Giustizia: per le carceri azioni di clemenza in tempi rapidi e poi una riforma di Sergio Cofferati Left, 23 ottobre 2013 La situazione delle carceri in Italia richiede di essere affrontata non solo con estrema ed indiscutibile urgenza, ma soprattutto con la serietà che si deve al rispetto dei diritti e della dignità umana. I dati della popolazione carceraria li abbiamo sentiti risuonare molte volte: più di 66mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 45.568 posti. Ma evidentemente la notorietà delle cifre non rende fino in fondo l’idea dell’asprezza delle condizioni di vita dei detenuti italiani rispetto alla quale non è possibile limitarsi a voltare lo sguardo verso immagini più confortevoli. Una tale emergenza richiede provvedimenti molto coraggiosi anche se rischiano di essere impopolari. Un problema come questo, che riguarda le condizioni di vita di migliaia di persone, non può ridursi a essere banalizzato e fuorviato delle vicende personali di Silvio Berlusconi. Si tratta evidentemente di qualcosa di ben più serio e più grande e che pertanto andrebbe affrontato con la dovuta urgenza e responsabilità. Per sgombrare il campo da equivoci e accuse pretestuose occorre quindi precisare che nessun provvedimento di clemenza può riguardare la sua condanna né le pene accessorie a questa connesse. Sia perché il Cavaliere non sarà soggetto a reclusione carceraria sia perché, come ha ben ricordato il ministro Anna Maria Cancellieri, i reati finanziari sono in genere esclusi dai provvedimenti di clemenza. Un sistema penitenziario quasi al collasso come quello italiano è ben lontano dalla funzione rieducativa della pena sancita dalla Costituzione, ma produce quotidianamente danni materiali e morali sia per i detenuti sia per il personale che in quei luoghi lavora. Rispetto a questo è necessario adoperarsi in tempi rapidi per azioni di clemenza. Che tuttavia, da sole, non sono una risposta sufficiente al problema, e vanno accompagnate da misure di carattere più strutturale, a partire da una maggiore previsione di pene alternative al carcere. Misure che attengono a una riforma complessiva della giustizia, ma che possono essere messe in campo senza aspettare i tempi biblici di una definizione condivisa del quadro. A queste deve aggiungersi il “piano carceri”, che non dovrebbe consistere solo nella costruzione di nuovi luoghi di detenzione ma anche nell’ammodernamento e nel miglioramento degli esistenti. E infine una revisione profonda di alcuni reati, figli di leggi assurde che riempiono ingiustamente le carceri italiane. Giustizia: mass media e carceri… piaggeria o ricerca del consenso? di Marina Vitale www.letteratu.it, 23 ottobre 2013 I detenuti e gli agenti si suicidano, le morti per malattia toccano picchi altissimi, le condizioni in galera sono contrarie ai più elementari diritti dell’uomo. E la stampa cosa fa? Non c’è dubbio che riassumere in poco più di mezz’ora tutto ciò che accade nel mondo sia difficilissimo. Un telegiornale non potrà mai essere esaustivo né, immagino, ambirà ad esserlo. La carta stampata, che ha più spazio materiale e maggiori possibilità d’approfondimento, potrà fare di più, mai tutto. Malgrado queste doverose premesse non c’è dubbio che, nella scelta delle notizie di rilievo di cui parlare o scrivere, i nostri media tradizionali operino scelte discutibili: riescono a trovare lo spazio per la prodigiosa nascita di una zebra a pois e la gravidanza di questa o quella soubrette, e ignorano invece alcune importanti tematiche. Le generalizzazioni sono dannose ma è innegabile che ad essere viziata sia una grossa fetta della proposta informativa, rendendo preziosi i contributi di chi non si piega a logiche di mercato o di piaggeria, e l’apporto informativo della rete che, dal canto suo, gode di una libertà di veicolazione dei messaggi straordinaria, ma necessita di un lavoro di scrematura da parte del lettore che non sempre si trova di fronte ad una fonte attendibile (da qui il proliferare delle bufale). Perché alcune notizie non circolano affatto, se non eccezionalmente, con i mezzi giornalistici più accreditati e risalenti? Perché alcune informazioni non arrivano con la forza dirompente che possiederebbero se si desse loro la possibilità di dispiegarla? Emblematico il caso della situazione delle carceri italiane e della cronaca giudiziaria in generale. Le risposte agli interrogativi di cui sopra sono ovviamente diverse, ma il problema simile. Grazie all’assurdo proliferare delle trasmissioni televisive, in special modo quelle pomeridiane, che si vantano di rivolgersi alle casalinghe (come se le casalinghe fossero una sottocategoria sfortunata e decerebrata) la figura del carcerato, in via preventiva o definitiva poco importa, è assurta al ruolo di mostro scellerato da eliminare buttando la chiave della cella e scordandosene. Il principio retributivo per cui chi sbaglia paga ha un indubbio valore, rappresenta un deterrente personale e generale ovvio, e la funzione rieducativa del carcere? L’interesse per le condizioni di chi ha sbagliato ed ora paga, che vive in condizioni di disagio estremo, è così viziato dalle immagini e dai racconti ripetuti fino alla nausea del corpo della “piccola Sara” e dalla bellezza della “povera Melania”, che il tema non può trovare asilo nei mezzi d’informazione, per il timore di inimicarsi il pubblico. I carcerati si suicidano? Pazienza, un mostro di meno. I fenomeni sociali sono affrontati come al mercato, in un salotto di cattivo gusto ci si scambiano opinioni su omicidi di donne e bambini quasi fossero consigli sulle qualità di cavolfiore. L’abuso del temine “battaglia” maschera un uso strumentale del dolore altrui. Che significato e valore etico possono avere i racconti dettagliati di omicidi efferati, con tanto di simulazioni in diretta in orari nei quali ci sono minori in ascolto? Il messaggio che ne consegue è spaventoso. Non sarebbe forse il caso che il garante per l’infanzia, quello per la privacy o quello per l’informazione limitassero queste scelleratezze? Invece prosegue questa barbarie che alimenta visioni distorte in numerosi ambiti, che denuncia senza spiegare, capire, riflettere. La realtà carceraria è drammatica, le celle sono zeppe di esseri umani costretti in spazi angusti, come fossero polli di batteria, a nulla sono valse le ripetute condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, l’ultima risalente all’8 gennaio, condanna intervenuta per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che proibisce la tortura e i trattamenti inumani o degradanti. E i media attendono lo sciopero della fame di Marco Pannella per interessarsi all’argomento, aspettando il morto come avvoltoi, guardando però all’uomo figura pubblica e non alla sua causa, nonostante nel 2012 ci siano stati ben 60 suicidi tra carcerati, che a suicidarsi spesso siano anche gli agenti che lavorano nelle carceri, che altissimo sia il numero dei morti per malattia tra i detenuti, e che sono già 3 quelli che si sono tolti la vita in questi primi giorni del 2013. Il carcerato non è dunque uomo, è feccia da eliminare, sebbene il principio che la pena detentiva abbia come fine la rieducazione del reo sia sancito a livello costituzionale. La deriva giustizialista dell’informazione, che si limita al racconto eccezionale di coloro che commettono nuovi reati a seguito magari del godimento di misure alternative alla pena, chiude invece vigorosamente gli occhi davanti a questa strage: 753 morti suicidi negli ultimi 13 anni. Deriva giustizialista che non coinvolge i potenti. E allora il giornalista può plasmare la verità all’occorrenza, il reato prescritto per un politico viene tramutato in assoluzione da un telegiornale e in mancanza di prove da un altro, la custodia cautelare, misura abusatissima nel nostro paese, è ritenuta corretta o scorretta a seconda di dove la banderuola giri al momento. Non va dimenticato che reati come l’immigrazione clandestina, che lede non si sa quale bene giuridico, portano dritti in carcere. Tutti con Sallusti, condannato per un reato basato sulla responsabilità oggettiva, nessuno con un uomo che ha solcato il mare alla ricerca di una possibilità di sopravvivenza. Lungi dal pensare all’impreparazione di professionisti accreditati, è ovvio allora ritenere si tratti di bieca piaggeria in alcuni casi, e di sensazionalismo voyeuristico spicciolo in altri. La televisione e i giornali, la prima in particolare, rinunciano del tutto al loro ruolo educativo e allo stesso tempo informativo per cedere a necessità “altre”, al servizio del potente e del gusto del pubblico. L’informazione che fa? Dimentica. Ignora. Tace. La colpevolezza non c’entra, nessun uomo merita la situazione odierna, sia o meno colpevole. Se la civiltà di una nazione si misura dal modo in cui tratta i soggetti più deboli noi siamo senza dubbio all’età della pietra, e se la valutazione coinvolge anche l’impegno dei meda perché ciò cambi, beh, qui non c’è nemmeno mai stato il Big Bang. Giustizia: l’indulto soluzione sbagliata di Stefano Allievi (Docente Dipartimento Sociologia Università di Padova) Messaggero Veneto, 23 ottobre 2013 Il dibattito sull’indulto (ancora presente nella società ma già finito nel ceto politico: che, come ha lanciato il tema, l’ha anche frettolosamente dimenticato) ha almeno un merito: quello di farci riflettere sul carcere, e su come esso risponde alla sua funzione. Anzi, ancora più a monte: ci fa domandare quale sia, la sua funzione. Rieducativa? Di pagamento del proprio debito? Di riscatto sociale? O semplicemente di isolamento, di chiusura? Le etimologie ci possono aiutare a capire quale era la sua funzione originaria. Pena significa danno, castigo, ma anche sofferenza, e pietà. Il latino poena, da cui penale deriva dal greco poiné, che a sua volta deriverebbe da una radice indoeuropea che significa pagare: il proprio riscatto alla vittima e il proprio debito alla società. Non solo: la parola penitenziario ha una valenza quasi religiosa, ci fa pensare a un luogo di penitenza, di riflessione e di cambiamento. Oggi è ancora così? Serve a questo, il carcere? Fa riflettere, in questo senso, l’aumento progressivo dei numeri in gioco, abbastanza generalizzato in tutto il mondo occidentale. Cosa significa una società che produce carcere, che sa punire solo in questo modo? Così come fa riflettere il problema - plateale, a volerlo vedere: basta andarci anche una sola volta, in un carcere - degli strati sociali presenti, e soprattutto di quelli assenti. Come mai ci sono solo alcuni e non altri: tipicamente i colletti bianchi? E’ perché gli altri sono più predisposti a delinquere, o tutto questo ha a che fare con la definizione di ciò che è reato, e soprattutto con chi lo decide? E’ un caso che certi reati professionali e finanziari siano blandamente colpiti o quasi del tutto depenalizzati - rispetto al danno che producono, certo maggiore di altre forme di criminalità verso cui c’è maggiore allarme sociale - o c’entra col fatto che chi scrive le norme e scrive sui giornali appartiene alle medesime categorie sociali? Del resto, è divenuto proverbiale che buoni avvocati fanno la pena corta, o la pena alternativa disponibile, o meglio ancora la prescrizione. Quasi la metà dei detenuti ha a che fare con la tossicodipendenza o con l’immigrazione, in base a reati che puniscono non un fatto, ma una condizione. Siamo proprio sicuri che davvero la metà della pericolosità sociale, del male che c’è nella società, dell’indebolimento del legame sociale, della percezione di insicurezza, della perdita di fiducia nel sistema stesso, stiano in queste due sole categorie? E la carcerazione risolve il problema o al contrario lo incancrenisce, per giunta in maniera economicamente dannosa? In definitiva, puniamo alcuni reati - e solo alcuni - con il carcere perché siamo convinti della sua efficacia, o al contrario per inerzia, perché non sappiamo che altro fare? E infine, cosa costerebbe meno alla società, in termini umani, civili, ma anche molto concretamente economici: il carcere, o le pene alternative, i domiciliari, la presa in carico in comunità, il lavoro come forma di rieducazione, un modello diverso di rapporto carcere-società, e naturalmente la prevenzione? Perché, diciamolo, se per la rieducazione e la formazione dei detenuti si spendono pochi euro al mese, contro le migliaia che costa la mera funzione immobilizzativa, di parcheggio sociale, c’è qualcosa che non torna. Se la recidiva è alta - ovvero se chi va in carcere finisce per tornarci in gran parte per le medesime ragioni - è peggio se in carcere, a praticare il crimine, lo si impara: dati gli esempi disponibili, le condizioni di vita, e l’assurdo per cui ben il 40% delle persone è in carcere in attesa di giudizio, non a seguito di un giudizio). Si dice in carcere non si lavora ma si perde solo tempo (in passato almeno c’erano i lavori forzati: che, senza rimpiangerli, davano comunque un senso e un significato sociale e retributivo alla detenzione). E già che ci siamo, si potrebbe riflettere sul senso dell’ergastolo, in quest’ottica. Ecco, a partire da questi dati, forse potrebbe prendere un’altra direzione la discussione sul sovraffollamento delle carceri, sulle cure mancate, sui suicidi, sul numero di posti insufficiente e degradato, sulla formazione e la retribuzione di chi se ne occupa. Per cui, benvenuto indulto, soluzione sbagliata a un problema reale, se almeno l’evocazione del tema è il dito che ci fa guardare, finalmente, la luna, e non il dito stesso. Giustizia: M5S; bilancio piano carceri 2012 firmato solo dopo nostra richiesta Adnkronos, 23 ottobre 2013 “Appena 4 giorni fa, il 18 ottobre, la Commissione Giustizia ha ascoltato in audizione il ministro Cancellieri. Forse qualcuno ricorderà il video che abbiamo subito pubblicato, in cui il ministro si appellava al proprio ‘onore’ nel rispondere alle pressanti domande degli esponenti del Movimento 5 Stelle”. I grillini tornano sullo “scontro” con la responsabile del Viminale di giovedì scorso accusando la ministra di aver firmato il documento sul piano carceri solo dopo le richieste del M5S. “In particolare - scrivono i deputati grillini ripercorrendo le tappe della vicenda - proprio nei primi secondi, si sente il deputato cittadino Alfonso Bonafede chiedere esplicitamente: “Una domanda tecnica. Non ci risulta disponibile il bilancio 2012 del Piano carceri istituito dal Commissario Straordinario e riteniamo importante che ci sia questa disponibilità per fare qualsiasi valutazione sul tema”. Il ministro si appella con sdegno al proprio onore, e Bonafede imperturbabile replica: “Restiamo in attesa del Bilancio”. Si dà così il la ad una discussione di minuti, in cui siamo accusati di accusare, apostrofati di apostrofare e così via, come peraltro accade tutti i giorni. Bonafede non si smuove: chiede ancora che ne è del bilancio 2012, mentre l’indignazione della controparte aumenta”. “Qualcuno deve aver pensato - ironizzano i 5 Stelle - che, essendo in gioco l’onore del ministro della Giustizia davanti a dei grillini, bisognava correre ai ripari. Fornendo tempestivamente il discusso bilancio? Macché: correndo a firmarlo. Il bilancio del piano carceri 2012 è uscito online riportando la firma del 21 ottobre 2013, esattamente tre giorni dopo le richieste del Movimento 5 Stelle in Commissione. Forse il commercialista l’aveva dimenticato in un cassetto. L’onore del ministro è quindi salvo, seppur con tre giorni di ritardo”. Giustizia: caso Cucchi, a 4 anni dalla morte l’ospedale “Pertini” risarcirà i familiari di Silvia Colangeli Il Manifesto, 23 ottobre 2013 Il caso Cucchi proseguirà in appello solo contro gli agenti della polizia penitenziaria, non più - com’era in primo grado - contro medici e infermieri. Ieri, a quattro anni dalla scomparsa del geometra romano, arrestato il 16 ottobre 2009 e morto dopo 6 giorni all'ospedale Pertini, Alessandro Gamberini, legale del padre, ha presentato formalmente gli atti per il ricorso in appello. Contemporaneamente l'avvocato Fabio Anselmo ha annunciato che, dopo trattative durate mesi, la struttura ospedaliera dov’è avvenuto il decesso risarcirà la famiglia di Stefano. Lo stesso legale si è trovato a dover smentire le cifre pubblicate da varie testate in queste ore. “Non intendiamo parlare di somme - ha detto Anselmo all'Ansa - e posso solo dire che il risarcimento è parziale, per salvaguardare i diritti della famiglia Cucchi a continuare ad esercitare il loro ruolo all'interno del processo penale contro gli agenti della polizia penitenziaria assolti”. L'effetto del risarcimento sul ricorso in appello sarà infatti la rinuncia da parte della famiglia a costituirsi parte civile nei confronti dei sanitari. Il primario Aldo Fierro e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi de Marchis Preite, Silvia di Carlo sono stati condannati a 2 anni per omicidio colposo il 5 giugno scorso, l'altro medico, Rosita Caponetti, solo per il reato di falso ideologico. La III Corte d'Assise di Roma ha assolto gli infermieri e persino gli agenti di polizia penitenziaria. Secondo l'accusa, invece, Stefano Cucchi è stato brutalmente picchiato nelle celle di sicurezza della Città giudiziaria di Roma (dove attendeva la convalida del suo arresto per possesso di droga) e i medici lo hanno abbandonato a se stesso. Il verdetto dell'ultima sentenza, dove tra l'altro è scritto: “legittimo il dubbio che Stefano Cucchi, arrestato con gli occhi lividi e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri” è che il geometra romano sia deceduto per malnutrizione. I familiari, dopo 6 giorni di richieste di contatto cadute nel vuoto, hanno saputo della morte di Stefano quando un carabiniere ha notificato alla madre che sul cadavere del figlio sarebbe stata disposta un’autopsia. “Stefano è morto d’ingiustizia, e nei successivi gradi di giudizio si tenterà di dimostrarlo” è stato il commento della sorella Ilaria. Ieri, nel quarto anniversario della morte, da Pescara è partita l'iniziativa #iosonocucchi. Dall'8 al 10 novembre in una delle piazze principali della città abruzzese verrà esposto un tappeto di foto grande cento metri quadrati che raffigurerà il volto di Stefano. Il mega-ritratto sarà composto da primi piani di volti imbavagliati, bendati o con le orecchie tappate che chiunque potrà inviare via facebook, twitter e mail entro il 27 ottobre, aggiungendo il tag #iosonocucchi. Giustizia: Papa Francesco ha incontrato i 150 Cappellani delle carceri italiane La Repubblica, 23 ottobre 2013 Prima dell’udienza generale il Pontefice ha incontrato 150 cappellani delle carceri italiane. “Una giustizia di porte aperte non è un’utopia!”. Il Papa ha voluto “far arrivare un saluto a tutti i detenuti” nelle carceri italiane, ricevendo stamani prima dell’udienza generale in piazza San Pietro i cappellani delle carceri italiane. Anche il signore “carcerato dai nostri egoismi, dai nostri sistemi, dalle tante ingiustizie che sono facili per punire i più deboli mentre i pesci grossi nuotano”. Parlando a braccio durante l’udienza, il Pontefice ha detto: “Una giustizia di speranza e di porte aperte non è un’utopia”. “Recentemente - ha detto - avete parlato di una giustizia di riconciliazione, ma anche una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti, questa non è una utopia, - ha commentato - si può fare, non è facile perché le nostre debolezze ci sono dappertutto, il diavolo è dappertutto, ma si deve tentare, vi auguro che il Signore sia con voi e la Madonna vi custodisca, la madre di tutti voi e di tutti loro in carcere”. Infine ha detto ai cappellani di portare un messaggio da parte sua a coloro che si trovano in carcere: “Ai detenuti, a nome del Papa, potete dire questo: il Signore è dentro con loro”. Anche Dio carcerato, non punire deboli Il Papa ha voluto “far arrivare un saluto a tutti i detenuti” nelle carceri italiane, ricevendo stamani prima dell’udienza generale in piazza San Pietro i cappellani delle carceri italiane. Anche il Signore “carcerato dai nostri egoismi, dai nostri sistemi, dalle tante ingiustizie che sono facili per punire i più deboli mentre i pesci grossi nuotano”. “Cari fratelli, vi ringrazio, e vorrei approfittare di questo incontro con voi, che lavorate nelle carceri di tutta Italia, per far arrivare un saluto a tutti i detenuti. Per favore dite che prego per loro, prego il Signore e la Madonna che possano superare positivamente questo periodo difficile della loro vita. Lo sappiamo, un giorno va tutto bene, il giorno dopo è difficile, vai giù. Che non si scoraggino, non si chiudano, perché il Signore è vicino; non è fuori, non rimane fuori dalla loro cella, ma è dentro. Potete dire questo: il Signore è dentro con loro; nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, il suo amore paterno e materno arriva dappertutto. Anche lui è carcerato dai nostri egoismi, dai nostri sistemi, dalle tante ingiustizie che sono facili per punire i più deboli mentre i pesci grossi nuotano liberamente nell’acqua. Il Signore sta con loro, prega con loro. Prego perché ciascuno apra il cuore a questo amore. E prego anche per voi Cappellani, per il vostro ministero, molto impegnativo e molto importante, perché esprime una delle opere di misericordia. Voi siete segno della vicinanza di Cristo a questi fratelli che hanno bisogno di speranza. Il vostro ministero fa visibile la presenza del Signore nel carcere. Il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni”. Dono borsa dal carcere femminile Rebibbia È stata donata al Papa una borsa da viaggio fabbricata per lui dalle detenute del carcere femminile di Rebibbia. Il dono è stato consegnato al Pontefice durante l’udienza che ha concesso ai cappellani delle carceri italiane, questa mattina prima della udienza generale. Nel suo saluto a Papa Francesco, don Virgilio Balducchi, a nome di tutti i cappellani delle carceri italiani ha avanzato tre richieste al Papa: l’istituzione di un “luogo permanente” per i detenuti e problemi delle carceri, all’interno di un dicastero vaticano, “magari - ha suggerito - Giustizia e pace; una “celebrazione di riconciliazione qui in Vaticano, con lei”, da fare l’anno prossimo, incentrata sul tema delle carceri; infine che il Papa sostenga “anche davanti ai politici dell’Italia che anche in Italia c’è bisogno di una giustizia maggiormente riconciliativi, e sarebbe ora che la si applicasse”. Giustizia: in tema di carceri e sovraffollamento “parole sante” dal vertice della Cei di Luca Kocci Il Manifesto, 23 ottobre 2013 La situazione “delle carceri e dei carcerati” è giunta “ai limiti della sopportazione umana”, mala politica continua ad essere sorda, cieca e incapace di agire, come se si trattasse di “problemi marginali” che riguardano solo poche persone e non invece “l’intera società”. Il monito arriva dal segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Mariano Crociata, che ieri è intervenuto al Convegno nazionale dei cappellani delle 206 carceri italiane, in corso fino ad oggi a Sacrofano, nei pressi di Roma. La denuncia, a differenza di altre prese di posizione delle gerarchie ecclesiastiche talvolta piuttosto vaghe e generiche, è netta. Da “troppi anni”, nelle carceri del nostro Paese, “si vivono gravi problematiche, prima fra tutte quella del sovraffollamento, che determina condizioni di vita disagiate e spesso ai limiti della sopportazione umana”, dice il numero due dei vescovi italiani, con evidente riferimento alle cifre documentate dall’associazione Antigone e pochi giorni fa riconosciute come autentiche anche dalla ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri: quasi 65mila detenuti per appena 37mila posti (e non 47mila, come invece dichiarava il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), con un sovraffollamento record del 175%, il più alto di tutta Europa. “Si ha l’impressione che la questione della condizione di vita dei detenuti, oltre a quella dei progetti di recupero e di reinserimento e dei relativi investimenti, non venga mai affrontata con la necessaria determinazione e progettualità - prosegue Crociata -. Sembra che si tratti di problemi marginali, che non toccano la società nel suo insieme, ma solo alcune persone che, obbligate a vivere nei luoghi di detenzione, non ne sono più parte”. E quindi che a loro non si debbano “assicurare condizioni di vita dignitose”. Particolarmente disagiata, aggiunge il segretario generale della Cei, è la situazione degli stranieri - “ormai più del 35% del totale dei detenuti” - a cui, alla reclusione, si aggiungono anche “la lontananza dalla famiglia” e dal proprio Paese e le “esigue risorse economiche”. Tutti i detenuti, dice Crociata, non sono cittadini “di serie B”, ma “uomini e donne che, pur essendosi macchiati di crimini più o meno gravi, hanno vissuto sofferenze e difficoltà, e ora hanno bisogno di comprensione e dell’appoggio della società per potersi rialzare e reinserire nelle normali relazioni sociali”. Invece si constata una situazione assolutamente “non ammissibile”: migliaia di persone “quasi dimenticate per lunghi periodi, abbandonate a una sofferenza che potrebbe in parte essere alleviata e che non è certo il fine della detenzione”. In queste condizioni la riabilitazione è impossibile - anche perché il detenuto si sente ulteriormente “vittima” ed “è impedito nel suo cammino di recupero” - e la pena da scontare diventa esclusivamente “violenza”. Giustizia: Mons. Crociata; superare gli “orizzonti ristretti” del carcere di Simone Baroncia www.korazym.org, 23 ottobre 2013 Con la santa messa celebrata dal card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Cei, si è concluso a Sacrofano (Roma) il Convegno Nazionale dei Cappellani delle Carceri Italiane sul tema: “Giustizia: pena o riconciliazione”, al quale ha partecipato anche il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della Cei, che ha trattato il tema “Educare alla vita buona in Cristo: i volti nella giustizia”. Il convegno ha tracciato le prospettive per i prossimi anni, sviluppando momenti più intensi di accompagnamento spirituale affidati ad un cappellano e cercando di rivisitare la pastorale penitenziaria alla luce del cinquantesimo del Concilio Vaticano II e del progetto pastorale della CEI, “Educare alla vita buona in Cristo”. Nella relazione mons. Crociata ha sottolineato che il Convegno ha toccato un ambito significativo della pastorale ecclesiale, quello dell’assistenza spirituale ai reclusi: “Ad essi deve essere prestato l’aiuto necessario a sopportare la pena loro inflitta, vivendola come un periodo di ravvedimento e di ripresa. Il tempo del carcere può e deve essere impostato come un tempo educativo e rieducativo, nel quale la detenzione e la pena subita si integrino in un percorso complessivo di crescita della persona, dal punto di vista umano e cristiano”. Dopo aver sottolineato che questo argomento possa essere marginale nella società in quanto “non sarebbero da assicurare condizioni di vita dignitose e realmente riabilitanti”, il presidente della Cei ha evidenziato che non si trattano di persone “di serie B”, “ma sovente di uomini e donne che, pur essendosi macchiati di crimini più o meno gravi, hanno vissuto sofferenze e difficoltà, e ora hanno bisogno di comprensione e dell’appoggio della società per potersi rialzare e reinserire nelle normali relazioni sociali. Non è ammissibile che migliaia di persone vivano quasi dimenticate per lunghi periodi, abbandonate a una sofferenza che potrebbe in parte essere alleviata e che non è certo il fine della detenzione”. Per questo i cristiani e la Chiesa devono esercitare il dovere “primario” della carità come valore missionario: “Chi è raggiunto dalla carità dei credenti fa sempre esperienza della vicinanza del Signore e della presenza della Chiesa. Chi visita i fratelli che si trovano in carcere deve essere mosso da questo stesso sentimento divino, cioè dalla compassione che il Signore ha avuto e ha per noi, dal sentire ciò che lui stesso prova, in modo da far percepire a colui che si visita la propria compagnia e la propria empatia. Quando raggiunge questa profondità, la solidarietà con l’altro diventa un balsamo che ne allevia il dolore, o un vino che ne guarisce le ferite”. Ma quale è la pastorale carceraria secondo le tre dimensioni della vita ecclesiale? “L’opera di assistenza ai detenuti, svolta dai cappellani e dai volontari, si articola secondo i tre ambiti fondamentali di tutta l’azione della Chiesa: il compito profetico, quello sacerdotale e quello regale. La funzione profetica ha come suo centro l’annuncio della parola di Dio e di quanto egli ha compiuto a favore degli uomini nella storia della salvezza. Tale annuncio, in carcere ancor più che nella pastorale ordinaria, non può che partire dall’instaurazione di un sincero rapporto umano, fatto di ascolto e di comprensione. E’ un ascolto che fa proprio l’intreccio di problematiche, speranze, sbagli e sofferenze che il detenuto porta in sé e che trasmette incontrandoci. Il Vangelo allora gli viene trasmesso prima di tutto con i gesti, con il sorriso e un ascolto attento”. Quindi all’interno del carcere è importante la creazione di gruppi di lettura del Vangelo, “pur se spesso coinvolgono solo pochi detenuti, offrono la possibilità di commentare le letture domenicali o altri testi della Sacra Scrittura, confrontando la propria vita con la Parola rivelata. Tale iniziativa ha un grande valore pastorale e educativo; va pertanto incoraggiata e incentivata, soprattutto attraverso la collaborazione di laici competenti. Illuminato dal Vangelo, Chi è in carcere, come ogni credente, può porre in atto un esercizio di rilettura della propria vita, sulla scia dell’esempio di Gesù e della sua parola. L’ascolto della Parola tende alla celebrazione dei sacramenti e confluisce in essa. In questo è centrale il compito insostituibile del cappellano, aiutato dai volontari, che invitino i detenuti ai momenti di preghiera e ne predispongano lo svolgimento”. L’ascolto della Parola implica la partecipazione eucaristica domenicale: “L’Eucaristia domenicale deve connotarsi anche in carcere come la fonte e il culmine della propria vita. Anche chi vive in carcere deve essere aiutato a fare di essa il fulcro della settimana, portandovi il proprio ringraziamento, le proprie richieste, la domanda di perdono e di intercessione. La Messa non può ridursi a mera celebrazione del rito, ma acquista un carattere formativo, consolatorio ed educativo, quanto più è svolta con la partecipazione di religiosi, di volontari o di gruppi giovanili che animano il canto. Se vissuta in modo intenso e come un vero momento di preghiera e incontro con Dio, il tempo della Messa domenicale diventa un importante riferimento per tutta la settimana”. Il terzo compito della pastorale carceraria riguarda l’accompagnamento quotidiano ai carcerati: “Questo servizio è sintetizzato nel gesto di Gesù che, chinatosi sui discepoli, lava loro i piedi in segno di totale dedizione. E’ il gesto compiuto in modo estremamente significativo da papa Francesco all’inizio del suo pontificato, quando nella Messa in Coena Domini del Giovedì santo scorso ha lavato i piedi ai ragazzi dell’Istituto penale per minori Casal del Marmo di Roma”. Questi tre momenti aiutano ad educare alla vita buona nella libertà e nella giustizia: “La pastorale deve accompagnare il “trattamento rieducativo”, offrendo il suo apporto specifico e contribuendo a generare, nelle persone di cui si prende cura, la vita buona che nasce dal Vangelo. Purtroppo, le condizioni di vita all’interno del carcere rendono spesso molto difficoltosa l’attuazione di percorsi realmente rieducativi. In questo senso, chi opera nei penitenziari è chiamato a vigilare sull’ambiente di vita dei detenuti e, quando necessario, a sollecitare le autorità competenti. La pastorale carceraria non può dirsi adeguata se non assume quella mediazione antropologica all’interno della proposta cristiana specifica, sia in ordine alla catechesi che in ordine alla preparazione e celebrazione dei sacramenti. L’accompagnamento nella crescita verso la pienezza della vita buona si realizza, anche nei confronti di chi è in carcere, secondo le due linee della crescita nella vita di fede e in quella umana”. Quindi il compito del cappellano è quello di generare il detenuto alla speranza e proporre percorsi di santità: “Se fuori il tempo non basta, dentro è sempre troppo. Per questa ragione, chi si trova nella detenzione deve essere aiutato a non vivere “come se il tempo del carcere gli fosse irrimediabilmente sottratto: anche il tempo trascorso in carcere è tempo di Dio e come tale va vissuto; è tempo che va offerto a Dio come occasione di verità, di umiltà, di espiazione e anche di fede”. Anche quello del carcere è un tempo da sfruttare e che non ritornerà”. Citando l’esempio del patrono, san Giovanni da Capestrano, mons. Crociata ha concluso l’intervento, esortando i cappellani a seguire il detenuto anche nella società civile: “Spesso, dopo lunghe degenze, non si è più abituati ai ritmi della vita della società, alla sua velocità e alle sue logiche, e si fatica a reinserirsi e a evitare di ritornare sugli errori commessi in passato. Per questo la pastorale carceraria si estende anche al tempo seguente: senza abbandonare a se stesso chi lascia il penitenziario, chi vi è impegnato deve seguirlo e facilitarne la ripresa nella vita normale”. Lettere: che Said non sia morto invano… dopo il suicidio lettera dei compagni Il Messaggero, 23 ottobre 2013 I detenuti di Pesaro hanno scritto una lettera dopo il suicidio del giovane marocchino avvenuto in carcere nei giorni scorsi. Lo chiamano “novello martire” che si “aggiunge all’infinita tragedia della situazione carceraria italiana”. La lettera è firmata “i tuoi compagni”. E va avanti così: “La popolazione dei detenuti, vive uno stato di ulteriore stress, incrementato dalle chiacchiere politiche sull’indulto si e indulto no. II gioco delle parti crea un’esasperazione sempre maggiore da cui non si può sfuggire, la tensione cresce e l’aria si taglia con un coltello, ma ciò non significa che ci si debba rassegnare e considerare inevitabili certi fatti. La morte di un detenuto è sempre un lutto che ricade su tutto il sistema, inteso come società civile. Noi che viviamo questa realtà dall’interno, intendendo anche chi lavora o è volontario qui, sappiamo bene la disperazione che si cela dietro certi avvenimenti e ci uniamo al dolore della famiglia di Said. E il dolore non fa distinzioni, lui è uguale per tutti”. I detenuti sottolineano che vogliono “dare senso a questa disgrazia senza strumentalizzazioni”. E ancora: “Capiamo la rabbia e il senso di impotenza, ma non giustifichiamo alcun comportamento che non abbia come fine il miglioramento delle condizioni in cui siamo costretti a vivere. Perché se è vero che le carceri sono indecorose, è anche vero che noi dobbiamo avere un atteggiamento civile, avendo l’obbligo morale di dare il giusto senso a questo dramma e far si che non si ripeta. Crediamo di aver un numero sufficiente di cicatrici, tra anima e corpo, per affermare che con la violenza non si ottiene nulla e non si rispetta la memoria di un nostro compagno”. C’è chi in questi giorni è entrato nel carcere. Il responsabile della Caritas, Matteo Donati racconta che si “festeggiava il primo anniversario della redazione giornalistica, che in collaborazione col Nuovo Amico ha dato vita Penna Libera Tutti. Ma appena entrato nella Casa Circondariale, il clima era ben diverso e nessuno dei redattori aveva voglia di fare festa. Dalle celle si sentiva molto bene l’eco della protesta. I redattori avevano la faccia buia e hanno letto un breve comunicato che chiedeva comprensione e un minuto di silenzio. Si doveva parlare di giornalismo off-line, ma è stato inevitabile sbattere contro la cruda realtà e chiedersi che senso ha il carcere, a cosa è servito il gesto di Said se poi nessuno ascolta davvero? La delicatezza della loro protesta è stata un esempio di dignità”. Lombardia: è di 700 nuovi posti l’aumento ottenuto nelle carceri lombarde Ansa, 23 ottobre 2013 Lo ha riferito, stamani, Aldo Fabozzi, provveditore regionale della Lombardia che ha annunciato anche una serie di cambiamenti qualitativi per la vita dei detenuti e l’organizzazione degli istituti di pena. In particolare, grazie alla costruzione di nuovi reparti, sono disponibili 200 nuovi posti a Voghera (Pavia), 300 a Pavia, 200 a Cremona e a breve altri 100 a Busto Arsizio (grazie al recupero di spazi già esistenti entro l’estate prossima). I primi otto detenuti che hanno occupato i nuovi posti sono arrivati stamani a Voghera. Per alleviare le condizioni dei detenuti cosiddetti di media sicurezza, che sono “la stragrande maggioranza dei presenti è già operativa l’apertura delle celle per 12 ore al giorno e nuovi spazi all’aperto, anche giardini, per l’incontro con i parenti” (domenica inaugurato quello di Vigevano, a breve a Monza e Como). Anche a S. Vittore, a Milano, verranno “sfollati 400 detenuti” e altri 500 posti dovrebbero essere recuperati con la ristrutturazione di due reparti entro un anno. Altri 500 posti li recupereremo a Opera (Milano)”. Cancellieri, volontariato è occasione riscatto “Coinvolgere chi ha sbagliato, anche commettendo reati ignobili come quelli sessuali, in attività che possano in qualche modo portare un beneficio alla parte lesa significa concedere al detenuto una reale opportunità di trasformare la propria pena in riscatto umano e sociale e alla vittima la possibilità di guardare la realtà con gli occhi di chi se non può perdonare almeno possa cercare di recuperare fiducia nel prossimo”. Lo sottolinea il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, che ha inviato un messaggio alla presentazione del progetto di volontariato dei detenuti Dematra del Telefono Rosa e del carcere di Bollate. Cancellieri evidenzia come “il lavoro e l’impegno dei detenuti in opere di beneficenza e di volontariato abbiano il duplice effetto positivo” del reinserimento sociale e di avvicinamento del società al mondo dei detenuti, con “la consapevolezza che tra loro ci sono persone con la voglia di cambiare e di cercarsi un’altra occasione”. “Che il frutto del lavoro dei detenuti sia in questo caso dedicato al Telefono Rosa - conclude il ministro - assume anche un valore altamente simbolico contro uno dei fenomeni più dolorosi e deprecabili che va tenacemente contrastato anche da un punto di vista culturale”. Liguria: Sappe; cala ancora il numero dei detenuti che lavorano in carcere Ansa, 23 ottobre 2013 “Cifre che certificano la sistematica violazione della Carta costituzionale, che vuole la pena finalizzata alla rieducazione del reo, e che attestano una volta di più le gravi criticità operative della Polizia Penitenziaria in servizio in Liguria”. Cala ancora il numero dei detenuti che lavorano nelle carceri liguri: erano 319 (circa il 17%) dei circa 1.800 ristretti presenti negli Istituti di pena alla data del 31 dicembre 2012, sono scesi a 289 (il 15% circa) il 30 giugno 2013, data dell’ultima rilevazione dell’Amministrazione penitenziaria. In aumento, invece, gli eventi critici che si verificano nelle celle liguri e che vedono coinvolti anche i poliziotti penitenziari. “Cifre che certificano la sistematica violazione della Carta costituzionale, che vuole la pena finalizzata alla rieducazione del reo, e che attestano una volta di più le gravi criticità operative della Polizia Penitenziaria in servizio in Liguria, i cui Reparti sono carenti di circa 400 unità”, commenta Roberto Martinelli, Segretario Generale Aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria. “In teoria, il lavoro penitenziario dovrebbe essere l’elemento fondamentale del trattamento rieducativo e lo strumento privilegiato per il reinserimento sociale dei detenuti, ma la realtà dei fatti è che a lavorare in carcere sono pochi, per altro in attività necessarie per la gestione quotidiana dei penitenziari – pulizia, cucina, manutenzione – e per poche ore al giorno. In Liguria, in 7 istituti, lavorano complessivamente meno di 300 persone rispetto ai circa 1.800 detenuti presenti. Gli altri stanno in cella 20/22 ore al giorno e questo favorisce la tensione detentiva ed accentua le già critiche condizioni operative delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, come confermano i dati sugli eventi critici che si sono verificati nelle carceri liguri nei primi sei mesi del 2013”. Martinelli snocciola le cifre: “142 atti di autolesionismo, 12 tentati suicidi, 8 ferimenti, 71 colluttazioni, manifestazioni collettive di protesta che hanno visto coinvolti complessivamente in Liguria oltre mille detenuti. Questo solo nei primi sei mesi del 2013. E allora, per rendere anche le carceri liguri più civili e le condizioni di lavoro dei poliziotti migliori e meno pericolose, più che soluzioni estemporanee ed eccezionali come indulto ed amnistia, si dovrebbe legiferare l’obbligatorietà del lavoro in carcere ed il ricorso ad un potenziamento delle misure alternative alla detenzione per quei soggetti non pericolosi e con pene brevi da scontare, che dovrebbero essere impiegati in lavori di pubblica utilità sul territorio a favore delle città e dei cittadini”. Toscana: prefetto Sinesio, no riapertura Pianosa ma recupero posti per lavoro detenuti Adnkronos, 23 ottobre 2013 Non sarà riaperto il carcere di Pianosa, ma i posti dell’istituto saranno utilizzati per i detenuti che lavoreranno sull’isola. A ribadirlo è stato il commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie, prefetto Angelo Sinesio, in audizione alla Commissione Giustizia della Camera. “Non la riapertura di un 41 bis o di un istituto detentivo, per il quale sarebbe necessaria una modifica normativa - ha spiegato - ma recuperare posti dall’ex istituto per fare lavorare i detenuti”. “Pianosa non è un istituto detentivo - ha chiarito Sinesio. Firmeremo questa settimana una convenzione con Regione, Ente parco e sindaco che non riapre l’istituto ma utilizza l’isola per il lavoro dei detenuti. Recupereremo sia il patrimonio edilizio penitenziario sia quello in atto dello Stato nell’isola di Pianosa per consentire a detenuti articolo 21 o tossicodipendenti di andare a lavorare lì”. Un esperimento, ha ricordato il commissario, già avviato a Gorgona, dove “è in atto una convenzione per la produzione di vino con una delle principali aziende vinicole italiane. La stessa cosa vorremmo fare a regime a Pianosa”. Sardegna: Stocchino (Rc); trovare risorse per mantenere Garante dei detenuti Agenparl, 23 ottobre 2013 “La Regione Sardegna non può prescindere dalla figura del Garante per i diritti dei detenuti, un ufficio previsto dalla normativa vigente e mai finanziato dalla maggioranza di centrodestra. Nella prossima finanziaria regionale devono essere trovate le risorse per permettere a questo organo di garanzia di essere pienamente operativo. Basta una dotazione di poche migliaia di euro per impedire di continuare a lasciare senza voce chi si ritrova ristretto in un penitenziario”, così Giuseppe Stocchino, consigliere regionale del PRC, richiama l’attenzione sulle tematiche legate all’esecuzione penale. “Il Garante sarà fondamentale per i rapporti della Regione Sardegna con il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria o la magistratura di sorveglianza - rimarca l’esponente dell’opposizione - Interlocuzioni in cui potranno essere evidenziate tutte le problematiche che affliggono le carceri sarde. Storture simili a quelle delle strutture dello Stivale, da tempo nel mirino della Corte Europea per i diritti dell’uomo”. “La prima incombenza di chi sarà chiamato a ricoprire questo incarico - continua il consigliere del PRC - potrebbe essere rappresentata dai problemi registrati all’interno del nuovo carcere di Oristano, struttura in grado di scontentare reclusi, parenti, residenti ed agenti di Polizia penitenziaria. Condizione che non ha impedito al Ministero di procedere con il trasferimento di detenuti destinati al braccio ad alta sorveglianza”. “L’organo potrà inoltre denunciare situazioni di disparità tra la Sardegna ed il resto del territorio nazionale - conclude Stocchino - per molti detenuti sardi rimane un miraggio poter beneficiare del principio della territorialità della pena”. Teramo: doppia inchiesta sul detenuto morto con la cocaina in pancia Il Centro, 23 ottobre 2013 Gli è stato trovato un ovulo rotto nell’intestino. L’autopsia conferma i sospetti sulle cause della morte Amedi Ccania, tunisino di 41 anni, morto sabato mattina al carcere di Teramo. L’allarme è stato dato dal suo compagno di cella: sono intervenuti il medico e l’infermieri di guardia, che hanno tentato di rianimare il tunisino ma le sue condizioni non sono migliorate. A quel punto, alle 11,30, è stata chiamata la centrale del 118, per portarlo in ospedale. Ma nel frattempo Ccania è morto per arresto cardiocircolatorio. L’autopsia, eseguita ieri pomeriggio dall’anatomopatologo Giuseppe Sciarra, ha confermato che il tunisino è morto per intossicazione. Saranno le analisi tossicologiche sui resti della sostanza trovata nell’ovulo a chiarire se si tratta di cocaina o eroina, ma dal tipo di sintomi dati dall’overdose è più probabile che sia la prima. A questo punto diventano due le inchieste: una sulla morte di Ccania, un’altra sul ruolo svolto dal tunisino in quello che nei fatti si configura come traffico di droga. Amedi Ccania era stato arrestato dalla Finanza giovedì scorso, nelle vicinanze di Mosciano. In tasca gli era stato trovato un involucro con un grammo di droga. Napoli: inaugurato cantiere impianto compostaggio nell’area del carcere di Secondigliano Ansa, 23 ottobre 2013 E’ stato inaugurato questa mattina il cantiere per la realizzazione del primo impianto di compostaggio aerobico del Comune di Napoli. Un impianto - si spiega in una nota - realizzato all’interno di una area di proprietà del penitenziario di Secondigliano, situata immediatamente a ridosso delle mura di cinta esterne. Il progetto, presentato dalla cooperativa sociale Secondigliano Recuperi, in collaborazione con il centro penitenziario di Secondigliano, prevede la realizzazione, entro quattro-cinque mesi massimo, di un impianto per la produzione di compost di qualità per trattare 3 mila tonnellate di rifiuti (con una capacità tecnica di 10 mila tonnellate). “L’impianto - spiega il vicesindaco Sodano - è stato fortemente voluto dalla nostra amministrazione e sarà dedicato al trattamento ed alla trasformazione non solo della frazione umida prodotta dallo stesso penitenziario ma anche di una parte del rifiuto organico, frutto del porta a porta, raccolto da Asia nel quartiere di Scampia-Secondigliano. Un quartiere, Scampia-Secondigliano, che vorremmo diventasse un vero e proprio eco-distretto dove recuperare i materiali facendo crescere il lavoro e la cultura della differenziata, per questo abbiamo già pubblicato il bando per un altro impianto, oltre a quello di oggi, da realizzare sempre su questo territorio. Questa mattina abbiamo definito dunque uno tassello importante all’interno del piano predisposto dal Comune per realizzare una rete di impianti, aerobici e anaerobici, per il trattamento della frazione umida, che mitighi i costi e l’impatto ambientale della raccolta di rifiuti, caratterizzata in senso virtuoso, con evidenti positive ricadute occupazionali”. “Nel caso specifico, per esempio, saranno impegnati nell’impianto circa venti detenuti: un esempio concreto di come sia possibile e giusto sintetizzare l’attenzione civile e sociale con una rivoluzione ambientale capace di garantire anche un miglioramento occupazionale. Il sentiero dei diritti civili e quello dei diritti ambientali, infatti, devono procedere parallelamente, anzi forse è il caso di dire che devono proprio incrociarsi”. Cagliari: vertice in prefettura per trasferimento detenuti nel nuovo carcere di Uta Ristretti Orizzonti, 23 ottobre 2013 “La prospettiva di inaugurare il “Villaggio Penitenziario” di Uta, che nei prossimi mesi sostituirà la struttura ottocentesca di viale Buoncammino, ha determinato l’esigenza di un primo vertice in Prefettura a Cagliari per esaminare le diverse problematiche inerenti la sicurezza in vista del trasferimento dei cittadini privati della libertà. Si è trattato del primo passo concreto per organizzare un momento particolarmente delicato per la città e il suo immediato hinterland”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando che “in assenza di una conferenza dei servizi con il coinvolgimento delle amministrazioni locali appare molto opportuna l’iniziativa del Prefetto e la sua attenzione verso un evento significativo nella vita non solo dei cagliaritani”. “Voler conoscere in prima persona le modalità impiegate per il trasferimento dei detenuti - evidenzia Caligaris - significa riconoscere il peso che il “Villaggio Penitenziario”, con i numerosi padiglioni, avrà sul territorio. L’auspicio è che nel corso dell’incontro siano state affrontate anche le questioni inerenti la viabilità, dal momento che l’accesso avviene attraverso una diramazione all’interno dell’area industriale, le indicazioni stradali, ancora totalmente assenti, i collegamenti con i mezzi pubblici da garantire e l’accoglienza dei familiari dei detenuti”. “Le preoccupazioni maggiori - conclude la presidente di SdR - riguardano proprio le criticità che hanno caratterizzato finora l’apertura di Massama-Oristano e Bancali-Sassari. In entrambi i casi infatti i collegamenti e l’organizzazione dei colloqui con i familiari con l’arrivo attraverso mezzi pubblici sono stati problematici e sono stati in parte risolti solo a distanza di mesi dall’avvio della struttura. E’ impensabile che un “Villaggio Penitenziario”, costato decine di milioni di euro, dopo le negative esperienze recenti, possa essere inaugurato prima che i collaudi garantiscano la piena agibilità interna e gli opportuni servizi esterni. Sarebbe infatti una beffa operare in un cantiere ancora aperto". Cuneo: parlamentari Pd Manassero e Gribaudo hanno visitato la Casa circondariale www.puntocuneo.it, 23 ottobre 2013 Nella giornata di lunedì 21 ottobre, la senatrice Patrizia Manassero e l’onorevole Chiara Gribaudo, accompagnate da Mauro Mantelli, responsabile provinciale “Giustizia” del Partito Democratico e membro del forum nazionale giustizia, hanno visitato la Casa circondariale di Cuneo. Le parlamentari cuneesi del PD hanno dato così inizio a una serie di visite, la seconda sarà nella casa di reclusione di Saluzzo, tese a verificare la situazione sollevata dal Presidente della Repubblica nel recente alle Camere. La delegazione è stata accolta dal direttore dell’Istituto Claudio Mazzeo ed ha compiuto una visita complessiva della struttura, in cui nel marzo del 2011 è stato aperto un nuovo padiglione per i detenuti in regime ordinario. Grazie all’apertura di questa nuova struttura ed all’impegno del personale, sia della polizia penitenziaria che dell’amministrazione carceraria e del volontariato, la situazione del carcere di Cuneo può essere definita come una positiva eccezione rispetto al quadro nazionale purtroppo assai più preoccupante. Il numero di detenuti ospitati è nella media, intorno alle 240 unità più una novantina di detenuti a massima sorveglianza, i cosiddetti “41 bis”. La maggioranza è di origine extracomunitaria, ma il lavoro di continua integrazione culturale ha permesso una buona integrazione tra le diverse provenienze. Di grande importanza sono le attività scolastiche, in particolare quelle legate alla scuola edile e alla scuola alberghiera, che hanno entrambe la possibilità di esercitare attività pratiche all’interno dell’istituto. In particolare, per la scuola alberghiera, l’istituto si è dotato di una cucina che permette agli allievi di esercitarsi e nel contempo consente la creazione di momenti di socialità assai importanti nella vita carceraria. Le preoccupazioni per il futuro riguardano la crescente carenza di risorse a disposizione e le difficoltà create dal mancato rifinanziamento della legge regionale che permetteva un proficuo rapporto con gli enti locali. La preoccupazione maggiore dei detenuti riguarda il reinserimento a fine pena a causa proprio della debolezza della struttura territoriale dovuta ai continui tagli al settore giustizia. È questa la debolezza che maggiormente preoccupa, sia per la tua azione della funzione rieducativa, sia in funzione, come auspicato nella lettera del Presidente Napolitano, di un crescente ruolo delle modalità alternative di esecuzione della pena. Amnistia ed indulto, infatti, potranno essere di aiuto nell’evitare la condanna dell’Italia della Commissione Europea per i Diritti Umani preannunciata per il maggio 2014 nel caso in cui l’Italia non risolva problema del sovraffollamento carcerario. Una tutela vera dei diritti dei detenuti e l’attuazione del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, potranno aversi solo con l’introduzione e l’utilizzo degli strumenti alternativi. Le parlamentari Manassero e Gribaudo hanno garantito l’impegno massimo dei gruppi parlamentari del Partito Democratico in commissione giustizia perché i disegni di legge in tal senso presentati possano essere approvati a breve termine. Pisa: serata-Gaber per beneficenza a detenuti al Teatro Verdi, biglietti esauriti Ansa, 23 ottobre 2013 Serata-evento domani al Teatro Verdi di Pisa, nel decennale della morte di Gaber, dedicata ai detenuti del carcere Don Bosco di Pisa. Andrà in scena “L’illogica allegria” un recital che vedrà alternarsi sul palco big dello show business italiano come Claudio Bisio, Roberto Vecchioni e Gianmaria Testa. Anche il premier Enrico Letta ha acquistato un biglietto, che ha poi donato a un detenuto. La prevendita procede a ritmo serrato e sono già stati venduti 600 degli 800 biglietti disponibili e gli ultimi 200 ticket saranno venduti nelle prossime ore. L’incasso supererà, secondo le previsioni, i 30 mila euro che saranno interamente devoluti al Don Bosco e finalizzati al recupero dello spazio in carcere dedicato agli incontri e agli spettacoli e ad altre attività tese a favorire e consolidare il percorso di reinserimento sociale dei detenuti. Promossa da numerose realtà istituzionali e associative, la serata ha avuto anche il patrocinio della Camera. Particolarmente ricco e vario il parterre di coloro che si alterneranno sul palco: oltre a Bisio, Vecchioni e Testa, anche Alessandro Benvenuti, Sandro Luperini, Adriano Sofri, i Gatti Mezzi, Bobo Rondelli, i detenuti allievi del laboratorio Don Bosco, i Tetes de Bois, Gianni Coscia, Letizia Fuochi, i Bellula Babies, Bianca Barsanti, Nino Pellegrini, Sergio Staino e Alice Guadagni. Israele: il negoziato tra Israele e l'Anp s’intensifica, liberati altri 32 detenuti Agi, 23 ottobre 2013 Israele rilascerà il prossimo 29 ottobre 32 detenuti palestinesi, in base all’accordo preso tra le parti prima dell’avvio di un negoziato di pace che sembra aver preso un ritmo intenso. “Sarà Israele a decidere chi farà parte di questo nuovo gruppo”, ha spiegato un portavoce del Ministero degli affari relativi ai detenuti dell’Autorità nazionale palestinese, facendo riferimento alla scarcerazione, avvenuta ad agosto scorso, di 24 detenuti. In tutto, man mano che il negoziato va avanti, saranno fuori dalle carceri israeliane 104 palestinesi, messi fuori da una Commissione presieduta dal premier Benjamin Netanyahu. La liberazione dei detenuti è un ulteriore segnale che il negoziato di pace va avanti e si intensifica. Tra le parti, che nel settembre del 2010 avevano congelato le trattative, vi sono stati circa tredici incontri, tre dei quali negli ultimi quattro giorni. “Tutte le questioni sono sul tavolo”, aveva affermato il segretario di Stato americano, John Kerry, “e gli incontri si sono succeduti con rilevante ritmo”. Kerry aveva anche annunciato che il Qatar erogherà 150 milioni di dollari in favore della riduzione del debito dell’Autorità nazionale palestinese. Usa: due vittime del "mostro di Cleveland" Ariel Castro scrivono un libro Ansa, 23 ottobre 2013 L’odissea, ovvero la sofferenza, le botte e le violenze nella casa-prigione di Ariel Castro, tristemente noto come “il mostro di Cleveland”, saranno raccontati in un libro da due delle tre donne che le hanno subite per circa dieci anni, e che hanno infine ritrovato la libertà lo scorso giugno. “Molti hanno raccontato e continuano a raccontare la loro storia in maniera sbagliata e senza il controllo di queste giovani donne”, ha affermato l’avvocato di Amanda Berry e Gina DeJesus, James Wooley, aggiungendo che “ora loro stesse e le loro famiglie hanno deciso di prendere il controllo e di raccontare la storia come è davvero avvenuta”. La terza vittima, Michelle Knight, che ora ha 32 anni, a sua volta a deciso rilasciare un’intervista televisiva all’inizio del prossimo mese. Berry, che ha 27 anni, e DeJesus, che ne ha 23, hanno deciso di farsi affiancare da due giornalisti del Washington Post, Mary Jordan e Kevin Sullivan, marito e moglie e entrambi vincitori del premio Pulitzer. E non solo, al loro fianco, riferisce il Los Angeles Times, avranno anche un avvocato decisamente di peso, Robert Bennett, che tra gli altri ha negoziato gli accordi per la pubblicazione dei libri di Barack Obama, Bill Clinton, George W. Bush, Tony Blair, Alan Greespan. Secondo alcune fonti, Knight, Berry e DeJesus hanno tenuto un diario durante gli anni di prigionia nella casa degli orrori di Cleveland, che poi è stata rasa al suolo dai bulldozer lo scorso agosto. Il loro aguzzino, Ariel Castro, è stato invece trovato impiccato nella sua cella all’inizio di settembre, poco più di un mese dopo essere stato condannato al carcere a vita. Per sfuggire alla pena di morte, al processo, che si è concluso il primo agosto scorso, Ariel Castro, che aveva 52 anni, si era dichiarato colpevole di 937 capi d’accusa, tra cui sequestro di persona e omicidio, per gli aborti procurati a botte alle sue vittime, da una delle quali, Amanda Berry, ha avuto anche una bambina, nata sei anni fa in prigionia. Spagna: scarcerata Inés del Río, i giudici si piegano alla sentenza di Strasburgo di Giuseppe Grosso Il Manifesto, 23 ottobre 2013 Dopo 26 anni reclusione, l’ex membro di Eta Inés del Río è tornata ieri in libertà. È la prima beneficiaria della storica sentenza del Tribunale per i diritti umani di Strasburgo, che lunedì ha accolto in via definitiva il ricorso dell’ex etarra del Comando Madrid, dichiarando illegale la cosiddetta dottrina Parot. Così - dal nome del primo detenuto di Eta a cui fu applicata - è conosciuta una normativa del 2006 dettata dal Tribunale Supremospagnolo che, per reati di particolare gravità, ammette l’applicazione degli sconti di pena non sul periodo massimo di detenzione (che per la legge spagnole è di 30 anni) bensì sul totale degli anni di reclusione inflitti dalla condanna. Un ergastolo camuffato, in sostanza, che “viola la Carta europea dei diritti umani” e che in questi anni è stato applicato soprattutto ai prigionieri di Eta. La scarcerazione di Del Río è stata decisa all’unanimità da un collegio di 17 magistrati dell’Audiencia nacional, che si sono limitati a rendere esecutiva la sentenza “vincolante” dettata da Strasburgo. Il caso è destinato ovviamente a sollevare aspre e durature polemiche, proprio al culmine del processo di pacificazione che dovrebbe risolversi nei prossimi mesi con la consegna dell’arsenale di Eta. L’associazione delle vittime ha già chiamato alla mobilitazione per domenica prossima, appoggiata da buona parte dell’opinione pubblica, sulla quale le cicatrici recenti del terrorismo non sono ancora del tutto rimarginate. La sinistra Abertzale, più vicina alle posizioni politiche di Eta, ha espresso soddisfazione: “Inizia a sgretolarsi il muro della politica carceraria”, ha dichiarato, e ha chiesto l’immediata scarcerazione di tutti i detenuti etarras a cui è stata applicata la dottrina Parot. Attualmente la giustizia spagnola deve valutare 58 riscorsi contro la normativa (quasi tutti di ex membri di Eta): il governo - che si è espresso immediatamente in sostegno della dottrina Parot - ha dichiarato che esaminerà caso per caso, sapendo che l’atteggiamento che adotterà avrà prevedibili conseguenze sulle ultime battute del lungo processo di pacificazione. La Izquierda Abertzale, d’altra parte lo ha detto forte e chiaro, chiedendo all’esecutivo di essere “responsabile” e di abbandonare l’inflessibilità dimostrata finora in materia penitenziaria nei confronti degli etarras. A caldo, ad ogni modo, il Pp ha mostrato il pugno di ferro: il ministro degli Interni Jorge Fernández Díaz ha definito la dottrina Parot un “efficace strumento per la lotta contro il terrorismo” lasciando intendere che il governo non applicherà sistematicamente la sentenza di Strasburgo. Un atteggiamento che strizza l’occhio ai settori più giustizialisti e retrivi della società e del partito e che, con una certa demagogia, vorrebbe semplificare la questione e ridurla a uno scontro tra familiari delle vittime e terroristi, mentre il dibattito - pur toccando inevitabilmente la storia recente del paese e le più di 800 morti causate da Eta - ha una portata più ampia che comprende i concetti di stato di diritto e di diritti umani. Tra i popolari, qualcuno ha anche chiamato in causa Zapatero, affermando che la decisione di Strasburgo sarebbe l’esito del processo di negoziazione intrapreso dall’ex primo ministro socialista con Eta. Il Psoe, dal canto suo, ha “accettato la sentenza Parot” manifestando però rincrescimento per il dolore che la decisione ha causato alle vittime e ai familiari. Anche la sinistra radicale ha commentato favorevolmente la bocciatura della dottrina Parot: Izquierda unida ha parlato di una sentenza “conforme al diritto”. Sempre dalle fila di Iu, il deputato Alberto Garzón, ha accolto via Twitter la decisione del Tribunale dei diritti umani come “una buona notizia”, scatenando una bufera di polemiche con tanto di minacce di morte giunte da un militante della gioventù del Partito popolare. Proteste per scarcerazione Del Rio Una grande manifestazione è stata indetta per domenica prossima a Madrid in segno di protesta per la sentenza della Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, che ha ordinato la scarcerazione - avvenuta oggi - della terrorista dell’Eta Ines Del Rio, condannata a 3.838 anni di carcere per 24 omicidi. La manifestazione è stata organizzata congiuntamente dalle associazioni Vittime del terrorismo (Avt) e Voci contro il terrorismo “per chiedere giustizia per le vittime del terrorismo”. Si terrà a partire dalle 12.30 in Piazza Colon. “Oggi - affermano le due associazioni - in Spagna si è rotto lo Stato di diritto. La democrazia è stata sconfitta per colpa dei politici che hanno ceduto ai terroristi”. I promotori della protesta, che rappresentano i famigliari di 60 vittime dell’Eta, temono che possano tornare liberi in Spagna altri 56 responsabili di omicidi se venisse abrogata la cosiddetta ‘dottrina Parot’. Quest’ultima, bocciata dalla Corte di Strasburgo, fu introdotta nel 2006 dalla Corte Suprema spagnola e calcola i benefici di pena sul cumulo delle condanne e non sui 30 anni di reclusione massima fino a quel momento previsti dal Codice Penale. Russia: su caso Greenpeace non decide Tribunale internazionale Tm News, 23 ottobre 2013 La Russia non accetta la procedura di arbitrato nel caso contro Greenpeace e gli attivisti della “Arctic Sunrise” (tra loro un italiano) e non parteciperà a un procedimento dinanzi a un tribunale internazionale. Lo ha fatto sapere il Ministero degli Esteri russo informando i Paesi Bassi e il Tribunale internazionale del diritto del mare (Itlos). Il tutto dopo che l’Olanda ha chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare, con sede ad Amburgo, in Germania, di ordinare alla Russia di rilasciare gli attivisti di Greenpeace che si trovavano a bordo della nave Arctic Sunrise. “Allo stesso tempo, la Russia rimane aperta a una soluzione della situazione”, ha precisato il ministero degli Esteri. Greenpeace International ha diffuso una nota in cui ha accolto con favore l’iniziativa del governo olandese e ha chiesto ad altri Paesi i cui cittadini sono tra gli attivisti detenuti di “aumentare gli sforzi mirati a garantire il rilascio immediato” dei 28 membri dell’Ong e 2 free lance, fermati a seguito di una protesta contro le trivellazioni offshore alla piattaforma Prirazlomnaja, nell’Artico lo scorso 18 settembre. Gli attivisti sono stati incriminati per pirateria, un’accusa che in Russia prevede la pena massima di 15 anni di carcere, e sono detenuti a Murmansk. Cile: incriminati 79 ex agenti polizia segreta di Pinochet Agi, 23 ottobre 2013 Un giudice cileno ha incriminato 79 ex agenti dei servizi segreti operativi durante la dittatura di Augusto Pinochet. Tutti sono accusati di aver fatto scomparire e ucciso otto militanti del Partito comunista cileno. Tra gli accusati c’è Manuel Contreras, l’ex capo dell’intelligence, già in carcere per scontare diverse condanne all’ergastolo. Gli omicidi sui quali indaga adesso la magistratura si inquadrano in quella che venne definita “Conferencia Calle”, ovvero una serie di operazioni di repressione della dissidenza portate a termine dalla Dina nel biennio 1976-77. Nell’arco di tempo in cui Pinochet dominò il Cile, dal 1973 al 1990, oltre 3.200 oppositori dell’ex regime sono scomparsi o sono stati uccisi. Iran: sacerdote Usa arrestato dopo protesta davanti a carcere Teheran La Presse, 23 ottobre 2013 Un pastore statunitense è stato arrestato a Teheran, capitale dell’Iran, dopo aver organizzato una protesta davanti a un carcere per chiedere il rilascio di cristiani iraniani detenuti nella struttura. Il quotidiano Pasadena Star-News ha riferito che Eddie Romero, sacerdote in pensione originario del sud della California, è entrato nel territorio dell’Iran dalla Turchia il 14 ottobre come membro di un gruppo di turisti. Sua figlia, Sarah Yetter, ha fatto sapere che il padre si era separato dal gruppo e ieri è arrivato al carcere Evin di Teheran, inneggiando “Lasciate andare la mia gente!”. Il pastore, fondatore dell’organizzazione Exodus8one, è riuscito a trasmettere la protesta online per circa sei minuti con l’uso di uno smartphone nascosto in una tasca. L’uomo si è poi arreso alle guardie, che lo hanno portato dentro la prigione per interrogarlo. Non è noto dove si trovi attualmente. Nel 2008 Romero fu arrestato a Pechino durante le Olimpiadi, dopo che aveva chiesto la liberazione di cinque attivisti cinesi. Shahrokh Afshar, pastore della chiesa The Iranian Church On The Way con sede nella zona di Van Nuys, a Los Angeles, ha riferito che Romero voleva attirare l’attenzione sulle sorti di quattro prigionieri cristiani imprigionati a causa della loro fede: Farshid Fathi, Saeed Abedini, Mostafa Bordbar e Alireza Seyyedian. “Il loro peccato più grande è stato lasciare l’islam per seguire Cristo”, ha aggiunto Afshar. Iran: sopravvive a impiccagione, Teheran annulla seconda esecuzione Aki, 23 ottobre 2013 “Non è necessario” impiccare una seconda volta un detenuto che sopravvive alla prima esecuzione. Lo ha stabilito il ministro della Giustizia iraniano Mostafa Pourmohammadi che, citato dall’agenzia di stampa Isna, ha così chiarito la vicenda di Alireza M., 37 anni, sopravvissuto alla pena capitale che gli era stata inflitta per traffico di droga. In un primo momento le autorità iraniane avevano deciso di ripetere l’esecuzione dell’uomo che, all’indomani della sua impiccagione, era stato trovato vivo dai suoi familiari nell’obitorio in cui era stato trasferito a Bojnourd, nel nord-est dell’Iran. Amnesty International aveva lanciato una campagna per salvare la vita dell’uomo alla quale il ministro della Giustizia ha risposto ritenendo “non necessario” ripetere l’esecuzione. Qatar: 15 anni di galera alla voce di al-Ajami nell’emirato delle “primavere” (altrui) di Michele Giorgio Il Manifesto, 23 ottobre 2013 Nessuna clemenza per Muhammad al Ajami, “colpevole” di avere scritto in versi la verità sui petromonarchi del Golfo e i tiranni del mondo arabo, protetti dai democratici Stati Uniti. Il calvario in carcere del poeta qatariano al-Ajami proseguirà. Noto come Ibn al-Dheeb, nei giorni scorsi si è visto confermare dalla Corte di Cassazione di Doha la condanna a 15 anni di reclusione per versi giudicati ostili all’emirato del Qatar. Il suo avvocato, Najib al-Naimi, ha parlato giustamente di “sentenza politica” e ha auspicato un atto di grazia da parte del nuovo emiro, Tamim bin Hamad al-Thani. Grazia alla quale pochi credono. I regnanti del Qatar, impegnati con armi e soldi a “portare la democrazia” a casa del nemico siriano Bashar Assad, non hanno alcuna intenzione di allentare la morsa della repressione a casa loro. Sanno che i governi occidentali, a cominciare da quello americano, eviteranno attacchi frontali sul tema del rispetto dei diritti umani e politici in Qatar. Una immunità che Doha ha ottenuto garantendo gli interessi statunitensi nella regione e che non è molto diversa da quella di cui godono re e principi sauditi, gli eterni cugini-rivali. Al Ajami, 36 anni, era stato arrestato un anno fa, il 16 novembre 2012, per la sua poesia intitolata Gelsomino Tunisino. E dopo qualche giorno fu condannato addirittura all’ergastolo per la poesia che, per le autorità, esortava la popolazione al “colpo di Stato” a causa di alcuni versi: “Siamo tutti tunisini davanti all’oppressore! I governi arabi, e chi li guida, tutti ugualmente ladri”. Al Ajami ha commesso anche un altro “reato”, insinuando che l’ex emiro Hamad bin Khalifa al-Thani e gli sceicchi del Qatar “passano il tempo a giocare alla playstation”. Troppo per regnanti che dai 300 mila sudditi si attendono fedeltà assoluta in cambio del benessere immenso che garantiscono (400 mila dollari di reddito annuale). “Il processo a cui è stato sottoposto non è stato equo”, commentò lo scorso anno Cecile Pouilly, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, riportando alla stampa l’irregolarità della procedura e il fatto che il processo si fosse tenuto a porte chiuse. Gli avvocati del poeta e osservatori esterni infatti non furono ammessi in tribunale e lo stesso al Ajami era assente al momento della lettura della sentenza. In appello, il successivo 27 gennaio, grazie alle pressioni dei centri per la tutela dei diritti umani, ad al Ajami la pena è stata ridotta a 15 anni. Inutile il ricorso alla Cassazione, la corte ha confermato la sentenza dell’appello. Amnesty International ha definito la condanna di al Ajami come “un’oltraggiosa violazione della libertà di espressione”. Sul Qatar sono piovute condanne a ripetizione negli ultimi mesi che hanno solo in parte frenato la spregiudicata politica estera di questo piccolo e ricchissimo regno grande come l’Abruzzo. Di recente si è parlato e scritto dello sfruttamento dei migranti in Qatar, dove il 94% dei lavoratori è formato da stranieri. In particolare dei tanti manovali asiatici impegnati nei cantieri degli stadi per i Mondiali di calcio del 2022. Nei mesi estivi sono morti decine di stranieri costretti a lavorare in condizioni estreme, con temperature intorno ai 45 gradi, pur di rispettare i tempi fissati con la Fifa per il completamento della infrastrutture per i Mondiali. Senza dimenticare che la recente abdicazione fatta dall’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani a favore del figlio 33enne Tamim bin Hamad al- Thani ha rinviato sine die le elezioni e il programma di “riforme” che la casa regnante da anni dice di voler attuare. Prima di passare la mano, lo sceicco Hamad ha promulgato un decreto che proroga il mandato dell’attuale Majlis al-Shura, l’Assemblea Consultiva, un organo con poteri legislativi nulli che conta 45 membri, 30 dei quali in teoria elettivi in base alla Costituzione promulgata nel 2003. Quelli dell’assemblea in carica comunque sono interamente di nomina dell’emiro. Due anni fa, per sedare proteste sull’onda delle rivolte nella regione, l’emiro annunciava riforme ed elezioni nella seconda metà del 2013. Ma finora s’è visto molto poco. Nell’ultimo biennio la monarchia qatariana è divenuta sostenitrice della “primavera araba”, o meglio della “primavera islamista”, ossia delle correnti sunnite vicine alla Fratellanza musulmana in ascesa nei Paesi arabi. Tutto in nome del rinnovamento radicale del Medio Oriente. Solo a casa degli altri però, perché a Doha i poeti finiscono per anni in carcere solo per aver scritto versi sgraditi all’emiro. Ucraina: Yiulia Tymoshenko a un passo dalla scarcerazione, grazie alla mediazione Ue di Nicola Lombaroozzi La Repubblica, 23 ottobre 2013 Piantonata nella sua stanza d'ospedale, al quarto piano dell'ex ospizio per ferrovieri di Kharkiev, nell'Ucraina meridionale, Yiulia Tymoshenko comincia seriamente a intravedere la libertà. L'icona della Rivoluzione arancione, la Treccia bionda più famosa d'Europa, in carcere dall'agosto del 2011, potrebbe infatti essere scarcerata al termine di una estenuante trattativa sotterranea tra l'Unione Europea e il Presidente ucraino Viktor Yanukovich, da sempre ritenuto nemico personale di Yiulia e mandante di un processo costruito a tavolino a scopi politici. Ieri, attraverso i dirigenti del suo partito l'ex premier incarcerata ha fatto sapere di essere pronta ad accettare una “grazia parziale” dal suo grande nemico “per il bene dei cittadini e nell'unico interesse del Paese”. Ma la questione ancora in gioco non riguarda tanto la libertà personale della Tymoshenko quanto il suo diritto a partecipare a future elezioni. Il presidente ucraino la vorrebbe definitivamente fuori dai giochi sapendo che i sondaggi ufficiosi la danno ancora in forte vantaggio, almeno in alcune zone del Paese. L'Europa tira sul prezzo, e ha i suoi buoni motivi. Yiulia Tymoshenko è infatti al centro di un'intrigata questione politica che anche Mosca segue con interesse e preoccupazione. L'Europa, ha offerto all'Ucraina un trattato di associazione che le schiuderebbe in futuro le porte della Ue. Ma tra i prezzi chiesti da Bruxelles c'è appunto la liberazione della Tymoshenko. Da tempo fanno la spola con Kiev pezzi grossi europei come l'ex presidente polacco Kwasniewski o l'ex premier svedese Bildt. Yanukovich sarebbe disposto a dimezzare da 7 a 3 anni e mezzo la pena inflitta alla Tymoshenko, che in questo caso potrebbe chiedere di essere scarcerata in quanto avrebbe scontato metà della pena. Il Presidente pretende però che venga pagata una multa da 200 milioni di dollari e, soprattutto che venga mantenuta l'inibizione perpetua dai pubblici uffici. La trattativa è in corso. Un compromesso potrebbe essere quello di lasciare tre anni di inibizione e "scongiurare" la sua candidatura alle presidenziali del 2015. Intanto c'è un'altra iniziativa parallela: l'Ucraina si sta dotando di una legge che consenta il trasferimento dei detenuti all'estero. La Tymoshenko sarebbe autorizzata a recarsi in Germania per curare la sua ernia del disco e sarebbe di fatto liberata. Ma la Ue non si fida. In ogni caso Yiulia la Tigre resterebbe formalmente una detenuta per l'Ucraina e dunque fuori da ogni gioco politico. La trattativa continua. L'accordo si dovrebbe firmare il 28 novembre a Vilnius. L'Europa esce allo scoperto: “Se gli ucraini vogliono l'accordo la situazione deve essere chiara almeno dieci giorni prima”.