Giustizia: Radicali; ogni anno entrano in cella 80mila persone, subito indulto o amnistia! Giornale di Napoli, 6 ottobre 2013 “Mi dispiace molto dover smentire il sottosegretario alla giustizia Berretta, ma le cifre che ha fornito, purtroppo, sono totalmente sballate. Se fossero vere, dovremmo gridare al miracolo, salvo porci ulteriori domande. Come dimostra la tabella del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, gli “ingressi dalla libertà negli istituti penitenziari” sono in media 82.000 all’anno, cioè tra le 5.000 e le 8.000 al mese a seconda dell’anno. Il sottosegretario Berretta, invece, afferma che prima dell’entrata in vigore dell’ultimo - inopinatamente definito - “svuota carceri”, gli ingressi mensili erano 1.000 e che essi si sarebbero ridotti a meno di 500 da quando è entrato in vigore il decreto legge sull’esecuzione della pena”. Lo afferma in una nota Rita Bernardini ex deputata radicale membro dell’Assemblea dei legislatori del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito. “Miracolo!” Dovremmo tutti gridare. Ma ci sono due cifre che ci inchiodano alla tragica realtà della condizione illegale delle nostre carceri. Al 31 dicembre 2009 i detenuti erano 64.791 e, dopo tre leggi (inopinatamente, ripeto, chiamate svuota-carceri) i detenuti sono 64.758, al 30 settembre 2013 - prosegue la Bernardini. Aggiungo che non c’è proprio bisogno di enfatizzare risultati positivi - ahimè, inesistenti - perché grazie alla fermezza della ministra Annamaria Cancellieri si sta tenendo la barra ferma sull’urgenza di un provvedimento di amnistia e di indulto contemporaneamente preparando il terreno futuro che porterà ad un ripensamento di tutto il sistema delle pene. Il tutto basato su dati statistici “veri” e indagini che ci facciano finalmente conoscere quali siano le fattispecie di reato che compongono, alimentandolo fino all’obesità, il corpaccione malato degli oltre 5 milioni di procedimenti penali pendenti. Da parte sua, Marco Pannella accompagna con il suo sciopero totale della fame e della sete, i giorni che ci separano dall’annunciato primo messaggio alle Camere del Presidente Giorgio Napolitano riguardante l’obbligo del nostro Stato di uscire immediatamente dalla flagranza criminale in cui versano carceri e giustizia”. L’emergenza carcere è un problema nazionale, uno scandalo che ci ha portato anche a delle condanne da parte dell’unione europea. Di recente gli avvocati penalisti hanno indetto uno sciopero proprio sul problema annoso delle carcere e sulla situazione destabilizzante del pianeta carcerario. Ultimamente c’è stata anche raccolta firme proprio per chiedere la sensibilizzazione del mondo politico e della società civile al problema del sovraffollamento delle celle di Poggioreale e Secondigliano. Berretta: con dl ingressi da 1.000 a 500 al mese (Ansa) Il numero di ingressi in carcere è in calo, passando da “una media di circa 1.000 a mese, dato registrato nei primi sei mesi del 2013, a meno di 500 da quando è entrato in vigore il decreto legge sull’esecuzione della pena”. Lo afferma il sottosegretario Giuseppe Berretta, sottolineando che “gli ultimi dati del Dap confermano le previsioni del ministero della Giustizia sul buon funzionamento e sull’utilità del decreto legge”. “Un provvedimento - osserva Berretta - che va nella giusta direzione per ridurre l’emergenza del sovraffollamento delle carceri italiane e che in questi primi tre mesi è riuscito a dimezzare la media delle persone entrate in carcere”. “Il numero di ingressi in carcere a partire dai primi di luglio, data di entrata in vigore del decreto - rivela il sottosegretario - è costantemente diminuito. Nel primo mese di applicazione, dai primi di luglio ai primi di agosto, sono entrate in carcere circa 300 persone in meno rispetto al mese precedente, un ulteriore decremento si è registrato tra agosto e settembre, e negli ultimi venti giorni la cifra si è abbattuta a soli 329 nuovi ingressi”. Secondo Berretta avere “incentivato la detenzione domiciliare e l’inserimento lavorativo al posto del carcere per chi commette reati che non minano la sicurezza della collettività, stanno dando i primi frutti”. “Nessuno - conclude il sottosegretario alla Giustizia - pensa che questo provvedimento possa risolvere definitivamente il grave problema del sovraffollamento carcerario, ma è un bel passo in avanti verso il rispetto della dignità dei detenuti”. Rita Bernardini: da Berretta cifre sballate (Ansa) “Mi dispiace molto dover smentire il sottosegretario alla giustizia Berretta, ma le cifre che ha fornito, purtroppo, sono totalmente sballate”. Lo dice l’esponente radicale Rita Bernardini. “ Se fossero vere - aggiunge - dovremmo gridare al miracolo, salvo porci ulteriori domande. Come dimostra la tabella del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, gli “ingressi dalla libertà negli istituti penitenziari” sono in media 82.000 all’anno, cioè tra le 5.000 e le 8.000 al mese a seconda dell’anno. Il sottosegretario Berretta, invece, afferma che prima dell’entrata in vigore dell’ultimo - inopinatamente definito - “svuota Carceri”, gli ingressi mensili erano 1.000 e che essi si sarebbero ridotti a meno di 500 da quando è entrato in vigore il decreto legge sull’esecuzione della pena. Miracolo! Dovremmo tutti gridare. Ma ci sono due cifre che ci inchiodano alla tragica realtà della condizione illegale delle nostre Carceri. Al 31 dicembre 2009 i detenuti erano 64.791 e, dopo tre leggi (inopinatamente, ripeto, chiamate svuota-Carceri) i detenuti sono 64.758, al 30 settembre 2013. Aggiungo che non c’è proprio bisogno di enfatizzare risultati positivi - ahimè, inesistenti - perché grazie alla fermezza della ministra Annamaria Cancellieri si sta tenendo la barra ferma sull’urgenza di un provvedimento di amnistia e di indulto contemporaneamente preparando il terreno futuro che porterà ad un ripensamento di tutto il sistema delle pene. Il tutto basato su dati statistici “veri” e indagini che ci facciano finalmente conoscere quali siano le fattispecie di reato che compongono, alimentandolo fino all’obesità, il corpaccione malato degli oltre 5 milioni di procedimenti penali pendenti. Da parte sua, Marco Pannella accompagna con il suo sciopero totale della fame e della sete, i giorni che ci separano dall’annunciato primo messaggio alle Camere del Presidente Giorgio Napolitano riguardante l’“obbligo” del nostro Stato di uscire immediatamente dalla flagranza criminale in cui versano Carceri e giustizia”. Berretta a Bernardini: dati Dap veri e inequivocabili “I dati del Dap che testimoniano il dimezzamento degli ingressi in carcere sono verissimi, reali e inequivocabili e si riferiscono ai soggetti entrati dalla libertà negli istituti penitenziari italiani con posizione giuridica di definitivo all’ingresso, cioè a quelle categorie di detenuti che possono beneficiare delle misure contenute nella nuova legge sull’esecuzione della pena”. Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta, commentando le dichiarazioni di Rita Bernardini. “Stupisce il fatto che una persona esperta in questione di Carceri come l’ex deputata radicale - aggiunge Berretta - non abbia colto i segnali positivi contenuti nelle ultime statistiche fornite dal Dap, segnali inequivocabili per i quali non gridiamo certo al miracolo ma che non possono essere ignorati”. “Nessuno si sogna di affermare che i problemi delle carceri italiane siano stati improvvisamente e del tutto risolti - conclude il sottosegretario alla Giustizia - ma se una legge comincia a dare dei risultati è giusto e onesto dirlo, fermo restando il fatto che a questo provvedimento ne dovranno seguire altri capaci di alleggerire la pesante situazione di sovraffollamento degli istituti di pena”. Giustizia: un rifugiato “costa” un quarto di un detenuto… 30 euro al giorno contro 116 di Marco Ludovico Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2013 Un rifugiato costa oggi allo Stato circa 30 euro al giorno. Una somma quasi miserabile se si pensa che per un detenuto è più del triplo: 116 euro, secondo le stime del Consiglio d’Europa. Anche questo spiega l’appello a ogni sforzo per garantire l’accoglienza, la capacità di assistere e integrare i profughi in arrivo, lanciato giovedì dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il sistema, infatti, sta facendo i conti con 30mila sbarcati dall’inizio dell’anno: almeno i due terzi faranno o hanno già fatto richiesta d’asilo. Del resto l’anno scorso i migranti via mare sono stati 13.267 e l’85% di loro, stima l’Unhcr, ha fatto domanda di protezione. Non siamo ai numeri dell’emergenza Nord Africa di due anni fa, con circa 63mila migranti sbarcati - ma più della metà poi andò via dall’Italia - e una spesa finale di un miliardo e mezzo. Oggi però servono comunque soldi, il ripristino o il rinnovo di strutture, garanzie di soggiorni vivibili. Il meccanismo di accoglienza si fonda su due perni: i Cara ( centri di accoglienza richiedenti asilo) del ministero dell’Interno e lo Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che fa capo all’Anci (associazione nazionale comuni d’Italia). Nei primi centri oggi ci sono 11.500 persone, lo Sprar ne conta 7.500. E siamo quasi al completo, ci vorranno altri posti. Per il sistema Anci si ipotizza di arrivare fino a 10mila, ma servono i finanziamenti. Dopo la tragedia di Lampedusa si parla di un decreto legge da 200 milioni di euro. Ma il rischio concreto è che almeno una parte sia attinta dai fondi ora previsti per l’integrazione. La coperta, insomma, è sempre più corta. L’impossibilità di prevedere i flussi di immigrati mette in affanno il “Viminale in fatto di risorse: salta ogni programmazione, ricominciano le richieste al ministero dell’Economia, in tempi di crisi della finanza pubblica è un disastro. Cosi gli appalti sono ormai assegnati con il criterio dell’offerta più bassa e si spiegano i 30 euro per mantenere un rifugiato. L’Unhcr, in un dossier recente, traccia un quadro pieno di ombre sul sistema di accoglienza pur riconoscendo che “l’Italia è stata impegnata in questi anni in un grande ed encomiabile sforzo nel contesto delle operazioni di salvataggio in mare”. Sottolinea, per esempio, come “un numero rilevante di beneficiari di protezione internazionale viva in condizioni di indigenza e di marginalità”. Specifica che c’è un incremento di migranti “che vengono ospitati nei centri d’accoglienza per senza tetto o in sistemazioni di emergenza gestite di Comuni”. Aumenta anche il numero di “famiglie con minori e persone con disagio mentale che vivono in condizioni di indigenza in sistemazioni improvvisate o edifici occupati nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Firenze e Torino”. Oltre le prime necessità di accoglienza, insomma, c’è un profilo critico di qualità: cosa è possibile offrire, in termini di vitto e alloggio, con 30 euro al giorno? Ben poco, ovvio. Nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) siamo almeno a 45 euro a straniero, il 50% in più. Ma restano molti altri disagi per chi ha diritto di asilo. A oggi ci sono “circa 1.000 ospiti dei centri di accoglienza tuttora in attesa di una decisione sullo Stato responsabile della loro domanda o di un trasferimento nello Stato competente” sottolinea l’Untar. Si sfiora l’incredibile: la procedura, dice il rapporto, “può durare fino a 24 mesi”. L’organizzazione che fa capo all’Onu chiede poi di fissare “standard per l’identificazione e la segnalazione di richiedenti asilo con esigenze particolari come minori, persone sottoposte a tortura e vittime di tratta”. Amara e sconsolante è la costatazione che il Nirast (Netwok italiano per richiedenti asilo sopravvissuti a tortura) l’anno scorso “è stato interrotto per mancanza di fondi”. Era un progetto per realizzare in Italia una rete di centri medico-psicologici del Servizio sanitario nazionale specializzati nella certificazione e nella cura dei migranti sopravvissuti a tortura e traumi estremi. Critiche molto dure a tutta la gestione dell’immigrazione sono giunte di recente dal Consiglio d’Europa, che parla addirittura di “sistemi di intercettazione e di dissuasione inadeguati” che avrebbero portato l’Italia a fare i conti “con un flusso che è e resterà continuo”. Certo è che gli uffici del Viminale sono in fibrillazione. Il capo del dipartimento Ps, Alessandro Pansa, ha chiamato da alcune settimane Giovanni Pinto alla direzione centrale delle Frontiere. Il ministro Angelino Alfano, invece, dovrà presto trovare il sostituto di Angela Pria al vertice del dipartimento Libertà civili e immigrazione. Il prefetto Pria, infatti, nell’arco di qualche settimana sarà nominato consigliere della Corte dei Conti. Giustizia: Uil-Pa; riforma carceri? per uscire dall’illegalità serve un progetto condiviso www.newz.it, 6 ottobre 2013 In merito al progetto di riorganizzazione del circuito differenziato regionale delle carceri che si sta realizzando in Calabria, si riportano le dichiarazioni rilasciate dal Segretario Nazionale della Uil-Pa Penitenziari Gennarino De Fazio: “Com’è ormai noto con una sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’Italia è stata condannata e messa in mora per le condizioni della detenzione giudicate inumane e degradanti. I motivi di ciò sono stati individuati, principalmente, nel sovraffollamento, che riduce oltre i limiti consentiti gli spazi vitali, ed anche nella circostanza che i reclusi siano costretti a passare lunga parte della giornata inoperosi e rinchiusi nelle celle. Il nostro Paese ha tempo fino al maggio 2014 per adeguarsi ed evitare pesanti sanzioni, ma soprattutto per restituire alla detenzione livelli di dignità che consentano all’Italia di risalire quella situazione di inciviltà e di vera e propria illegalità che la colloca nelle ultime posizioni in Europa. Anche perché a pagarne le conseguenze non sono solo i detenuti, ma pure gli stessi operatori che lo Stato pone, con un certo livello di ipocrisia, a tutela di quelle medesime leggi che ormai sistematicamente infrange. Alla Polizia ed agli operatori penitenziari si richiede difatti di far rispettare la legge, ma non si mette loro nelle condizioni di rispettarla a loro volta. Da qui anche l’ennesimo richiamo del Presidente Napolitano che solo pochi giorni fa a Napoli ha annunciato un nuovo messaggio alle Camere sul tema. In Calabria l’Amministrazione penitenziaria, ancora priva - da oltre tre anni - di un provveditore regionale titolare, si sta muovendo su più fronti. Da un lato la messa in funzione di nuovi istituti penitenziari e padiglioni detentivi, dall’altro sta passando ad un nuovo modello organizzativo. Proprio su quest’ultimo aspetto, non avendo peraltro ricevuto ancora nessuna informazione ufficiale a livello regionale, nutriamo forti perplessità. Dalle notizie che trapelano, infatti, temiamo che si stia pensando solo a palliativi che non migliorerebbero affatto la situazione detentiva, diminuirebbero i livelli di sicurezza e decuplicherebbero gli già insopportabili carichi di lavoro per la Polizia penitenziaria. Anziché passare da un anacronistico sistema a “vigilanza statica” ad una moderna organizzazione a “sorveglianza dinamica” che consenta altresì una certa libertà di movimento ai detenuti, seppur all’interno di spazi delimitati in cui svolgere attività lavorative, di studio, ricreative, etc., nel solco delle linee guida tracciate dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, pare che in regione si vogliano aprire i detenuti dalle proprie celle per rinchiuderli - di fatto - per buona parte del giorno in altre celle poco più grandi, comuni e talvolta scoperte (leggasi passeggi), sempre sotto rigida custodia e con la Polizia penitenziaria costretta a regolarne, pure attraverso continue perquisizioni personali, la movimentazione. Il rischio evidente è che si permanga nelle condizioni d’illegalità acclarate dalla Cedu, che gli operatori di Polizia penitenziaria non siano messi nelle oggettive condizioni di adempiere a tutti i propri, accresciuti, compiti e che la situazione sfugga di mano. Naturalmente ci auguriamo che non sia così ed in questa ottica abbiamo indirizzato nei giorni scorsi una lettera (integralmente disponibile sul sito internet www.uilpapenitenziari.it) al Provveditore regionale in missione ed ai massimi Vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per richiedere dettagliate informazioni a riguardo ed un confronto a livello regionale che, in analogia con quanto già avvenuto in ambito nazionale, consenta agli operatori, attraverso le proprie rappresentanze, di prendere cognizione ed esprimersi propositivamente su un progetto di particolare che potrà conseguire utili risultati solo nella misura in cui potrà essere compreso e condiviso da ciascun attore”. Giustizia: premio letterario “Racconti dal carcere”, i detenuti scrittori “evadono” con i libri Il Giornale, 6 ottobre 2013 Mani dietro la schiena, camicia azzurra, pantaloni scuri, occhiali, sguardo svagato e sorriso bonario. Giuseppe Rampello sembra capitato per caso sul palco del teatro del carcere romano di Rebibbia. Tutto sembra fuorché un detenuto, non fosse per il dettaglio rivelatore dei calzoni che stanno su senza cintura, oggetto bandito dietro le sbarre. Infatti, almeno oggi, è uno scrittore. Prende il microfono, guarda giù in platea e incrocia lo sguardo di Gino Paoli, che è qui in quanto presidente Siae. Così, attacca quasi cantilenando a dire che “quando scrivo, la mia cella non ha più pareti, sbarre né soffitto, e vedo il cielo sopra me”. Per lui la scrittura è leggerezza in un luogo pesante, è libertà dove non ce n’è. Era un alto funzionario del ministero del Lavoro, Rampello, distaccato a Palazzo Chigi. Un giorno di giugno del 2009 ha ucciso sua moglie, e ai poliziotti arrivati ad arrestarlo ha spiegato che era malata, che non voleva più vederla soffrire. È finito a Regina Coeli con una condanna a 14 anni sulle spalle. Il 64enne Rampello è uno dei 400 ospiti italiani e stranieri delle nostre carceri che ha raccolto l’invito a scrivere un racconto per partecipare al più atipico dei premi letterari, “Racconti dal carcere”, dedicato alla scrittrice Goliarda Sapienza che fu, suo malgrado, “ospite” di Rebibbia nel 1980. È arrivato tra i 25 finalisti, si è aggiudicato un “tutor”, Pino Corrias, sedotto a sua volta da questo personaggio un po’ lunare. E, a coronamento della parafrasi carceraria del cielo in una stanza, Rampello ha vinto il premio. Lo ha fatto con “Pure in galera ha da passà ‘a nuttata”, raccontando la vita quotidiana negli spazi angusti della sua nuova casa, Regina Coeli, tratteggiando con uno stile leggero e divertente i “tipi umani” che popolano il carcere trasteverino. C’è “er Cobra”, l’habitué, che ha passato dietro le sbarre metà della sua vita e ormai conosce - o crede di conoscere - ogni regola e segreto della galera, che considera un luogo per allacciare nuovi contatti d’affari, c’è il “Berluschino del Trullo”, boss di borgata, che interpreta le carte per disegnarsi un futuro (giudiziario) roseo, salvo scontrarsi con la dura realtà, che ha in serbo per lui un destino differente. Un tono leggero che lascia comunque intravedere le magagne di un sistema che non funziona, un carcere che serve “solo a chi, come me, ha poco da imparare”, racconta lui dopo la premiazione, aspettando che la polizia penitenziaria lo riporti a Regina Coeli. La galera “dovrebbe essere un indicatore di civiltà” ma, così com’è, non può funzionare, spiega Rampello. Affidandosi a una metafora “orrenda, ma che rende bene l’idea: il carcere dovrebbe essere un luogo dal quale si esce migliori, invece è come un canile. E se metti un cane aggressivo in gabbia e lo lasci lì senza far niente, quando lo liberi sarà più aggressivo di prima”. In un quadro desolante, iniziative come il premio Goliarda Sapienza, organizzato dalla giornalista Antonella Ferrera e promosso dalla Siae (che ha offerto ai finalisti l’iscrizione gratuita alla sezione Olaf), dall’Onlus InVerso, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e da quello per la giustizia minorile, indicano la direzione da prendere in attesa di una riforma del sistema. Dietro Rampello, per la categoria adulti, è stata premiata la 32enne Paola Francesca Iozzi (tutor Erri De Luca), arrestata un anno fa per associazione sovversiva, ora libera in attesa di giudizio, che in “Alla ricerca del vento” racconta una fuga con un’amica finita su una spiaggia, di fronte al mare. Al terzo posto la marocchina Nezha El Raouy con un racconto (“I bambini del nido blu”) sugli asili nido circondariali, una riflessione sul dilemma di una madre dietro le sbarre, indecisa se rinunciare al proprio figlio o costringerlo a una incolpevole detenzione. Giustizia: diffamazione a mezzo stampa; in carcere direttore del mensile “Dibattito News” Agi, 6 ottobre 2013 Francesco Gangemi, 79enne di Reggio Calabria, è stato arrestato dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria per un provvedimento di ordine di carcerazione di pene concorrenti emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Catania. Gangemi, giornalista dal 1983 nonché direttore del mensile “Dibattito News” con sede a Reggio Calabria, dovrà scontare una pena di 2 anni di reclusione per diffamazione a mezzo stampa. Dopo le formalità di rito Gangemi è stato associato alla casa circondariale di Reggio Calabria. Giustizia: Berlusconi farà istanza di affidamento ai servizi sociali entro prossima settimana Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2013 “Se non ci sono cambi di indirizzo, entro la prossima settimana depositeremo la richiesta per un eventuale affidamento in prova ai servizi sociali per Silvio Berlusconi”. Lo ha detto il professor Franco Coppi, uno dei difensori dell’ex premier condannato definitivamente a quattro anni di reclusione, tre dei quali coperti da indulto, per la sentenza definitiva sulla compravendita dei diritti tv Mediaset. L’ex premier sarebbe arrivato a questa scelta non senza travaglio, dopo aver valutato attentamente tutti i pro i contro con i suoi legali e con i figli. La dead line del 15 ottobre è alle porte. Se per quella data Silvio Berlusconi non avrà presentato domanda di affidamento ai servizi sociali arriverà la notifica degli arresti domiciliari. Con l’affido ai servizi sociali il Cavaliere sarebbe libero di continuare a fare la vita di prima e, se la situazione politica lo richiedesse, potrebbe anche decidere di utilizzarli come vetrina mediatica e arma elettorale. I domiciliari, invece, per quanto in una dorata residenza, comportano una serie di restrizioni, soprattutto per chi vuole continuare a fare il leader del centrodestra e, dunque, tenere riunioni e incontri. Dai domiciliari Berlusconi, infatti, potrebbe vedere solo chi abita nella sua residenza e anche i cinque figli (che sono residenti altrove) dovrebbero far domanda al giudice ogni volta che vogliono andare a trovarlo. Per tutte queste ragioni Berlusconi sembra aver preferito l’affido ai servizi sociali, anche se non viene dato affatto per scontato che gli vengano concessi. “Presenteremo la richiesta, salvo imprevisti - rileva ancora Coppi - e poi saranno i magistrati di Milano a decidere. Quando il giudice fisserà le prescrizioni potremo concordare le eventuali modalità”. Non é escluso che l’ex premier possa essere affidato ai servizi sociali anche nella capitale, in ragione dello spostamento nelle scorse settimane della residenza a palazzo Grazioli a Roma. Il legale del Cavaliere ha precisato che l’istanza dovrebbe contenere “indicazioni di massima” per l’eventuale affidamento. Che cos’è l’affidamento ai servizi sociali È considerata la misura alternativa alla detenzione più ampia, l’affidamento in prova ai servizi sociali, che i legali si appresterebbero a chiedere per Silvio Berlusconi. Disciplinato dall’articolo 47 dell’Ordinamento Penitenziario, consiste nell’affidamento del condannato al servizio sociale, fuori dall’istituto di pena, per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Può essere concesso solo a chi deve scontare una condanna, anche come residuo di pena, non superiore ai tre anni di reclusione (ma questi limiti non valgono se il reo è un malato affetto da Aids conclamata) a condizione che il suo comportamento faccia ritenere che questa misura possa avere per lui effetti rieducativi. Se il condannato è in libertà, come nel caso del leader del Pdl, l’istanza per accedere all’affidamento in prova va presentata al pubblico ministero: la decisione è però del tribunale di sorveglianza competente, che decide con ordinanza, dopo aver valutato, sulla base di un’inchiesta del Centro di servizio sociale a cui deve essere affidato, se ricorrono i presupposti necessari e se non c’è pericolo di fuga. Con l’ordinanza vengono anche fissate le prescrizioni che il condannato dovrà seguire: sul lavoro e sui rapporti con il Centro di Servizio Sociale, innanzitutto, ma anche sulla sua stessa libertà di movimento; obblighi che possono arrivare sino al divieto di frequentare determinati posti o di svolgere attività o avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati. Se il condannato rispetta quanto gli è stato prescritto, per il periodo corrispondente alla condanna da scontare, la pena ed ogni altro effetto penale si estinguono. Abruzzo: denuncia dei Radicali “la Regione tarda ad istituire il Garante dei detenuti” www.newsabruzzo.it, 6 ottobre 2013 Ancora un niente di fatto da parte del Consiglio Regionale abruzzese che, nemmeno nella seduta di ieri, ha nominato il Garante dei Detenuti istituito con legge regionale del 6 agosto 2011. L’ennesimo rinvio ha destato la dura reazione dei radicali abruzzesi, che per il tramite di Alessio Di Carlo hanno giudicato “gravemente irresponsabile il comportamento del Consiglio, considerato che da oltre 25 anni la Convenzione dell’Onu contro la tortura impone di dotarsi di tale figura e che la stessa legge regionale di due anni e mezzo fa prevedeva che nel termine di 90 giorni si sarebbe dovuti giungere alla designazione effettiva”. “Oltre alla sistematica violazione delle leggi, comprese quelle che la stessa Regione si è data” ha aggiunto il neo segretario di Radicali Abruzzo “colpisce l’ipocrisia dimostrata dal fatto che nella stessa relazione accompagnatoria della legge istitutiva del Garante si parlava di una situazione di emergenza con 2300 detenuti e detenute a fronte di una capienza di 1600 posti distribuiti fra le 8 carceri. Ancora una volta” ha concluso Di Carlo “l’illegalità e l’ipocrisia trionfano nella gestione della cosa pubblica abruzzese”. Sicilia: Garante diritti detenuti, ancora nessuna nomina dopo 3 settimane di vacanza www.hercole.it, 6 ottobre 2013 La situazione penitenziaria siciliana necessita di urgenti e appropriati provvedimenti per modificare una realtà indegna di una società civile. Il sovraffollamento, la negazione di diritti, l’impossibilità dei pur valorosi operatori penitenziari di assicurare sufficienti servizi per rendere la detenzione conforme ai parametri costituzionali ed europei, impongono al governo del Paese di intervenire con sollecitudine e alla Regione Siciliana di attivare azioni di sensibilizzazione e di stimolo, anche nel garantire servizi di sua pertinenza come l’assistenza sanitaria ai detenuti così come impone la legge di riforma. Da già tre settimane è scaduto il mandato settennale del garante dei diritti del detenuto nominato a suo tempo dall’onorevole Salvatore Cuffaro il quale all'epoca scelse un politico di professione. Allo scopo di evitare qualsiasi tipo di strumentalizzazione e il ripetersi di errori commessi in passato la sezione della Sicilia dell'Unione Forense per la tutela dei diritti umani auspica che la procedura di scelta e di nomina del nuovo garante per la nostra isola avvenga immediatamente e nella massima pubblicità e trasparenza nel rispetto della normativa vigente e soprattutto nella consapevolezza di far cadere la preferenza su soggetti politicamente indipendenti, autorevoli e profondi conoscitori della problematica carceraria. e dei diritti umani. Prendendo atto dell'iniziativa dell'Avv. Silvano Bartolomei anche l'Unione forense per i diritti dell'uomo, associazione nazionale che da oltre quarant'anni si batte per la tutela dei diritti umani nel mondo, mette a disposizione le proprie professionalità nella scelta del prossimo garante. Che si faccia in fretta, che si faccia bene; i detenuti siciliani non possono aspettare. Avv. Ermanno Zancla Coordinatore Sicilia Unione Forense per i diritti dell'uomo Brindisi: s’impicca 48enne ai domiciliari per stalking alla moglie Ansa, 6 ottobre 2013 Un uomo di 48 anni di San Pancrazio Salentino si è tolto la vita stasera impiccandosi con un cavo elettrico alla trave del soffitto della sua abitazione: l’uomo, detenuto ai domiciliari, era stato arrestato il 6 settembre scorso dai carabinieri per maltrattamenti in famiglia. Era stata una delle primissime applicazioni in provincia di Brindisi della legge sul femminicidio varata il 14 agosto 2013, che consentì ai carabinieri di intervenire con un provvedimento restrittivo eseguito in flagranza, nonostante la moglie, che a quanto pare era stata malmenata, avesse ritirato la querela. L’uomo viveva in casa con la figlia, ancora minorenne, che si è accorta di quanto accaduto e ha chiamato i soccorsi. All’arrivo del personale del 118, però, non c’era più nulla da fare. Spoleto (Pg): detenuto 38enne tenta il suicidio, salvato da un agente Ansa, 6 ottobre 2013 Agenti della penitenziaria sventano suicidio nel carcere di Maiano. Ha provato a impiccarsi sabato mattina intorno alle 10 il detenuto rumeno di 38 anni, condannato per violenza sessuale e omicidio e con fine pena nel 2031. Fortunatamente l’assistente capo in servizio è riuscito in tempi rapidissimi, prima, a intuire che all’interno della cella stava accadendo qualcosa di grave e, poi, con estrema freddezza, a entrare, sollevare l’uomo e liberarlo dal cappio. Salvato Attimi di panico che, anche grazie al tempestivo intervento dei sanitari del 118, precipitatesi nel carcere di Maiano, hanno permesso il celere trasporto in ospedale dove, dopo alcuni tentativi, il detenuto è stato rianimato. Il comandante Marco Piersigilli si è già premurato di comunicare che proporrà l’encomio per l’assistente di polizia penitenziaria e ringrazia tutto il servizio sanitario dell’istituto per la prontezza di riflessi e la professionalità dimostrata nell’episodio. Pavia: furto della cassaforte e nuovi detenuti in arrivo, carcere sotto pressione di Maria Fiore La Provincia Pavese, 6 ottobre 2013 Blocco di alcune iniziative culturali per i detenuti, controlli più rigidi all’ingresso, sospensione delle ferie per gli agenti. Nel carcere di Torre del Gallo regna il caos in vista dell’apertura del nuovo padiglione, che dovrà ospitare altri 300 detenuti. Apertura più volte slittata e per la quale non è stata ancora prevista un’altra data. A pesare, in questa situazione di incertezza, sono anche le conseguenze del furto avvenuto poche settimane fa, che ha messo in luce la vulnerabilità della struttura: i ladri sono arrivati dall’esterno, hanno percorso i sotterranei e sono riusciti a introdursi negli uffici, da dove hanno smurato una cassaforte con 6mila euro. Poi sono usciti, eludendo i sistemi di sorveglianza. L’inchiesta, ancora in corso, si sta concentrando su ex detenuti che svolgevano lavori di pulizia e giardinaggio all’interno del carcere. Persone, quindi, che conoscevano bene la struttura. E comunque esterne al carcere. “Di sicuro le cose sono cambiate dopo quella vicenda”, dicono gli agenti. La direttrice Iolanda Vitale ha imposto una sorveglianza più rigida degli ingressi, con l’obbligo di registrare in maniera accurata ogni persona che entra, e controlli più stretti durante i colloqui dei familiari. Nel frattempo sono state annullate anche alcune iniziative rivolte ai detenuti, come la maratona della lettura, che era in programma per il 15 ottobre e che è stata cancellata per “impreviste problematiche organizzative dell’istituto”. “Caos è la parola giusta - dice Fabio Catalano, della Cgil -. Basti pensare che per il mese in corso non è stato nemmeno approntato il registro con la programmazione dei turni del personale, che ha avuto anche la sospensione delle ferie. Tutto questo penalizza di certo gli agenti”. Per queste ragioni i sindacati hanno deciso, nell’incontro che si è svolto l’altro ieri, di proseguire con lo stato di agitazione che era stato già proclamato. “Rispetto alle richieste che avevamo fatto sul piano del personale abbiamo ottenuto un incremento di organico di appena 10 unità, che portano a 273 agenti l’organico effettivo”, prosegue Catalano. Il 14 ottobre ci sarà un nuovo incontro tra sindacati e amministrazione, per fare chiarezza nella nebbia che sembra avvolgere la struttura. “Di sicuro dopo la vicenda del furto il carcere si è “chiuso” ancora di più - dice Salvatore Giaconia, dell’Osapp -. Si respira un clima di insicurezza e di incertezza. Ma noi abbiamo fatto proposte precise sul nuovo padiglione. Siamo favorevoli a un’apertura graduale e gli stessi vertici si sono resi disponibili a fare un altro progetto di gestione dei detenuti”. La proposta prevede la cosiddetta “vigilanza dinamica”, con una pattuglia che controlla più reparti. Ma anche l’affidamento della custodia del detenuto alla videosorveglianza. “Le telecamere peraltro sono presenti all’interno del nuovo padiglione, che è stato costruito all’insegna della migliore tecnologia - dice Giaconia. Il problema è che il personale non è stato ancora formato. Gli agenti non sanno nemmeno come si apre e si chiude una cella. Ma forse quello che serve di più è una concezione diversa della detenzione. Ecco perché mi spaventa l’idea che vengano cancellate anche le iniziative culturali per i detenuti”. Un bando regionale per trovare ispettori In ogni sezione lavora un solo agente alla volta, in media un agente ogni 75 detenuti. E la situazione, secondo i sindacati, è destinata a peggiorare con l’apertura del nuovo padiglione, che dovrà ospitare 300 detenuti, anche se dopo diversi rinvii non è stata ancora fissata una nuova data per l’inaugurazione. Resta il problema degli organici, come sollevato dai sindacati, ma nei giorni scorsi sono stati assegnati altri nove agenti. “Il problema è anche che c’è una carenza di ispettori e sovrintendenti - dice Fabio Catalano, della Cgil. Queste figure di coordinamento dovrebbero essere circa 50, e invece a Pavia ce ne sono solo quattro”. Per sopperire a questa lacuna il Provveditorato ha indetto un bando regionale nei giorni scorsi. Bologna: Sappe; all’Ipm giovane detenuto incendia materasso, quattro poliziotti intossicati Il Velino, 6 ottobre 2013 Fumo e fiamme al carcere minorile del Pratello. Verso le 15 un detenuto ha dato fuoco a un materasso di spugna e quattro agenti della Polizia Penitenziaria sono rimasti intossicati per spegnere l’incendio. Sul posto sono intervenute due ambulanze e una squadra dei vigili del fuoco: i pompieri hanno impiegato mezzora per domare il rogo. Tre agenti sono stati trasportati all’ospedale Maggiore, un altro è stato soccorso al Sant’Orsola. Il detenuto, un giovane straniero, era in cella da solo: sta bene e non ha avuto bisogno di cure mediche. Per Giovanni Battista Durante, segretario generale del sindacato Sappe, “si tratta dell’ennesimo episodio che mette al centro dell’attenzione la sicurezza di una struttura già al centro di altri problemi”. Viterbo: Ugl; detenuto aggredisce due agenti penitenziari, sette giorni di prognosi Asca, 6 ottobre 2013 È trapelata solo dopo una settimana la notizia di un’ennesima aggressione ai danni di due agenti penitenziari all’interno del carcere “Mammagialla”. Sembra che lo scorso sabato due agenti siano stati aggrediti da un detenuto procurandogli lesioni con prognosi di sette giorni. Non ci è noto come mai la notizia sia trapelata dopo vari giorni (solo dopo l’incontro del 3 ottobre presso il Provveditorato del Lazio), in merito l’Ugl polizia penitenziaria ha chiesto chiarimenti all’autorità dirigente dell’istituto tramite una nota sindacale. Questi sono segnali di una popolazione detenuta concentrata di psichiatrici, tossicodipendenti, detenuti assegnati per ordine e sicurezza da tutta Italia, i quali sono poco inclini a una struttura penitenziaria dove si vuole adottare fondamentalmente una politica gestionale basata sulla parola e sulla tolleranza. Questa federazione è vicina al personale aggredito, speranzosa che a breve qualcosa possa cambiare. Pisa: volontari e attivisti Greenpeace sotto la Torre per la liberazione dei detenuti in Russia La Nazione, 6 ottobre 2013 Blitz di volontari e attivisti di Greenpeace stamani in piazza dei Miracoli e in piazza dei Cavalieri per raccogliere firme a sostegno della liberazione dei 28 attivisti e dei due giornalisti freelance, accusati del reato di pirateria dalle autorità russe. Il 18 settembre scorso 2 attivisti di Greenpeace sono stati arrestati dalla guardia costiera russa mentre stavano scalando la piattaforma petrolifera Prirazlomnaya di Gazprom in nome di una protesta pacifica contro le trivellazioni nell’Artico. Il giorno seguente la nave Arctic Sunrise è stata abbordata illegalmente, sempre dalla guardia costiera russa, e sono stati tratti in arresto anche gli altri 28 attivisti a bordo. Fra loro c’è anche l’italiano Cristian D’Alessandro, di Napoli. Adesso, quegli stessi attivisti, oltre ad essere detenuti per tutta la durata del processo - che potrebbe durare anche un anno - rischiano una condanna a 15 anni per pirateria. Tre i giorni di mobilitazione promossi da Greenpeace Italia, che hanno visto proteste e manifestazioni di solidarietà in diverse città d’Italia e del mondo, per chiedere al governo italiano di sostenere l’azione del governo olandese presso il Tribunale Internazionale previsto dalla Convenzione Onu sul diritto del mare. “A causa dei cambiamenti climatici, i ghiacci artici si stanno sciogliendo rapidamente ma piuttosto che agire responsabilmente, le compagnie petrolifere sono pronte a rischiare nuove catastrofi, pur di accedere alle risorse artiche. La colpa degli attivisti è aver deciso di dire no a coloro che minacciano questo fragile ecosistema, per il bene del pianeta e di tutti noi” afferma Cristiana De Lia, responsabile campagna mare di Greenpeace Italia. Nel frattempo, per chiedere la liberazione dei 30 detenuti in Russia si stanno mobilitando Premi Nobel, Ong come Amnesty International e Human Rights Watch e artisti. Salerno: all’Icatt di Eboli spettacolo teatrale ispirato a De Andrè, i testi sono di un recluso La Città di Salerno, 6 ottobre 2013 All’Icatt va in scena lo spettacolo “Dai fiori non nasce nulla, dal fango nascono i diamanti”: e sul palco i detenuti e la guardia penitenziaria Michele Ferrarese danno un saggio della loro bravura. A seguirli venerdì sera c’era un pubblico d’eccezione: oltre alla direttrice Rita Romano, seduto ad applaudire i 15 attori c’era anche il presidente della Sezione Penale della Corte di Appello, Claudio Tringali, che ha salutato i detenuti sottolineando il loro coraggio nel portare in scena un testo forte in cui si parla di privazione della libertà: “colpisce il coraggio di portare in scena una pièce così drammatica che affronta la condizione della detenzione in maniera diretta - ha detto Tringali - non è una semplice rappresentazione, ma qualcosa che viene dal di dentro”. Parole che hanno gratificato non poco gli attori che da giugno hanno lavorato alla messa in scena dello spettacolo costruendo scenografie, costumi e provando le battute scritte da Massimo Balsamo, ascoltando le canzoni di Fabrizio De Andrè: “una sceneggiatura scritta in 20 minuti avendo come sottofondo la voce di “Faber” De Andrè, la voce degli scarti, di quei luoghi dove la borghesia non vuole entrare - racconta Balsamo - sono arrivato ad Eboli tre anni fa: qui ho imparato il senso della comunità, ora voglio conoscere persone che non si devono guardare alle spalle”. Ama leggere Massimo, 39 anni di cui 13 passati nelle carceri, anni in cui si è rifugiato nei libri. Con il diploma di scuola media inferiore legge Hermann Hesse, ha un linguaggio raffinato, ricercato lo stesso che ha usato nella sceneggiatura fondendolo con le canzoni del cantante poeta, linguaggio con il quale si sono confrontati i suoi colleghi attori che hanno affascinando la platea. Massimo con i suoi 13 anni di reclusione ed altri sette da scontare non ha perso l’entusiasmo, la voglia di riscatto di rivedere sua figlia: “ha venti anni e mi dà un sacco di soddisfazioni: presto tornerà dall’Inghilterra dove ha svolto un master - racconta - all’Icatt assimiliamo il senso di comunità ed io non sarei qui se non avessi questi compagni con i quali siamo riusciti ad interpretare ruoli che disegnano una condizione che di umano ha poco, la detenzione”. Senso di appartenenza ad una comunità: è la metamorfosi di Massimo ed i suoi compagni che sorridendo sono riusciti ad interpretare l’ingiustizia attraverso un magistrato frustrato per la sua statura: “il giudice” di De Andrè. Uno spettacolo frutto di un laboratorio teatrale e di falegnameria voluto dalla direttrice Romano: “ci siamo chiesti se rinviare lo spettacolo per solidarietà ai morti di Lampedusa... Ma dovevamo andare in scena per dimostrare che la solidarietà a volte è più nelle carceri che all’esterno”. Il lungo applauso dei detenuti in platea ha suggellato il rispetto e la condivisione delle scelte di una direttrice che per i diritti dei suoi ospiti combatte ogni giorno. Sala Consilina: spettacolo teatrale in carcere, in scena i detenuti “Far diventare il carcere meno carcere”. È stato questo l’obiettivo che si è posto il progetto “Dal buio alla luce” che si è concluso presso l’area verde della casa circondariale di Sala Consilina. I detenuti-attori hanno portato in scena il saggio di fine corso dal titolo “Guarda… il Sole e la Luna”, a conclusione della seconda edizione del laboratorio teatrale curato e diretto da Enzo D’Arco, presidente della cooperativa culturale “La Cantina delle Arti”. “Abbiamo voluto riproporre di questo progetto - ha sottolineato il presidente del Consiglio Comunale di Sala Consilina Maria Stabile - perché per i detenuti è un momento non solo di socializzazione e di festa, ma anche di crescita personale che dà modo a loro stessi di credere in quei valori che, forse, pensano di aver perso. Un grazie particolare ad Enzo D’Arco che offre la possibilità ai detenuti di formarsi attraverso l’impegno in attività teatrali”. Il testo è nato da una rielaborazione fatta dei racconti e delle esperienze personali dei sei detenuti. Torino: “perché mi hai fatto male?”… faccia a faccia (sul palco) tra vittime e criminali di Vera Schiavazzi La Repubblica, 6 ottobre 2013 Incontrare in carcere, sul palco di un teatro, chi ti ha scippato. O un altro come lui, purché sia disposto a guardarti negli occhi: “A me interessavano i soldi, non volevo far male a nessuno”, è la prima spiegazione. L’esperimento, il primo di questo genere mai realizzato facendo recitare vittime e colpevoli “veri”, andrà in scena da mercoledì sera (otto storie a due voci, otto serate già esaurite, quasi mille spettatori prenotati e altri 400 in lista d’attesa) nel carcere delle Vallette di Torino. Non era mai accaduto prima, nonostante la richiesta di incontrare la propria vittima o il proprio “carnefice” sia molto frequente nella storia quotidiana di crimini e misfatti. “C’è bisogno riconoscersi come persone - spiega Claudio Montagna, il regista, un veterano che da 43 anni porta storie dietro le sbarre con “Teatro e Società”. Abbiamo scelto i detenuti tra chi aveva pene abbastanza lunghe per partecipare a un anno di lavoro, e le vittime tra chi ci ha scritto dopo un appello dal palco”. I primi hanno scritto una biografia (chiamata “romanzo personale”) in carcere, le seconde hanno fatto la stessa cosa al Gruppo Abele. Sarà una sorpresa: “Non sappiamo esattamente che cosa avverrà sul palco - spiega il regista - perché abbiamo scelto di lavorare separatamente. All’inizio, i protagonisti siederanno tra il pubblico, in punti diversi, e di lì cominceranno a raccontare la propria storia. Solo dopo si capirà chi ha fatto che cosa”. Per chi ha subito un furto, uno scippo o una rapina, l’obiettivo è risanare una ferita, antica o recente che sia. “Ero una ragazza piena di entusiasmo, mi ero trasferita a Torino, frequentavo il primo anno di università. Una sera che rientravo da sola sono stata aggredita da un giovane che aveva qualcosa in tasca, non potevo saperlo- racconta Stefania, 26 anni. Mi ha detto “dammi tutto” ho cominciato col cellulare, ma lui si è arrabbiato perché era vecchio. Mi ha storto il braccio, ho sentito un dolore terribile, era il mio polso che si rompeva”. Lei continua a chiamarlo “l’incidente”: “Se diventare adulti vuol dire perdere la fiducia e avere paura di uscire la sera, allora mi ha fatto anche diventare adulta”. Per Lorenzo, invece, 40 anni, un lungo passato di rapine, furti e ricettazione, minacciare con una pistola finta o una siringa non significa far male: “Io ho il cuore d’oro. Anche quel giorno non ho mica ferito nessuno”. Perché lo racconta ora? “Penso che sia meglio cominciare a parlare”. Ma lo spavento, la paura delle vittime sembrano invisibili: “Non ci siamo fatte male, ma eravamo terrorizzate - ricorda Lorena, rapinata nel parco del Valentino mentre prendeva il sole con un’amica - Loro due avevano una siringa, ci minacciavano, era il periodo che c’era moltissima paura di prendere l’Aids in quel modo. Io che sono cresciuta in un paesino nelle Langhe ero entusiasta di Torino, lo sono ancora, ma mi è rimasta la voglia di chiedergli “perché proprio a noi?”. E sono arrabbiata perché andandosene con quel poco che avevamo ci hanno fatto la battuta, “adesso potete rimettervi al sole”“. A Margherita, insegnante, hanno rubato tre biciclette: “Tutte in cortile. Ho passato la vita a insegnare, non volevo rassegnarmi ad avere sfiducia nel prossimo. Credo di sapere chi è stato, un ragazzo di qui, io so che ha bisogno di soldi. Ma vorrei chiedere ai vicini perché non mi hanno avvisata”. Cristina sul palco salirà come madre: “Abbiamo avuto un furto in casa, ma la cosa brutta è che mia figlia, tredicenne, ha incontrato il ladro sulle scale mentre rientrava da scuola”. E Lorenzo, una vita passata a fare il palo, poi a rapinare con la maschera ea rubare negli alloggi, non ci aveva mai pensato: “Sono uno che agisce di impulso, so di poter essere rabbioso e vendicativo, ma la violenza la controllo bene”. Non sono grandi criminali, gli attori di “Cicatrici e guarigioni”, solo “ragazzi normali” che sembrano non aver mai conosciuto una strada diversa. Tra loro c’è un ex terrorista diventato rapinatore, un altro che ha avuto un momento di gloria per l’assalto a un caveau. Sul palco parleranno soprattutto di se stessi, dell’infanzia, delle svolte di vita, di figli e mogli. Non ci saranno scuse, perdoni, strette di mano o pacche sulla spalla. Si chiama “giustizia riparativa”, non risarcisce e non cancella. Ma qualche volta fa guarire. Treviso: Bottacin (Scelta Civica) visita il carcere “i detenuti sono il doppio della capienza” La Tribuna di Treviso, 6 ottobre 2013 Il carcere di Santa Bona sarà anche sovraffollato ma “gli amministratori e gli operatori del carcere di Treviso svolgono un ottimo lavoro a fronte delle poche risorse che hanno a disposizione”. A dirlo è il consigliere regionale Diego Bottacin, capogruppo di Verso Nord ed esponente di Scelta Civica Veneto, al termine della visita, ieri, alla casa circondariale di Treviso. Su sollecitazione dei Radicali di Treviso, il consigliere ha visitato ieri la struttura. Al momento il carcere ospita 259 detenuti, quando la capienza massima è di 128 persone. “Ci è stato riferito di occasioni in cui il numero di detenuti è salito fino a 300, cioè ogni detenuto ha soltanto un terzo dello spazio che in condizioni normali avrebbe a disposizione. Tutto ciò, inoltre, non penalizza soltanto i detenuti ma anche le guardie e gli operatori, che si trovano in numero inferiore alle reali necessità della struttura”. Ascoli: martedì prossimo verranno premiati i vincitori del Concorso Letterario “Teseo” Ristretti Orizzonti, 6 ottobre 2013 L’otto ottobre, alle ore 18, presso la Sala Docens di Ascoli Piceno, verranno premiati i vincitori del Premio Letterario Teseo, indetto dalla Casa Circondariale di Marino del Tronto e riservato ai detenuti dei penitenziari italiani. Si tratta della prima edizione di un premio nazionale che ha visto una massiccia partecipazione da tutto il Paese. Alla selezione dei testi ha lavorato una Giuria formata dalla scrittrice Chiara Valerio, dal poeta Eugenio De Signoribus, dal regista Giuseppe Piccioni (Presidente) e affiancata da una commissione di studenti. Una selezione dei testi è stata raccolta nel libro “Vangeli del carcere” che verrà presentato nell’ambito della premiazione. Alla cerimonia saranno presenti il presidente della giuria, Giuseppe Piccioni, il direttore della Casa Circondariale, Lucia Di Feliciantonio, i detenuti vincitori e una rappresentanza della commissione di studenti, oltre alle autorità. Saranno proprio i giovani giurati a leggere alcuni brani dei racconti che hanno partecipato al concorso. “La formula del concorso letterario - spiega Claudio Pizzingrilli, responsabile della segreteria organizzativa del Premio - rappresenta un mezzo ancora interessante affinché un detenuto possa portare alla conoscenza dell’opinione pubblica la propria condizione, il proprio esserci e, prim’ancora, misurarsi con le proprie, più intime angosce. La qualità dei testi pervenuti mostra l’urgenza di una comunicazione autentica, in alcuni casi sorprendentemente raggiunta, in altri ancora soltanto ambita, a causa per lo più della scarsa conoscenza delle tecniche espressive, ma traspare comunque l’originalissima intensità linguistica, prima che comunicativa”. Al Premio si è arrivati in seguito all’esperienza del laboratorio di lettura e di scrittura che si tiene da alcuni anni nella Casa Circondariale di Marino del Tronto. Il concorso gode del patrocinio della Giunta della Regione Marche ed è stato realizzato con il contributo dell’Ambito Territoriale Sociale XXII di Ascoli Piceno e grazie alla collaborazione dell’assessorato alla Cultura del Comune di Ascoli Piceno e della cooperativa Koinema. Ungheria: vagabondaggio incostituzionale, i senza tetto vanno in galera di Massimo Congiu Il Manifesto, 6 ottobre 2013 Non avere una casa è un reato. Dopo le modifiche alla Carta fondamentale Budapest cambia anche il codice penale. Bruxelles si preoccupa ma non fa nulla. Il governo Orban dà attuazione al giro di vite introdotto e legittimato addirittura nella Costituzione contro il vagabondaggio e i senza tetto. Chi non ha una casa e dorme per strada rischia forti multe e perfino il carcere. Misure ultra-repressive approvate dal parlamento. Bruxelles e Strasburgo commentano con “preoccupazione” ma non muovono un dito contro il massacro dei diritti civili inarrestabile dell’ultradestra ungherese. Nel paese i senza tetto, aumentati con la crisi e la disoccupazione record, sono 100mila, di cui la metà a Budapest (2 milioni di abitanti). È ormai legge in Ungheria il provvedimento che vieta ai senzatetto di occupare piazze o altri luoghi pubblici e che prevede multe o addirittura il carcere per chi disobbedisce. La notizia ha suscitato le immediate proteste dei diretti interessati che si sono riuniti di fronte al palazzo del Parlamento: si è trattato di alcune centinaia di persone che reggevano cartelli con su scritto “siamo poveri, non criminali!”. La legge è stata contestata dai verdi e dalle sinistre in generale ma è stata approvata grazie ai voti della maggioranza guidata dal primo ministro Orbán. Nel mese di marzo l’Assemblea nazionale aveva risposto affermativamente a una serie di emendamenti alla nuova Costituzione entrata in vigore il primo gennaio dell’anno scorso. Tra di essi anche quella riguardante l’inasprimento delle misure nei confronti del vagabondaggio con regole che portano alla criminalizzazione del fenomeno e che, insieme alle altre modifiche costituzionali sono state subito motivo di critica da parte delle principali istituzioni europee. Europa critica ma impotente A parere del presidente della Commissione europea José Barroso e del segretario generale del Consiglio d’Europa Thornbjorn Jagland tali iniziative “destano preoccupazione per il rispetto dello stato di diritto, delle leggi dell’Ue e degli standard del Consiglio d’Europa”. A Ginevra, agli inizi di aprile, un gruppo di esperti di diritti umani dell’Onu aveva condannato l’Ungheria per l’emendamento riguardante i senzatetto. Secondo Magdalena Sepulveda “grazie a questo emendamento il parlamento ungherese istituzionalizza la criminalizzazione del vagabondaggio e iscrive nella Costituzione la discriminazione e stigmatizzazione dei senzatetto”. Le critiche internazionali non hanno mai scoraggiato il governo Orbán che ha continuato e continua a portare avanti una politica autoritaria lontana dai principi europei. L’esecutivo rivendica autonomia decisionale e nega che le sue scelte discordino dagli standard indicati dall’Ue. Nel caso della legge appena approvata fa notare di aver provveduto, nell’anno ancora in corso, ad aumentare i punti di accoglienza a beneficio delle persone senza fissa dimora. Il dibattito su questo tema era già acceso l’anno scorso: il sindaco di Budapest István Tarlos intendeva aumentare il livello di sicurezza e di ordine pubblico e auspicava l’adozione di misure restrittive nei confronti dei senzatetto. Il primo ministro sollecitava quindi una consultazione a livello nazionale per verificare la possibilità di sanzionare l’occupazione illecita delle strade, delle piazze, dei sottopassaggi e di altri luoghi pubblici. Tale possibilità contrastava con quanto sancito dalla Corte Costituzionale - peraltro depotenziata dalla nuova Costituzione - che considerava e considera le regole concepite dal governo in materia di ordine pubblico come una violazione del diritto alla dignità e alla libertà personale dei senzatetto. Centomila senza fissa dimora Le organizzazioni della società civile criticano le misure di polizia pensate per i senzatetto e le ritengono tutt’altro che adatte a risolvere un problema estremamente complesso, “un problema sociale che non va risolto con la criminalizzazione ma con mezzi appropriati” secondo l’opposizione che non ha potuto far nulla per impedire l’approvazione della legge. Secondo recenti stime ci sarebbero in Ungheria circa 100.000 senzatetto, la metà dei quali a Budapest, città di circa 2.000.000 di abitanti. Alla fine dell’anno scorso, i letti disponibili nei centri di accoglienza della capitale risultavano essere 4.600, un’evidente sproporzione rispetto al fabbisogno esistente. Vi è però da dire che molte persone senza fissa dimora preferiscono non pernottare negli alloggi temporanei dove avverrebbero frequentemente furti e atti di violenza. In definitiva il livello di vita assicurato da queste strutture finanziate dallo stato è ai limiti della sussistenza. Soprattutto se si considera anche il fatto che spesso gli alloggi temporanei non danno ospitalità a persone in stato di ebbrezza. Secondo molti senzatetto, i punti di accoglienza predisposti dalle autorità comunali e dai servizi sociali possono tutt’al più assicurare la sopravvivenza durante i mesi invernali. E la povertà è in crescita La questione è molto delicata, diversi abitanti di Budapest condividono le decisioni prese dal governo per motivi di ordine e di igiene e non sono pochi coloro i quali pensano che gli indigenti siano tali per colpa loro. In realtà un numero considerevole di queste persone ha conosciuto i licenziamenti di massa avvenuti con la chiusura di fabbriche considerate non più competitive, non al passo con il sistema di mercato instauratosi nel paese dopo la caduta del regime. Partecipano alla gestione dei problemi derivanti dalla povertà estrema alcune organizzazioni come la Fondazione Menhély e il Soccorso dell’Ordine di Malta che da tempo sono in prima linea nell’assistenza ai senzatetto anche se costrette a operare in una situazione caratterizzata da una certa scarsità di mezzi. Con la legge appena approvata, insomma, il governo ungherese dà luogo a un giro di vite nei confronti dei cittadini senza fissa dimora e lo fa incurante delle obiezioni internazionali e del dossier negativo sull’Ungheria di Human Rights Watch reso noto a maggio. Secondo Hrw il Fidesz, partito guida del governo, approfitta dal 2010 della schiacciante maggioranza di cui dispone in Parlamento per modificare il quadro legale del paese, indebolire le istituzioni preposte al controllo dell’attività di governo col risultato di infrangere i più fondamentali diritti civili e umani.