Giustizia: i “pesci piccoli” che affollano le galere italiane di Salvatore Maria Righi L’Unità, 25 ottobre 2013 In cella per reati minori e carcerazione preventiva. Le statistiche sulla detenzione in Italia: il 40% è dentro per imputazioni o condanne legate alla Fini-Giovanardi sulle droghe. Nei numeri c’è tutto: tre su quattro, tra i 64.758 che sono in gabbia, sono pesci davvero molto piccoli. O addirittura pesciolini finiti non si sa come nella rete, come i minorenni clandestini rinchiusi nel carcere di Catania per istigazione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. “Il vero problema è chi sia giusto incarcerare, cioè chi debba stare dentro e quale modello vuole darsi questo Paese” sintetizza Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, un osservatorio da cui il pianeta carceri si vede piuttosto bene, in ogni sua piega e fino all’ultima pietra. Un mondo a volte infernale, raramente normale, per la gran parte il disastroso campo di battaglia lasciato a valle dagli effetti della Bossi-Fini e della Fini-Giovanardi, le due leggi che hanno avuto il potere di riempire le celle senza abbassare di una virgola rispettivamente il problema dell’immigrazione e quello della droga. Pesci piccolissimi sono ad esempio i piccoli consumatori e spacciatori che gravitano intorno alla cocaina e agli altri stupefacenti che hanno preso piede negli ultimi anni. Secondo gli ultimi dati in possesso di Antigone, il 39,44% dei detenuti è rinchiuso per un’imputazione o una condanna legata alla legge sulle droghe. Il 35,19% è straniero, uno su tre. E in questo caso, come sottolinea Gonnella, gli effetti della Bossi-Fini sommano quelli indiretti a quelli diretti, perché un extracomunitario che finisce dentro per la vendita abusiva di cd o altri beni, rientra comunque nell’alveo normativo della disciplina contro l’immigrazione clandestina. L’altra piaga storica delle nostre carceri, l’uso e l’abuso del carcere preventivo, un parcheggio in attesa di giudizio che a volte è diventato esso stesso la pena, è sceso si fa per dire al 37,17% dei detenuti. “Una tendenza che è stata innescata dal decreto legge promosso dalla Cancellieri, per ridurre il più possibile l’impatto della custodia cautelare spiega Gonnella ma il vero punto critico e il problema è il totale ingolfamento del sistema processuale, per via della valanga di processi legati ai reati su droghe e immigrazione, tanto che spesso l’istituto viene usato un po’ a casaccio. Sempre meno legato, o quasi mai, alla ricognizione dei veri motivi che la disciplinano, ossia il pericolo di fuga, quello di reiterazione del reato e dell’inquinamento delle prove”. Il risultato, come ha detto il senatore Luigi Manconi è che il carcere è diventato un enorme incubatrice sociale dove spostare e abbandonare tutte quelle persone, le fasce socialmente più deboli e precarie, di cui lo Stato non riesce più a prendersi cura. La prigione, quindi, come supplente dei servizi sociali e in buona sostanza del welfare che, sottolinea il presidente di Antigone, “non esiste più, dobbiamo prenderne coscienza: una realtà di cui i nostri istituti di pena sono tutt’altro che esenti, in quanto ad effetti e conseguenze”. Dentro strutture che in alcuni casi rievocano le pagine di Silvio Pellico o le immagini del Regno Borbonico, coi suoi fasti e le sue decadenze, in celle dove ci si ammala e si soffre ancora per malattie che fuori di lì sono state debellate, come la scabbia, la tubercolosi, le epatiti, si vive una realtà quotidiana in cui la popolazione rinchiusa è più che raddoppiata. 22 anni fa c’erano 31.058 detenuti, oggi sono appunto 64.758, dati aggiornati al 30 settembre. Il 170% di affollamento, 170 detenuti ogni 100 posti letto (140 per il Dipartimento): record della Ue. Molto basso il tasso di alfabetizzazione: il 15,3% della popolazione reclusa è analfabeta, o non ha titolo di studio, o con licenza elementare. A proposito di pesci piccoli e di grandi criminali, il 60,45% dei detenuti reclusi per una condanna deve scontare una pena inferiore ai 3 anni. “Credo che i tre quarti della popolazione carceraria corrispondano all’immagine suggestiva tracciata da Papa Francesco aggiunge Gonnella che con le sue parole svolge un fondamentale ruolo di pedagogia sociale al pari del Presidente della Repubblica, che al di là di come la si pensi, nell’unico messaggio alle Camere del suo mandato ha scelto proprio di occuparsi del tema carceri. Mi auguro anzi che questa forza pedagogica delle cariche istituzionali riesca a orientare le decisioni della classe politica. Il nodo, ancora una volta, è il sistema penitenziario nel suo complesso: adesso pagano solo i poveri. L’equità non vuol dire solo mettere dentro anche i ricchi, perché non si risolvono le cose con la detenzione di uno come Berlusconi che sconterà la giusta pena per i suoi reati, ma soprattutto significa far uscire chi è finito dentro solo per una storia personale poco felice o sfortunata”. L’avaria e la deriva di una macchina della giustizia che, secondo Gonnella, è cominciata anche quando qualcuno ha indicato i lavavetri come un simbolo dell’illegalità: “Succedeva nella civilissima Firenze pochi anni fa, e credo che da lì abbiamo cominciato a perdere il senso comune, sostituendo la sicurezza sociale con quella della proprietà e spinti dalla retorica della paura. La dismissione dello stato sociale, l’intolleranza e la xenofobia, sono questi problemi che paga in gran parte chi sta in carcere, ancora prima del sovraffollamento che è un problema europeo, non solo italiano, e che è pura demagogia: non servono nuove carceri, serve capire bene chi deve starci dentro”. Giustizia: Leva (Pd); basta carceri disumane; cinque riforme in sei mesi, poi l’amnistia di Arturo Celletti Avvenire, 25 ottobre 2013 Parla Danilo Leva, responsabile giustizia dei Democratici: subito dopo la legge di stabilità via a una sessione straordinaria del Parlamento. La volontà del Pd c’è. Siamo pronti a sfidare sondaggi e impopolarità. “Il sistema giudiziario è al collasso e il Pd non rinuncia a una sua proposta. Perchè la giustizia civile va riorganizzata, oggi è un pachiderma lento e farraginoso. E perchè si deve aggredire alla radice il problema carceri: non è umano quello che succede, non è degno di un Paese civile”. All’improvviso Danilo Leva, responsabile giustizia del Pd, passa però dalle parole alla proposta. Lo fa indicando un percorso e un obiettivo. Ma soprattutto lo fa sfidando il Pdl: “Subito, dopo il via libera alla legge di stabilità, apriamo una sessione straordinaria del Parlamento. Con cinque interventi possiamo risolvere il problema del sovraffollamento. Poi, in fondo al percorso, serve un provvedimento di clemenza. Amnistia o indulto o magari le due misure parallelamente. Ce la possiamo fare in sei mesi. Dipende solo dalla volontà politica e quella del Pd c’è”. Le carceri esplodono, il sistema giustizia fa acqua... I dati sono drammatici. Oggi il 40 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, sono quasi 20mila persone. Non è accettabile che si stia in carcere prima di una sentenza passata in giudicato. La media in Inghilterra è del 15 per cento e noi dobbiamo girare pagina: il punto uno sarà la riforma della custodia cautelare. Punto due? Il superamento della Fini-Giovanardi, perché un tossicodipendente non può stare in carcere; deve accedere a un percorso di cura quale pena principale. Poi ecco il punto tre e il quattro: il superamento della Bossi-Fini e della ex Cirielli. Gli immigrati devono scontare la loro pena nei Paesi di origine. E non basta. Va depenalizzato il reato di immigrazione clandestina. Lo ius migranti, che è stato un diritto universale coniato nell’ambito del diritto internazionale era un diritto dei popoli, oggi è diventato un reato. Il nostro ordinamento si è allontanato dalla culla della cultura giuridica europea. Bisogna colmare quel vuoto: i reati previsti dalla Bossi-Fini e dal pacchetto sicurezza Maroni sono odiosi ed inutili. Siamo alla Cirielli... Non si può stabilire a priori che un essere umano non abbia diritto ai cosiddetti benefici penitenziari. Cioè a scontare la propria pena fuori dal carcere semplicemente perché è recidivo. Non funziona così. Ci vuole una valutazione caso per caso sulla personalità del condannato. Ma mi faccia arrivare al punto vero: sono tutte leggi che hanno fatto un uso simbolico del diritto penale, leggi manifesto. Una sorta di totem vuoti di contenuto che negli anni ha prodotto più carcere e ha riempito le nostre prigioni di poveri cristi, di 'ultimi': 16mila tossicodipendenti e 23mila immigrati su una popolazione di 66mila carcerati. Una fotografia devastante Devastante e che impone una riflessione e una svolta concreta, altrimenti nei prossimi anni il quadro peggiorerà ancora. I provvedimenti di clemenza da soli non sono sufficienti, perché senza misure e interventi strutturali rischiano di riprodurre la situazione di partenza dal giorno dopo. Ma siamo al punto cinque: puntare sull’istituto della messa alla prova e delle misure alternative alla detenzione. C’è davvero la volontà del Pd? Siete davvero pronti a sfidare l’impopolarità? Sì, c’è l’assoluta volontà del Pd. Noi siamo pronti, il Pdl deve avere il coraggio di pensare alla giustizia a prescindere da Berlusconi. E fare le cose che servono al Paese. Siamo aperti al confronto e abbiamo avanzato proposte con un orientamento culturale chiaro. Sulle carceri. E anche sull’ergastolo. Va abolito per rendere effettivo l’articolo 27 della Costituzione: la pena deve avere una funzione rieducativa. Ecco la sfida per noi classe dirigente: tutti dobbiamo fare un passo in avanti; alla barbarie di un delitto si contrappone la civiltà del diritto. Se sappiamo far nostro questo principio, costruiamo un sistema giudiziario orientato ai diritti, alle garanzie e soprattutto il cui perno diventa l’essere umano. Insisto: ha messo in conto l’impopolarità di amnistia e indulto? La politica è fatta per cambiare i sondaggi, non per rincorrerli. Viviamo in un’epoca in cui la debolezza della politica si misura in termini di fragilità culturale e identitaria. In cui è l’opinione pubblica che fa il partito e non viceversa. Su alcuni temi ci vuole meno cinismo e più coraggio altrimenti questo Paese non uscirà mai dal guado. Giustizia: 64 mila carcerati per 40mila posti, le cifre di un dramma Venerdì di Repubblica, 25 ottobre 2013 Troppi detenuti rispetto alla capienza delle carceri italiane. E la parola sovraffollamento trova la sua declinazione nei dati del ministero della Giustizia: 64mila carcerati per 47mila posti. Gli istituti di detenzione italiani sono 205 e ospitano, tra l’altro, circa 22mila cittadini stranieri e 2.800 donne. I reclusi in attesa di primo giudizio sono 12 mila, quanti i condannati in via non definitiva. Più chiaro di così. “In realtà il numero dei posti andrebbe rivisto al ribasso, almeno fino a 40mila, perché spesso si spacciano per spazi disponibili ad ospitare le persone aree, magari comuni, che non lo sarebbero” dice il senatore Pd Luigi Manconi è presidente della Commissione per ì diritti umani e da sempre si occupa della situazione carceraria. “Bisogna sempre avere ben chiaro che il sovraffollamento in carcere non è come quello sulla spiaggia di Riccione, che la sera si svuota. Negli istituti penitenziari non c’è tregua” spiega Manconi. “La prima conseguenza è la condizione di promiscuità intollerabile che si crea, con questo accatastarsi di corpi. In un numero elevatissimo di celle nel nostro paese abbiamo uno spazio di poco più di un metro quadro dove si trovano insieme un bagno alla turca, un rubinetto e un fornello. La seconda conseguenza è dirompente. Il sovraffollamento provoca un decadimento dei servizi disastroso: della sanità come della formazione scolastica, del cibo come del tempo da passare fuori dalla cella” continua il senatore del Pd. Il problema va anche oltre il numero effettivo di posti, perché sono decine le carceri italiane che avrebbero bisogno di essere ristrutturate e in certi casi addirittura ricostruite. Riguardo alla proposta di amnistia e indulto fatta dal presidente Giorgio Napolitano, Manconi, che ha presentato da tempo una proposta di legge che va nella stessa direzione, non ha dubbi: “Dopo il sue messaggio non c’è altro da aggiungere non ci sono alibi. Amnistia e indulto possono avere la funzione di restituire un po’ di normalità a un sistema patologicamente alterato, e possono decongestionare una struttura oggi parossisticamente deforme”. Giustizia: carceri e riforme, le priorità dell’Anm riunita da oggi a congresso Europa, 25 ottobre 2013 Alla presenza di Napolitano si apre domani l’assise dell’Associazione nazionale magistrati su “Giustizia e società - l’orizzonte possibile”. Il no ai progetti di riforma costituzionale che toccano l’assetto delle toghe e il basta agli attacchi. Da domani, fino a domenica, l’Associazione nazionale dei magistrati va a congresso. Presenzierà anche il capo dello Stato, Napolitano, che è presidente del Csm. Non è previsto un suo intervento, ma certo non possono escludersi risposte ai giornalisti dopo aver ascoltato il ministro Cancellieri e la relazione del presidente, Rodolfo Sabelli, che non potrà certo eludere il tema degli attacchi continui alle toghe ad ogni sentenza o passo delle inchieste a carico di politici e in particolare di Berlusconi. La fibrillazione attorno alle sue vicende giudiziarie non mette solo a dura prova la stabilità del governo, nel tempo ha creato anche un arroccamento della stessa magistratura amplificandone le caratteristiche tipiche di una casta chiusa. Effetti dannosi, sui quali le toghe stesse sono chiamate a interrogarsi non lasciando prevalere le spinte più corporative (sulle quali pure si può lucrare in termini di consensi). Ma il presidente dell’Anm guardando all’”orizzonte possibile” della giustizia (dal titolo del XXXI congresso) non mancherà anche di sottolineare la necessità di riforme, una “sfida non più rinviabile” “con l’ambizione di formulare proposte concrete per restituire efficienza al servizio nell’interesse esclusivo della giustizia”. Tema caro a Napolitano, le riforme, in special modo l’”obiettivo ormai non più procrastinabile – si legge nella nota di presentazione del Congresso – di garantire ai cittadini il diritto a un processo in tempi ragionevoli” così come la questione delle carceri ritenuta dall’Anm “priorità assoluta anche al diritto dei detenuti di scontare la pena in condizioni umane e non degradanti secondo i principi contenuti nella nostra Carta costituzionale e gli ammonimenti provenienti dall’Europa”. Analisi più che condivisa dal capo dello Stato tanto da averci speso un lungo e significativo messaggio alle Camere accompagnato ancora, peraltro, da code velenose e interpretazioni arbitrarie. La magistratura associata in questi tre giorni si interrogherà e confronterà anche sulle riforme costituzionali. L’Anm, sul punto, si schiera contro i vari progetti di revisione dell’assetto della magistratura che si sono susseguiti in questi anni “che, se approvati, non contribuirebbero al funzionamento della macchina giudiziaria ma provocherebbero piuttosto un indebolimento delle garanzie dei cittadini”, e sarà interessante osservare anche il posizionamento degli esponenti di punta delle sue varie anime. Previste anche riflessioni sui rapporti tra giustizia, politica e informazione “e sulle rispettive aree di intervento”. Non a caso le varie sessioni sono organizzate attorno a tavole rotonde: a quella di domani su “Giustizia e tutela dei diritti” interverranno, moderati da Gad Lerner, Mario Barbuto, Piercamillo Davigo, Donatella Ferranti, Maria Gabriella Luccioli, Mario Marazziti, Renzo Menoni e Stefano Rodotà. Quella di sabato su “Giustizia, politica e governo autonomo della magistratura”, moderata da Massimo Giannini, vedrà la partecipazione di Giuseppe Maria Berruti, Luigi Ferrajoli, Anna Finocchiaro, Antonio Patrono, Renato Schifani e Armando Spataro, quindi interverranno anche il vicepresidente del Csm, Vietti, e il segretario generale dell’Anm, Maurizio Carbone. A parlare di “Giustizia e Media” alla tavola rotonda, moderata da Lucia Annunziata parteciperanno Edmondo Bruti Liberati, Luigi Ferrarella, Antoine Garapon, Valerio Onida, Nitto Francesco Palma, Giuseppe Pignatone e Valerio Spigarelli. Giustizia: Anm; amnistia e indulto rischiano di essere soluzioni effimere senza riforme Agi, 25 ottobre 2013 Amnistia e indulto rischiano di essere “soluzioni effimere e provvisorie” se non accompagnate da “ampi rimedi strutturali”. Ad affermarlo è il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, affrontando il tema dell’emergenza carceraria in apertura del congresso del sindacato delle toghe. “L’Anm è consapevole della necessità di interventi urgenti che assicurino la civiltà del trattamento penitenziario e realizzino la finalità rieducativa della pena- ha detto Sabelli - spetterà al Parlamento valutare l’adozione di provvedimenti di clemenza, i quali dovranno però essere assistiti da un forte impegno di responsabilità, per l’introduzione di ampi rimedi strutturali, secondo le linee segnate nel messaggio che il Capo dello Stato ha rivolto alle Camere; rimedi da lungo tempo invocati e solo in parte oggetto di disegni ancora non tradotti in legge”. Indulto e amnistia, inoltre, “dovrebbero prevedere - ha aggiunto - appropriate esclusioni oggettive e dovrebbero legarsi a misure e condizioni che tengano in debito conto le ragioni della vittima del reato e siano dirette, nei casi appropriati, a favorire azioni riparatorie e il reinserimento sociale del reo”. Sabelli: carceri emergenza più grave, morale e democratica “Nel settore penale l’emergenza più grave, morale ancor prima che giudiziaria, è costituita dal sovraffollamento delle carceri e dalla qualità del trattamento: è da anni un’emergenza nazionale e democratica, causa principale delle condizioni insostenibili e incivili dei detenuti”. Così il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli intervenendo nel corso del congresso nazionale Anm. “Secondo i dati recentemente riferiti dal Ministro della Giustizia - ha ricordato - al 14 ottobre 2013 erano presenti nei 206 istituti carcerari italiani 64.564 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 47.599 unità. Di questi, 24.744 sono indagati o imputati in custodia cautelare, dei quali la metà soltanto (12.348) in attesa di primo giudizio. I detenuti per art. 73 della legge droga sono 19.119 e i detenuti con pena residua inferiore a 3 anni ben 23.022”. “A tale situazione, che rivela l’esistenza di mali strutturali, solo in piccola parte è riuscita a porre rimedio la legislazione cosiddetta svuota-carceri degli anni 2010 e 2011, la quale, in controtendenza con la riforma del 2006, ha comunque affermato il principio tendenziale dell’espiazione in luoghi diversi dal carcere delle pene o dei residui di pena brevi”, ha concluso il presidente dell’Anm. Giustizia: carceri a misura di mamme, Cancellieri annuncia apertura di 5 nuove strutture di Barbara Gobbi e Flavia Landolfi Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 2013 Entro la fine del prossimo anno saranno aperti in Italia cinque nuovi Icam, gli istituti a custodia attenuata destinati ad accogliere le detenute madri e i loro bambini. Lo ha annunciato oggi il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri nel corso di una conferenza stampa insieme al presidente della commissione Diritti umani del Senato Luigi Manconi. Oggi queste strutture alternative al carcere, pensate per madri e bambini, sono presenti solo a Milano e Venezia. “Le detenute che stanno in carcere con i figli da 0 a 3 anni - ha detto il ministro a seguito dell’audizione alla commissione di Palazzo Madama - sono oggi 44, con 45 bambini. Cinque donne e 5 bambini sono ospiti dell’Icam di Milano, 8 donne e 8 bambini di quello di Venezia”. La necessità, ha spiegato, è di intervenire nel Centro-Nord dove si concentra il maggior numero di casi di madri detenute con bambini. Tra giugno e dicembre del prossimo anno sono in programma un Icam in Piemonte, che servirà anche la Liguria, uno a Firenze, uno in Campania, anche per Abruzzo e Molise, uno nelle Marche che assorbirà anche l’Umbria. L’Emilia Romagna è già destinata a quello di Venezia. A Roma c’è un progetto per Rebibbia, “ed è già stata individuata una palazzina che sarà pronta entro giugno 2014”. Per tutti gli istituti previsti “c’è già la copertura finanziaria”. In futuro gli istituti potrebbero ospitare anche bambini più grandi. Infatti, ha ricordato Manconi, “dal 1 gennaio prossimo la legge renderà possibile fino a 6 anni la permanenza dei bambini in carcere con le madri”. Al Senato, tra l’altro è stato presentato un ddl, prima firmataria Emma Fattorini, per l’istituzione di case famiglia a Roma e Napoli e per favorire l’accesso dei figli delle detenute madri agli asilo nido comunali attraverso la stipula di convenzioni tra lo stesso ministero e Comuni e associazioni del settore. Il ministro ha poi richiamato l’attenzione sulla realizzazione di case protette, “che competono agli enti locali”, e per le quali “sarebbero auspicabili anche fondi da privati”. Infatti, ha spiegato Cancellieri “sulla realizzazione delle case protette per i minori con più di 6 anni che abbiano genitori in carcere non abbiamo finanziamenti propri né la potestà giuridica, che spetta agli enti locali. Per questo per finanziarle auspico la collaborazione e i finanziamenti di privati, un obiettivo a cui stiamo lavorando”. Rendere degni i colloqui di detenuti con i figli “Ci siamo messi in testa di dare ai bambini un colloquio con i propri genitori detenuti degno di questo nome”. Così il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri nel corso di un’audizione nella commissione Diritti umani del Senato. “Va data particolare attenzione - ha aggiunto - all’insieme delle condizioni con cui il bambino è accolto in occasione di visita al proprio genitore, le condizioni in cui avviene il colloquio, la possibilità di trascorrere del tempo ludico con il proprio genitore in un apposito spazio”. Questo spazio che si sta attrezzando in ogni struttura destinata alle visite, a partire in particolare dalle Case di reclusione, viene generalmente indicato come Spazio giallo”. “Nell’ambito dei lavori della Commissione da me istituita per gli interventi organizzativi in materia penitenziaria - ha sottolineato il Guardasigilli - sono state concordate alcune linee di intervento e una serie di scadenze e un vero e proprio crono-programma che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha concordato con la Commissione stessa per la loro realizzazione”. “Per questo - ha aggiunto Cancellieri - un’attenzione specifica è stata data a riconfigurare i luoghi dove avvengono gli incontri con i familiari e le modalità organizzative con cui tali incontri avvengono: con particolare attenzione alle esigenze dei bambini in visita al genitore. È stata data disposizione affinché i colloqui siano organizzati su sei giorni alla settimana, prevedendo almeno due pomeriggi per favorire i minori che vanno a scuola; è stata anche disposta la possibilità di cumulare le visite nel mese, qualora non siano state usufruite. I locali saranno attrezzati con strutture di accoglienza per i minori”. I lavori di riadattamento, risistemazione, allestimento e arredamento delle sale, ha sottolineato il ministro, “saranno preferibilmente realizzati attraverso la previsione di uno specifico ‘lavoro di pubblica utilità’“, previsto dalla nuova normativa, da assegnare ai detenuti. Si intende così sottolineare che in tal modo, con una spesa molto contenuta, viene accresciuto il senso di responsabilità e di cura verso l’unico luogo che, a differenza di tutti gli altri spazi carcerari, è dedicato agli affetti privati”. 456 i minori detenuti in istituti pena Sono 456 i minorenni che vivono negli istituti penali minorili. A rendere noto il dato è il Guardasigilli Annamaria Cancellieri, nel corso di un’audizione alla Commissione diritti umani del Senato, dedicata al tema “minori e carcere”. In Italia ci cono 12 centri per la giustizia minorile, 19 istituti penali per minorenni, 25 centri di prima accoglienza, 12 comunità ministeriali, 29 uffici del servizio sociale per i minorenni. “Il sistema penale della giustizia minorile, che risulta essere particolarmente apprezzato in ambito Ue - ha detto il ministro della Giustizia - è orientato al corretto rispetto dei diritti fondamentali del minore”. “Particolare attenzione”, ha aggiunto il ministro, viene dedicata anche al “delicato tema” della presenza delle detenute madri con prole al seguito: “sono attualmente operativi due ICAM, uno a Milano e l’altro a Venezia. Nelle restanti realtà - ha spiegato Cancellieri - sono allo studio altri progetti volti a realizzare tali strutture tendenzialmente in ogni Regione”. Infatti, “sono in corso di predisposizione altri progetti per la costruzione di nuove sedi di istituti a custodia attenuata a basso indice di vigilanza presso i Provveditorati del Piemonte (i lavori per la realizzazione dovrebbero terminare entro il 2014), della Toscana, del Lazio e della Campania. Su tali progetti - ha affermato il Guardasigilli - questa Amministrazione garantisce un forte impegno affinché essi possano essere realizzati in modo da coprire le esigenze territoriali e che ciò avvenga in tempi certi e con modalità corrispondenti al disegno complessivo. Per tale ragione sto verificando personalmente la possibilità di ricorrere anche a finanziamenti privati attraverso il coinvolgimento di associazioni o fondazioni”. Giustizia: dalla Commissione alla Camera primo ok a riforma della custodia cautelare Dire, 25 ottobre 2013 Entra nel vivo, in commissione Giustizia alla Camera, la riforma della custodia cautelare. Nel pomeriggio, su proposta dei relatori Anna Rossomando (Pd) e Carlo Sarro (Pdl), è stata infatti adottata come testo base la proposta a prima firma Donatella Ferranti ed è stato già fissato all’11 novembre il termine per gli emendamenti. Il provvedimento, che rientra tra le misure strutturali segnalate dal capo dello Stato nel suo messaggio sul sovraffollamento carcerario, punta a rivoluzionare la carcerazione preventiva ridandole natura di extrema ratio, da applicare soltanto qualora altre misure coercitive (domiciliari) o interdittive (ad esempio il ritiro del passaporto), anche utilizzate insieme, risultino inadeguate. Il testo, in tal senso, rende più stringenti i presupposti per il ricorso alle misure cautelari introducendo il requisito dell’attualità nel pericolo di fuga o di reiterazione del reato e richiedendo al giudice una più rigorosa e concreta valutazione. Il testo, peraltro, potrà essere ampliato sulla base degli spunti emersi nelle audizioni che si sono tenute ieri e oggi. “Dopo la messa alla prova e la detenzione domiciliare, intendiamo in tempi stretti- spiega Ferranti, presidente della commissione Giustizia- intervenire anche su quello che è forse l’aspetto più patologico e drammatico del nostro sistema carcerario, che conta quasi il 40% di detenuti in custodia cautelare. E tra loro, addirittura la metà è ancora in attesa di una sentenza in primo grado. Ecco, è indispensabile che finalmente si ripristini una cultura delle cautele penali fondata sul pieno rispetto della presunzione di innocenza. È un atto di civiltà, umano ancora prima che giuridico, dovuto”. Giustizia: Magistrati Sorveglianza; prorogare svuota-carceri, ok tavolo su emergenza sovraffollamento Ansa, 25 ottobre 2013 Prorogare la svuota-carceri, che ha affidato alla Magistratura di sorveglianza la gestione dell’esecuzione presso il domicilio delle pene brevi; una “misura che, applicata con prudenza ed elasticità, ha dato buona prova di sé, contribuendo in modo significativo al contenimento del sovraffollamento carcerario in condizioni di sicurezza sociale”. A chiederlo è il Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza, che auspica una stabilizzazione dell’istituto. Intanto le toghe di sorveglianza esprimono “vivo compiacimento” per l’istituzione, che era stata auspicata dal Csm, di un tavolo permanente di confronto, con la partecipazione di tutte le parti in causa, sui nodi strutturali del sovraffollamento carcerario, della tutela dei diritti dei detenuti e delle problematiche dell’esecuzione penale e penitenziaria. Un’iniziativa decisa dopo un incontro una settimana fa tra il ministro della Giustizia, i presidenti dei Tribunali di sorveglianza, i rappresentanti del Csm ed i vertici dell’Amministrazione giudiziaria e penitenziaria, e che si pone “in linea con le indicazioni della Corte europea di Strasburgo, del Capo dello Stato e della Corte costituzionale ed in stretta collaborazione con i lavori delle Commissioni consiliari e ministeriali in materia”. La “grave” emergenza carceraria - fa notare il Coordinamento - ha “carattere sistemico”; per questo serve “un complessivo progetto strategico che la risolva e nel contempo crei le condizioni strutturali che impediscano il suo riprodursi”. E c’è l’ “urgenza” di provvedimenti normativi e organizzativi per garantire “il pieno e stabile funzionamento” degli Uffici e dei Tribunali di sorveglianza, che oggi, in “condizioni precarie, quando non disastrate, di organico e di personale”, sono comunque “chiamati alla difficile opera di coniugare le esigenze di tutela, di rieducazione e di recupero dei condannati con le altrettanto rilevanti esigenze di tutela e di ristoro delle vittime e di difesa della collettività”. Giustizia: Renzi (Pd); per risolvere sovraffollamento evitare abusi della carcerazione preventiva Ansa, 25 ottobre 2013 Per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri bisogna intervenire sulle cause, come per esempio gli eccessi nella carcerazione preventiva. Lo ha scritto Matteo Renzi nella sua newsletter settimanale: “Silvio Scaglia, ex patron di Fastweb, è stato assolto nel processo che lo vedeva accusato di maxi frode fiscale. Peccato che nel frattempo abbia scontato un anno di carcerazione preventiva. Parliamo di lui perché è diventato un simbolo, ma succede a tantissime persone. Troppe. È una cosa indegna di un paese civile. Però non ne parliamo mai. Perché non proviamo a passare dalla porta giusta per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri?”. Giustizia: intervista a Lucia Uva “Mio fratello Giuseppe, picchiato e seviziato in caserma” www.articolotre.com, 25 ottobre 2013 Nelle carceri italiane si muore. Non solo suicidi – secondo il Dossier “Morire di carcere” solo nel 2013 si contano 42 morti suicide – e gesti di autolesionismo – punta dell’iceberg di vari disagi – ma molti casi di “morti misteriose” che fanno ipotizzare ad abusi di potere avvenuti dentro e fuori le carceri. Non solo il caso di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, come loro anche la storia di Giuseppe Uva, raccontata dalla. sorella Lucia. Esistono tanti tipi di omertà, non solo quella legata alla criminalità. A rompere il silenzio su un’altra storia simile a quella di Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi è Lucia, sorella di Giuseppe Uva, morto il 14 giugno del 2008 dopo una notte passata nella caserma di via Saffi a Varese.. In riferimento alla situazione delle carceri italiane, Ristretti Orizzonti ha stilato un dossier “Morire di carcere£ dove sono stati raccolti dati sulle tipologie di morti, sulle vicende di assistenza sanitaria negata ed altre situazioni “anomale” avvenute dal 2000 ad oggi. Alla voce “suicidi”, solo in quest’ultimo anno, si contano già 42 morti. I dati raccolti non combaciano con quelli trasmessi dal Ministero della Giustizia: secondo il dossier ben 1/3 delle morti registrate sono suicidi. Il Ministero, invece, ne classifica circa 30 in meno perché i detenuti che escono vivi dal carcere e magari muoiono in ambulanza non vengono conteggiati in questa raccolta dati. Le “morti non chiare” - ovvero quelle dove c’è l’ombra di un pestaggio da parte di altri detenuti o agenti – sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno sempre più dilagante: per un detenuto è difficile denunciare qualsiasi violenza subìta in carcere per timore di ritorsioni. Aumentano i casi in cui, i familiari delle vittime, denunciano possibili abusi di potere da parte di agenti dentro e fuori le carceri. Come Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, c’è anche la storia di Giuseppe Uva. Così ci racconta la sorella Lucia. La notte del 14 giugno 2008, Giuseppe Uva insieme all’amico Alberto Biggiogero vengono portati in caserma a Varese. Perché? Mio fratello Giuseppe e il suo amico Alberto quella sera avevano bevuto un po’ ma non erano ubriachi come è stato detto. Il tasso alcolemico di mio fratello, come risulterà poi dalle analisi, era di 1,6. In pratica avevano transennato via Dandolo e così alcuni cittadini hanno chiamato i carabinieri. Quando è arrivata la gazzella, uno degli agenti che conosceva mio fratello ha subito detto “Uva proprio te cercavo questa notte. Non te la faccio passare liscia”. Secondo quanto riferisce anche Alberto, subito si sono scagliati con violenza su mio fratello. Giuseppe è stato trattenuto in caserma contro la sua volontà dalle 2.30 di notte fino alle 5.30 del mattino – oltre che ammanettato per ben tre volte, a differenza di quanto ha detto il pm Abate. Perché l’agente lo conosceva? Perché, in pratica, Giuseppe aveva avuto una questione personale con un’agente di quella caserma. Alberto Biggiogero è testimone oculare. Che riferisce di quella notte? Alberto dice che mio fratello è stato portato in un’altra stanza e lì lo sentiva urlare “Aiuto, aiuto. Basta, basta”. Questo per tre ore, tanto che ha chiamato con il suo cellulare anche il 118 per soccorrerlo ma in caserma hanno negato, rimandando indietro l’ambulanza e definendoli “ubriachi”. Ma se mio fratello era davvero così ubriaco da picchiarsi da solo, come hanno detto, perché non è stato portato subito in ospedale anziché tenerlo per ore in caserma? Biggiogero è stato mai interrogato dal pm? No, mai. Come lui neanche io che, anzi, sono stata accusata di aver manipolato il corpo perché in obitorio l’ho fotografato. Giuseppe morirà in ospedale a Varese … Si. Alle 5.30 del mattino è stato fatto il Trattamento Sanitario Obbligatorio e mio fratello è stato portato all’Ospedale di Varese nel Reparto di psichiatria, dove tre medici gli hanno somministrato sedativi e psicofarmaci. Ci tengo a precisare che mio fratello non prendeva medicinali, non faceva uso di droghe – come dicevano – e non aveva nessun precedente penale. Quindi il decesso di Giuseppe viene ricondotto alla somministrazione di quelle medicine? Esatto. Dopo la prima autopsia, quella in cui non si parla del jeans sporco di sangue e neanche delle contusioni sul suo corpo, secondo il pm Abate la causa di morte è per “Intossicazione da farmaci” che avevano fatto reazione con il tasso alcolico. I tre medici dell’Ospedale sono diventati, quindi, i colpevoli ma sono stati assolti in I e II grado dall’accusa di “Omicidio Colposo”. Eppure i carabinieri nella loro relazione hanno scritto che Giuseppe aveva delle escoriazioni sulle gambe ma come hanno fatto a vederle se non l’hanno mai spogliato? Lei quando è andata in obitorio come ha trovato il corpo di Giuseppe? La prima cosa che ho visto è stato il naso viola. Poi aveva l’occhio sinistro con una botta di colore blu e la mano destra con una bozza viola. Tutte le gambe tagliuzzate, il ginocchio gonfio. Aveva delle bruciature sullo zigomo destro e sulla spalla destra, come se gli avessero spento le sigarette addosso. Aveva lividi sulla schiena e sul fianco. Poi aveva un pannolone tutto sporco di sangue. Gliel’ho tolto per guardarlo bene. Gli ho aperto le natiche: aveva l’ano fuori e i testicoli irriconoscibili e violacei. Da lì ho capito che mio fratello era stato picchiato e seviziato. Così ha cominciato la sua battaglia? Si, grazie all’aiuto del mio legale Fabio Anselmo e del medico legale Vittorio Fineschi oggi siamo a questo punto e siamo riusciti ad avere una seconda autopsia. Cos’è emerso da questa seconda autopsia? Abbiamo saputo che Giuseppe aveva un piccolo problema cardiaco congenito con il quale avrebbe potuto vivere benissimo ma è stato sottoposto a forte stress. Il forte stress di cui parla l’autopsia si riferisce alle tre ore in cui è stato pestato in caserma. Stavolta sono risultati ematomi, bolle di area nell’intestino e le lesioni all’ano sono dipese da un corpo contundente che lo ha sodomizzato. Per me questa è una verità che parla chiaro: mio fratello è morto per le violenze e non per “intolleranza ai farmaci”. Lettere: la mia vita nella Suite Numero 6 del carcere “Casetti” di Davide (detenuto a Rimini) www.newsrimini.it, 25 ottobre 2013 Continuiamo a proporvi gli articoli scritti dai detenuti del carcere “Casetti”, grazie ad un progetto educativo della Caritas Diocesana. Il giornale Liberi dentro è ancora prezioso strumento di comunicazione per i detenuti di Rimini. Davide racconta la sua giornata tipo alla Casa Circondariale “Casetti” di Rimini. Quelle “passeggiate con vista panoramica sul nulla”. Quando si entra in carcere, dopo essere stati visitati, il capoposto, cioè l’assistente più alto in grado, ti assegna alla stanza e al braccio (sezione) di competenza, dove dovrai passare le tue ferie forzate. All’inizio io sono stato assegnato alla sezione I°, cella 9, dove gli ospitati con me erano otto. La stanza è composta da otto letti, due tavoli di legno, e da seggiole (chiamati sgabelli) che a dir la verità sono di una scomodità allucinante. Poi c’è il bagno abitabile, così abitabile che lo si usa per cucinare; però, come negli alberghi migliori, c’è il bagno in comune. In seguito, per mia fortuna, ho trovato un pacchetto vacanze più vantaggioso e sono finito, sempre nello stesso albergo, in un braccio diverso, alla III° sezione, cella 6, non solo di numero, ma anche per le persone che vi soggiornano. Diciamo che la situazione è migliorata: piastrelle al pavimento, doccia in cella, non più la cucina in bagno. La vita dei villeggianti forzati, diciamo così, è scandita da tempi ben precisi, nel senso che la mattina verso le 7.30, ci viene servito latte e caffè, gentilmente offerto dalla direzione. Poi, dopo la colazione che ritira uno di noi (il primo che si alza), ci si concentra sulla moka del caffè, che viene fatta sui fornelli da campo che abbiamo comprato non solo per il caffè, ma anche per cucinare. Diciamo che alle 8.45 quasi tutti siamo in piedi, ci laviamo, caffè, sigaretta e ci si prepara ad andare all’aria a fare avanti indietro con gli altri villeggianti. Poi c’è che rientra alle dieci, chi alle undici, faccio presente che non è obbligatorio scendere all’aria perché le camere vengono lasciate aperte dalle nove alle undici e quindi si può anche passeggiare nel corridoio, con vista panoramica incantevole sul nulla. Verso le undici e trenta la Direzione ci offre anche il pranzo che comunemente viene consumato tutti insieme, a tavola, che a turno viene preparato, con diligenza e tanta cura. Dopo pranzo, sempre a turno, vengono lavati i piatti, viene pulita la tavola e preparato il caffè. Devo dire che c’è chi fa il calendario per quanto riguarda le pulizie in genere. Noi, di comune accordo, abbiamo deciso che il nostro grande cuoco Paolo si dedica alla cucina che è squisita come la sua persona. Io mi occupo di compiti vari, diciamo che, essendo lo sfortunato del gruppo, non avendo i soldi per partecipare alle spese, faccio l’aiuto cuoco. Tutte le sere, quando Paolo cucina, lo aiuto a scolare la pasta e preparare le porzioni che poi vengono distribuite agli altri. Naturalmente ci si siede a tavola sempre insieme, per rispetto, e sempre per lo stesso motivo si mangia con la maglietta. Dimenticavo che il nostro cuoco Paolo fa un tiramisù che farebbe impallidire un pasticcere di professione. Finito di mangiare, mentre altri due, Roberto e Aldo, lavano e asciugano tavola e piatti, Walid fa il caffè, si dà una spazzata a terra, anche perché più di quello non possiamo fare, e facciamo una partita a carte finché non inizia Un posto al sole. C’è un film serale che decidiamo di guardare dopo aver consultato Famiglia cristiana. Quando tutti sono nelle proprie postazioni, cioè a letto, allora intervengo di nuovo io, nel senso che inizio il secondo lavoro, quello di pulire la cella da cima a fondo, con i vari prodotti che compriamo, il Lisoform per disinfettare il bagno, il Fabuloso per pulire il pavimento. Dopo aver fatto le pulizie vado a fare la doccia e prendo le gocce che mi fanno dormire e che mi ha dato l’infermiere. A quel punto otto ore di sonno non me le toglie nessuno. Un altro giorno è finito, un altro giorno comincerà domani. Noi cerchiamo di non farli sembrare uguali, ma cambiando le modalità rimangono sempre uguali. Soprattutto d’estate quando il caldo la fa da padrone. Devo anche dire che i compagni sono come i genitori, non si scelgono, ma ognuno deve adattarsi a pregi e difetti degli altri. A volte capita purtroppo di avere accanto persone che, con noi detenuti comuni, non hanno niente a che fare. Ma non succede nulla che possa venire a nostro sfavore, si fa la domandina e quello va da un’altra parte. Oppure se qualcuno non partecipa e collabora attivamente alla vita e ai lavori della cella (c’è sempre qualche furbetto), gli si parla e gli si fa capire come funziona la cosa. Se continua, anche lui fa le valige e va in un’altra cella. Queste sono le piccole regole per il quieto vivere. Come quella che quando si dorme la televisione si tiene ad un volume basso; oppure che quando le celle sono aperte ma dentro si riposa, le altre persone non devono avere un tono di voce da mercato. . Come anche fuori si può avere la giornata storta o triste, anche qui nel rispetto degli altri non bisogna far pesare sui compagni di avventura, che qualche volta sono amici, i problemi che si hanno. Concludo dicendo che, per quanto brutta, per me questa è un’esperienza unica e irripetibile, e bisogna far tesoro delle piccole cose che poi si apprezzano quando si è fuori. Sardegna: mobilitazione contro la chiusura delle carceri di Macomer e Iglesias La Nuova Sardegna, 25 ottobre 2013 Giornata di mobilitazione dei sindacati della Polizia penitenziaria venerdì a Cagliari per difendere le carceri di Macomer e Iglesias. La chiusura dei due istituti è imminente. Si attende solo fa firma del ministro e poi si procederà con la dismissione e al trasferimento dei detenuti in altre carceri. La manifestazione di domani, che si svolgerà con un sit-in di fronte al palazzo della Regione (l’inizio è previsto alle ore 9,30), è l’ultimo tentativo di impedire la chiusura delle due strutture. La giornata di protesta è stata indetta da tutte le sigle sindacali. “Macomer e l’Iglesiente sono due territori impoveriti dalla crisi economica – spiega Libero Russo, segretario provinciale di Nuoro del sindacato Ugl al quale aderiscono gli agenti della Polizia penitenziaria –, il carcere è una risorsa in quanto ha una ricaduta economica sia per la presenza degli agenti che vivono sul posto che per gli acquisti che si fanno all’esterno. Chiuderlo significa impoverire ancora di più questi territori”. Libero Russo guarda con preoccupazione anche alle conseguenze sulle famiglie degli agenti. “La chiusura dei due istituti – dice – destabilizza il personale. Molti avevano ottenuto il trasferimento per avvicinarsi ai familiari. Chiudendo le carceri di Macomer e Iglesias gli agenti verranno trasferiti con disagi notevoli e costi che ricadranno sulle famiglie”. Il sindacalista spiega che la manifestazione di domani a Cagliari è l’ultimo appello alla Regione e ai politici per scongiurare la chiusura dei due istituti. “Chiusura che abbiamo sempre respinto anche perché è un controsenso – dice –, l’amministrazione vuole chiuderli perché sostiene che tenerli in funzione sia antieconomico, ma ampliare altre carceri per abbandonare strutture in ottimo stato come quella di Macomer, significa spendere altre risorse”. Nel carcere di Macomer opera il nucleo cinofili della polizia penitenziaria, il quale viene utilizzato anche da altre forze di polizia. Sdr: chiusura Iglesias nega individualità trattamento “La scelta del Ministero della Giustizia in accordo con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di chiudere la Casa Circondariale di Iglesias risponde solo a una logica del risparmio fine a se stesso e contraddice il principio della individualizzazione del trattamento rieducativo sancito dalla legge sull’ordinamento penitenziario”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento alla conferma ai rappresentanti sindacali della chiusura del carcere di “Sa Stoia”. “Ancora una volta, dopo aver smentito se stesso, il Ministero – sottolinea Caligaris – conferma nel Circuito Regionale dei Penitenziari Sardi la volontà di dismettere una struttura penitenziaria che potrebbe invece essere utilmente impiegata nel recupero e riabilitazione dei detenuti sex offender. La chiusura di Iglesias è priva di logica. Basti pensare che il carcere San Daniele di Lanusei, ubicato in un antico convento e quindi non idoneo alla permanenza di cittadini privati della libertà, continuerà la sua funzione di contenitore. Le motivazioni di ordine ragionieristico non sono condivisibili anche perché sono in contrasto con l’umanizzazione della pena detentiva. A Iglesias invece occorre rafforzare – conclude la presidente di SdR – la struttura sanitaria ed educativa per restituire alla società riabilitato chi ha commesso reati odiosi come la violenza su donne e/o minori”. Lucca: Matteoli in Senato; parlare di sicurezza non basta, occorre legiferare di Gianluca Testa www.loschermo.it, 25 ottobre 2013 Ancora riflettori accesi sul carcere di Lucca. Stavolta a intervenire con un’interrogazione in Senato è l’ex ministro Altero Matteoli, che lamenta l’eccesso di violenza all’interno dell’istituto penitenziario San Giorgio. E su questo chiedi chiarimenti (e interventi). Ma puntare tutto sul tema della sicurezza significa non comprendere fino in fondo né le criticità delle nostre carceri né l’inadeguatezza del nostro sistema normativo. Cominciamo col chiarire un aspetto fondamentale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Torreggiani (gennaio 2013) ha dato una scadenza all’Italia: o si porrà rimedio al sovraffollamento entro il 27 maggio prossimo - il che significa riportare da 66mila a 47mila il numero dei detenuti - o il governo dovrà pagare indennizzi che si aggirano attorno ai 50 milioni di euro. Perché? Beh, è stata riconosciuta la violazione dell’articolo tre della Convenzione europea dei diritti per coloro che si trovano a vivere con meno di tre metri quadrati a testa. Insomma, pur partendo dal presupposto che l’idea della rieducazione è un principio fondante nostra Costituzione, scopriamo anche che il tema dei diritti è strettamente legato a fattori economici. Se quei 50 milioni fosse investiti nelle comunità di accoglienza e in percorsi alternativi alla pena, non solo scopriremmo che le carceri si alleggerirebbero e che il tasso di recidiva si abbasserebbe (dall’80 al 20 per cento). Ma ci troveremmo anche di fronte a un risparmio economico variabile tra 1 e 3 miliardi di euro l’anno. L’equivalente di una piccola manovra finanziaria. Ad esempio, secondo il vice-capo dell’amministrazione penitenziaria Luigi Pagano, la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio per la collettività di circa 51 milioni di euro all’anno. Quindi basta fare due conti. E pensare che la legge - uno dei primi luoghi dove si infrange è proprio il carcere - non è ancora stata capace di riconoscere l’opportunità delle misure alternative. Quindi il problema prescinde dalle visite ‘spot’ agli istituti penitenziari, dai ripetuti appelli sul sovraffollamento, alle denunce dei sindacati di polizia penitenziaria, dalla necessità di creare nuovi spazi. “Dal 5 agosto al 15 ottobre del 2013 si è registrata, presso la casa circondariale di Lucca, una lunga serie di accadimenti negativi che hanno visto protagonisti i detenuti”, scrive Matteoli rivolgendosi al Ministro della giustizia. “Questo evidenzia un’acuta criticità della situazione, dove i detenuti si ritrovano sempre più spesso a compiere gesti estremi, anche di autolesionismo, e le forze dell’ordine a tentare di arginare il dilagare di questi fenomeni in condizioni di rischio e di precarietà, così come denunciato più volte dalle organizzazioni sindacali. Si chiede di sapere quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per arginare gli episodi di violenza che sempre più frequentemente si verificano nella casa circondariale di Lucca. E quali provvedimenti intenda adottare per porre gli agenti delle forze dell’ordine in servizio presso l’istituto di detenzione di operare in sicurezza, verificando anche la corretta gestione, l’efficienza, l’operatività e la reale rispondenza alle attuali necessità dell’istituto dei vertici della struttura di gestione”. Quello che manca alla nostra politica è la lungimiranza e la capacità di scegliere (e progettare) a medio e lungo termine. Finché non saranno presi provvedimenti capaci di incidere davvero sul sistema carcere, ci troveremo non solo a pagare sanzioni ma anche a dover discutere ciclicamente sulla necessità dell’indulto. Per una volta sarebbe bello poter dimostrare che non interveniamo solo nelle emergenze, ma che sappiamo anche programmare. Civitavecchia (Rm): accordo tra Asl e Istituti di pena sulla Carta dei Servizi Sanitari www.trcgiornale.it, 25 ottobre 2013 La Asl RmF e le due carceri di Civitavecchia sono le prime due strutture pubbliche nel Lazio ad adottare ufficialmente la Carta dei Servizi Sanitari per i cittadini reclusi negli istituti di pena. Le Carte dei Servizi Sanitari per i detenuti nascono dal Tavolo tecnico congiunto tra Asl, carceri e Garante dei detenuti. Le Carte hanno lo scopo di garantire, ai detenuti delle due carceri di Civitavecchia dove sono reclusi 718 detenuti, l’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura sulla base degli obiettivi generali di salute, dei progetti specifici e dei livelli essenziali di assistenza garantiti dalla Regione. I Protocolli attuativi delle due Carta dei Servizi Sanitari sono stati firmati dal Commissario Straordinario della Asl Roma F Giuseppe Quintavalle, dal Direttore della Casa di Reclusione Patrizia Bravetti, dal Direttore del Nuovo Complesso Silvana Sergi e dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. “Oggi sono soddisfatto - ha detto il Garante Angiolo Marroni - perché per la prima volta si sottoscrive in maniera congiunta fra le due amministrazioni una Carta relativa alla salute dei detenuti. In questi anni, come Ufficio, ci siamo adoperati per garantire il diritto alla salute dei reclusi. L’esperienza e il buon senso dimostrano infatti che non bastano i soli intendimenti, seppur ottimi; per far si che essi si realizzino, occorrono anche buone e condivise prassi. Come Garante, su questo delicato tema, abbiamo dato impulso al Forum per l’attuazione della riforma della sanità penitenziaria, abbiamo favorito la costituzione di un Osservatorio regionale per monitorare i punti di debolezza del sistema. La Carta dei servizi è solo l’ultima delle nostre proposte. Una proposta che ha suscitato l’interesse delle istituzioni, degli operatori e degli stessi detenuti. Questi ultimi, in particolare, hanno capito che si tratta di una dimostrazione concreta e operativa e di solidarietà istituzionale che, specie nei momenti più difficili e delicati, può fare la differenza”. All’interno dei Protocolli firmati a Civitavecchia è specificato che la Asl abbia la responsabilità di “curare l’organizzazione dei servizi sanitari delineata nella Carta dei servizi, nonché di erogare le tipologie di prestazioni con le modalità e con le professionalità indicate nella carta medesima”. Le due strutture carcerarie, dal canto loro, consentono alla Asl “di organizzare i servizi sanitari e di erogare le prestazioni sanitarie come previsto nella Carta dei servizi, mettendo a disposizione gli spazi necessari, a stabilire orari di accesso alla struttura, al rilascio dei permessi e a fornire ogni altro contributo necessario a garantire l’assistenza”. Le Carta dei Servizi sanitari per detenuti finora predisposte coinvolgono la metà delle carceri della Regione Lazio, sette su 14: oltre alle due adottate a Civitavecchia, ci sono quelle già predisposte per Regina Coeli e per le quattro strutture del complesso polipenitenziario di Rebibbia. In altre realtà, Latina, Viterbo, Rieti e nell’IPM di Casal del Marmo, le Asl hanno deliberato l’istituzione del Tavolo tecnico di monitoraggio ed avviate le procedure per l’adozione del documento. Nessuna risposta alle sollecitazioni del Garante è ancora arriva dalla Asl H, che gestisce il carcere di Velletri, e da quella di Frosinone, che gestisce i servizi sanitari nel carceri del capoluogo (543 reclusi) e in quelli di Paliano (59 detenuti) e di Cassino (310). Pescara: “Buon appetito in tante lingue”, in carcere terza edizione gara gastronomica Agi, 25 ottobre 2013 Domani e giovedì 31 ottobre alle ore 15.30, si svolgerà presso la sala cinema-teatro della Casa Circondariale di Pescara la gara gastronomica: “Buon appetito in tante lingue” giunta alla sua terza edizione, nel corso della quale detenuti di diverse nazionalità si sfideranno nella presentazione di specialità del Paese d’origine: Albania, Romania, Filippine, Tunisia, Senegal, Polonia, Pakistan, Ghana, nonché Italia. La manifestazione è organizzata dal carcere del capoluogo adriatico in collaborazione con la Coop Adriatica di San Giovanni Teatino (Chieti) e l’Istituto alberghiero Filippo De Cecco di Pescara ed è curata dall’assistente volontario prof. Quintino Marcella, noto nella regione sia quale docente dell’Istituto alberghiero che come apprezzato chef in numerosi ristoranti. Ospite e animatore della serata sarà Germano D’Aurelio, in arte, ‘Nduccio. I piatti saranno valutati da una giuria mista organizzata dal presidente onorario dell’Associazione cuochi di Pescara, prof. Nicolò Di Garbo, dal dirigente scolastico dell’istituto Filippo De Cecco, Alfredina Trivelli, dalla ristoratrice Anna Rita Trozzi e da Paola Davani in rappresentanza della Coop Adriatica. A tutti i detenuti in gara sarà consegnato un premio e un attestato di partecipazione offerto dalla Coop Adriatica. Il concetto di integrazione - osservano gli organizzatori - passa anche attraverso il cibo e il cucinare insieme, dove i sapori ed i saperi si fondono in una miscela di ingredienti che abbatte le barriere ed i pregiudizi. Reggio Calabria: presentato il libro “Universo della detenzione” con Lidu Onlus www.dailycases.it, 25 ottobre 2013 Il testo, curato da Domenico Alessandro De Rossi (Lidu), passa in esame i diritti umani e civili del detenuto, le possibilità di recupero, la rieducazione del condannato, le opportunità di studio, di lavoro e di cure mediche, nel rispetto dell’artico 27 della Costituzione Le inumane condizioni dei detenuti in Italia al centro della conferenza stampa di presentazione del libro “Universo della detenzione”, edito da Mursia e curato dall’architetto Domenico Alessandro De Rossi, responsabile nazionale per il progetto carceri della Lidu (Lega Italiana Dei Diritti dell’Uomo), presentato giovedì scorso a Palazzo Foti, sede della provincia di Reggio Calabria. L’iniziativa si inserisce in una serie di eventi voluti dal presidente del consiglio Antonio Eroi con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi legati al sovraffollamento carcerario e alla cattiva gestione in termini di rieducazione del detenuto. Emergenza tanto grave da aver prodotto nel gennaio del 2013 una sanzione da parte della Corte di Strasburgo ai danni dello Stato italiano con la cosiddetta sentenza Torreggiani . “L’universo della detenzione ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili e illegali” - ha spiegato Eroi in apertura dell’incontro con i giornalisti - “La dimostrazione arriva dalle numerose condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il nostro Paese è stato richiamato a più riprese dal Consiglio d’Europa - ha sottolineato Eroi. E’ un problema che impone l’intervento immediato dello Stato per interrompere questa infame tortura umana”. Una necessità che Eroi, che ha messo alla base del suo messaggio politico la tutela dei diritti umani, segnala da molto tempo, con eventi, appuntamenti e con la produzione di un cortometraggio girato in carcere e presentato a Strasburgo e Parigi dal titolo “Hakuna Matata”. In questi ultimi giorni, dopo il messaggio alle Camere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che chiede con urgenza di considerare indulto ed amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, si pone con forza anche la necessità di ripensare il sistema penitenziario italiano in termini strutturali. Il carcere è anche il luogo, lo spazio, il perimetro, l’ambiente, l’edificio dove si è reclusi. E lo spazio vitale è un elemento che agisce concretamente sulla persona. Ne è convinto l’architetto De Rossi che assieme a qualificati esperti si inserisce nell’attuale dibattito: “L’Italia è una nazione formidabile, in tanti settori, ma tra il dire e il fare nascono tante difficoltà - ha detto De Rossi. L’universo carcerario è orribile e non solo non considera la pena in un’ottica rieducativa, ma calpesta senza ritegno la dignità umana negando ogni possibilità di futura riabilitazione”. Corredato da disegni e fotografie di progetti italiani e stranieri, il volume di 350 pagine tocca diversi aspetti: storici, culturali, sociali, umani e architettonici. Scritto anche da Luciano Bologna, Fabrizio Colcerasa, e Stefania Renzulli è suddiviso in dieci capitoli di cui otto redatti dallo stesso De rossi: “L’architettura penitenziaria dovrebbe essere approfondita affinché sia una specializzazione che porti al miglioramento trasformando la permanenza in carcere da sofferenza in opportunità”. Parma: boss vuole farsi vestire dallo stilista, la Cassazione nega il permesso www.parmaquotidiano.info, 25 ottobre 2013 Carcerato sì, ma elegante. Un detenuto del 41bis nel penitenziario di Parma ha avviato una battaglia per riuscire a vestire abiti firmati anche in cella. Ed ha perso. Un boss del clan dei Casalesi, legato a Francesco “Sandokan” Schiavone, aveva ottenuto dal giudice di sorveglianza di Reggio Emilia di poter ricevere in carcere i suoi vestiti comprati dallo stilista. Ma la procura della città d’Oltrenza ha fatto ricorso davanti alla Cassazione per la revoca di quel permesso. Come informa il notiziario online Corriere di Aversa e Giuliano, la Cassazione ha accolto il ricorso, togliendo giacche, gessati e foulard al boss. I giudici hanno spiegato che se un detenuto riceve in cella oggetti di lusso, nella prigione scatta un meccanismo di imitazione e anche molti altri detenuti iniziano a chiedere di poter avere dietro le sbarre gli stessi status symbol che utilizzavano prima dell’arresto per affermarsi. Gli stessi abiti e accessori eleganti servirebbero al boss per continuare ad affermare una posizione dominante anche nel penitenziario, per mantenere “distinzioni, vassallaggi, ossequi o invidie e simili gravi turbative, ben pericolose per l’ordine e la sicurezza". Immigrazione: Anm; reato clandestinità inutile e dannoso, errore approccio demagogico Ansa, 25 ottobre 2013 In materia di immigrazione “non serve una demagogia retorica della sicurezza” e quanto tale approccio “sia inutile e sbagliato ne hanno offerto tragica dimostrazione le stragi consumatesi nelle scorse settimane nel mare di Scicli e di Lampedusa”. La critica è del presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, che al XXXI Congresso del sindacato delle toghe ha ribadito come il reato di clandestinità sia “palesemente inutile” perché la sanzione prevista non ha “alcun effetto dissuasivo” e “dannoso” perché “ingolfa gli uffici giudiziari”. Il leader dell’Anm ha invocato una gestione del fenomeno migratorio “che punti su efficaci strumenti amministrativi piuttosto che su quelli penali”. Siria: Lega Difesa Diritti Umani; nelle carceri detenute più di 40mila donne Nova, 25 ottobre 2013 Il regime siriano di Bashar al Assad ha nelle sue carceri più di 40 mila e 300 donne detenute. È quanto risulta da una statistica effettuata dalla Lega siriana per la difesa dei diritti umani, la quale sostiene che la maggior parte di queste detenute è in pessime condizioni di salute. Il regime di Damasco non ha ancora proceduto alla loro liberazione anche se c’è un accordo, gestito con la mediazione del Qatar, che prevede il loro rilascio in cambio delle recente liberazione di cittadini sciiti libanesi rapiti dai ribelli 17 mesi fa. Stati Uniti: il grande business delle carceri minorili di Massimo Mazza Huffington Post, 25 ottobre 2013 Una dettagliata inchiesta sul mondo delle prigioni per “bambini” negli Stati Uniti “prigionieri del profitto”. La privatizzazione delle carceri negli Stati Uniti non cessa di dare scandalo, la situazione delle prigioni per minori è pessima, ma un meccanismo ferreo impedisce di mettervi rimedio. Le carceri minorili statunitensi offrono una panorama che varia da stato a stato come le leggi relative, ci sono quelli che obbligano i giovani a vestire le divise a strisce, considerate “degradanti” persino per gli adulti e ci sono alcune eccellenze, ma il panorama è dominato da pessime prigioni private, un business senza controlli e senza qualità, che un’inchiesta dell’Huffington Post ha cercato d’illuminare ripercorrendo le tracce del più grande tra i fornitori di servizi carcerari della Florida, che ha privatizzato tutte le sua prigioni per minori. Non è la prima inchiesta del genere, esistono anche siti dedicati che si occupano di monitorare per quanto possibile quello che succede dietro i recinti oltre i quali sono rinchiusi, spesso con motivazioni risibili, una gran numero di minori per lo più figli delle minoranze etniche e dei quartieri più poveri. A peggiorare la situazione si sono aggiunti poi scandali che hanno visto giudici condannati per aver emesso severissime e numerosissimi sentenze abusive ai danni di minori in collusione con i contractor che gestiscono le prigioni. Che le prigioni minorili in Florida non funzionino non è un’opinione, il tasso di recidiva degli ospiti è del 40% entro un anno dal rilascio, nello stato di New York che non ha prigioni private è del 25%, l’inchiesta spiega perché non funzionano e perché continueranno a non funzionare. Il principale fornitore di servizi carcerari della Florida è prima di tutto quello che spende di più in contributi alla politica, oltre 400.000 dollari in un anno, con i principali concorrenti che si fermano attorno ai 20.000. Un dato che dimostra una certa spregiudicatezza, che l’inchiesta dimostrerà essere il vero filo conduttore che ha guidato l’evoluzione di un fenomeno della privatizzazione. Il protagonista di questa storia si chiama James F. Slattery, patron della Correctional Services Corp., che poi cambierà nome, e prima ancora di società che si occupavano di fornire alloggio ai disagiati per conto degli stati e in seguito di gestire prigioni per adulti, un business poi abbandonato del tutto per quelle dedicate ai minori. Slattery sbarca in Florida nel 1995, da allora non se ne andrà più, anche se una delle sue prime e principali avventure si rivela un disastro e se le sue referenze sono una scia di contratti finiti male. Gli basta chiudere la prigione finita sotto i riflettori, cambiare nome alla società e ripartire di slancio. Le condizioni della prigione di Pahokee avevano provocato uno scandalo e attivato un’inchiesta già negli anni ‘90, che si è estinta con la chiusura dell’istituto, una mossa che ha consentito alla società di aggiudicarsi subito di seguito un altro appalto. Le condizioni a Pahokee erano così drammatiche che il giudice Ron Alvarez da paragonarlo a un piccolo paese controllato da “qualche tipo di potere malvagio”. Il potere malvagio è il profitto, perché nelle prigioni di Slattery non ci sono programmi particolarmente afflittivi, secondini divenuti famosi per la loro brutalità, niente di eccezionale, se non una corsa al risparmio della quale hanno fatto le spese i detenuti come il personale addetto, che secondo l’inchiesta ha uno spettacolare turnover di oltre il 90%. Chi lavora nelle prigioni di Slattery riceve addestramento solo sulla carta e molto di quello che dovrebbe essere registrato su carta in realtà accade solo sulle pagine dei registri. I dipendenti di Slattery sono pagati poco, sono spesso sotto organico e per di più si risparmia anche sul cibo, spesso scarso e di bassa qualità, così come gli operatori che dovrebbero assistere i giovani in percorsi educativi e riabilitativi. Un disastro, che però si perpetua grazie a un meccanismo blindato che tiene la compagnia al riparo dalle peggiori conseguenze. Non è che le magagne alla fine non siano rilevate, ma quando accade lo stato chiude tutte e due gli occhi e si tira avanti, anche se la compagnia in tutta evidenza non rispetta gli impegni contrattuali. Se poi succede che qualche funzionario diventi fastidioso, succede come all’ultimo che nel 2004 ha stilato un pessimo rapporto per la Thompson, i contractor si sono lamentati che guastasse i buoni rapporti con l’amministrazione, il funzionario è stato spostato e dopo un mese è stato licenziato. Che dalla sua inchiesta emergesse che nessuno dello staff aveva ricevuto l’apposito training e che i ragazzi mangiavano poco, non importa a nessuno. Ora la compagnia di Slattery si chiama Youth Services International e ha ottenuto nuovi contratti come se nulla fosse mai successo e nonostante il turnover degli impiegati nella struttura segnasse un clamoroso 96%, segno evidente che qualcosa non andava. E secondo gli ex dipendenti sentiti da HP riferiscono anche di violenze, infestazioni di formiche e scarafaggi e persino vermi nel cibo. Furono ignorati. Secondo Jerry Blanton, il controllore licenziato, dice che era “un inferno fin dal primo giorno”, ma dal 2004 oltre a quello per Thompson la compagnia ha avuto altri 8 contratti per la detenzione di oltre 4.000 minori, i problemi registrati a Thompson si ritroveranno anche nelle atre strutture del gruppo. Il sistema delle carceri minorili in Florida è il terzo del paese dopo quello di California e Texas, un affare da 183 milioni di dollari all’anno gestito in totale opacità. Slattery tace, la sua azienda non ha risposto a HP e nemmeno lo hanno fatto le autorità preposte, solo una dichiarazione nella quale lo stato ribadisce il suo impegno a che i giovani nel sistema siano sicuri e ricevano l’aiuto previsto e che il controllo dei contratti è la loro massima priorità. In realtà anche il sistema di presentazione e discussione dei reclami è minato alla base, in caso una parola contro l’altra il procedimento è classificato “inconclusive” e si estingue. La parola del detenuto contro quella dello staff, gli piace vincere facile. Nemmeno la chiusura tanto attesa di Thompson ha messo gli affari di Slattery, che a pochi chilometri di distanza ha aperto un’altra struttura grazie al contratto successivo, anche per Thompson la chiusura è bastata a mettere una pietra sopra a quasi un decennio d’abusi. Quello che emerge dall’inchiesta di HP e dalle riflessioni degli esperti interpellati è che il sistema non è misurato sulle esigenze dei minori, ma su quelle di un sistema che vede i maggiori responsabili del controllo delle carceri minorili andare a lavorare per Slattery a fine carriera, ma anche su un sistema che ora non potrebbe più fare a meno dei servizi di Slattery e concorrenti, se non a prezzo di un pesante ripensamento delle politiche carcerarie, un riconoscimento degli errori e un dibattito che potrebbe anche portare a un ripensamento della scelta privatizzante. Un’eventualità che nessuno dei coinvolti ha interesse a sponsorizzare, semmai l’esatto contrario. Ecco allora che “prigionieri del profitto” diventa la definizione perfetta per i poveri giovani che finiscono in questi gironi infernali. Madagascar: detenuti esposti a forte rischio contagio di peste bubbonica Apcom, 25 ottobre 2013 La peste bubbonica, la grande pestilenza, il flagello dell’Europa del Medioevo, quella che uccise circa 25 milioni di persone, continua ancora a mietere vittime. Il Madagascar ha conquistato lo scorso anno un triste primato mondiale, con 256 episodi di contagi e 60 morti. E sembra che il peggio debba ancora venire: il Comitato Internazionale della Croce Rossa e l’Istituto Pasteur hanno messo in guardia il governo malgascio spiegando come i detenuti nelle carceri siano pericolosamente esposti al contagio, e che, stando a quanto ha affermato Christophe Rogier dell’Istituto Pasteur, “le mura della prigione non potranno impedire alla peste di uscire e di invadere il resto della città”. L’ispezione del Circ ha messo infatti in luce le disumane condizioni di 3.000 detenuti di Antanimora, il principale carcere della capitale Antananarivo, costretti a convivere - in tutti i sensi - con una nutrita popolazione di ratti infestati da pulci. “Una prigione non è un luogo sigillato”, ha spiegato Evaristo Oliviera del Circ, osservando come anche tutti coloro che lavorano nella prigione, o anche semplici visitatori, possano divenire vettori del bacillo della malattia e provocare un’epidemia tra la popolazione. Ha poi continuato affermando che la malattia, se diagnosticata tempestivamente, potrebbe essere curata con degli antibiotici, ma la scarsità di strutture sanitarie efficienti in Madagascar ostacola enormemente questa possibilità.