Giustizia: ma il Pd… non vuole abrogare la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi e abolire l’ergastolo? Valter Vecellio Notizie Radicali, 10 settembre 2013 Partiamo dai fatti incontestabili: Silvio Berlusconi la mattina di sabato 31 agosto si è recato a una postazione per la raccolta delle firme a Largo Argentina a Roma, e lì ha sottoscritto, una dietro l’altra, tutte le dodici richieste referendarie promosse dai radicali. Ha firmato di buon grado i sei referendum sulla giustizia, ma anche gli altri sei, del primo “pacchetto”, quelli promossi dal comitato “Cambiamo noi”. Il giorno prima si era svolto un lungo colloquio tra Berlusconi e Marco Pannella, presenti Angelino Alfano, Gianni Letta, Maria Antonietta Farina Coscioni, Maurizio Turco e chi scrive. Berlusconi nel corso di quell’incontro si era detto favorevole a firmare e sostenere i referendum sulla giustizia; di essersi speso personalmente per imporre all’interno del suo partito perché tutti e sei i referendum venissero appoggiati, anche quello per l’abrogazione dell’ergastolo, su cui più di un esponente del PdL aveva espresso se non contrarietà, perplessità e dubbi. Quanto agli altri sei, Berlusconi non aveva nascosto l’imbarazzo a firmare per l’abrogazione di leggi varate dal governo che lui presiedeva, e segnatamente la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi, l’8 per mille, il divorzio breve. Ragioni anche di opportunismo (suo, del PdL; e nel senso letterale oltreché sostanziale) con gli “alleati”; e alla fine, dopo le numerose sollecitazioni e argomentazioni di Pannella, un: “Ci penserò”. La notte deve aver portato, evidentemente, buon consiglio, che il mattino successivo Berlusconi ha firmato dodici volte, con la motivazione nota: si tratta di questioni e temi importanti, che riguardano direttamente i cittadini; è giusto che in prima persona si possano esprimere. Ha così firmato sia i quesiti che lo convincono, e per i quali - se si farà il referendum - voterà sì; ma anche quelli che non lo convincono o lo vedono contrario, e per i quali voterà no o si asterrà. Lo avrà fatto per una sua convenienza politica; perché ormai braccato da sentenze di condanne inappellabili vede nella sponda pannelliana l’unica possibile ciambella di salvataggio; lo avrà fatto per qualsivoglia motivo e ragione. Il fatto è che lo ha fatto. Il fatto è che facendolo si è comportato in modo liberale nel senso più vero e pieno che a questo termine si può dare. E da liberali si stanno comportando i dirigenti, i militanti, gli elettori del PdL e del centro-destra che in queste ore e in questi giorni firmano e fanno firmare i dodici quesiti radicali. Lasciamo Berlusconi e il centro-destra. Quando ancora in altro erano affaccendati, e prima ancora che venissero presentati i sei referendum sulla giustizia, erano state depositate, presso la corte di Cassazione sei richieste referendarie che riguardano immigrazione, droga, otto per mille, divorzio breve, finanziamento pubblico. Sei richieste con il sostegno (a tutti o ad alcuni dei referendum) del Psi, di Sel, Rifondazione Comunista, Lasciateci Entrare, Antigone, Forum Droghe, Prendiamo la parola, Senza confine, A buon diritto, Lega per il divorzio breve, Associazione Luca Coscioni, Uaar, Ass. radicale Antiproibizionisti; a livello individuale anche esponenti del mondo sindacale, e segnatamente della Cgil. Di costoro si sono perse sostanzialmente le tracce. Qualche giorno fa alcuni referendum sono stati sottoscritti (finalmente!) anche da Nichi Vendola. Vendola ha firmato alcuni referendum, non tutti e dodici come ha fatto Berlusconi. Vendola ha firmato solo quelli che lo vedono d’accordo. Solo che se uno prova a navigare nel sito di Sel non riesce a sapere quali siano; anzi: non sa proprio che Vendola ha firmato. Ma lo stesso discorso lo si può fare per Rifondazione Comunista; al contrario del sito socialista che invece informa sull’essenziale. Abbiamo poi altri episodi che meritano di essere ricordati: la sdegnosa indifferenza ostentata da una Livia Turco, che alla vista del banchetto radicale procede con lesto passo guardando altrove; Matteo Renzi, secondo il quale è il Parlamento che deve legiferare e quindi non firma; Luigi Manconi, che motiva i suoi dodici sì in un articolo pubblicato sull’Unità, e rivolge al Pd domande e pone questioni che però sono lasciate ostentatamente cadere; qua e là nelle varie feste ex “Unità”, i banchetti e i militanti radicali che vengono allontanati. Il PD, e la sinistra nel suo complesso guardano in cagnesco, e il pretesto è che i referendum sarebbero un cavallo di Troia utilizzato da Berlusconi per non si capisce quale losca manovra a cui non si deve prestare il fianco; così una causa è sbagliata o “cattiva” non per quello che si prefigge, gli scopi e gli obiettivi, ma perché è Berlusconi che vi aderisce. Se, per fare un esempio, Berlusconi si dovesse dichiarare contrario all’intervento militare in Siria, allora, per questo, noi si dovrebbe essere favorevoli? E se Berlusconi dovesse dirsi soddisfatto per l’adozione dell’euro, automaticamente, per essere bravi compagni, dovremmo invocare il ritorno alla lira? È evidente il fiato corto di queste “motivazioni” che non portano da nessuna parte. Berlusconi ha firmato, e questo va a suo onore. Lo ha fatto con una motivazione che può suonare sincera o posticcia, ma è comunque una motivazione liberale. Ci sono quesiti referendari che riguardano le tanto e da tanti vituperate leggi Fini-Giovanardi, Bossi-Fini, l’ergastolo…Legittimo che non tutti i dodici quesiti referendari convincano, e se uno non è convinto, legittimo che non firmi. Ma come si può, come possono le compagne e i compagni del PD e della sinistra non dirsi convinti e non firmare per l’abrogazione di quelle tre leggi? Vogliono provare a spiegarci perché non muovono un dito, pur avendo l’occasione di dare il via a una grande stagione riformatrice? Quali sono, se ne hanno, i loro argomenti, le loro motivazioni? Dobbiamo rinunciare ad abrogare la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi, l’ergastolo solo perché anche Berlusconi ha sottoscritto questi tre referendum (più gli altri nove)? Giustizia: il caso del Cavaliere è solo un esempio di forzatura del diritto di Mario Busacca La Sicilia, 10 settembre 2013 Quando i Padri Costituenti concepirono la Carta fondamentale della nostra Repubblica certamente pensavano che certe regole etiche, aldilà della codificazione legislativa, sarebbero state osservate senza particolari prescrizioni, fidando nella onestà intellettuale e nella saggezza dei gestori della cosa pubblica. I fatti hanno, però, smentito tale ottimistica previsione, donde la necessità di alcune modifiche, in parte opportunamente già attuate, mentre altre sono rimaste nel limbo invischiate in vacue discettazioni. Come è ben noto, l’art. 68 della Costituzione prevedeva che non si potesse procedere contro un parlamentare senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. E ciò per salvaguardare il rappresentante del popolo sovrano da eventuali prevaricazioni dell’ordine giudiziario, le cui decisioni (posta la proclamata indipendenza “da ogni altro potere”) non avrebbero potuto altrimenti essere contrastate. La Camera di appartenenza, nell’intento dei costituenti, avrebbe in buona sostanza dovuto verificare - come si dice nel lessico leguleio - il “fumus boni juris vel persecutionis”, e cioè se l’accusa in ipotesi apparisse scopertamente pretestuosa ovvero chiaramente persecutoria. Successe, però, che per decenni l’autorizzazione, quale che fosse l’accusa, venne sistematicamente e immotivatamente negata, rendendo i parlamentari, d’ogni colore, di fatto “legibus soluti”. E fu proprio per ovviare a tale indecorosa situazione, unanimemente deprecata, che a grandissima maggioranza - quasi a furor di popolo - nel 1993 si stabilì la modifica di detto articolo, disponendosi che l’autorizzazione dovesse essere necessaria solo qualora fosse richiesto l’arresto di un deputato o di un senatore e non già per inquisirlo. Oggi si vorrebbe ritornare al passato, con quanta opportunità ciascuno può valutare, posto che l’attività affaristica e corruttiva è, anche fra i parlamentari, tutt’altro che sporadica. Altra disposizione introdotta nella Costituzione (art. 79) con larga adesione dei politici fu quella che stabilì dovesse essere approvata con maggioranza di due terzi la legge concessiva di un provvedimento di amnistia e di indulto. Una norma anche questa che ha inteso porre un argine all’abuso che ne era stato fatto dal parlamento “sfornando” quasi annualmente provvedimenti di clemenza e condoni vari senza alcun criterio. E dire che il loro fine - per antica prassi - avrebbe dovuto essere quello di trovare uno sbocco a difficili situazioni sociali unanimemente avvertite e non già per svuotare le carceri (anziché renderle vivibili) o salvare qualche (o una?) persona dalla pena e dalle negative conseguenze politiche di una condanna. Anche questa volta il pregresso uso scorretto della norma rese necessaria nel 1992 l’introduzione (all’origine non prevista) della limitazione di cui si è detto e che oggi non piace più, ovviamente perché è interessata qualche forza politica ad avere più mano libera nella materia. E non certo (o non solo) per motivi umanitari. Passando ad altro tema in discussione - circa l’antinomia tra ragionevolezza etica e diritto positivo - circa la partecipazione dei magistrati alla vita politica si è da questi solitamente obiettato che, essendo cittadini come tutti gli altri, nessuna limitazione in materia era costituzionalmente accettabile. Ma questo è vero sino ad un certo punto: infatti, leggendo l’articolo 98 della Carta, ci si accorge che per i magistrati (ed altri esercenti delicate funzioni pubbliche, come militari e diplomatici) si sancisce la possibilità che “con legge si limiti il diritto di iscriversi a partiti politici”. È implicito, quindi, che i magistrati non sono da considerare sotto questo profilo (nel bene e nel male) “comuni cittadini”, in quanto per la loro funzione, caratterizzata da indipendenza e imparzialità, è assolutamente opportuno che siano (e appaiano) non legati ad un partito o movimento politico. Nessuno in buona fede può negare che la norma citata (del tutto negletta) sottintendeva una sollecitazione al legislatore ordinario, affinché ponesse dei limiti - non solo alla formale iscrizione ai partiti - ma alla loro più o meno esplicita adesione (ad esempio candidandosi nelle loro liste) se non dopo essere usciti dall’ordine giudiziario. E, se il suggerimento fosse stato colto, non si assisterebbe allo sconcio attuale di persone che (allettate da destra o da sinistra) da un giorno all’altro depongono la toga e indossano il laticlavio sfruttando il clamore mediatico dei processi trattati. Ragioni etiche, ancorché non codificate, avrebbero dovuto sopperire alla mancanza di specifiche normative: e tuttavia ancora una volta così non è stato. Ma il paradosso si raggiunge nella vicenda del Cavaliere, cui è stata inflitta una severa condanna per un grave reato, il quale pretende di rimanere senatore della Repubblica, pur quando elementari ragioni etiche avrebbero richiesto - come avviene in ogni altro Paese civile - che si dimettesse volontariamente ancor prima della pronunzia della Corte di Cassazione. Per di più minacciando, in mancanza di una qualche sanatoria, la caduta del governo non già per una ragione di interesse pubblico, ma per un suo interesse personale e, di riflesso, di un partito (se così si può chiamare quello che non ha identità propria) di cui è fondatore e padrone assoluto. E ciò benché la legge c. d. Severino (da tutti approvata) abbia sancito che dal momento della sua entrata in vigore il sopravvenire di una grave condanna (dunque a prescindere dalla data del commesso reato) avrebbe precluso, a chi la avesse riportata, candidabilità ed eleggibilità. Ed allora è il caso, come il padre Dante, di chiosare sconsolatamente: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? “. Giustizia: scarsi risultati per trasferimento detenuti stranieri nei Paesi di origine… Ristretti Orizzonti, 10 settembre 2013 Messaggio della Presidenza della Repubblica al Sappe: “Riguardo al tema del trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi di origine per espiare la condanna definitiva loro inflitta, le convenzioni in tal senso stipulate dal nostro Paese hanno dato sinora scarsi risultati per una serie di difficoltà anche procedurali. Tuttavia il Ministro della Giustizia si è recentemente impegnato a rivederne il contenuto e a concludere nuovi accordi per rendere il meccanismo più rapido e agevole”. È quanto scrive il messaggio della Presidenza della Repubblica giunto al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, impegnato in una Conferenza di servizio sulle criticità penitenziarie ed europee, con gli auguri di buon lavoro del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. “Le presenze di stranieri tra i detenuti in Italia è molto alto” commenta il Segretario Generale Sappe Donato Capece. “Sono oltre 22mila rispetto ai circa 65mila presenti e nei penitenziari del Nord Italia spesso rappresentano il 60/70% dei ristretti: arrivano principalmente da Marocco, Romania, Albania, Tunisia, Algeria e Nigeria. Non accedono alle misure alternative alla detenzione perché spesso sono senza fissa dimora e senza riferimenti fuori dal carcere: quando sono detenuti, si rendono protagonisti di molti episodi critici come atti di autolesionismo, risse, aggressioni e tentati suicidi. Costituiscono un oggettivo problema di gestione, anche per le difficoltà di comunicazione comprensione. Espellerli dall’Italia per far scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza sarebbe un’ottima cosa”. Giustizia: Sappe; possibile milioni di risparmio da pannelli solari nelle carceri, ma Dap temporeggia Adnkronos, 10 settembre 2013 Spending review: in Italia si risparmierebbero decine di milioni di euro con l’istallazione di impianti fotovoltaici nelle carceri. “La chiusura di alcuni tribunali decisa con il pugno duro da parte del ministro della Giustizia Cancellieri e dal suo predecessore Severino, che tante polemiche ha comportato e comporta presso la pubblica opinione e gli addetti ai lavori, sta a dimostrare come le decisioni di risparmiare denaro pubblico, non sempre ottengono la dovuta attenzione se non suscitano polemiche o scontro politico”. È quanto sottolinea in una nota il Sappe, Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, riferendosi alla riforma della geografia giudiziaria. “Per risparmiare circa 60 milioni è successa quasi una sollevazione popolare - ricorda il Sappe - anche perché lavoratori, magistrati, avvocati, cittadini alla fine spenderanno molto di più, mentre si potrebbero risparmiare altrettanti milioni sulle bollette elettriche delle carceri solo con l’utilizzo dell’energia fotovoltaica, ma nessuno interessato al problema a partire proprio dal ministro”. “È incredibile che al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si paghino il tanti dirigenti generali, a partire dai vertici, centinaia di migliaia di euro all’anno senza che nessuno si accorga che si sarebbero potuti risparmiare, in questi anni tantissimi milioni di euro”, denuncia il Sappe che ricorda la richiesta rivolta da anni al Dap “di provvedimenti che costringano le Direzioni degli istituti a pianificare l’installazione di pannelli fotovoltaici sugli spazi sotto la loro giurisdizione quali parcheggi esterni ,oppure tetti di caserme, uffici, sezioni detentive”. E annuncia che si rivolgerà alla Corte dei Conti “poiché la mancata produzione di energia fotovoltaica presso le carceri continua a procurare spese per decine di milioni di euro che possono tranquillamente essere abbattute”. “Sappiamo anche che dal 2002 è costituita presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria una commissione per lo studio delle energie rinnovabili che negli anni ha partorito solo la sostituzione di commissari vari - osserva il Sappe. Tra questa inerzia abbiamo notizia dello sforzo di taluni dirigenti di carceri, vedi quello di Lecce, che da anni trasmette progetti di realizzazione di impianti che a tutt’oggi non sono stati ancora autorizzati”. Eppure, “le somme risparmiate non sarebbero certo noccioline, considerato per esempio che proprio a Lecce si spendono annualmente circa 800.000 euro per l’energia elettrica, mentre con l’installazione di un impianto fotovoltaico che costerebbe praticamente nulla, si ridurrebbe tale bolletta di circa il 30-40%, qualcosa come 300.000 euro l’anno. Fatto un calcolo per gli oltre 200 penitenziari nazionali, il risparmio sarebbe sorprendente poiché si parla di decine di milioni di euro”. Il Sappe ritiene che “se non si abbatte il mostro della burocrazia che consente ai vari dirigenti dello Stato di percepire tanti soldi senza mai dover rispondere a nessuno del proprio operato, la spending rewiev sarà solo una parola di facciata per compiere operazioni politiche, e non certo per aiutare in concreto conti del nostro Stato. Ora il ministro Cancellieri non può più dire di non sapere di uno dei tanti sperperi che continuano a perpetrarsi nelle carceri italiane - conclude la nota - grazie anche a chi in questi anni, nonostante le grandi responsabilità, sontuosamente retribuite, non ha certo mosso un dito sulla questione non pensando così agli interessi della comunità e quindi dello Stato”. Giustizia: Cancellieri; violenza sulle donne, lavorare per liberare vittime da paura Agi, 10 settembre 2013 “Non fare sconti a nessuno, avere riguardo per la propria dignità personale”. Questo l’appello lanciato oggi dal Guardasigilli Annamaria Cancellieri alle donne vittime di violenza. Intervistata da Uno Mattina, il ministro della Giustizia ha ribadito che il nostro “è un Paese all’avanguardia per le leggi contro questo fenomeno drammatico, le norme ci sono”, anche se “bisogna continuare a lavorare per tutelare le donne e metterle in condizione di denunciare certe situazioni. Bisogna aiutare le donne a crescere per la loro indipendenza”. A chi invoca la pena dell’ergastolo per chi si rende colpevole di un feminicidio, Cancellieri ricorda il dettato costituzionale secondo cui “il condannato deve avere la possibilità di redimersi: gli strumenti sono in mano a psicologi, operatori delle carceri, magistrati, che valutano il percorso operato dal soggetto detenuto”. È comunque “difficile - ammette il ministro - trovare un punto di equilibrio: le vittime non hanno pace”. Il Guardasigilli ha inoltre detto di aver “apprezzato il coraggio” della donna, sfregiata con l’acido qualche mese fa, che ha deciso di mostrare il suo volto. In merito, infine, ai fondi di cui avrebbero bisogno i centri antiviolenza, Cancellieri rileva come “il sistema sociale dovrebbe essere più efficace, il Paese vive difficoltà, bisogna impegnarsi per trovare più risorse”. Lavorare per liberare vittime da paura “La dignità personale va salvaguardata e difesa sempre. Senza sconti per nessuno. Le donne sappiano che bisogna reagire subito, la rete di protezione c’è”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ospite di Uno mattina, parlando della violenza contro le donne. “Le norme a tutela delle donne ci sono - ha sottolineato il Guardasigilli - e su questo aspetto siamo tra i primi paesi al mondo. Il problema è sempre la norma e l’applicazione della norma”. Per Cancellieri, “occorre far sentire le donne sempre più protette e accompagnate in questo loro percorso, in modo che si liberino dalla paura. Una donna che teme di non vedere più i suoi figli non denuncerà mai il proprio compagno. Per paura, ma in altri casi anche per bisogno economico, e così diventa difficile ribellarsi. Occorre che tutto il sistema tuteli la donna e le dia la possibilità di denunciare con forza le violenze subite”. “Si deve cercare di rendere tutto più efficace e incisivo - ha rimarcato Cancellieri - bisogna lavorare sulle donne per aiutarle a crescere nella loro indipendenza e nella forza di reagire con determinazione. Molto - ha concluso - dipende dalla capacità che hanno le donne di comprendere il pericolo e di sapersi difendere”. Lettere: un mese di mobilitazione in sostegno delle lotte nelle carceri dall’Associazione Ampi Orizzonti di Milano Comunicato stampa, 10 settembre 2013 In questi ultimi mesi abbiamo visto crescere la partecipazione e la determinazione con le quali detenuti e detenute di molte carceri italiane stanno lottando contro le condizioni detentive disumane di sovraffollamento che portano all’insorgenza di malattie derivate dalla detenzione, a continui atti di autolesionismo e omicidi di stato chiamati suicidi, tragica conseguenza dell’oppressione penitenziaria. Contro tutte quelle forme di tortura legalizzata come il il 41bis, il 14bis, l’Alta Sorveglianza, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari tutti nati per annientare le persone sia psicologicamente che fisicamente; contro le violenze e gli abusi compiute dalla polizia penitenziaria troppo spesso taciute, coperte e assolte e quindi incoraggiate; contro i trasferimenti punitivi a centinaia di chilometri di distanza; contro lo sviluppo ulteriore dell’edilizia penitenziaria che avviene specialmente in aree insulari come la Sardegna e in località sperdute difficilmente raggiungibili; contro la mancanza di cure sanitarie, di igiene e di cibo in qualità e quantità; contro la somministrazione di psicofarmaci in grande quantità che riducono le persone a vegetali; contro la speculazione sui prezzi del sopravvitto, vera rapina legalizzata e le speculazioni sui prezzi della mercede, sfruttamento vero e proprio nei confronti dei pochi detenuti cosiddetti “lavoranti”; contro le leggi che criminalizzano gli immigrati e negano le misure alternative a chi è “recidivo”; Vogliamo sostenere con ogni forma di solidarietà l’urgente necessità espressa da molti detenuti e detenute, affinché venga applicata una forte amnistia generalizzata che prenda tutti i reati, e che vengano abrogate tutte le leggi disumane. Un esempio l’hanno dato a Cagliari quei detenuti che negli ultimi mesi sono riusciti ad organizzare svariate forme di lotta e hanno scelto di condividere e di far conoscere al di fuori di quella sezione e di quel carcere quello per cui stanno lottando, rilanciando ad altri e altre la possibilità di agire. Raccogliamo l’appello che i detenuti fanno a tutti i movimenti, singoli cittadini, familiari dei detenuti, organizzazioni politiche e non di essere la loro voce fuori da queste mura e quindi sostenere le loro rivendicazioni, creando una rete solidale, informando quante più persone possibili, valutando forme di lotta all’esterno delle carceri. Di seguito un primo elenco delle manifestazioni organizzate per il mese di settembre fuori da alcune carceri alle quali se ne aggiungeranno altre nei prossimi giorni. domenica 8 Bologna (via Del Gomito - ore 18) martedì 10, lunedì 16, lunedì 30 Forlì (ore 18.30) sabato 14 Monza (via San Quirico 9 - ore 11) sabato 14 Cremona (via Palosca, 2 - ore 9) venerdì 20 Cagliari (viale Buoncammino, 22 - ore 19) sabato 21 Padova (via Due Palazzi, 35 - ore 16) sabato 28 Milano-San Vittore (P.za Aquileia - ore 11) Siena: ancora nessun riscontro sulle cause della morte di “Dacio” in carcere Corriere di Siena, 10 settembre 2013 Misterioso decesso all’interno della casa circondariale di Santo Spirito. Il fatto risale a qualche giorno fa, per l’esattezza a martedì scorso, ed è passato inosservato all’opinione pubblica. Inizialmente era sembrato un decesso per cause naturali poi però è emersa la necessità di verificare. A quanto si apprende sebbene regni un certo riserbo sul caso, intorno a questa misteriosa morte sarebbe già stata avviata un’inchiesta per fare chiarezza su una lunga serie di punti interrogativi sollecitati dalla circostanza. Saranno determinanti comunque i risultati dell’autopsia. La vittima è un 35enne, di origine straniera, ma con genitore italiano e da sempre residente nella nostra città. Si tratta di Resad Spuzic, meglio conosciuto come “Dacio”. Alle spalle alcuni precedenti penali per furto, scippi e anche spaccio. Da mesi si trovava in carcere, a Santo Spirito, per scontare una pena diventata definitiva. Il giovane è stato trovato morto all’ interno della sua cella. Arresto cardiocircolatorio sarebbe scritto nei referto, ma come al solito, questa palese causa della morte potrebbe nascondere altro. Per questo sono in corso indagini, per fare chiarezza sulle strane circostanze in cui il giovane è stato trovato esanime. Le ricerche si allargano al mondo della tossicodipendenza per i trascorsi della vittima che sembra sia stata legata, per un certo periodo, all’utilizzo di sostanze stupefacenti. Bari: Camera Penale; condizioni disumane e precarie, il carcere ancora in emergenza Gazzetta del Mezzogiorno, 10 settembre 2013 Che la situazione all’interno del carcere di Bari sia insostenibile non è più una novità, ma soprattutto rischia di non fare più notizia. Il problema semmai, è che nonostante appelli, denunce e ciclici sopralluoghi istituzionali, le condizioni continuino a peggiorare. Ieri è stata la volta di una delegazione dell’Unione delle Camere Penali a fare ingresso nell’istituto di pena costruito agli inizi del 900. A guidare la visita - nell’ambito di un tour globale nelle principali carceri italiane - l’avvocato Manuela Deorsola (in rappresentanza della giunta e dell’Osservatorio carcere Ucpi) con l’avvocato Gaetano Sassanelli (presidente Camera Penale di Bari) e i legali Filippo Castellaneta e Guglielmo Starace. “Non abbiamo scoperto nulla di nuovo - dice Sassanelli - aldilà della carenza di uomini e mezzi, le condizioni di vita della popolazione carceraria sono davvero tragiche. Basti pensare che c’è chi dorme sui letti a castello a quattro piani, nella branda in alto, a 50 centimetri di distanza dal soffitto. Tutto ciò è davvero intollerabile e non rispetta la dignità degli uomini”. “Addirittura - incalza - le due sale colloqui della sezione maschile hanno ancora il bancone di cemento e marmo, alto e con il vetro, a dividere la stanza e a separare detenuti e familiari. Eppure la normativa (peraltro richiamata dal ministro Cancellieri) prevede che i colloqui coi familiari si svolgano in salette con tavoli e sedie separati fra loro”. Stesso scenario per le attività ricreativo/sportive “che non esistono per mancanza di spazi, ne c’è il campo sportivo o una palestra; per giocare a calcio i detenuti utilizzano un’area passeggio inframmezzata da pali”. D’altronde i numeri sono eloquenti: l’istituto ospita 415 detenuti (di cui 374 adulti, 179 in attesa di primo giudizio, 51 appellanti, 29 ricorrenti, 110 definitivi), 21 le donne, mentre gli stranieri sono circa il 50%. In base ai parametri Ue - che definiscono la capienza del carcere e fissano un rapporto di 3 metri quadrati per persona - ci sarebbe spazio solo per 292 detenuti. Il sovraffollamento è rimasto pressoché costante per tutto il 2012 arrivando anche a raggiungere quota 521 presenze, con una percentuale di sovraffollamento pari a quasi l’80%. “C’è un ricorso spropositato alle misure cautelari e un’applicazione limitata delle misure alternative alla detenzione, soprattutto per i reati minori - dice Sassanelli. Utilizzare queste ultime comporterebbe anche risparmi notevoli per lo Stato, basti pensare che un detenuto costa 200 euro al giorno”. “Il problema è che l’amministrazione carceraria non ha risorse per porre rimedio a tale situazione - aggiunge, mentre il personale di polizia penitenziaria ci dicono essere sotto organico (attualmente sono 360 unità), con gravi problemi dovuti alla età avanzata di molti agenti”. Sul fronte sanitario la situazione non è migliore. “Vi è un’infermeria in ogni reparto e un medico per sezione, la guardia medica 24h - dice ancora il presidente della Camera Penale. ma non c’è una sala operatoria neppure per le emergenze o i piccoli interventi”. Viterbo: detenuti proclamano sciopero della fame di 8 giorni e ulteriori forme di pacifica protesta www.ontuscia.it, 10 settembre 2013 Anche noi detenuti del Carcere di Viterbo aderiamo alla mobilitazione indetta dal “Coordinamento dei detenuti” che avrà inizio il giorno 10 settembre e finirà il 30 dello stesso. Con lo sciopero della fame di 8 giorni e ulteriori forme di pacifica protesta diciamo basta a tutte le barbarie del sistema in cui viviamo. Riteniamo non più tollerabile il sovraffollamento dei penitenziari italiani che vedono migliaia di detenuti stipati come animali dentro celle inadatte, qua a Viterbo di neanche 8 mq. Sosteniamo inoltre le rivendicazioni che lo stesso Coordinamento riporta e quindi che non ci siano più differenziazioni, isolamenti e trasferimenti, che vengano aboliti i sistemi di tortura quali: 41 bis, 14 bis, Alta Sorveglianza ed Ergastolo. Ciò che viene da noi richiesto crediamo sia sacrosanto, sono battaglie di civiltà che forse non dovremmo neanche portare come basilari, ma siamo consapevoli che il nostro sia un sistema tra gli ultimi al mondo e quindi è nostro compito provare a cambiarlo dall’interno. Noi per primi dobbiamo essere capaci di far uscire la nostra voce all’esterno e chiediamo a voi tutti di non lasciarci soli. Il “Mammagialla” è uno dei carceri peggiori d’Italia, non lo diciamo solo noi detenuti; siamo sempre chiusi in cella, non esistono attività volte al reinserimento, le figure come psicologo, psichiatra, educatori e altro sono quasi del tutto assenti. Si dice che il degrado di civiltà di un paese lo si misura dalle condizioni in cui versano le proprie galere, se così fosse il nostro è un paese del Terzo Mondo. Prima dell’Amnistia o altro pensiamo che sia primario che ci venga riservato un trattamento umano. Invitiamo tutti i detenuti della Regione Lazio a non tirarsi indietro e lottare insieme a noi. San Gimignano (Si): detenuto evaso dal permesso premio, lo denuncia il Sindacato Sappe Ansa, 10 settembre 2013 Il segretario Donato Capece sollecita nell’occasione il ministro Cancellieri: “a mettere sul terreno idonee soluzioni alle criticità penitenziarie”. Un detenuto italiano che fruiva di permesso premio non ha più fatto rientro nel carcere di San Gimignano. Lo ha reso noto Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. “Il mancato rientro di un detenuto italiano da un permesso premio rientra purtroppo tra gli eventi critici che possono accadere. Ma questo non deve certo inficiare l’istituto della concessione di permessi ai detenuti, anche perché gli episodi di evasione sono minimi, ma è evidente che c’è sempre qualcuno che se ne approfitta”, ha detto Capece ricordando che “nel 2012 sono state complessivamente 13 le evasioni commesse da soggetti ammessi al lavoro all’esterno, come in questo caso, 14 quelle poste in essere da Istituti di pena, 55 dopo aver fruito di permessi premio e 27 dalla semilibertà”. Il Sappe, ha aggiunto Capece, ha sollecitato il ministro Cancellieri “a mettere sul terreno idonee soluzioni alle criticità penitenziarie” come “l’allarmante e costante dato di oltre 20mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare di 43mila posti”. Castelfranco (Mo): il Garante Desi Bruno incontra il detenuto che ha tentato il suicidio www.modenatoday.it, 10 settembre 2013 L’uomo, in Italia dagli anni 90, non ha mai regolarizzato la sua posizione e nel 2008 è transitato dal Cie di Lamezia Terme senza che si riuscisse a dare esecuzione all’espulsione perché la Bosnia non lo ha riconosciuto come suo cittadino per la sua condizione di disertore Se una “rete di riferimento all’esterno” è una delle condizione necessarie per il giudizio di cessata pericolosità sociale da parte della magistratura di sorveglianza, è necessario che le autorità competenti considerino anche i casi, che “purtroppo spesso si incontrano nei Cie”, di chi non è riconosciuto dal Paese di provenienza e per cui è dunque impossibile ogni forma di regolarizzazione. A chiederlo, in una nota firmata dal suo ufficio, è la Garante regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Desi Bruno, che giovedì 5 settembre ha visitato la casa di reclusione di Castelfranco Emilia anche per effettuare un colloquio con l’internato che qualche giorno prima aveva tentato il suicidio inalando il gas della bomboletta utilizzata per alimentare il fornello presente in ogni cella. “Nel corso del colloquio sono emersi i dettagli della sua vicenda personale: l’internato in questione è uno straniero, figlio di padre musulmano e di madre cristiana, originario dei territori della ex Jugoslavia, che durante la guerra nei Balcani degli anni 90 ha disertato perché avrebbe dovuto combattere contro persone della sua stessa famiglia - racconta Bruno, è in esecuzione della misura di sicurezza della casa lavoro e al momento non ha alcuna rete di supporto all’esterno, né permesso di soggiorno né documenti, né tantomeno risorse autonome”. Secondo quanto riferito alla Garante, l’uomo è dagli anni 90 in Italia, non ha mai regolarizzato la sua posizione e, già destinatario di un provvedimento di espulsione amministrativa, nel 2008 è transitato dal Centro di identificazione ed espulsione di Lamezia Terme senza che si riuscisse a dare esecuzione all’espulsione perché la Bosnia non lo ha riconosciuto come suo cittadino per la sua condizione di disertore. “Nell’assenza di percorsi di regolarizzazione, e stante il non riconoscimento da parte del Paese di provenienza, potrebbe concretamente per lui profilarsi un continuo entrare per poi uscire dai Centri di identificazione ed espulsione, in un ‘girone infernalè che rende queste persone prive di qualunque riferimento - ragiona Bruno, ed in un siffatto contesto, come in altri casi analoghi, anche a fronte di una regolare condotta serbata durante il periodo di internamento, senza un percorso di regolarizzazione intrapreso e senza una rete di riferimento all’esterno è altamente probabile che possano mancare alla Magistratura di sorveglianza elementi idonei a fondare un giudizio di cessata pericolosità sociale, con conseguente proroga della misura di sicurezza”. Sassari: nel carcere di Bancali è allarme suicidi, sventato ieri dagli agenti l’ennesimo tentativo di Daniele Giola www.sassarinotizie.com, 10 settembre 2013 Ancora criticità e storie drammatiche negli istituti penitenziari della Sardegna, in particolare nel nuovo carcere di Bancali dove, ieri, un altro detenuto ha tentato di togliersi la vita. Fortunatamente il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziara ha impedito all’uomo di portare a termine il gesto estremo. “Questa volta - spiega Domenico Nicotra, segretario generale aggiunto dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) - l’estremo gesto è stato posto in essere da un detenuto arrivato solo da qualche giorno nell’istituto di Sassari e sul quale grava un capo di imputazione per reati rientranti nella sfera sessuale”. “È evidente - continua Nicotra, che simili criticità non potranno sempre essere scongiurate se non verranno adottati urgenti correttivi per riorganizzare tutte quelle attività connesse alla sicurezza penitenziaria, che ovviamente non potrà prescindere dall’impellente necessità di assicurare continuità di comando assegnando stabilmente i Commissari Funzionari del corpo di polizia penitenziaria”. Belluno: i Radicali nel carcere di Baldenich per raccogliere firme sui Referendum Corriere delle Alpi, 10 settembre 2013 Due esponenti radicali si sono recati ieri nel carcere di Belluno per far firmare a chi lo voleva i dodici referendum proposti dal partito Radicale. Elisa Corrà e Giovanni Patriarca erano accompagnati dal consigliere comunale Andrea Lanari (Movimento 5 Stelle) con il compito di autenticatore delle firme. “Siamo stati autorizzati ad entrare nel carcere per raccogliere le firme - spiega Elisa Corrà - e lo abbiamo fatto in contemporanea con Vicenza, mentre nel carcere di Padova ci sono già state due occasioni per far firmare i referendum anche ai detenuti. A Belluno, come altrove, possono firmare solo i detenuti di nazionalità italiana e che ne abbiano diritto”. Sono stati 22 i detenuti che hanno firmato, per tutti i 12 referendum. D’altra parte è questa la proporzione: la maggior parte dei detenuti a Baldenich sono stranieri. “Le persone con cui abbiamo parlato conoscevano abbastanza bene i contenuti dei referendum - continua la Corrà - anche perché molti dei quesiti sono relativi al carcere o legati ai reati. Tutti temi a cui i detenuti sono molto sensibili e sui quali sono anche parecchio informati. Ad esempio si parla della depenalizzazione dei piccoli reati legati alla droga, o della questione della clandestinità legata al permesso di soggiorno”. La raccolta delle firme per i referendum proposti dai radicali continuerà anche nei prossimi giorni, fino alla fine del mese. In realtà il 28 settembre le 500.000 firme a sostegno dei referendum dovranno essere già depositate a Roma. “I prossimi 10 giorni sono quelli decisivi - conclude Elisa Corrà - invitiamo i bellunesi ad andare nei loro comuni dove possono firmare per i referendum radicali”. Reggio Calabria; il vescovo Morosini; impegno Chiesa perché carcere sia occasione di riscatto www.lametino.it, 10 settembre 2013 “Sono qui anche per dirvi tutto l’impegno della Chiesa per voi: perché il carcere sia sempre più umano e che soprattutto sia ambiente di riscatto e redenzione. Sono qui per dirvi che la Chiesa, seguendo Gesù, non è allineata con una certa cultura giustizialista, tipo quella tradotta nel detto che spesso leggiamo sui giornali: chiudete e gettate la chiave. Noi crediamo sempre nell’uomo e nella sua capacità di riscatto e redenzione”. Così il neo-arcivescovo di Reggio Calabria Giuseppe Fiorini Morosini, si è rivolto ai detenuti della casa circondariale di Reggio Calabria in cui ha fatto visita oggi, all’indomani del suo insediamento. “Questa verità di fede e di impegno pastorale - ha aggiunto - noi non l’annunciamo solo qui in mezzo a voi, ma la predichiamo fuori di qui, affrontando alcune volte anche la reazione violenta di certa stampa, allineata su posizioni giustizialiste. Il cammino di riconciliazione sociale è un percorso che va fatto insieme. Noi non possiamo chiudere gli occhi o non ascoltare il grido angosciato di persone che piangono i loro morti uccisi dalla violenza. Non possiamo ignorare che nelle nostre montagne si coltiva droga che immessa sui mercati è causa di tanti male. Non possiamo dimenticare che il mancato sviluppo della nostra terra dipende anche dal malaffare che si insinua nella vita politica, nella vita sociale ed economica, dalle vessazioni e intimidazioni che fanno inceppare l’apparato produttivo. Non possiamo dimenticare il nuovo male che si va diffondendo anche tra le famiglie in questo tempo di crisi, ed è l’usura. Questi mali esistono. E sono provocati non da extraterrestri ma da noi stessi. Sono generati dal nostro desiderio di stare bene noi a discapito del bene comune e nel più totale disprezzo delle leggi. Sono mali commessi anche da credenti, da sedicenti cattolici che, magari, vanno in chiesa, accendono candele ai santi, vanno dietro le processioni, portano sulle spalle le statue dei santi, umiliando così la religione, disprezzando praticamente Dio”. Mons. Fiorini Morosini, ha quindi rivolto ai detenuti un invito “alla conversione ed a scongiurare eventuali amici, parenti, conoscenti a continuare a seminare morte in mezzo alla gente, a spezzare il clima di paura ed intimidazione, a interrompere il mercato della droga, la piaga dell’usura, a distruggere le armi”. Siena: “Il sopruso silente” si rivela, con il teatro i detenuti liberano l’ispirazione di Antonella Leoncini La Nazione, 10 settembre 2013 Due detenuti della casa Circondariale di Santo Spirito raccontano le loro esperienze. Attimi rubati con il flash alla performance “Uomini e le loro storie”, già rappresentata alla Casa Circondariale, regia di Altero Borghi. Questo scatto è un contributo alla rassegna “Il sopruso silente”, dal 13 ai 15 settembre alla galleria Di-dee, via del Poggio, promossa dal collettivo artistico “Non cresco più”, dal comitato provinciale Arci Siena, dall’associazione culturale Didee, con il patrocinio del Comune di Siena. In mostra, iniziativa benefica per sostenere il laboratorio artistico a Santio Spirito, coordinato da Monica Minucci, ci sarà anche “Chi mangia chi”: una grande bocca aperta che accoglie un giovane, opera collettiva di due detenuti che hanno lavorato con pennelli e colori. Sono ventisette gli artisti di arti visive che espongono a II Sopruso silente, dieci per i testi, a cui si aggiungono la foto ed il dipinto realizzati dai detenuti della casa circondariale di Siena. Ha scritto anche Giuseppe Musumeci detenuto nel carcere di Volterra. Il sopruso silente, mostra dinamica con performance ed altre proposte, arriva a Siena, dopo aver toccato Firenze e Ferrara. L’iniziativa, ha spiegato alla conferenza nella casa circondariale di Santo Spirito il curatore Sandro Fracasso, “rappresenta ciò che mette a repentaglio le possibilità di una libera comunicazione e scambio con gii altri”. A Siena Il sopruso silente, ha continuato l’assessore ai servizi sociali del Comune Anna Ferretti, “integra un protocollo che abbiamo stipulato con gli istituti di pena di Siena, San Gimignano e con questo comune per favorire il reinserimento dei detenuti. In città, possono contare anche sulla casa di accoglienza che il Comune mette a disposizione dei detenuti in semilibertà; è un riferimento per la loro reintegrazione ed anche per i familiari”. In un momento, ha riconosciuto il direttore delia casa circondariale Santo Spirito Sergio La Montagna, “in cui le difficoltà ed i tagli rappresentano delle spade di Damocle. Il sopruso silente è una boccata di ossigeno per il nostro istituto che ha difficoltà ad organizzare simili iniziative”. Questa mostra si inserisce nel programma sviluppato da Sabrina Falcone responsabile area pedagogica a Santo Spirito. Attualmente sono 66 i detenuti accolti, di cui 9 in regime di semilibertà. Milano: teatro-terapia e spettacoli nel carcere di Bollate, grazie a un progetto finanziato dalla Regione Asca, 10 settembre 2013 Nasce un progetto, presso la Casa di Reclusione di Bollate: il progetto “Raccontarsi: percorso verso la libertà” è stato finanziato per l’anno 2012-2013 da Regione Lombardia e patrocinato da Anvolt e Coop. Luce, in collaborazione con la Direzione della Casa di Reclusione di Bollate e Asl Milano SerT3. Tale progetto di teatro terapia ha visto come conduttori il regista Dott. Mario Ercole e la Psicologa Dott.ssa Ilaria Coronelli e come partecipanti numerosi detenuti reclusi presso il VII Reparto del Carcere di Bollate. In particolare voglio parlarvi dello spettacolo che verrà messo in atto Giovedì 12 Settembre 2013, intitolato “Ma… La… Vita”, durante il quale un gruppo di 15 detenuti del VII reparto, accompagnati da una band, anch’essa composta da detenuti, i “Sette Quarti”, riprodurranno 3 celle e mostreranno al pubblico come si svolge la vita in carcere, tramite le loro personali riflessioni sul futuro. Bolivia: quando i bambini crescono in carcere… www.unimondo.org, 10 settembre 2013 Dal Centro Qalauma, in Bolivia, Roberto Simoncelli, coordinatore di Progetto Mondo Mlal testimonia la realtà delle carceri boliviane, dove il 10% della popolazione è costituita da bambini e dove la settimana scorsa sono morte 31 persone carbonizzate. Racconta delle lunghe file di bambini che, al mattino, lasciano le carceri per andare all’asilo o alle scuole elementari e di quanto si possa fare cooperando. “A differenza degli altri 31 corpi carbonizzati, quello di Leonardito era l’unico riconoscibile. Perché Leonardito è l’unico bambino tra le vittime dell’inferno scoppiato nel carcere di Palmasola nella città boliviana di Santa Cruz. Venerdì 23 agosto, alcuni prigionieri della sezione riservata ai condannati considerati ad alta pericolosità (responsabili cioè di omicidi efferati e violenze sessuali) hanno tagliato la rete di ferro che li separava dai detenuti in attesa di giudizio e scatenato un regolamento dei conti terminato con 32 vittime e numerosissimi feriti. La versione ufficiale sostiene che all’origine del massacro ci sia la brutale rivendicazione di molteplici interessi imperanti all’interno del carcere, quali il controllo del traffico di droga e alcool, del pagamento dell’assicurazione sulla vita prevista per i detenuti, della compravendita degli appartamenti, della riscossione del pagamento degli affitti. Detto questo, nessuno saprà mai le vere ragioni che hanno scatenato l’inferno. Il Centro penitenziario Palmasola ospita più di 5.000 persone fra detenuti, familiari in visita e bambini e costituisce il vero centro operativo della criminalità della regione. Se ti rubano l’auto, è probabile che, il giorno dopo, la chiamata per la riscossione di una somma pattuita ti arrivi direttamente dal carcere. Leonardito era uno dei numerosi bambini che in Bolivia vivono in carcere insieme ai genitori. Si stima che il 10% della popolazione carceraria sia costituito infatti da bambini. E ogni mattina, lunghe file di bambini lasciano le carceri boliviane per andare all’asilo o alle scuole elementari. Nelle carceri boliviane, bambini, adolescenti e giovani convivono con gli adulti e, anche per questo, sono vittime predestinate di maltrattamenti, violenze psicologiche, fisiche e sessuali, nonché delle condizioni subumane che caratterizzano ancora oggi il sistema carcerario boliviano. Il sistema della giustizia boliviano è una bomba a orologeria. Il sovraffollamento, la corruzione, il ritardo della giustizia, la mancanza assoluta di programmi di riabilitazione, la mancata applicazione di misure alternative alla privazione di libertà e l’assenza di un sistema normativo specializzato per adolescenti costituiscono le caratteristiche fondamentali del sistema attualmente in vigore.” L’organismo di cooperazione allo sviluppo Progetto Mondo Mlal, che in Bolivia è impegnato sul tema della giustizia, minorile e non, fin dal 2002, è riuscito nell’impresa di aprire il primo istituto nella storia del Paese andino specializzato nella riabilitazione di 160 adolescenti privati della libertà. il Centro si chiama Qalauma ed è stato realizzato due anni fa nella città di El Alto-La Paz. Anche qui, il 95% degli adolescenti ospitati è in attesa di giudizio; il 70% dei giovani si trova in carcere per reati minori. In altri Paesi, dove vigono sistemi di giustizia più rispettosi dei diritti umani i giovani scontano misure cautelari alternative alla detenzione in carcere. Anche in Italia, per i minorenni, la Giustizia prevede processi rapidi (6 mesi), responsabilità penale minore e ricorre alla detenzione in carcere come ultimo rimedio. Dei 20.500 adolescenti italiani che hanno problemi con la legge, solo 500 sono in carcere mentre, agli altri 20mila vengono applicate misure alternative. I risultati del Centro Qaluama però non hanno tardato ad arrivare, in soli due anni dall’apertura è stato registrato un abbassamento dall’80% (media nazionale) al 4% del tasso di recidiva nel crimine e l’elaborazione di un nuovo modello socio-educativo riconosciuto dalla Direzione Nazionale di Regime Penitenziario. Oggi i 160 adolescenti, attualmente ospiti del Centro, sono infatti coinvolti in un percorso educativo di valorizzazione dell’essere umano che promuove il rafforzamento dei processi di responsabilizzazione e protagonismo di adolescenti e giovani, attraverso la partecipazione a diverse attività di formazione professionale e di terapia occupazionale (falegnameria, industria alimentare, sartoria, agronomia, artigianato). Si è inoltre sviluppata la formazione scolastica, attraverso la creazione di un Istituto Superiore Umanistico e Tecnico (Cea “Ana Maria Romero de Campero”) proprio all’interno del Centro Qaluama che si avvale oggi di un corpo di 12 docenti. Grazie a uno specifico progetto cofinanziato dall’Unione europea (Liber’Arte), è stato inoltre avviato un programma di cultura e arte-terapia per il quale, nell’ultimo anno, sono stati realizzati 20 laboratori artistici (teatro, fotografia e disegno grafico) e diversi eventi aperti al pubblico esterno. L’ultimo risultato, forse il più importante, per determinare un reale cambiamento nel sistema di Giustizia boliviano, è il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, della società civile e della comunità in programmi di riabilitazione. In questi anni è nata infatti una piattaforma di sostegno costituita da enti locali, nazionali e internazionali, tra questi: Comune di Viacha, Cdc, Croce Rossa Internazionale, Iseat, Pastoral Penitenziaria, Unicef, Onduc, Senadep, Associazione di Arte Compa, Istituto Berlino, RC, la Associazione Tedesca per l’educazione di adulti, Fautapo, Gregoria Apaza, Cecasem. Arabia Saudita: grazia ai detenuti condannati a morte disposti a combattere in Siria Reuters, 10 settembre 2013 L'Arabia Saudita ha mandato in Siria per combattere contro le truppe del Presidente della Repubblica Bashar al-Assad oltre mille detenuti, condannati a morte, comunica il giornale Usa Today. Secondo i dati dell'edizione, ancora ad aprile il Ministero degli Affari Interni dell'Arabia Saudita ha proposto a 1.239 detenuti, condannati a morte, la grazia e lo stipendio mensile alle loro famiglie in cambio alla partecipazione alla guerra in Siria. Il giornale mette in evidenza che tra i detenuti, mandati alla lotta contro il regime di Bashar al-Assad, ci sono cittadini dell'Afghanistan, Egitto, Iraq, Giordania, Pakistan, Somali, Sudan, Siria, Kuwait e Yemen. Stati Uniti: in California programma prevede distribuzione di preservativi nelle carceri Ansa, 10 settembre 2013 Il Senato della California ha approvato un nuovo programma che prevede la distribuzione, sovvenzionata con fondi pubblici, di preservativi nelle carceri. Questo nonostante ci sia il divieto di avere rapporti sessuali fra detenuti. Secondo quanto riporta la Cbs, il nuovo programma mira a ridurre la diffusione del virus dell'Hiv, dell'Epatite C e altre malattie nelle carceri. La distribuzione dovrebbe partire in cinque carceri entro il 2015 e in tutte le altre 33 entro il 2010.