Cnvg: sul messaggio alle Camere del Presidente Giorgio Napolitano sulla questione carceraria di Elisabetta Laganà (Presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia) Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2013 Ancora una volta, con la consueta determinazione, il Presidente Napolitano si è espresso in modo ineludibile e indifferibile a favore di una azione urgente tesa all’intervento della soluzione del problema della condizione carceraria, indicando un percorso che preveda molteplici interventi e proposte. Parole che richiamano la stessa forza e indignazione già espresse dal Presidente nei molti interventi a sostegno della realizzazione di una situazione carceraria la cui attuale condizione, in costante e palese contrasto con la nostra Costituzione, con il diritto europeo e internazionale, richiede da tempo interventi strutturali, conformi alle dichiarazioni e trattati a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo. I richiami espressi dal Presidente, che già in precedenza aveva affermato che sul problema delle carceri la politica deve trovare soluzioni “non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”, concetto che viene oggi ribadito, rimarca l’attenzione sulla necessità di ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione, di riorientare la politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, sulle risorse destinate per la riabilitazione scarse al punto di ledere i principi costituzionali della finalità rieducativa della pena, la menzione alla tutela della salute e degli affetti: i temi sostanziali su cui la Conferenza trova il totale consenso e si batte da sempre. L’urgenza è ora più che mai riportare il carcere a livelli di legalità, non solo dal punto di vista numerico ma anche sulla qualità dell’esecuzione penale. I provvedimenti posti in essere alcuni mesi fa per ottenere la deflazione numerica degli istituti vanno sicuramente nella giusta direzione, ma non sono sufficienti. È quindi indifferibile procedere il più rapidamente possibile con le proposte in esame sul potenziamento delle misure alternative, della messa alla prova, della revisione delle ben note leggi responsabili di avere portato il carcere a questi livelli di sovraffollamento, e parallelamente perseverare, con coraggio, verso la direzione di “carcere minimo” a cui bisogna tendere attraverso una pluralità di iniziative e di strumenti anche legislativi. Ci auguriamo pertanto che la politica affronti, coraggiosamente, questa strada, senza ulteriori rimandi. Che questa occasione per cambiare le cose non vada perduta. Le parole del Presidente sottolineano come l’urgenza della situazione delle carceri non possa ulteriormente rinviata; perché rimandare significa aggiungere altri capitoli alla sofferenza del sistema, insistere nelle tragedie che quotidianamente si consumano nelle nostre carceri, così lontane dall’attuale dettato costituzionale. Una situazione che spinge frequentemente a togliersi la vita. Chiediamo quindi che le proposte del Presidente venga rapidamente concretizzate con determinazione, e che con la stessa fermezza dal governo possano scaturire risposte risolutive, in grado di affrontare tutti i temi sostanziali lasciati aperti, o addirittura peggiorati, in questi anni. Ci dovrebbe essere un grosso investimento in attenzione per invertire il corso di questa drammatica situazione, un’attenzione che non si limiti all’interesse del momento, che si spenga insieme ai riflettori. Seac: sul messaggio alle Camere del Presidente Giorgio Napolitano sulla questione carceraria di Luisa Prodi, Presidente Nazionale Seac) Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2013 Il messaggio sulle carceri inviato dal Presidente Napolitano alle Camere rappresenta un documento che sintetizza in modo circostanziato e puntuale la drammatica realtà delle nostre carceri. Che le condizioni detentive italiane siano tali da configurare il reato di tortura è cosa che ci riempie di tristezza e di vergogna. Il Seac è un coordinamento di gruppi di volontariato penitenziario che quotidianamente frequentano gli istituti penitenziari, incontrano i detenuti e i loro familiari, condividono con loro percorsi di reinserimento sociale. Non andiamo a visitare le carceri episodicamente, ma ne abbiamo un’esperienza diretta e continuativa e possiamo testimoniare di una realtà complessiva degradata, nella quale si è perso quel senso di umanità che non è frutto del sentimento di qualche anima bella, ma è esplicitamente riportato dal dettato costituzionale. La classe politica del nostro Paese purtroppo non ha saputo comprendere e governare una situazione così complessa, ma soprattutto non ha saputo immaginare e portare avanti un progetto di giustizia di cui la persona umana fosse realmente il centro e il fine. Invece di cercare strade adeguate al superamento della esclusione sociale, la si è ingabbiata nelle carceri, che si sono riempite di tossicodipendenti e piccoli spacciatori, immigrati irregolari, borderline e clochard. I provvedimenti cosiddetti securitari non hanno aumentato di un briciolo la sicurezza del nostro Paese, anzi stanno frantumando sempre di più le tendenze aggregative e solidali di cui un tempo l’Italia poteva andare fiera. A fronte del richiamo pesante, urgente, ineludibile del Presidente Napolitano vediamo parlamentari e amministratori pubblici baloccarsi in esercizi dietrologici, mostrando di non aver colto niente del dramma che si sta consumando: questa superficialità autoreferenziale ci sgomenta ancora di più, facendoci dubitare che vi sia una reale volontà di cercare vie d’uscita. E di vie d’uscita il Presidente ne ha presentate più d’una, a partire dalla attuazione delle forme alternative alla detenzione (detenzione domiciliare o in comunità, affidamento al servizio sociale, messa alla prova....) e dalla revisione del codice per una depenalizzazione dei reati minori, che tanto appesantiscono la gestione della giustizia in Italia. Condividiamo sentitamente questa idea dell’alternativa al carcere, che da anni fa parte della nostra riflessione culturale. II Seac nei mesi scorsi si è fatto promotore di una iniziativa dal titolo “La certezza del recupero”, con la quale si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica, i politici e gli amministratori a mettere in atto prassi concrete per favorire l’alleggerimento degli istituti penitenziari a favore di pene alternative. Il volontariato e il terzo settore hanno in tal senso esperienze che testimoniano della possibilità di reinserimento sociale per tante persone che sono passate attraverso la detenzione. Sono percorsi virtuosi che attendono di essere conosciuti e moltiplicati, non solo dal privato sociale, ma dalle amministrazioni pubbliche e dai territori, perché il carcere torni ad essere una forma residuale di pena, destinata ai soli reati più gravi. Ora occorre dare forza al Parlamento e al messaggio del Presidente di Irene Testa (Segretario dell'Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto) Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2013 Dalla mezzanotte di oggi in sciopero della fame con Rita Bernardini e Irene Testa. Appello alla comunità penitenziaria. Siamo grati al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per aver utilizzato lo strumento costituzionale di un messaggio istituzionale alle Camere, che comprendiamo di estrema delicatezza e grave importanza, per richiamare il Parlamento a intervenire ormai senza ulteriori deroghe sulla grave condizione delle carceri e della giustizia del Paese. In modo inequivocabile, Marco Pannella e il Partito Radicale hanno contribuito a questo evento, costantemente alimentato dal sentimento comune della gente, della comunità penitenziaria tutta, che in questi anni ha lottato a fianco a Marco Pannella. Un passo avanti è stato fatto verso la riconquista del diritto. Ora più che mai si avverte come urgente e necessario compiere il nostro sforzo per dare il maggior sostegno possibile al Presidente e alla realizzazione di quanto da lui auspicato col suo messaggio, e al Parlamento italiano, perché trovi la forza e la serenità di dare rapidamente seguito a quanto indicato dal Presidente. Decido quindi di accompagnare, con uno sciopero della fame, la lotta sempre più intensa che il leader dei radicali sta portando avanti e che da stanotte riprenderà dopo una brevissima interruzione, con lo sciopero della fame e della sete insieme. Dalla mezzanotte di oggi, insieme a Rita Bernardini, cominceremo lo sciopero della fame e auspico che, così come accaduto le altre volte in questi ultimi anni, tutta la comunità penitenziaria, i familiari dei detenuti, la polizia penitenziaria, gli educatori, gli psicologi, i direttori delle carceri, possano unirsi a questo nostro Satyagraha, con il quale accompagniamo quello annunciato in queste ore da Marco Pannella. Per aderire potete inviare una mail a testa.irene@gmail.com Il messaggio di Napolitano e la necessaria resa dello Stato di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus”) Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2013 L’art. 87 della Costituzione prevede le prerogative del Presidente della Repubblica e, tra queste, la possibilità di “inviare messaggi alle Camere”. L’atto di Napolitano è - e non poteva essere altrimenti - espressamente previsto dalla Legge, anzi addirittura dalla nostra Carta. Era un intervento da tempo annunciato e meditato, preceduto da altri inviti che il Capo dello Stato aveva rivolto ai politici per eliminare il sovraffollamento nelle carceri italiane da Egli stesso definito, in più occasioni, una “vergogna nazionale”. Era il 28 luglio 2011, quando il Presidente Napolitano, nell’intervenire ad un Convegno sulla Giustizia, affermò che la situazione della detenzione in Italia era una questione da affrontare con “prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Altre volte, anche nel rituale discorso di fine anno, il pensiero di Giorgio Napolitano era andato a coloro che nelle carceri soffrono ingiuste sofferenze. Il 31 dicembre scorso, aveva testualmente dichiarato alla Nazione: “Più che mai dato persistente di inciviltà da sradicare in Italia rimane la realtà angosciosa delle carceri”. Perché, dunque, meravigliarsi delle Sue parole e far entrare nell’insopportabile e inconcludente rissa politica un gesto di grande spessore civile proveniente dal Capo di uno Stato più volte, negli ultimi anni, sanzionato dall’Unione Europea che ha diffidato, nel maggio scorso, l’Italia ad eliminare, entro un anno il sovraffollamento nelle carceri? Coloro, che offrono altri livelli di lettura, dimenticano che il nostro Paese è dall’inizio del 2010 in “stato di emergenza” per le condizioni in cui vivono i detenuti. Emergenza che fu dichiarata dall’allora Consiglio dei Ministri, senza che successivamente siano stati adottati provvedimenti che potessero incidere concretamente sulla drammatica realtà delle nostre prigioni. L’amnistia e l’indulto sono oggi atti dovuti, che uno Stato incapace e sconfitto non può fare a meno di emanare. Essi rappresentano la resa dinanzi all’impossibilità di rendere Giustizia. Sono istituti anomali e fondamentalmente ingiusti, ma necessari per porre fine ad una detenzione illegale di cui unico responsabile è il potere politico. Ed allora venga accolto l’appello del Capo dello Stato, si esca da una situazione “umiliante sul piano internazionale”, perché è “un’inderogabile necessità” e deve essere “non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale”. Quel giorno, però, in Parlamento non si ripetano le scene di gioia ed allegria per il risultato raggiunto, come nel 2006 in occasione dell’ultimo indulto, ma senatori e onorevoli portino il lutto al braccio in segno di “morte del diritto” e soprattutto si mettano al lavoro per seguire la strada tracciata dal Presidente Napolitano nel suo messaggio – da tempo indicata dalle Camere Penali Italiane, da numerose Associazioni e costantemente dai Radicali – per non vanificare gli immediati benefici dei due provvedimenti che, è bene sottolinearlo, se da un lato elimineranno il sovraffollamento, dall’altro porteranno le presenze di detenuti alla capienza oggi tollerabile. Basteranno pochi mesi per ritornare nel baratro dell’illegalità. Si provveda, pertanto, senza indugio, a rivedere le leggi sulla recidiva, sull’immigrazione clandestina, sugli stupefacenti, si dia spazio alle misura alternative, agli arresti domiciliari, si estenda la messa alla prova, si depenalizzino molti reati prevedendo sanzioni amministrative, si modifichino le norme sulla custodia cautelare. La vita nelle carceri e gli orfani di Berlusconi di Franco Mirabelli (Senatore Pd) Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2013 Il messaggio alle camere rivolto dal Presidente Napolitano parlava dei deboli, degli ultimi, di chi soffre quotidianamente una condizione carceraria inaccettabile, non certo di Berlusconi. Parla di quelli che non possono permettersi un avvocato, che hanno commesso reati non gravi ma non avendo difesa fanno mesi o anni in carcere, spesso in attesa di giudizio. Parla di persone che in carcere trovano solo violenza, la sovrappopolazione che li costringe a stare in celle piccole in tanti ed in condizioni igieniche inaccettabili, e la disperazione che trasforma il carcere in un generatore di criminalità e non certo di riabilitazione. Parla di uno Stato che non può più accettare di violare quelli che sono diritti inalienabili anche per chi ha commesso reati. Di fronte all’accorato appello del Presidente, al suo richiamo, al valore morale del messaggio, ridurre tutto ad una strumentale polemica politica significa ignorare colpevolmente la condizione drammatica dei reclusi nel nostro Paese. Riportare anche una questione così grave che riguarda migliaia di persone a Berlusconi dimostra che una parte della politica di questo Paese non riesce a guardare ai problemi reali delle persone, che considera le istituzioni un campo di battaglia in cui ci si divide tra chi è con e chi è contro Berlusconi e non sulle proposte per affrontare i problemi dei cittadini. Berlusconi mercoledì scorso ha concluso un ciclo politico e tra pochi giorni sarà fuori dal Parlamento, mi auguro che chi, a partire dai cittadini di cinque stelle, ha vissuto dell’antagonismo ideologico contro Berlusconi, non resti orfano e si dedichi ai problemi del Paese in maniera costruttiva e propositiva. Se nella ricerca di un nuovo nemico si pensa possa diventarlo Napolitano ci si sbaglia. Il Presidente anche ieri ha dimostrato di essere un insostituibile riferimento morale e istituzionale per gli italiani. In questa occasione sono loro, i grillini, ad aver dimostrato una distanza siderale da una vicenda reale drammatica, dalla vita quotidiana di tante persone che soffrono. Giustizia: l’abisso delle prigioni di Adriano Sofri La Repubblica, 9 ottobre 2013 Per una volta, mi metterò nei panni di Giorgio Napolitano. Il quale sapeva, come me e come voi, che il suo messaggio sulle carceri gli sarebbe stato ritorto contro come un vile espediente per trarre dalle peste Silvio Berlusconi. Che ci sono esponenti politici e uomini di spettacolo che sulla rendita di insinuazioni come queste ingrassano. Che la corruzione di comportamenti e lo scandalo di sentimenti di un ventennio sfinito hanno esacerbato l’opinione. Insomma: che si stava cacciando in un guaio grosso. E allora, perché l’ha fatto? Azzardo una risposta. Se fossi Napolitano, sarei sconvolto, come me, dallo stato delle galere. Mi ricorderei di essere andato - lui, non io - il giorno di Natale del 2005, a una “marcia per l’amnistia” indetta dai radicali. Otto anni fa: Napolitano aveva appena ottant’anni, Berlusconi stava benone, era capo del governo. A quella Marcia di Natale, Napolitano disse al cronista di Radio Radicale che per lui, col suo passato, non era così insolito partecipare a un corteo, sebbene fosse diventato più raro. Ma a questa, spiegò, bisognava esserci. E mi auguro che la politica affronti il problema, aggiunse, “senza lasciar prevalere pregiudiziali, o timori non ben chiari...”. Continuo a immaginare che cosa dev’essersi detto licenziando il suo messaggio. Non se la prenderà, io sono interdetto in perpetuo. Si sarà ricordato che nel giugno 2011 partecipo’ a un convegno promosso da Pannella e ospitato dal Senato sulle carceri. Berlusconi stava benino, era capo del governo. Lui, il presidente, disse che era una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Disse che la questione della giustizia e specialmente delle carceri era giunta “a un punto critico insostenibile, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere”. Citò “i più clamorosi fenomeni degenerativi - in primo luogo delle condizioni delle carceri e dei detenuti - e anche le cause di un vero e proprio imbarbarimento”. Parlò di “una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile - che solo recenti coraggiose iniziative stanno finalmente mettendo in mora”. (Macché: sono sempre lì, questo lo aggiungo io). Continuò: “Evidente è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale... È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo...”. E concluse: “Non dovremmo tutti essere capaci di uno scatto, di una svolta, non foss’altro per istinto di sopravvivenza nazionale? Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte”. Non ci si rifletteva, da nessuna parte, o quasi. Intanto lui, Giorgio, continuava a tormentarsene, penso. Visitava galere, ascoltava invocazioni, veniva alternamente lodato e insultato da Marco Pannella, che gli ingiungeva di rivolgere un messaggio alle Camere. Napolitano è forse altrettanto impaziente di lui, ma lo dissimula meglio, e temeva che un’iniziativa così straordinaria come il messaggio presidenziale sarebbe restata in quelle circostanze lettera morta, e avrebbe fatto retrocedere piuttosto che avanzare la giusta causa e urgente. Però non perdeva occasione per ribadirla. Qualche tempo fa, all’uscita da una visita a San Vittore, a Marco Cappato che lo interpellava sull’amnistia, rispose: “Se mi fosse toccato mettere una firma lo avrei fatto non una ma dieci volte”. Berlusconi stava ancora così e così. Napolitano si sarà ricordato tutto questo. Intanto l’Europa ci condannava ripetutamente, e l’Italia, che lui supremamente rappresenta, veniva vieppiù umiliata. Avrà pensato ancora: “Mentre lasciavo il Quirinale, e avevo pronte le valigie, e mi figuravo un ozio di Capri appropriato alla mia età e ai desideri di famiglia, questo mi rimordeva sopra tutto. Quando ho disfatto le valigie, mi sono ripromesso di riprendere comunque il filo. L’ho fatto ora, prima che sia davvero troppo tardi. Tardi per le scadenze tassative cui ci obbliga l’Europa, e, più irreparabile ancora, per la nostra umanità. Il mio messaggio è là, cliccateci sopra, leggetelo, non vi accontentate di questa usurpazione giornalistica. Troverete tutto, niente di più e niente di meno di quello che penso e sento. Adesso ne ho 88, di anni. A differenza di voi giovani, posso permettermi di guardare lontano. Come volete che mi intimidisca delle speculazioni, delle insinuazioni, degli insulti? Mi dispiacciono certo le incomprensioni e le diffidenze sincere, mi auguro che vogliano misurarsi con la verità. E comunque, posso permettermi anche di dire le cose come stanno: per esempio, che chi mi accusa di voler salvare Berlusconi (che non potrebbe nemmeno San Gennaro, ndr) e assicurare “l’impunità delle caste”, se ne frega del paese e della gente, e non sa quale tragedia sia quella delle carceri”. Cinque anni fa, quando fu varato un indulto mutilato dell’amnistia, che avrebbe sgombrato tribunali ostruiti da un arretrato intrattabile, favorendo prescrizioni agli abbienti e sventura ai poveri cristi, restarono con pochi altri a difendere una decisione del parlamento, lui Napolitano e Romano Prodi. Allora, lo spauracchio agitato sul futuro della democrazia era Previti: Previti restò dov’era, in un comodo domicilio, e nessuno ne ha più sentito parlare. Gridavano che il processo all’Eternit sarebbe stato insabbiato: si è tenuto ed è finito come doveva. Ammonirono che i delinquenti usciti avrebbero messo a repentaglio la sicurezza degli italiani: non successe, e fra gli usciti e i beneficiari di pene alternative ci furono assai meno recidivi. Queste ultime osservazioni, e molte altre cui rinuncio, non sono del presidente, ma mie: un po’ per uno. Considerando tutti questi precedenti, Napolitano ha confidato che non si potesse lealmente fraintenderlo. Che non si possa fraintendere il favore per la stessa amnistia, quando viene da giuristi come Carlo Federico Grosso, da ministri indipendenti come la signora Cancellieri, da direttori di carceri, da sindacati di agenti penitenziari, da magistrati e avvocati e operatori penitenziari. Ci sono 64.758 detenuti per una capienza di 47.615, ha scritto. Ci sono sgabuzzini provvisori di un metro per un metro adibiti a cella, senza finestre, senza una suppellettile, con un giornale sul quale fare i propri bisogni. È un po’ lungo il suo messaggio, lo sa, ma si abbia cura di leggerlo. Poi lui non c’entra più. È sovrano il Parlamento. Può fare quello che crede, là sono indicate molte misure diverse, e soprattutto un criterio, e più ancora un sentimento. In Parlamento ci sarà chi è favorevole all’amnistia perché spera che ne venga una via d’uscita per Berlusconi. Ci sarà chi è contrario all’amnistia perché teme che ne venga una via d’uscita per Berlusconi. Napolitano avrà fatto la tara, e si sarà augurato che ci sia chi rifletta perché è in pena per l’inferno in cui stanno i carcerati e le loro famiglie, e per il vicolo cieco in cui si trova la giustizia. (Gli altri, quelli che sono comunque contro ogni clemenza perché sono pieni di rancore e detestano il prossimo loro, non vanno considerati in una categoria a parte, perché stanno indifferentemente nella prima e nella seconda). Ecco, penso che sia andata più o meno così. Tornato del tutto nei miei panni, ho una cosa da dichiarare, per conflitto d’interessi. Io devo gratitudine a Napolitano, perché non mi diede la grazia. Avrei vissuto il mio tempo supplementare da graziato, sarebbe stata dura. Giustizia: la clemenza necessaria di Stefano Anastasia e Luigi Manconi Il Manifesto, 9 ottobre 2013 “Tutti corresponsabili”. È chiaro e ineludibile il monito di Giorgio Napolitano: “Sottopongo all’attenzione del Parlamento l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo”. Le violazioni oggetto del messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica sono quelle dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani che vieta la tortura e le pene inumane o degradanti. Una responsabilità non da poco, che grava su tutti i poteri dello Stato, cui “è fatto obbligo, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti lesivi della Convenzione cessino”, dice ancora il Presidente della Repubblica, citando testualmente la giurisprudenza della Corte costituzionale. I fatti sono noti. Le nostre carceri ospitano circa ventimila detenuti più di quanti potrebbero contenerne. Nel 2009 - lo ha ricordato Napolitano - per la prima volta l’Italia venne condannata al risarcimento di un detenuto bosniaco per le condizioni di detenzione cui fu costretto nel carcere romano di Rebibbia. Da allora, centinaia di detenuti si sono rivolti alla Corte europea, che - nel maggio scorso - ci ha dato un anno di tempo per rimediare al sovraffollamento e, più in generale, a tutte le gravissime disfunzioni che rendono lo Stato italiano condannabile per le condizioni di detenzione della gran parte delle persone private della libertà. Entro il 28 maggio dell’anno prossimo il nostro sistema penitenziario dovrà rientrare negli standard di civiltà e di rispetto dei diritti umani imposti dagli obblighi internazionali (e costituzionali). Come prevedibile, e come anticipato nella visita al carcere napoletano di Poggioreale, il Presidente della Repubblica sollecita esplicitamente il Parlamento all’adozione di un provvedimento di indulto e di amnistia, il primo efficace a riportare nella legalità il numero delle presenze in carcere, il secondo utile a rimuovere il pesante fardello di procedimenti per reati minori che altrimenti sarebbero inutilmente celebrati in vista di una pena destinata a essere condonata. Al Parlamento spetta individuare limiti ed esclusioni e già possiamo dire - sulla base dell’esperienza e delle proposte finora depositate - che Silvio Berlusconi non ne potrebbe trarre alcun giovamento. Se riusciremo a discuterne liberi da questo macigno di una personalizzazione parossistica (già sentiamo gli strepiti: soccorrerà Berlusconi) e dalla sua variante “di classe” (tranquilli: per ogni colletto bianco che potrebbe forse usufruire della clemenza una infinità di stranieri, tossicomani e disgraziati senza voce e senza potere verranno fuori dalle carceri), del messaggio di Napolitano si potranno cogliere tutte le indicazioni. L’amnistia e l’indulto sono “rimedi straordinari” che vanno presi insieme con provvedimenti indirizzati a “ridurre il numero complessivo dei detenuti” e accompagnati “da idonee misure finalizzate all’effettivo reinserimento delle persone scarcerate”. Rimedi straordinari sì, ma non occasionali: necessari, piuttosto, per ristabilire l’indirizzo politico-costituzionale in materia di carcere e giustizia, quello secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Giustizia: “indulto e amnistia”, ecco l’agenda Napolitano di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 9 ottobre 2013 La condizione delle carceri “umilia l’Italia”. Dal Quirinale un messaggio alle camere per sollecitare misure straordinarie. La maggioranza ci sta, i grillini attaccano: pensa a Berlusconi. E il presidente scende in polemica. Un indulto largo, capace di liberare oltre ventimila persone e riportare così i detenuti nei limiti della capienza massima delle carceri. E un’amnistia stretta, limitata ai reati non gravi ma in grado comunque di liberare i magistrati dal peso dell’arretrato, far ripartire i processi e accelerare i tempi della giustizia. Sono le proposte “urgenti” che Giorgio Napolitano, contando sull’attenzione che le forze politiche di maggioranza gli riconoscono, affida al parlamento. La condizione delle carceri italiane, scrive, è “umiliante sul piano internazionale”. Il governo risponde “presente”, prima con Letta e poi con Alfano, la ministra della giustizia Cancellieri è da tempo favorevole all’amnistia ma potrà solo proporre misure limitate: è in parlamento che le leggi di clemenza dovranno farsi strada. Il Pdl è immediatamente favorevole, ma lo è perché lega l’urgenza del dramma carcerario alle “riforme della giustizia” che perennemente alludono agli interessi di Berlusconi. Nel suo messaggio al parlamento il capo dello stato ha lasciato socchiusa questa porta, citando le proposte in tema di giustizia dei “saggi” da lui nominati. Proposte che hanno poco a che vedere con il carcere e molto con la voglia di vendetta dei berlusconiani (si parla di intercettazioni, disciplinare dei magistrati, di limiti alle interviste dei giudici...). Dall’altra però Napolitano stringe l’orizzonte della possibile amnistia, i cui confini spetterebbe alle camere tracciare. I reati finanziari come quello che è costato a Berlusconi l’unica condanna definitiva non sono reati “non gravi”. Ma questo non basta a contenere la reazione del Movimento 5 Stelle: Napolitano è immediatamente accusato di volere l’amnistia per Berlusconi. Tale è il livello degli attacchi che il presidente persino replica, scendendo nella polemica con un partito. “Sanno pensare a una sola cosa, hanno un pensiero fisso e se ne fregano degli altri problemi del paese della gente”, dice Napolitano rivolto ai grillini, scatenando un’altra ondata di critiche, stavolta per la mancata imparzialità. Uno strumento poco usato Nell’elenco che l’articolo 87 della Costituzione fa dei poteri del presidente della Repubblica, quello di inviare messaggi alle camere è al primo posto. Eppure lo strumento è stato talmente poco utilizzato che da solo Cossiga con i suoi sei messaggi in sequenza (1990-92) supera tutti gli altri presidenti che vi hanno fatto ricorso messi assieme. Napolitano compreso che aveva fin qui preferito intervenire in maniera informale. E aveva anche spiegato il motivo: nulla di concreto è mai scaturito dai messaggi dei suoi predecessori, né ai tempi di Segni e Leone, né in quelli più recenti di Scalfaro e Ciampi. Se non polemiche, anche queste confinate nelle due ore di dibattito che le camere hanno doverosamente concesso ai problemi sollevati da Scalfaro (l’unità della nazione di fronte agli attacchi della Lega Nord) e Ciampi (il pluralismo dell’informazione). Se il presidente della Repubblica ha cambiato idea è certo, come ha detto, perché “la drammatica questione carceraria” deve essere affrontata “in tempi stretti” visto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato tempo all’Italia fino a fine maggio 2014 per rimediare allo “strutturale e sistemico sovraffollamento carcerario” italiano (un primo passaggio di verifica ci sarà già a novembre), ma anche perché il capo dello stato è consapevole del forte ascendente che in questo momento può esercitare sui due terzi del parlamento. Proprio i due terzi che dal 1990 servono per approvare i provvedimenti di amnistia e indulto. Di amnistia e di indulto il capo dello stato ha parlato lungamente e con precisione nel suo messaggio, così come aveva preannunciato a Napoli durante la visita al carcere di Poggioreale. Prima però Napolitano ha passato in rassegna due tipi di interventi “ordinari” che il parlamento potrebbe prendere, o favorire, per ridurre la pressione nelle carceri. Leggi “deflattive” come la delega in discussione al senato (dove però il testo approvato alla camera è stato modificato) che affida al giudice di merito la possibilità di imporre direttamente la messa alla prova o la detenzione domiciliare al condannato. Oppure una revisione più incisiva della legge Cirielli, che continua a ostacolare l’ammissione dei recidivi alle misure alternative. Oppure ancora quella depenalizzazione dei reati minori attesa da anni. Misure ordinarie potrebbero essere, secondo Napolitano, anche la possibilità di far scontare la pena nel paese di provenienza agli stranieri (solide ragioni di diritto internazionale e costituzionale limitano i trasferimenti a qualche decina al mese, mentre i detenuti stranieri in Italia sono circa il 35% del totale) e la costruzione di nuove carceri (il governo prevede 10mila nuovi posti entro fine 2015, e resta il problema del personale di polizia penitenziaria). Ma prima di tutto e con più urgenza Napolitano pone al parlamento il problema delle misure di clemenza, rimedi “straordinari”. Dal 1953 al 1990, ricorda il presidente della Repubblica, c’è stata un’amnistia - in genere abbinata all’indulto - ogni due-tre anni. Dal 1990, anno in cui è stata cambiata la Costituzione per inserire il quorum dei due terzi dei componenti di ogni camera per approvare questo tipo di leggi (quorum richiesto per ogni articolo, oltre che per il voto finale), solo una legge di indulto è stata approvata (nel 2006). Le ragioni secondo il capo dello stato non vanno cercate tanto nella modifica costituzionale, quanto in una “ostilità agli atti di clemenza diffusasi nell’opinione pubblica” che più correttamente spiega anche la modifica della Carta. Ragione per cui il compito che dovrebbe assumersi il parlamento è quello assai arduo di affrontare il senso comune e imporre le ragioni della civiltà e della costituzione (il precedente non conforta, visto che l’indulto del 2006 è stato subito misconosciuto dai partiti che lo avevano votato). Ma anche la ragione pratica dei conti pubblici: la sentenza che a Strasburgo ha condannato l’Italia è una sentenza pilota destinata ad essere estesa a migliaia di detenuti italiani, che avranno diritto a un risarcimento. “Di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e a un imperativo morale e giuridico - scrive Napolitano - ritengo sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all’adozione di atti di clemenza generale”. Giustizia: perché Berlusconi non ha affatto gradito il messaggio alle Camere di Napolitano di Ugo Magri La Stampa, 9 ottobre 2013 È certo anzi che dai benefici sarebbero esclusi i reati dei suoi processi. Berlusconi, cioè colui che secondo i grillini dovrebbe stappare champagne, non ha per nulla apprezzato il messaggio presidenziale. Lo considera alla stregua di “una presa in giro”, o poco ci manca. È convinto che tanto un’amnistia quanto un indulto ben poco influirebbero sul suo destino. Con chi privatamente lo interpella, l’uomo ostenta estremo scetticismo. Sostiene che se Napolitano avesse voluto davvero dargli una mano, non sarebbero mancate in passato le occasioni. Che il Colle avrebbe potuto intervenire anzitutto evitandogli la condanna. Che muoversi solo adesso, quando ormai incombe l’umiliazione della decadenza, ha il sapore politico della beffa. Ma soprattutto, il Cavaliere è in cuor suo certissimo che amnistia e indulto non gli porteranno alcun vantaggio. Durante l’iter parlamentare, il Pd metterà il veto su tutto quanto potrebbe giovare alla sua causa. E dunque dal provvedimento verranno sistematicamente escluse proprio le tipologie di reato che farebbero molto comodo a lui, dalla frode fiscale alla concussione, dalla prostituzione minorile alla corruzione di senatori. In sintesi: se per ipotesi il messaggio presidenziale avesse avuto quale obiettivo quello di raffreddare gli animi, l’esito sembra di segno contrario alle attese. Il diretto interessato ostenta distacco e freddezza. Di Napolitano continua a non fidarsi. Anzi, paradossalmente, se ne fida ancor meno di prima. Questo, perlomeno, è quanto filtra da Arcore, dove ieri Berlusconi è rimasto rintanato. Doveva scendere a Roma per discutere con gli avvocati le sue prossime mosse, ma Ghedini è stato colto dal virus influenzale, Silvio ha preferito evitare il contagio. Probabile che il summit coi legali si tenga oggi, e venga confermata la decisione di chiedere l’affidamento in prova presso una comunità: in “pole position” rimane la Ceis di don Picchi, dove già Previti scontò la sua pena, sebbene pure Capanna accoglierebbe con grande voluttà il Caimano nella sua “Fondazione diritti genetici”, garantendogli mansioni all’altezza del personaggio. L’ultima parola comunque spetterà ai magistrati, al termine di una procedura per un ex-premier parecchio umiliante, comprensiva di rilevamento delle impronte digitali e di foito segnaletica, nonché di test psicologico volto ad accertare se il servizio sociale potrà giovare o meno al reinserimento sociale del reo, anche in base alla sua storia personale e al suo atteggiamento in generale nei confronti della giustizia. L’umore a villa San Martino, dunque, non è quello dei giorni migliori. C’è anche, da quelle parti, chi la vive diversamente. I figli, l’azienda di famiglia, per non parlare dei ministri e di chi sostiene le larghe intese, ritengono che alla fine Berlusconi medesimo farà prevalere l’istinto di sopravvivenza. E una volta superato il malumore metterà i suoi consiglieri al lavoro per ricavare il massimo possibile (Ghedini è scettico, però tentar non nuoce). Insomma, lui stesso si affezionerà alla prospettiva di migliorare la propria condizione di imputato, dal momento che altre pesanti condanne incombono sulla sua testa. Ecco perché i cosiddetti “ministeriali” plaudono entusiasti al Capo dello Stato. Alfano promette massima collaborazione alla Cancellieri, ministro della Giustizia; Quagliariello, fulmineo, ieri l’ha già incontrata. Personaggi di equilibrio come Schifani salutano con soddisfazione il passo quirinalizio. Brunetta ringrazia Napolitano “per aver portato in primo piano il tema della giustizia”, evocato con forza giusto ieri dal “Mattinale” (il bollettino interno e riservato del Pdl). Se Berlusconi metterà da parte l’orgoglio, e accetterà di cedere per sempre lo scettro del centrodestra, non è escluso che tra le pieghe dell’amnistia o dell’indulto potrà davvero spuntare qualcosa di buono anche per lui... Giustizia: il Consiglio Superiore della Magistratura diviso sulla proposta di amnistia e indulto Agi, 9 ottobre 2013 Il messaggio del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, inviato ieri alle Camere e riguardante la drammatica situazione delle carceri, è stato al centro di un lungo dibattito in apertura del plenum di questa mattina al Csm: i consiglieri, però, sono apparsi divisi sull’ipotesi di un provvedimento di clemenza per risolvere la questione carceraria in vista della scadenza del maggio 2014 stabilita dall’Europa per far fronte alla situazione attuale. “L’amnistia e l’indulto devono essere corredate da riforme che prevedono la ristrutturazione dell’intero sistema - ha detto il togato di Unicost, Paolo Auriemma, aprendo il dibattito - altrimenti sono destinati a ricreare le situazioni preesistenti”. “Ben vengano l’indulto e l’amnistia - ha sottolineato il laico di centrosinistra Glauco Giostra - se sono preceduti da altre misure strutturali. Certo, mi sorprende che il plauso ad un provvedimento di clemenza venga da forze politiche che hanno ostacolato l’approvazione della legge svuota carceri”. Per Giovanna Di Rosa, togata di Unicost, “provvedimenti emergenziali sono necessari. La storia e i tempi lunghi ci hanno consegnato lavori di Commissioni ormai antichi che avrebbero potuto essere esitati da anni. Gli stessi interventi legislativi sono stati molto laboriosi e di limitata efficacia”. Nel frattempo, i detenuti, ha rilevato Di Rosa, “continuano a soffrire per l’espressione di volontà che, in una recitazione ipocrita di astratta condivisione umana, non si traduce in comportamenti e rimanda ad una riforma dagli esiti incerti, lunghi, forse non voluti”. Di Rosa, dunque, torna a chiedere la convocazione di un plenum straordinario, dedicato alla questione carceri, presieduto dal capo dello Stato. Di tutt’altro parere il togato di Magistratura Indipendente, Antonello Racanelli, secondo il quale “il tema delle carceri non rientra tra le competenze del consiglio. Sull’amnistia spetta al Parlamento valutare - ha osservato Racanelli - ma si tratta solo di misure tampone. Servono nuove carceri che consentano condizioni di vita dignitose per i detenuti”. Il togato di Unicost, Riccardo Fuzio, ha voluto sottolineare con forza che “la questione delle carceri e dei rimedi al loro sovraffollamento si lega indissolubilmente ai temi della durata del processo, ad alcuni specifici istituti processuali e alla funzionalità complessiva della giustizia”. L’auspicio di Fuzio è che tali questioni vengano affrontate nell’ambito della relazione al Parlamento che la sesta Commissione, a breve, dovrà preparare. Tra gli argomenti possibili, quello della deflazione processuale, che può riguardare indirettamente anche le carceri. Il laico del Pdl, Bartolomeo Romano, esprimendo “massimo rispetto e riconoscenza” al capo dello Stato per il suo messaggio, ha anche voluto parlare di “solidarietà” nei confronti del presidente della Repubblica che ieri è stato “oggetto di inattese reprimende”. Giustizia: intervista ad Adolfo Ceretti “L’amnistia non serve, la chiave è la prevenzione sociale” di Lorenzo Lamperti Affari Italiani, 9 ottobre 2013 “Amnistia e indulto non risolvono il sovraffollamento delle carceri”. Adolfo Ceretti, importante criminologo dell’Università di Milano-Bicocca, boccia l’ipotesi lanciata da Napolitano in un’intervista ad Affaritaliani.it: “Possono decongestionare sul momento ma nel giro di 2 o 3 anni saremo al punto di partenza. Serve un intervento strutturale con depenalizzazione e rafforzamento delle misure alternative”. Ceretti propone un modello nuovo: “Si investa sul welfare penale invece che assecondare l’ossessione per la sicurezza. La mediazione? È dimostrato che serve a limitare la recidiva. Ma la chiave sono i progetti di prevenzione sociale”. Amnistia e indulto possono risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri? No, non credo proprio che siano delle soluzioni. Amnistia e indulto aiutano a decongestionare e a rendere praticabile la vita carceraria ma come abbiamo già visto con l’indulto del 2006 nel giro di due o tre anni il problema si ripresenta identico a se stesso. In più dal punto di vista politico questo tipo di risposta dà la possibilità di creare tutta una serie di angosce e paure che conosciamo bene e che si sono già viste in passato. Forse è un male inevitabile ma se insieme a questo non si crea finalmente un pensiero un po’ più concreto sul carcere tra cinque anni saremo esattamente al punto di partenza. Quale tipo di intervento servirebbe? Servirebbe un intervento strutturale. Bisogna pensare se questo vuole essere uno Stato dell’ipercontrollo di qualsiasi comportamento individuale e collettivo o se si vuole scommettere su un progetto sociale di largo respiro, cosa che sembra purtroppo molto difficile al momento. Bisogna reinvestire sul welfare penale e non assecondare sempre l’ossessione per la sicurezza. Quali dovrebbero essere i punti chiave di un intervento strutturale? In carcere ci sono progetti che già dimostrano come è possibile creare condizioni di vita positive, nonostante la situazione sia tragica. Esistono già progetti di eccellenza che anche nella logica attuale potrebbero dare esiti importanti. Un vero intervento strutturale dovrebbe rivedere l’intero modello. Rafforzamento delle pene alternative e depenalizzazione? Certamente sì, ma il discorso fondamentale è quello che ruota intorno al modello Abreu. Idea di poter uscire per una prevenzione molto radicale capace di avere effettività ed esiti sotto gli occhi di tutti. Sulle orme di quel progetto. In Venezuela il maestro Josè Antonio Abreu ha messo in mano uno strumento a ragazzi dipendenti dal crack, a bambine prostitute, a giovani appartenenti a pericolose gang e ha insegnato loro a far musica. Da quel garage è nato El Sistema, 350.000 giovani, ragazzi, bambini che hanno creato 120 orchestre giovanili e un centinaio di orchestre infantili salvando tante vite dalla droga, dalla delinquenza, dalla galera. Per avere risultati importanti non serve la repressione ma le idee e progetti di prevenzione sociale. La mediazione può aiutare? La mediazione può avere delle funzioni deflattive del sistema penale però è uno strumento che può riguardare un numero piuttosto contenuto di casi. La mediazione certamente lavora con efficacia sugli effetti distruttivi di alcuni conflitti che hanno prodotto reati. Purtroppo la sperimentazione, soprattutto per quanto riguarda gli adulti, è ancora ferma ai blocchi di partenza. Ma le ricerche internazionali fatte finora ci dicono che sia per gli adulti e sia per i minori i tassi di recidiva di chi partecipa ai progetti di mediazione si abbassano drasticamente. Ma la parola chiave per risolvere il problema alla radice è coinvolgere. Il vero impatto lo avrebbe il costruire progetti sociali in cui coinvolgere soprattutto i giovani in esperienze esistenzialmente esaltanti e totalmente lontane dalla logica del penale. Giustizia: presentato il Ddl di iniziativa popolare della Campagna di mobilitazione “3Leggi” La Repubblica, 9 ottobre 2013 Convertire la pena in mancanza di posti disponibili. Modifica dei benefici e delle sanzioni alternative. E introduzione di un Garante per i diritti dei detenuti. Dopo il messaggio del Presidente della Repubblica, il tema “carceri” arriva in Parlamento. È stata presentata stamattina, infatti, alla Camera dei Deputati, il disegno di legge di iniziativa popolare preparato e diffuso attraverso la campagna di mobilitazione “3Leggi”: mesi di attività sui territori per raccogliere le firme, adesioni da esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo. E il coinvolgimento di numerosi parlamentari. L’impegno dei parlamentari. “Per la legalità e i il rispetto della Costituzione nelle Carceri”, questo il titolo della parte della campagna impegnata per rendere la vita negli istituti di detenzione all’altezza del diritto nazionale e internazionale. Tra le attività, svolte anche con il supporto dell’associazione Antigone, oramai impegnata in una decennale battaglia per sensibilizzare i cittadini sulla “condizione di vita carceraria”, le visite a istituti di detenzione di alcuni deputati. Tra cui: Paolo Beni, Fausto Raciti e Laura Coccia, Pd. E Gennaro Migliore, capogruppo di Sel alla Camera. L’impegno è “iniziare una serie di visite nelle strutture del Paese”. Un monitoraggio. Affinché “la condizione di carcerato non coincida con quella di disagio psicologico e sanitario”, dice Raciti. Il Libro Bianco di Antigone. Sovraffollamento e condizioni sanitarie precarie. Sembrano questi i due macro-problemi degli Istituti italiani. Le cui specificità sono messe a fuoco nel Libro Bianco, presentato da Antigone. Tra i nodi, anche le ricadute della normativa anti-droga sulle condizioni della popolazione carceraria. Dal Libro Bianco di Antigone: “L’impatto carcerario della legge antidroga è la principale causa del sovraffollamento. All’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici”. La proposta è una modifica della legge Fini-Giovanardi, per rendere “di nuovo praticabili le alternative terapeutiche, sia per le condanne carcerarie che per le sanzioni amministrative”. Gonnella (Antigone): introdurre reato tortura nel codice penale “Siamo prigionieri delle vicende di Silvio Berlusconi, e per noi che denunciamo sistematicamente da anni la condizioni umane nelle carceri è inaccettabile. Non vogliamo e non dobbiamo essere strumentalizzati, vorremmo che le forze politiche tornassero ad avere una funzione pedagogica, e non cercare di prendere qualche voto in più parlando alla pancia della gente, La questione berlusconiana deve uscire dalla questione penitenziaria, si facciano le riforme, si facciano interventi di clemenza, si evitino condanne della corte costituzionale e, soprattutto si impediscono le ingiustizie nei confronti dei carcerati e si introduca il reato di tortura nel codice penale”. Così il presidente di Antigone Patrizio Gonnella, che è intervenuto a “Prima di tutto” su Radio1. Gonnella (Antigone): confrontarsi con Germania, non con Turchia “Abbiamo creato questo disastro, adesso dobbiamo rimediare. Siamo una grande democrazia, inserita nel G8; ebbene dobbiamo essere un esempio di legalità, di civiltà. Dobbiamo confrontarci con la Germania, non con la Turchia. Dobbiamo pensare che qualcosa va risistemato. recentemente sono stato in carcere e ho trovato detenuti, soprattutto stranieri, con lunghe pene da scontare, che stavano in carcere per un reato: vendere cd contraffatti, era questo il loro reato. Non si tratta dunque di criminali incalliti, ma di ingiustizie da sanare”. Così il presidente di Antigone Patrizio Gonnella, che è intervenuto a “Prima di tutto” su Radio1. Giustizia: Codacons promuove “class action” per i detenuti alla Corte Europea dei diritti umani 9Colonne, 9 ottobre 2013 Francesco Tanasi, segretario nazionale Codacons e candidato alla carica di Garante dei detenuti in Sicilia, annuncia un’azione per la tutela dei diritti dei detenuti che parte dalla Sicilia e presto si estenderà alle altre strutture di detenzione italiane. “L’8 gennaio 2013 - spiega Tanasi - la Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo, alla luce del grave problema del sovraffollamento delle carceri italiane e più in generale delle condizioni disumane in cui i detenuti sono obbligati a vivere, ha ravvisato una violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e ha obbligato lo Stato italiano, oltre a risarcire i ricorrenti, “ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario”. Nonostante ciò la situazione resta gravissima e appare particolarmente allarmante, specie nelle carceri siciliane dove il problema è maggiormente sentito. Il Codacons ha dunque avviato la procedura per la presentazione di una class action, da proporre direttamente davanti la Corte Europea dei diritti dell’uomo. I detenuti costretti a vivere quotidianamente in condizioni disumane nelle carceri sovraffollate del nostro paese, potranno così finalmente agire per ottenere il risarcimento dei danni subiti”. Sul sito www.codacons.it l’associazione ha pubblicato una pagina dove i detenuti possono fornire una preadesione all’azione collettiva che partirà in Sicilia e verrà presto allargata al resto d’Italia. Giustizia: Guerini (Cooperative); pronti a sviluppare percorsi alternativi carcere per condannati Vita, 9 ottobre 2013 Il portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali raccoglie l’appello di Napolitano, “le esperienze innovative abbattono la recidiva dell’80%”. Un plauso al presidente della Repubblica viene da Giuseppe Guerini, portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali che conferma “l’efficacia delle misure alternative, in particolare, quelle di inserimento lavorativo. Le cooperative sociali sono pronte a sviluppare, ulteriormente, esperienze innovative e coraggiose”. “Valorizzare la funzione rieducativa della pena, attraverso, la formazione e il lavoro - dice Guerini - permette di abbattere la recidiva dal 70% al 10% evitando a coloro che sono stati condannati, una volta scontata la pena, di tornare a delinquere e a intasare il sistema giudiziario”. “Un detenuto costa in media allo Stato circa 200 euro al giorno. L’abbattimento della recidiva, con l’inserimento lavorativo, ripaga più che abbondantemente quanto investito per gli incentivi alle assunzioni. Siamo pronti - conclude Guerini - a continuare a sviluppare questo percorso che dà dignità alle carceri, al detenuto e al Paese”. Giustizia: suicidi & psicologi nelle carceri italiane, in arrivo un nuovo bando per 500 operatori di Sergio Paleologo www.linkiesta.it, 9 ottobre 2013 A settembre il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita al carcere di Poggioreale di Napoli aveva annunciato l’invio di un messaggio alle Camere. Aveva lasciato la necessità di un suo intervento, un provvedimento mirato. Le ipotesi viaggiano dalla clemenza all’amnistia, passando per l’indulto. Il ruolo del Parlamento è comunque fondamentale. Così come è estremamente importante legare qualsiasi scelta calata dall’alto ad altri due pilastri. La riforma della giustizia e le necessità umane di chi dentro le mura vive o lavora. Nulla di tutto ciò sarà facile. Gli psicologi Al contrario sembra che la riforma della giustizia e l’annesso intervento sul sistema carcerario con le conseguenze umane correlate (suicidi tra detenuti e guardie) si allontanino dall’agenda politica. E al momento l’unico cambiamento in atto sembra coinvolgere il ruolo degli psicologi che operano dentro le mura. Si sta andando verso una nuova fase, depotenziata e maggiormente frammentaria. È partito infatti l’iter per i bandi di selezione legati alle nuove disposizioni che finiranno per cambiare l’approccio dei circa 500 operatori psicologi. Si tratta di coloro che si occupano di tutte le realtà non cliniche, ovvero dell’osservazione dei detenuti, finalizzata a stabilire un programma di reinserimento sociale con minori rischi possibili per i cittadini. I nuovi bandi sembrano voler mettere da parte gli psicologi penitenziari con esperienza trentennale. L’Amministrazione chiede di rifare la selezione già superata nel 1985, 1989 e 2003 senza che l’esperienza pregressa possa fare punteggio. Rispetto all’ultimo bando effettuato, i colloqui che termineranno intorno a dicembre prevedono rapporti di lavoro, sempre a partita Iva (17 euro all’ora e 19 nelle carceri geograficamente disagiata) come un tempo, ma con una scadenza annuale rinnovabile fino a quattro mandati. Il 2005 è stato assunto a linea di demarcazione. Col risultato che un laureato in quell’anno, che abbia svolto il tirocinio successivamente, si trova ad avere più titoli dello psicologo che gli ha fatto da tutor. Avanti i giovani? A prima avviso potrebbe sembrare così. In realtà col mandato quadriennale non si offre un futuro nemmeno a medio termine. La riforma nasce invece da un fatto contingente. Alcuni psicologi negli anni scorsi hanno avviato cause con l’obiettivo di trasformare il rapporto lavorativo autonomo in uno subordinato. Così il timore (anche se le cause sono state quasi tutte vinte dallo Stato) che i casi isolati potessero diffondersi, in tempi di tagli al budget, ha fatto scattare la cesoia. Secondo gli psicologi il risultato sarà una maggiore difficoltà operativa e una minore tutela dei detenuti. Ci saranno più suicidi? Ovviamente si spera di no, ma certo i trattamenti si spezzeranno per poi ricominciare con un nuovo psicologo. Senza contare che, rimanendo in tema di spending review, impegnare ogni quattro anni i direttori degli istituti per circa 40 giorni in colloqui selettivi toglierà loro tempo per le altre (principali) mansioni. In sostanza, anche se l’amministrazione non è chiamata a un esborso diretto, difficilmente si può dire che ci sarà risparmio di denaro. “A complicare la situazione”, spiega a Linkiesta Carla Fineschi, psicologa impegnata nel carcere di Siena dal 1989 (20 ore mensili per 90 detenuti), “si aggiunge il fatto che la circolare ministeriale viene applicata a macchia di leopardo e a livello regionale, non facilitando certo un piano nazionale. Così io dovrei sottopormi a una selezione già fatta 25 anni fa con un punteggio inferiore ai miei tirocinanti mentre colleghe di altre regioni non dovranno farlo. Non parteciperò, dunque, perché ritengo che questa richiesta sia lesiva dei diritti e non posso in nessun modo avvallarla”. Uno scoramento che sembra diffuso anche tra molti altri operatori e che non dovrebbe aver un buon impatto sulla popolazione carceraria, già gravata da numerose problematiche. I veri numeri dei morti di carcere Le statistiche sui suicidi nelle carceri europee sono elaborate annualmente dal Consiglio d’Europa e gli ultimi dati disponibili a livello Ue sono quelli relativi al 2007. Prendendo in considerazione anche i due anni precedenti (2005 e 2006) risulta una media annua di 9,4 suicidi ogni 10mila detenuti, tra i presenti in tutte le carceri del continente. Confrontando invece i tassi di suicidio nelle popolazioni detenute dei singoli Paesi, il valore mediano risulta di 7,4 suicidi l’anno ogni 10mila persone. Negli Stati Uniti fino a 30 anni fa il tasso di suicidio tra i detenuti era simile a quello che si registra oggi in Europa. “La svolta avvenne nel 1988”, spiega un report del centro studi Ristretti Orizzonti, “quando il governo istituì un Ufficio “ad hoc” per la prevenzione dei suicidi in carcere, con uno staff di 500 persone incaricate della formazione del personale penitenziario: in 25 anni i suicidi si sono ridotti del 70%. In dieci anni su una media Usa di circa 2 milioni di detenuti ci sono stati circa 1.700 suicidi. Nelle stesso periodo in Italia con una popolazione media carceraria di un trentasettesimo rispetto a quella americana si è assistito a poco meno di 500 sucidi. Circa un terzo rispetto a quelli Usa. In 40 anni da noi il numero dei detenuti è raddoppiato (ora sono circa 68mila), i posti letto sono aumentati di sole 10mila unità. Con circa 15mila tentati suicidi negli ultimi 20 anni e 98mila atti di autolesionismo, e i suicidi medi all’anno sono passati da 20 a oltre 60. Una frequenza 21 volte superiore a quella che si registra tra le persone in libertà e il dramma è che la statistica non è completa. Nel 2012 ci sono stati 60 suicidi e 154 decessi per cause naturali. Tutti i detenuti morti sull’ambulanza, all’arrivo al pronto soccorso o in ospedale non rientrano nei conteggi. Tecnicamente il loro decesso non è infatti stato constatato dentro le mura. Ciò significa che il dato sui suicidi deve essere aumentato almeno di un dieci/quindici per cento e quello sui decessi per altre cause molto di più. A confermare a Linkiesta le stime è l’associazione Ristretti Orizzonti oltre a due operatori sanitari. Cifre scomode. Il rischio è volerle ignorare. Il dubbio però sorge: è proprio il caso di andare al risparmio sul sostegno psicologico? Giustizia: rinasce l’inchiesta sul “caso Uva”, respinta la richiesta di archiviazione di Mario Di Vito Il Manifesto, 9 ottobre 2013 Nuove indagini nei confronti degli otto agenti di polizia e carabinieri accusati di lesioni colpose. Non è finita. Nel giorno in cui il caso Uva poteva morire con un’archiviazione per gli uomini in divisa coinvolti nella morte di Giuseppe la notte del 14 giugno del 2008, l’inchiesta rinasce e adesso sotto la lente degli investigatori ci saranno proprio i fatti avvenuti prima del trasferimento dell’uomo, ormai in fin di vita, all’ospedale di Circolo, dove poi il suo cuore avrebbe smesso di battere. Tre ore piene di mistero: alle 2 e 55 Uva e il suo amico Alberto Biggioero vengono portati nella caserma dei carabinieri in via Saffi, alle 5 e 41 l’ambulanza con Giuseppe a bordo arriva al pronto soccorso. Il sostituto procuratore di Varese Agostino Abate - che in un processo precedente sullo stesso caso aveva messo sotto accusa un medico, poi assolto con formula piena - ha sempre sostenuto che Giuseppe Uva non sarebbe mai stato pestato in caserma, la morte sarebbe avvenuta a causa delle sue “precarie condizioni di vita” e i segni evidenti delle botte sul suo corpo se le sarebbe procurate da solo, particolare più volte rimarcato anche ieri in aula, davanti agli increduli familiari della vittima. Il gup è entrato in camera di consiglio poco dopo pranzo e ne è uscito intorno alle 18 e 30 con il responso: le indagini su Paolo Righetti, Stefano Del Bosco, Gioacchino Rubino, Luigi Empirio, Pierfrancesco Colucci, Francesco Barone Focarelli, Bruno Belisario e Vito Capuano continuano. Anzi, cominciano adesso, visto che malgrado i tanti appelli della famiglia Uva e la raccomandazione del giudice Orazio Muscato, la procura di Varese non si è mai mossa con decisione in questo senso, arrivando anzi a aprire un fascicolo per il reato di diffamazione nei confronti di Lucia Uva, degli autori del documentario Nei Secoli Fedele Adriano Chiarelli e Stefano Menghini, dell’inviato delle Iene Mauro Casciari e del direttore di Italia Uno Luca Tiraboschi. “È l’ennesima volta che un giudice sconfessa l’impianto accusatorio del pm Abate - commentano quelli di Malapolizia - e indica come risolutiva la strada delle indagini su carabinieri e poliziotti”. Il reato ipotizzato per i due carabinieri e i sei poliziotti è di lesioni personali semplici, con la procura lombarda che era addirittura arrivata a chiedere l’archiviazione per le posizioni degli uomini in divisa: un ribaltone che avrebbe condannato all’oblio il caso Uva. Quando tutto sembrava perduto, a luglio il gip Giuseppe Battarino ha respinto le richieste del pm e rinviato la discussione a ieri. “La stessa qualificazione giuridica dei fatti - scrisse il giudice - risultante dall’iscrizione delle persone presenti nella caserma dei carabinieri per mere lesioni personali semplici, contraddice gli esiti argomentativi della sentenza numero 498 del 2012 (quella che assolse i medici dell’ospedale, ndr) ed è apodittica di fronte a un evento, la morte di Giuseppe Uva, da ritenersi allo stato privo di spiegazione giudizialmente accettabile”. Una stroncatura netta delle tesi di Abate e uno squarcio di speranza per i familiari del falegname morto a 42 anni. “Finalmente - dice Lucia Uva al manifesto -, abbiamo fatto un passo avanti verso la verità. Un altro giudice ha smentito la tesi secondo la quale Giuseppe sarebbe morto per colpa dei medici: bisogna indagare su quello che è successo in caserma, noi lo diciamo da sempre. Esco distrutta da questa giornata ma sono veramente soddisfatta. Attenzione però, non è ancora finita”. La conclusione delle nuove indagini è fissata per il 31 dicembre, solo allora si saprà se nasce o se muore l’inchiesta sulla caserma di via Saffi. Liguria: Sappe; 1.770 detenuti per 1.012 posti; amnistia e indulto non bastano, servono riforme Tm News, 9 ottobre 2013 “Al 31 settembre scorso erano presenti in Liguria 1.770 detenuti per 1.012 posti letto, cifra addirittura superiore ai tempi immediatamente precedenti l’indulto del 2006. La situazione è allarmante, ma amnistia e indulto da soli non bastano: serve una riforma strutturale dell’esecuzione della pena”. Lo afferma in una nota il segretario generale aggiunto del Sappe, Roberto Martinelli, commentando la richiesta di iniziative concrete contro il sovraffollamento da parte del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “La presenza di stranieri tra i reclusi della Liguria - spiega Martinelli - si attesta stabilmente tra il 50 ed il 60% dei presenti: sono infatti complessivamente 1.012. In Liguria - sottolinea il segretario del Sappe - abbiamo anche la percentuale più alta a livello nazionale di detenuti tossicodipendenti (circa il 40% rispetto ad una media nazionale del 25%). Altro record negativo a livello nazionale - prosegue Martinelli - è quello dei detenuti che lavorano che in Liguria sono solo il 15%”. Secondo il segretario del Sappe, “pensare di risolvere i problemi del sovraffollamento delle carceri con una legge che, di fatto, darà la possibilità a chi si è reso responsabile di un reato di non entrare in carcere, è profondamente sbagliato ed ingiusto. Le soluzioni - conclude Martinelli - potevano e possono essere diverse: nuovi interventi strutturali sull’edilizia penitenziaria, l’aumento di personale e di risorse e modifiche normative sulle disposizioni penali, riservando il carcere ai casi che lo meritano davvero”. Toscana: dalla Regione altri 221.000 euro per una struttura destinata alle madri detenute Adnkronos, 9 ottobre 2013 La Regione Toscana assegna alla Società della Salute di Firenze un ulteriore finanziamento di 221.000 euro, per il completamento della struttura a custodia attenuata destinata a ospitare le madri detenute con i loro bambini. La cifra, che si aggiunge a un primo finanziamento di 400.000 euro già assegnato dalla Regione alla SdS di Firenze nel febbraio 2012 per la realizzazione della struttura, servirà per garantire l’esecuzione delle opere di adeguamento alla normativa antisismica. Il secondo stanziamento è stato deliberato dalla giunta nel corso della sua ultima seduta, ieri, su proposta dell’assessore regionale al diritto alla salute Luigi Marroni. “Grazie al protocollo d’intesa sottoscritto nel 2010 tra Regione, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziara, Tribunale di Sorveglianza, Madonnina del Grappa e Istituto degl’Innocenti - ricorda l’assessore Marroni - sono stati attivati percorsi socio-assistenziali ed educativi per garantire la tutela della salute e la salvaguardia del rapporto madre-figlio. In questi percorsi rientra la realizzazione della sezione a custodia attenuata. I bambini non dovrebbero mai entrare in carcere, ed è nostro compito irrinunciabile individuare tutte le forme alternative, come la struttura in via di realizzazione”. Il progetto della struttura a custodia attenuata fa parte di un accordo complessivo firmato, appunto, nel gennaio 2010, che vede coinvolta la Regione e tutti i soggetti ricordati sopra dall’assessore. La struttura individuata è un edificio in via Fanfani, di proprietà della Madonnina del Grappa. Nel febbraio 2012 la Regione aveva destinato un primo finanziamento di 400.000 euro, ai quali vanno ad aggiungersi i 221.000 euro stanziati ieri, per l’adeguamento alla normativa antisismica. Toscana: scontro politico sul nuovo Garante regionale per le carceri di Marco Solimano (Garante dei diritti dei detenuti Comune di Livorno) www.nove.firenze.it, 9 ottobre 2013 Il Presidente Napolitano, con un messaggio eccezionale rivolto al Parlamento, denuncia la drammatica condizione in cui versano le carceri italiane e la continua violazione dei diritti umani perpetrata ai danni delle persone recluse. Per questo, alcuni mesi addietro, la Commissione Europea per i diritti dell’uomo, ha condannato il nostro Paese. L'elezione di Franco Corleone, che succede così al dimissionario Alessandro Margara, come Garante dei detenuti della Toscana, avvenuta nella seduta odierna del Consiglio regionale ha suscitato un dibattito sul tema delle carceri e del sistema penitenziario. “Franco Corleone è una persona seria e capace, che conosce in maniera approfondita la situazione carceraria. Per questo a nome del gruppo Pd esprimo grande soddisfazione per la sua elezione, siamo convinti saprà portare avanti al meglio questo incarico: a lui vanno i più sinceri auguri di buon lavoro” così Marco Ruggeri, capogruppo Pd Regione Toscana. “La nomina di Franco Corleone a garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana potrebbe aprire le porte ad una forma di collaborazione istituzionale in grado di fare da apripista in questo contesto e generare importanti risparmi. Sarebbe infatti auspicabile a questo punto, con la nomina di Corleone che deve diventare punto di riferimento per l’intera Toscana, che il Comune di Firenze, il quale già aveva affidato lo stesso incarico proprio a Corleone, decidesse di rinunciare a nominare un suo garante, creando una figura che in qualche modo verrebbe a sovrapporsi. Si potrebbe invece favorire la stipula di una specifica convenzione con la quale regolare l’utilizzo di un unico garante, tanto più che entrambi gli Enti riconoscono la capacità professionale e le qualità di Corleone”. E’ la proposta avanzata dal Consigliere Regionale dell’Italia dei Valori e presidente della prima commissione Marco Manneschi. «Garante regionale dei detenuti: è stato posto in ufficio di Presidenza del Consiglio regionale il problema che non era rispettato in Regione Toscana il criterio della equa distribuzione tra i sessi degli incarichi e delle nomine del Consiglio, come previsto dalla Legge. Pertanto avevo chiesto di sospendere la nomina del Garante dei Detenuti cogliendo l’occasione su questa importante nomina di invertire la situazione di fatto che vede privilegiare in maniera quasi assoluta i rappresentanti di sesso maschile. E poiché sono prevalentemente nomine di Maggioranza, a questa Maggioranza la responsabilità politica». È il commento del consigliere regionale di Più Toscana, gruppo nato per difendere gli interessi dei toscani, e membro della IV commissione Sanità, Gian Luca Lazzeri, a margine della nomina in Consiglio del Garante dei detenuti. «Inoltre – prosegue Lazzeri –, il gruppo Più Toscana ha presentato delle proposte di Legge in base alle quali i Garanti dovrebbero essere consiglieri regionali senza oneri per il bilancio della Regione. Oggi invece il Garante percepisce una cifra che fra indennità e stipendio sfiora i 43.000 euro. Attribuendo invece il mandato di Garante ad un consigliere regionale (ovviamente senza oneri per le finanze pubbliche) si risparmierebbero questi soldi. Siamo poi contrari alla nomina del dottor Corleone in quanto espressione della politica, di una parte della politica, mentre il Garante dovrebbe essere un soggetto che aiuta il Consiglio regionale nella elaborazione delle politiche a favore dei detenuti. Questa è una nomina che a mio avviso creerà una dicotomia tra il Consiglio regionale e il Garante che andrà a svolgere un forte ruolo politico oltre e senza il Consiglio regionale. Per queste tre ragioni non abbiamo partecipato alla votazione in Aula». Nel frattempo le condizioni dei detenuti proprio a Firenze hanno raggiunto un punto di non ritorno. «Nel carcere fiorentino infatti a fronte di un capienza di 520 persone sono rinchiusi poco meno di 1.000 detenuti di cui più un terzo in attesa di giudizio. Poiché spetterà alla Regione Toscana insieme al Ministero di Grazie e Giustizia di decidere sulla futura destinazione e sul futuro uso dell’Opg di Montelupo, realizziamo all’Ambrogiana – conclude Lazzeri – una struttura di carcere attenuato dove trasferire questi detenuti che non hanno ancora ricevuto una condanna in via definitiva». Ma il Garante dei detenuti quali poteri ha nel sistema giudiziario attuale? "Da anni denunciamo le fatiscenti condizioni degli istituti penitenziari e lo stato di illegalità, oramai persistente da anni. Una profonda riflessione sul senso della pena ma soprattutto su quale pena è stata da noi sollecitata da tempo, sollecitazioni spesso cadute nel vuoto. Ora si presenta una occasione importante ed irripetibile. È tempo di procedere ad una riforma del sistema sanzionatorio, di procedere alla depenalizzazioni di reati minori e di scarsissimo allarme sociale, soprattutto per quel che concerne il tema delle dipendenze da stupefacenti, di aprire una riflessione importante sulla questione della carcerazione preventiva, di allargare gli scenari delle alternative alla pena detentiva e dei lavori di pubblica utilità e risarcimento sociale, di cancellare o modificare profondamente leggi che hanno prodotto carcere come la Bossi Fini e la Fini Giovanardi, di applicare, finalmente, l’ordinamento ed il regolamento penitenziario del 2000 in tutte le sue parti. Solo questo determinerebbe un importante decongestionamento delle nostre carceri. Giacciono in Parlamento, da lungo tempo, proposte di legge sui temi enunciati. Diventi questo tema, dunque, una priorità politico istituzionale e si proceda senza indugio verso questa auspicata riforma. Riforma che dovrà essere accompagnata, assolutamente, da un provvedimento di amnistia e indulto, indispensabili non solo per allentare la stretta asfissiante del sovraffollamento, ma sopratutto per garantire una proficua ed efficace entrata in vigore della riforma. Il tempo, dunque, è arrivato. È questa la grande occasione per ripristinare diritti e legalità all’interno delle carceri, di superare una fase esclusivamente emergenziale, di riaffermare decoro e dignità e ridare senso e valore ai percorsi di reinserimento e reinclusione sociale, di riaffermare in pieno i principi costituzionali. Se il Parlamento assume la questione nella sua rilevante portata sono convinto che entro pochi mesi si possa davvero cambiare pagina e ridefinire nuovi orizzonti dove la civiltà ed il diritto ritrovano senso e collocazione". Milano: a San Vittore condizioni disumane, un detenuto chiede la scarcerazione La Repubblica, 9 ottobre 2013 Hassan H. è recluso dal 5 settembre nel carcere milanese per spaccio di hashish. La richiesta dell’avvocato dopo l’intervento del presidente Napolitano che ha invocato l’amnistia per arginare l’emergenza carceri. Vivono in sei in una cella di 2,5 per 4,5 metri, con tre letti a castello, nel carcere milanese di San Vittore. Uno dei detenuti, un egiziano di 28 anni, Hassan H., attraverso il suo avvocato Mauro Straini, chiede la revoca della custodia cautelare a causa delle condizioni disumane di carcerazione “in violazione del Codice di procedura penale, della Costituzione e delle indicazioni provenienti dall’Europa, dove l’Italia è già stata condannata”. La richiesta arriva all’indomani delle parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha invocato l’amnistia per arginare l’emergenza carceri in Italia. L’avvocato nell’istanza parla delle “condizioni di vita cui è costretto nella cella, con particolare riferimento allo spazio disponibile”. Un “dato oggettivo e verificabile”, secondo la difesa. Nella richiesta di “liberazione”, il legale ripercorre una serie di norme del Codice di procedura penale e una “interpretazione costituzionalmente orientata”: impone che “il termine istituto di custodia” sia “conforme alle norme poste a tutela dell’umanità del detenuto”. Poi i riferimenti a una legge del 1975 in cui si fa riferimento alla “ampiezza sufficiente” che devono avere le celle e a un decreto del presidente della Repubblica del 2000 sulle “condizioni igieniche” nelle carceri. Inoltre si richiama l’articolo 27 della Costituzione (“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”). L’avvocato spiega inoltre che secondo la Convenzione europea per i diritti dell’uomo “nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti” e riporta l’ormai nota “sentenza Torreggiani” della Cedu. Una “decisione pilota - si legge nell’istanza - sulle condizioni di detenzione negli istituti italiani” che ha imposto allo Stato la “adozione di misure necessarie ad ovviare a tali violazioni”. Peraltro, conclude il difensore, “giacché la sentenza Torregiani ha riconosciuto la natura strutturale della situazione di sovraffollamento delle carceri italiane, la soluzione del problema non potrà semplicemente essere demandata al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: lo spostamento in qualsiasi altra struttura carceraria vedrebbe egualmente presente lo stesso problema strutturale”. In subordine, la difesa chiede che la questione venga sollevata di fronte alla Corte costituzionale. Rimini: detenuto cade dal letto a castello, ricoverato in ospedale con alcune vertebre rotte www.romagnanoi.it, 9 ottobre 2013 È piombato giù dal letto nel cuore della notte fratturandosi alcune vertebre. È successo alcuni giorni fa nel carcere di Forlì, protagonista un giovane tunisino che si trovava detenuto per reati legati allo spaccio di droga. Il ferito, privo di sensi, è stato portato al pronto soccorso dove i medici hanno ritenuto necessario fargli indossare un busto ortopedico prima di rimandarlo in cella. Secondo quanto riferito da alcuni aderenti all’associazione “Papillon”, gruppo di cui fanno parte anche ex detenuti, sarebbe accaduto perché il giovane, ospite della quinta sezione, dormiva al terzo piano di un letto a castello privo di protezioni. Sempre secondo l’associazione, la cella sarebbe stata dotata anche del terzo letto per consentire alcuni lavori di manutenzione in un’altra sezione, circostanza questa, che viene tuttavia smentita dal carcere stesso che afferma di non aver più utilizzato questi letti da quando, due anni fa, si verificò l’eccezionale affollamento della struttura. Secondo altre fonti, il tunisino sarebbe precipitato dal letto a castello situato al secondo piano e non al terzo e sarebbe caduto perché in uno stato di alterazione fisica. Le condizioni del paziente non sono gravi anche se fatica a muoversi ed è costretto, per qualsiasi incombenza, a ricorrere all’aiuto dei compagni di cella. Dell’accaduto, fa sapere la “Papillon”, verrà informata Desi Bruno, l’avvocatessa bolognese nominata garante dei detenuti. Negli stessi giorni ai Casetti di Rimini si sono verificati altri due infortuni degni di nota. Nel primo è rimasto coinvolto Francesco D’Agostino, il 53enne ex patron del night Lady Godiva. L’uomo, finito dentro con l’accusa di aver praticato interessi usurai ad imprenditori della riviera caduti in disgrazia, con l’unico obiettivo di impossessarsi delle loro attività turistiche, è scivolato mentre si trovava in bagno e si è fratturato un polso. Anche D’Agostino è stato portato al pronto soccorso. Il terzo caso riguarda invece un italiano che si trovava in cella soltanto da una decina di giorni. Anche lui afferma di essere caduto, ricostruzione che, però, ha suscitato più di una perplessità. L’uomo quando ha chiesto aiuto alla polizia penitenziaria presentava un occhio nero e la frattura di una costola. L’ipotesi è che si sia verificato un problema di incompatibilità con gli altri detenuti all’interno della cella. Lui insiste, affermando di essere banalmente caduto dal letto, ma il sospetto è che si sia azzuffato con un compagno di cella. Il giovane si trovava in carcere dopo l’arresto per maltrattamenti in famiglia. Nei giorni scorsi l’uomo è stato dimesso e assegnato ai domiciliari. Ragusa: in Tribunale mancano microfoni e stenotipia, processo contro detenuto rinviato www.radiortm.it, 9 ottobre 2013 Dovrà aspettare ancora un mese per essere processato il modicano Giuseppe Tuè, 42 anni, arrestato circa un anno fa e poi ammesso ai domiciliari a seguito della denuncia del 24 ottobre scorso di una donna di 86 anni dopo aver subito alcuni furti e una truffa dopo che l’uomo che avrebbe gli avrebbe carpito la fiducia, spacciandosi per tale “Saro”. Rinviato a giudizio dal Gup di Modica lo scorso mese di marzo, ieri era in programma il processo a suo carico ma, incredibilmente, è emerso che l’aula del Tribunale di Ragusa non era attrezzata di microfoni e stenotipia cosicché il magistrato ha dovuto rinviare tutti a casa e, quindi, Tuè dovrà attendere un altro mese, probabilmente ancora in stato detenzione, visto che il processo trattato il nove dicembre. Il difensore dell’uomo, l’avvocato Carmelo Scarso, nei prossimi giorni tornerà a chiedere la remissione in libertà. La presunta vittima aveva denunciato di essere stata avvicinata, presso la parrocchia di San Teodoro, a Modica Alta, dove si reca quotidianamente, da un uomo che, ingannandola, affermava di essere il nipote di una sua conoscente, inducendola con tali asserzioni a fidarsi Questi, dopo averle detto che la madre era ricoverata in ospedale, le avrebbe chiesto dei soldi in prestito al fine di poterla assistere. In tale frangente, l’anziana, credendo di far del bene, si sarebbe recata presso la propria abitazione, in compagnia dell’uomo, a cui avrebbe consegnato il denaro richiestole che prelevava da una busta ben celata (150 euro). Altre volte il Tuè avrebbe preteso del denaro, arrivando poi a strappare dalle mani della donna le banconote, atteso che la stessa, per eludere le sue pretese, aveva esibito le poche banconote contenute nel portafogli proprio per tentare di convincerlo a desistere e a non tornare. Con tali artifici, Giuseppe Tuè, avrebbe sottratto all’anziana vittima, in più riprese, prima 150 euro, poi 50, poi 40 ed infine 3.350 euro. L’uomo si dichiara innocente, tant’è che ha rinunciato anche a patteggiare. Immigrazione: Ministro Interno Alfano; cambiare la legge Bossi-Fini non è soluzione problema Adnkronos, 9 ottobre 2013 “Se servisse” cambiare la legge Bossi-Fini per evitare tragedie come quelle di Lampedusa, “sarebbe un cambiamento da fare subito, ma temo che questa non sia la soluzione del problema”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano nel corso della conferenza stampa a Lampedusa. “Interventi legislativi come quelli a cui lei fa riferimento, se servissero a evitare le tragedia del mare sarebbero da fare immediatamente, ma temo che non siano la soluzione del problema”, ha risposto Alfano a chi gli chiedeva se il governo pensasse a una modifica della Bossi-Fini e della legge Turco-Napolitano. Russia: direttore Greenpeace scrive a Putin e si offre per uno scambio con gli attivisti detenuti La Presse, 9 ottobre 2013 Il direttore di Greenpeace, Kumi Naidoo, ha scritto al presidente russo Vladimir Putin chiedendogli di incontrarlo a Mosca e offrendo se stesso come garanzia in cambio del rilascio dei 30 attivisti detenuti a Murmansk. Naidoo ha consegnato la lettera all’ambasciata della Russia all’Aia, in Olanda e si è impegnato a garantire la buona condotta dei membri del gruppo. Al tempo stesso il leader del gruppo ambientalista ha definito le accuse di pirateria formulate nei loro confronti dalle autorità russe come assurde e ha chiesto che vengano ritirate. Due giornalisti e 28 attivisti di Greenpeace sono in custodia da quando la nave Arctic Sunshine è stata sequestrata dalla guardia costiera russa, a seguito di una protesta contro le trivellazioni offshore nell’Artico, organizzata dall’ong il 18 settembre scorso. La settimana scorsa gli attivisti erano stati incriminati per pirateria, accusa che ai sensi della legge russa comporta una pena massima di 15 anni di carcere. Perù: detenuti marciano per la pace a Chimbote, partecipa il Vescovo www.fides.org, 9 ottobre 2013 Per il Vescovo della diocesi di Chimbote, Mons. Angel Francisco Simon Piorno, la marcia per la pace e contro l’ondata di omicidi che sta insanguinando la città di Chimbote, organizzata dai detenuti del Centro Penitenziario “Cambio Puente” per il 17 ottobre alle ore 10, è un gesto degno di essere imitato dalla popolazione. “È una bella iniziativa che i detenuti hanno promosso. A me è stato chiesto di essere presente celebrando l’Eucaristia. Vogliono lanciare un appello a tutta la comunità civile dallo stabilimento penale, perché cessino le morti violente nella nostra città e torni un clima di pace” ha detto il Vescovo. Nella nota pervenuta all’Agenzia Fides, Mons. Simon Piorno ribadisce che questa marcia all’interno del carcere dovrebbe essere imitata dalla popolazione, che spesso rimane indifferente. Il Vescovo lamenta che continuano gli assassini di persone spesso innocenti, perciò “è dovere di tutti lottare, in qualche modo, contro questa ondata di crimini. Ci vuole la volontà del popolo, che deve uscire dall’indifferenza, dinanzi a tanti atti di violenza”. Secondo fonti locali, nella città di Chimbote (440 km a nord della capitale Lima, circa 1 milione di abitanti) dall’inizio dell’anno fino a metà agosto si contavano almeno 60 morti per la violenza. Il fenomeno è in crescita dall’anno scorso per la lotta che vede contrapporsi bande criminali, commercianti non troppo onesti o gruppi di quartiere che vogliono il controllo delle diverse zone.