Lettere: una lettera per il sindaco di Firenze Matteo Renzi di Bruno Turci (Casa di reclusione di Padova) Ristretti Orizzonti, 22 ottobre 2013 Gentile Matteo Renzi, sono un detenuto della redazione di Ristretti Orizzonti, una rivista realizzata nella Casa di reclusione di Padova, mi trovo in carcere da molti anni. Premetto che non ho mai usufruito dell’indulto perché esiste una pronuncia della Cassazione che lo preclude a chi ha un cumulo giuridico. Ho ascoltato al telegiornale la sua dichiarazione su indulto e amnistia in risposta al Presidente della Repubblica. Sono rimasto colpito da una frase in particolare: “Sono contrario all’amnistia e all’indulto, come faccio a spiegare ai ragazzi il valore della legalità se ogni sette anni facciamo un’amnistia, i giovani non capirebbero, sarebbe un autogol clamoroso”. La redazione di Ristretti Orizzonti, insieme al Comune di Padova, da anni organizza un progetto che si chiama “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere”, ed è finalizzato ad informare i giovani e fare prevenzione. Incontriamo ogni anno circa 6.000 studenti delle scuole superiori e inferiori di Padova e del Veneto, ogni anno crescono le richieste delle scuole per partecipare al progetto. Con la narrazione delle nostre storie riusciamo a far capire loro quali sono i comportamenti a rischio che ti possono portare nell’illegalità, non diamo consigli, non sarebbe opportuno, ma spieghiamo cosa ci è successo e quali sono stati i vari passaggi che ci hanno portato a commettere i reati, perché le cose non accadono mai all’improvviso, c’è sempre la possibilità di cogliere dei segnali e succede spesso in giovane età. I giovani capiscono sempre tutto, questo accade perché sentono che non gli raccontiamo delle balle. Capiscono che siamo mossi da motivazioni importanti e se raccontiamo a loro le cose di cui non abbiamo mai parlato con nessuno, si rendono conto che gli diamo molta importanza e altrettanta fiducia. Capiscono che lo facciamo con serietà e non abbiamo nessuna voglia di barare. È un modo per riscattarci da un passato difficile. In quei momenti scatta un meccanismo magico, i ragazzi ci ascoltano e partecipano con noi alla discussione, ci fanno tante domande, si fidano di noi. Non potremmo mai tradirli, non temiamo il loro giudizio, io non avrei mai il timore di non essere capito da loro, semplicemente perché con loro ci parlo, ho imparato a farlo con lealtà, senza nascondermi, e loro lo capiscono. Ebbene lei ha detto che i giovani non capirebbero l’indulto e l’amnistia, non saprebbe come spiegarglielo. Perché non prova a spiegargli i motivi per cui, invece, l’indulto è necessario anche se può non piacere? Io capisco il fastidio che manifestano per un atto di clemenza le persone che lavorano da una vita e non hanno risorse per arrivare a fare la spesa alla fine del mese, capisco le persone che hanno subito un furto in casa, una rapina, capisco quelli che per questi motivi sono diventati allergici alla parola indulto o amnistia. Capisco, inoltre, perché potrebbe apparire come una sconfitta dello Stato di diritto. Ma non si può tollerare che in nome dello stato di diritto o in nome dell’avversione a Silvio Berlusconi non si intervenga per porre fine ad una vergogna perpetrata ai danni delle persone che stanno rinchiuse nelle carceri italiane in maniera disumana, in una condizione vicina alla tortura, solo per l’incapacità delle istituzioni di garantire il rispetto della dignità umana a chi sta scontando la sua pena. Non ci si può nascondere, non si può speculare sulla tragedia di 66.000 persone che questa società, nella quale lei ha un ruolo di dirigenza, tiene detenute in una maniera che tutta l’Europa definisce disumana. Questa realtà lei ha il dovere spiegarla ai giovani. Certo, mi rendo conto che è difficile farlo, soprattutto quando si occupa un ruolo di potere e di responsabilità come il suo. Se poi la sua, invece, fosse una maniera per sfuggire alle sue responsabilità per non rischiare di perdere il consenso elettorale, allora lei non sarebbe migliore di quelli che vorrebbe rottamare, e in questo caso, ma spero non sia così, lei non si potrebbe chiamare fuori dalle ipocrisie della nomenclatura, come la definisce lei, di cui vorrebbe essere il fustigatore. Lei è il Sindaco di una città importante e la rappresenta, ha il dovere morale e politico di assumersi delle responsabilità. Ha anche detto che il PD è un partito che fonda la sua politica sulla legalità. Allora non le pare che in maniera coerente si dovrebbe garantire la legalità nelle carceri della sua città, certamente lei ha visitato le carceri di Firenze, saprà come sono ridotte anche da quelle parti. Insieme a molti altri lei sostiene che ci sono delle leggi da eliminare che minano il diritto e riempiono le galere di persone che hanno commesso reati bagatellari, sono anch’esse leggi generate dalla propaganda di chi voleva vincere le elezioni facilmente, utilizzando la recidiva in maniera abnorme. Queste leggi sono la ex Cirielli, la Bossi – Fini e la Giovanardi - Fini. Se il faro del “suo” PD è la legalità, come può tollerare che le galere siano piene di persone condannate anche per quelle tre leggi e che oltretutto sono costrette a espiare la pena in condizioni detentive palesemente illegali? Lei è il Sindaco di Firenze, si è candidato alla guida del suo partito e si candiderà alla guida del prossimo governo del Paese. È investito di una responsabilità che le imporrebbe il dovere morale e politico dell’affrontare con più coraggio la situazione delle carceri e di non trincerarsi dietro alla convenienza elettorale, anche perché facendo così, forse avrebbe i voti tolti alla Lega e a Di Pietro, ma sicuramente ne perderebbe molti di più nel suo civilissimo partito. Spero allora che accetterà il nostro invito a venire in carcere, nella nostra redazione, a parlare di amnistia e indulto. Giustizia: sulle carceri, i numeri del Ministro… e quelli del ministero di Susanna Marietti (Associazione Antigone) Il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2013 Possibile che in Italia non si riesca mai a sapere una verità che riguarda i numeri? Come alla fine delle manifestazioni di piazza, quando i manifestanti si contano in un milione e la questura sostiene che fossero non più di duecentomila… “Avete ragione voi di Antigone”, ha detto il ministro Anna Maria Cancellieri qualche giorno fa durante un convegno organizzato da Antigone insieme all’università di Roma Tre. Di fronte al presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri e al capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino – due figure in maniera assai diversa investite entrambe dal problema – il ministro della Giustizia ha sconfessato i dati del suo proprio Ministero. A cosa si riferiva? Se cercate fra le statistiche fornite dal sito del Ministero della Giustizia, troverete che la cosiddetta “capienza regolamentare” del sistema penitenziario italiano è dichiarata pari a 47.615 unità. Tanti sarebbero i detenuti che il sistema potrebbe ospitare senza divenire sovraffollato, a fronte dei 64.758 che effettivamente ci sono. Tuttavia, girando per gli istituti di pena come dal lontano 1998 siamo usi fare con il nostro Osservatorio sulle carceri, più volte avevamo denunciato come negli ultimi anni gli effetti della spending review si fossero fatti sentire anche nelle prigioni, determinando tra le altre cose una riduzione del numero dei posti letto disponibili. Accade infatti che ogni qual volta una sezione necessiti di un qualche intervento di manutenzione, non essendoci le risorse economiche disponibili per effettuarlo quella sezione venga semplicemente chiusa. I detenuti che la abitano vengono stipati nelle altre sezioni dell’istituto. Di mancato intervento in mancato intervento, i posti letto oggi inutilizzabili sono divenuti più di 10.000. Il Ministero, nelle sue statistiche, continua a conteggiarli come se fossero ancora in uso. Il ministro, invece, ha deciso pubblicamente di non conteggiarli più. Il gap tra il numero dei detenuti e il numero dei posti è ben maggiore di quello che ci hanno fino a oggi ufficialmente raccontato. Dovrebbe sorprendere quanto poco per tutti noi questi numeri facciano differenza. In carcere si sta ammassati come animali, si calpestano costantemente i diritti inviolabili delle persone, si sconta una pena inumana e degradante. Ce lo ha detto l’Europa. Siamo costretti a crederci. Ah, a proposito: quei diritti si calpestano oltre un quinto di più di quanto ci era stato detto. Ci sono oltre 10.000 persone in più che vanno ad acuire il problema di chi vive privato del proprio spazio vitale, di chi non accede sufficientemente all’assistenza sanitaria, di chi fatica a vedere le famiglie perché spedito là dove capita. Ah, ecco. Diecimila. Un po’ come i morti a Lampedusa. Erano 200. No, scusate, erano 350. Ora arrivano altre 500 persone. Anzi, mille. Dietro ognuno di quei 10.000 posti in meno di cui il ministro ha ammesso l’esistenza dando ragione a un’associazione contro un dipartimento ministeriale, ci sono donne e uomini in carne e ossa. A chi giova giocare sui numeri? A chi giova fare finta che le condizioni carcerarie siano meno al collasso di quanto sono nella realtà? Perché l’Amministrazione, che amministra in nome di ogni cittadino, non si limita a rendere noto con trasparenza quel che c’è, invece di esagerare su quel che non c’è? Ci piacerebbe avere risposta a queste domande. Così come ci piacerebbe che l’Amministrazione facesse quel che le compete rispetto al sovraffollamento. Non spetta a lei cambiare le leggi ma può ben migliorare la qualità della vita in carcere, ad esempio aprendo le porte delle celle durante il giorno e organizzando una vita interna degna di questo nome. È assurdo che le persone debbano stare chiuse in celle sovraffollate a oziare sulle brande fino anche a venti ore al giorno. Giustizia: Camera; audizione del Commissario straordinario alle carceri, Angelo Sinesio Asca, 22 ottobre 2013 La Commissione Giustizia, nell’ambito della relazione da illustrare all’Assemblea, farà oggi un approfondimento dei problemi connessi alla emergenza carceraria messi in luce nel Messaggio inviato dal Capo dello Stato alle Camere. In merito sarà svolta l’audizione del prefetto Angelo Sinesio, Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie che già la scorsa settimana ha svolto al Senato una dettagliata esposizione sul sovraffollamento degli istituti penitenziari e sulle prospettive di realizzazione di nuove carceri. Nei giorni scorsi la Affari costituzionali aveva svolto l’audizione del Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, che ha ribadito la drammaticità dell’emergenza carceri precisando che sono 64.564 i detenuti al 14 ottobre 2013, “un numero molto superiore” rispetto a una capienza di 47.599 posti, di cui 4.500 sono inutilizzabili. I detenuti in custodia cautelare sono 24.744. Ha poi detto che detenuti con condanna definitiva sono 38.625, sono 12.348 quelli in attesa del primo grado di giudizio, 6.355 sono in attesa dell’appello; 4.387 in attesa della decisione della Cassazione. Pianosa non riapre, ci lavoreranno detenuti “Su Pianosa, che non è un istituto detentivo, firmeremo questa settimana una convenzione con la Regione, l’ente parco e il sindaco di Pianosa, già scritta, che non riapre l’istituto, ma utilizza l’isola di Pianosa per il lavoro dei detenuti: attraverso un intervento, recuperiamo sia il patrimonio edilizio penitenziario, sia il patrimonio edilizio in atto dello Stato come isola di Pianosa, per consentire ai detenuti in articolo 21 o ai tossicodipendenti di andare a lavorare lì”. Lo ha detto il prefetto Angelo Sinesio, Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie, in audizione oggi alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. “Già su Gorgona, che è un istituto detentivo, abbiamo fatto una convenzione per la produzione di vino con una delle principali aziende vinicole italiane. La stessa cosa vorremo fare a regime a Pianosa”. A Pianosa, ha chiarito ancora, non ci sarà la “riapertura di un 41-bis o di un istituto detentivo, per la quale sarebbe necessaria una modifica normativa, ma si recupereranno posti dall’ex istituto detentivo per far lavorare i detenuti”. Giustizia: Quirinale; patto per amnistia Berlusconi? è una panzana La Presse, 22 ottobre 2013 “Solo il Fatto Quotidiano crede alle ridicole panzane come quella del “patto tradito” dal presidente Napolitano. La posizione del presidente della Repubblica in materia di provvedimenti di clemenza è stata a suo tempo espressa con la massima chiarezza e precisione nella dichiarazione del 13 agosto scorso”. È quanto fanno sapere dall’ufficio stampa della presidenza della Repubblica. Il quotidiano oggi scrive, in un pezzo di retroscena dal titolo “Il Colle promise la grazia”, che dopo le parole di Santanché (“Napolitano ha tradito il patto. Non c’è stata la pacificazione promessa. Ho votato Napolitano ma non lo rifarei”) Napolitano avrebbe chiamato Schifani per “invitarlo” a una condanna senza se e senza ma della “sconsiderata accusa”. Il Fatto Quotidiano scrive ancora che i falchi del Pdl sostengono che “Napolitano aveva promesso a Berlusconi la grazia motu proprio per la condanna di Mediaset”. Giustizia: mons. Crociata (Cei) ai Cappellani “vigilate sull’ambiente di vita dei detenuti” Avvenire, 22 ottobre 2013 Da troppi anni nelle carceri italiane “si vivono gravi problematiche, prima fra tutte quella del sovraffollamento, che determina condizioni di vita disagiate e spesso ai limiti della sopportazione umana”. Lo ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, parlando al convegno nazionale dei cappellani delle carceri italiane, in corso a Sacrofano (Roma). “Si ha l’impressione - ha detto - che la questione della condizione di vita dei detenuti, oltre a quella dei progetti di recupero e di reinserimento e dei relativi investimenti, non venga mai affrontata con la necessaria determinazione e progettualità”. “Le condizioni di vita all’interno del carcere - ha ricordato Crociata - rendono spesso molto difficoltosa l’attuazione di percorsi realmente rieducativi. In questo senso chi opera nei penitenziari è chiamato a vigilare sull’ambiente di vita dei detenuti e, quando necessario, a sollecitare le autorità competenti”. “Un caso particolare - ha osservato - è quello delle donne, specialmente se, come avviene nella maggioranza dei casi, sono madri. Queste situazioni presentano caratteristiche diverse e per vari aspetti problematiche, se la prole ha pochi anni di vita o se vive insieme alla madre, come si verifica in svariate decine di casi nel nostro paese. Tali situazioni meritano una particolare attenzione pastorale, oltre a richiedere una soluzione più adeguata sul piano legislativo, organizzativo e logistico”. “Un peculiare contesto - ha aggiunto - è anche quello delle carceri minorili che, per la delicata missione di accompagnare e rieducare dei ragazzi, dovrebbero essere dotate di strutture e progetti più adeguati”. Altro elemento “debole” all’interno delle carceri sono, secondo monsignor Crociata, gli stranieri, “ormai più del 35% del totale dei detenuti”, la “cui situazione è particolarmente dura a causa della lontananza dalla famiglia e dalla patria, oltre che dalle esigue risorse economiche. Contestualmente, vi è una maggiore presenza di non cristiani, e soprattutto di musulmani, ai quali si deve assicurare un’assistenza non inferiore a quella riservata ai battezzati, senza scoraggiarsi davanti al rifiuto, ma cercando comunque di testimoniare disinteressatamente la buona notizia del Vangelo”. I detenuti, ha ribadito Crociata, non sono persone “di serie B”, ma sovente uomini e donne che, pur essendosi macchiati di crimini più o meno gravi, hanno vissuto sofferenze e difficoltà. “Il lavoro - ha sottolineato - all’interno o all’esterno del carcere, è un diritto anche per chi è in stato di detenzione; anzi per lui ancora di più, perché senza di esso gli è difficile nobilitarsi e impossibile rialzarsi. Se fuori il tempo non basta, dentro è sempre troppo”. Monsignor Crociata ha parlato anche della necessità di “generare speranza”, anche quando si “esce”: “L’uscita dal carcere è un altro momento di grande difficoltà e incertezza, a causa di svariati fattori”. Giustizia: al via Convegno Cappellani Carcerari “attuare misure indicate da Napolitano” Adnkronos, 22 ottobre 2013 “Lanciamo un messaggio forte: meno pena e più riconciliazione sociale”. Don Virgilio Balducchi, ispettore capo dei cappellani carcerari, presenta così il convegno nazionale dei cappellani carcerari che si apre oggi a Sacrofano (Roma) sul tema ‘Liberi per liberare - Giustizia: pena o riconciliazionè. L’appuntamento vedrà riuniti 150 cappellani (sui 230 totali) da tutte le carceri italiane per una due giorni di lavoro su problemi e prospettive del pianeta carcere. “Ci confronteremo sui temi caldi che sono al centro di tante discussioni - spiega don Balducchi all’Adnkronos - partendo da una prospettiva: la necessità di percorsi alternativi alla detenzione, e prassi di riconciliazione sociale”. I sacerdoti che operano nelle carceri conoscono il grido che si alza da dietro le sbarre. “Nel dibattito - aggiunge - parleremo anche di indulto e amnistia, misure a mio a giudizio necessarie. Se vogliamo fare le cose serie, va attuato tutto quello che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha detto nel suo messaggio alle Camere”. “Approvino fino in fondo tutte le prospettive che ha indicato il Colle - conclude don Balducchi - compresa la riforma strutturale dell’amministrazione della giustizia”. Giustizia: Balducchi (Capo Cappellani); carceri strapiene? colpa delle leggi criminogene Huffington Post, 22 ottobre 2013 Don Virgilio Balducchi, 63 anni, è stato per oltre vent’anni cappellano del carcere di Bergamo. Dal 2012 è responsabile dei sacerdoti che lavorano ogni giorno nei penitenziari italiani, con quasi 65mila detenuti stipati nelle 205 carceri italiane, la cui capienza massima è di 47.615 posti. Da inizio anno i morti per suicidio in cella sono già 39. I casi di proteste, risse e infezioni dovute alle scarse condizioni igieniche, sono quasi quotidiani. È la vita nelle prigioni italiane. Come Ispettore Generale dei cappellani carcerari, don Balducchi coordina il lavoro dei preti in prima linea e interagisce con le diverse associazioni di sostegno ai detenuti. Don Balducchi, in una situazione di grave sovraffollamento come cambia il lavoro dei cappellani? “L’emergenza rende difficilissimo, per tutti gli operatori, rispondere ai bisogni, anche i più elementari, dei detenuti. In molti istituti, ad esempio, è impossibile per il cappellano conoscere tutte le persone ospitate, non c’è il tempo materiale, sono troppi. Figuriamoci quando si tratta di organizzare attività di gruppo o intraprendere un percorso spirituale. Come dicevo, è un problema che riguarda tutti gli attori in campo. Basta leggere i pronunciamenti delle associazioni di volontariato o della polizia carceraria: si fatica a distinguerli, i toni sono identici, il problema è sentito trasversalmente in maniera drammatica”. È cresciuta, negli anni, la domanda di sostegno spirituale ed esistenziale da parte dei detenuti? “Certamente sì. La condizione di degrado in cui si vive spinge molti alla richiesta di ascolto. Inoltre, molti detenuti non hanno contatti con l’esterno e cercano un volto amico, qualcuno con cui parlare di ciò che esiste oltre le mura. Per molti versi, è più facile offrire un aiuto materiale - regalare un paio di scarpe o una maglietta a chi non può permettersele - piuttosto che ascolto e comprensione. Anche per questo, i casi di depressione in carcere sono numerosissimi”. Oltre all’amnistia, sarebbero necessarie delle modifiche del codice penale? “Senza dubbio. Spesso, quando si tratta di legiferare, l’approccio del ceto politico è semplicistico. Giocando sulla paura dell’opinione pubblica, si forniscono risposte securitarie a problemi complessi che non sono necessariamente legati all’illegalità. Il cosiddetto reato di clandestinità è un esempio in questo senso. Leggi come la Fini-Giovanardi sulla droga, ma anche molte altre, andrebbero modificate: hanno incancrenito il codice penale e fatto aumentare il numero dei detenuti”. Quasi la metà dei detenuti in Italia è di origine straniera e molti sono musulmani. Pensa che nel nostro Paese, come accade in Francia, sia il caso di affiancare ai cappellani degli imam? “In alcuni casi, piuttosto rari, ciò avviene anche in Italia. Alcuni cappellani hanno un rapporto proficuo con gli imam e si lavora in sinergia. Poi, se d’accordo con lo Stato e le associazioni islamiche, si decidesse di estendere in maniera strutturale la loro presenza in carcere, io sarei favorevole. In ogni caso, com’è ovvio, nel rapporto con i detenuti i cappellani usano la carità, e la carità non conosce distinzioni di razza, cultura o religione”. Proprio il tema della carità è uno dei più presenti negli interventi di Papa Francesco. Com’è stato accolto dai detenuti questo nuovo pontificato? “Con grande calore e ottimismo. E lo dico a ragion veduta, ricevendo una mole sempre maggiore di lettere indirizzate proprio al Papa. Francesco, con le sue parole di apertura forti e semplici, è riuscito a porsi come qualcuno a cui si può chiedere. Qualcuno che si può toccare”. Giustizia: caso Cucchi, sono trascorsi quattro anni e ancora non c’è nessuna verità Corriere della Sera, 22 ottobre 2013 Un detenuto che muore nelle mani dello Stato riguarda l’intera società civile. E lo Stato deve a tutti una risposta. Sono trascorsi quattro anni e un processo di primo grado dalla morte di Stefano Cucchi, ma sul detenuto spentosi in un letto del reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini manca ancora la verità. I suoi familiari continuano a cercare, chiedere e sperare, consapevoli che col passare del tempo la strada si fa sempre più stretta e in salita. Però non si arrendono. “Vorrei capire, vorrei sapere, vorrei anche perdonare, ma non ci riesco”, ripete Giovanni Cucchi, padre di Stefano. Ammettendo di non poterci riuscire “finché qualcuno non mi dirà che cosa è veramente successo dentro quelle quattro mura”. I genitori e la sorella di Stefano hanno deciso, quattro anni fa, di trasformare il loro lutto da privato in collettivo, per coinvolgere tutti nella ricerca della giustizia. Decidendo da subito che fosse un affare di tutti. Perché un prigioniero che muore nelle mani dello Stato, a una settimana dall’arresto e dall’inizio della custodia preventiva, non può essere un affare della vittima e della sua famiglia, bensì dell’intera società civile. Di tutti i cittadini di un Paese in cui non è tollerabile che accada quel che è accaduto a Cucchi. Ai Cucchi. La mattina del 22 ottobre 2009 la signora Rita, mamma di Stefano, trovò alla porta di casa un carabiniere venuto a notificarle l’autopsia disposta sul cadavere del figlio, e invitarla a nominare un perito di fiducia. Seppe così che Stefano era morto. Da sette giorni aveva avuto solo la notizia dell’arresto per il possesso di qualche dose di droga, e successivamente che, in attesa del processo, l’avevano ricoverato per imprecisati problemi di salute. Mai spiegati da alcuno, nonostante le pressanti richieste. Quella stessa mattina, dopo giorni di tentativi andati a vuoto, papà Giovanni era andato a ritirare il permesso di fare visita al figlio; la burocrazia glielo concesse dopo che era morto. Anziché recarsi all’ospedale lui, sua moglie e la figlia Ilaria dovettero andare all’obitorio. È cominciata allora la battaglia di quel che resta della famiglia Cucchi, per la verità prima ancora per la giustizia. Che non s’è certo conclusa dopo che la corte d’assise ha distribuito molte assoluzioni e poche, blande condanne piuttosto. Un verdetto che ha scontentato tutti (a parte il gruppo degli assolti, peraltro non usciti definitivamente dal processo), e che s’è bloccato davanti alla domanda rimasta senza risposta: chi ha picchiato il detenuto trentunenne dal fisico debole ma sano, fino a ridurlo nelle condizioni in cui è morto, senza che nessuno gli abbia garantito le cure necessarie a non morire? Stefano chiedeva di parlare con un avvocato o un operatore della comunità terapeutica da cui era già passato, ma nessuno s’è preoccupato di chiamarli. E dalla notte in cui fu arrestato, tanti errori e negligenze hanno contribuito alla situazione paradossale nella quale s’è spento. Ancor prima delle colpe giudiziarie assegnate o negate. Tutto questo è “l’ingiustizia Cucchi”, che quattro anni dopo non possiamo dimenticare. Per non lasciare sola la famiglia con la sua ansia di verità. Comunque sia andata, responsabile della morte di Stefano è lo Stato; che appartiene a tutti, e a tutti deve una risposta. Lettere: il Tam Teatromusica e il laboratorio con i detenuti del carcere Due Palazzi Ristretti Orizzonti, 22 ottobre 2013 Siamo stupiti e profondamente amareggiati dall’articolo pubblicato (sul Mattino di Padova del 20/10/2013, secondo cui Tam Teatromusica avrebbe rinunciato al proprio impegno teatrale e culturale all’interno del carcere Due Palazzi. Lavoriamo da decenni con passione e con sincera convinzione all’interno del Carcere di Padova per costruire insieme ai detenuti e ai volontari percorsi espressivi e artistici che, raccontati dall’interno del carcere, parlano della condizione umana e del nostro tempo in generale. Lo facciamo con continuità e forte motivazione dal 1992 con Michele Sambin e Pierangela Allegro e dal 2005 con Maria Cinzia Zanellato, coinvolgendo anche altri artisti del territorio padovano. Ora, per difficoltà e diversità di approccio e di visione artistica e professionale - che per approfondite valutazioni di opportunità hanno anche prodotto il ritiro, dello spettacolo “Experti” dal Premio OFF del Teatro stabile del Veneto, abbiamo consensualmente deciso, insieme a Maria Cinzia Zanellato, di distinguere i nostri percorsi. Auguriamo a Cinzia e a Bel Teatro i migliori risultati. E auguriamo ad “Experti” - progetto di grande valore artistico, sociale ed umano a cui sempre abbiamo voluto bene - di continuare a raccogliere gli importanti consensi ottenuti fin dall’inizio e di incontrare un pubblico sempre più ampio. Nel contempo, riaffermiamo la volontà di continuare il nostro percorso insieme ai detenuti e ai volontari. La storia di Tam Teatromusica lo testimonia da sempre: anche il carcere è una parte irrinunciabile della nostra identità artistica, e continuerà ad esserlo nei tempi e nei modi che la nostra ricerca e il nostro impegno, nonché la nostra passione inalterata ci detteranno. Ufficio Stampa del Tam Teatromusica Piemonte: Delibera Consiglio Regionale; due presidi extra-ospedalieri sostituiranno Opg Ansa, 22 ottobre 2013 In Piemonte due strutture extra-ospedaliere sostituiranno gli ex Opg, ospedali psichiatrici giudiziari . Lo prevede una delibera dell’assessore regionale alla Sanità, Ugo Cavallera, approvata oggi dal Consiglio regionale con i voti della maggioranza di centrodestra. Fds e Sel hanno votato no, il Pd non ha partecipato al voto e l’Idv si è astenuto. Le due strutture sorgeranno a Bioglio nel biellese e ad Alessandria, e avranno rispettivamente 40 e 30 posti. Al loro interno saranno attivate misure terapeutiche sulla base di progetti individuali differenziati. L’accesso sarà deciso da un giudice e il luogo sarà vigilato. Per il progetto è previsto uno stanziamento di 12,5 milioni, al 95% a carico dello Stato. Il provvedimento è stato dettato infatti dal programma nazionale per il superamento delle sei strutture psichiatriche giudiziarie esistenti in Italia, voluto dalla legge approvato nel febbraio scorso contro il sovraffollamento delle carceri. I consiglieri Andrea Buquicchio (Idv), Eleonora Artesio (Fds), Monica Cerutti (Sel) e Nino Boeti (Pd) hanno espresso in aula forti perplessità “per un intervento che in fondo non supera i limiti della materia, che continua a vivere sul doppio binario della giustizia e della sanità”. “Siamo solo all’inizio di un percorso - ha replicato Cavallera - e le scelte sono state fatte di concerto con i territori, ottenendo i pareri favorevoli delle rispettive amministrazioni comunali”. Cagliari: Sdr; la “sorveglianza dinamica” è impossibile a Buoncammino Agenparl, 22 ottobre 2013 “La sorveglianza dinamica, il dispositivo messo a punto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per “rendere maggiormente dignitosa l’esecuzione della pena” favorendo una maggiore permanenza fuori dalle celle durante le ore diurnè non può essere attuata nella Casa Circondariale di Cagliari per le caratteristiche della struttura e per la carenza degli spazi”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando “i tratti approssimativi di una circolare che avrebbe il principale compito di dare attuazione al dispositivo della legge sull’ordinamento penitenziario del 1975”. “Un Istituto come quello cagliaritano - osserva Caligaris - non ha a disposizione, nella maggior parte delle sezioni, di spazi di socializzazione e risulta impossibile lasciare le celle aperte su ballatoi troppo stretti e quindi difficilmente praticabili. Si dimentica peraltro che il numero elevato di detenuti, costantemente in sovraffollamento, nonché la tipologia (tossicodipendenti e ammalati), impediscono di attuare il progetto del Dipartimento”. “Le nuove strategie operative individuate per contenere “la piaga del sovraffollamento che da anni affligge il nostro Paese”, come annota il Capo del Dipartimento nelle “Linee guida sulla sorveglianza dinamica” emanate nel luglio scorso ma riproposte in Sardegna di recente, si limitano in sostanza - sottolinea la presidente di SdR - a fornire delle indicazioni di massima, talvolta peraltro contraddittorie, che non sono in grado incidere nella quotidiana esistenza delle persone private della libertà”. “Da un lato infatti si mette l’accento sulla necessità di “rilanciare in particolare l’attività trattamentale”, dall’altro però, pur richiamando l’esigenza di conoscere il detenuto non solo nel contesto esclusivo della cella, destina prevalentemente il personale di Polizia Penitenziaria “in posti fissi all’esterno delle sezioni, presidiando i punti a rischio dell’Istituto, quali il muro di cinta e i varchi verso l’esterno. Se infine venisse davvero valorizzato il ruolo dell’attività trattamentale si dovrebbero garantire – conclude Caligaris – investimenti per aumentare il numero degli educatori e accrescere le opportunità di studio e formazione. Aspetti invece del tutto estranei agli indirizzi della circolare del DAP”. Napoli: intervista al direttore di Poggioreale “auspicabile una misura di clemenza” Italpress, 22 ottobre 2013 Le telecamere di Sky TG24 Hd sono entrate nel carcere più affollato d’Italia, quello di Poggioreale a Napoli per mostrare la difficile condizione in cui vivono oltre 2.640 detenuti, il doppio di quelli che potrebbe contenere. L’inchiesta, a cura di Alessandra Del Mondo, documenta la vita nel penitenziario. “La capienza regolamentare dell’Istituto è di 1503 posti” - racconta ai microfoni di Sky TG24 Hd il Direttore del carcere Teresa Abate - “Sarebbe auspicabile una misura di clemenza, sarebbe un atto concreto, ma dopo andrebbe accompagnata da interventi di altro tipo. Bisogna eliminare alcune leggi, come la Fini Giovanardi, bisogna rivedere la Cirielli”. Poggioreale è il termometro di una situazione italiana. A leggere la Corte Europea dei diritti umani la situazione è disumana e degradante. Le carceri del nostro paese potrebbero ospitare 45 mila e passa detenuti; nelle celle ce ne sono 65mila…molti stranieri, altrettanti in attesa di giudizio, cioè in attesa di sapere da un giudice se davvero devono scontare una condanna o se invece sono innocenti. “Abbiamo un decreto ministeriale del 2001 che prevede 946 unità, in forza attualmente ce ne sono 754” - ha detto a Sky TG24 HD il responsabile della Polizia penitenziaria del carcere Salvatore D’Avanzo - “Un agente controlla a volte a anche 100 detenuti”. Sulmona (Aq): in carcere mancano gli agenti, lezioni ai detenuti sospese www.rete5.tv, 22 ottobre 2013 “Che le condizioni riferibili all’organico di polizia penitenziaria presso l’istituto di via Lamaccio denotassero carattere di estrema deficienza lo abbiamo raccontato infinite volte ma arrivare a denunciare la sospensione di attività trattamentali come quelle inerenti l’istruzione non l’avremmo mai pensato e voluto evidenziare. Eppure oggi, presso il carcere di Sulmona, quanto non auspicabile è successo. Sospese le lezioni del corso di agraria: i docenti dell’Istituto “Serpieri” non le hanno potute effettuare per mancanza, a detta della Direzione del penitenziario, di poliziotti penitenziari deputati al mantenimento dell’ordine ed alla salvaguardia della sicurezza”. A rivelare l’accaduto è Mauro Nardella, vice segretario regionale della Uil penitenziari, che stigmatizza la sospensione delle lezioni riservate ai detenuti per mancanza di agenti che sorvegliassero l’aula. “La notizia arrivata all’istituto scolastico da una telefonata giunta dal penitenziario – racconta Nardella - ha suscitato grande stupore tra i responsabili dell’istituzione scolastica tant’è che si era pensato ad uno scherzo. Per fugare ogni dubbio gli stessi responsabili dell’Istituto pratolano hanno provveduto a richiamare il carcere per avere conferma. Cosa che puntualmente è avvenuta e che come è ovvio accada in questi casi ha parecchio interrogato gli stessi responsabili del “Serpieri”, considerata l’originalità del caso, sul da farsi. Al di là della gravità della situazione creatasi circa la sospensione dalle lezioni, resta l’aspetto grave della situazione carceraria la quale, seppur resa edotta ai quattro venti da decine e decine di comunicati stampa e manifestazioni di protesta, non è stata mai colta con favore dai dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria i quali nulla hanno fatto per porvi rimedio. Delle 310 unità di polizia penitenziaria operanti nel non lontano 2010 e in un contesto di sicurezza sicuramente meno esigente, si è passati alle 246 attualmente in servizio – continua Nardella - per una pianta organica che in maniera del tutto unilaterale il Provveditorato di Pescara, all’inizio del 2013, aveva portato a 271 unità in luogo delle 328 del D.M. del 2001. Cosa ancor più grave potrebbe accadere nei prossimi giorni allorquando, in occasione dell’incontro che i sindacati di categoria terranno con il provveditore regionale, si dovrà discutere di un ulteriore taglio di personale di circa 100 unità che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha voluto effettuare sull’intero organico abruzzese e che potrebbe ancor di più far assottigliare l’organico di Sulmona. All’appuntamento del 24 ottobre la Uil Penitenziari si presenterà con “il dente avvelenato” pronto ad “azzannare” chiunque vorrà rendere ancor più drammatica una situazione divenuta insostenibile”. Volterra (Pi): studenti e detenuti a scuola insieme; è il primo esperimento in Europa www.ilmessaggero.it, 22 ottobre 2013 È un caso unico in Europa il progetto di istruzione e formazione avviato dalla Provincia di Pisa e dalla direzione della casa di reclusione Volterra (Pisa), che da quest’anno scolastico vede protagonisti 10 studenti detenuti e un pari numero di alunni adulti non detenuti, con lezioni che si svolgono all’interno del penitenziario. Il corso di studi a indirizzo alberghiero stamani è stato visitato anche dal ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. L’esponente del governo ha consegnato agli studenti più meritevoli gli attestati di merito e ha espresso “soddisfazione per i risultati ottenuti nel carcere di Volterra anche nel campo dell’istruzione” tanto da annunciare l’impegno “ad approfondire il tema domani nel corso di un incontro con il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri”. Il carcere di Volterra, ha spiegato il presidente della Provincia di Pisa, Andrea Pieroni, che ha accompagnato il ministro nella sua visita, “è un modello internazionale dove scuola, lavoro e teatro rendono attiva e stimolante la vita in carcere ed è un istituto che fornisce concrete opportunità di reinserimento, attraverso istruzione e formazione”. Infine, l’assessore provinciale all’istruzione Mirian Celoni ha sottolineato che da “Spagna e Germania stanno arrivando richieste di informazioni sul progetto volterrano e per questo abbiamo promosso un evento internazionale di studio e approfondimento per consentire anche ad altre carceri di avviare corsi scolastici di questo tipo”. “Ma stiamo lavorando - ha concluso Celoni - anche a un accordo con l’università di Pisa per facilitare lo studio e la frequenza a distanza dei detenuti che intendano conseguire una laurea”. Venezia: carcere S. Maria Maggiore tra i beni messi in vendita per ridurre il debito pubblico di Enrico Tantucci La Nuova Venezia, 22 ottobre 2013 Ma resta irrisolto il problema della nuova casa di pena da costruire in terraferma C’è anche il carcere di Santa Maria Maggiore - insieme a quello di Catania - tra i primi immobili che, svuotati, lo Stato si ripromette di mettere sul mercato e fare cassa (per ridurre il debito pubblico) attraverso il Fondo carceri, gestito dalla nuova società di gestione del risparmio, l’Invimit, creata dal Ministero dell’Economia e affidata a Elisabetta Spitz, già direttore dell’Agenzia del Demanio nazionale e di quella veneziana, con il ruolo di amministratore delegato. La società, che ha appena avuto il via libera per operare dalla Banca d’Italia, oltre a gestire direttamente questi fondi immobiliari, ha il compito di trovare investitori italiani e esteri disposti a rilevare quote degli edifici posti sul mercato. Il carcere di Santa Maria Maggiore, costruito nel 1926 e con una posizione comunque privilegiata, perché a due passi da Piazzale Roma, ha attualmente circa 300 detenuti, ma già negli ultimi anni si è parlato a più riprese - con furiosi dibattiti in Consiglio comunale - della chiusura dell’istituto penitenziario per costruirne uno nuovo in terraferma a Campalto. Le nuove intenzioni del Ministero dell’Economia e della neonata Invimit andrebbero in questa direzione, come conferma anche il vicedirettore generale del Comune e dirigente del Patrimonio Luigi Bassetto: “Abbiamo saputo che a livello centrale si è ripresa ora in considerazione questa idea, ma attendiamo di capire dove e con quali risorse verrebbe costruito il nuovo carcere”. Nel dibattito in Consiglio comunale Pd, Federazione della sinistra e lista In Comune si erano dichiarati contrari alla realizzazione di una nuova struttura penitenziaria e schierati a favore della radicale ristrutturazione del carcere di Santa Maria Maggiore, con una riduzione di detenuti attraverso il ricorso a pene alternative. Udc e Idv chiedevano, al contrario, di assicurare che la struttura veneziana fosse dismessa perché ormai degradata e di aprire un tavolo con Provincia e comuni limitrofi perché la nuova struttura carceraria non si faccia dentro i confini del comune. Favorevole alla realizzazione di una nuova struttura invece il sindaco Giorgio Orsoni. Ora sembra che si vada proprio in questa direzione, con la ventilata cessione di Santa Maria Maggiore, anche se si tratta di capire che se i tempi che si è dati la Invimit - circa tre anni per mettere a reddito buona parte del patrimonio immobiliare dello Stato, non solo carceri, ma anche scuole, ospedali e palazzi -saranno effettivamente rispettati. Lecce: sopralluogo Sel; in carcere meno sovraffollamento, ma le condizioni restano critiche www.lecceprima.it, 22 ottobre 2013 Una delegazione di Sinistra ecologia e libertà è entrata nel penitenziario leccese. Benefici dalla sperimentazione della sezione di media sicurezza, ma laboratori professionali ancora per pochi detenuti. Recluse 1.200 persone per una capienza di 700. Nel momento in cui il tema del sovraffollamento carcerario è tornato centrale nel dibattito nazionale grazie all’appello del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e alle ipotesi avanzate e contestate di provvedimenti di indulto e di amnistia, una delegazione di Sinistra ecologia e libertà ha effettuato un sopralluogo presso il carcere di Borgo San Nicola. Nel penitenziario leccese sono entrati il deputato Toni Matarrelli e la segretaria provinciale, Anna Cordella: “Sicuramente la situazione di sovraffollamento del carcere è preoccupante se si pensa che la struttura a fronte di una capienza massima di 700 persone ne ospita quasi 1200 è in netto miglioramento rispetto a qualche mese fa quando i detenuti erano ben 1500. Questo trend è sicuramente positivo ma occorre costruire più sinergia tra le istituzioni per garantire una migliore condizione di vita ai detenuti che attualmente vivono in spazi piuttosto angusti condividendo le celle con altre persone”. “Sicuramente sono notevoli gli sforzi che la direzione del carcere sta facendo, primo tra tutti quello della sperimentazione della sezione di media sicurezza con regime aperto che ci auguriamo possa essere esteso quanto prima al maggior numero di detenuti possibile ma permane un gap molto forte legato ai processi di formazione ed inserimento lavorativo. In carcere sono stati attivati laboratori di falegnameria, pasticceria e sartoria che rappresentano degli strumenti di formazione-lavoro straordinari ma purtroppo sono pochissimi i detenuti che possono fruire di questi programmi così come di quelli che permettono di poter lavorare all’esterno del carcere durante la pena detentiva. È quindi necessario costruire strumenti di raccordo più forti tra il carcere ed il territorio”. Vicenza: l’Uepe funziona bene e va potenziato, questa è vera alternativa all’amnistia di Renzo Bacchion Giornale di Vicenza, 22 ottobre 2013 Amnistia e indulto: ne parlano tutti a tutti i livelli, dai sindaci ai ministri, dai verdi presidenti della Regione più ricca di Italia e con delle carceri che fanno vergognare chiunque. Tutti i politici si credono conoscitori del problema carceri & detenuti, giustificandosi con una visita una tantum, magari quando viene arrestato qualcuno vicino a questo o a quel partito, oppure quando qualche politico con codino dichiara lo sciopero della fame. Basta, basta, basta. In carcere la vita è impossibile per chi ci deve restare ma anche per chi ci lavora, imbarazzante per coloro che vanno a fare colloqui di sostegno o terapeutici o di valutazione. Basta usare i detenuti per la campagna elettorale, per contrastare il Presidente della Repubblica, basta usare le difficoltà della popolazione detenuta per scrivere su questo e quel social network . Basta fantasticare su dati di rientro in carcere dopo queste misure, e basta fare enunciazioni su sicuri reati che commetteranno gli amnistiati o indultati. Io credo che in carcere ci siano molte persone detenute, per reati che potrebbero scontare in altre situazioni, alternative, arresti eccetera. Allora, cosa fare? Chi frequenta le carceri italiane sa che manteniamo questa popolazione in uno stato invivibile a livello ambientale; per chi non lo sa lo invito a Venezia, Treviso, Tolmezzo. Trieste, Udine, e l’elenco che potrebbe continuare. Le altre Case Circondariali o Penali sono invivibili per quantità delle presenze. Allora, che fare? Subito spiegare a tutti la differenza fra amnistia e indulto, poi indultare tutti i reati minori con condanne che non superano i 3 anni di condanna; amnistiare i detenuti che hanno dimostrato pentimento e che si sottopongono a controlli serrati. Ah già, chi controlla. Per chi non lo sapesse, la Magistratura di Sorveglianza gestisce un servizio denominato Uepe (ufficio esecuzioni pene esterne) che funziona molto bene, anche a Vicenza, ma necessita di aumento del personale, struttura, aggiornamento e riconoscimento del servizio che fa. Qualcuno provi a fare un paio di conti: costa di più mantenere dei detenuti in carcere oppure investendo in alternative esterne? È più conveniente oltre che dignitosamente umano. I consumatori di sostanze sono puniti due volte: per la patologia e per la detenzione. Ma cosa ci fanno i consumatori di sostanze stupefacenti illegali o legali in carcere ? La popolazione clandestina: qualcuno vuole decidere cosa si dovrebbe fare con queste persone, sia quando sono ospiti delle patrie galere sia quando sono liberati? Espiata la pena, fare finta di niente non è una risposta al problema: un clandestino senza lavoro né documenti cosa può fare? Cari sindaci viola, presidenti verdi, ministri allargati, ascoltate il Presidente e le persone che lavorano in carcere e anche coloro che lo soffrono. Cagliari: Sdr denuncia “negato trasferimento a un detenuto con due infarti” www.buongiornoalghero.it, 22 ottobre 2013 “Negare a un detenuto, come fa il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il trasferimento da Buoncammino, motivandolo con il sovraffollamento, appare come un atteggiamento vessatorio e ingiustificato anche perché l’Istituto cagliaritano non è immune dalla piaga dell’eccesso di presenze di persone private della libertà”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento al caso di Saverio Marinaro, torinese, cardiopatico, con ricorrenti crisi asmatiche, che ha chiesto inutilmente di poter essere trasferito da Cagliari a Torino o in un Istituto vicino ai suoi familiari. “Il detenuto piemontese, che sta scontando una pena detentiva a 7 anni di reclusione, ha subito - precisa Caligaris - due infarti in seguito ai quali gli sono stati impiantati due stent. Le sue condizioni preoccupano i medici del carcere di Buoncammino che sono costretti a ricorrere a interventi in Day Hospital per tenere sotto controllo i diversi disturbi. Nei giorni scorsi infatti è stato necessario dapprima sottoporlo a un esame specifico in seguito a una crisi respiratoria e successivamente a un ricovero per un’ablazione. Senza contare la depressione, aggravata dalla distanza dalla famiglia, impossibilitata per la situazione economica a poter raggiungere Cagliari”. “Saverio Marinaro, assistito dall’avv. Teresa Camoglio, non chiede di tornare in libertà. È consapevole - conclude la presidente di SdR - del reato commesso e ha accettato la pena. Vorrebbe soltanto avvicinarsi ai suoi parenti, come peraltro sancisce la legge sull’ordinamento penitenziario nell’ottica del recupero sociale previsto dalla Costituzione. In questo specifico caso inoltre le condizioni di salute meriterebbero una più attenta riflessione ma evidentemente il Dipartimento non tiene in alcuna considerazione i principi costituzionali trincerandosi dietro motivazioni discutibili. È lo Stato insomma a dover garantire i diritti dei cittadini compreso quello, per chi ha perso la libertà, di effettuare regolari colloqui con la moglie e i figli, specialmente in presenza di minori e di una condizione di salute particolarmente precaria”. Bologna: maxi-rissa alla Dozza, un detenuto ricoverato d’urgenza all’ospedale www.bolognatoday.it, 22 ottobre 2013 A renderlo noto il Sappe: “Situazione drammatica, mancano uomini e mezzi; questa mattina un furgone della penitenziaria ha rischiato di prendere fuoco per strada”. Una maxi rissa ha coinvolto circa una ventina di detenuti extracomunitari questa mattina nel carcere della Dozza. A renderlo noto Giovanni Battista Durante, Segretario generale aggiunto Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria). “Quando è scoppiata la rissa, per ragioni ancora da accertare, i detenuti erano al campo del reparto penale - spiega Durante -, anche se si tratta di reclusi appartenenti ad uno dei reparti del giudiziario, quindi, in attesa di giudizio. Gli agenti sono intervenuti prontamente, riuscendo a riportare l’ordine in poco tempo anche se uno dei reclusi è stato portato urgentemente in ospedale, per le cure del caso”. “La situazione nelle carceri è sempre drammatica - ribadisce Durante - Alla Dozza ci sono circa 900 detenuti per una capienza massima di 450 posti. In Emilia-Romagna i detenuti continuano a crescere avendo superato, il mese scorso, le 3800 presenze. Inoltre, mancano uomini e mezzi; sempre questa mattina un furgone della polizia penitenziaria, diretto al tribunale di Bologna, ha rischiato di prendere fuoco per strada. L’agente che era alla guida, accortosi della fuoriuscita di fumo dal motore, si è fermato immediatamente. Si trattava di un mezzo appena ritirato dell’officina. Il problema fondamentale è che la maggior parte hanno già fatto 300/400 mila chilometri e andrebbero sostituiti”. Benevento: tenta di impiccarsi in carcere con asciugamani, salvato dalle guardie www.ntr24.tv, 22 ottobre 2013 Ha tentato di togliersi la vita impiccandosi nella sua cella, ma è stato salvato da alcuni agenti di polizia penitenziaria in servizio. Il fatto è avvenuto nel pomeriggio dello scorso 14 ottobre nella casa circondariale di Capodimonte, a Benevento: protagonista della vicenda un detenuto di origini italiane. L’uomo aveva infatti costruito una corda rudimentale con pezzi di asciugamani, assicurandola alle sbarre della finestra ed, avvalendosi dell’ausilio dell’altezza di una vasca, si era lasciato cadere. Solo l’intervento tempestivo delle guardie ha evitato la tragedia. Per questo motivo il Sinappe si è congratulato con gli agenti per la grande dimostrazione di professionalità e dedizione al servizio. Nell’occasione il sindacato ha ritenuto opportuno puntualizzare “quanto le gravi problematiche relative al mondo penitenziario rappresentino concausa non sottovalutabile nel verificarsi di atti di tal genere”. Piacenza: lesioni gravi a detenuto, processo per due medici Asl in servizio alle Novate www.piacenza24.eu, 22 ottobre 2013 L’accusa: infezione provocata da una terapia errata e poi sottovalutata. l’uomo si è costituito parte civile. Lesioni colpose gravi. È l’accusa di cui devono rispondere due dottoresse all’epoca dei fatti, tre anni fa, dipendenti dell’Asl e in servizio presso l’infermeria del carcere delle Novate. Lesioni gravi di cui è rimasto vittima un detenuto 39enne originario di Ravenna che ancora oggi porta le conseguenze di quello che la procura della Repubblica ritiene un trattamento medico totalmente sbagliato. Parliamo di alcune iniezioni che le due dottoresse avrebbero praticato al detenuto in seguito alle quali sarebbe insorto un’infezione poi degenerata in ascesso tanto esteso e profondo (dal gluteo al dorso e all’inguine) da imporre il ricovero in ospedale e un delicato intervento chirurgico. L’uomo è stato costretto a muoversi con le stampelle per quasi un mese e mezzo e l’operazione gli ha provocato una lesione decisamente evidente; tutte ragioni per le quali oggi, che ha scontato la sua pena ed è di nuovo libero, ha deciso di costituirsi parte civile per tramite del suo avvocato di fiducia Eleonora Carini nell’ambito del processo iniziato questa mattina in tribunale a Piacenza di fronte al giudice Elena Stoppini con Giulio Massara pm d’udienza. Oggi dunque le fasi iniziali con, appunto, la costituzione di parte civile e l’ammissione della lista dei testimoni (sono tredici). Le due imputate sono difese dagli avvocati Paolo Veneziani e Giovanni Capelli e nella prossima udienza, già fissata per il 27 novembre, verrà ascoltata la versione dell’ex detenuto parte offesa. Parma: Dap; secondo detenuto albanese evaso a febbraio è stato arrestato in Belgio Adnkronos, 22 ottobre 2013 Il Capo del Dap Giovanni Tamburino esprime a nome del Dipartimento “la soddisfazione per l’esito delle ricerche che hanno assicurato alla giustizia il pericoloso latitante Taulant Toma, di nazionalità albanese, 29 anni, condannato per rapina a mano armata ed evasione, evaso dal carcere di Parma lo scorso mese di febbraio insieme all’ergastolano Valentin Frrokaj, già catturato ad agosto di quest’anno a Vignate, nel milanese”. La notizia dell’arresto di Toma è stata comunicata dalla Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero dell’Interno. “Il Nucleo Centrale Investigativo della Polizia Penitenziaria e il Reparto di P.P. degli Istituti Penitenziari di Parma, unitamente alla Squadra Mobile di Parma, in questi mesi ha collaborato alle indagini con ingente dispiegamento di forze, consentendo -si legge in una nota- di rintracciare l’evaso e di trarlo in arresto lo scorso 11 settembre, in esecuzione del mandato di cattura europeo emesso dalle autorità italiane”. Ora Toma è detenuto a Liegi (Belgio), in procinto di essere estradato in Italia dove deve espiare la pena definitiva. “Al Nic - dichiara Giovanni Tamburino - ancora una volta va il merito di aver messo in campo le forze migliori per contribuire al felice esito dell’operazione”. Toma era stato condannato per una precedente evasione dal carcere di Terni il 9 ottobre 2009, il 22 dicembre era stato catturato dagli uomini del Nic in collaborazione con gli uomini del Commissariato Venezia-Garibaldi di Milano, in un residence di Casarile (Pv). Alghero: arrestato docente del carcere, accusato di aver favorito una tentata evasione www.alguer.it, 22 ottobre 2013 Arrestato questa mattina l’algherese Giovanni Pirisi, docente di cucina nel carcere cittadino. È accusato di aver favorito la tentata evasione di tre detenuti albanesi avvenuta lo scorso gennaio. Le indagini avviate in seguito alla tentata evasione dal carcere di Alghero nel gennaio scorso di tre detenuti albanesi hanno portato ad una ordinanza di custodia cautelare eseguita questa mattina dal Reparto di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Alghero e la Polizia di Stato cittadina. In manette è finito un 42enne algherese, Giovanni Pirisi, docente nella stessa struttura, accusato di favoreggiamento e di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio. Ora si trova a San Sebastiano, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. I fatti e lo svolgimento delle indagini sono state illustrate in un conferenza stampa dal dirigente del Commissariato Valter Cossu, il responsabile della Penitenziaria Antonello Brancati, e la direttrice del carcere, la dottoressa Milanesi. Il 14 gennaio di quest’anno tre cittadini albanesi, un 30enne, un 26enne, un 47enne, venivano sorpresi dalla Polizia Penitenziaria durante un tentativo di evasione e bloccati sulle mura di cinta mentre tentavano di scendere con l’ausilio di una corda di fortuna. Da quel momento sono subito partite le indagini congiunte della squadra di Polizia Giudiziaria del Commissariato e il reparto di Polizia Penitenziaria, con il coordinamento del Pubblico Ministero Loris. La ricostruzione degli eventi ha permesso di tracciare la dinamica del tentativo: i detenuti erano riusciti a forzare le sbarre di sicurezza della cella avvalendosi di arnesi da scasso ed acidi, con un complice che li aspettava a bordo di un’auto. Nella ricerca dell’anello di congiunzione tra gli strumenti usati per il tentativo di fuga ed il suo fornitore, le ricerche si sono strette intorno alla figura di Pirisi, insegnante di cucina nella scuola e coordinatore del progetto di formazione dei detenuti. L’insegnante, sfruttando la propria posizione, dietro compenso - inferiore ai mille euro - pattuito con il complice straniero esterno alla struttura penitenziaria, aveva introdotto in carcere gli strumenti necessari alla fuga. I sospetti degli agenti hanno trovato riscontro nelle frequentazioni del professore nella sua vita privata, vicine sia ai familiari e amici dei detenuti, sia allo stesso complice. Sul proseguo dell’attività scolastica che coinvolge una cinquantina di studenti-detenuti, la direttrice non ha dubbi: “l’episodio è spiacevole umanamente e professionalmente, ma il carcere di Alghero resterà giustamente famoso per la vocazione al recupero”. Trani: passano droga in carcere durante il colloquio, arrestati due parenti di un detenuto www.traniviva.it, 22 ottobre 2013 Gli uomini della Polizia Penitenziaria in servizio presso il carcere di Trani hanno sorpreso in flagranza di reato la 47enne di Trani Luigia Leuci accompagnata dal nipote 23enne mentre, dopo aver eluso i blocchi di controllo della struttura penitenziaria, cedeva alcune dosi di marijuana al detenuto biscegliese Vincenzo Leuci. Ad insospettire l’agente - come riportato sull’articolo pubblicato questa mattina sulla Gazzetta del Mezzogiorno, a firma di Gianpaolo Balsamo - è stato un insolito movimento compiuto dalla donna che, pensando di non essere vista, avrebbe estratto qualcosa dai pantaloni, all’altezza della cinta, e l’avrebbe passata velocemente al fratello. Questo passaggio non è sfuggito al poliziotto che ha fatto uscire dall’aula colloqui il detenuto per sottoporlo a perquisizione. E infatti, il recluso è stato trovato in possesso di due dosi di marijuana, occultate in un calzino, già confezionate e, probabilmente, pronte per essere smerciate. I due parenti del recluso, su disposizione del pubblico ministero Mirella Conticelli, sono stati arrestati per spaccio di stupefacenti con l’aggravante dell’introduzione in istituto penitenziario. Vincenzo Leuci, invece, è stato denunciato per detenzione di droga. Bologna: alla Dozza finisce in rissa la partita di pallone dei detenuti, venti giocatori coinvolti La Repubblica, 22 ottobre 2013 Non c’entra il sovraffollamento e nemmeno l’amnistia. Una partita di calcio è uguale dentro e fuori le mura di un carcere e anche il campo è delle stesse dimensioni. Venti detenuti sono venuti alle mani mentre giocavano una partita del torneo interno alla Dozza, praticamente si sono azzuffate le due squadre per intero meno i portieri. Le regole sono le stesse dentro e fuori, i falli e le intemperanze anche. Ed è stato proprio un fallo di gioco a scatenare lo scontro globale in campo. La partita tra due sezioni del “giudiziario” (dove si sconta una pena preventiva in attesa di giudizio), era cominciata da appena un quarto d’ora, ieri mattina, e il risultato era ancora sullo zero a zero. Da una parte una squadra composta prevalentemente da nordafricani, dall’altra di giovani dell’Est Europa. Quasi due nazionali, anche se giocavano un paio di italiani e un sudamericano. C’era anche un arbitro Uisp, che ha fischiato il fallo, ma appena ha visto la malparata si è fatto da parte. In campo sono entrati gli agenti della polizia penitenziaria, quando hanno visto che lo scontro stava degenerando. Tornata la calma, con qualche coro (niente di nuovo), un’ambulanza ha portato l’unico ferito un po’ più grave in ospedale. Dal carcere fanno notare che non c’è molta differenza da ciò che era successo sabato pomeriggio a Ponte Rizzoli, dove è scoppiata una megarissa nella partita juniores tra Ozzano e Casalecchio, coinvolgendo pubblico e dirigenti. Lì in campo sono arrivati i carabinieri. Il sindacato Sappe ha comunicato la notizia, senza specificare che tutto era nato da un fallo di gioco. Il segretario generale aggiunto Giovanni Battista Durante parla del sovraffollamento, scrive che la situazione nelle carceri è “sempre più drammatica, alla Dozza ci sono 900 detenuti per 450 posti. E mancano agenti e mezzi». Sempre ieri mattina, continua Durante, un furgone della polizia penitenziaria diretto al Tribunale, ha rischiato di prendere fuoco per strada, “nonostante sia un mezzo appena ritirato dall’officina. La maggior parte dei mezzi hanno più 300 mila chilometri». Tornando alla partita interrotta, l’arbitro Uisp ha sanzionato la sconfitta per entrambe le squadre a tavolino. Televisione: stasera su Real Time Gordon Ramsay “chef dietro le sbarre” La Presse, 22 ottobre 2013 Gordon Ramsay crede che anche per i detenuti della Gran Bretagna sia arrivato il momento di mettersi all’opera. Sono circa 88mila in tutto il paese e ognuno di loro costa più o meno 38mila sterline (44mila euro) all’anno. Gordon si dà come scadenza sei mesi di tempo per avviare un’attività di ristorazione di successo dietro le sbarre. In “Ramsay: chef dietro le sbarre”, in onda dal 22 ottobre ogni martedì alle 23:05 su Real Time (digitale terrestre free Canale 31, Sky Canali 124, 125 e in Hd, Tivù Sat Canale 31) l’obiettivo del pluristellato chef scozzese è far preparare i piatti dai detenuti all’interno della prigione e poi venderli all’esterno. Gordon arriva nella prigione di Brixton, quartiere di Londra, in cui sono rinchiusi spacciatori di droga e ladri. Riuscirà ad insegnare loro come cucinare e inoltre li aiuterà a cambiare vita? 29 ottobre: Ramsay deve fidarsi dei detenuti per dotarli di coltelli affilati e poter avviare il nuovo progetto, la brigata dei “Bad Boys”. Gordon apre l’attività al pubblico, ma sarà un’idea apprezzata? Immigrazione: il Governo studia possibili modifiche alla legge Bossi-Fini Ansa, 22 ottobre 2013 La legge Bossi-Fini è uno dei tanti fili ad alta tensione che minacciano l’esistenza del Governo di larghe intese. Dopo il naufragio di Lampedusa, tuttavia, il premier Enrico Letta è intenzionato a mettere mano al dossier. Lo stanno studiando il Viminale ed il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge e c’è già una prima bozza di modifica che interviene sui Cie: in particolare, si punta a ridurre il tempo di permanenza massima in queste strutture, portato nel 2011 a 18 mesi (in precedenza erano sei) dall’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni. C’è dunque una strategia ad ampio respiro del Governo per affrontare l’emergenza immigrazione: l’operazione Mare Nostrum con il rafforzamento della vigilanza nel Canale di Sicilia; le richieste da portare in Europa al Consiglio di giovedì prossimo; lo stanziamento di risorse aggiuntive per 210 milioni di euro; le modifiche alla normativa nazionale. Su quest’ultimo versante il Consiglio dei ministri è già intervenuto il 9 ottobre con il recepimento della direttiva asilo che concede ai rifugiati di ottenere il permesso di soggiornanti di lungo periodo. Ora si punta a modificare la Bossi-Fini, con tutte le cautele necessarie ad evitare la deflagrazione di conflitti nella maggioranza su un tema così spinoso. “Noi - ha detto qualche giorno fa Letta - siamo di fronte ad un cambio epocale dell’immigrazione e questo impone un cambio radicale di normativa e di approccio a livello europeo e nazionale”. Il premier ha quindi tenuto a sottolineare che “da cittadino e da politico abolirei la Bossi-Fini e ho sempre ritenuto sbagliato il reato di clandestinità, ma siamo una grande coalizione nella quale è normale ci siano delle contraddizioni”. Difficilmente, infatti, potrebbe passare in un Governo di cui è vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano una linea tranchant sulla contestata legge. C’è però la possibilità - senza mettere in discussione la filosofia del provvedimento - di trovare dei punti d’incontro su alcune specifiche misure. Nei giorni scorsi si è aperto così un confronto tra il ministro Kyenge, il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico ed il sottosegretario all’Interno Roberto Manzione. È stata messa a punto una bozza che punta ad intervenire sui Cie, teatro di rivolte e scontri quotidiani e nel mirino di associazioni ed istituzioni per le loro condizioni. Innanzitutto, il testo parla di “drastica riduzione” del tempo massimo di permanenza dei migranti dopo l’allungamento deciso da Maroni che ha portato ad un sovraffollamento delle strutture e ad un crescente malcontento degli ospiti. Altro punto critico che si vuole aggredire è il sistema di affidamento della gestione dei Centri, attuato con bandi al ribasso che portano a privilegiare in molti casi la proposta più economica a discapito poi dell’offerta di servizi adeguati. Infine, la bozza prevede l’eliminazione della norma che indica che gli ex detenuti debbano essere portati nei Cie per essere identificati - provvedendo così ad un ulteriore intasamento delle strutture - invece di procedere all’identificazione direttamente in carcere. Spagna: dalla Cedu condanna per prolungata detenzione di una militante dell’Eta Agi, 22 ottobre 2013 Corte Europea dei diritti Umani di Strasburgo ha condannato la Spagna per la prolungata detenzione di una militante di spicco dell’Eta e ha sollecitato il suo rapido rilascio. La sentenza riguarda Ines del Rio, membro del cosiddetto “comando Madrid” del gruppo terroristico basco, in carcere dal 1989. La donna era stata condannata a 3.828 anni di prigione per 24 omicidi commessi partecipando a una serie di attentati. “Respingo tale decisione”, ha reagito il ministro della Giustizia, Alberto Ruiz-Gallardon, nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Madrid. Magistratura spagnola ordina rilascio Ines Del Rio L’Audiencia Nacional spagnola ha ordinato il rilascio di Ines del Rio, militante dell’Eta condannata per 26 omicidi, in ottemperanza alla sentenza della Corte Europea per i Diritti umani che ha cassato ieri la “Dottrina Parot”, con cui la giustizia spagnola limitava i benefici di legge per i detenuti per reati particolarmente gravi. Il rilascio dovrebbe avvenire nel corso delle prossime ore, secondo quanto reso noto dalla stessa Audiencia Nacional. La “Dottrina Parot” venne varata per evitare la scarcerazione di uno dei militanti più sanguinari dell’Eta, Henri Parot, e prevede il calcolo dei benefici di legge su ciascuna delle pene comminate al condannato (nel caso di Del Rio, un totale di 3.800 anni di carcere) e non sull’effettiva durata della detenzione, che in Spagna non supera i 40 anni non esistendo l’ergastolo. La Corte Europea ha tuttavia stabilito che la norma, che si applica ai detenuti condannati prima del 1995, è stata applicata in modo retroattivo e dunque costituisce una violazione dei diritti umani: da notare che - come sottolinea Madrid - la Corte si è pronunciata sul singolo caso di Del Rio, la prima detenuta a presentare ricorso in sede europea, e dunque al momento non sono previste ulteriori scarcerazioni. Qatar: 15 anni di carcere a Mohammed al Ajami, reo di aver composto una “poesia” Tm News, 22 ottobre 2013 La Corte di cassazione di Doha ha confermato oggi la pena a 15 anni di carcere per il poeta qatariota Mohammed al Ajami, noto come il cantore della Primavera araba. Il tribunale per la sicurezza dello Stato del Qatar inizialmente, nel novembre del 2012, gli aveva inflitto il carcere a vita per aver “vilipeso le autorità dello Stato e istigato al sovvertimento dell’ordine costituito”. Successivamente, nel mese di febbraio, la pena era stata ridotta a 15 anni. L’avvocato in quell’occasione contestò davanti alla Corte di appello la mancanza di prove “del fatto che il poeta abbia letto in pubblico la poesia per cui è stato incriminato”. Il componimento poetico contestato rende omaggio alla rivolta della Tunisia ed esprime la speranza di cambiamento che ha investito gli altri Paesi arabi attraverso il verso “Siamo tutti tunisini, alla faccia delle elise repressive”.