Svuota-carceri, legge inutile: i detenuti sono pure aumentati di Luca De Carolis Il Fatto Quotidiano, 3 ottobre 2013 Doveva svuotare le celle stipate, ma i detenuti sono aumentati. Doveva tenere lontano dalla galera migliaia di persone, e invece il flusso tra entrate e uscite è rimasto uguale. Nel frattempo, ha complicato il lavoro delle procure antimafia. Entrata in vigore il 20 agosto scorso, la legge svuota carceri ha già fallito. Al 31 luglio, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i detenuti nelle carceri erano 64873, a fronte di 47mila posti regolamentari (ma secondo l’associazione Antigone sono 37mila). Il 17 settembre, davanti alla commissione Giustizia del Senato, il capo del Dap, Giovanni Tamburino, ha ammesso: “Abbiamo nuovamente superato la soglia di 65mila detenuti. In una prima fase il provvedimento (emesso come decreto legge il 1° luglio, quindi subito operativo, ndr) ha determinato un calo di qualche centinaio di detenuti a settimana, ma da un mese a questa parte il ritmo è venuto meno e c’è una ripresa a risalire”. Ovvero, il decreto legge di luglio ha rimandato a casa qualche centinaio di reclusi (al 30 giugno erano 66mila), ma il lieve effetto è svanito subito. E dalla conversione in legge di agosto le cose sono peggiorate. L’ha confermato indirettamente sabato scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo la visita al carcere napoletano di Poggioreale: “Pongo al Parlamento un interrogativo: se ritenga di prendere in considerazione un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”. Perché le carceri traboccano. E perché sull’Italia incombe la scadenza del 27 maggio 2014. L’ha imposta con la sentenza Parmeggiani la Corte europea dei diritto dell’uomo, secondo cui entro la primavera il sistema carcerario va messo a norma, garantendo a ogni detenuto almeno tre metri quadri di spazio in cella. In caso contrario, l’Italia rischia sanzioni sino a 270 milioni: ossia, la somma dei risarcimenti che dovrebbe pagare a ogni detenuto in sovrannumero, in base al parametro stabilito dalla Corte (15mila euro di risarcimento a recluso). Ma la soluzione non può essere certo la svuota carceri, fatta di norme tampone. Come quella che modifica parte della legge ex Cirielli, estendendo i benefici degli arresti domiciliari e della liberazione anticipata anche ai recidivi: coloro che hanno commesso un delitto non colposo, dopo essere stati già condannati per un altro reato. Norma che si scontra con la realtà. Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria): “Quando devono decidere se concedere o meno i domiciliari, i giudici si basano sulle informazioni degli organi di polizia. E in molti casi si convincono che è troppo rischioso mandare a casa un recidivo, anche perché esiste un problema di certezza della pena”. Un pm conferma: “Il principale risultato della svuota carceri sinora è stato quello di rallentare di qualche settimana l’entrata in carcere di qualche centinaio di detenuti: giusto il tempo che il giudice di turno esamini e respinga la richiesta”. La legge ha modificato anche l’articolo 280 del codice di procedura penale, escludendo la custodia cautelare in carcere per reati come la malversazione ai danni dello Stato (la commette chi intasca i soldi dei finanziamenti pubblici) e, soprattutto, il favoreggiamento e le false informazioni ai pubblici ministeri. Crimini ricorrenti nelle inchieste di mafia, perseguendo i quali spesso le procure arrivano ai boss (un nome su tutti, Bernardo Provenzano). A fronte di un impatto numericamente risibile sul sovraffollamento delle carceri, l’effetto sulle indagini rischia di essere dirompente. Lo hanno spiegato sul Fatto diversi magistrati, tra cui il sostituto procuratore a Palermo Nino Di Matteo: “Con queste norme, il lavoro degli inquirenti diventa molto più difficile”. Era l’8 agosto. Poche ore dopo, il via libera definitivo alla legge. Il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta (Pd) celebrava così: “Il provvedimento influirà in modo sostanziale sul drammatico sovraffollamento delle carceri”. Molto meno entusiasta il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, che già prima del decreto ammise: “Questo non è uno svuotacarceri, ma impedirà l’entrata in galera di 3-4mila persone che non destano allarme sociale”. Previsione illusoria, stando ai numeri. Francesca Businarolo, deputata di M5S: “Ho visitato diverse carceri ultimamente, e non c’è stato alcun rallentamento nel flusso di reclusi. La verità è che la svuota carceri è stata fatta per due motivi: per propaganda, e per prorogare il commissario e il piano carceri, dietro a cui ci sono enormi interessi, perché prevede la costruzione di nuovi istituti. Noi abbiamo proposto un contro piano, grazie a cui si guadagnerebbero migliaia di posti tramite la ristrutturazione di carceri utilizzate male e di sezioni chiuse”. Giustizia: tossici e stranieri, gli “abusivi” in cella di Maurizio Gallo Il Tempo, 3 ottobre 2013 Dietro le sbarre 23mila detenuti non italiani e 16mila con problemi di droga. Dovrebbero scontare la pena nel loro Paese o in comunità. Non avviene mai. Indulto, “indultino” e amnistia sono un po’ come un antibiotico utilizzato troppo spesso. Utili nel breve periodo per svuotare le prigioni ma del tutto inefficaci per mantenere il popolo delle celle nella norma, cioè in condizioni umanamente accettabili. Anche lo sviluppo dell’edilizia carceraria, una promessa ripetuta periodicamente e mantenuta raramente, rappresenterebbe un palliativo se non accompagnata da un’adeguata politica penitenziaria. Ma per risolvere l’emergenza-carceri basterebbe forse una sola iniziativa, che ridurrebbe di colpo il numero dei reclusi della metà: far scontare la pena in patria agli stranieri dopo l’espulsione e ai tossicodipendenti in una comunità di recupero. In Italia dietro le sbarre ci sono circa 23mila non italiani e 16mila “drogati”, per un totale di 39mila persone. Visto che a settembre i galeotti nei 206 istituti dello Stivale erano 65mila, il calcolo è presto fatto: nelle celle ne resterebbero “solo” 26mila. Ma ecco i dati segreti del Dap. Alla fine del 1991 i detenuti stranieri erano il 15,13% del totale. Il loro numero, però, è cresciuto anno dopo anno per effetto delle massicce ondate di immigrazione. Nel 2001 erano già il 29,57%, nel 2001 il 35,19. La classifica delle nazionalità vede al primo posto i marocchini, che lo scorso 30 giugno erano 4.384. A seguire i romeni (3.706) e gli albanesi (2.882). I tunisini si aggiudicano il quarto posto con 2.834 unità, i nigeriani il quinto con 980, gli egiziani il sesto con 471, i senegalesi il settimo con 403. Poi vengono i moldavi (244), i cinesi (308), i bosniaci (224), gli indiani (124), i georgiani (207) e i macedoni (120). Le nostre prigioni detengono anche uomini e donne di Paesi molto lontani. Ci sono 21 afghani, 28 del Burkina Faso, tre delle Bahamas, diciotto israeliani, uno del Kyrgyzstan, due di Macao, due malesi, un birmano e persino un galeotto con il passaporto della Polinesia francese. Purtroppo il ricorso alle misure alternative al carcere, che potrebbe avere l’effetto di decongestionare le celle e far abbassare la tensione negli istituti di pena, è minimo. In base ai dati del Dap aggiornati allo scorso 31 luglio, c’erano solo 2946 detenuti che usufruivano della libertà vigilata, 194 di quella controllata (se la pena non è superiore ai 12 mesi), appena 11 in semi detenzione, che sostituisce le pene detentive brevi e comporta comunque l’obbligo di trascorrere dieci ore al giorno in carcere. La sospensione condizionale della pena, inoltre, riguarda solo sei persone. Per non parlare del lavoro, che potrebbe rappresentare per i carcerati non solo un modo di trascorrere il tempo in modo proficuo ma anche la copertura di alcuni servizi utili alla società. Eppure, sempre a luglio, i detenuti che avevano il permesso di svolgere un lavoro di cosiddetta “pubblica utilità” erano soltanto 301, mentre quelli sanzionati per violazione del codice della strada, 4.264 e quelli adibiti a un lavoro esterno 563. Insomma una piccola percentuale della popolazione penitenziaria, non più ampia dell’8% e pari a un detenuto su tredici. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: tensioni, proteste, suicidi e rivolte. Uno che di carcere se ne intende, il garante per i detenuti del Lazio Angiolo Marroni, ha puntato l’indice anche sulla carenza di agenti della penitenziaria. Secondo stime citate da Marroni, infatti, “in servizio nelle 14 carceri del Lazio e nell’istituto minorile di Casal Del Marmo ci sono il 25% di agenti in meno rispetto a quanto previsto dalla dotazione organica, cioè 3.166 effettivi contro i 4.136 previsti. Una dotazione inadeguata alle necessità - continua il garante - Basti pensare che nel 2001 l’Amministrazione Penitenziaria aveva determinato un organico di 4.136 agenti a fronte di 5.397 detenuti, mentre oggi, con oltre settemila detenuti presenti, gli agenti dovrebbero essere sempre gli stessi”. Marroni fa notare, poi, che in quasi tutte le carceri “non ci sono più i vicedirettori e a Rebibbia Reclusione il direttore è part-time perché si occupa anche della scuola di Polizia Penitenziaria di via Brava, così come a Rebibbia Nuovo Complesso, uno degli istituti più grandi d’Italia, con circa 1800 ristretti, è senza direttore effettivo da più di due anni”. Un altro problema nei penitenziari del Belpaese è quello del diritto alla salute. “Quotidianamente - osserva ancora Marroni - riceviamo segnalazioni per attese di mesi per interventi chirurgici e per ogni tipo di prestazione, medici specialisti presenti in carcere poche ore al mese, come gli psicologi che devono occuparsi anche di centinaia di pazienti, per non parlare di appuntamenti e visite prenotate fuori dal carcere da mesi che saltano all’ultimo momento per mancanza degli agenti che dovrebbero garantire la scorta”. Il risultato è malessere, rabbia e aumento dei decessi. Anche per Marroni, infine, la soluzione passa per il ricorso più ampio a misure alternative. “Tutto ciò - conclude il garante - non è un libro dei sogni, ma la strada tracciata nella bozza del codice penale predisposta, due legislature fa, dalla Commissione presieduta da Giuliano Pisapia. Una bozza dimenticata in qualche cassetto del ministero della Giustizia”. Giustizia: ma la soluzione non è allargare le celle da incubo di Donato Capece (Segretario generale Sappe) Il Tempo, 3 ottobre 2013 Abbiamo già avuto modo di replicare alle affermazioni dei deputati M5S in relazione alla loro presunta ricetta per risolvere l’emergenza penitenziaria italiana. Al riguardo, non sappiamo quali siano le fonti dalle quali i parlamentari hanno attinto le notizie che supportano le proposte, ma abbiamo qualche sospetto che queste provengano direttamente da quegli uffici del Dap che sono stati esautorati da ogni competenza in materia di edilizia penitenziaria. Peraltro, probabilmente i deputati M5S non sanno che esiste un meccanismo normativo per il quale taluni funzionari del Dap che si occupano (si sono occupati) dal punto di vista progettuale di edilizia penitenziaria hanno (avevano) diritto a percepire una speciale indennità, commisurata in percentuale al costo complessivo dell’opera realizzata. Ovviamente, nessun dubbio sul fatto che certi apparati ministeriali non abbiamo affatto digerito né metabolizzato il sopraggiungere di un Commissario Straordinario, che li ha di fatto estromessi da ogni competenza e prerogativa. Probabilmente i parlamentari M5S non sanno nemmeno dei tempi e dei costi degli istituti penitenziari prima dell’avvento del piano carceri: si parlava di più di dieci anni di tempo e di costi superiori ai 60 milioni di euro per realizzare un carcere da 300 posti detenuto. Per non parlare dei casi limite come Arghillà, ci sono voluti 25 anni, oppure Gela che ha raggiunto i tempi record di 50 anni. Fa sorridere, quindi, oggi sentir vantare le capacità del Dap al confronto del Commissario Straordinario. Oltremodo, il Commissario Straordinario è, comunque, un organismo terzo - autonomo dagli “apparati” - che può agire in piena autonomia e, soprattutto, è un organismo che può essere facilmente avvicendato e con esso l’intero staff che lo compone. Si pensi invece che alla Direzione Generale dei Beni e Servizi del Dap (competente per l’edilizia penitenziaria) ci sono (o ci sono stati) gli stessi funzionari e dirigenti per decine e decine di anni. Per entrare nel merito della proposta “5 stelle” osserviamo, innanzitutto, che l’unificazione delle celle per crearne di più grandi con più detenuti andrebbe a configgere con i criteri minimi richiamati dalla sentenza della Cedu in tema di spazi, luce e vivibilità, in particolare con i servizi igienici unici per troppe persone. Per quanto riguarda i minori costi attribuiti al Dap per le ristrutturazioni (50.000 euro posto detenuto) va eccepito che la recente ristrutturazione di Arghillà a cura del Commissario è costata 30.000 euro a posto. Per altro verso, invece, gli appalti per i nuovi istituti aggiudicati dal Dap prima del Piano carceri sono stati conclusi a 75.000 euro a posto detenuto a fronte dei 60.000 euro stabiliti dal Commissario. Per quello che attiene, infine, ai risultati del Commissario, vorremmo partecipare agli onorevoli pentastellati, che grazie al piano carceri, negli ultimi tempi sono stati attivati, o stanno per essere attivati, quasi 2.000 nuovi posti detenuto; più precisamente: Reggio Calabria Arghillà, nuovo istituto, 314 posti. Sassari Bancali, nuovo istituto, 465 posti. Cagliari Uta, nuovo istituto, 586 posti. Ariano Irpino, nuovo padiglione, 200 posti. Carinola, nuovo padiglione, 200 posti. Altrettanto merito del Piano Carceri e del Commissario Straordinario, l’apertura di 6 cantieri: Trapani, Siracusa, Caltagirone più Parma, Milano e Taranto in fase di precantiere. Tanto è doveroso comunicare per smentire nella maniera più assoluta la migliore efficienza del Dap, precedente al piano carceri, rispetto al Commissario che, del resto, laddove le cose avessero funzionato non avrebbe mai avuto ragione di esistere. Giustizia: il grande bluff del braccialetto elettronico, spesi 100 milioni € per 14 detenuti di Maurizio Gallo Il Tempo, 3 ottobre 2013 È successo pochi giorni fa. Ed è stata definita da tutti “una buona notizia”. Le commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera hanno approvato un emendamento del Pd, votato all’unanimità, sull’uso del braccialetto elettronico per gli stalker. Uno strumento che consentirebbe di monitorare gli spostamenti di chi ha il divieto di avvicinarsi alla casa della vittima delle sue persecuzioni. “Ci sono esperienze già in Spagna e in Franci in questo senso che hanno dato buoni risultati”, ha fatto notare la prima firmataria Alessia Morani. Peccato che quello del braccialetto si sia rivelato nel tempo un grande bluff. Nell’ultimo decennio, infatti, questo mezzo di controllo a distanza è costato oltre 100 milioni di euro ed è stato utilizzato pochissime volte. L’idea era, all’inizio, di adottarlo per chi sconta la pena agli arresti domiciliari, risparmiando così in controlli periodici e, di conseguenza, “liberando” personale delle forze dell’ordine per altre, più proficue, attività. Tutto comincia nel 2001, quando a Palazzo Chigi c’è Giuliano Amato. In quell’anno viene siglata una convenzione “sperimentale” limitata a cinque province, cioè Roma, Milano, Napoli, Torino e Catania. Nel 2003 l’iniziativa viene estesa dal nuovo ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu a tutto il territorio nazionale e Telecom ha il compito di gestire 400 dispositivi di controllo. Ma in funzione ne entrano soltanto 14. Un dettaglio che non sfugge alla Corte dei Conti. Nel settembre 2012 la magistratura contabile fa notare che la gestione è stata “antieconomica e inefficace” e il costo del sistema ha superato i dieci milioni annui, cioè 81 milioni in otto anni (2003-2011). “Una spesa elevatissima”. Due anni fa arriva la scadenza del contratto con Telecom. Il ministro Annamaria Cancellieri, appena approdata al Viminale, rinnova la convenzione per sette anni, fino al 2018. Una decisione stigmatizzata dalla Corte dei Conti, che il 13 settembre 2012 scrive: “Il rinnovo della convenzione ha reiterato una spesa antieconomica e inefficace, che avrebbe almeno dovuto essere oggetto di un approfondito esame anche da parte del ministero della Giustizia”. E non basta. Per i giudici il rinnovo è avvenuto a prezzi e prestazioni “non identici” a quelli precedenti e, quindi, è qualificato “inesattamente come una proroga” e avrebbe “dovuto o potuto essere oggetto di riflessione e/o di trattative, se non di comparazione con altre possibili offerte”. A giugno 2012, in seguito al ricorso di Fastweb, il Tar del Lazio dispone che la nuova convenzione dovrà essere oggetto di una gara. Telecom Italia e Viminale ricorrono a loro volta al Consiglio di Stato (che ancora deve decidere). Nel frattempo è stato stabilito che la convenzione, per “motivi di sicurezza”, si estinguerà solo alla fine del 2013. Giustizia: il silenzio imbarazzato sulla morte dei “secondini” di Maurizio Gallo Il Tempo, 3 ottobre 2013 Dieci nel 1997, altrettanti l’anno dopo, 6 nel 2000. Sessantaquattro in dieci anni. Sono gli agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita nell’ultimo decennio “contabilizzato” dal Dipartimento (Dap). Difficile risalire alle cause dirette e indirette di un gesto così estremo, intimo e personale. Ma sicuramente le disastrose e vergognose condizioni delle carceri italiane sono una concausa del drammatico fenomeno. E anche se dal 1997 al 2007 la percentuale è scesa dal 2,25% all’1,31 (ogni 10.000 agenti), il film della tragedia continua, purtroppo, ad essere proiettato negli strapieni e malandati istituti di pena dello Stivale. Da sottolineare, poi, che nel periodo di riferimento il tasso di suicidi nella popolazione italiana è stato di appena lo 0,67 per cento ogni diecimila abitanti. Chi è il responsabile di questo tragico stillicidio di vite? Quella dei “secondini” che si tolgono la vita è una vecchia battaglia di Marco Pannella che, oltre ai detenuti, è l’unico a parlare anche di chi è condannato senza condanna. Il Sappe punta l’indice sull’amministrazione penitenziaria, “che non perde tempo ad assumere decisioni assurde, come quella di far pagare i posti-letto agli agenti che vivono in caserma”, ma “non fa assolutamente nulla per il benessere del personale” e “continua a trascurare il problema”. Il sindacato ricorda, poi, “il caso del collega suicida nei pressi del cimitero del suo paese, Gesualdo, mentre si stava recando al lavoro nel carcere di Ariano Irpino il 12 agosto scorso”. Il quarto in due mesi. “Prima di lui - proseguono al Sappe - poliziotti penitenziari si erano tolti la vita a Roma il 19 giugno, a Marcellina il 7 luglio, e a Raffadali il 13 luglio”. Per il sindacato, “quattro agenti suicidi in due mesi sono davvero un’enormità, e sono stati finora sei i casi nel 2013”. Non solo. Dal 2000 a oggi circa 100 dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, fra poliziotti, direttori (come Armida Miserere a Sulmona), provveditori (come Paolino Quattrone in Calabria) hanno scelto di farla finita. “Va fatto qualcosa - insiste il Sappe - Benché i suicidi siano stati verosimilmente indotti dalle ragioni più varie, va comunque denunciato che i vertici del Dap trascurano colpevolmente questo grave problema. E le ricerche sul fenomeno dimostrano in alcuni casi una correlazione con lo stress lavorativo”. Giustizia: Pannella (Radicali); su carceri aspettiamo messaggio di Napolitano alle Camere Adnkronos, 3 ottobre 2013 “Dopo il voto di oggi, spero che si ricominci da domani a discutere anche sull’amnistia, dai referendum, in attesa del messaggio alle Camere che il presidente Napolitano ha annunciato pochi giorni fa a Poggioreale”. Lo ha detto Marco Pannella, in diretta a Radio Radicale. “Supplico il presidente di non ridurre il messaggio alle Camere solo alla richiesta di clemenza. A noi serve una grande riforma strutturale, come ha detto il ministro Cancellieri, che passa attraverso quella scelta, che nello stesso tempo - questo vorrei sottolineasse Napolitano - produca un atto volto a far uscire il nostro Stato dalla condizione tecnicamente criminale, di flagranza criminale contro lo Stato di diritto e i diritti umani”, ha concluso Pannella. Giustizia: la madre lancia una petizione on-line per Marcello Lonzi, a dieci anni dalla morte di Isabella Pascucci Articolo 21, 3 ottobre 3013 Marcello Lonzi è morto dieci anni fa nel carcere delle Sughere di Livorno. La madre Maria, che aspetta ancora verità e giustizia, ha lanciato una petizione su internet. Stamattina, la giornata di Maria è iniziata con un pensiero dedicato a Giuliano Gemma: “Riposa in pace…” scrive sulla sua bacheca Facebook. Poi, una sfilza di puntini sospensivi seguiti da un cuoricino. Lo stesso con cui chiude il suo saluto quotidiano a Marcello, il suo Marcello: “Buongiorno amore mio mi manchi”. Tutto rigorosamente in stampatello maiuscolo. Come sempre. Come ogni giorno. Maria Ciuffi urla così la sua rabbia. Quelle lettere maiuscole sono il suo modo per gridare più forte, e la bacheca del suo profilo rappresenta l’ennesimo campo di battaglia. Una battaglia tenace che ha un solo obiettivo: non arrendersi e conoscere la verità sulla morte di suo figlio, avvenuta dieci anni fa. Precisamente l’11 luglio 2003, quando al carcere delle Sughere di Livorno il detenuto Marcello Lonzi, di 29 anni, muore d’infarto - recita il referto dell’autopsia. Ma Marcello viene rinvenuto in una pozza di sangue, il volto gonfio, il corpo martoriato. La testimonianza di questa madre che chiede giustizia è fatta di tante domande senza risposta. Ma che una risposta la esigono. L’aspettano. La petizione online, promossa da Maria perché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo riesamini il caso Lonzi, oggi è a quota 20.395 firme. Il traguardo dei 25.000 è vicino. Poi, la speranza è che Strasburgo disponga la celebrazione di un processo. Com’è stato celebrato per il caso Cucchi. Perché della morte poco chiara di suo figlio, avvenuta ben dieci anni fa, si è sempre parlato poco? “Tutti mi fanno questa domanda. Non lo so: ma il mio caso è uscito poco dalla Toscana. All’Ansa di Firenze ho sempre fornito, di volta in volta, tutti gli aggiornamenti e i documenti. Ma l’unico che mi ha rivolto l’attenzione è stato Maurizio Costanzo, nel 2005. Mi chiamò per partecipare alla sua trasmissione e, nonostante l’ora - andava in onda alle 10,30 del mattino - mostrò foto, abbastanza crude, del corpo senza vita di mio figlio, infischiandosene della fascia oraria di garanzia. In diretta telefonica parlarono i medici del carcere, che io ho denunciato ora”. L’obiettivo della petizione online è in dirittura d’arrivo. E poi? “Aspetteremo una risposta da Strasburgo, dopo tanti rifiuti e due archiviazioni. L’ultima è stata quella del marzo scorso. Ero stata convocata dal Tribunale per il giorno 25, ma il 19 marzo vengo a sapere che il procuratore capo aveva archiviato di nuovo tutta la vicenda. Mi sono data una risposta: proprio l’indomani avrei dovuto depositare la foto dell’autopsia compiuta sul corpo riesumato di mio figlio. Si nota chiaramente che nella testa ci sono tracce di vernice blu. Questa fotografia non è stata ancora repertata e con quella foto io sarei arrivata senz’altro al processo, perché mio figlio non è nato con la vernice blu né con i buchi in testa, uno dei quali profondo fino all’osso”. Le fotografie, disponibili in rete, parlano da sole. Quali lesioni presentava il corpo di Marcello? “Anche quest’ultima archiviazione parla di morte per ‘grande infarto’. Ma un infarto provoca anche due buchi in testa, due denti rotti, la mandibola rotta, un polso rotto, un’escoriazione a ‘V’ e otto costole fratturate? Tutto nella parte sinistra del corpo. I risultati della riesumazione, compiuta nel 2006, parlano chiaro. Del resto, anche il mio medico legale afferma che Marcello sia morto di infarto: ma prima cos’è accaduto? Cosa ha provocato quel ‘grosso infarto’? Ecco perché sto lottando: sì, le foto parlano da sole. Non le ho fatte né ritoccate io. Le 12 fotografie a colori del copro di Marcello le ho avute dai carabinieri di Livorno. E il maresciallo, quando me le consegnò, mi disse di non guardarle da sola. Poi, ho capito perché: un conto era vedere Marcello in faccia, il giorno del funerale, un conto è stato vederlo con “la pelle fuori”. Cosa ricorda di quel luglio 2003? “Marcello è morto l’11 luglio, ma io sono stata avvertita il giorno 12 alle 13,20 - mi ricordo ancora l’ora - quando la notizia era già su tutti i giornali di Livorno. Io, a Pisa, invece, non ne sapevo nulla. Rincasai, quando suonarono alla porta: trovai la ragazza di mio figlio che piangeva disperata: “Marcellino è morto” mi fece. Non volevo crederle. Mi sono precipitata in carcere, a Livorno. Mi hanno fatto aspettare più di un’ora e mezzo, sotto il sole di luglio, fuori dal penitenziario. Venivano al cancello, mi guardavano, io chiedevo del direttore, del comandante; mi dicevano di aspettare, aspettare, e andavano via. Alla fine, fui ricevuta da due ispettori: avevano il giornale sulla scrivania, con le foto di mio figlio in prima pagina, e istintivamente uno dei due lo rivoltò perché non le vedessi. Gli dissi: “È inutile che le copre: le ho già viste”. Mi risposero solamente: “Che cosa vuole da noi?”. E quando dissi che volevo vedere mio figlio, risposero che non era già più lì. Che già gli stavano facendo l’autopsia”. Un’autopsia lampo? “Sì: non ho avuto neanche il tempo di nominare un mio perito di parte. Alle 15,30 ero a Livorno e l’autopsia era già iniziata. Marcello è morto di venerdì e alcuni medici legali di Pisa mi hanno spiegato che, solitamente, occorre qualche giorno perché l’esame medico legale venga effettuato. E con il sabato e la domenica di mezzo, in circostanze normali, l’autopsia sarebbe stata fatta di lunedì. Perché tutta quella fretta? Non volevano che io potessi vedere il corpo di mio figlio e notare qualcosa? Ma non è servito lo stesso: potevano farla franca se non gli avessero toccato il viso. Quando l’ho visto nella bara, il giorno del funerale, era vestito. Il corpo era coperto. Ma il viso no, non era quello di mio figlio: ho notato i segni, il viso spaccato. Ho pensato immediatamente solo una cosa: “È stato picchiato”. Le indagini e la ricostruzione di quell’11 luglio cosa dicono? “Il compagno di cella aveva dichiarato di aver udito un tonfo, di essersi svegliato di soprassalto e di aver pensato che Marcello fosse caduto dal letto. Ma che vuole prendere tutti per il culo? Che uno cade da un letto e si spacca tutto, in quella maniera? Anche gli atti mostrano tutta una serie d’incongruenze: le dichiarazioni, sia dei detenuti che delle guardie, sono discordanti e non combaciano come orari. Ma quello che ho potuto dedurre da queste dichiarazioni è che la mattina mio figlio aveva avuto uno scontro verbale con un appuntato che però, come dichiarano anche gli altri detenuti, era finito lì. Anzi, alcuni detenuti dichiarano al pm che Marcello era buono con tutti e che quella discussione non aveva avuto strascichi. Negli atti c’è anche scritto che quell’appuntato era soprannominato Tavernello, come il vino, perché - mi spiegarono - beveva. Anche in servizio”. E poi? Cosa è accaduto? “Ho ascoltato alcune dichiarazioni rilasciate dai testimoni al pm: dopo quell’alterco, altri detenuti dichiarano di aver visto passare mio figlio, chiamato da una guardia. Chiamato perché? E per essere portato dove? Poi, nessuno lo vede più. Alle 15,30 - dichiarano -tutte le celle vengono chiuse. Tutti blindati dentro. “Si sente correre su e giù e voci sconosciute” si legge negli atti. Quello “sconosciute” sta per voci di guardie che i detenuti non udivano tutti i giorni. Erano presumibilmente i carabinieri. E poi, concludono: “Solo all’indomani si viene a conoscenza che Lonzi è morto”. A che ora sarebbe deceduto suo figlio? “Avevano sempre dichiarato alle 20,14. Ma le verifiche più recenti hanno dimostrato che non aveva cenato e che la morte è da collocare nelle prime ore del pomeriggio. Il che combacerebbe. E poi, se Marcello è morto d’infarto, perché una guardia sarebbe dovuta correre in infermeria, quel pomeriggio, e urlare all’infermiera: “Corri, corri, Lonzi mi è morto tra le mani”? Lo ha dichiarato un detenuto che si trovava in infermeria in quel momento, aggiungendo che la guardia aveva la divisa in disordine e che, appena lo vide, gli intimò in malo modo di andarsene via. E poi, se Marcello è morto di infarto, perché il magistrato e i medici legali hanno effettuato il confronto tra le dimensioni delle chiavi delle celle in dotazione alle guardie ed i segni e le ferite - assolutamente lineari - sul volto di mio figlio, dal sopracciglio fino al labbro? Due di queste chiavi non combaciavano, ma la terza aveva molti elementi di compatibilità con le lesioni, come dichiarato anche agli atti”. Lei ha lottato tanto e lotta ancora per conoscere la verità e avere giustizia. Cosa ha fatto finora? “Ho presentato tre denunce: la prima, il 10 dicembre 2004. In seguito alla prima archiviazione, ho denunciato il pm. Mi archiviarono la denuncia al pm, ma mi fecero riaprire il caso, nel 2005: era quello che volevo. Così, mi fu accordata anche la riesumazione della salma di mio figlio, compiuta nel 2006. Sul corpo, dopo tre anni dalla morte, erano ancora evidenti alcune tracce ematiche sulla schiena. E le costole rotte non erano due, come aveva scritto il medico legale che compì la prima autopsia a Livorno, bensì otto. E la riesumazione mostrò anche la frattura al polso e altri elementi omessi dalla prima autopsia. Insomma, io voglio solo la verità: ho compiuto tutto l’iter possibile e sono ricorsa anche alla Cassazione, nel 2011. Dopo solo cinque giorni, hanno risposto alla mia richiesta di riaprire il caso con una sola parola: “irricevibile” e con una nota spese di 500 euro. Hanno ucciso mio figlio e devo pagare 500 euro di spese per non ricevere risposta? Piuttosto, sconto cinque giorni agli arresti domiciliari. E anche se volessi, quei soldi non li ho”. Qualche tempo fa lanciò la provocazione di vendere un rene per pagare le spese legali “Sì, perché non ho più nulla. Ho venduto anche quel poco di oro che avevo per pagare avvocati e medici legali. Ma io non mi sono mai fermata e non mi fermo ora. Voglio un processo, mi sto battendo per questo: due volte l’ho chiesto e due volte il gip ha archiviato la mia domanda. Una mamma devo sapere perché suo figlio è morto”. Ma chi era Marcello? “Era solare, era sempre allegro. Aveva sbagliato, era stato arrestato per tentato furto ed era giusto che scontasse la sua pena. Ma morire così no. E, poi, sapeva farsi voler bene. Quando è morto arrivarono tre corone funebri, dalle tre sezioni del carcere da cui era passato. Evidentemente aveva lasciato un buon ricordo di sé. E poco tempo fa, mi ha scritto un signore. Mi ha detto che Marcello aveva lavorato nella sua ditta e che si ricordava del suo sorriso. Rideva sempre, era sempre sorridente. Marcello era fatto così”. Toscana: assistenza psicologica in carcere, dalla Regione 300.000 euro per migliorarla met.provincia.fi..it, 3 ottobre 3013 La Regione destina 300.000 euro per il miglioramento dell’assistenza psicologica ai detenuti delle carceri toscane. Lo stanziamento è stato deliberato nel corso dell’ultima seduta di giunta, su proposta dell’assessore al diritto alla salute Luigi Marroni. La cifra sarà distribuita tra tutte le 10 aziende sanitarie in cui sono presenti istituti penitenziari (Massa Carrara, Lucca, Prato, Pisa, Livorno, Siena, Arezzo, Grosseto, Firenze, Empoli), per l’attivazione di progetti specifici. “Già nel biennio precedente - sottolinea l’assessore Marroni - sono stati realizzati progetti di assistenza psicologica in carcere, finanziati dalla Regione e progettati e attuati direttamente dalle Asl, che hanno avuto ricadute positive sullo stato di salute della popolazione detenuta. Per questo si è scelto di continuare a sostenere progetti mirati di assistenza psicologica”. Ogni azienda sanitaria dovrà presentare un progetto teso a contrastare il disagio psicologico indotto dalla detenzione, con azioni mirate, realizzate grazie all’inserimento di psicologi. Pisa: Capece (Sappe); spesi 5 milioni di euro per un reparto detentivo inesistente Comunicato stampa, 3 ottobre 3013 Si è conclusa da poco la visita nel carcere di Pisa di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri. Ed il giudizio è impietoso: “È un carcere fermo a trent’anni fa, nel quale tutti o quasi i cancelli interni si aprono ancora manualmente dagli Agenti di Polizia Penitenziaria - altro che cancelli elettrici e ricorso alle nuove tecnologie! -; in cui c’è un Centro Clinico che ha bisogno di urgenti interventi di ristrutturazione ma sembrano mancare i soldi per farli; in cui, nonostante siano stati spesi ben 5 milioni di euro, è ancora in alto mare la costruzione di una nuova sezione detentiva per 50/60 posti. Insomma, un penitenziario con mille criticità rispetto al quale il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed il Ministero della Giustizia dovrebbero intervenire con urgenza”. Capece sottolinea che “nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento della struttura pisana, un grande plauso va fatto ai poliziotti penitenziari in servizio che credono nel proprio lavoro, hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando atti di autolesionismo, risse e tentativi di suicidio dei detenuti”. “Certo bisogna denunciare le contraddizioni evidenti, come quella di avere un Centro Clinico che ha bisogno di urgentissimi e strutturali lavori di manutenzione e di aver invece speso 5 milioni di euro per una sezione detentiva che a tutt’oggi è tale solo nei progetti. E questo aggrava il lavoro dei poliziotti penitenziari e la dignità stessa della pena”, conclude. Firenze: posti letto per i detenuti nell’Ospedale di Careggi, il sì della Regione Toscana Ansa, 3 ottobre 2013 La Giunta regionale dovrà individuare spazi per una possibile predisposizione di posti letto riservati al ricovero ordinario di detenuti all’interno della struttura ospedaliera di Careggi a Firenze. Lo prevede una mozione presentata da numerosi consiglieri regionali, prima firmataria Marta Gazzarri (Idv), ed approvata all’unanimità dal Consiglio. Nel testo si rileva che nell’Area vasta Centro, comprensiva di Firenze, Prato e Pistoia, vengono garantiti attualmente 4 posti letto nell’ospedale di Prato, a cui se ne dovrebbero aggiungere altri 4 nel nuovo ospedale di Pistoia e 2 posti nel reparto malattie infettive di Careggi. La mozione ricorda che uno studio dell’Agenzia regionale di Sanità, relativo al 2012, mostra che sette reclusi su dieci presentano almeno una patologia, soprattutto disturbi psichici, malattie infettive e disturbi dell’apparato digerente. Trapani: carceri sovraffollate e personale ridotto all’osso, la denuncia dei sindacati di Vincenza Grimaudo Quotidiano di Sicilia, 3 ottobre 2013 Nella struttura di Favignana il personale è stato ridotto di 24 unità, aggravando le condizioni già pessime. Troppi detenuti e poche forze dell’ordine nei penitenziari della provincia trapanese. Le carceri della provincia trapanese sempre più ai margini. Strutture dimenticate, condizioni di invivibilità, sovraffollamento perenne e carenza di uomini e mezzi delle forze dell’ordine. Certamente la situazione più difficile la vive il carcere di San Giuliano tra Trapani ed Erice dove ogni detenuto ha appena 4 metri quadrati da potere calpestare. Ci sono infatti celle di 19 metri quadri capaci al massimo di contenere 4 persone e invece adattate per 6. Sono questi gli effetti del sovraffollamento alla casa circondariale trapanese dove risultano 121 detenuti in eccesso. L’istituto penitenziario conta, infatti, 511 reclusi a fronte di una capienza massima di 390. Affollati tutti i reparti. Sono 68 anziché 44 i carcerati della sezione protetti (soggetti a rischio, detenuti per reati sessuali e collaboratori di giustizia), 105 nel reparto di alta sicurezza (per i reati di associazione mafiosa), 10 in isolamento, 302 nella sezione comune, 7 i beneficiari dell’articolo 21 (soggetti che per buona condotta svolgono lavori all’esterno), 5 in regime di semilibertà e 14 donne. Corsi professionali, attività scolastica e volontariato impegnano 300 detenuti, un parco giochi offre in estate a padri e figli la possibilità di incontrarsi in un ambiente sereno. Ad aumentare l’affollamento del carcere di Trapani, dallo scorso anno, ha contribuito la chiusura del penitenziario di Marsala, soppresso dal ministero della Giustizia, perché considerato vetusto. Le cose vanno anche peggio a Favignana dove è stato proclamato lo stato di agitazione dei poliziotti penitenziari in servizio al carcere dopo che l’amministrazione centrale ha deciso di ridurre di 24 unità il personale impiegato nella struttura dell’Isola ritenendolo in esubero. A darne notizia, in una nota, è il coordinatore regionale della Uil penitenziari Sicilia Gioacchino Veneziano che, insieme al segretario provinciale Uil penitenziari Fabio Adragna e al componente della segreteria Michele Soldano, ha partecipato a una riunione a Favignana incontrando il direttore del carcere Giuseppe Barraco. “Il direttore - afferma Veneziano - mi ha informato che le 24 unità di personale non sono affatto in esubero, ma essenziali al corretto funzionamento della struttura di detenzione secondo gli standard di sicurezza. Di conseguenza, ho deciso di chiedere un incontro urgente con il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria per analizzare meglio insieme la pianta organica e capire che soluzioni adottare”. Dalla carenza di acqua agli spazi ristretti sono molti i disagi per i carcerati A Trapani venne impiegato come carcere fino al 1965 il Castello della Colombaia. L’odierna struttura, progettata dall’architetto Giovanni Patti e pronta nel 1958, occupa un’estensione di 92.451 mq. Due anni fa l’allora ministro della Giustizia Alfano annunciò la costruzione di un altro padiglione del carcere per ospitare altri 200 detenuti, ma il progetto non si è mai realizzato. Così come il Governo ha tagliato il progetto di costruzione del nuovo carcere di Marsala, che sarebbe dovuto sorgere in Contrada Scacciaiazzo. Una delegazione del Partito Radicale, che ha visitato il carcere di San Giuliano nel 2012, ha denunciato alcune mancanze, tra cui la carenza dell’acqua, “che viene erogata per poche ore al giorno, per cui i detenuti benestanti possono permettersi quella minerale mentre gli stranieri, o anche gli italiani indigenti, sono costretti a bere l’acqua del rubinetto, il cui colore, nonostante le passate certificazioni dell’Asp, non è rassicurante”. Catania: Sappe; mezzi guasti e personale ridotto, a rischio le traduzioni dei detenuti La Sicilia, 3 ottobre 2013 “C’è il serio e fondato rischio che nelle prossime settimane la Polizia Penitenziaria non sia più in grado di assicurare il servizio istituzionale del trasporto dei detenuti - le cosiddette “traduzioni” - ristretti nella provincia di Catania, e cioè delle carceri di Bicocca, piazza Lanza, Giarre e Caltagirone. Abbiamo 32 mezzi in dotazione al Nucleo operativo provinciale traduzioni e piantonamenti di Catania fermi in attesa di riparazioni che non possono essere eseguite perché mancano i soldi, tanto che è lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) a comunicarlo ufficialmente nelle note di risposta alle lettere delle Direzioni delle carceri che chiedono, appunto, fondi per le riparazioni. Sono centinaia in tutta Italia. Non solo: tanti mezzi hanno oltre 300, 400 e persino 500 mila chilometri “sulle spalle” e persino procedure obbligatorie di sicurezza come i periodici collaudi non vengono osservate proprio perché non ci sono soldi. E’ una situazione catastrofica: questo deve fare seriamente riflettere sui gravi rischi che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria quotidianamente affrontano nel trasportare i detenuti”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, che ha inviato ieri l’altro una lettera di denuncia al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, al sottosegretario Giuseppe Berretta e ad altre autorità nazionali, regionali e cittadine. “Denuncio una volta di più le quotidiane difficoltà operative con cui si confrontano quotidianamente le unità di Polizia Penitenziaria in servizio nei Nuclei Traduzioni e Piantonamenti dei penitenziari: agenti che sono sotto organico a Catania di 80 unità, non retribuiti degnamente, impiegati in servizi quotidiani ben oltre le 9 ore di servizio, con mezzi di trasporto dei detenuti spessissimo inidonei a circolare per le strade del Paese, fermi nelle officine perché non ci sono soldi per ripararli o con centinaia di migliaia di chilometri già percorsi. E si pensi che la maggior parte dei 900 detenuti dei penitenziari catanesi sono di media e alta pericolosità, in prevalenza appartenenti alle ben note consorterie criminali etnee, e che nell’ultimo anno sono stati circa 9.000 i detenuti tradotti con un impiego complessivo di circa 16mila poliziotti”. Capece ricorda che a breve sarà aperto il “reparto di medicina protetta già inaugurato all’ospedale “Cannizzaro”, struttura sicuramente ottimale per le necessità operative, ma per la cui fruibilità è indispensabile l’impiego di almeno 15 unità, che non possono minimamente essere sottratte dall’attuale organico già disastrato del Nucleo”. Il segretario generale del Sappe, a tal proposito, lamenta anche il blocco del turn over (37 unità mai rimpiazzate dopo trasferimenti, rientri nei reparti di provenienza, pensionamenti), nonché la circostanza che fino a pochi giorni fa non vi era neppure la disponibilità di personale femminile da adibire ai servizi di scorta - una è stata inserita appena lo scorso 24 settembre - benché giornalmente da Palermo vengano disposti trasferimenti nella casa circondariale di piazza Lanza. Infine, ma non per ultimo, viene posto l’accento sulla mancanza di fondi per anticipi missione e sistematici ritardi nei pagamenti delle indennità, queste ultime pagate ogni sei mesi a differenza dei trenta giorni previsti dalla normativa vigente. Capece conclude la sua nota sollecitando l’invio a Catania di almeno 45 unità fra uomini e donne, l’invio dei fondi necessari per rimettere in strada i veicoli guasti, per pagare indennità accessorie e di trasferta, per erogare gli anticipi per i servizi in missione. Lucca: Sappe; scarichi a cielo aperto e piccioni nei reparti, il carcere va chiuso di Roberto Salotti www.luccaindiretta.it, 3 ottobre 2013 Nel cortile del carcere di Lucca sei tombini sono scoperti. Divelti, restano lì a testimoniare un degrado, cui perfino i detenuti hanno cercato, in qualche modo, di porre rimedio. Da lì escono gli scarichi, e alcuni di loro hanno coperto i fori con degli aghi di pino. Non è servito a molto, ma soprattutto non ha scoraggiato nuovi episodi di violenza all’interno delle mura della casa circondariale San Giorgio. È il racconto che fa oggi (2 ottobre) il segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, all’uscita dall’incontro con il direttore Francesco Ruello. “È uno schifo”, sono le prime parole che dice. “Questo carcere va chiuso e ne deve essere ricostruito un altro, oppure devono ridurre i detenuti, sfollando la terza sezione dove ci sono i casi più difficili, compresi quelli psichiatrici”. Una richiesta scandita con parole che non lasciano adito ad equivoci in via San Giorgio, e che sarà girata al ministero e all’autorità carceraria. Non sembra essere certo stata una visita di piacere quella del segretario Sappe a Lucca. La questione dei tombini divelti e non rimossi in cortile è solo una goccia, secondo Capece, rispetto al “mare di cose che non vanno”. E proprio oggi, mentre il segretario giungeva in città, il detenuto che la scorsa settimana ha ferito un agente con uno di quei tombini, si è ferito da solo, tanto da dover essere condotto al pronto soccorso. Un altro caso di autolesionismo all’interno delle mura del carcere. “La situazione è esplosiva - commenta Capece - e gli agenti della polizia penitenziaria vengono lasciati a loro stessi”. Sono 97, contro 165 detenuti - dato aggiornato a metà del pomeriggio. Ora sono tutti molto preoccupati anche perché da qualche mese l’archivio del carcere è stato affidato ad un detenuto. “Dire che siamo stupiti è poco - sottolinea Capece -: in quell’archivio ci sono i documenti personali e i dati degli agenti, compresi indirizzi e numeri di telefono. Non solo. In quella documentazione ci sono perfino indicazioni su eventuali prestiti o mutui chiesti a finanziarie o banche da parte del personale. Non ci si rende conto che se quei dati vanno in mano agli altri detenuti rendono ancora più vulnerabili gli agenti?”. Una questione segnalata ancora una volta al ministero e all’autorità carceraria sulla quale oggi c’è stato anche un confronto con il direttore Francesco Ruello: “Ci ha detto che l’affidamento - racconta Capece - non è in contrasto con alcun regolamento e che non c’è niente di male. Noi la pensiamo diversamente e vorremo andare in fondo all’intera questione”. Il principale problema, secondo il sindacato, resta comunque quello della sicurezza della casa circondariale. Una necessità che per Capece “il direttore e il comandante non assicurano a dovere - attacca: non c’è una progettualità, non c’è l’intenzione di rivedere, nei limiti del possibile, l’organizzazione interna. Non c’è soprattutto l’idea di impiegare in qualche maniera i detenuti, che vengono lasciati chiusi nelle celle 20 ore su 24. È questo il motivo della tensione che si è venuta a creare all’interno del carcere e che da quando è stata riaperta la terza sezione, ovvero dall’inizio di agosto, è alla base dei dieci episodi registrati fino ad oggi, tra risse, aggressioni e autolesionismi”. Una dura critica che Capece fa all’amministrazione del carcere: “Ci siamo già rivolti alle autorità competenti - sottolinea - per chiedere l’avvicendamento del direttore e del comandante, perché se non sono garantite sicurezza e igiene all’interno del carcere, come crediamo, la responsabilità è in capo a loro”. Carcere da chiudere “Una situazione così non l’ho riscontrata in nessun altro carcere della Toscana”. Donato Capece è categorico. Giunto in Toscana per rendersi conto di persona della situazione all’interno di alcune case circondariali della Regione, non usa mezzi termini quando esce dal San Giorgio: “Il problema che ci sta più a cuore e che abbiamo chiesto di risolvere al direttore - dice - è la terza sezione: si tratta di un’area riaperta dal 1 agosto scorso nella quale sono collocati detenuti molto difficili: tutti stranieri, molti con problemi psichiatrici. Sono in 3 o 4 per cella, chiusi per 20 ore al giorno. Una situazione che genera particolare tensione e che gli agenti presenti così stando le cose non possono gestire. Non è nemmeno più una questione di rapporto tra numero di detenuti e personale della polizia penitenziaria. Il problema è che non ci sono progetti per evitare episodi di violenza, magari impegnando alcuni dei detenuti in attività che portino ad un recupero: se la situazione resta così a mio parere questo carcere va chiuso e ne va realizzato un altro. Gli enti locali, e soprattutto il Comune, non possono continuare ad ignorare la situazione, ma la devono risolvere”. Settori ristrutturati e inutilizzati Oltre al problema sicurezza nel carcere, Capece segnala anche quello dell’igiene e di alcuni settori di fatto inagibili o fatiscenti: “Le condizioni igieniche lasciano molto a desiderare, senza considerare che ci sono alcuni settori, come la sezione 8, su cui si è investito del denaro e che sono state ristrutturate ma che non vengono utilizzate”. “Sono diventate un ricovero per i piccioni”, spiega un agente della polizia penitenziaria: “E sono pressoché inutilizzate”. Come il settore 4, chiuso a suo tempo dall’Asl perché non c’era l’abitabilità: “Il soffitto è troppo basso e non ci si passa”, commentano degli agenti. Nel mirino anche il muro di cinta: “È troppo basso e deve essere messo in sicurezza - dicono alcuni agenti -: ci sono dei cavi elettrici sparsi a terra che possono provocare cadute e essere pericolosi. Non sono mai stati sistemati, nemmeno quando un anno fa un collega cadde e si fece male”. Fumo passivo, scattano i ricorsi Un problema non secondario per gli agenti della polizia penitenziaria è quello del fumo passivo. Una campagna è partita dal sindacato Sappe a livello nazionale, ma anche a Lucca sono pendenti ricorsi contro l’amministrazione carceraria presentati da alcuni agenti: “I detenuti fumano ovunque - dice uno di loro - e nessuno glielo impedisce”. Detenuto archivia gli atti Ma uno dei casi che continua a scatenare la protesta tra gli agenti è l’affidamento dell’archivio del carcere ad un detenuto: dopo la lettera di chiarimento inviata dai sindacati (firmata non soltanto dal Sappe, ma da tutte le sigle) al direttore del carcere, e rimasta finora senza risposta, due agenti hanno messo tutto nero su bianco, inviando una relazione a Ruello in cui si illustrano le criticità. “Oggi ci è stato detto - sottolinea Capece - che tutto è regolare ed è conforme al regolamento. Noi crediamo invece che vadano evitate in tutti i modi circostante che possano esporre a rischi di qualunque tipo il personale che vigila ogni giorno sulla sicurezza del carcere”. Bologna: intesa Cgm-Garante detenuti, Sportello per minori stranieri all’Ipm Pratello Ansa, 3 ottobre 2013 Un protocollo d’intesa per l’apertura di uno sportello di informazione giuridica e consulenza extragiudiziale per i minori stranieri e gli operatori (educatori e assistenti sociali) dell’istituto minorile Siciliani di via del Pratello a Bologna. Ne annunciano la firma per domani Paolo Attardo, direttore del Centro di giustizia minorile per l’Emilia-Romagna, e Desi Bruno, Garante regionale dei detenuti, che ha diffuso una nota. Oggi l’80% delle 24 presenze nell’Istituto è composto da giovani stranieri, dopo percentuali più alte arrivate fino al 100%. Sono stati gli operatori del Centro per la giustizia minorile (Cgm) di Bologna, organo locale del Dipartimento di Giustizia minorile (Dgm) impegnato anche in politiche di prevenzione verso il disagio minorile, a manifestare la necessità di una consulenza giuridica in merito alla condizione e al trattamento di minori stranieri. L’intesa prevede, per un anno (eventuali proroghe da concordare), una presenza fissa all’interno dell’istituto in collaborazione fra Cgm e Garante, con un esperto di diritto dell’immigrazione e, se necessario, un mediatore culturale. Gli obiettivi sono di offrire “supporto ai giovani dell’area penale interna ed esterna, principalmente di cittadinanza straniera”, quindi sul permesso di soggiorno, la cittadinanza italiana o lo status di apolidi, il rimpatrio assistito, la protezione internazionale, umanitaria, temporanea o sociale; “o per i quali non è stata avanzata alcuna richiesta di tutela; e ogni altra situazione che faccia riferimento all’esigibilità di diritti o opportunità previste dall’ordinamento vigente e dal Testo Unico sull’Immigrazione”. Allo Sportello, che offre anche materiale di informazione e aggiornamento sulla normativa di riferimento, potranno accedere sia gli operatori dei Servizi minorili, che direttamente i minori o giovani adulti tramite richiesta verbale o scritta alla Direzione dell’istituto o all’ufficio del Garante. Inoltre, all’istituto sono previsti incontri mensili tra un esperto di diritto dell’immigrazione e gli operatori per la valutazione dei casi segnalati. Al via in questi giorni i corsi scolastici: 5 ragazzi iscritti alle elementari e altri 5 alle medie inferiori; è in avvio il corso professionale a indirizzo alberghiero. Il Garante ha però nuovamente segnalato ritardi nel rendere agibile l’area cortiliva, ancora occupata da macerie ed erbacce, nonostante le ripetute segnalazioni del Garante al Ministero, al Dipartimento Giustizia Minorile e all’Ausl di Bologna, che in una relazione conferma tuttora l’inagibilità del cortile. Massa: detenuti lavorano in tribunale a riordinare archivi, ma c’è rischio fuga di notizie Il Tirreno, 3 ottobre 2013 Come in una specie di contrappasso, 10 detenuti lavorano al tribunale di Massa, a riordinare gli archivi. Un percorso di riabilitazione che non piace al sindacato di polizia Consap: “C’è un rischio di violazione di segreto d’ufficio e fuga di notizie”. Replica la presidente del tribunale: tutto sotto controllo è dal 2010 che si fa. Si chiama Apuane (Attività di pubblica utilità archivio nuova edizione) il progetto che ha portato 10 persone condannate con sentenza definitiva, a lavorare per sei mesi (che possono essere prorogati) presso gli archivi del Tribunale e della Procura della Repubblica di Massa allo scopo di riordinarli e per la risistemazione degli uffici e degli arredi. Si tratta di un percorso di riabilitazione originale che porta i detenuti a lavorare per migliorare la stessa struttura che li ha condannati: una specie di contrappasso educativo. “Obiettivo nobile e condivisibile quello di offrire ai detenuti un percorso riabilitativo che li aiuti nel futuro reinserimento nella società. Ma, per favore, non in un tribunale: c’è il pericolo di fuga di notizie e di violazione del segreto d’ufficio”. Così il sindacato di polizia Consap boccia il progetto che ha portato un gruppo di dieci persone condannate con sentenza definitiva, a lavorare presso gli archivi del tribunale e della procura della Repubblica di Massa. “Timori fuori luogo, allarme senza fondamento: quelle persone non hanno accesso ad alcun documento sensibile o “segreto”“, replica però immediatamente Maria Cristina Failla, presidente del tribunale e promotrice del progetto assieme alla direzione della casa circondariale e della Caritas. Una polemica di quelle capaci di suscitare contrasti profondi, perchè mette in gioco i concetti di “delinquenza”, “redenzione” e “onestà”. Il segretario provinciale del Consap Marco Morigoni non ha dubbi: “Non è assolutamente ammissibile che un percorso riabilitativo debba svolgersi all’interno di uffici giudiziari dove, ovviamente, sono conservati atti processuali, dati sensibili o personali che ipoteticamente quei soggetti potrebbero anche divulgare non essendo evidentemente tenuti al segreto d’ufficio. Ciò crea un reale pericolo di fuga di notizie che sarebbe pericolosissimo oltre che gravissimo. Per quale ragione si fa lavorare costoro in posti così delicati e particolari?” Secondo il sindacato la risposta è una: “Potrebbero essere impiegati in lavori socialmente utili con cui renderebbero un servizio forse anche più utile alla società come pulire la città, fare viabilità davanti alle scuole, tenere in ordine i giardini pubblici. Mentre, a quelle delicatissime mansioni, potrebbero essere destinati operatori specializzati, incensurati e soprattutto tenuti a mantenere il segreto d’ufficio”. La dottoressa Failla ha però tutt’altra visione e rassicura: “I detenuti inseriti nel progetto sono tenuti a rispettare i segreto d’ufficio. Come lo sarebbe qualsiasi altra persona a cui venisse affidato quel compito. Il loro lavoro, inoltre, non prevede l’accesso ad atti riservati o sensibili: semplicemente devono mettere in ordine cronologico fascicoli di procedimenti chiusi da almeno 5 anni e di sistemare gli uffici, spostando mobili e archivi. Tutto qui, nessun rischio per questa attività che viene, ovviamente sottoposta al controllo del tribunale”. E poi, chiude la presidente del tribunale, “questo percorso è iniziato nel luglio 2010 e da allora va avanti, senza nessun problema e con vantaggi per tutti” Genova: carcere di Marassi, 25enne marocchino ha tentato di impiccarsi con un lenzuolo Ansa, 3 ottobre 2013 Nel pomeriggio di ieri un carcerato ha tentato il suicidio. Il detenuto, un 25enne di origine marocchina, ha provato a togliersi la vita nella cella della seconda sezione detentiva del carcere. Secondo quanto riportato, il marocchino avrebbe preso un lenzuolo e avrebbe provato ad impiccarsi. Tempestivo l’intervento dei poliziotti penitenziari che sono subito intervenuti ed hanno impedito che l’uomo compisse quel tragico gesto. Venezia: la Camera penale ha organizzato per il 26 ottobre l’iniziativa “Cella in piazza” Ristretti Orizzonti, 3 ottobre 2013 La Camera Penale Veneziana ha programmato per la giornata di sabato 26.10.2013 l’iniziativa “cella in piazza”: una cella costruita dai detenuti del carcere Montorio di Verona, collocata in una piazza della città, quale occasione per sensibilizzare la cittadinanza sulla drammatica condizione del carcere nel nostro Paese. La medesima iniziativa è già stata realizzata in molte città italiane, dalle locali Camere Penali aderenti all’Ucpi. Trieste: in carcere nasce il Circolo Filatelico 26, un corso sulle collezioni di francobolli Il Piccolo, 3 ottobre 2013 Lo studio della storia dei francobolli e il collezionismo filatelico possono essere utilizzati utilmente come strumenti di rieducazione all’interno delle carceri. Da questi presupposti è nato quest’anno nella casa circondariale del Coroneo il nuovo Circolo Filatelico 26, seconda esperienza di questo genere in Italia dopo l’iniziativa pilota attuata nel carcere milanese di Bollate. Sono oltre una decina gli ospiti del Coroneo che hanno optato per questa opportunità di lavoro e riabilitazione, sostenuti e aiutati dallo Spazio Filatelia triestino di Poste Italiane e dal Circolo Filatelico Lovrenc Kosir di Opicina. Le lezioni di filatelia all’interno del Coroneo vengono tenute due volte al mese dal vicepresidente del Kosir Igor Tuta, coadiuvato dalla responsabile dello Spazio Filatelia Daniela Catone e dalla volontaria Carola Duranti. “Sulla scorta di quanto maturato nel primo corso filatelico organizzato da Poste Italiane nel carcere di Bollate, abbiamo presentato questo progetto a Trieste, trovando subito interesse e partecipazione da parte degli ospiti del Coroneo. Il Circolo Kosir, alcuni collezionisti privati e la nostra struttura - spiega Daniela Catone - hanno fornito i materiali didattici e di base per consentire ai novelli collezionisti di poter accedere all’affascinante e variegato mondo della filatelia. Francobolli e cartoline appagano il senso estetico e soprattutto consentono di conoscere la storia del nostro Paese e del resto del mondo attraverso modalità sintetiche ma esaustive”. Accanto alle nozioni tecniche e ai necessari rudimenti per impostare le rispettive raccolte, è importante sottolineare come l’iniziativa consenta ai carcerati di dialogare con persone che provengono dall’esterno. Pioniere di questa iniziativa il carcere di Bollate, che ha inaugurato le prime lezioni di filatelia nelle case circondariali attraverso un protocollo d’intesa sottoscritto da Poste Italiane, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ministero per lo Sviluppo economico, Federazione tra le società filateliche italiane e l’Unione Stampa Filatelica Italiana. Tra gli obiettivi del nuovo Circolo Filatelico 26 - che prende il nome dal numero civico del Coroneo - quello di realizzare nel 2014 una rassegna con le collezioni dei suoi associati. “C’è chi si è appassionato al mondo dei fumetti e dei film di Walt Disney - afferma la Catone, chi invece colleziona francobolli ispirati all’universo automobilistico; insomma, gli spunti non difettano proprio! Certo è che da quanto è emerso a Bollate, e da quanto stiamo osservando al Coroneo, la filatelia si presta in maniera significativa al recupero e alla rieducazione all’interno delle case circondariali”. Roma: assegnato il Premio “Goliarda Sapienza” al miglior racconto dal carcere La Repubblica, 3 ottobre 2013 “Pure in galera ha da passà ‘a nuttata”. Con questo racconto, la storia di un boss che spera di leggere il suo destino nelle carte e resta amaramente deluso, Giuseppe Rampello ha vinto la terza edizione del concorso “Racconti dal carcere” intitolato a Goliarda Sapienza. Uxoricida per amore (uccise a Roma, nel 2009, la moglie gravemente ammalata) Rampello sconta una condanna a 14 anni a Rebibbia dove, ieri pomeriggio, si è svolta la premiazione, davanti a una platea mista di carcerati, scrittori, giornalisti. Un concorso unico in Europa, quello organizzato da Antonella Bolelli Ferrera col patrocinio della Siae, della Rai e del Dap. Oltre quattrocento, quest’anno, i detenuti che hanno raccontato le loro storie, spesso sconvolgenti vicende umane di violenza, miseria, disperazione. Ai 25 finalisti è affiancato un tutor, uno scrittore di fama, da Erri De Luca a Giancarlo De Cataldo, da Cinzia Tani ad Andrea Purgatori. Rampello, il vincitore, era affiancato, sul palco, da Pino Corrias. Firenze: il regista Philippe Talard a Sollicciano prepara spettacolo teatrale “E-Vasione” di Costanza Baldini www.intoscana.it, 3 ottobre 2013 Dopo le creazioni nelle prigioni di Lussemburgo, Marsiglia, Roma, Berlino, e Ostrava il regista Philippe Talard presenta Dream Team # 6. Lo spettacolo intitolato E-Vasione sarà messo in scena da 25 artisti detenuti della casa Circondariale di Sollicciano il 28, 29 e 30 ottobre in prima nazionale. Alla produzione partecipano anche gli artisti professionisti: Laura Bandelloni (attrice), Ana Arroyo (ballerina), Ariana Vafadari (mezzo soprano), André Mergenthaler (violoncellista) e Radim Eliàs (funambolo). I laboratori teatriale di Philippe Talard tutti finalizzati con spettacoli per un pubblico di esterni e detenuti, hanno ricevuto ogni volta una grande adesione di pubblico. E-Vasione vuole aprire una finestra sull’universo carcerario e, nel testimoniare momenti di vita reale contrapposti ad altri di evasione mentale o spirituale, vuole anche esprimere il desiderio di poter tutti partecipare a un medesimo universo. Creare una visione artistica che realizza un’intensa interazione tra danza, musica, linguaggio video e testi poetici. Per assistere allo spettacolo è necessario prenotare entro il 14 Ottobre inviando la fotocopia del documento di identità al numero di fax 055.7372363. Nel fax dovrà inoltre essere specificato a quale delle tre date si vuole partecipare e riportare un recapito telefonico per eventuali comunicazioni. La persona che ha inviato i propri dati, dovrà presentarsi il giorno prescelto direttamente all’entrata del carcere con un documento, senza borse né cellulari. L’incasso della serata a offerta gratuita sarà devoluto in beneficienza ai detenuti che partecipano allo spettacolo. Per maggiori informazioni contattare: Andrea Baker 347.5644989 o info@krillteatro.it. Teramo: Progetto “1/3 Riccardo, spettacolo teatrale dei detenuti”, in scena il 5 ottobre www.abruzzo24ore.tv, 3 ottobre 2013 Sabato 5 Ottobre dalle ore 18,00 presso il Centro Culturale di Volontariato “L’Officina - Dalla Parte degli Ultimi” a Teramo in Via Vezzola n° 7/9 andrà in scena “1/3 Riccardo, spettacolo teatrale di detenuti” tratto dall’opera di William Shakespeare, messo in scena dal collettivo di detenuti della Casa Circondariale di Ascoli Piceno. “L’opera di William Shakespeare” aggiunge Giorgio Giannella “riadattata e allestita grazie al progetto di scrittura e lettura teatrale della casa circondariale di Ascoli Piceno, è una preziosa occasione per affrontare un tema attuale come quello delle carceri”. “Un modo concreto per promuovere una corretta interpretazione del ruolo sociale e culturale delle Case Circondarialie, per meglio assolvere la funzione rieducativa della pena”. Dopo l’interpretazione degli attori detenuti: Gianluca Migliaccio, Piero Renzi, Maurizio Candita e Salvatore Romano, interverranno la Direttrice della Casa Circondariale di Ascoli Piceno, Dott.ssa Lucia Di Feliciantonio, che illustrerà il progetto da cui è nato lo spettacolo e l’Associazione Tric-Trac, promotrice dell’iniziativa “T.I.C.” Teatro In Carcere a Castrogno. Continua Giannella “Riteniamo in questo modo di rispondere adeguatamente alla critiche superficiali e non prive di pregiudizio, di chi volutamente confonde il nostro impegno". Lo spettacolo avrà inizio alle ore 18,30 per garantire il rientro serale dei detenuti, per cui raccomandiamo la massima puntualità. Info: 366.6691912. Radio: carcere e musica nella trasmissione radiofonica Jailhouse Rock Ristretti Orizzonti, 3 ottobre 2013 Il primo Gr dal carcere curato interamente dai detenuti. Spazio alla cover band dei detenuti di Milano Bollate. Carcere e musica nella trasmissione radiofonica Jailhouse Rock. In onda in diretta tutti i venerdì sulla radio web della Cgil dalle 17 alle 18 e in differita su molte radio di Popolare Network (ad esempio Radio Città del Capo di Bologna tutti i sabato alle 14.00. Tutti le domeniche dalle 16.30 su Radio Popolare. Tutti i martedì su Contro Radio di Firenze dalle 23.30). Ogni puntata è dedicata a un musicista finito dietro le sbarre. La prima puntata sarà dedicata ai Beatles. Tre su quattro hanno vissuto l’esperienza dell’arresto. Solo Ringo Starr è ancora incensurato. Sia John Lennon che George Harrison sono stati arrestati da un sergente che aveva la fama di duro. Il suo nome era Norman Pilcher. Ce l’aveva con i rockers trasgressivi. Peccato che poi fu lui a essere arrestato e condannato a 4 anni di carcere perché si inventava le prove e per avere ostacolato il normale uso della giustizia. Ospsite della puntata Ricky Gianco, che racconterà il suo incontro con i Beatles. I detenuti del carcere milanese di Bollate reinterpretano con grande maestria Yesterday. L’anno scorso dopo un loro concerto fuori dal carcere con i Fratelli Righeira a Milano, sono stati chiamati in giro a suonare molte volte durante l’estate. Durante la trasmissione sarà trasmesso il Giornale Radio dal Carcere, curato direttamente dai detenuti di Milano Bollate e Roma Rebibbia. Ospiti fissi: Carmelo Cantone, provveditore regionale della Toscana e Lucia Pistella che racconterà barzellette hard. Il sesso in carcere è vietato. È questo un modo per rompere un tabù. Al centro il tema del lavoro in carcere e del duro lavoro degli operatori. La trasmissione è curata e condotta da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti di Antigone. Rossano Calabro: l’Istituto Musicale Donizetti in carcere con progetto “Note di Libertà” www.sibarinet.it, 3 ottobre 2013 Corsi di strumento musicale per supportare i detenuti nel percorso di recupero- Stamattina la prima lezione. E’ partito oggi martedì 2 ottobre il nuovo progetto ideato dall’Istituto Musicale Donizetti di Mirto Crosia in collaborazione con la Casa Circondariale di Rossano, finalizzato a diffondere tra i detenuti l’educazione musicale. Il progetto appositamente intitolato Note di libertà punta a supportare i detenuti durante il loro percorso di recupero attraverso l’insegnamento degli strumenti musicali: la Chitarra, la Fisarmonica e l’Organetto. L’idea di Note di libertà nasce dalla proficua sinergia tra il direttore dell’Istituto Musicale Donizetti M° Giuseppe Greco e il direttore della Casa Circondariale di Rossano Giuseppe Carrà. Un connubio tra musica e legalità , tra mondo esterno e carcere per invogliare il detenuto ad imparare cose nuove che lo spingano a migliorare in prospettiva della libertà. Ancora una volta L’istituto Musicale Donizetti, Polo didattico del Conservatorio di Vibo Valentia, si impegna con la sua musica e i suoi professionisti al servizio del Sociale. Far avvicinare l’ospite della casa di Reclusione allo strumento musicale, viene interpretato non solo come un’attività ludica e ricreativa, ma si pone come mezzo di rieducazione e di recupero dello stesso detenuto che confluisce la sua attenzione e la sua passione sullo strumento musicale. L’inizio dei corsi di strumento è stato accolto con molto entusiasmo dagli ospiti della casa Circondariale di Rossano. Uno spiraglio di gioia e di allegria è entrato nel carcere di Contrada Ciminata Greco. Così come ha affermato il maestro Carlo Rosati dopo la prima lezione:” E’ stata un’esperienza bellissima. I detenuti sono motivati e talentuosi. La musica funge da strumento per esternare quello che hanno dentro, è un’opportunità in più da sfruttare fuori dal carcere per reintegrarsi”. I detenuti hanno immediatamente colto lo spirito ludico e rieducativo del progetto, integrandosi tra di loro nonostante le differenze di età e palesando la volontà di formare una band musicale. Molto soddisfatto il direttore dell’Istituto musicale Donizetti Giuseppe Greco che afferma: “É stata un’esperienza emozionante. Portare la musica dentro la casa circondariale di Rossano ci ha arricchiti sia professionalmente che umanamente. Ringrazio in modo particolare il direttore Carrà per averci dato l ‘opportunità di realizzare questo progetto e per essersi impegnato con alta professionalità per la riuscita dello stesso. Un ringraziamento accorato va al corpo della polizia penitenziaria, al comandante e a tutti gli agenti che ogni giorno lavorano nel carcere di Rossano e alla segreteria dell’Istituto Musicale Donizetti di Mirto Crosia”. Due i corsi attivi per gli ospiti del carcere di Rossano: il mercoledì corso di Chitarra a cura del Maestro Carlo Rosati e il Sabato corso di corso di Fisarmonica ed organetto a cura del Maestro Rosario Lullo. Inoltre è prevista la figura di Angela Greco, educatrice professionale che sarà di supporto psicologico e pedagogico per i detenuti. Siena: detenuti in scena con “Il gioco dei musei”, sabato l’anteprima dello spettacolo Adnkronos, 3 ottobre 2013 A Siena è tutto pronto per la prima assoluta de “Il gioco dei musei”: sabato prossimo, alle ore 17, nella Casa Circondariale Santo Spirito sarà presentato in anteprima lo spettacolo scritto e interpretato dai detenuti della Casa Circondariale senese con la partecipazione di Serena Cesarini Sforza per la regia di Altero Borghi. Il lavoro è frutto dell’innovativo progetto che Fondazione Musei Senesi ha realizzato per la Casa Circondariale e con l’Associazione Sobborghi onlus, che vede il patrocinio della Prefettura di Siena e il sostegno di Regione Toscana - Piano Integrato della Cultura 2012 e Provincia di Siena. Nel corso di sei conferenze tematiche dedicate ai grandi protagonisti della storia e dei musei del territorio, organizzate all’interno della Casa Circondariale senese, sono state identificate sei figure emblematiche: Porsenna, Ambrogio Lorenzetti, Beccafumi, Pirro Maria Gabrielli, la Famiglia Cassioli e il Mezzadro. Si è così voluto compiere un viaggio nel tempo toccando tutte le aree tematiche che i musei della Fondazione Musei Senesi rappresentano - archeologia, arte, scienza, antropologia - tramite la storia di personaggi eminenti. Le conferenze sono state propedeutiche a una serie di viste guidate indirizzate ai detenuti il cui regime carcerario fosse idoneo a tale attività e successivamente ha preso il via la seconda fase del progetto, condotta dall’Associazione Culturale Sobborghi Onlus, da anni impegnata in attività teatrali finalizzate al reinserimento sociale dei detenuti, che ha portato all’identificazione di un gruppo di attori che sabato 5 ottobre saranno protagonisti della performance teatrale “Il gioco dei musei”, frutto di un lavoro di scrittura e di messa in scena curata dal al regista Altero Borghi. Lo spettacolo sarà replicato per il pubblico venerdì 11 ottobre alle ore 16, già tutti esauriti i posti disponibili per assistere alla rappresentazione. Torino: in carcere il “Drug Buggy Compact”, per il recupero di ovuli contenenti droga Adnkronos, 3 ottobre 3013 L’introduzione di sostanze stupefacenti in carcere è un problema, ma lo è anche il recupero degli ovuli di droga ingeriti da detenuti. A Torino i primi due WC per recuperare gli ovuli di droga in sicurezza e igiene. Per la prima arrivano a Torino a disposizione delle strutture carcerarie due “Drug Buggy Compact”, attrezzature specifiche per il recupero in sicurezza degli ovuli, contenenti sostanze stupefacenti, in persone detenute sospettate di averli ingeriti. La Regione Piemonte, che ha siglato con la Procura torinese e con quella presso il Tribunale per i minorenni di Piemonte e Valle d’Aosta uno specifico protocollo d’intesa, ha autorizzato la fornitura delle attrezzature su richiesta del Provveditorato Regionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, incaricando la Asl To 2 di provvedere all’acquisto, anticipando i fondi e garantendo il supporto tecnico e amministrativo. Le due attrezzature sono state collocate rispettivamente presso il carcere delle Vallette per gli adulti e presso la Città della Salute, sede Cto, per i minorenni. “Con questo nuovo apparato, primo a essere adottato in ambito penitenziario, si evidenzierà ancora di più la professionalità del personale di Polizia Penitenziaria - commenta Giuseppe Forte, direttore delle Vallette - anche se finora non ci sono state conseguenze da esposizione al rischio biologico, il nostro personale deve poter svolgere le proprie mansioni senza lo stress indotto dal timore del pericolo igienico-sanitario” “Con la gestione ospedaliera si pone fine al paradosso di collocare i minori in un centro di accoglienza, con l’intenzione di proteggerli dal contatto con i detenuti, in attesa delle decisioni del giudice - spiega Anna Maria Baldelli procuratore presso il tribunale dei minori - ponendoli però in situazione di alto rischio sanitario in caso di ingestione. Con il monitoraggio medico in pronto soccorso si è ristabilita una condizione di totale protezione dei minori”. Televisione: domani sera altre storie di malagiustizia con “Presunto colpevole” su Rai 2 Adnkronos, 3 ottobre 3013 Le storie di Carlo Parlanti, Maria Andò e Massimo Mallegni sono al centro della quarta puntata di Presunto colpevole, il programma che racconta storie di “malagiustizia”, in onda domani, alle 23.35 su Rai2. Si inizia con la vicenda di Carlo Parlanti, rimasto chiuso per otto anni nel carcere di Avenal in California. Carlo era un manager di successo rimasto vittima delle bugie e dell’odio della sua ex fidanzata. Un giorno gli hanno stretto le manette ai polsi e l’hanno trascinato in cella. Tutto questo, per un reato che non aveva commesso. La seconda storia è quella di Maria Andò, arrestata per un crimine con cui non c’entrava nulla. La donna è stata presa per errore, a causa di uno scambio di persona. Maria è stata in cella nove giorni, poi, una volta uscita dal carcere, è stata anche indagata per rapina e tentato omicidio. La puntata si chiude con la storia dell’ex sindaco di Pietrasanta (Lucca), Massimo Mallegni. L’uomo è stato accusato di corruzione, voto di scambio e associazione a delinquere. In una mattina la sua carriera è andata in frantumi. L’inferno di Massimo è durato sei anni, passati a rispondere alle accuse e alle falsità. Ora è un uomo libero, ma una parte del suo cuore è rimasta dietro le sbarre. Gran Bretagna: imprecise stime su rischio di recidive tra i detenuti psicopatici Agi, 3 ottobre 3013 Le strategie e i parametri utilizzati oggi per stabilire se un criminale psicopatico possa essere messo in libertà in sicurezza senza il rischio di commettere ancora reati come stupro, omicidio o violenza sono carenti e imprecisi. Gli strumenti di valutazione attuali riescono a prevedere la pericolosità dei detenuti psicopatici con il quarantasei per cento di accuratezza, secondo un nuovo studio condotto da Jeremy Coid, direttore dell’unità di ricerca di Psichiatria forense alla Queen Mary University di Londra. L’indagine, pubblicata sul British Journal of Psychiatry, ha analizzato i dati provenienti da 1396 detenuti maschi in Inghilterra e Galles valutati tra i sei e i dodici mesi prima del rilascio attraverso l’Hare Psychopathy Check List (Pcl-R), i disturbi della personalità e i sintomi di schizofrenia o depressione e la dipendenza da alcol e droghe. Dopo il rilascio, i detenuti sono stati rivalutati e i risultati hanno dimostrato che la precisione dei tre strumenti di previsione del rischio di cadere in eventuali recidive criminali è stata inferiore al cinquanta per cento. Gli stessi strumenti sono risultati maggiormente efficaci - 75 per cento - con i detenuti non affetti da disturbi mentali. Mali: rilasciati 23 ribelli tuareg, obiettivo resta processo di pace Aki, 3 ottobre 3013 Il governo del Mali ha rilasciato 23 ribelli detenuti nell’ambito dell’accordo raggiunto a giugno per il cessate il fuoco e dopo che giovedì scorso i separatisti Tuareg hanno annunciato di aver abbandonato il processo di pace. Da allora, nel nord del Paese sono tornate le violenze tra esercito e Tuarget del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azaward (Mnla). Il ministro della Giustizia Ali Bathily ha dichiarato che il governo spera che il rilascio dei prigionieri possa riportare la situazione alla calma. “Abbiamo rilasciato questi prigionieri con l’intento di riportare la pace - ha detto Bathily. Questi non hanno commesso crimini di guerra o contro l’umanita”‘. Il governo di Bamako aveva già rilasciato 32 detenuti nell’ambito della tregua che era stata firmata a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Onu fa appello a negoziati pace, Tuareg chiedono rilascio altri detenuti Il responsabile della missione di peacekeeping dell’Onu in Mali, Albert Koenders, ha invitato il governo del Mali e i ribelli Tuareg a tornare al tavolo dei negoziati dopo che le autorità di Bamako hanno rilasciato 23 separatisti in carcere. “La liberazione di questo gruppo di prigionieri è un passo importante. Dovrebbero seguire, certo, altre misure per riportare la fiducia e riprendere i colloqui”, ha detto Koenders invitando i ribelli ad abbandonare le armi. Per contro, il capo dei Tuareg a Kidal, Mohamed Ag Intallah,ha invitato il nuovo governo del presidente Ibrahim Boubacar Keita a fare di più per onorare gli impegni presi in base all’accordo firmato a giugno a Ouagadougou, in Burkina Faso. “Questo è un grande passo - ha detto commentando il rilascio dei detenuti - ma resta ancora molto da fare perché i prigionieri più importanti non sono questi. Sto aspettando che li rilascino”. Medio Oriente: Hamas impicca a Gaza un detenuto condannato per omicidio Tm News, 3 ottobre 2013 Hamas, al potere nella Striscia di Gaza, ha impiccato un detenuto condannato a morte per omicidio. Lo ha annunciato il ministero degli Interni. “Alle 16.30 del 2 ottobre, la pena capitale è stata eseguita nei confronti di Hani Mohammed Abu Aliyan di Khan Yunis per il suo reato, l’omicidio di Hazem Hassan Barham”, ha dichiarato il ministero in una nota. “Il tribunale di Khan Yunis (nel nord della striscia di Gaza) ha condannato a morte per impiccagione l’uomo per i reati che ha commesso (che comprendono l’omicidio e il possesso illegale di un coltello)”. La corte di appello dei territori palestinesi ha respinto i ricorsi contro la sentenza, ha dichiarato il ministero. Siria: Human Rights Watch; in carceri regime migliaia di detenuti politici torturati Aki, 3 ottobre 2013 Il regime siriano tiene nelle sue carceri migliaia di detenuti politici illegalmente e pratica su di loro diverse forme di tortura. Lo denuncia Human Rights Watch, precisando che tra le persone arrestate dal regime del presidente Bashar al-Assad ci sono medici che hanno curato i manifestanti, uomini d’affari che hanno fatto donazioni per gli sfollati e sviluppatori di software che hanno lavorato come citizen journalist. Il gruppo riporta poi le testimonianze di 21 siriani, che raccontano di essere stati picchiati con bastoni, sedie e aste di metallo. In alcuni casi, denuncia Hrw. i detenuti sono stati anche stuprati e abusati sessualmente.