Giustizia: una riforma per alleggerire tribunali e carceri, le opinioni degli esperti di Francesco Grignetti La Stampa, 31 ottobre 2013 L’obiettivo del ministro, che ha creato due commissioni, è riformare il procedimento penale e civile Le modifiche, finora, hanno prodotto “solo peggioramenti”. Il governo riuscirà a modificarli? La pensa come Vladimiro Zagrebelsky e lo va ripetendo da sempre. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ancora ieri, leggendo su questo giornale l’intervento dell’illustre giurista sulle anomalie che frenano la giustizia italiana, è tornata su un concetto che aveva illustrato appena qualche giorno fa al congresso dei magistrati italiani: “È il momento di procedere a importanti e coraggiose riforme sistematiche, che eliminino una volta per tutte le storture e le farraginosità che impediscono alla macchina della giustizia di procedere speditamente”. Non riformette marginali, ma revisioni complessive. E infatti al ministero sono state insediate due commissioni di studio, una per il processo civile, l’altra per il processo penale, di cui rivedere, per stare ancora alle parole del ministro, “l’architettura complessiva, con spirito laico e senza pregiudiziali ideologiche, ma sempre nel rigoroso rispetto dei principi costituzionali”. Il governo è ben consapevole che a forza di riforme parziali, a volte troppo mirate ai casi singoli, negli anni si è prodotto un danno anziché un miglioramento. “Non possiamo più limitarci a proposte di mera interpolazione della legislazione -prosegue il ragionamento della Cancellieri - che spesso finiscono, come l’esperienza ha dimostrato, per avere effetti controproducenti sull’efficacia del sistema piuttosto che migliorarne la resa”. Occorrerebbe un tagliando complessivo e davvero accelerare i tempi delle sentenze. Per dire, l’agenzia di rating Fitch ancora ieri ha bacchettato l’Italia perché solo da noi capita che un procedimento per un mutuo non pagato nel 2004 debba ancora essere chiuso nove anni dopo “per via di processi giudiziari fra i più lunghi di tutta Europa”. Eppure, tanta voglia di riforma si scontra con la realtà parlamentare di questi giorni. Il governo è ben conscio della debolezza estrema della maggioranza, ciascuno alle prese con i propri problemi di partito. Altre sembravano le premesse all’atto del varo di questo Esecutivo. Ma tant’è. E quindi, anche a via Arenula, come a palazzo Chigi, come negli altri palazzi ministeriali, per forza di cose si osserva il giorno per giorno. Quindi, sospirava ieri mattina la Cancellieri parlando con i suoi collaboratori più stretti, ben vengano le sollecitazioni alla Zagrebelsky, anche perché tengono desta l’attenzione dell’opinione pubblica sui mali della giustizia, “ma forse il momento politico non è dei più adatti per avviare grandi riforme di sistema”. Leva (Pd): non ci si può basare solo sulla gravità del reato commesso Danilo Leva, il responsabile Giustizia del Pd, non è stato felice dal leggere che Vladimiro Zagrebelsky bolla come “beata ingenuità” la loro proposta, peraltro in avanzata discussione alla Camera, per modificare le regole sulla custodia cautelare. Il Pd ha proposto di inserire la paroletta “attuale” per meglio definire il pericolo di reiterazione del reato o di inquinamento della prova, o di pericolo di fuga, che sono i cardini di una decisione che può portare un cittadino in cella. “Guardi, sarà pure una “paroletta”, ma dall’effetto sinceramente riformista. Con un modesto ritocco, in realtà noi facciamo una rivoluzione copernicana perché ripristiniamo l’impostazione originaria del codice. Già, perché all’inizio il principio era rigorosissimo, ma poi negli anni è successo, come Zagrebelsky ben sa, tanto è vero che richiama la magistratura a un’applicazione “non distorta” delle regole, che le cose sono cambiate. C’è ora una giurisprudenza che si è consolidata e per aprire le porte della cella conta, più del pericolo concreto e attuale, come vorremmo noi, la sola “gravità del reato”. Non conta più nemmeno il tempo che può essere trascorso dai fatti; c’è una sentenza della Cassazione che ha stabilito l’opposto: “Il trascorrere del tempo non affievolisce il rischio”. Noi vogliamo tornare alle origini, invece. In cella si deve finire soltanto se, caso per caso, concretamente e non astrattamente, qui e ora, ci sia un pericolo di fuga, un pericolo di reiterazione del reato, un pericolo di inquinamento della prova”. In verità, questa richiesta del Pd di dare una stretta al dilagare della custodia cautelare, è diventata ancora più convinta al termine di una serie di audizioni che si sono tenute alla Camera. “Vogliamo dirla tutta? Deve finire lo scandalo che le sentenze del Tribunale del Riesame sostituiscano o suppliscano alla carenza di motivazioni nelle ordinanze dei gip. Accade troppo spesso nella prassi, ma non va affatto bene. E per questo motivo prevediamo un obbligo di motivazioni più stringenti nelle ordinanze di custodia cautelare. Dico insomma che magari fosse, come Zagrebelsky ritiene, soltanto un deficit di formazione nei magistrati. Infine un’altra piccola grande modifica: il magistrato potrà ricorrere alla custodia cautelare solo quando abbia tenuto conto dell’insufficienza delle misure alternative, “cumulativamente” considerate. La novità è nel “cumulativamente”. Oggi le prendono in esame singolarmente e le trovano insufficienti”. Carbone (Anm): gli eccessi sono anche colpa di norme troppo rigide Maurizio Carbone, segretario generale dell’associazione nazionale magistrati, si trova in perfetta consonanza con la diagnosi di Zagrebelsk. “Un intervento che nel complesso condivido”, dice. Anche in quei passaggi dove il giurista sembra bacchettare la categoria dei giudici (sugli abusi di custodia cautelare, ad esempio, scrive: “È alla magistratura che occorre rivolgere un forte richiamo, perché le norme siano applicate e non distorte”), Carbone vi legge soprattutto un invito al legislatore a non irrigidire le norme. “Siamo stati noi magistrati per primi a sollevare alcuni casi di eccesso, ad esempio con ricorsi alla corte costituzionale. Ricordo il caso della violenza sessuale, quando, sull’onda di non so quale emergenza emotiva, si era introdotto l’obbligo di custodia cautelare. La Consulta ci ha dato ragione. Mi pare un esempio chiaro come non sia vero che nella magistratura italiana si indulga verso la custodia in carcere”. C’è anche un altro particolare che secondo Carbone la dice lunga sulla cultura delle garanzie che è connaturata ai magistrati italiani. “Nella scuola per i magistrati, appena varata, è previsto obbligatoriamente uno stage presso un istituto di pena, in modo che il futuro giudice sia consapevole della realtà carceraria”. Detto ciò, qualche caso di abuso c’è stato e Carbone non lo nega. “La nostra Associazione segnala per prima che il potere di mandare in carcere le persone va esercitato nel modo più rigoroso. Così come pensiamo, e l’abbiamo detto, che in effetti esiste la tentazione di considerare la custodia cautelare, come dice anche Zagrebelsky, un’anticipazione di pena, anzi che sia considerata la pena unica, viste le lungaggini del sistema processuale e gli alti indici di prescrizione. Ma dev’essere chiaro che è una tendenza sbagliata e che non va perseguita”. In conclusione, l’Anm guarda con un certo fastidio a certe polemiche che ritiene strumentali. “Tanto più che sono state appena modificate le norme, restringendo l’area di applicazione della custodia cautelare ai reati con pena edittale di 5 anni (fino a un mese fa il tetto erano 4 anni, ndr). Il nostro giudizio è solo parzialmente positivo, invece, per il ddl in discussione sulla custodia cautelare. È sicuramente positivo che le misure interdittive passino da 3 a 6 mesi, o addirittura a 12 mesi. Ciò darebbe al giudice uno strumento cautelare in più, alternativo al carcere”. Spigarelli (Ucpi): ci sono toghe che la usano come anticipazione di pena E c’è poi chi l’intervento di Zagrebelsky lo boccia su tutta la linea. Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle Camere penali, ossia il rappresentante degli avvocati penalisti italiani, ha da fare diverse puntualizzazioni a difesa della Cassazione così com’è. “Cominciamo con il dire che è verissimo che gli avvocati cassazionisti sono troppi. Ma il rimedio si chiama specializzazione ed è stato introdotto per legge alla fine dell’anno scorso. Cominciamo con il separare i cassazionisti penali da quelli civili. E poi introduciamo, oltre all’anzianità, anche l’obbligo di formazione. I numeri si ridurranno gradualmente. Sarebbe follia, invece, predisporre un albo dei cassazionisti scisso da quelli degli avvocati. Si finirebbe per avere un elenco di distinti accademici che discettano di diritto e non difendono”. È poi vero che la Cassazione italiana è la più grande al mondo. “Ma grazie alla felice scelta della nostra Costituzione per cui è sempre possibile ricorrere in Cassazione avverso alla limitazione della libertà personale e soprattutto per il controllo delle motivazioni. Non è gran vero, invece, che ci sia tutto questo ingolfamento: pochi sanno che il 70% dei 45 mila ricorsi annui finisce direttamente alla Settima sezione, quella delle inammissibilità. Solo il 30% dei ricorsi si discute. Tutto il resto va al cimitero degli elefanti”. Anche il caso di chi ricorre in Cassazione contro il patteggiamento non convince Spigarelli. “Abbiamo fatto una verifica: nel 10% dei ricorsi, la Cassazione ha dato ragione ai ricorrenti. La pena era diversa da quella patteggiata, oppure erano state applicate pene accessorie non previste dalla legge. Vogliamo rinunciare a tutto ciò? È vero che molti ricorsi sono tattiche dilatorie. Ma sarebbe sufficiente tipizzare i motivi per cui si può ricorrere”. Ma è sul punto di fondo, ossia il caso-Scaglia, e lo scandalo della custodia cautelare, che Spigarelli non è per niente d’accordo. “È una balla che ci siano tutte queste prescrizioni: secondo dati ufficiali, quasi il 40% delle prescrizioni scatta nella fase delle indagini preliminari. Qui gli avvocati e le presunte tattiche dilatorie non c’entrano nulla. Sono i magistrati che utilizzano i tempi della prescrizione per “temperare” il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Sarebbe meglio affrontare il problema apertamente”. Quanto a Scaglia e all’abuso di custodia cautelare? “L’ha detto Ernesto Lupo: c’è chi tra i magistrati la considera un’anticipazione di giudizio. È gravissimo, alla faccia della terzietà del giudice”. Giustizia: ministro Cancellieri; l'amnistia non passerà, ma alleggerire le carceri è possibile di Sandro Bennucci La Nazione, 31 ottobre 2013 "Amnistia e indulto sono provvedimenti difficili e lontani, soprattutto per questa maggioranza", sospira il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri. Che però ha un possibile rimedio a portata di mano. Infatti spiega: "Se le Regioni ci aiutano, possiamo comunque alleggerire il problema del sovraffollamento delle carceri. Come? Trasferendo in residenze a sorveglianza attenuata i tossicodipendenti accusati di reati non gravi. Quanti? Forse alcune migliaia in tutt'Italia". Il ministro si gira fra le mani la proposta di Enrico Rossi, governatore della Toscana: destinata a diventare, in poche settimane, modello nazionale. Cioè un'intesa da portare al tavolo della conferenza Stato-Regioni per favorire pene alternative a chi è finito in prigione per effetto della legge Giovanardi-Fini del 2006. Che mette sullo stesso piano marijuana e hashish con cocaina ed eroina e reintroduce il limite di quantità, oltre il quale l'uso personale diventa spaccio. Questo "grande accordo" è una delle (poche) strade per affrontare un problema che si aggrava giorno dopo giorno, insieme alla possibilità di riaprire vecchi istituti di pena dismessi, soprattutto nelle isole. Amnistia e indulto, oggi sembrano miraggi, considerato che dovrebbero essere approvati dalla maggioranza delle "larghe intese", dominata da visioni ideologiche opposte. Anche per l'"ombra" del Cavaliere. Che pesa. Ministro Cancellieri, la Toscana propone di usare strutture delle comunità di accoglienza, contribuendo con 4 milioni l'anno. Ma è giusto che la spesa ricada sulle Regioni? "I detenuti sono cittadini di tutti: dello Stato e delle Regioni. Riguardano un problema della società in cui hanno vissuto. Quando escono, a pena scontata, tornano fra la gente come valore aggiunto. Il contributo regionale, nell'emergenza, è una risorsa". A che punto è il progetto? "Siamo quasi pronti per firmare con la Toscana. Ma ho parlato anche con Vasco Errani, coordinatore dei governatori. Il modello potrà essere esteso presto". Non è un azzardo far uscire i tossicodipendenti? "Alt. Le condizioni dovranno essere valutate dai giudici, caso per caso. È ovvio che saranno favoriti i piccoli spacciatori, ma non certo chi è accusato di omicidio e rapina. O i serial killer". Si può fare entro Natale? "La Toscana potrà partire, La stima è di traferire circa 300 detenuti. Se ci sarà collaborazione, nei primi mesi del 2014 anche altre Regioni saranno in grado di avviare il programma". La sorveglianza a chi spetterà? "A noi, cioè allo Stato". Pensa a riaprire anche alcuni istituti di pena dismessi? "Sì, sempre a sorveglianza attenuata. Come quello sull'isola di Pianosa. Progetto bellissimo: da una parte i turisti e dall'altra detenuti selezionati. Se a Capraia i carcerati fanno un ottimo vino, Pianosa può specializzarsi nel formaggio. O nel pesce". Il braccialetto elettronico può essere utile? Come lo giudica? "Facilita la vigilanza, ma l'applicazione spetta ai magistrati... Per ora mi lasci concentrare sul progetto con le Regioni". Giustizia: l'ex pm Davigo; da noi si premia chi delinque… l'amnistia produce impunità di Silvia Truzzi Il Fatto Quotidiano, 31 ottobre 2013 Normalmente, quando si chiedono lumi ai tecnici, questi tendono a farla piuttosto difficile. Non Piercamillo Davigo, consigliere di Cassazione e già pm del pool Mani Pulite, un magistrato con la passione per gli esempi. E per le frasi concise, tipo questa: "In Italia delinquere conviene". Dottor Davigo è d'accordo con l'idea di fare un indulto o un'amnistia o, in un'orgia perdonista, addirittura entrambi? Il solo effetto annuncio, a prescindere dalla realizzazione, è dannoso perché fa calare il ricorso ai riti alternativi e quindi allunga i tempi della giustizia. In un Paese dove in cinquant'anni ci sono stati 35 provvedimenti tra amnistia e indulto, chi vuole che patteggi, se aspettando, può arrivare un atto di clemenza? Da cosa dipende il sovraffollamento carcerario? Da una serie di fattori: il principale è il numero di fattispecie penali. I vari pacchetti sicurezza hanno previsto una serie di aumenti di pena per i recidivi. Ormai le frontiere sono evanescenti, il tasso di repressione concretamente applicato in un Paese non può essere troppo diverso da quello degli altri, per l'ovvia ragione che se è più alto esporti criminalità, se è più basso la importi. Se, puta caso, stabilissimo che la rapina in banca qui non è più reato, tutti i rapinatori verrebbero in Italia. Il primo vincolo è questo. Allora dobbiamo vedere quanti detenuti hanno gli altri Paesi, scoprendo che l'Italia è quella che ne ha meno. Abbiamo le carceri sovraffollate perché abbiamo poche strutture. L'articolo 81 della Carta prevede che le leggi che comportano nuove spese indichino con quali mezzi farvi fronte. Quando il legislatore aumenta le pene, si guarda bene dal chiarire dove si troveranno le risorse. Pensano di risolvere il problema in verticale, con le brandine a castello. Ovvio che poi arrivi la Corte europea a sanzionarci. L'ultimo indulto è del 2006, la condanna di Strasburgo risale al gennaio scorso: perché non hanno fatto nulla? L'imprevidenza è una caratteristica della nostra classe politica. Se si attenua la pressione della Corte, magari perché si fa un indulto, l'emergenza cessa e la questione cadrà nel solito oblio. Indulto e amnistia sono soluzioni tampone. Se si vuole ridurre la popolazione carceraria, bisogna depenalizzare i reati o ridurre le pene. Qualcosa hanno depenalizzato: il falso in bilancio… Non definirei il falso in bilancio un reato che intasa le carceri. Amnistia e indulto hanno a che fare con questioni politiche? Non credo che faranno né l'uno né l'altro: i cittadini sono ferocemente contrari. Le espressioni "condono fiscale" o "condono edilizio" non hanno equivalenti in inglese e francese. Una volta cercavo di spiegare l'amnistia a un gruppo di giudici californiani che ci chiedevano come mai da noi non funzionassero i riti alternativi. Avevano capito questioni complesse, ma quando abbiamo spiegato che l'amnistia è una legge che perdona tutti, erano convinti che avessimo fatto loro uno scherzo. Vede, Carl Schmitt sosteneva che tutti i concetti del diritto pubblico europeo moderno sono concetti teologici secolarizzati. La secolarizzazione dell'indulgenza plenaria dà luogo all'amnistia, all'indulto, ai vari condoni. Con una differenza: la Chiesa esige il pentimento, lo Stato no. I corrotti non si sono mai pentiti, anzi si sono poco evangelicamente moltiplicati… Ho spesso ripetuto che noi organi preposti alla repressione svolgiamo la funzione che in natura svolgono i predatori. Dunque abbiamo preso le zebre lente e sono rimaste quelle veloci. Mani Pulite è stata inutile? Ha lacerato il velo dell'ipocrisia. De La Rochefoucauld ha detto che l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù: caduto il velo dell'ipocrisia, l'effetto è stato che non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi. Che pensa della vulgata sulla pacificazione e la presunta guerra tra politica e magistratura? La politica anziché fare pulizia al suo interno, come accadeva prima di Mani pulite.. chi ha subito una condanna inferiore a due anni può essere candidato. Cioè se sei stato condannato a un anno non puoi fare il bidello, ma il deputato sì: che roba è? Dà ragione a Berlusconi sulla Severino? Allora: la norma introduce un mero requisito di candidabilità. Esattamente come quello che prescrive il compimento del quarantesimo anno di età per l'elezione in Senato. Se domani una norma stabilisse che ce ne vogliono 45, qualcuno urlerebbe alla retroattività? Il problema, in Italia, è la mancanza di capacità di indignarsi. Peggio le monetine ai politici o l'amnistia? Le monetine sono sintomo di una rivolta qualunquista che io mal sopporto. È la solita storia del "rubano tutti". Quando qualcuno me lo dice gli chiedo se lui ruba. Se mi dice: "Io non rubo" gli rispondo "neanch'io", perciò non è vero che rubano tutti. Se partiamo dal presupposto che rubano tutti, i processi sono inutili. Se il presupposto è rubano in molti, è giusto fare i processi per distinguere chi ruba da chi non ruba. Tutti vogliono riformarvi, anche i saggi del Colle… La riforma della giustizia è indispensabile, ma per questioni del tutto diverse da quelle che pensano i politici, compresi i saggi. Abbiamo 9 milioni di procedimenti pendenti. Il sistema tutela più chi viola la legge di chi subisce la violazione: ogni anno vengono avviate in Italia più cause civili di quante non ne vengano cominciate in Francia, Gran Bretagna e Spagna sommate insieme. Nel penale, bisogna ridurre le fattispecie, incidendo sulle impugnazioni. Tre gradi di giudizio ci sono dappertutto. In appello, se ricorre l'imputato, il sistema italiano prevede il divieto di aumentare la pena. In Francia non c'è, infatti solo il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena da eseguire vengono appellate. In Italia tutte. Perché non si fa? Ridurre il numero dei processi, significa ridurre il reddito degli avvocati. Una classe politica che non è venuta a capo della debolissima lobby dei tassisti, può riuscirci? Giustizia: Favi ( Pd); nelle carceri tanta disperazione, non attivarsi solo per potenti 9Colonne, 31 ottobre 2013 “Ogni giorno è emergenza umanitaria nelle nostre carceri. Ma alle grida di disperazione, agli allarmi quotidiani lanciati dai Garanti dei diritti dei detenuti, alle angosce dei parenti dei reclusi, ai casi conclamati di incompatibilità delle condizioni di salute con la penosa condizione degli istituti e dei servizi sanitari interni, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non sanno cosa rispondere. In carcere si soffre e si muore d’abbandono, ma nessuno si chiede cosa si poteva o si può fare per prevenire almeno i drammi più evidenti. Il Ministro Cancellieri attivi subito una task-force permanente al Dap, dove almeno le situazioni estreme vengano trattate con una attenzione meno burocratica e senza questa intollerabile sensazione di ineluttabilità delle tragedie quotidiane. Eviterà così la sgradevole impressione che solo per i potenti il senso di umanità trova interlocutori attenti”. Lo afferma Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd. Giustizia: la Cancellieri sul caso Giulia Ligresti “chiedo umanità” www.clandestinoweb.com, 31 ottobre 2013 Sulla vicenda giudiziaria che ha visto coinvolta la famiglia Ligresti è intervenuto il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. L’intera famiglia è stata arrestata per il caso Fonsai, grazie ad alcune intercettazione avvenute tra gli stessi membri della famiglia. L’accusa è di falso bilancio aggravato e aggiotaggio, in particolare Giulia Ligresti, figlia di Salvatore è stata condannata a due anni e otto mesi. Il ministro ha preso posizione nei confronti di Giulia Maria Ligresti, in carcere appunto, che ha iniziato a soffrire di anoressia, non riuscendo più a mangiare per la condizione in cui si trovava. Antonino Ligresti, cognato di Gabriella Fragni la moglie di Salvatore, ha chiamato lo stesso ministro Cancellieri per informarla sulla situazione carceraria di Giulia con la speranza di un aiuto da parte dello stesso ministro della Giustizia. Così infatti è stato, la Cancellieri non ha fatto attendere la sua risposta, chiamando i due vice capi di dipartimento del Dap, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, per “sensibilizzarli” sul fatto che Giulia Maria Ligresti ha iniziato a soffrire di anoressia. “Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”, spiega il ministro Cancellieri davanti al procuratore aggiunto, Vittorio Nessi, arrivato a Roma per cercare di ricostruire l’intera vicenda assieme al ministro. Dallo scorso 28 agosto il ministro Cancellieri ha chiesto “umanità” per questa vicenda e il suo interessamento ha portato alla scarcerazione di Giulia, “non c’è un nesso provato tra il suo attivarsi e la scarcerazione della donna”. Manconi (Pd): bene ha fatto la Cancellieri ad attivarsi “Di fronte a una detenuta che rifiuta di nutrirsi è buona prassi e indice di una elevata sensibilità istituzionale e umana, il che non guasta, attivarsi per capirne le ragioni e verificare che non stia maturando una incompatibilità con lo stato di detenzione”. È quanto afferma il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani a Palazzo Madama. “Questo ha fatto, opportunamente, il ministro Cancellieri - sottolinea l’esponente Pd - quando le è stata segnalata la gravità delle condizioni di salute di Giulia Ligresti. E questo hanno fatto, opportunamente, i funzionari dell’Amministrazione penitenziaria e i sanitari che hanno valutato del caso. E alla fine la decisione di scarcerare Giulia Ligresti non è stata certo presa dal ministro o dai suoi uffici, ma - come è giusto che sia, in nome della separazione dei poteri e della indipendenza della magistratura - da un giudice che ha ritenuto di poter attenuare le misure cautelari a suo carico. Analogo comportamento è stato adottato in passato a favore di detenuti privi di nomi e cognomi importanti - conclude Manconi - che si trovavano in condizioni simili: e mi auguro che così sempre venga fatto”. Giustizia: l'esperienza dell'isola della Gorgona, un carcere senza troppe sbarre di Sara Borriello Il Manifesto, 31 ottobre 2013 "Ne vale la pena", di Carlo Mazzerbo e Gregorio Catalano per Nutrimenti. L'esperienza della Gorgona raccontata in un volume che sarà presentato al Salone dell'editoria sociale. Quanto sappiamo delle carceri italiane? Della reclusione e della frustrazione di chi passa venti ore al giorno in una cella? Sicuramente troppo poco. Ecco il primo pensiero che viene in mente leggendo il libro di Carlo Mazzerbo e Gregorio Catalano Ne vale la pena (Nutrimenti, pp. 189, euro 16. Il volume sarà presentato a Roma, all'interno del Salone dell'editoria sociale di Roma il 2 Novembre, ore 12, Via Galvani 108), eppure questo è un trattato sui generis che parla di speranza e di esperienze concrete, quelle del carcere di Gorgona, isola al largo di Livorno, isola felice. Mazzerbo ne è stato direttore per anni e lì, in quell'universo ristretto, è stato capace di realizzare l'idea contenuta nell'articolo 27 della Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Storie di detenuti, ma soprattutto storie di uomini quelle raccontate in queste pagine; ogni capitolo è diverso, da quello sul progetto-scuola per la rieducazione culturale alla band musicale "Dentro", formata da detenuti e forze dell'ordine. La voce narrativa, quella del direttore del carcere, è un punto di vista particolare, né completamente interno né esterno alla realtà di Gorgona, e questo offre a chi legge una visione completa dell'umanità dei detenuti e del loro desiderio di ricominciare a vivere, ma anche delle logiche carcerarie. Nella scrittura si sente una sorta di ingenuità, data da uno scrittore alle prime armi, che si sofferma molto su alcuni dettagli secondari, come il trascorso prima di arrivare a Gorgona, e poco su altri fondamentali, come la possibilità concreta offerta ai detenuti di inserirsi in società dopo il carcere. Tuttavia Mazzerbo riesce a sostituire il sentimento di estraneità verso chi compie un crimine con la partecipazione, la comprensione per quello che spesso è stato solo un errore. In queste pagine è possibile recuperare il senso che dovrebbe avere il carcere, un momento di crescita più che di punizione. Non una vendetta dello Stato, dunque, ma un tentativo di recuperare una risorsa umana, di reinserirla in un contesto civile. Si possono però insegnare la solidarietà, l'impegno sociale, la cooperazione? Per la maggioranza delle carceri, la risposta è negativa. Alla Gorgona, invece è positiva. In quel carcere, si va contro una cieca applicazione della legge e si tende a favorire la creatività, la crescita e il senso di responsabilità dei detenuti. Un'anomalia, dunque, visto che il sistema carcerario italiano tratta spesso i detenuti come rifiuti da smaltire, da lasciare sempre in cella perché così è più facile il controllo. Come ricorda anche Mazzerbo, solo al 13% dei reclusi è data la possibilità di lavorare, il resto di loro esce dal carcere non avendo una concreta possibilità di ricostruirsi una vita, senza lavoro e spesso con pochi affetti. In questa situazione, la possibilità di un ritorno alla delinquenza aumenta vertiginosamente. Alla Gorgona vige invece una logica opposta a quella dominante. La conclusione più importante a cui giunge il libro è che il progetto della Costituzione non è utopico, ma può essere concretamente applicato, e il "modello Gorgona" ne è un esempio. Per adesso la situazione è ben lontana da quella prevista dalla legge: il detenuto è solo un peso morto, in nessun modo restituisce ciò che ha tolto alla società. E le carceri diventano un onere sempre più opprimente per lo Stato, ciò aumenta il malcontento sociale e la situazione di emarginazione di chi ha finito di scontare una pena. Nel progetto di Mazzerbo, però, si ipotizza un'autosufficienza dell'istituto di reclusione, che attraverso il profitti del lavoro dei carcerati può trasformare il bilancio da negativo a positivo, rendendo il carcere una risorsa che non toglie, ma restituisce qualcosa allo Stato. Giustizia: carcere costruite e mai aperte, magazzini al posto delle celle di Federico Malavasi Il Resto del Carlino, 31 ottobre 2013 Gestazioni lunghissime, battibecchi dentro e fuori i consigli comunali, contenziosi, carenza di fondi e, soprattutto, milioni di euro spesi finora senza alcun frutto. Sono alcuni elementi che caratterizzano le vicende del carcere di Codigoro, nel Ferrarese, e di quello di Rovigo. Ma dopo un travaglio pluriennale, il 2014 dovrebbe essere un anno cruciale per le due opere. Il carcere di Codigoro nei prossimi mesi diventerà magazzino comunale. A Rovigo invece stanno già sfogliando i calendari alla ricerca di una data per l'inaugurazione della struttura, che dovrebbe cadere nell'estate del prossimo anno. Codigoro. In via I Maggio ci sono i segni della svolta. Già dalla prima mattina i cancelli del carcere sono aperti. All'interno operai al lavoro per rendere presentabile la struttura in tempo per il trasloco dei materiali del Comune, che avverrà a breve. Intanto, si inizia a tagliare l'erba e risistemare il vialetto d'ingresso. Ma in cantiere c'è ben altro. "Dovremo rifare l'impianto elettrico - fanno sapere dal municipio - e rimettere in sesto gli stabili". L'odissea del carcere di Codigoro è iniziata nel 1984. L'opera - un complesso da 20 celle, un muro di cinta di quasi 8 metri e spazi per ospitare biblioteca, sala da pranzo, cucina, magazzino, lavanderia, ambulatorio, area colloqui, uffici, portineria e alloggi per il personale - era stata voluta da ministero della Giustizia. Ha comportato finora una spesa di circa 3milioni e 600mila euro (di cui 220mila a carico delle casse del Comune). I lavori vengono conclusi, ma il carcere non entra in funzione. Nel frattempo, infatti, Roma cambia idea più volte sul suo utilizzo. Prima doveva essere un carcere mandamentale di massima sicurezza, poi, nel 1991, è stato inserito nel circuito penitenziario per tossicodipendenti. Nel 1993 inizia la fase di collaudo. Tutto, però, poco dopo si blocca per un contenzioso su alcuni lavori sorto tra il Comune, ente appaltante dell'opera, e l'azienda costruttrice, il Consorzio cooperative di costruzione di Bologna. A seguito di un lodo arbitrale, il Comune viene condannato a pagare alla società 700mila euro. Il carcere rimane in uno stato di abbandono fino a quando, nel 2008, il ministero dichiara la struttura non più idonea alla sua funzione. Inizia così la battaglia del Comune per riappropriarsi dell'immobile. Ed è di pochi giorni fa la notizia della concessione provvisoria dell'edificio al Comune da parte del Demanio. "Pagheremo un canone simbolico di 300 euro all'anno - spiegano i tecnici del Comune. Ma adibendo il carcere a magazzino, archivio e deposito mezzi risparmieremo circa 15mila euro all'anno di affitto". E le sorprese potrebbero non essere finite. Rovigo. Quella del carcere di Rovigo è una storia di ritardi e carenza di fondi. Il cantiere è stato inaugurato nel luglio del 2007, alla presenza dell'allora guardasigilli Clemente Mastella. La struttura potrà ospitare 204 detenuti. A sei anni dalla "prima pietra" la struttura è finita. Il costo delle opere è stato di circa 35 milioni di euro. Ora manca solo il collaudo che dovrebbe cominciare ad aprile 2014. L'inaugurazione del carcere è invece prevista per l'estate prossima. Con due anni esatti di ritardo rispetto alle previsioni. Le ragioni di questo sforamento sono da attribuire alla necessità di reperire i fondi necessari per la caserma degli agenti e per la palazzina dei servizi. Una lunga attesa che aveva fatto più volte battere (inutilmente) i pugni sul tavolo al sindaco Bruno Piva. Giustizia: la medicina penitenziaria e le condizioni disumane di detenuti e operatori sanitari di Antonino Levita (Coordinatore Nazionale Fimmg) Ristretti Orizzonti, 31 ottobre 2013 "Quidquid delirant reges, plectuntur achivi". È ancora attuale la riflessione di Orazio? Possiamo parafrasare e attualizzare il concetto traducendo che mentre i governanti discutono i cittadini soffrono? Certamente sì, se, con attenzione, valutiamo quello che sta accadendo - oramai da anni - intorno alla questione "Carceri". Si leggono quotidianamente chilometrici articoli/interviste sull'argomento, si assiste esterrefatti a innumerevoli trasmissioni televisive e radiofoniche dove si ascoltano tanti politici e pensatori confrontarsi animatamente (e animosamente), si registrano sempre più discordi e disparate ipotesi di soluzioni sulla grave questione del sovraffollamento. Ciclicamente questo avviene, ma purtroppo nulla accade. Il meritorio richiamo del Presidente della Repubblica è utilizzato più come occasione di sterili polemiche che come sprone ad agire. Accade invece che quotidianamente detenuti e operatori penitenziari soffrano di una condizione disumana ed avvilente. Purtroppo nessuno ricorda che ogni giorno le sole figure che cercano di dare un valido sostegno ai detenuti, accanto agli agenti di polizia e volontari, sono gli operatori sanitari. Medici e infermieri penitenziari da anni sopportano il fardello di un sistema in forte sofferenza. Dopo i provvedimenti di deflazione della popolazione penitenziaria, in poco tempo gli Istituti sono tornati a riempirsi. Il fenomeno delle "porte girevoli" grava pesantemente sulla gestione ordinaria e le convivenze in ambienti ristretti, rese ancor più problematiche dalla presenza di diverse etnie, mettono a dura prova il sistema. La particolarità della popolazione ospitata in talune regioni - presenza di tipologie criminali peculiari - dovrebbero spingere a operare con risoluzione. La riforma della medicina penitenziaria sta dimostrando tutti i limiti legati alla frettolosa gestazione. E oggi, a 5 anni dal varo, non possiamo giudicare positivi i risultati della riforma, pure indiscutibile nelle sue motivazioni: sono aumentati i rischi professionali, è aumentato il carico di lavoro e di responsabilità per gli operatori, sempre più complesso il rapporto con le direzioni aziendali e con l'amministrazione penitenziaria. In questo scenario di estrema periferia professionale risulterebbero di grande utilità l'ausilio, l'ascolto, l'aiuto che i professionisti del settore sanitario - da anni impegnati quotidianamente a confrontarsi con le criticità del sistema - possono fornire alla classe politica impegnata in questo difficile momento decisionale. Il contesto è complesso e in continuo mutamento, lo dimostrano i report delle commissioni nazionali ed europee sull'attuale condizione degli Istituti Penitenziari italiani, dove, oltre al sovraffollamento, alle grande diversità di etnie, come detto, da gestire vi è una tipologia di detenuti spesso ammalati e portatori di disagio psichico o di franche patologie psichiatriche di media-grave entità in comorbilità con patologie internistiche o con quadri gravi di patologie croniche. I medici penitenziari rivendicano con orgoglio un ruolo primario nel governo delle problematiche penitenziarie, sulla scorta dell'unicità e la peculiarità della Medicina Penitenziaria nel contesto carcerario, impegnativo, difficile e importante è il ruolo degli operatori sanitari per il mantenimento dell'equilibrio, dell'omeostasi in carcere. Medici e infermieri penitenziari hanno acquisito in questi decenni conoscenze, competenze ed esperienza uniche che possono mettere a disposizione. Sulla base di quanto rappresentato chiedono di contribuire e porgono ai Presidenti di Camera e Senato, ai Presidenti delle rispettive commissioni Sanità e Giustizia l'invito ad audire e raccoglie i suggerimenti di questi "esperti lavoratori". Avezzano (Aq): formazione per i detenuti; Intesa tra Ctp, Comune, Casa di pena, Scuole www.marsicalive.it, 31 ottobre 2013 Carcere San Nicola "aperto" alla formazione professionale per dare ai detenuti una chance di reinserimento nella società al termine della pena. Opportunità offerta da un patto di solidarietà sociale tra Istituzioni e scuole: Comune, Casa circondariale, Centro territoriale di formazione permanente n. 2 di Avezzano e Istituto professionale alberghiero di L'Aquila, in linea con le leggi dello Stato mirate a favorire la "carcerazione attiva", hanno siglato un protocollo d'intesa a Palazzo di città che apre le porte della formazione nel campo dell'eno-gastronomia ai detenuti. Nell'aula dedicata alla scuola all'interno del carcere, una decina di reclusi (che si trovano nella condizione giusta per poter accedere al corso di formazione triennale) potranno rimettersi in gioco per acquisire la qualifica di addetto alla cucina. Un primo passo verso i piani alti dell'enogastronomia. L'accordo dà il via alla selezione dei partecipanti in ambito locale, oppure regionale o nazionale attraverso il provveditorato del Ministero della Giustizia. La scuola apre i battenti a novembre. "L'intesa mirata a dare un'opportunità di riscatto sociale a chi ha commesso uno sbaglio, in particolare ai giovani", afferma il sindaco, Giovanni Di Pangrazio, "rappresenta la strada giusta per riscoprire il senso comune e fare qualcosa di concreto e utile per la società e la collettività". Obiettivo centrale del progetto formativo, con primo step, la qualifica di addetto alla cucina. "La rieducazione", ha spiegato il direttore del carcere, Mario Silla, "è lo spirito cardine per il reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale. Questa intesa, frutto di un ottimo gioco di squadra, va nella direzione giusta, poiché l'attestato di qualifica, darà la possibilità di lavorare ai detenuti, una volta tornati in libertà". La sfida del percorso di formazione professionale nasce da un corso di cucina per i detenuti che ha ottenuto ottimi risultati: "il passaggio successivo, a conferma che la formazione è sempre possibile, a qualsiasi età", aggiunge il dirigente scolastico-coordinatore del centro di formazione permanente per adulti, Claudia Scipioni, "è stato quasi naturale. Ora la sfida è diventata più avvincente poiché alla parte formativa si sono aggiunti elementi di carattere sociale". Tasto sul quale ha battuto anche il dirigente dell'istituto alberghiero: "la finalità sociale del progetto che vede operare in stretta sinergia e unità d'intenti Istituzioni e scuola", chiosa il dirigente scolastico dell'Istituto professionale alberghiero, "L. Da Vinci - O. Colecchi" di L'Aquila, Domenico Evangelista, "ha una valenza altissima. Per il nostro istituto, che conta oltre 200 ragazzi della Marsica, operare ad Avezzano è un dovere e un piacere". Il percorso di formazione professionale per i detenuti -novembre 2013-Maggio 2014- prevede 16 ore di lezioni settimanali di teoria e pratica con esame di idoneità finale. Cremona: Progetto Digit, detenuti impiegati in tribunale per digitalizzare le pratiche Il Giorno, 31 ottobre 2013 I fascicoli del tribunale di Crema vanno spostati a Cremona per l'accorpamento. Il giudice Pierpaolo Beluzzi ha lanciato la proposta di scansionare tutti i fascicoli per risparmiare spazio. Sono già al lavoro i 14 detenuti che realizzeranno la scansione dei fascicoli del tribunale di Crema, recentemente accorpato con quello di Cremona. Un'operazione che come in passato ha già permesso di risparmiare denaro pubblico. Nel 2007, infatti, detenuti del carcere di Cremona scansionarono 70mila pagine del processo sulla strage di Piazza Fontana poi riversate in un dvd. Per il processo su un'altra strage, quella di piazza della Loggia a Brescia, con la digitalizzazione fecero risparmiare allo Stato un milione di euro, perché ogni fascicolo era composto da un milione di pagine e in versione cartacea costava 45 mila euro. Poi è toccato ai processi Unipol e Telecom. Ora è la volta dell'archivio del tribunale di Crema. Migliaia di fascicoli di cause già definite che non possono ancora essere mandate al macero e che a Cremona non si sa dove mettere verranno digitalizzati. L'iniziativa è frutto di un'idea di Pierpaolo Beluzzi, il giudice del tribunale di Cremona che sei anni fa avviò il progetto Digit con la collaborazione della direttrice del carcere, Ornella Bellezza. In due mesi il lavoro sarà completato. "Una soluzione rivoluzionaria con una adesione entusiastica del ministro della Giustizia", l'ha definita oggi il presidente del tribunale di Cremona, Ines Marini. Pavia: da Asm una mano tesa al carcere, detenuti lavorano alla pulizia degli autobus di Gabriele Conta La Provincia Pavese, 31 ottobre 2013 Dare una speranza a chi viene dal carcere, e permettere alle aziende di migliorare i loro servizi. È quello che si propone di fare la cooperativa sociale "Del fare", che è stata presentata ieri pomeriggio durante un incontro nella sede di Asm e per la quale oggi lavorano cinque persone. "Per la Pmt ci occupiamo di riqualificazione delle paline e della pulizia degli autobus - spiega Antonio Zappalà, responsabile della coop. Anch'io vengo dal carcere, come tutti gli altri dipendenti. E vi assicuro che spesso si ha la sensazione di essere abbandonati". Un'esperienza non nuova quella dell'impiego di persone svantaggiate nelle municipalizzate pavesi. Ma che per la prima volta assume una forma nuova, quella di cooperativa appunto, che permette ai detenuti in via di reinserimento di ottenere un contratto regolare. E di portare a casa alla fine del mese uno stipendio vero, "e non soltanto una borsa lavoro da poche centinaia di euro al mese". Ma il percorso che ha portato oggi alla costituzione di questa nuova realtà sociale è stato lungo, e non certo facile. "È stato difficilissimo, perché si preferisce nascondere il problema carcere", spiega Federico Traversetti, uno degli educatori che lavorano nella casa circondariale di Torre del Gallo. Eppure è dimostrato che "la recidività per chi non ha seguito percorsi come questo è del 60 per cento - spiega Mario Dossoni, del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Pavia - mentre scende al 20 per cento per chi ha seguito un vero percorso di reinserimento". Un percorso che in questo caso è stato reso possibile anche grazie all'impegno della Pmt. "Prima abbiamo fatto un'analisi delle funzioni collaterali della nostra attività che non si riescono a seguire al meglio per vari motivi - spiega l'ingegner Anselmetti, responsabile dell'azienda di trasporti - e in seguito abbiamo anticipato il capitale per la costituzione di questa nuova cooperativa". Una scommessa sulle persone segnalate all'azienda dagli operatori che in carcere lavorano tutti i giorni. Bologna: la Garante dei detenuti su problema della madri con bambini in carcere di Elisabetta Laganà* Ristretti Orizzonti, 31 ottobre 2013 La visita a Bologna del Ministro Cancellieri di martedì pone meritatamente alla ribalta il problema della madri con bambini in carcere. Questo Ufficio, durante la visita al carcere della Dozza effettuata il 30 ottobre, ha incontrato due giovanissime madri, una con una bambina di 1 mese e l’altra con un bambino di 6 mesi. Vi è anche una giovane incinta di tre mesi. Già varie volte questo Ufficio è intervenuto, anche pubblicamente, sul tema della tutela della salute in carcere delle madri e dei bambini, sottolineando la condizione traumatica sia riferita ai vissuti del bambino che alla condizione emotiva della madre, a volte già difficile in condizioni di normalità. Quindi nonostante l’Ordinamento Penitenziario preveda “servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e alla puerpere” la definizione di tutela della salute psico-fisica delle madri e bambini in carcere è raffigurabile come incompatibile. Il Comitato nazionale per la bioetica, che ha recentemente presentato il documento “La salute dentro le mura” afferma senza timore che il carcere è, per la salute, un ambiente a rischio. Disturbi mentali, nevrotici e di adattamento sono dieci volte più presenti tra i detenuti rispetto alla popolazione libera. Per migliorare la situazione bisogna partire, per il Comitato, da alcuni punti chiave: istituire di una cartella sanitaria nazionale informatizzata, promuovere la salute mentale con personale adeguato e riducendo i fattori di stress ambientali, prevenire il suicidio e l’autolesionismo. L’invito è anche a prestare maggiore attenzione alle donne detenute, su cui il carcere sembra avere un maggiore impatto di sofferenza, sottolineando anche il problema della presenza dei bambini che hanno meno di tre anni e che vivono in carcere con le loro madri che, a causa della permanenza in un ambiente chiuso e permeato di rumori fortemente angoscianti per i piccoli, può provocare conseguenze in termini di danni permanenti, soprattutto se verificatasi in età neonatale e protratta per più anni. Questa deprivazione relazionale di rottura con il contesto sociale in una fase decisiva dello sviluppo che investe, non soltanto i piccoli, ma anche le madri, provoca enormi ricadute e grandi difficoltà di successiva integrazione. La detenzione dei bambini in carcere costituisce un grave problema, una situazione contraria ai principi di tutela dei diritti umani. Peraltro il nido della sezione femminile della Dozza risulta scarsamente attrezzato, quindi a maggior ragione luogo inadatto alla tutela della maternità e dell’infanzia. Pertanto risulta urgente procedere su due filoni. Il primo nodo è legislativo, e riguarda la contraddizione tra le normative tra madri in posizione giuridica non definitiva e quelle definitive. Sarebbe opportuno che il Parlamento sanasse l’assurda discrasia e differenza di trattamento tra le due situazioni. L’altro è creare rapidamente possibilità alternative all’attuale situazione. A tutt’oggi, per le situazioni in cui si ravvisa una particolare rilevanza cautelare sono previsti gli ICAM, strutture a custodia attenuata. Quindi a legislazione ferma, la costituzione di queste strutture è l’unica possibilità per evitare il carcere ai bambini. Si auspica quindi che l’affermazione del Ministro Cancellieri divenga rapidamente realtà concreta, per evitare di perpetrare condizioni inaccettabili per l’infanzia e la maternità dietro le sbarre. *Garante per i Diritti delle Persone private della Libertà personale del Comune di Bologna Perugia: i detenuti di Capanne danno una mano nei lavori di manutenzione della città Corriere Nazionale, 31 ottobre 2013 La convenzione avviata tra il Comune e l’istituto penitenziario. La collaborazione prorogata di altri tre mesi visti i buoni risultati della sperimentazione. Convenzione tra Comune di Perugia e Istituto penitenziario di Capanne rivolta all’impiego di detenuti per piccoli lavori di manutenzione e decoro urbano, in supporto al personale comunale. I risultati dei primi tre mesi di sperimentazione sono stati positivi ed il progetto sarà confermato intanto per altri tre mesi. Oggi ne hanno parlato a Palazzo dei Priori il vice sindaco, Nilo Arcudi, l’assessore all’ambiente e pari opportunità, Lorena Pesaresi, ed il direttore delle carceri, Bernardina Di Mario. In Sala Rossa c’erano anche l’Architetto Leombruni, dirigente della S.O. Centro storico, e rappresentanti di Arci - Ora d’aria e della Croce Rossa Italiana, ma la conferenza stampa è stata caratterizzata soprattutto dalla presenza dei quattro detenuti che hanno partecipato alla prima fase della sperimentazione. La convenzione ha infatti già trovato una prima attuazione pratica: i quattro detenuti hanno prestato servizio presso la Struttura Organizzativa Centro Storico nel periodo 1 agosto - 31 ottobre. Il Comune ha provveduto al pagamento del 50% del costo del trasporto al luogo di lavoro, in collaborazione con Umbria Mobilità, ed al pagamento della copertura assicurativa, senza compensi previsti per i detenuti vista la natura sperimentale del progetto. Tenuto conto del superamento di questa prima fase e della sua buona riuscita, nonché del miglioramento del servizio di decoro urbano ottenuto anche grazie al lavoro dei detenuti, il progetto è stato riproposto per altri tre mesi, fino al 31 dicembre 2014, con modalità che saranno individuate dal dirigente della S.O. in accordo con la direzione del carcere. L’iniziativa è in linea con il mandato istituzionale dell’Amministrazione Penitenziaria, finalizzato al reinserimento sociale dei condannati e che ha come fondamentale obiettivo l’occupazione lavorativa durante l’espiazione della pena, e riprende il protocollo d’intesa siglato il 20 giugno 2012 fra Anci e Ministero della Giustizia. Obiettivo: “promuovere l’avvio di un programma sperimentale di attività in favore della comunità locale attraverso la realizzazione di progetti integrati che prevedano l’inserimento lavorativo di detenuti e internati per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità”. In particolare, i campi di attività individuati dal protocollo vanno dalla manutenzione straordinaria del verde pubblico a quella di parti della città, edifici e spazi pubblici, ma anche attività formative per il recupero di lavoro artigianale in disuso e protezione civile. Dal vice sindaco Arcudi e dall’assessore Pesaresi la sottolineatura della valenza sociale dell’iniziativa, una delle prime in Italia. “I cittadini che scontano una pena detentiva non sono abbandonati”, ha detto Arcudi, che ha anche fatto presente l’aspetto pratico: “è un aiuto alla città che vuole tutelare qualità e decoro”. L’assessore Pesaresi ha ricordato che da tempo, soprattutto in campi come l’ambiente, esiste una intensa collaborazione con l’istituto penitenziario di Capanne. “Per esempio - ha detto - 15 detenuti hanno partecipato qualche domenica fa al progetto Adotta una strada, che consiste nella ripulitura di determinate vie cittadine. Il Comune pensa di estendere questa collaborazione anche ad altri settori”. “Grande soddisfazione” ha manifestato la Dott.ssa Di Mario, “perché con questa iniziativa viene centrato - ha detto - l’obiettivo che ci dà la Costituzione, ovvero il reinserimento sociale dei detenuti”. La Di Mario ha ricordato che alla base c’è il concetto di responsabilità, e che in una fase epocale di cambiamento dell’Amministrazione penitenziaria, pur caratterizzata da tanti problemi come sovraffollamento delle strutture carcerarie e carenze di risorse, dal carcere arriva un messaggio positivo, reso possibile anche grazie alla collaborazione tra istituzioni e volontariato. “La vostra fiducia è la nostra forza”, è stato il commento, sintetico ma eloquente, dei detenuti, che hanno anche raccontato come siano stati bene accolti dai cittadini al servizio dei quali prestavano la loro opera. Napoli: carcere per chi brucia i rifiuti; pronta nuova legge, pene innalzate fino a sei anni di Daniela De Crescenzo Il Mattino, 31 ottobre 2013 Pene più gravi per chi abbandona i rifiuti o vi dà fuoco. Il ministero dell'Ambiente ha pronta una legge per mettere un freno ai roghi tossici in Campania. Il testo sarà presentato in uno dei prossimi consigli dei ministri dal responsabile del dicastero, Andrea Orlando, che alla norma lavora da tempo. Le norme saranno temporanee (due anni) e legate alla "persistenza di situazioni di grave criticità ambientale connesse alla gestione dei rifiuti". Una premessa necessaria per poter introdurre un inasprimento delle pene in una sola regione senza incorrere nello stop della Corte Costituzionale. Chiunque abbandoni, scarichi o depositi immondizia in luoghi non autorizzati, o vi appicchi il fuoco, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Ancora più dura la pena se si abbandonano rifiuti pericolosi: si può restare in galera da tre a sei anni. Pene più gravi per chi abbandonai rifiuti o vi dà fuoco. Il ministero dell'Ambiente ha pronta una legge composta da tre commi per mettere un freno ai roghi tossici in Campania. Il testo sarà presentato in uno dei prossimi consigli dei ministri dai responsabile del dicastero, Andrea Orlando, che alla norma lavora da tempo. La premessa è che le norme saranno temporanee (due anni) e legate alla "persistenza di situazioni di grave criticità ambientale connesse alla gestione dei rifiuti". Una premessa necessaria per poter introdurre un inasprimento delle pene in una sola regione senza incorrere nello stop della Corte Costituzionale. Del resto che la situazione sia grave è testimoniato dai dati sull'inquinamento e dalle inchieste giudiziarie. Dal momento in cui il decreto sarà approvato chiunque abbandoni, scarichi o depositi immondizia in luoghi non autorizzati, o vi appicchi il fuoco, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Ancora più dura la pena se sì abbandonano rifiuti pericolosi: sì può restare in galera da tre a sei anni. Attualmente l'abbandono incontrollato non è un reato penale ed è prevista solamente una contravvenzione. Finora, come risulta dal portale Prometeo della prefettura di Napoli, le contravvenzioni hanno fruttato 73.568 euro. Una miseria. Una cifra nemmeno lontanamente paragonabile a quella necessaria per riparare ai danni prodotti. La denuncia, poi, nella norma ancora in vigore, è prevista solo se sì sversano abusivamente sostanze pericolose. Dal momento del sì al decreto, potrà essere arrestato anche chi semplicemente abbandona il frigo all'angolo della strada o chi lascia in un campo i calcinacci provenienti dalla ristrutturazione di un appartamento. Comportamenti tanto biasimati quanto diffusi in Campania: la Regione ha stanzia to cinque milioni per la videosorveglianza. Ma già sindaci e prefetti hanno sottolineato come lo strumento non sempre sia idoneo. A San Cipriano di Aversa, ad esempio, lo ha raccontato il commissario prefettizio Gabriella D'Orso, i cittadini depositavano i rifiuti nella piazza principale: per arginale il fenomeno si decise di costruire una starna della Madonna. La spazzatura scomparve, ma solo per ricomparire a duecento metri di distanza. Finora comportamenti del genere erano colpiti con una contravvenzione, quando sarà varato il decreto chi inquina potrà finire in galera. Se a commettere il reato, poi, saranno titolari di imprese e responsabili di enti, la pena è aumentata di un terzo. In questo modo si cerca dì ostacolale l'economia nera che abbatte ì costi sversando in maniera illegale. D'altra parte se un'impresa per la legge è inesistente, non può produrre bolle di accompagnamento né fatture e quindi non può affidare gli scarti di lavorazione, i solventi, ì residui alle ditte che li lavorano rispettando le norme e che quindi devono documentare da dove arrivano i rifiuti e che fine fanno. Il terzo comma del nuovo testo mira a colpire gli strumenti utilizzati dagli avvelenatori. E infatti se per abbandonare la spazzatura sono utilizzati mezzi di trasporto, questi vengono confisca ti. "Ed è sempre disposto il sequestro preventivo dell'area sulla quale i rifiuti sono stati abbandonati se questa è di proprietà dell'autore" o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi. In questo modo si cerca di evi tare che i proprietari cedano i terreni per realizzarvi discariche abusive. La disposizione riprende quella del 2008 restata in vigore per tutto il periodo dell'emergenza e prorogata per l'anno successivo. Già con quella norma sì continuava, per un periodo limitato nel tempo (1 anno) ad applicare la speciale disciplina penale alla sola Regione Campania, pur in assenza dello stato di emergenza e in considerazione della grave e persistente criticità ambientale. Il testo che presto arriverà in Consiglio dei ministri è frutto del lavoro dell'Ufficio legislativo per la modifica dei reati in materia ambientale voluta dal ministro Orlando e guidata dal gip Raffaele Piccirillo. L'introduzione dì un reato specifico per chi incendia ì rifiuti viene valutata positivamente dal commissario anti roghi, il prefetto Donato Cafagna che sottolinea: "Norme specifiche contro gli incendi dei rifiuti saranno sicuramente utili a frenare il fenomeno. Reggio Calabria: a Taurionava sede del Progetto di sostegno a famiglie di minori detenuti www.zoomsud.it, 31 ottobre 2013 Progetto del Ministero della Giustizia Minorile - Centro Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata - Catanzaro "Formazione e proceduralizzazione di servizi di sostegno alle famiglie dei minori autori di reato nei Servizio della Giustizia Minorile della Calabria". Tale iniziativa, gestita dall'Istituto Psicanalitico Ricerche Sociali (Iprs) di Roma, dal rilevante valore innovativo, segue le attività svolte a livello dipartimentale, inizialmente dal progetto europeo "Family Roots" e successivamente dalle sperimentazioni pilota realizzate in seno al progetto "La famiglia di fronte al reato". Il Ministero della Giustizia ha avviato un percorso di formazione su quattro modelli progettuali teorici di lavoro (Gruppi di Mutuo Aiuto, Gruppi Multifamiliari, Gruppi ad Orientamento Gestaltico, Family Group Conferencyng) nei quali sono stati coinvolti gli esperti dei singoli modelli di intervento e gli operatori dei servizi della giustizia Minorile - Ussm di Catanzaro e Reggio Calabria e dei Comuni Capofila - Politiche Sociali. L'intento primario è quello di facilitare e sostenere le famiglie che vivono l'ingresso del minore nel sistema della Giustizia Minorile come un vero e proprio evento traumatico, con reazioni che vanno dal disorientamento al sentimento di vera e propria espropriazione del proprio ruolo genitoriale ( temporaneamente trasferito al Sistema della Giustizia) fino al manifestarsi di forme evidenti di disagio a livello familiare. In tal modo si auspica l'instaurarsi di una efficace sinergia tra famiglia e servizi fino al concretizzarsi di un rapporto di collaborazione privo di atteggiamenti oppositivi rispetto al fine ultimo ovvero il percorso rieducativo del minore . I quattro modelli individuati sono stati già stati sperimentati con successo presso le Regioni destinatarie della sperimentazione (Lombardia, Campania, Sicilia ), la quarta Regione destinataria ovvero la Calabria, per conto degli operatori formati, ha prescelto il modello sperimentale "Gruppo Multifamiliare". La fase di presentazione, e successiva formazione, iniziata nel mese di aprile 2013 si è conclusa con la costituzione di gruppi di lavoro, 20 operatori della giustizia minorile per ciascun contesto territoriale, Assistenti sociali, psicologi, operatori sociali per ciascun contesto territoriale, Comune di Reggio Calabria, Direzione Ussm e Cpa/ Comunità ministeriale, Ussm di Catanzaro e Reggio Calabria e dei comuni Capofila - Politiche Sociali. Il Comune di Taurianova fornirà la sede per la fascia tirrenica con il coinvolgimento del personale del Terzo Settore "Area Affari Sociali" inserito fin dalla programmazione nell'importante contesto progettuale. Dunque un ulteriore traguardo, in termini di attività propedeutiche al valore educativo e di supporto alle famiglie in difficoltà, raggiunto dal Comune di Taurianova, che, oggi attraverso la Commissione Straordinaria, ringrazia il Dipartimento della Giustizia Minorile di Catanzaro e di Reggio Calabria nelle loro massime rappresentanze, dott. Angelo Meli e dott.ssa Giuseppina Garreffa, per il prestigioso coinvolgimento che hanno esteso ai Servizi Sociali del Comune di Taurianova. Torino: dentro il carcere delle Vallette un liceo artistico dove gli allievi sono ex stupratori di Mauro Pianta La Stampa, 31 ottobre 2013 Che ci fa uno stupratore alle prese con le pennellate di Giotto o con la “Notte stellata” di Van Gogh? E un pedofilo cosa mai potrà cavare dal tentativo di imparare a memoria una terzina di Dante? Benvenuti in questo strano liceo artistico, sezione carcere “Le Vallette”, primo luogo in Italia dove si raccoglie una sfida del genere: venti persone detenute per reati di natura sessuale che frequentano un vero liceo artistico con insegnanti arrivati in “trasferta” appositamente per loro. L’idea è tutta qui: coloro che hanno sfregiato la bellezza, adesso attraverso il contatto con la bellezza nell’arte, nella poesia, nella letteratura provano a riscoprire la propria umanità e con essa il rispetto degli altri. E delle donne in particolare. Un’intuizione nata dall’ex direttore della casa circondariale “Lorusso e Cutugno”, Pietro Buffa, con Chiara Alpestre, ex preside del Primo Liceo Artistico statale di via Carcano che ha messo a disposizione sei docenti. Eredità raccolta dall’attuale dirigente scolastico, Elisabetta Oggero e dal nuovo direttore della casa circondariale, Giuseppe Forte che spiega: “È una scommessa nella quale crediamo molto. La cultura, insieme al lavoro e allo sport, è uno dei pilastri per il recupero delle persone, per affrontare il futuro. Un corso di studi come questo può aiutare i detenuti a riappropriarsi di una disciplina, del rispetto. E un detenuto che ritrova un po’ di se stesso è una sicurezza per tutti”. Chi sono, allora, questi studenti che il gergo tecnico degli psicologi definisce “sex offenders” ma che il mondo del carcere, isolandoli (e proteggendoli) da ogni contatto con gli altri detenuti, chiama semplicemente “infami”? I frequentanti, per i quali le lezioni sono iniziate anche grazie a un contributo di 20mila euro della Compagnia di San Paolo sono tutti uomini, con un’età tra i 30 e i 60 anni. Sono stati selezionati con un bando nazionale (fra i requisisti la buona condotta). Una decina gli italiani, gli altri arrivano da un po’ ovunque: rumeni, moldavi, albanesi, marocchini. L’orario: 34 ore la settimana per discipline pittoriche, plastiche, storia dell’arte, italiano, matematica e inglese. Enrica Panero, insegna italiano da trent’anni, è la coordinatrice dei docenti: “Lungi da noi - racconta - qualsiasi tentazione di buonismo. È giusto che paghino per quello che hanno fatto, ma non possono essere ridotti al loro reato: sono persone e insieme stiamo facendo un’esperienza straordinaria. Ci stanno facendo riscoprire il significato del nostro lavoro”. Perché? “Sono assetati di conoscenza: all’inizio facevano quasi a pugni per stare nei primi banchi, sono sempre preoccupati di non perdere un minuto di lezione. Dovrebbe vederli quando chiedo loro di chiudere gli occhi per ascoltare le poesie: hanno come un sussulto, la sorpresa per l’armonia…”. Paura? “No, mi fa più paura l’idea che uno stupratore possa stare dieci anni a fissare il soffitto e uscire più abbrutito di prima”. Francesca Midolo insegna disegno: “Abbiamo iniziato con il disegno dal vero: faccio copiare oggetti o nature morte. Ci tengono, si arrabbiano con se stessi quando sbagliano. Mi accorgo che con il disegno è come se si mettessero in contatto con la loro parte profonda”. Tutti gli insegnanti sono colpiti da quei volti fradici di stanchezza che però, in classe, si riaccendono. La bellezza non riapre le porte del carcere. Ma quelle dell’infinito, come diceva Baudelaire, forse sì. Castelvetrano (Tp): detenuto otteneva cibo di nascosto dai parenti, agenti intervengono La Sicilia, 31 ottobre 2013 Non era possibile che i familiari portassero loro cibo e abbigliamento da consegnargli durante il colloqui, tuttavia alcuni detenuti del carcere di contrada Strasatto pare ottenessero ugualmente delle cose sottobanco che riuscivano a recuperare successivamente, ma ora sono stati scoperti dagli agenti penitenziari. Questi ultimi hanno cominciato a sospettare che qualcosa non andava quando all'inizio del mese hanno trovato un giubbotto di marca in un sacchetto in plastica che era stato nascosto tra i rifiuti dell'intercinta, cioè nello spazio tra il muro esterno della casa circondariale e quello interno. Da lì sono state avviate le indagini durante le quali gli agenti penitenziari hanno effettuato servizi di osservazione per scoprire in che modo certi "doni" giungevano in quel posto e chi, tra i detenuti lavoranti, fosse eventualmente coinvolto nella vicenda. Per alcune settimane non è stato segnalato nulla di anomalo, poi, quando un detenuto lavorante ha chiesto di potersi recare al lavoro con notevole anticipo i poliziotti penitenziari hanno intuito che la richiesta potesse essere legata a quanto di poco chiaro accadeva tra l'interno e l'esterno del carcere. È così scattato un controllo al cesto della spazzatura dentro al quale sono stati trovati e requisiti due tranci di pane tipo arabo, confezionati separatamente, altrettante buste trasparenti di piccolo formato con dentro un mix di arachidi e frutta secca, una bottiglia in plastica, della capienza di due litri, contenente olio di oliva e altra merce che normalmente non può essere introdotta dai familiari dei reclusi tramite il servizio colloqui. Pisa: cercasi una casa per far nascere il figlio della detenuta… di Lucia Maffei La Repubblica, 31 ottobre 2013 Una casa protetta per accogliere la mamma, attualmente incinta e detenuta in carcere, insieme al bambino che sta per nascere. La sta cercando, correndo contro lo scadere naturale del tempo della gravidanza, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze per una giovane donna ormai al nono mese e attualmente detenuta al Don Bosco di Pisa. La ragazza, di etnia rom e nata nel 1989, la chiameremo Celeste. Celeste è stata arrestata ad agosto, al sesto mese, per tentato furto in un appartamento di Livorno. Non è la prima volta che viene fermata. Non è la prima volta che è incinta. Mettendo insieme i suoi precedenti, risulta dover scontare una pena che scadrà nel 2028. Celeste infatti è entrata in azione anche a Venezia, accumulando condanne che anno dopo anno, mentre lei diventava maggiorenne, sono diventate definitive. Al suo avvocato, Massimiliano Pecchioli, racconta di avere dei parenti, un compagno e altri quattro bambini a Torino. Un punto fermo nella vicenda di Celeste è che la legge stabilisce, articolo 146 del codice penale, il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena nei confronti di una donna incinta. Su questo Pecchioli è categorico: "Una donna incinta non può stare in carcere". E Celeste è ricoverata da due mesi nel Centro clinico femminile del Don Bosco. Ma il Tribunale di Sorveglianza di Firenze ha rinviato l'udienza per prendere una decisione definitiva sul suo caso al 31 ottobre. Giovedì prossimo. A "meno due" dalla data prevista per il parto. Una decisione, motivata con la necessità di trovare una casa protetta che possa accogliere mamma e figlio, che all'avvocato appare inaccettabile: "Si tutela un bambino che sta per nascere tenendo una donna in carcere. Se la signora è incinta, e lo è, la pena va differita. Punto e basta". Solo che ormai il parto è imminente, e Celeste due mesi al don Bosco, rispettivamente l'ottavo e il nono, li ha già trascorsi. Come affrontare quel giorno? "Dovranno dirmi i medici cosa fare, andrà probabilmente a partorire in un ospedale esterno", afferma il direttore del Don Bosco Fabio Prestopino, che sull'intera vicenda alza le mani: "Non c'è stato un provvedimento del giudice competente per scarcerarla, sono solo un esecutore della legge". All'obiezione che l'articolo 146 parla chiaro, risponde: "Allora separo il piano professionale da quello personale: il carcere non è un luogo adatto a partorire". Questo punto lo ha chiaro anche il Tribunale di Sorveglianza. Celeste non dovrebbe partorire in carcere. "Sappiamo che è obbligatorio mettere fuori la ragazza, ma cerchiamo di trovare una struttura protetta per tutelare almeno il bambino", spiega la presidente Antonietta Fiorillo citando i precedenti di Celeste. "Quando per la ragazza venne decisa la detenzione domiciliare in un campo rom a Venezia, lei sparì". La struttura protetta potrebbe essere quella delle "suorine" di Pian di Scò, in provincia di Arezzo, che già altre volte secondo il magistrato hanno avuto un'influenza positiva sulle persone affidate alle loro cure. Celeste potrebbe essere ospitata nella casa di accoglienza dopo il parto, avvenuto in ospedale, insieme al bambino. "Bisognerebbe che su questa donna ci fosse un investimento di attenzione per interrompere la catena di furti e fuga in cui è vissuta", è il monito del garante dei detenuti della Toscana, Franco Corleone. Che sull'intera situazione di Celeste è chiaro: "Pare abbia avuto tutte le misure alternative al carcere, ma che si sia sottratta". Augusta (Sr): detenuto semilibero ritrovato ferito per strada, muore in ospedale La Sicilia, 31 ottobre 2013 Avrebbe dovuto presentarsi martedì sera, entro le 21, al carcere di Augusta, dove si trova ristretto in regime di semilibertà. Ma a quell'appuntamento il catanese Francesco Natale Trovato, 41 anni, pregiudicato, non c'è mai arrivato. È stato trovato la sera stessa di martedì intorno alle 20, moribondo al viale delle Medaglie d'Oro, a pochi passi da piazza Risorgimento. Ricoverato all'ospedale "Garibaldi" è morto poco meno di un'ora dopo per le gravi ferite riportate alla testa e le gravi lesioni interne riportate. All'inizio si pensava fosse stato ucciso, ma sul corpo non sarebbero stati rinvenuti fori di proiettili o ferite di arma da taglio. Aveva addosso un giubbotto tutto strappato. S'è pensato, allora, ad un incidente stradale, ma sul luogo del ritrovamento del corpo non sarebbero state rilevate tracce di frenata. Altra ipotesi, Trovato potrebbe essere stato investito o ucciso da qualche altra parte e poi gettato lì in modo che qualcuno lo vedesse e lo soccorresse. Fatto sta che ci vorrà un'autopsia per rispondere, almeno in parte, alle tante domande sulla sua morte. Sull'episodio indaga la polizia municipale. L'uomo, pregiudicato, era una vecchia conoscenza delle forze dell'ordine. Era salito agli onori delle cronache il 30 settembre 2010 per uno scippo in concorso con una complice, commesso a Pedara il 27 agosto del 2009, ai danni di una suora che aveva prelevato 750 euro all'ufficio postale. Già all'epoca era detenuto, a Catania, ma per altra causa. Trani: Sappe; agente aggredito da un detenuto con pugni e calci, poliziotti carne da macello Adnkronos, 31 ottobre 2013 “Un agente della Polizia penitenziaria è stato aggredito ieri pomeriggio da un detenuto del carcere di Trani con diversi pugni all’addome, calci nelle gambe e numerosi schiaffi in altre parti del corpo”. A darne notizia è Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria. “Non si comprendono quali siano stati i motivi all’origine di tanta ferocia -prosegue Capece- ma ciò che si sa con assoluta certezza e che il povero malcapitato agente a seguito delle percosse ha riportato contusioni in varie parti del corpo valutate dai sanitari del locale nosocomio con prognosi di otto giorni”. “È inaccettabile -rimarca il leader dei baschi azzurri del Sappe - che tutti giorni dell’anno in uno o più istituti nazionali penitenziari italiani si debba fare la conta dei feriti tra le file degli agenti per sedare situazioni analoghe come risse, rivolte, evasioni, tentativi di evasioni, aggressioni. La Polizia Penitenziaria non è carne da macello. Non è più possibile tollerare violenze come quelle di ieri a Trani: le autorità penitenziarie nazionali, regionali e locali si sveglino dal colpevole torpore in cui da almeno un decennio si trovano ed assicurino garanzie e tutele alla Polizia Penitenziaria, che nella prima linea delle sezioni detentive combatte e rischia la vita ogni giorno. Il Corpo della Polizia Penitenziaria -conclude Capece- non può e non deve essere la cavia di un’Amministrazione costantemente assente: non è ammissibile. Chi difende i difensori?”. Reggio Emilia: Sappe; agente aggredito da detenuto, costretto a ricovero in ospedale Ansa, 31 ottobre 2013 Un agente di polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto nel carcere di Reggio Emilia. Lo riferisce Giovanni Battista Durante, Segretario generale aggiunto Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria. "Oggi pomeriggio, nel carcere di Reggio Emilia - spiega Durante - un detenuto di origine magrebina ha aggredito un agente della polizia penitenziaria, costringendolo a recarsi in ospedale per le cure del caso. Non si conosce ancora la prognosi. L'aggressione sarebbe avvenuta perché lo stesso detenuto si sarebbe rifiutato di rispettare le disposizioni impartite dall'agente. Chiediamo che il detenuto venga punito in base a quanto previsto dall'ordinamento, oltre alla denuncia che dovrà essere presentata all'autorità giudiziaria. Fatti simili non possono essere tollerati". Venezia: progetto "Passi Sospesi" vince premio Associazione Nazionale Critici di Teatro La Nuova Venezia, 31 ottobre 2013 Le carceri veneziane e i loro detenuti protagonisti anche di un importante premio teatrale. A Michalis Traitsis del "Balamòs" Teatro è stato assegnato il premio dell'Associazione Nazionale dei Critici di Teatro per il progetto teatrale "Passi Sospesi" negli istituti penitenziari di Venezia. L'assegnazione è stata ufficializzata con una conferenza stampa al teatro Mercadante di Napoli, la cerimonia di premiazione si svolgerà al teatro Paisiello di Lecce venerdì primo novembre. Si tratta di un riconoscimento molto prestigioso perché proviene da una categoria che molto scrupolosamente osserva, studia e analizza gli avvenimenti teatrali nel territorio italiano. Questo premio arriva in un momento molto difficile, sia per le carceri, che per chi ci sta dentro, e per chi opera al loro interno. Il riconoscimento è relativo al lavoro svolto dal 2006 a oggi. Il progetto teatrale "Passi Sospesi", è attivo appunto dal 2006 presso gli Istituti penitenziari di Venezia (Casa di reclusione femminile della Giudecca e Casa circondariale di Santa Maria Maggiore) e diretto da Michalis Traitsis regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro. L'obiettivo del progetto teatrale "Passi Sospesi" è quello di ampliare, intensificare e diffondere la cultura teatrale dentro e fuori gli istituti penitenziari di Venezia e per questo motivo negli ultimi anni c'è un'intensa attività di pedagogia teatrale: laboratorio teatrale, allestimento di spettacoli teatrali, incontri con le scuole, collaborazione con il Centro teatro universitario di Ferrara attraverso incontri di lavoro e allestimento di spettacoli, incontri di lavoro con registi e attori provenienti dall'Italia e dall'estero. È infatti consuetudine di Michalis Traitsis invitare registi e attori teatrali negli Istituti penitenziari di Venezia per condurre incontri di lavoro con che è stato almeno due volte al carcere femminile della Giudecca insieme al suo collaboratore Alessandro Castriota per condurre un laboratorio teatrale con le donne detenute. Milano: a San Vittore mostra fotografica su detenuti, raccolta fondi progetto rieducativo Ansa, 31 ottobre 2013 Sarà allestita a San Vittore il 5 novembre la mostra fotografica "Chiaroscuro del carcere - il percorso del detenuto dall'ingresso alla cella" attraverso immagini dell'avvocato Alessandro Bastianello allo scopo di raccogliere fondi per un progetto rieducativo da realizzare in collaborazione con lo Ied. "La mia intenzione è non solo quella di cercare un aiuto concreto per chi sta in cella - spiega Bastianello - ma anche trasmettere le emozioni della gente che entra in carcere". Torino: presentato un nuovo sito internet per "navigare" nel carcere Lorusso e Cutugno Ansa, 31 ottobre 2013 Filmati e video del regista Davide Ferrario, articoli scritti da giornalisti della città e anche da redattori-detenuti, notizie, curiosità, storie, il tutto in una veste grafica accattivante, moderna: questo è il nuovo sito Internet del carcere di Torino. Presentato oggi www.carceretorino.it è una finestra su "una città dentro la grande città di Torino, una parte della città di Torino, non la discarica umana di ciò che non va, da lasciare lì, da dimenticare", scrivono Pietro Buffa, ex direttore della casa circondariale, Francesca Daquino, vicedirettrice ed ex reggente e Giuseppe Forte, attuale direttore. Obiettivo "che il dialogo-incontro tra il dentro e il fuori di questa comune società umana sia più ricco di contenuti e di testimonianze. In modo trasparente e sincero" aggiungono Forte, Daquino e Buffa. "Se riusciremo in questo obiettivo - sottolineano - lo dovremo anche all'aiuto e al sostegno di alcune importanti istituzioni torinesi: la Regione Piemonte, in primis, che ha creduto e finanziato questo restyling del sito, ma anche la Compagnia di San Paolo, con l'elargizione di significativi contributi, e infine, il Politecnico di Torino, partner qualificato di questo progetto, e l'agenzia Sharp Consulting Comunicazione". Belgio: i detenuti chiedono l'eutanasia…. è pena di morte volontaria? www.agoravox.it, 31 ottobre 2013 Nel settembre scorso un detenuto condannato a una lunga detenzione ha ricevuto l'eutanasia: era la prima volta in Belgio. Oggi, una dozzina di prigionieri belgi chiedono di porre fine alla propria vita, racconta il quotidiano francese Le Figaro. Senza dubbio è stato creato un precedente difficilmente gestibile sia dal punto di vista legale che etico. "Sono un mostro", dice Frank van den Bleeken, un belga di 50 anni, rinchiuso da 25 anni per lo stupro e l'omicidio di una studentessa. L'uomo non si trova in un carcere, ma in un centro di detenzione psichiatrico dove passa 23 ore su 24 nella sua cella. "Non mi sento un uomo", racconta. Van den Bleeken che, tra l'altro, non chiede di poter riottenere la libertà perché sa che sarà recidivo, aggiungendo che non vuole fare altre vittime. Per questo ha chiesto ai giudici di poter ottenere l'eutanasia. Questa è la terza richiesta che ha presentato. Due medici (sui tre necessari) hanno già dato il loro ok, il terzo esita, proponendo che Frank van den Bleeken possa finire la sua pena in un centro olandese, dove sono in vigore "condizioni più umane" che, secondo l'avvocato dell'uomo, sarebbero in grado di aiutarlo. Questa proposta, che l'avvocato di van den Bleeken ha presentato, è stata rifiutata per non creare un precedente di estradizione. Questo, nonostante all'uomo sia stato diagnosticato in "grave sofferenza psicologica". Mentre qualcuno già grida - non senza ragione - a una "pena di morte volontaria", Jacqueline Herremans, presidente dell'Associazione per il diritto a morire con dignità (Admd) e membro della Commissione di controllo, ricorda che bisogna fare attenzione a che l'eutanasia non diventi una scorciatoia per chi è costretto a vivere tra quattro mura. Per queste persone, continua la donna, bisogna trovare una soluzione medica. Va detto che tra il 1° gennaio 2013 e la metà di ottobre, sono state raccolte, in Belgio, 15.279 dichiarazioni (12.728 nel 2012) di richiesta di morte anticipata, ovvero di chi non vuole che la sua vita venga prolungata per volontà di altri: "Sempre più spesso, le persone si rifiutano di lasciare che qualcun altro parli per loro", dice Jacqueline Herremans. Per ora il Governo belga sta valutando un ampliamento della sua legge sull'eutanasia ai minori e ai portatori di handicap. Frank van den Bleeken a metà dicembre saprà se la sua richiesta verrà accettata o meno. Israele: la beffa di Netanyahu, 100 detenuti liberati e 1.100 nuovi arresti di Michele Giorgio www.articolo21.org, 30 ottobre 2013 Cento fuori e mille dentro. Ieri le autorità israeliane hanno liberato altri 26 prigionieri palestinesi, dei 104 inseriti nella lista dal governo Netanyahu come atto di buona volontà nei confronti del negoziato con l’Autorità Palestinese. Peccato che, nello stesso periodo, da luglio ad oggi, dietro le sbarre ne siano finiti 1.100. A dare i numeri della “buona volontà” israeliana è l’associazione palestinese per i diritti dei prigionieri politici, Addameer: da quando il segretario di Stato americano Kerry ha annunciato la ripresa del negoziato, Israele ha arrestato oltre mille palestinesi, un numero dieci volte maggiore di quello dei rilasciati. “Non è cambiato nulla nella politica israeliana di detenzione - spiega Randa Wahbe, ricercatore di Addameer. Israele dice che si tratta di un gesto di apertura, ma nei fatti non possiamo fidarci dei negoziati fino a quando non assisteremo al rilascio di tutti i prigionieri politici. Se guardiamo ai casi dell’Irlanda del Nord e del Sud Africa, vediamo che il rilascio incondizionato di tutti i detenuti è avvenuto prima dell’avvio del negoziato, non dopo”. Inoltre, secondo quanto dichiarato a Ma’an News dall’ex prigioniero Muaiad Saleem Hajje del villaggio di Burqa, le autorità israeliane hanno posto quattro condizioni ai detenuti per essere rilasciati: divieto di uscire dal Paese per 10 anni; divieto di uscire dai confini del Comune di residenza per un anno; obbligo di firmare una volta al mese per un anno un foglio di presenza nel centro DCO più vicino (ovvero presso i servizi segreti israeliani); e divieto a prendere parte ad alcuna attività politica o di partito. Chi viola una delle condizioni imposte da Israele, sarà nuovamente arrestato e dovrà finire di scontare gli anni di pena rimasti. Ieri notte è stata comunque festa in Cisgiordania: i 26 prigionieri, tutti detenuti da prima del 1993, anno degli Accordi di Oslo, sono stati liberati a mezzanotte. Fino alle prime ore dell’alba migliaia di palestinesi, amici e familiari, hanno celebrato il ritorno a casa dei compagni, accolti anche dal presidente dell’ANP, Abbas, fuori dalla Muqata a Ramallah. Non sono mancate le proteste in casa israeliana: lunedì circa 2mila israeliani (tra cui il ministro per l’Abitazione, Uri Ariel) hanno manifestato di fronte al carcere di Ofer gridando “Morte ai terroristi”, mentre alcuni parlamentari membri della coalizione di governo tentavano di bloccare la scarcerazione facendo appello alla Corte Suprema. Petizione rigettata. Per cui, a placare gli animi è intervenuto l’esecutivo che ha annunciato la costruzione di 1.500 nuove unità abitative per coloni a Gerusalemme Est, nell’insediamento di Ramat Shlomo. Ad annunciare il nuovo progetto è stato lo stesso premier Netanyahu. Yemen: da detenuti politici scomparsi ai droni… murales di denuncia colorano Sana‘a Aki, 31 ottobre 2013 I ritratti dei prigionieri politici scomparsi, con nomi e data della loro ultima apparizione, sono apparsi, uno di fianco all’altro, sui muri dell’università di Sana’a come in altre città dello Yemen. È l’opera dell’artista di strada Murad Sobay, 26 anni, che con la sua campagna “I muri ricordano i loro volti” ha ritratto i detenuti politici di cui si sono perse le tracce, dagli anni Settanta alla rivoluzione contro l’ex presidente Ali Abdullah Saleh nel 2011. “Il significato della parola ‘murò è cambiato. Un muro era una prigione, una barriera. Oggi un muro è un mezzo per esprimersi, un muro ispira. I muri conservano la memoria dei detenuti politici scomparsi meglio di quanto possa fare la gente”, ha spiegato Sobay. Partita da lui, la campagna si è estesa nello Yemen e ha coinvolto altri artisti invitati a “Colorare i muri della vostra strada”. Oltre che dei detenuti politici, i murales denunciano anche azioni settarie, il rapimento di stranieri e i raid condotti con droni americani nel Paese. “Dopo la rivoluzione, ho notato che gli yemeniti erano abbattuti per la guerra, la situazione nel Paese. Ho trovato gli edifici e le strade piene di proiettili, danneggiati. Così sono andato su Facebook e annunciato che sarei andato in strada a dipingere e il giorno dopo l’ho fatto”, ha detto Sobay. “L’arte di strada ha una straordinaria capacità di mettere in luce un problema. Questioni come il settarismo non necessitano di letture di un’ora. Con l’arte di strada si comprendono in un secondo”, ha spiegato. Spagna: progetto “+Europa con valores”, il calcio per il reinserimento dei detenuti Ansa, 31 ottobre 2013 Aiutare i carcerati a reinserirsi nella società creando un vero e proprio campionato di calcio tra gli istituti penitenziari. Questo l’obiettivo del progetto “+Europa con valores” presentato presso il Comitato economico e sociale a Bruxelles dal commissario tecnico della Nazionale spagnola di calcio, Vicente Del Bosque. L’idea è iberica, ma “l’obiettivo è estendere a tutta l’Europa il modello creato con questo programma”. Lo hanno precisato dalla Nazionale di calcio spagnola, che sostiene il progetto, il portavoce Jorge Carretero e l’allenatore campione del mondo e d’Europa in carica Vicente Del Bosque. “Questo progetto di solidarietà - ha indicato il commissario tecnico delle furie rosse - cerca di aiutare al meglio gli emarginati, coloro che sono privati della libertà. Se siamo in grado di sostenerli attraverso il calcio tanto meglio”. “Siamo tutti nella stessa società, anche chi ha sbagliato e poi deve pagare - ha sottolineato Carretero. Dobbiamo aiutarli attraverso quello che abbiamo: il calcio e i valori. Crediamo che dal calcio si possa imparare il rispetto delle regole, prima nel gioco e poi nella società. Il calcio è una fonte inesauribile di valori e risorse che possono essere utilizzati”. Carretero ha anche precisato che “gli arbitri e gli allenatori del campionato sono ex detenuti che hanno finito di scontare la pena”. “+Europa con valores” è un progetto della Fondazione mediterranea dei diritti umani e la Fondazione europea per lo studio e la riflessione etica e consiste in attività è programmi realizzati da professionisti di diversi ambiti per il reinserimento dei detenuti.