Giustizia: a proposito di amnistia e indulto di Livio Pepino www.articolo21.org, 26 ottobre 2013 A bocce ferme si può discutere con minori concessioni all’emotività. Anche in tema di indulto e amnistia. La domanda è: si può convertire in positivo un’iniziativa nata male? Credo di sì. Ma solo se si danno spiegazioni non elusive dei diversi passaggi che l’hanno caratterizzata. Andiamo, dunque, con ordine. L’iniziativa del messaggio con cui il capo dello Stato ha sollecitato il parlamento a prendere in esame la possibilità di un provvedimento di indulto e amnistia è nata male. Inutile arrampicarsi sui vetri. Per anni, quando pure i detenuti avevano raggiunto numeri maggiori degli attuali (oltre 68.000 nel 2010) e l’Italia era stata già condannata dalla Corte di giustizia europea (è del luglio 2009 la sentenza Sulejmanovic della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha definito “disumane e degradanti” le condizioni di vita nelle nostre carceri), il colle è stato rigorosamente inerte. Difficile, dunque, non considerare sospetta un’attivazione intervenuta proprio nei giorni in cui la condanna per frode fiscale inflitta a Silvio Berlusconi attende la (difficile) esecuzione e dal capo dello Stato arrivano segnali di “comprensione” della necessità di assicurare al condannato eccellente “agibilità politica” (sic!). Né si dica - come fanno, un po’ pateticamente, alcuni volonterosi difensori dell’iniziativa presidenziale - che l’eventuale provvedimento di clemenza non riguarderebbe comunque il cavaliere di Arcore, essendo pacifico che l’indulto potrebbe ben coprire la residua pena detentiva inflittagli e cancellare, se previsto nel provvedimento, anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici (come sta scritto nell’art. 174 del codice penale). Né può passare sotto silenzio la circostanza che il messaggio presidenziale non menzioni neppure né preveda alcunché per i detenuti nei Centri di identificazione ed espulsione la cui condizione è stata definita peggiore di quella dei reclusi in carcere nel rapporto approvato all’unanimità il 6 marzo 2012 dalla Commissione del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani. Ampiamente fondate, dunque, le perplessità. E allora? L’eventuale strumentalità dell’iniziativa ne preclude l’esame e un corretto seguito? Sarebbe -credo - una posizione sbagliata e suicida. I contenuti positivi di una proposta, infatti, restano validi indipendentemente dalle ragioni soggettive che l’hanno determinata (e quelli inaccettabili possono essere eliminati). Conviene, dunque, approfondire l’esame. Servono, oggi, un indulto e un’amnistia? e, prima ancora, quali effetti avrebbero? La risposta è semplice. Partiamo dall’indulto (di cui, nelle condizioni attuali, l’amnistia è poco più di un’appendice dai confini predeterminati, per evitare che gli uffici giudiziari lavorino a vuoto su reati destinati comunque a restare senza seguiti sanzionatori). Esso provocherebbe l’uscita dal carcere dei detenuti con condanne di modesta entità o in esecuzione dell’ultimo frammento di una pena medio-alta. Difficile indicarne preventivamente il numero, che sarebbe più o meno elevato a seconda dell’entità della pena condonata e dei reati esclusi. Ma, in ogni caso, ciò ridurrebbe - in misura più o meno ampia - il sovraffollamento del carcere e consentirebbe, in esso, condizioni di vita accettabili (o meno traumatiche) e opportunità trattamentali oggi inesistenti. Si oppone: un condono assicurerebbe una diffusa impunità e offenderebbe gli onesti, rimetterebbe in circolazione pericolosi delinquenti e non risolverebbe i problemi del sistema penale (con la conseguenza che di qui a qualche anno ci si troverebbe da capo). Si tratta di obiezioni suggestive ma infondate: le pene carcerarie brevi sono notoriamente inutili (e spesso controproducenti) in termini trattamentali; l’anticipazione della scarcerazione in caso di condanne prolungate lascia, ovviamente, ferma la parte più rilevante della pena (con il suo effetto di compensazione e di dissuasione); la percentuale dei reingressi in carcere di persone uscite anticipatamente a seguito di indulto è limitata e, comunque, inferiore a quella degli scarcerati a fine pena (come dimostrano, con riferimento all’ultimo indulto, numerose ricerche tra cui una particolarmente curata dell’Università di Torino); invocare il carattere non risolutivo del condono per escludere che si possa farvi ricorso è come negare a chi sta male un antidolorifico con la motivazione che non guarisce la malattia. Né è una situazione solo italiana, se è vero che una Corte federale degli Stati Uniti ha addirittura ordinato al Governatore della California di ridurre di 40.000 unità la popolazione carceraria dello Stato per garantire il diritto alla salute dei reclusi… Nessuno scandalo, dunque. E nessun fuor d’opera. Quanto sin qui detto ha peraltro una ovvia conseguenza. Il provvedimento di indulto dovrà essere tarato sui reati (eccettuati quelli di particolare allarme sociale) che riempiono le nostre prigioni ed escludere quelli che non hanno sbocco detentivo. Non si tratta di fare provvedimenti contra personam ma di essere coerenti con gli obiettivi per i quali dell’indulto è stato proposto, lasciando che a decidere siano i dati statistici - quelli sì oggettivi - delle presenze in carcere. Così sarà anche possibile separare il grano dal loglio, verificando chi cerca davvero di dare un po’ di sollievo alla tragedia delle carceri e chi, invece, persegue altri obiettivi. Giustizia: ddl riforma custodia cautelare, Commissione Camera adotta testo Ferranti Ansa, 26 ottobre 2013 Entra nel vivo, in commissione Giustizia alla Camera, la riforma della custodia cautelare. Ieri, su proposta dei relatori Anna Rossomando (Pd) e Carlo Sarro (Pdl), è stato adottato come testo base la proposta a prima firma Donatella Ferranti e si è fissato per l’11 novembre il termine per gli emendamenti. Il provvedimento, che rientra tra le misure strutturali segnalate dal Capo dello Stato nel suo messaggio sul sovraffollamento carcerario, punta a ridefinire la carcerazione preventiva ridandole natura di extrema ratio, da applicare soltanto qualora altre misure coercitive (domiciliari) o interdittive (ad esempio il ritiro del passaporto), anche utilizzate insieme, risultino inadeguate. Il testo, in tal senso, spiega Ferranti, rende più stringenti i presupposti per il ricorso alle misure cautelari introducendo il requisito dell’attualità nel pericolo di fuga o di reiterazione del reato e richiedendo al giudice una più rigorosa e concreta valutazione. Il testo, peraltro, potrà essere ampliato sulla base degli spunti emersi nelle audizioni che si sono tenute questa settimana. Dopo la messa alla prova e la detenzione domiciliare, l’obiettivo è intervenire in tempi brevi anche su quello che è forse l’aspetto più patologico del nostro sistema carcerario, che conta quasi il 40% di detenuti in custodia cautelare. Giustizia: Cancellieri; urge riformare le carceri, anche con misure straordinarie Ansa, 26 ottobre 2013 La recente condanna, da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha drammaticamente riproposto l’urgenza del tema e, come ha sollecitato il Presidente della Repubblica, l’urgenza di dare risposte, su vari piani, anche di carattere straordinario”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri all’assemblea nazionale dell’Anm e ricordando la necessità di uno “straordinario sforzo riformatore” che “dovrà investire il settore dell’esecuzione della pena e del sistema carcerario”. La questione vede “da anni impegnata in prima linea la magistratura di sorveglianza con a fianco il personale dell’amministrazione penitenziaria e del Corpo della Polizia Penitenziaria. Anche in questo settore so bene che lo straordinario sforzo di questa parte dei vostri colleghi, come di tutti gli operatori che ruotano intorno al circuito carcerario, continuerà inevitabilmente ad essere frustrato se non interverranno modifiche strutturali sul piano normativo, organizzativo e trattamentale”. Occorre, prima di tutto, continua, “un ripensamento organico dei contenuti della pena e degli strumenti sanzionatori alternativi, che si muovano nell’ottica della responsabilizzazione del detenuto e della sua immediata risocializzazione, per tutti quei casi in cui la finalità rieducativa può essere più proficuamente perseguita senza il ricorso al carcere. Ma occorre anche un maggiore coordinamento tra magistratura di cognizione e magistratura di sorveglianza, una più proficua compenetrazione di competenze ed una più intensa collaborazione”. Giustizia: dall’Anm critiche ma anche autocritiche, aperture su amnistia e immigrazione Il Manifesto, 26 ottobre 2013 C’è voluto l’intervento del presidente Rodolfo Sabelli, che ha aperto ieri il 31esimo congresso dell’Associazione nazionale magistrati, per far mettere momentaneamente da parte le divisioni interne tra berlusconiani, e spingerli tutti a riprendere il coro anti giudici. Eppure Sabelli ha sì criticato il fatto che il dibattito sulla giustizia si sia “concentrato su pochi processi celebrati nei confronti di alcuni personaggi politici, con corredo di polemiche, propaganda e denigrazioni”, chiedendo di mettere fine agli “scomposti attacchi alle sentenze”, ma ha anche affrontato il problema dei “rischi di confusione tra funzione giudiziaria e attività politica”. Criticando quei “casi di esposizione mediatica che hanno provocato sconcerto nella magistratura e nell’opinione pubblica, con conseguente appannamento dell’immagine di imparzialità e del decoro della giurisdizione “. Niente nomi, da parte del presidente, ma gli identikit di Silvio Berlusconi da una parte e di Antonio Ingroia dall’altra possono dirsi riconoscibili. Le reazioni della cerchia del Cavaliere sono arrivate subito, e tutte hanno avuto come leit-motiv l’urgenza della “riforma della giustizia”. Non meglio chiarita, ma alle truppe berlusconiane, “lealiste” o “moderate” che siano, non è sfuggito l’impegno del governo a un’iniziativa di legge nel solco delle proposte del “saggi” nominati a marzo da Napolitano. Proposte che vanno da una limitazione del diritto di intervento pubblico dei magistrati a un freno alle intercettazioni, da un ridimensionamento del Csm alla previsione di una sezione disciplinare esterna per i magistrati. Tutte cose che Sabelli, nella sua relazione, ha giudicato negativamente. Aggiungendo però che serve una “normativa rigorosa” per regolare “con maggiore decisione “ l’accesso delle toghe alle cariche elettive. Quanto alle riforme, la ministra della giustizia Cancellieri dal palco del congresso ha specificato che si tratterà di proposte sul processo civile e sul processo penale, un ambito dunque più ristretto - e più urgente - rispetto a quello proposto dai “saggi” e gradito al Pdl. Sui codici di rito sono al lavoro da mesi le commissioni insediate dalla Guardasigilli. Intanto l’Anm avanza la proposta di abolire il reato di immigrazione clandestina, per Sabelli “palesemente inutile e dannoso”. Inutile dire il centrodestra non gradisce. Interessante invece che dal consesso di magistrati non sia arrivata una netta chiusura verso l’amnistia e l’indulto, considerati piuttosto come “strumenti di emergenza” che possono essere presi in considerazione ma solo dando la precedenza ad altre misure di “depenalizzazione e decarcerizzazione” e con l’avvertenza che la clemenza “tenga in debito conto le vittime e favorisca azioni riparatorie e il reinserimento del reo”. Fino a qui si è spinto Sabelli. Nel dibattito opinioni divergenti, dalla netta chiusura del giudice (ex del pool Mani Pulite) Piercamillo Davigo all’invece accorato appello perché la magistratura “si faccia carico del dramma del carcere” dell’ex presidente della Corte Costituzionale Giovanni Flick. Davigo: problema è mancanza posti non numero detenuti Il sovraffollamento delle carceri non è causato dal numero dei detenuti ma piuttosto dalla mancanza di posti. è l’opinione espressa dall’ex pm di Mani Pulite, ora giudice in Cassazione, Piercamillo Davigo. “Le carceri sono affollate perché ci sono pochi posti non perché ci sono troppi detenuti”, ha spiegato Davigo, intervenendo al congresso dell’Anm. “Bisogna rinunciare a scorciatoie - ha ammonito - ragionare su quale è il tasso di repressione e aumentare i posti negli istituti”. “Le sanzioni alternative sono un’illusione”, ha poi sottolineato. E quanto ad amnistia e indulto, ha ricordato che “ negli ultimi 50 anni ci sono stati 35 provvedimenti di clemenza”. “Solo il fatto che se ne parli porterà la riduzione del ricorso ai riti alternativi - ha concluso Davigo - e questo allungherà i tempi dei processi”. Giustizia: alla Camera prosegue l’indagine sulla emergenza carceri Asca, 26 ottobre 2013 La Commissione Giustizia, nell’ambito della relazione da illustrare all’Assemblea, ha fatto un approfondimento dei problemi connessi alla emergenza carceraria messi in luce nel Messaggio inviato dal Capo dello Stato alle Camere. In merito è stata svolta un’ audizione del prefetto Angelo Sinesio, Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie che già la scorsa settimana aveva illustrato al Senato il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari e le prospettive di realizzazione di nuove carceri. Sinesio ha ricordato che il piano per l’emergenza carceri si fonda su tre pilastri: la realizzazione di un’edilizia carceraria di nuovo tipo, l’implementazione degli organici di polizia penitenziaria e l’adozione di misure deflattive, in vista di obiettivi quali la tutela della persona umana e il miglioramento delle condizioni di permanenza dei reclusi, il miglioramento delle condizioni di lavoro presso le strutture carcerarie, la valutazione del patrimonio carcerario e l’ammodernamento generale delle infrastrutture. Il piano per realizzare nuove strutture e di adeguamento di quelle esistenti, approvato il 24 giugno 2010 dal Comitato di indirizzo e controllo, prevedeva l’impiego di risorse finanziarie per 6.753 milioni di euro per un totale di 9.150 posti detentivi. Il piano è stato oggetto di successive integrazioni fino alla rimodulazione approvata il 31 gennaio 2012, a seguito della quale si è prevista la realizzazione di strutture per un numero di posti pari a 12.324 unità da realizzare entro l’anno 2016 dei quali 750 sono già state consegnate nel 2012 e 3.962 lo saranno alla fine del 2016. Sinesio ha poi ricordato le ragioni che hanno determinato l’adozione di un Commissario straordinario ribadendo l’opportunità di puntare comunque su un solo centro di spesa. Giustizia: Cancellieri audita al Senato; molta attenzione ai figli di detenute Asca, 26 ottobre 2013 Il ministro della giustizia, Annamaria Cancellieri, intervenuta in Commissione per la tutela dei diritti umani, ha posto l’accento sul problema dei minori figli di detenute. In particolare per quelli che si trovano negli istituti penitenziari con le proprie madri sono presenti puericultrici e personale specializzato, affiancati da operatori e volontari, anche per l’accompagnamento quotidiano presso asili nido comunali. In molti casi le Asl e i Comuni si impegnano a garantire l’accoglienza dei minori presso gli asili del territorio anche oltre il limite di età. In tutte le strutture penitenziarie femminili o sezioni femminili di istituto sono presenti servizi educativi per la prima infanzia, nonché - data la percentuale elevata di detenute straniere con prole al seguito - progetti di istruzione, formazione, accompagnamento al lavoro e mediazione linguistico-culturale. Il Ministro ha messo in evidenza l’importanza dei centri a custodia attenuata sul modello dell’ICam di Milano e di quello già realizzato a Venezia. In varie altre regioni sono allo studio strutture di questo tipo. Per i minori con genitori in carcere, l’amministrazione penitenziaria - ha aggiunto - rivolge una particolare attenzione all’insieme delle condizioni in cui i bambini sono accolti nelle occasioni di visita al genitore detenuto, in modo che non sia eccessivamente traumatica. La Cancellieri ha poi rilevato che “il sistema penale della giustizia minorile in Italia è particolarmente apprezzato dall’Unione europea ed è orientato al rispetto dei diritti fondamentali del minore, in modo da evitare o ridurre al minimo il pregiudizio per la positiva evoluzione della personalità del minore”. Il Ministro ha affermato che le risorse per la costruzione di Icam sono modeste e la realizzazione di case famiglia può contare esclusivamente su finanziamenti privati e si è augurata che per questo sia definito un emendamento in sede di esame della legge di stabilità. Ha concluso sottolineando che il problema del personale riflette un’effettiva criticità, cui solo parzialmente il previsto reclutamento di 550 nuovi agenti di polizia penitenziaria potrà dare soluzione. Giustizia: Cassazione; no al “carcere” duro per i boss affetti da gravissime malattie Adnkronos, 26 ottobre 2013 No al carcere duro per i boss affetti da gravissime malattie. Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione che oggi ha accolto il ricorso di Filiberto Maisano, 81 anni, ritenuto un capomafia della ‘ndrangheta reggina, per il quale l’allora ministro Giustizia Angelino Alfano nel dicembre 2010 dispose il regime carcerario del 41 bis. Maisano è detenuto nel carcere di Novara e si è rivolto alla Cassazione per chiedere di modificare la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari “per gravi motivi di salute”. Piazza Cavour ha accolto il suo ricorso e ha disposto un nuovo esame davanti al Tribunale della Libertà di Reggio Calabria. In particolare, la Suprema Corte sottolinea che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” e che anche quando si è in presenza di esponenti di spicco della criminalità, è necessario equilibrare “ le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione”. Maisano, come sottolinea la sentenza 43890, presenta “un quadro patologico serio caratterizzato da patologie cardiache, artrosiche, discali e neurologiche” che nel tempo lo hanno portato anche alla depressione. La Cassazione, accogliendo il ricorso di Filiberto Maisano, ricorda che il nostro “ordinamento penitenziario” prevede che le pene non possano “consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato”, attenendosi sempre al principio che “quello alla salute è diritto fondamentale dell’individuo”. Piazza Cavour ricorda che “è nel rispetto di un siffatto quadro normativo che il legislatore, pur nel contesto nazionale di fenomeni diffusi e radicati di criminalità organizzata di estremo allarme socio-economico, fenomeni sconosciuti ai maggiori Paesi occidentali, ha articolato una disciplina della carcerazione preventiva attraverso la quale equilibrare le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione”. A Filiberto Maisano il tribunale della libertà di Reggio Calabria lo scorso 20 marzo aveva negato la modifica della misura cautelare in carcere con quella dei domiciliari ritenendo che le patologie di cui era affetto, pure se serie, potessero essere curate in carcere. Contro il no ai domiciliari la difesa di Maisano ha fatto ricorso con successo in Cassazione sostenendo che “il diritto alla salute del detenuto è prevalente anche sulle esigenze di sicurezza”. Piazza Cavour ha giudicato il ricorso “fondato”. In particolare, la prima sezione penale sottolinea che “è fatto divieto di disporre o mantenere la medesima custodia carceraria in costanza di persona affetta da malattia particolarmente grave tale da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo ovvero non adeguatamente curabili”. Anche in quest’ultima ipotesi, evidenzia il relatore Francesco Maria Bonito, “la ricorrenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza giustificano forme detentive ma soltanto di minore rigore (arresti domiciliari in luogo di cura)”. Nel caso in questione la Cassazione fa notare che Maisano è “persona ultra 80enne affetto da un complesso patologico di sicuro rilievo, di forte incidenza individuale, sicuramente debilitante di essenziali funzioni vitali: l’apparato cardiovascolare, quello articolare deputato alla deambulazione, quella neurologica incidente direttamente sulla percepibilità della funzione emendativa della pena e quella, infine, psicologica, essenziale per la condizione stessa della vivibilità quotidiana”. A questo proposito i supremi giudici bacchettano il tribunale della libertà reggino perché “nonostante siffatte oggettive premesse ha limitato la sua pur meticolosa disamina alla sola circostanza della compatibilità della detenzione carceraria interinale con lo stato di salute, per poi pervenire, all’esito di un faticosissimo iter procedimentale scandito da perizie e consulenze, ad un giudizio di compatibilità ad avviso del collegio soltanto parziale e non esaustivo”. Da qui la decisione di Piazza Cavour di disporre un nuovo esame davanti al Tribunale della libertà di Reggio Calabria visto che “appare sottovalutato il dato essenziale dell’età del detenuto, ultra ottuagenario, e del pari sottovalutata appare la diagnosticata depressione, l’una e l’altra, nel quadro patologico accertato, complesso e grave, direttamente incidenti sulla normale tollerabilità dello stato detentivo e verosimilmente cagione di una sofferenza aggiuntiva intollerabile per il nostro sistema costituzionale”. La Cassazione conclude ricordando al giudice del successivo grado di giudizio che “la valutazione di compatibilità detentiva deve essere particolarmente rigorosa quanto alla sussistenza di una situazione di pericolosità e quanto alla sofferenza ulteriore che in un anziano può provocare lo stato di detenzione”. Legale Provenzano: legge si applica a tutti tranne che a mio assistito “In Italia la legge si applica a tutti tranne che al mio assistito. La Cassazione ribadisce un principio di diritto che esiste nel nostro ordinamento, ma che non vale per Provenzano, per il quale evidentemente esistono deroghe che non conosciamo”. Così Rosalba Di Gregorio, legale di Bernardo Provenzano, commenta con l’Adnkronos la sentenza della Cassazione che oggi ha accolto il ricorso di Filiberto Maisano, 81 anni, ritenuto un capomafia della ‘ndrangheta reggina. I supremi giudici hanno ribadito il no al carcere duro per i boss affetti da gravissime malattie. Nei giorni scorsi il Tribunale di sorveglianza di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dagli avvocati del padrino di Corleone, che chiedevano la revoca del regime di carcere duro per motivi di salute. Una decisione che di fatto conferma il 41 bis per Provenzano, detenuto dal 2006. “Per lui - prosegue Di Gregorio - non valgono i principi di diritto. Il ministro dice che deciderà dopo aver preso visione dei referti medici, ma noi non abbiamo altre perizie da presentare, tranne che il certificato di morte”. Intanto Provenzano è in attesa di notizie dalla Corte di Strasburgo a cui i suoi legali si sono rivolti. “Non vogliamo più dare disturbo allo Stato italiano - conclude il legale - qui la vicenda è su un binario morto”. Giustizia: reato di tortura; primo “sì” in Commissione del Senato, ma senza la convenzione Onu Di Eleonora Martini Il Manifesto, 26 ottobre 2013 Il primo passo per l’introduzione del reato di tortura anche nell’ordinamento italiano finalmente è stato compiuto. Ieri la commissione Giustizia del Senato ha licenziato definitivamente il nuovo testo di legge messo a punto dal relatore Nino D’Ascola (Pdl), anche se nessuno sa dire ora quanto tempo rimarrà nel cassetto prima che l’Aula si decida a calendarizzarne la discussione. Ma la configurazione del reato, nel ddl che ha trovato la quadra in commissione, non corrisponde affatto alla definizione della Convenzione Onu sulla tortura - che parla di reato specifico compiuto da pubblico ufficiale, e non generico, ossia commesso da chiunque - il cui Protocollo è stato ratificato dall’Italia poco più di un anno fa. Proprio per questo il senatore Pd Luigi Manconi si dice “per nulla soddisfatto”: “Che fosse reato proprio, cioè commesso da chi esercita pubblico servizio, era davvero irrinunciabile perché - spiega Manconi - si tratta appunto di definire la tutela di coloro che si trovano in uno stato di privazione della libertà, anche per decisione legittima”. Eppure, se fosse stato già legge, il testo che ieri ha ottenuto anche il via libera dalla commissione Bilancio (pur se amputato del fondo a sostegno delle vittime), i poliziotti condannati per le violenze nella caserma Diaz, a Genova nel 2001, avrebbero rischiato fino a 18 anni di carcere. Il ddl emendato infatti prevede il carcere da tre a dieci anni per chiunque “cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche” ad una “persona privata della libertà” o “affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza”; se a torturare è un pubblico ufficiale la reclusione va da quattro a dodici anni. E se si causano lesioni personali, la pena aumenta: di un terzo se sono “gravi”, della metà se “gravissime”. L’ergastolo in caso di morte volontaria. Il terzo dei sette articoli che compongono la legge vieta “il respingimento, l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato nel quale esistano seri motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura”. Giustizia: a Palermo incontro tra studenti, magistrati e familiari vittime di Cosa Nostra Ansa, 26 ottobre 2013 “Quella fatta dai familiari di Peppino Impastato è stata una scelta di follia e dignità che insegna come spesso sia più facile arrivare alla verità da parte di chi sta cercando di conquistare e combattere da una trincea rispetto a chi sta comodamente seduto su una poltrona”. Lo ha detto Franca Imbergamo, magistrato della procura nazionale antimafia, intervenuta a un convegno su donne e mafia ai cantieri culturali alla Zisa, a Palermo. All’incontro partecipano decine di studenti degli istituti scolastici del capoluogo Meli, Volta, Maria Adelaide, Garibaldi. “Ognuno nel proprio piccolo, ha la possibilità di fare qualcosa - ha detto il magistrato rivolgendosi ai ragazzi - voi avete la possibilità di scegliere il vostro futuro. Siate folli e siate affamati, come diceva Steve Jobs, siate affamati di giustizia”. Al dibattito sono intervenute diverse donne, familiari di vittime di mafia. Commosso il ricordo di Pina Catalano, sorella di Agostino Catalano, caposcorta del giudice Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio: “Quando dopo la strage mia madre ha visitato il carcere Pagliarelli - ha detto Pina Catalano - i detenuti si sono inginocchiati chiedendole perdono, pur non essendo stati loro i diretti responsabili. Di fronte a quella scena, mia madre ha sentito una forte emozione, come se il suo cuore sanguinasse”. Gli studenti hanno ascoltato le storie di Felicia Impastato, la cognata di Peppino Impastato, di Silvia Francese, nipote del giornalista Mario Francese, ucciso il 26 gennaio 1979 e di Tiziana Lo Salvo, figlia di Rosario Di Salvo, il collaboratore di Pio la Torre; i due furono uccisi da cosa nostra il 30 aprile del 1982. “Mia madre - ha detto Tiziana Lo Salvo - ha deciso di costituirsi parte civile in un processo di mafia, ed è stata una delle prime donne a fare questa scelta. Una decisione dolorosa: ad ogni seduta ripiombavamo nell’incubo, ogni telefonata anonima era un sobbalzo, ma una scelta necessaria di cui ho capito il senso da grande. Quando è stato ucciso, mio padre aveva 26 anni, era più giovane di me adesso”. Cagliari: sit-in Sindacati Polizia Penitenziaria per evitare la chiusura del carcere di Iglesias di Tamara Peddis La Nuova Sardegna, 26 ottobre 2013 Sit-in dei sindacati davanti al consiglio regionale per dire no alla dismissione della casa circondariale di Iglesias. Questa mattina in presidio in Via Roma Ugl, Cisl Fns, Sinappe, Uil, Sappe, Cgil, Fsa Cnpp chiedono alle istituzioni di rivedere i criteri che hanno portato l’Amministrazione Penitenziaria a chiudere il carcere. “Un progetto - scrivono in una nota - imbastito unilateralmente dall’Amministrazione che avrà gravi ripercussioni su tutto il personale in servizio a Iglesias e sulle loro famiglie e non solo, considerato che vi è indotto economico che vi ruota attorno”. I sindacati ritengono che poiché nell’Istituto sono ospitati prevalentemente detenuti protetti il carcere non solo è utile, ma anche opportuno. I rappresentanti dei lavoratori penitenziari aggiungono inoltre che la Casa circondariale iglesiente sia uno delle poche nell’isola dove ai detenuti sono garantite condizioni di vivibilità accettabili. “Sebbene si sia nei limiti della capienza tollerabile - precisano i sindacati - non vi sono più di due detenuti per camera”. Ugl, Cisl Fns, Sinappe, Uil, Sappe, Cgil, Fsa Cnpp ritengono che la chiusura del carcere andrà ad incidere sull’economia della zona già di per sé povera perché né risentirebbe pure l’indotto. Per esempio il personale della ditta appaltatrice del servizio di mantenimento dei detenuti e quello della ditta che gestisce la mensa. Le organizzazioni sindacali sono venute a conoscenza della possibile dismissione del carcere nella riunione del Circuito Regionale dei Penitenziari Sardi che si è tenuta a Cagliari la scorsa settimana. Per evitare la chiusura hanno scritto al Ministero della Giustizia, alla Regione, al direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino e al Provveditorato. Sul caso è intervenuto con una nota il deputato del Pd Emanuele Cani. “È urgente una iniziativa del Governo al fine di scongiurare la chiusura del carcere. Da tempo ci battiamo per salvare una struttura importante sia dal punto di vista dell’espiazione della pena sia per quanto riguarda l’aspetto lavorativo ed economico del nostro territorio. Chiudere il carcere di Iglesias significa far indietreggiare, ancora una volta, lo Stato. Una ritirata che non possiamo permettere. È inconcepibile che una struttura moderna per la cui realizzazione sono stati spesi milioni di euro debba essere dismessa”. Oggi nel carcere sono reclusi detenuti particolari che sia a causa della tipologia di reati commessi o per la loro origine non possono trovare accoglienza nelle normali strutture penitenziarie. Civitavecchia: Sindaco Tidei; sistema carcerario è un dramma, bisogna intervenire subito Roma One, 26 ottobre 2013 Pietro Tidei, sindaco di Civitavecchia, si esprime sulla situazione carceraria in un convegno su sanità e carceri. L’ex parlamentare e membro della commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha dichiarato che “nel corso della mia attività politica ho avuto modo di affrontare il problema delle carceri, connesso e collegato indissolubilmente al sovraffollamento carcerario”. Appare innegabile - continua il sindaco - che il sovraffollamento delle carceri porta con sé tutta una serie di problematiche che vanno a ledere i basilari diritti di ogni individuo. Il diritto al lavoro alla salute, alla tutela degli affetti, alla cultura, alla formazione, all’istruzione, al reinserimento nella società fino alla tutela della dignità, non possono e non devono cessare nel il momento in cui si entra in un Istituto penitenziario. Ed è in questo contesto che si inserisce il lavoro svolto dalla Asl Rmf qui rappresentata dal Commissario Giuseppe Quintavalle che giudico lodevole. Alla Asl va il merito di aver varato la Carta dei servizi sanitari per i detenuti della Regione Lazio; si tratta di una grande conquista di civiltà alla quale tutti noi dobbiamo rendere merito ed io, come Sindaco di questa città, non posso che esserne orgoglioso. Un breve excursus della situazione carceraria italiana è necessario se si vuole affrontare in maniera puntuale il problema. A tal proposito ricordo che ci sono quasi 68 mila detenuti all’interno dei 206 istituti penitenziari che sono luoghi obsoleti, degradati e degradanti; il 47 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio e sussistono nove milioni di procedimenti pendenti; lacune gravi si registrano nella carenza del personale con uffici sguarniti di magistrati, personale amministrativo, risorse ed ovviamente agenti di polizia penitenziaria”. Sempre per Tidei “all’interno delle carceri, il 37 per cento dei detenuti è costituito da stranieri, 16 mila sono tossicodipendenti dei quali il 38 per cento soffre di epatite e ben 1.227 sono affetti da Hiv. Ad aggravare questo quadro sottolineo che si sta verificando la ricomparsa di malattie già da tempo debellate, come la scabbia e la Tbc. Inutile negare il dramma che attanaglia il sistema carcerario, basti pensare che negli ultimi dieci anni sono morte 1.500 persone e di queste 500 persone si sono suicidate. Inoltre, vi sono state 1.500 aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria e la Corte di Strasburgo ci ha già condannato più di una volta per aver tenuto 18 ore sette detenuti in uno spazio pari a 2,7 metri quadrati a persona. Dobbiamo pensare a chi uscirà da queste patrie galere e se uscirà un elemento risanato, rieducato e reinseribile facilmente nella nostra società, perché così i pericoli per la nostra incolumità saranno minori. Per fare ciò dobbiamo farci promotori di istanze costruttive che intervengano con una riforma di sistema. Abbiamo l’obbligo morale e civile di rivedere il modello unico di istituto penitenziario, migliorare e razionalizzare le risorse economiche e professionali da dedicare alla popolazione carceraria è un atto dovuto della Società che ha il precipuo scopo di reinserire i detenuti al proprio interno partendo dal diritto alla salute che è il primo tra i diritti di tutti noi. A questo va aggiunto il diritto al lavoro poiché, nonostante le grandi difficoltà che stiamo attraversano a livello economico-sociale-lavorativo, risulta innegabile che carcere e lavoro rappresentano un binomio legato alla dimensione afflittiva o riabilitativa della detenzione”. Per Tidei infatti “con il passaggio da una logica afflittiva-punitiva della pena ad una dimensione risocializzante del carcere, il lavoro penitenziario acquisisce un ruolo sempre più strategico all’interno del percorso di reintegrazione a pieno titolo nella società dei ristretti. Solo con l’affermarsi di una logica trattamentale-rieducativa del carcere il lavoro diventa una componente fondamentale del processo di risocializzazione del reo, assumendo la funzione di anello di congiunzione dell’esperienza dentro e fuori dal carcere. Il detenuto comincia a percepirsi utile per la società, a crearsi un sistema di relazioni, a crearsi dei punti di riferimento e a progettare una vita fuori alla cella. E allora ben vengano cooperative che abbiano come scopo il reinserimento ed il lavoro direttamente sul territorio dando così la possibilità ai detenuti, ma anche alla città stessa, di operare per una integrazione che sia volano di un reinserimento reale e concreto e non un concetto vuoto da contenuti e significati”. Varese: rinviati a giudizio 20 detenuti per la maxi rissa nel carcere del dicembre 2008 Varese News, 26 ottobre 2013 Maxi rissa in carcere, rinviati a giudizio venti detenuti. Si erano azzuffati il giorno di Santo Stefano del 2008 all’interno dei Miogni, procurandosi fortunatamente solo qualche lieve contusione. Oggi il rinvio dell’udienza con gli imputati intenzionati a patteggiare. Una rissa a squadre, italiani contro marocchini, che ha coinvolto ben venti detenuti del carcere dei Miogni. Un fatto grave, conseguenza probabilmente della difficile convivenza nell’affollata struttura varesina, che si è risolto con il rinvio a giudizio per rissa e lesioni di tutti gli uomini coinvolti. Una maxi rissa spaventosa, come la ricordano all’interno del carcere, che poteva finire davvero in tragedia ma che fortunatamente ha procurato solo qualche lieve ferita ai detenuti. Dodici marocchini e otto italiani che hanno iniziato a malmenarsi probabilmente per futili motivi e che hanno smesso solo dopo l’intervento delle guardie carcerarie. Tra i testimoni presenti questa mattina in Tribunale anche il commissario Croci, comandante della Polizia Penitenziaria dei Miogni. L’udienza, tenuta davanti al giudice monocratico, si è conclusa con un rinvio e gli imputati tutti intenzionati a patteggiare. Gli uomini sono tutt’ora detenuti in carcere ed è probabile che dalla sentenza, prevista per dicembre, ricaveranno un allungamento della pena. Bologna: “Stanze di teatro in carcere”, detenuti tornano sul palco dopo stop seguito a evasione Ansa, 26 ottobre 2013 Un cartellone unico, segno di un progetto organico e che, arrivato alla terza edizione, viene vissuto sempre meno come evento sporadico ma come un’iniziativa importante nel panorama culturale e sociale dell’Emilia-Romagna. è quello di “Stanze di teatro in carcere”, il progetto del Coordinamento teatro carcere Emilia-Romagna che con il sostegno della Regione porta oltre 150 detenuti a preparare e realizzare spettacoli fuori e dentro le case circondariali. “Questo semplice gesto di mettere insieme varie iniziative sparse sul territorio e divise tra vari assessorati - ha detto l’assessore regionale alle politiche sociali, Teresa Marzocchi - ha dato i suoi frutti. Una delle novità di quest’anno è la presentazione di un vero e proprio cartellone e il fatto che gli spettacoli tornano ad essere presentati anche fuori dal carcere”. L’iniziativa, lanciata nel 2011, prevedeva fin da subito la presentazione di alcuni spettacoli nei teatri fuori dal carcere, ma subì uno stop dopo la fuga di un detenuto durante le prove all’Arena del Sole di Bologna. In totale sono cinque gli appuntamenti previsti dal 30 ottobre al 16 novembre. Tre andranno in scena all’interno delle case circondariali di Bologna, Ferrara e Reggio Emilia; due all’esterno, al Teatro dei segni di Modena e alla Fabbrica di Candele di Forlì. Milano: l’Edge Festival 2013 ha un sogno… lavorare nei contesti del disagio www.teatro.org, 26 ottobre 2013 Torna l’Edge Festival, una rassegna europea per la diffusione delle Arti nel sociale attraverso l’incontro e lo scambio tra realtà artistiche che in Europa hanno scelto di lavorare nei contesti del disagio (carceri, luoghi di conflitto, centri per rifugiati, centri di sostegno per i diversamente abili). Quest’anno il titolo della rassegna è più di una speranza: “we have a dream”. Il Centro Europeo Teatro e Carcere, diretto da Donatella Massimilla, prosegue il suo lavoro ventennale nelle carceri italiane ed europee con una compagnia inclusiva e allargata, dalle attrici recluse agli attori ex detenuti, ad artisti, giovani e cittadini che si uniscono a reading teatrali dentro e fuori il carcere. Un percorso di straordinario impatto artistico e sociale. Il Piccolo Teatro / Teatro Studio Melato apre le porte il 2 novembre a venti attori pazienti psichiatrici e non, per l’intenso ed entusiasmante “Insanamente Riccardo III” di Roberta Torre (anteprima regionale il 30 ottobre a Rho nel circuito ScenAperta). Da “La Casa di Bernarda Alba” di Federico Garcia Lorca a “Coraggio senza confini. Voci oltre il buio” di Ariel Dorfman, nasce un itinerario di accompagnamento e di formazione della persona reclusa che il Cetec prosegue anche all’esterno del carcere. Sogno reso concreto dall’Edge Project 2013/2014 “Teatro, Libertà e Cultura dentro e fuori le mura di San Vittore”, vincitore del Bando di avvicinamento di nuovo pubblico alla cultura della Fondazione Cariplo. Il carcere milanese apre i cancelli per far uscire dalla sua Casa le figlie di Bernarda Alba: appuntamento al Teatro Verdi il 4 novembre e, nel circuito ScenAperta, al Teatro Sala Ratti di Legnano, il 12 novembre. Durante questa serata, verrà presentata anche una breve anteprima del reading teatrale di Ariel Dorfman “Voci Oltre il Buio”: storie di diritti violati raccolte da Carry Kennedy in giro per il mondo. Una collaborazione nuova e importante si aggiunge infatti ai partner dell’Edge Festival: il Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights Europe che, insieme al Cetec, promuove questo testo sui diritti umani nelle carceri italiane (prime tappe: San Vittore sezione maschile, reparto La Nave e sezione femminile; il carcere Gozzini di Firenze - in collaborazione con Antigone e associazione Lila; biblioteche e scuole e teatri della Regione Lombardia). Grazie ai reportage teatrali di Livia Grossi, sia dentro che fuori San Vittore, rivivono storie africane e di rifugiate politiche, storie sensibili e vere, storie di migrazioni e di ritorni possibili, toccanti come non mai in questo momento storico. Pippo Delbono accompagnerà in questo viaggio di “andata e ritorno” con la forza della sua testimonianza, il giorno 9 novembre, alla sala “Pèrmess de séjour” di Mascherenere c/o Fabbrica del Vapore. Poi il 30 novembre al Teatro Sociale di Como gli amici “sanamente folli” di Oltre il Giardino invitano il Cetec ad una “Jail Session” creata a nostra misura con l’accompagnamento delle parole del poeta Mauro Fogliaresi, le immagini di Bernarda Alba a San Vittore del fotografo Gin Angri e la presentazione dell’ultimo numero del periodico “Oltre il Giardino” del centro diurno di Como. Pisa: raccolti oltre 21mila euro per il carcere Don Bosco, sul palco anche Sofri di Gianluca Campanella Il Tirreno, 26 ottobre 2013 Nel Palazzo della Carovana, in Piazza dei Cavalieri, stamani a partire dalle ore 10, si terrà una iniziativa organizzata dagli studenti della Scuola Normale: “Tutti dentro. Il carcere: come funziona, chi ci vive, perché ci riguarda”. Un incontro per discutere della situazione nazionale e cittadina, oltre il clamore mediatico intorno ad indulto e amnistia. Intervengono Giovanni Torrente, osservatore nazionale per Antigone; Andrea Callaioli, già garante dei diritti del detenuto del comune di Pisa; una rappresentante del gruppo “Donne e carcere” della Casa della Donna di Pisa, attivo nella sezione femminile della Casa circondariale di Pisa. Modera l’incontro Enza Pellecchia, docente alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università e del Polo penitenziario pisani. Lo spettacolo “L’illogica allegria” di mercoledì sera al Verdi ha avuto 766 presenze (su circa 800 posti di capienza del teatro), ha incassato 21.042 euro e voleva essere tante cose: omaggio a Giorgio Gaber a dieci anni dalla scomparsa, raccolta fondi per migliorare le condizioni di vita dei detenuti nel carcere Don Bosco e “uno spettacolo senza rete, perché non c’è stata alcuna possibilità di provare”, come recita il programma distribuito in sala da assessori e deputati, nell’insolita veste di maschere. Claudio Bisio, presentatore d’eccezione, si cala subito nella parte: “Sarà una serata anarchica, per esempio sembra che io dica cose sensate”. E il pubblico sta al gioco, duettando con il comico milanese sul palco; Bisio fa notare: “Ci sono dei posti vuoti. Qualcuno ha pagato e non è venuto?”. Pronta, una voce dai palchi di sinistra: “L’hanno arrestato prima”. E giù applausi e risate, continuate per tutta la gag tra i due che si rinfacciano presunte pisanità e livornesità. Bisio improvvisa per tutta la serata e ha quasi sempre la risposta pronta (solo con Adriano Sofri ha sfiorato la gaffe ed è rimasto in silenzio); in uno dei tanti sketch, interpreta le vignette di Sergio Staino (regista della serata insieme ad Alice Guadagni) e dalle galleria qualcuno urla: “Noi non vediamo”. Ancora una volta, la sferzata vincente del comico: “Nessun problema, i disegni sono così così e il testo ve lo dico io”. Ma un po’ tutti gli artisti fanno quel che vogliono. Roberto Vecchioni spiega perché si sposta verso la destra del palco: “A destra si dicono cavolate, si urina e si canta” (la versione originale è un po’ meno raffinata). E sostiene che quando Giotto disegnava capolavori, “i tedeschi - che oggi vogliono primeggiare - non sapevano nemmeno dipingere. Come sono felice di essere italiano!”. L’inatteso filone patriottico era stato inaugurato da Bisio qualche minuto prima, quando aveva recitato versi che dipingono gli italiani come “cialtroni”, ma gli unici capaci di vivere bene e di portare allegria. Anarchia, appunto, dal pubblico a volte accolta bene (generosi gli applausi che perdonano più di una stecca a più di un artista), altre con freddezza: in particolare quando si rischia qualche indulgenza verso il buonismo e la retorica facile. Anarchia, come quella di Bobo Rondelli, salito in scena in dubbie condizioni psicofisiche e capace di introdurre il suo capolavoro “Marmellata” con la tesi secondo cui la parte migliore delle celebrazioni eucaristiche “è quando il prete dice: “La messa è finita, andate in pace”“. Simpatia, come quella degli irresistibili Gatti Mézzi che fanno ridere anche quando portano in scena brani tristi, in linea con “la nostra fase necrofila”: Francesco Bottai ha perso il plettro della chitarra e Tommaso Novi ne chiede uno al pubblico in sala. Ma dicevamo la gaffe: Bisio aveva introdotto Alessandro Benvenuti come l’unico presente anche otto anni fa al Verdi per l’analoga iniziativa a favore dei detenuti e in ricordo di Gaber. Quando tocca a Sofri, il comico gli chiede scusa: “C’eri anche tu”. E l’intellettuale lo gela: “C’ero ed ero anche detenuto”. Bisio gli lascia la scena senza aggiungere altro. Palco nudo, solo un leggio al centro; e Sofri racconta la sua esperienza in carcere, concedendosi una sparata che alcuni hanno percepito come contro i giudici. L’omaggio a Gaber diventa un Sos da dietro le sbarre “A volte i giudici uccidono le mogli” è una delle frasi pronunciate mercoledì sera da Adriano Sofri sul palco del teatro Verdi di Pisa, durante lo spettacolo “L’illogica allegria”, un omaggio a Giorgio Gaber e una raccolta fondi per i detenuti del carcere cittadino Don Bosco. In scena si sono alternati artisti provenienti da tutta Italia, tra cui Gianmaria Testa e Roberto Vecchioni. Sofri ha l’onore della chiusura, poco prima della performance teatrale di otto carcerati, in permesso speciale, che l’ex leader di Lotta Continua introduce così: “Possiamo dire che sono detenuti, loro non si vergognano di farlo sapere. A volte bisognerebbe che chi non lo è si vergognasse”. Ma subito corregge un po’ il tiro: “Mi sono accorto che è una battuta demagogica”. Il meglio c’era già stato. Da solo, sul palco, Sofri infatti premette alla sua partecipazione: “Non so fare niente, allora leggerò”. Emozionatissimo e tremante, declama “la descrizione del passeggio, che qualcuno chiama ora d’aria”. Un brano toccante e bellissimo, autobiografico, che rievoca la sua esperienza proprio al Don Bosco, in cui ha scontato dal 1997 al 2012 (dal 2005 in semilibertà) la condanna per essere stato ritenuto colpevole quale mandante dell’omicidio di Luigi Calabresi. Ebbene, Sofri descrive “le passeggiate di Sisifo di pianura, che non avvicinano a niente, se non alla pazzia e alla morte” e prova un parallelismo: i detenuti contano i passi, a volte con “frustrazione”, in attesa del fine pena; i giudici non dovrebbero condannare a tot anni di galera, ma a tot milioni di passi, “14 milioni 637mila 512 passi”. Poi, forse, la metafora gli sfugge: “I giudici sono da compatire due volte, perché giudicano e perché non sanno di cosa parlano”. E, ancora: “A volte i giudici uccidono le mogli (ma non in numero statisticamente significativo) e casomai senza che questo abuso d’ufficio si riverberi sul loro operato professionale precedente”. Infine l’ennesima immagine shock: il giudice la mattina ti condanna e poi toglie la toga, “si rimette in borghese, pranza con la sua signora e nel tardo pomeriggio le propone di uscire a fare due passi, cara”. Il passeggio, i passi, il gioco del testo è palese; non per questo privo di rischi. Al punto che al termine dello spettacolo abbiamo avvicinato Sofri per chiedergli se si rendesse conto che poteva essere travisato. “Era una battuta”, la risposta. Ma nella sostanza conferma tutto: “Credo che i giudici dovrebbero fare una sorta di tirocinio in carcere, un giorno e una notte. Sono convinto che se trascorressero una notte in carcere, le cose sarebbero molto diverse”. Tanti sono i momenti forti della serata, oltre a quello clou di Sofri: per esempio, Bobo Rondelli (“Voglio provare l’acustica di questo teatro”) canta senza microfono “Non pensare a me” di Claudio Villa e cambia le strofe: “Pensa al Livorno che è andato in serie A”. Una provocazione che crea un boato del pubblico pisano, a metà tra il divertito e l’inorridito. Ancora, la gag con il cane e il giubbotto di pelle realizzata dallo stesso Rondelli insieme ai Têtes de Bois. La trascinante “Avvelenata” di Francesco Guccini, suonata da Alessandro Benvenuti: “Gli ho tolto tre, quattro accordi; secondo me è anche meglio, ma Francesco non l’ha ancora sentita”. E la lettera di Giorgio Napolitano, letta dal conduttore Claudio Bisio, che dice, a chi non ci crede: “Dalla prosa si capisce che è Napolitano, stiamo rischiando il vilipendio!”. Bari: in scena “Il nastro giallo”, evento laboratorio “Spazi vuoti, spazi possibili” Ristretti Orizzonti, 26 ottobre 2013 Il giorno 29 ottobre 2013, alle ore 15,00, presso la Casa Circondariale di Bari, si terrà l’evento conclusivo del laboratorio “Spazi vuoti, spazi possibili. Conoscere le emozioni attraverso percorsi creativi”, ossia un laboratorio esperienziale che integra l’esplorazione creativa e la consapevolezza di sé e delle proprie emozioni con la scrittura e l’esercizio teatrale. Il laboratorio, iniziato a luglio 2013. Al laboratorio hanno partecipato complessivamente 15 detenuti. Il laboratorio, condotto da Valeria Copertino (psicologa e psicoterapeuta) e Valeria Simone (regista e drammaturga) è rivolto ai detenuti della Carcere di Bari e integra diverse matrici fondanti che si attraversano reciprocamente: l’introspezione e la crescita personale con elementi di scrittura creativa e pratica teatrale. Accostare al teatro un’esplorazione delle emozioni che permetta di ricostruire la propria storia, riconoscere il sé e ritrovare l’identità personale. L’identità personale non è monolitica, data una volta per sempre ma si rinnova e si costruisce durante tutto l’arco dell’esistenza, è contestuale e relazionale, spesso può variare in base al contesto ed al ruolo che si intende assumere in tale contesto. L’”esplorazione creativa”, la ricerca della consapevolezza di sé e delle proprie emozioni trova un suo canale d’espressione nella scrittura creativa e nel linguaggio teatrale, permettendo di comunicare con le metafore, la fiaba, l’autobiografia e con il corpo, attraversando le dimensioni multiple dello spazio e del tempo, mettendo in gioco simboli, esplorando ruoli e relazioni. Si è scelto di mettere in scena brevi monologhi, con i detenuti che hanno concluso il laboratorio, ispirati ad una storia vera. I testi sono stati scritti insieme ai partecipanti, da cui è nato, appunto lo spettacolo “Il nastro giallo”. Lo spettacolo vedrà la partecipazione di molti detenuti unitamente alla direzione, polizia penitenziaria ed area educativa della Casa circondariale di Bari ed alcuni ospiti esterni. Torino: i ragazzi dell’Ipm alla premiazione Concorso “A scuola di Costituzione” Ristretti Orizzonti, 26 ottobre 2013 Lunedì 28 ottobre 2013 alle ore 12.00, presso l’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo di via Sidoli 10 a Torino si svolgerà la premiazione del concorso “A scuola di Costituzione 2012/2013” promosso dal Cidi, d’intesa con l’Anm e la Fondazione Basso, con il lavoro “Costituzione dentro”, cui presenzieranno alcuni ragazzi ospiti del Carcere Minorile Ferrante Aporti. Il progetto che ha coinvolto alcuni minori detenuti, è finalizzato ad una riflessione su alcune tematiche del nostro dettato costituzionale. I giovani dell’Istituto, sotto la diretta guida degli insegnanti dell’I.C. di Via Sidoli e la supervisione del Signor Magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale per i Minorenni di Torino, hanno analizzato, riflettuto e discusso le tematiche contenute negli artt. 3 e 27 della Costituzione, raccogliendo i pensieri nel fascicolo “Costituzione dentro” vincitore del concorso per la sezione scuola secondaria di primo grado. Questo risultato è stato realizzato in collaborazione con i laboratori di informatica multimediale e ceramica all’interno del quale è stata realizzata una scultura. All’evento parteciperà il Dirigente Interregionale Dott. Antonio Pappalardo, in rappresentanza del Dipartimento Giustizia Minorile. Immigrazione: Patriarca (Pd); Parlamento lavori ad abolizione reato clandestinità 9Colonne, 26 ottobre 2013 “Dai magistrati è venuta una lucida analisi dell’inutilità del reato di immigrazione clandestina. Il Parlamento lavori per abolire questo odioso reato”. Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca, componente della Commissione Affari Sociali. “Un provvedimento inutile, introdotto a suo tempo sotto diktat della Lega, che ha avuto il solo effetto di gonfiare di stranieri le nostre carceri - continua Patriarca. Questo è il classico esempio dell’introduzione di un reato che alla fine fa più male alla collettività che bene”. Russia: Greenpeace; appello dei genitori di D’Alessandro “Liberate nostro figlio” Il Velino, 26 ottobre 2013 Letta chiami Putin. Merkel e Rousseff lo hanno già fatto. Cambia l’accusa: non più pirateria ma vandalismo. “Ci auguriamo che le autorità russe vogliano riconsiderare la decisione di negare la libertà su cauzione a Cristian e ai suoi compagni”. È l’appello lanciato da Aristide D’Alessandro, il padre dell’attivista di Greenpeace detenuto in Russia insieme ad altri 29 membri dell’equipaggio dell’Artic Sunrise. I genitori di Cristian sono stato ricevuti oggi al Quirinale dall’ambasciatore Antonio Zanardi Landi, consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’indomani dall’arrivo dell’annuncio - non ancora ufficiale - del cambio di accuse nei confronto degli attivisti da pirateria a vandalismo. Un reato che prevede fino a sette anni di carcere secondo il codice penale russo. “Oggi ci ha ricevuto il consigliere del presidente, la scorsa settimana il ministro degli Esteri Bonino. Entrambi ci hanno assicurato che l’attività diplomatica farà tutto ciò che è possibile per liberare i ragazzi”, ha detto Aristide D’Alessandro aggiungendo di non poter rivelare troppi particolari dell’incontro. “Leggendo l’articolo del codice penale ci sembra che l’accusa continui a essere ampiamente sproporzionata. In questo momento - ha detto D’Alessandro - ci sembra importante tenere sempre alta l’attenzione sulla vicenda, dato che la situazione rimane grave”. I genitori di Cristian si sono detto preoccupati soprattutto per le condizioni di salute del figlio: “Il console ci ha raccontato di averlo trovato piuttosto bene durante il primo incontro - ha sottolineato la madre -. Ma in quelli successivi ci ha detto di averlo visto benino e per questo siamo preoccupati, perché e il carattere c’è ma le dure condizioni detentive possono piegare qualunque tempra”. Cosa gli direi in questo momento? “Mi pare tutto superfluo l’importante è che questa avversità non lo abbatta”. Iran: impiccati 16 “ribelli” dopo attacco a guardie frontiera Adnkronos, 26 ottobre 2013 Non si è fatta attendere la replica delle autorità iraniane all’attacco avvenuto nella notte al confine tra Iran e Pakistan, costato la vita ad almeno 14 guardie di frontiera. Sedici ribelli “legati a gruppi ostili al governo iraniano” sono stati impiccati stamane nel carcere di Zahedan, nel sud-est della repubblica islamica, ha annunciato Mohammad Marzieh, procuratore generale della provincia del Sistan e Balucistan. È ancora incerta la responsabilità dell’attacco alle truppe frontaliere. Secondo fonti governative locali, citate dall’agenzia d’informazione Fars, è stato lanciato da “banditi” che hanno poi ripiegato in territorio pakistano. Nelle ultime ore, tuttavia, è arrivata anche la rivendicazione di Jaish ul-Adl, gruppo sunnita jihadista attivo nel Sistan e Balucistan, terra di traffici di droga e di forti spinte secessioniste. L’etnia baluci, infatti, denuncia di essere discriminata dal governo centrale di Teheran ed alcuni movimenti terroristici in passato si sono resi protagonisti nella provincia di attacchi contro le forze di sicurezza e attentati contro moschee sciite. Manca, inoltre, l’ufficialità anche per quel che riguarda il bilancio delle vittime. Secondo il deputato Hedayatollah Mir-Moradzehi, citato dall’agenzia d’informazione ufficiale ‘Irnà, i morti sarebbero 17. Iraq: dai Radicali appello alla Bonino, per liberazione 7 ostaggi iraniani detenuti Adnkronos, 26 ottobre 2013 Nel corso di una conferenza stampa svoltasi presso la sede del Partito Radicale, esponenti del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transparito, Nessuno tocchi Caino e Non c’è Pace senza Giustizia “hanno sostenuto l’appello del Consiglio della resistenza iraniana per la liberazione delle 7 persone, di cui 6 donne, sequestrate dalle forze irachene il 1 settembre scorso durante l’attacco armato a Camp Ashraf nel corso del quale sono state sommariamente giustiziate 52 persone con un colpo alla nuca”. Le 7 persone, secondo recenti notizie, si trovano nel carcere al-Huot nella zona aeroportuale di Baghdad e rischiano seriamente, sottolinea una nota, “di essere estradate in Iran dove subirebbero le più atroci torture e la morte”. Per la loro liberazione sono intervenuti, tra gli altri, l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati Navi Pillay, Bernard Kouchner, Andrè Glucksmann, Robert Badinter, Josè Luis Rodrìguez Zapatero, Ingrid Betancourt, Robert Torricelli, ex senatore Usa e Bill Richardson, ex governatore del New Mexico. A loro si sono uniti, insieme all’ex ministro degli Esteri, Giulio Maria Terzi, oltre 40 parlamentari italiani. Decine di appartenenti alla resistenza iraniana, in Iraq come a Ginevra, Londra, Ottawa, Berlino e Melbourne hanno avviato una iniziativa nonviolenta di sciopero della fame che dura dal 1 settembre 2013. Nel corso della conferenza stampa, Faride Karimi, responsabile diritti umani per il Consiglio resistenza iraniana, si è rivolta al ministro degli Esteri, Emma Bonino, affinché si attivi per la liberazione dei 7 ostaggi. Gli esponenti delle associazioni radicali, Elisabetta Zamparutti, Marco Perduca ed Antonella Casu, in una nota congiunta hanno dichiarato: “La battaglia che conduciamo da anni per l’affermazione del diritto alla verità sulla guerra in Iraq, che poteva essere evitata con l’esilio di Saddam Hussein, trova oggi un’ulteriore forma di manifestazione nell’impegno alla conoscenza di quello che sta subendo il movimento di resistenza iraniana da parte di un Iraq ancora lontano dalla liberazione dal terrore, un terrore che oggi ha assunto il volto del regime iraniano”. “Sosteniamo la richiesta al governo italiano -rimarcano i dirigenti radicali- di attivarsi per la liberazione immediata dei 7 ostaggi e per l’accelerazione delle procedure di accoglienza nel nostro paese di coloro che hanno problemi sanitari o hanno i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Gli oppositori al regime iraniano che risiedono a Camp Liberty (circa 3.000 persone), come coloro che sono stati massacrati a Camp Asharf il 1 settembre e come i 7 sequestrati, godono tutti dello status di persone protette secondo le Convenzioni di Ginevra”. “Il nostro governo -concludono- renda effettiva questa condizione riconosciuta dal diritto internazionale e intervenga presso le Nazioni Unite perché sia stabilita una forza per la protezione 24 ore su 24 dei residenti a Camp Liberty in Iraq”.