Studenti delle scuole a lezione dai detenuti per fermarsi prima delle condotte a rischio Il Mattino di Padova, 7 ottobre 2013 Un carcere in cui, ormai da dieci anni, le storie personali, pesanti, difficili, dei detenuti sono messe al servizio di migliaia di studenti: è un’esperienza abbastanza rara, quella della Casa di reclusione di Padova, che riparte a ogni inizio di anno scolastico con sempre più slancio. Perché ormai ci credono in tanti, dagli insegnanti alle famiglie, al Comune di Padova, al fatto che il carcere può diventare una parte importante della vita della città, e che le persone detenute, con le loro testimonianze, possono avere a cuore il futuro delle giovani generazioni al punto, da accettare di parlare dei loro reati con sincerità, con autentica onestà, per aiutare i ragazzi, se possibile, a fermarsi prima di scivolare in comportamenti sempre più a rischio. Nel confronto con gli studenti riusciamo a diventare uomini degni di fiducia È arrivato l’autunno e riaprono le scuole. Qui da noi, nella redazione di Ristretti Orizzonti, questo significa riprendere gli incontri con gli studenti delle scuole superiori di Padova e del Veneto, un’attività di prevenzione e un’occasione di riscatto. Pe me si traduce in una formidabile possibilità di ritrovare una parte di me attraverso l’empatia che si crea con gli studenti. Il risultato è un po’ come quando si dà il bianco in casa, in cui si vive un momento un po’ magico trovandosi immersi in una luce nuova dopo aver fatto pulizia e rimesso ordine alle cose. Questa è senz’altro una forma di restituzione di qualcosa di cui avevo privato qualcun altro con i miei reati. Per me e credo anche per gli altri miei compagni, si tratta di un impegno faticoso, non è facile riuscire a mettersi in gioco in questa maniera, ma certamente gli studenti ci aiutano molto partecipando quasi sempre con serietà e molta curiosità a questo scambio. Loro percepiscono molto bene il nostro messaggio e le domande che ci rivolgono rendono l’idea di quale spessore sia l’impegno con cui si preparano all’incontro. Tutto questo ci rende più facili le cose. Le scuole che aderiscono a questo progetto aumentano ogni anno, ed è un motivo per sentirmi gratificato per il lavoro che facciamo, vuol dire che centriamo sempre l’obiettivo e siamo credibili. Quello che mi sorprende ancora di questa attività è la capacità degli studenti di entrare nelle nostre storie, percependo i passaggi dei comportamenti a rischio che cerchiamo di trasmettere con la narrazione delle nostre esperienze. Quello che invece mi dispiace è la quasi totale assenza di esperienze come la nostra, un’attività di questo tipo dovrebbe essere estesa a tutto il territorio nazionale, credo che sarebbe davvero utile per avvicinare alla realtà del carcere la società, perché l’esperienza degli studenti trasmessa in famiglia sarebbe molto più vasta e renderebbe più consapevole la società rispetto alle tematiche delle pene e del carcere. E in quel caso, forse, la giustizia potrebbe funzionare meglio e con maggior buon senso, le carceri, forse, non sarebbero considerate una discarica sociale, e certamente la conoscenza produrrebbe nella società quella consapevolezza che contribuirebbe a far funzionare meglio quei meccanismi rieducativi di risocializzazione, che sono importanti per aiutare le persone detenute a reinserirsi nella società e sentirsi uomini recuperati e restituiti alle famiglie Bruno Turci Ricominciare Ottobre 2013, ricominciamo, ma che cosa ricomincia? Sembra una parola strana in carcere, visto che in carceri sovraffollate si pensa solo a vivere alla giornata, a non far niente guardando dalla finestra a sbarre il cielo e cercando di capire se fuori piove o no. Sembra strano, ma in carcere a cos’altro potremmo prestare attenzione, se altro non c’è, a parte due ore di passeggi la mattina e due ore di pomeriggio, che trascorriamo non in giardini con i fiori ma in un posto che noi chiamiamo una piscina senza acqua, da dove si vede solo il cielo ed i muri di cemento armato alti quattro o cinque metri attorno? Ma io e una quarantina di altri detenuti abbiamo la fortuna di far parte della Redazione di Ristretti Orizzonti, e il mese di ottobre significa che ricomincia uno dei progetti più importanti della nostra redazione: Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere. Perché è così importante il progetto? Gli incontri con gli studenti sono difficili e impegnativi, e noi detenuti ci sentiamo utili e responsabili per noi stessi e per gli altri. Per me personalmente vuol dire confrontarsi con il mondo libero, con la società, con i nostri figli, i nipoti, i fratelli e le sorelle e confrontarsi anche con noi stessi, raccontare la storia che ci ha fatti finire in carcere ai ragazzi e raccontare le difficoltà famigliari alle quali tutti i giorni andiamo incontro. Ma raccontare il carcere vissuto credo significhi anche capire gli sbagli del passato, raccontare cosa vuol dire stare in cella 20 o 22 ore al giorno, cercando di sopravvivere in quelle condizioni in cui in tanti finiscono per pensare che le vittime siamo noi che abbiamo commesso i reati, talvolta anche molto gravi, come il mio, l’omicidio. Io ogni giorno mi ritrovo a pensare che ho una figlia che adesso ha 20 anni e frequenta l’università, e non sa ancora chi sono, perché quando mi hanno arrestato lei era piccolissima, aveva solo due anni, in tutti questi anni è cresciuta con la mamma, e la parola padre lei la pronunciava solo una volta alla settimana al telefono sentendo la mia la voce, e durante i colloqui visivi, ogni tre o quattro mesi, e cosi come poteva conoscermi? E io come potevo conoscere lei? Ma non solo mia figlia, potrei fare anche l’esempio di mia moglie, che il giorno del mio arresto aveva solo 26 anni. Io mia moglie la devo solo ringraziare tanto, perché se oggi ho una figlia che mi chiama ancora padre è tutto merito suo. Mia figlia è una ragazza intelligente e solare ed educata in una maniera ottima e questo è tutto merito di mia moglie, sua madre. Io sono uscito in permesso premio nell’aprile dell’anno scorso e sono andato in famiglia per la prima volta dopo tanti anni, e mi sentivo un estraneo perché non sapevo niente di loro. Mi chiedevo come avrei dovuto comportarmi, ho pensato di entrare in casa in punta di piedi come fanno solitamente gi ospiti, ho pensato tante altre cose, e ho capito che quando sei così vicino ai tuoi cari, per dimostrare loro tutto il tuo affetto, non ti fermi a fare delle domande, cerchi solo di ricominciare, cerchi di recuperare tutto il tempo perduto. Ma come si fa a recuperare il tempo? Come si recuperano quasi 20 anni della tua vita, ma soprattutto come si fa a recuperare l’amore di una famiglia alla quale non si è potuto dedicare tutto il tempo voluto, con la quale non si sono condivisi alcuni momenti fondamentali, come ad esempio l’adolescenza di una figlia? Come si può combattere il senso di colpa per l’abbandono? L’unica via è sempre quella di ripagare chi, nonostante tutto, ti ha dato tanto amore, dando a tua volta tutto l’amore di cui sei capace. Come convivere all’interno di una cella minuscola, per tutto il giorno, con questa marea impazzita di pensieri? E come conciliare tutto questo con il pensiero delle vittime alle quali abbiamo coi nostri gesti arrecato tanto danno? Questi sono soltanto alcuni degli argomenti che noi trattiamo con gli studenti, perché riteniamo che il confronto sia una delle armi più potenti del mondo del carcere, attraverso cui ascoltare le opinioni degli altri e, anziché contestarle quando non le condividiamo, renderle costruttive per noi stessi. Se è vero il detto che non tutto il male viene per nuocere, allora anche noi cercheremo di fare in modo che le nostre esperienze negative diventino spunti per crescere, maturare e migliorarci. Ecco a cosa potremo pensare, grazie al confronto con le scuole, oltre al fatto se fuori piove o non piove. Dritan Iberisha Mi sto preparando emotivamente a raccontare la mia storia davanti agli studenti Sono un detenuto-studente e frequento il terzo anno di ragioneria, sezione carceraria. Molto spesso mi capita di intravedere dei gruppi di studenti che entrano in carcere, li ho sempre guardati con una certa curiosità, e mi sono informato del motivo della loro visita. E così ho appreso del progetto “La scuola entra in carcere”, un’attività sostenuta e gestita dalla redazione di Ristretti Orizzonti. La redazione incontra, a gruppi di due classi, tantissime scuole che entrano per ascoltare le storie dei detenuti e le riflessioni che loro fanno riguardo alla loro vita, con la piena consapevolezza di tante scelte sbagliate. Anch’io da qualche mese sono diventato parte integrante della redazione, ma ho partecipato solo una volta a un incontro con le scuole perché era la chiusura dell’anno scolastico 2012-2013. Per la prima volta ho sentito tre storie di vita diverse l’una dall’altra raccontate dai miei compagni. Sono rimasto abbastanza meravigliato nell’ascoltare quelle testimonianze, perché ci vuole coraggio a raccontare i brutti momenti della tua vita davanti a dei perfetti sconosciuti. Non nego che l’approccio era emozionante e faceva riflettere, e nello stesso tempo mi costringeva a chiedermi se ce l’avrei mai fatta a raccontare la mia storia come fanno i miei compagni. Adesso siamo in autunno, la scuola è già iniziata, a fine ottobre riprenderanno gli incontri con le scuole, e io mi sto preparando emotivamente a raccontare la mia storia davanti agli studenti, e spero tanto di poter trovare la forza di trasmettere le cose positive che ognuno di noi ha in sé. Lejdi S. Giustizia: carceri “inumane”, il 9 la Consulta decide su rinvio pena per sovraffollamento Ansa, 7 ottobre 2013 Mercoledì prossimo, 9 ottobre, approda alla Corte costituzionale una delle questioni più spinose, il sovraffollamento delle carceri, per la quale l’Italia è già sorvegliata speciale in Europa, dopo la sentenza Torreggiani che ha imposto al nostro Paese di adottare rimedi concreti entro un anno. In camera di consiglio la Consulta dovrà pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo 147 del codice penale, laddove non prevede, tra le ragioni che consentono di differire l’esecuzione di una condanna in carcere, le condizioni disumane di detenzione, cioè il fatto che la pena debba essere scontata in penitenziari che scoppiano e che non garantiscono al singolo detenuto nemmeno quei tre metri quadrati a testa indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. A sollevare la questione i tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano, che hanno chiesto alla Consulta una sentenza additiva: cioè di aggiungere il sovraffollamento carcerario tra le cause che permettono di far slittare l’esecuzione della pena. E se dai giudici costituzionali arrivasse un sì, si tratterebbe di una pronuncia storica, che permetterebbe a tutti i tribunali di sorveglianza di rimediare concretamente ai tanti casi in cui la detenzione, a causa del sovrappopolazione carceraria, si concretizzi in un trattamento disumano e degradante. Sono stati i giudici di Venezia a porre per primi il problema: a loro si era rivolto un detenuto del carcere di Padova, ristretto in una cella dove il suo spazio vitale era inferiore ai tre metri quadrati; con la richiesta esplicita di differire l’esecuzione della pena, visto che in queste condizioni era contraria al senso di umanità e al principio di rieducazione, oltre che lesiva della sua stessa dignità. Analoga l’istanza presentata ai magistrati di Milano da un detenuto del carcere di Monza, che aveva equiparato a tortura le modalità di detenzione subite: in tre erano ristretti in una cella talmente piccola da non poter scendere dal letto contemporaneamente; e avevano un bagno senza porta, privo anche di acqua calda. Istanze ritenute meritevoli dai giudici che però si sono ritrovati con le mani legate. Attualmente l’articolo 147 del codice penale consente di spostare l’esecuzione della pena solo in casi specifici: gravidanza, puerperio, Aids conclamata o altra malattia particolarmente grave. Di qui la decisione di investire la Consulta. Giustizia: la Cassazione; maggiori tutele per i detenuti buddisti e vegetariani Ansa, 7 ottobre 2013 Devono essere presi nella dovuta considerazione che spetta ai diritti costituzionalmente garantiti - e non trattati come “desiderata” ai quali dare risposta solo se possibile in termini di praticabilità - i reclami dei detenuti di religione buddista che chiedono di ricevere la visita del loro maestro zen e un vitto vegetariano conforme con il loro credo. Lo sottolinea la Cassazione dando ragione a un detenuto recluso nel carcere di Novara. La libertà di culto religioso è uno dei diritti garantiti dalla Costituzione: per questo, a un detenuto che protesta per il mancato accesso in carcere di un maestro buddista zen e la mancata previsione di vitto vegetariano, lo Stato deve rispondere in maniera adeguata, valutando le sue istanze come “denuncia di violazione di un diritto”. Lo sottolinea la prima sezione penale della Cassazione, annullando senza rinvio, con la trasmissione degli atti a un altro giudice di sorveglianza, il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza di Novara che aveva risposto con una semplice procedura informale al reclamo di un detenuto sottoposto al regime di 41 bis, il quale lamentava “lesione di diritti”. Il magistrato di sorveglianza, si legge in una sentenza della Suprema Corte depositata oggi, “ha chiaramente ritenuto di escludere, sia pure implicitamente, che i comportamenti denunciati si configurassero come una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del detenuto”. Secondo la Cassazione, però, quella del magistrato di sorveglianza non è una “valida risposta”: il detenuto, ricordano i giudici di piazza Cavour, “individuava determinati comportamenti dell’Amministrazione penitenziaria come una violazione al proprio diritto di libertà di culto religioso rispetto al quale la dieta vegetariana deve ritenersi un corollario di pratica rituale”, mentre il magistrato di sorveglianza si era “limitato a comunicare al ricorrente, all’esito di procedura informale, una relazione dell’amministrazione penitenziaria in merito alla non inclusione di maestri buddisti Zen nel novero dei ministri di culto abilitati all’ingresso nelle strutture penitenziarie ed un provvedimento in materia di vitto assunto su reclamo di altro detenuto”. Il magistrato di sorveglianza, dunque, dovrà riesaminare le istanze del detenuto, approfondendo nei dettagli le tematiche sollevate da esso, per chiarire se si sia di fronte o meno a una lesione dei diritti. Giustizia: Clemenza e Dignità; Parlamento valuti soluzioni per ottemperare a Strasburgo www.imgpress.it, 7 ottobre 2013 Una argomentazione ricorrente in queste ultime settimane di dibattito politico, è stata quella inerente il fatto che le sentenze debbano essere sempre e comunque rispettate. È quanto afferma in una nota diffusa alla stampa, Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità, che aggiunge: “Riprendendo proprio questo stesso principio, che è alla base di ogni Stato di diritto, desidero anche rammentare l’esistenza di una sentenza della Corte di Strasburgo che ci obbliga a fornire delle risposte soddisfacenti al dramma nazionale delle carceri. Pertanto, - conclude - fiducioso che tale basilare principio dell’osservanza delle decisioni, non venga minimamente messo in discussione e smentito, rivolgo, in maniera assai riguardosa, l’ennesimo appello al Parlamento, affinché valuti con la massima urgenza delle possibili soluzioni atte a risolvere, realmente, il sovraffollamento delle nostre carceri”. Giustizia: Associazione familiari vittime Georgofili; no ad abolizione ergastolo a stragisti Ansa, 7 ottobre 2013 Campagna dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili contro l’abolizione dell’ergastolo ai mafiosi rei delle stragi del 1993. “Cosa nostra” il 27 Maggio 1993, in via dei Georgofili ha ucciso con 277 chili di tritolo 5 persone innocenti affinché l’ergastolo fosse abolito, ne ha massacrati altri 48 invalidandoli, e oggi troppi di loro in balia di se stessi”, scrive la presidente dell’associazione Giovanna Maggiani Chelli. “Rammentiamo che il Governo in carica in quel momento non è riuscito a fermare l’organizzazione criminale “Cosa nostra”, anzi ha messo le nostre famiglie nelle mani della mafia. Impegneremo quindi nei mesi a venire tutte le nostre forze, affinché - prosegue Maggiani Chelli - lo scempio totale verso le nostre vittime non si compia con l’eventuale abolizione dell’ergastolo e del conseguente 41 bis, regime di carcere duro, per Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella , Giuseppe Graviano, Filippo Graviano, e tutti gli altri 10 soggetti condannati all’ergastolo per le stragi del 1993”. Giustizia: una corsa contro il tempo per il Decreto legge sul femminicidio Roberto Turno Il Sole 24 Ore, 7 ottobre 2013 Lo stop alla rata estiva dell’Imu sulla prima casa con il corredo di Cig ed esodati, i tagli nella Pa col salvagente per i precari, le misure su istruzione e ricerca. Per tre decreti legge si avvicina la prima ora del giudizio in Parlamento. Mentre l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti procede faticosamente alla Camera e la delega fiscale non esce dai cassetti della commissione Finanze del Senato. E un quarto decreto rischia la decadenza: il DI 93 di metà agosto contro la violenza sulle donne, impantanato in commissione, arriva solo domani in aula a Montecitorio, a soli cinque giorni dalla scadenza, dovendo però poi passare al vaglio di palazzo Madama. La nuova stagione “deberlusconizzata” in Parlamento del Governo dì Enrico Letta, comincia in salita. E del resto le prove del nove iniziano subito, fin da questa settimana, a pochi giorni dal voto della giunta per le elezioni di palazzo Madama che ha deciso per la decadenza da parlamentare del Cavaliere, in attesa della prossima ratifica dell’aula. Quanto quel voto, pure ampiamente scontato, possa incidere sull’attività parlamentare prossima ventura, lo capiremo presto. Anche se appare difficile che la pattuglia che s’ingrossa di deputati e senatori “diversamente berslusconiani” possa preparare trabocchetti al Governo, soprattutto in questa fase. Il primo e autentico spartiacque sarà intanto la prossima legge di stabilità per il 2014, con tutti i nodi che si porta appresso: seconda rata Imu sull’abitazione principale, cuneo fiscale, ancora il rifinanziamento della Cig. E la misteriosissima service tax. Ma se la legge di stabilità ha il 15 ottobre come dead line in Consiglio dei ministri, ancora prima, già nei prossimi giorni, è in rampa di lancio la “manovrina” di aggiustamento dei conti per riportare il deficit al 3% in omaggio al diktat europeo, pena un nuovo declassamento Ue con tanto di sanzioni e interventi calati dall’alto per il nostro Paese. È in questo crinale dei conti pubblici, con una disoccupazione giovanile che supera il 40% e una ripresa che non s’intravede, che riprende l’attività parlamentare. Il DI 102 sull’Imu (scade il 30 ottobre) arriva in aula alla Camera solo mercoledì, non senza proposte di modifica di segno opposto sulla sopravvivenza o revisione dello stop alla tassa. Il DI sulla Pa è invece insieme sotto l’assedio di modifiche correttive e di dubbi sulla copertura della commissione Bilancio. Del DI sul femminicidio s’è detto: rischia di morire. Il Ddl sul finanziamento pubblico ai partiti, poi, è sempre un oscuro oggetto del desiderio: se arrivasse un ulteriore rinvio per il sistema dei partiti sarebbe l’ultima figuraccia. Giustizia: giornalista 79enne condannato per diffamazione, in cella nonostante la malattia di Michele Inserra Quotidiano di Calabria, 7 ottobre 2013 Il direttore del periodico reggino “Il dibattito” deve scontare una pena a due anni. Al processo si rifiutò di rivelare le fonti di una notizia. Il figlio: “Le sentenze si rispettano, ma è grottesco che lui sia in carcere e condannati per reati più gravi siano liberi”. È stato arrestato e rinchiuso nel carcere “San Pietro” il direttore responsabile del mensile di Reggio Calabria “Il dibattito”, Francesco Gangemi, 79 anni. Nonostante le sue precarie condizioni di salute e l’età avanzata il giornalista è finito dietro le sbarre. Ieri tre poliziotti hanno bussato alla sua porta di casa e lo hanno arrestato a seguito di un “Provvedimento di esecuzione di pene concorrenti con contestuale ordine di esecuzione per la carcerazione” emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Catania e a firma del Sostituto Procuratore Generale Elvira Tafuri. Il direttore è stato prima condotto alla Questura di Reggio e successivamente trasferito alla casa circondariale “San Pietro”. Il giornalista deve scontare due anni di reclusione per otto sentenze definitive emesse in diverse procure calabresi e siciliane per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Tra i cumuli pene spunta anche una condanna ad un anno di reclusione per falsa testimonianza emessa dal tribunale di Reggio Calabria il primo marzo del 1997. I fatti, in questa unica circostanza, non riguardano l’attività giornalistica, ma quella politica. I fatti risalgono al 1992 quando un terremoto giudiziario investì la giunta comunale reggina guidata dal sindaco democristiano Agatino Licandro per un presunto abuso amministrativo riguardante l’arredo urbano: il processo si risolse con una generale assoluzione per gli assessori. L’allora primo cittadino (finito in manette per l’accusa di aver preso tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire) decise di collaborare con la giustizia e rendere delle dichiarazioni che consentirono ai magistrati di far luce su questioni importanti della vita politica e cittadina. All’epoca Gangemi era consigliere comunale e dopo le dimissioni di Licandro fu sindaco per sole tre settimane nel corso del mese di luglio del 1992. Prima della tangentopoli reggina aveva denunciato nell’aula consiliare di Palazzo San Giorgio che in qualche stanza del comune le valigette entravano piene di soldi e ne uscivano vuote. Al processo che ne scaturì, interrogato dal giudice, si rifiutò categoricamente di rivelare le fonti di quanto aveva denunciato in consiglio. Il giudice lo condannò a un anno di reclusione per falsa testimonianza. Da 35 anni Gangemi è direttore de “Il dibattito”. Nel corso della sua attività ha incassato otto condanne definitive: dalla Corte d’Appello di Reggio (l’8 febbraio del 2006; il 28 novembre del 2006, il 18 febbraio del 2010; il 17 novembre del 2010); dalla Corte d’Appello di Catania (il 10 gennaio del 2011; il 10 luglio del 2013), dal Tribunale di Cosenza (il 28 settembre del 2012). Gangemi è stato rinchiuso in carcere per aver omesso “di presentare l’istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti”. Il cumulo delle pene risulta essere pari a sei anni di reclusione a cui vanno sottratti tre anni per i benefici dell’indulto (ex legge n.241 del 2006) e un anno dedotto per i periodi riconosciuti fungibili (aveva espiato dal 9 novembre del 2004 al 9 novembre del 2005) una condanna emessa il 3 novembre del 2004 dal Gip di Catanzaro. “Le sentenze si rispettano scrive Maurizio, il figlio di Gangemi sul sito ilreggino.it di cui è responsabile - Si discutono e si commentano, certo, ma si rispettano. Chiunque ne sia il soggetto destinatario, anche mio padre! Detto questo, con la convinzione di chi ha avuto in eredità dal padre proprio rettitudine, onestà e, soprattutto, dignità, a me non resta che discuterne un po’. Posso, per esempio, dire che per reati molto più gravi si rimane liberi (magari di reiterarli); posso, per esempio, dire che mio padre ha da poco compiuto 79 anni; posso, per esempio, elencare tante di quelle patologie gravi che affliggono mio padre da riempire cartelle cliniche di quasi tutte le specializzazioni mediche esistenti; posso, per esempio, dire che mio padre è stato riconosciuto invalido civile al 100% (senza diritto di accompagnatore e, quindi, senza indennizzo economico - diciamo l’opposto di qualche onorevole, ecco!); posso, per esempio, dire che ho difficoltà a credere che il regime carcerario sia compatibile con tutto quello di cui soffre e con tutte quelle medicine che io e mia madre gli abbiamo scrupolosamente preparato non dimenticando di appuntargli dosi ed orari. È una vicenda grottesca quella che vede protagonista mio padre. È così tanto grottesca che solo in Italia poteva verificarsi. In nessun altro Paese civile, un giornalista che ha nel Dna la sete di Giustizia che ognuno di noi dovrebbe avere è, da oggi, recluso in un carcere! Che sia chiaro a tutti (a scanso di equivoci e qualora non lo si fosse colto): oggi, più di ieri, sono fiero ed orgoglioso di mio padre”. Lettere: cerco attrezzature per laboratorio di pasticceria nel carcere di Catanzaro Ristretti Orizzonti, 7 ottobre 2013 Mi chiamo Francesca e sono assistente volontaria nella Casa Circondariale di Catanzaro, dove sto cercando di avviare un laboratorio di pasticceria, mi servirebbero alcuni elettrodomestici per poter concretizzare le attività, e precisamente un paio di forni (magari un piano cottura con forno + un forno più piccolo) e un frigorifero, qualche frullatore o altro piccolo elettrodomestico e accessori tipo stampi per dolci e biscotti ecc (in sillicone). Vi ringrazio anticipatamente per l'aiuto un saluto carissimo a tutti. Per contatti: francesca1765@libero.it. Cremona: carcere ad alta tensione, detenuto manda in ospedale 3 agenti Il Giorno, 7 ottobre 2013 Il pluripregiudicato prima ha dato fuoco a un lenzuolo, poi si è scagliato contro i tre poliziotti. E due reclusi se le sono date di santa ragione con un tirapugni artigianale. Cremona, 6 ottobre 2013 - Momenti di tensione nel carcere di Cremona. Tre agenti penitenziari sono stati aggrediti e malmenati da un detenuto mentre due reclusi si sono affrontati violentemente. Uno di loro aveva un tirapugni artigianale costruito con materiale recuperato nella casa circondariale. I due episodi, avvenuti in momenti diversi, sono stati resi noti oggi. La tensione è da tempo alta ne carcere cremonese dove si attende l’apertura del nuovo padiglione, che porterà nuovi detenuti (oggi sono 380). I tre poliziotti picchiati, un sovrintendente e due agenti, hanno riportato lesioni giudicate guaribili in trenta giorni. L’aggressore è un pluripregiudicato, trasferito oggi in un altro istituto, che poche ore prima aveva già scagliato contro gli stessi addetti alla vigilanza un lenzuolo in fiamme, avvolto intorno a una delle bombolette di gas utilizzate per alimentare i fornelletti delle celle. “Le undici guardie in più assegnate a Cremona - dichiara il vicesegretario regionale del Sinappe, Vincenzo Martucci - bastano forse a coprire le necessità della struttura esistente. Mancano anche educatori. E viene da pensare che gli episodi degli ultimi giorni siano la conseguenza diretta di una situazione sempre più difficile da controllare”. Bologna: alla Dozza sale colloqui a misura di bimbi, primo passo per regalare un sorriso di Luigi Spezia La Repubblica, 7 ottobre 2013 Se le sale d’attesa sono sempre tristi, quella del carcere lo è ancor di più. Poco più grande di un garage, compreso gabinetto alla turca e lillipuziana sala giochi. Un casotto dietro le sbarre, un po’ abbellito da murales e dove un bimbo ha scritto a matita: papà spero che esci presto. La garante dei detenuti Elisabetta Laganà ha riaperto il tema dell’affettività in carcere, chiedendo spazi “meno traumatici per i colloqui tra i genitori in carcere e i figli che li vanno a trovare”. E il carcere, tra difficoltà e limiti, comincia a muoversi. Non solo blatte, guano e muffe come rilevato dal rapporto dell’Igiene pubblica. Giorni fa, sono state inaugurate le nuove sale colloqui. Il carcere ha aperto le porte al colore. Niente muffe, ma pareti tinteggiate con colori pastello, tavolini di legno al posto di quelli vecchi di plastica, anche se ancora troppo vicini uno all’altro, come in un bistrot francese, ma qui siamo in carcere e non al ristorante. In ogni sala c’è anche un angolo dei giochi. Tutto grazie agli sponsor Ikea e Sikkens, perché soldi il carcere non ne ha. “La zona colloqui era diventato il posto più brutto della Dozza - ammettono la direttrice Claudia Clementi e il comandante Roberto Di Caterino - sono progetti per aprirci alla città, per farci sentire meno isolati. Il nostro impegno è non arroccarci, pur tra mille problemi”. In un giorno qualunque della settimana i bambini che entrano nella sala colloqui sono decine. Oggi sono settanta i nomi segnati sul foglio di presenza nella sala d’attesa, dove un vecchio avviso ammonisce: “Tutti i familiari sono pregati di indossare un abbigliamento consono e sobrio”. Un giovane ha un piccolo di tre anni in braccio: “La ludoteca in otto mesi che vengo qua non l’ho mai vista aperta. Una volta c’erano così tanti bambini ai colloqui che abbiamo protestato e ce l’hanno aperta. Ma solo una volta”. Ora sta cambiano lentamente anche questo. Due sabati al mese la ludoteca del settore maschile viene aperta ai bambini in visita a cura di Telefono Azzurro, che è tornato alla Dozza con una dozzina di volontari guidati dal responsabile regionale Giovanni Galimberti, coinvolti dalla garante. Quando è possibile, gli agenti aprono le sale giochi anche negli altri giorni, non sempre. Il giardino per gli incontri all’aperto oggi è pieno di parenti a colloquio, ma può funzionare solo a giugno e a settembre. Una visita in carcere senza che i bambini si accorgano che sia un carcere è un’illusione, anche se ai più piccoli vien detto che il padre è lì per lavorare. Una mamma alla fermata del 25 non vuole che si pronunci quella parola - carcere - davanti alla piccola che gioca con un cellulare: “Un brutto posto, ma purtroppo non so a chi lasciare la bimba a casa. Non c’è nemmeno la ludoteca, dicono che manca il personale”. Un’altra signora ha preso una decisione più netta: “D’accordo con mio marito, abbiamo deciso che i figli restano a casa. Hanno 18, 13 e 3 anni, da otto mesi non vedono il padre”. Per non stare seduti ad un tavolo con un gran rumore di fondo, dove parlano tutti insieme, “alla faccia dell’intimità”. Nella sala d’attesa, l’avamposto del carcere, nelle prime ore della mattina non ci stanno dentro tutti. “Soprattutto d’inverno è un caos - dice un signore in visita da Ferrara - ma ci sono certi carceri dove per entrare per primi si fa la fila già dalla sera prima”. La visita al carcere è faticosa anche senza bambini. Deborah, di Parma, ha atteso un’ora, oggi, prima di sedersi al tavolo di plastica davanti a suo marito: “Ma venire alle nove di mattina è micidiale. Un paio di settimane fa sono arrivata alle nove e sono uscita dopo mezzogiorno per un’ora di colloquio”. Sul muro della sala d’attesa sono comparsi dei murales “per renderla meno squallida” e i volontari dell’Avoc hanno messo dei bigliettini con un cellulare “per i parenti che vengono da lontano e hanno bisogno di dormire”. Fanno quello che possono, gestiscono anche sette appartamenti all’esterno per i parenti in visita. Soprattutto per chi esce e non sa dove sbattere la testa. Roma: deputati Pd; a Rebibbia sovraffollamento e condizioni sanitarie inadeguate Il Velino, 7 ottobre 2013 Tanti detenuti, troppi rispetto alle capacità della struttura. E una condizione sanitaria che preoccupa. Questo l’esito della visita che i giovani deputati del Pd Fausto Raciti (segretario dei Giovani Democratici) e Laura Coccia (membro della commissione Cultura) hanno compiuto al carcere di Rebibbia. Accompagnati da una delegazione dei Giovani Democratici e dal responsabile dell’associazione Antigone per i diritti e le garanzie del sistema penale, Coccia e Raciti hanno avuto modo di valutare lo stato dei vari reparti, detentivi e no, e del personale di Polizia Penitenziaria, chiamato a fronteggiare la difficile realtà del sovraffollamento, problema che riguarda tutte le carceri italiane. "Situazione che è il campanello di un disagio grave - ha detto la Coccia -. Assumeremo iniziative in sede istituzionale e politica affinché possano essere individuate le soluzioni idonee al sovraffollamento carcerario, al miglioramento delle condizioni igieniche e al rinforzamento dell’organico di Polizia Penitenziaria". A Rebibbia le attività ludiche e formative sono ridotte all’osso: il teatro, le aule d’arte e la palestra sono chiusi, nelle stanze per i colloqui c’è ancora il bancone, abolito per legge dal 2000. "Al riguardo - ha aggiunto Fausto Raciti - inizieremo una serie di visite nelle strutture del Paese. La condizione di carcerato non deve coincidere con quella di disagio psicologico e sanitario". A questo proposito, il 9 ottobre verranno presentate nella sala stampa della Camera, le cosiddette 3 leggi che si pongono come obbiettivi l’introduzione del reato di tortura, il rispetto dei diritti costituzionali nelle carceri e la riduzione dell’impatto penale per il consumo di droghe, spesso causa principale della carcerazione. Agrigento: distrugge lo sgabello della cella, condannato detenuto tunisino www.agrigentoweb.it, 7 ottobre 2013 Distrugge lo sgabello della cella dove è detenuto e viene denunciato per danneggiamento. Il tunisino Brahim Zaide, 42 anni, finisce a processo e viene condannato. Il giudice monocratico del tribunale di Agrigento, Maria Alessandra Tedde, gli ha inflitto 300 euro di ammenda. Lo straniero, che in passato è stato coinvolto in numerose vicende giudiziarie per droga e aggressioni, si trovava recluso nel carcere di contrada Petrusa. Il 26 dicembre di due anni fa, al culmine di uno scatto d’ira, avrebbe preso uno sgabello in dotazione alla cella dentro la quale si trovava e lo avrebbe distrutto. Pavia: "Oltre la cura... oltre le mura"; detenuti al lavoro per i bimbi, il racconto in un libro Ansa, 7 ottobre 2013 Per un progetto di riavvicinamento alla società, i carcerati della Torre del Gallo si sono improvvisati cuochi, imbianchini, pittori e poeti, aiutando i piccoli ricoverati. Un libro per raccontare un gesto di avvicinamento fra i mondi lontanissimi dei detenuti di un carcere e dei bambini in un ospedale. "Oltre la cura... oltre le mura" è il titolo del volume, firmato da due autrici, la professoressa Gloria Pelizzo, friulana di origine, chirurgo pediatra, direttore di Chirurgia Pediatrica alla Fondazione Policlinico S. Matteo di Pavia e la dottoressa Valeria Calcaterra, ricercatore universitario all'Universita' di Pavia e dirigente medico presso la Fondazione Policlinico S. Matteo. E' il racconto di un progetto della Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia che, grazie all'impegno di molti, ha saputo trasformare una condizione di disagio, sofferenza e isolamento forzato in un momento di incontro capace di generare la speranza. Da una parte i bambini del reparto di Chirurgia Pediatrica del Policlinico ed i loro genitori; dall'altra un gruppo di carcerati della casa circondariale di Torre del Gallo, a Pavia, che, grazie ad un'iniziativa per favorire il loro reinserimento sociale, si sono improvvisati cuochi, imbianchini, pittori e poeti per aiutare i piccoli ricoverati a migliorare la loro degenza in ospedale. Il libro ospita i contributi speciali di: Aldo, Giovanni e Giacomo, Pupi Avati, Rita Borsellino, Francesco Agnoli, Mario Melazzini, Carlo Rossella, Pierre Martens, don Giovanni d'Ercole. "Dentro la diversa e uguale sofferenza del bambino malato e del detenuto in carcere - sottolinea Alessandro Moneta, presidente della Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia - c'e' sempre una speranza. E' questo il messaggio del libro". Fermo (Ap): pet therapy in carcere con cane labrador per gestire aggressività e sofferenza Ansa, 7 ottobre 2013 Pet therapy nel carcere di Fermo con incontri tra i detenuti e un cane addestrato per farli lavorare sulla loro emotività. L’iniziativa, sostenuta dagli operatori e dagli educatori dell’istituto di pena e voluta dalla direttrice Eleonora Consoli, si tiene per la prima volta nella struttura fermana, utilizzando lo spazio di intercinta del carcere. A gestire gli incontri con cinque reclusi è l’addestratrice Agnese Franchellucci con Orazio, un labrador di otto anni che con la sua conduttrice ha conseguito il brevetto per la pet therapy. All’esame Orazio ha conquistato il massimo punteggio, dimostrando attitudine e talento in un mestiere delicato. La coppia è spesso impegnata con i disabili e con i bambini malati, anche in ospedale, Orazio è delicato e attentissimo ed è capace di tirar fuori da ognuno i migliori sentimenti. “Nel carcere è anche per noi una prima esperienza - racconta Agnese Franchellucci, si tratta di far aprire ogni individuo ai propri sentimenti, alla gestione magari di un’aggressività o di una sofferenza. Con il rapporto con l’animale imparano a darsi dei limiti e a creare un legame di fiducia, si mettono in gioco senza il timore di essere giudicati, fanno insieme un tratto di strada che fa sentire tutti meno soli e meno arrabbiati”. Salerno: torneo di calcio a 8 nel carcere di Fuorni, il ruolo de Coni La Città di Salerno, 7 ottobre 2013 In programma il prossimo 14 ottobre, a partire dalle ore 10, un quadrangolare di calcio a otto, presso la casa circondariale di Fuorni. Si confronteranno le rappresentative dei detenuti di Fuorni ed Eboli, una mista della Polizia di Stato, dei Vigili del Fuoco e della Guardia di Finanza e degli ex giocatori della Salernitana. L’iniziativa, fatta propria dal Coni Salerno, già si è svolta nelle case circondariali di Poggioreale e Secondigliano e rientra un progetto sperimentale promosso dall’amministrazione penitenziaria di Napoli in collaborazione con il comitato regionale Coni Campania, con l’obiettivo di attivare e promuovere una serie di eventi sportivi negli Istituti Penitenziari della regione. Il Coni Salerno, in particolare il delegato provinciale Mimma Luca ed i suoi più stretti collaboratori, hanno accolto di buon grado il progetto, riproponendolo nel comprensorio salernitano, trovando ampia disponibilità e collaborazione nel dottore Stendardo e nella dottoressa Romano, rispettivamente direttori delle carceri di Fuorni e di Eboli. Il torneo denominato “Fare Squadra”, ha lo scopo di offrire ai detenuti la possibilità di svolgere una serie di attività ludico- sportive, con l’obiettivo di favorirne la riabilitazione e l’integrazione. Stavolta, è il calcio a 8, lo strumento utilizzato per “fare squadra”, mentre è probabile che nelle prossime edizioni dell’iniziativa, si apra anche ad altre discipline sportive. Teramo: Davide Rosci punito per aver fatto sciopero di fame e trasferito all’improvviso Il Centro, 7 ottobre 2013 Colpevole di essersi indignato e di aver fatto lo sciopero della fame: Davide Rosci è stato trasferito all’improvviso dal carcere di Teramo. E all’avvocato, Filippo Torretta, che ieri ha chiesto informazione all’ufficio matricola di Castrogno, hanno risposto: “Non possiamo dirle dov’è”. È un trasferimento repentino che smentisce clamorosamente anche il ministro di Giustizia, Anna Maria Cancellieri che, con tanto di firma in calce alla lettera inviata al presidente del consiglio regionale, Nazario Pagano, informava che Rosci sarebbe rimasto a Teramo. Erano cordiali e rassicuranti le parole del ministro. Rassicuranti soprattutto per il destino di Rosci che sta scontando sei anni di carcere per i fatti di Roma di due anni fa. Ma l’antifascista teramano è stato punito e trasferito in modo repentino. Dove? A Viterbo, dov’era già stato. Il legale lo ha saputo solo nel tardo pomeriggio. “Lo Stato lo ha rapito”, sbotta Torretta. Duro è poi l’intervento di Maurizio Acerbo: “Riprende un’Odissea di cui non si capisce quale sia la ragione se non una assurda volontà persecutoria nei confronti del nostro compagno”, scrive il leader regionale di Rifondazione. “Dopo mesi si era ottenuto che Davide tornasse a Teramo in occasione di una serie di processi in cui è risultato sempre assolto ma che testimoniano come nei suoi confronti sia in atto da tempo un accanimento persecutorio. I suoi legali avevano avanzato a nome dei familiari la richiesta di scontare la pena nel carcere della sua città in quanto l’anziano padre per motivi di salute non poteva affrontare viaggi in altre città italiane. Questa sacrosanta richiesta dalle evidenti ragioni umanitarie è stata sostenuta da parlamentari abruzzesi (Vacca, Amato, Melilla) e dallo stesso Consiglio Regionale”. Acerbo quindi cita la lettera rassicurante del ministro. “La vicenda pareva chiusa”, prosegue Acerbo, “e attendevamo con amici e familiari che venisse finalmente esaminata la richiesta di scontare la pena ai domiciliari. Invece è arrivata l’ennesima angheria che getta nello sconforto una famiglia già provata”. Davide Rosci “è stato condannato ad una pena considerata spropositata in base al famigerato reato di origine fascista di “devastazione e saccheggio”“, commenta infine Acerbo, “per essere stato fotografato in una manifestazione - quella del 15 ottobre 2011 - alla quale partecipavano centinaia di migliaia di persone. Compreso il sottoscritto. Reo di “indignazione”, continua a essere sballottato per le carceri italiane per ragioni che il Dipartimento e il Ministero competente dovrebbero essere chiamati a spiegare”. Bergamo: concerto per i detenuti in carcere. Fuori rubano i cellulari dei musicisti www.ecodibergamo.it, 7 ottobre 2013 Disavventura per il gruppo musicale Sus Band di Treviglio, che venerdì si è esibito all’interno del carcere di via Gleno. Proprio durante l’esibizione, ignoti hanno infatti aperto l’auto di uno dei componenti, rubando tre cellulari. I tre telefonini erano stati lasciati all’interno di un’auto, posteggiata nel parcheggio a Nord della casa circondariale: non potendo portarli all’interno della struttura, i componenti della band li avevano lasciati in macchina. L’esibizione del gruppo è durata circa due ore, con grande consenso da parte dei detenuti. All’uscita, però, l’amara sorpresa: una delle auto aveva una portiera aperta, ma non forzata, e i tre cellulari - uno dei quali dell’ex sindaco Luigi Minuti - erano spariti. Libri: “Gramigna. Vita di un ragazzo in fuga dalla camorra”, di L. Di Cicco e M. Cucuzza Agi, 7 ottobre 2013 Si può sfuggire a un destino criminale? Luigi Di Cicco c’è riuscito e, figlio di un boss della camorra, è riuscito a scegliere la strada della legalità e a lasciarsi alle spalle il mondo di soprusi e violenze in cui è cresciuto. La sua storia è raccontata in “Gramigna. Vita di un ragazzo in fuga dalla camorra”, scritto con Michele Cucuzza (Edizioni Piemme, 168 pagine, 17 euro) in libreria da domani. Luigi Di Cicco è figlio d’arte. Suo padre è uno di quelli che contano nell’Aversano. Dalle sue parti, con quelle credenziali potrebbe essere padrone incontrastato. Ma Luigi non ne vuole sapere. Troppo vivo e amaro il ricordo dell’infanzia, con il padre sempre in galera e la geografia imparata andando in visita nelle carceri di massima sicurezza in tutta Italia, con i Natali tristi in compagnia di sole donne perché tutti gli uomini di famiglia erano latitanti o in prigione. Luigi ha scelto un’altra strada, dicendo tanti no, poi qualche sì, poi ancora no, fino a costruirsi una vita pulita. Questo vuole dire ai figli di Scampia: una vita diversa è possibile, ed è molto più bella. “Dalle mie parti alla gente piace essere salutata con rispetto” dice Luigi, “Io invece ho sempre cercato un rispetto diverso, quello che si dà a chi lavora, non a chi è malavitoso. Anche perché la gente che ti rispetta quando fai quella vita lì, non ti rispetta davvero. Ha solo paura” “La storia di Di Cicco” aggiunge Cucuzza, “insegna che dalle mafie ci si può liberare anche negli spazi più soffocanti. Anche quando appaiono portatrici di valori tradizionali apparentemente inaccettabili. Anche dove l’alternativa sembra inconcepibile”. Immigrazione: cambiare la Bossi-Fini? la prudenza di Alfano, diviso tra Europa e Pdl di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 7 ottobre 2013 È una partita su due tavoli quella che dovrà giocare il ministro dell’Interno Angelino Alfano in materia di immigrazione. Perché non sarà facile convincere l’Unione europea a modificare il regolamento di Dublino come intende fare già domani durante il vertice in Lussemburgo. Ma ancor più difficile risulterà raggiungere un accordo per cambiare la legge Bossi-Fini come continua a chiedere il centrosinistra e come ha promesso di fare il presidente del Consiglio Enrico Letta. L’unica vera modifica utile sarebbe l’abolizione dell’articolo 11 che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina, ma su questo il Pdl difficilmente potrà cedere e anche la Lega certamente farà muro. Per alleggerire la pressione migratoria sul nostro Paese bisogna rivedere i trattati internazionali. Quel patto che impone al primo Paese ospitante di occuparsi di chi richiede asilo, mette di fatto l’Italia nelle condizioni di assistere tutti coloro che scappano dalle aree di guerra. E dunque di farsi carico delle decine di migliaia di persone in fuga dal Nord Africa, ma anche dal Corno e dall’area subsahariana, oltre ai siriani che si stanno ammassando in Libia e potrebbero decidere di intraprendere la strada verso l’Europa. Una rotta che continua a passare per Lampedusa e per gli altri approdi di Sicilia e Calabria. Su questo insisterà Alfano domani, consapevole che una vittoria in campo internazionale gli consentirà di affrontare in maniera diversa la questione che si è aperta nel governo. La sua richiesta sarà difficilmente accolta, nonostante le buone intenzioni mostrate da Francia e Spagna. Ma tenere alta l’attenzione sull’Europa servirà a mostrare una posizione unitaria che invece sarà quasi impossibile raggiungere in Italia. Mentre il premier si mostra possibilista, il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge ha già preso pubblicamente l’impegno di rivedere la normativa annunciando la creazione di un “tavolo di lavoro” e il segretario del Pd Guglielmo Epifani spinge per avviare il dibattito. In realtà basterebbe far ripartire l’iter di quei disegni di legge depositati in Parlamento per arrivare proprio all’abolizione della norma che punisce l’immigrazione clandestina e in queste ore ha causato la messa sotto accusa dei superstiti della tragedia avvenuta giovedì notte. Alfano ha detto chiaramente che lui non ritiene sia questa la soluzione per fermare gli sbarchi e soprattutto per garantire l’accoglienza alle migliaia di profughi arrivate e alle altre migliaia che continueranno a raggiungere il nostro Paese nelle prossime settimane. “La questione dei migranti è molto complicata, mentre ancora raccogliamo i morti eviterei polemiche politiche che non hanno nulla a che fare con la soluzione del problema”, aveva affermato a Lampedusa subito dopo il naufragio del barcone con oltre 500 persone. Lo ha ripetuto ieri ai suoi collaboratori, specificando che la sua linea non cambierà. E così cerca di rallentare l’avvio di un percorso che rischia di creare divisioni forti all’interno del governo. Il titolare del Viminale sa bene che la sua parte politica non potrà mai seguirlo su questa strada e lui non appare propenso a creare nuovi strappi dopo le divisioni che sono già emerse e con le quali sta facendo i conti. Ma non vuole neanche inimicarsi il Carroccio e dunque cerca di prendere tempo, spostando l’attenzione sul piano internazionale. Mercoledì mattina sarà a Lampedusa con il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. Poi insisterà con gli altri Paesi membri per ottenere cooperazione. Durante la riunione in Lussemburgo si parlerà dell’avvio immediato del sistema di identificazione e intercettazione delle imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo. Una misura necessaria, certamente non sufficiente a risolvere una emergenza sempre più drammatica e che potrebbe assumere dimensioni non sostenibili. Marocco: carcere per gli innamorati, scatta la protesta del bacio di Viviana Mazza Corriere della Sera, 7 ottobre 2013 Baciarsi e pubblicare la foto su Facebook. Altrove è un “aggiornamento di stato”, in Marocco è un crimine. Due adolescenti di 14 e 15 anni sono stati arrestati per violazione della pubblica decenza, a Nador nel Nordest del Paese. Con loro è stato fermato l’amico che li ha fotografati, zaini in spalla all’uscita della scuola. Appariranno venerdì davanti a un tribunale minorile. Era già successo in Tunisia, a gennaio, che una coppia fosse condannata a due mesi di carcere per un bacio. E la risposta era stata un “kiss-in” di centinaia di giovani in strada con lo slogan: “Arrestate tutti gli innamorati della Tunisia”. Quando poi, di recente, un attivista egiziano ha pubblicato su Facebook la foto di una ragazza velata che bacia un coetaneo, ha ricevuto commenti furiosi (“È contro l’Islam!”, “Andranno all’inferno”) ma anche decine e decine di “mi piace”. “Baciarsi è più rivoluzionario da noi che in Occidente”, notò una scrittrice egiziana, perché è un simbolo dell’affermazione delle libertà personali da parte di giovani stanchi delle restrizioni imposte nel nome della religione. Anche in Marocco la protesta non si è fatta attendere. Sebbene alcuni imam, nella predica di venerdì, abbiano auspicato la separazione dei sessi su Facebook, la maggioranza dei commentatori criticano l’arresto dei tre minorenni. Oggi un “kiss-in” è previsto a Parigi davanti all’ambasciata marocchina, e moltissime persone stanno pubblicando “baci liberi” (l’hashtag è #freeboussa) su Twitter. Certo è paradossale che a denunciare gli innamorati sia stato il presidente di un’associazione di difesa dei diritti umani di orientamento islamista (tale Faisal Mursi) che fa il gestore di un locale per il gioco del Lotto: nella fede islamica è peccato.