stati giustiziati in pubblico tramite impiccagione nella provincia di Kohgiluyeh e Boyer - Ahmad, nell’area centro - occidentale dell’Iran. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione ‘Fars’, precisando che le esecuzioni sono avvenute stamani nella città di Dehdasht. I tre, la cui identità non è stata rivelata, erano stati condannati a morte per stupro. Secondo alcuni siti d’informazione iraniani che si occupano di diritti umani, negli ultimi nove mesi sarebbero state impiccate nel Paese circa 300 persone. A partire dalla rivoluzione del 1979 e con l’istituzione della Repubblica islamica, vige il diritto penale islamico sciita che prevede la pena capitale per una serie di reati, tra cui l’omicidio, lo stupro e il traffico di droga.