Quello che vorremmo dire al Ministro della Giustizia. E a qualche politico Il Mattino di Padova, 21 ottobre 2013 Avevamo mandato un invito al Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, a venire nella nostra redazione nel carcere di Padova, a confrontarsi con una delle poche realtà che in Italia si occupa di informazione a partire dal carcere, e con le persone detenute come protagoniste. A dire il vero, il Ministro a Padova è venuta, ma forse se avesse accettato anche il confronto con Ristretti Orizzonti avrebbe poi parlato con una certa cautela di "miracolo" del carcere di Padova o di un carcere bellissimo e pulitissimo. Per la semplice ragione che la realtà è molto meno bella, e molto più complicata: a Padova, nella Casa di reclusione, ci dovrebbero stare 400 detenuti, ce ne sono 900. Dunque, il carcere modello riserva un trattamento decente a molti meno di quei 400 che dovrebbero esserci, dei quali alcuni lavorano in quelle belle attività fatte vedere al Ministro, alcuni vanno a scuola, o vengono in redazione, ma tutti gli altri, più di mezzo carcere, "ammazzano il tempo" nella noia, nella sofferenza a volte con il solo desiderio di farla finita (ci ha provato un detenuto la scorsa settimana, salvato per miracolo). Gentile Ministro, rinnoviamo l’invito a un incontro dove non si nasconda sotto il tappeto buono tutto lo sporco che c’è, e ce n’è tanto, dove si discuta francamente di quanto è importante lavorare in carcere, ma soprattutto quanto è importante coinvolgere tutti i detenuti in un percorso di reinserimento, che ha due tappe fondamentali: una carcerazione dignitosa e non inutile, e poi un accompagnamento graduale al rientro nella società. È lì che si abbatte davvero la recidiva, se si dà modo alle persone di accedere a una misura alternativa e di non essere scaraventate brutalmente in libertà a fine pena. E siccome sia il Ministro, che tanti politici, primo fra tutti Matteo Renzi, si preoccupano della legalità, e di come insegnare ai giovani l’importanza del rispetto della legge, noi che gli studenti li portiamo a migliaia ogni anno in carcere, a riflettere sui comportamenti a rischio e le conseguenze che ne derivano, osiamo rivolgere due inviti: il primo al Ministro, a confrontarsi con noi sul senso che dovrebbe avere la pena, e su come informare i cittadini che nel nostro Paese esistono carceri indecenti ed esistono carceri in cui c’è ancora qualcosa di buono, ma troppo poco e soffocato dalla desolazione del sovraffollamento. Anche a Padova. Con Matteo Renzi invece ci piacerebbe discutere di cosa andremo a raccontare ai giovani, sull’amnistia, sull’indulto, sulla legalità. Perché la legalità tutti parlano di insegnarla, e pochi pensano a rispettarla. Al Ministro della Giustizia chiediamo di confrontarsi con noi detenuti Gentile Signora Ministro della Giustizia, siamo la redazione di Ristretti Orizzonti, un giornale che da 17 anni fa informazione sui temi del carcere dal carcere stesso, nella Casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova. Con grande fatica, e con il coinvolgimento di molte persone detenute, realizziamo anche una rassegna stampa quotidiana sul sito www.ristretti.org molto consultata da tutti gli operatori della Giustizia. Ma soprattutto portiamo avanti da dieci anni un lavoro di sensibilizzazione della società, in base al quale ogni anno incontriamo circa 5.000-6.000 studenti, in un percorso di conoscenza della realtà delle pene e del carcere che prevede incontri nelle scuole con detenuti, volontari, magistrati, operatori, e soprattutto incontri in carcere, dove gli studenti non sono informati tanto sulle condizioni delle carceri italiane, quanto piuttosto sui rischi connessi a certi comportamenti, e su come sia facile, dalla piccola trasgressione, arrivare all’illegalità e al reato. E questa informazione proviene direttamente dalle testimonianze delle persone detenute, che scelgono, con grande fatica, di mettere a disposizione dei ragazzi la loro esperienza negativa per darle anche un senso. Sappiamo che la nostra può sembrare una esagerata considerazione dell’importanza della nostra attività di informazione e di sensibilizzazione, ma osiamo ugualmente invitarla nella nostra redazione, a Padova, per un confronto su questi temi, perché pensiamo che il dibattito sulla giustizia, sulle pene, sul carcere non può più essere affidato solo alla politica, e spesso stravolto da una cattiva informazione: lo diciamo con grande semplicità, ma quando noi parliamo con migliaia di studenti, insegnanti, genitori, ci accorgiamo che le persone, se informate, se invitate a porsi delle domande, ad avere dei dubbi, a rendersi conto che le semplificazioni non servono a nulla, hanno oggi una gran voglia di capire. Solo rivoluzionando allora il modo di parlare del carcere si potrà arrivare ad una condivisione, da parte della società, di soluzioni ai problemi della giustizia e delle pene, che al primo impatto potrebbero spaventare. Ecco perché vorremmo parlare con lei proprio di sensibilizzazione della società, perché oggi giornali e tv troppo spesso creano allarmismo là dove invece servirebbe una riflessione seria e profonda. Signora Ministro, le comunichiamo già adesso che vorremmo discutere anche di temi spinosi come i suicidi che accadono in carcere, perché quando non hai niente per vivere, ma puoi avere qualcosa morendo, ci sono detenuti che scelgono di morire. Vorremmo discutere del sovraffollamento perché molti detenuti chiederebbero di avere lo stesso spazio dei cani nei canili. E per ultimo le vorremmo parlare dell’esistenza in Italia della "Pena di Morte Viva" (com’è chiamato l’ergastolo ostativo dagli uomini ombra) perché non è facile sapere che devi vivere e morire fino all’ultimo dei tuoi giorni murato vivo, senza nessuna possibilità di ricominciare. E la cosa più terribile per un ergastolano ostativo è che non puoi più sognare perché ti senti un morto vivo o un vivo morto. Ringraziandola per l’attenzione ed in attesa di una risposta, porgiamo cordiali saluti. La Redazione Ristretti Orizzonti invita Matteo Renzi in Redazione, nella Casa di reclusione di Padova L’ex rottamatore Matteo Renzi già parla da segretario quando avverte che il "suo" Pd non voterà amnistia e indulto: "Affrontare così il tema è un clamoroso errore, un autogol", dice Renzi. "Come facciamo a spiegare ai ragazzi il valore della legalità se poi ogni sei anni, quando le carceri sono troppo piene, buttiamo fuori un po’ di gente". Matteo, sono un ergastolano ostativo senza nessuna possibilità di tornare un giorno libero (e dell’amnistia e dell’indulto non potrò usufruire) che fa parte della redazione di "Ristretti Orizzonti" nel carcere di Padova. Oggi ti saranno fischiate le orecchie perché in redazione abbiamo parlato a lungo di te ed io mi sono preso l’impegno di scriverti per invitarti a venire da noi per spiegarci perché sei contrario all’indulto e all’amnistia. La cosa che ci ha ferito di più della tua dichiarazione sono state le parole "Come facciamo a spiegare ai ragazzi il valore della legalità" perché noi durante l’anno incontriamo migliaia di ragazzi con il progetto "Scuola-Carcere". E ti assicuro che i ragazzi, di fronte alle nostre testimonianze, capiscono l’importanza del rispetto della legalità nelle carceri molto più degli adulti, e sanno che non si può educare una persona tenendola all’inferno (oltretutto un inferno sovraffollato). Matteo, a proposito del senso di giustizia dei nostri ragazzi, ti voglio raccontare un episodio che mi è accaduto l’altro giorno. Mi ha chiamato un agente che non avevo mai visto e mi ha raccontato che il maestro di suo figlio ha letto in classe (quarta elementare) un mio breve racconto. Suo figlio è rimasto talmente colpito dalle mie parole che ha chiesto a suo padre se mi liberava. Matteo, per non fare il male bisogna capire anche il bene, ma come facciamo a comprenderlo nel luogo più fuorilegge di qualsiasi altro posto? Ogni persona deve pagare e scontare le pene per i reati che compie, ma la pena dovrebbe essere legale come prevede la nostra Costituzione e la Convezione dei Diritti dell’Uomo, perché solo un carcere rispettoso della legalità può restituire alla società dei cittadini migliori. Le pene non dovrebbero essere una vendetta che lo Stato attua per conto della vittima, e pretendere di fare giustizia con la sofferenza fine a se stessa non vi rende tanto migliori di noi. Matteo, non ti nascondiamo che c’è venuto il dubbio, che dei ragazzi e di portare la legalità nelle carceri, come ha ordinato la Corte europea, t’interessa poco, e forse hai solo paura che un’eventuale amnistia ti possa far perdere le prossime elezioni. Per questo ti chiediamo di "sporcati" le mani e ti invitiamo a venirci a trovare per ragionare insieme sul carcere. Intanto ti riporto una frase di Oscar Wilde "Nel carcere dov’ero rinchiuso allora ero unicamente il numero e la lettera di una piccola cella in un interminabile corridoio, uno dei mille numeri senza vita, una delle mille vite senza vita". È vero, le cose da allora sono cambiate, ma in peggio. Carmelo Musumeci Giustizia: il "numero chiuso" nelle carceri, l’alternativa a indulto e amnistia di Giovanni Palombarini Il Mattino di Padova, 21 ottobre 2013 Un’aspra polemica si è aperta dopo il messaggio del presidente della Repubblica sulla condizione delle carceri nel nostro paese e sui rimedi ipotizzabili per fare fronte a un sovraffollamento unanimemente definito come intollerabile. Subito, con riferimento alla situazione di Silvio Berlusconi, vi è stato chi, in nome della "pacificazione", ha chiesto che un eventuale provvedimento di amnistia e indulto si estenda anche ai reati per i quali il leader del centro-destra è stato condannato. Così, una proposta del tutto ragionevole rischia di finire in nulla. La tradizione di questo tipo di provvedimenti, lunghissima nel corso della prima Repubblica, è sempre stata nel senso che hanno riguardato reati minori, mai gravi reati tributari. Già l’opinione pubblica fa fatica ad accettare simili provvedimenti di clemenza. Se invece che a far fronte all’emergenza sovraffollamento, a tutti evidente, dovessero servire a favorire qualcuno, evidentemente le reazioni sarebbero fortissime, investendo disastrosamente le istituzioni repubblicane. Perché sono necessari l’amnistia e l’indulto? Sembra un po’ strano dover fare riferimento ai pochi metri quadrati di una cella per potere valutare la natura del trattamento riservato a un detenuto e il rispetto dei principi costituzionali, ma nel nostro paese, ormai da anni, siamo ridotti così. La capienza delle carceri è di circa 45.000 "posti letto", i detenuti sono circa 65.000. Il ricorso ai letti a castello è inevitabile; come inevitabili sono le condanne che per questa situazione vengono inflitte all’Italia in Europa. Proprio dagli organismi europei, e dalla Corte costituzionale italiana, arrivano continue sollecitazioni a provvedere, a porre rimedio a una situazione disumana. Certo, in un’ottica davvero riformatrice bisognerebbe pensare a tante cose. Ad esempio a una nuova definizione dell’intero ventaglio delle pene, lasciando al carcere il carattere di misura di estrema necessità per i reati più gravi; alla depenalizzazione delle ipotesi di detenzione di stupefacenti e all’abrogazione del reato di clandestinità; all’abrogazione di quelle norme che impediscono ad ampie categorie di detenuti di ottenere i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario; a una più sobria regolamentazione della custodia preventiva nella forma carceraria. Ma nella stagione politica che attraversiamo difficilmente una simile ottica avrà fortuna. È infatti possibile pensare a maggioranze parlamentari, anche di governo, di partiti legati da comuni scelte di carattere economico, che però poco o nulla hanno in comune per quel che concerne valori di fondo e visioni ideali della società. Di recente l’associazione Antigone ha presentato tre disegni di legge di iniziativa popolare, uno dei quali, per la legalità nelle carceri, contempla, oltre all’abrogazione delle norme sulla recidiva approvate nel corso del 2005 e altre misure che hanno favorito la crescita della popolazione detenuta, anche il numero chiuso ("… fermo restando il principio di territorializzazione della pena, nessuno può essere detenuto per esecuzione di una sentenza in un istituto che non abbia un posto letto regolare disponibile ..."). Il numero chiuso dunque, il principio di umanità elementare che alcuni giuristi chiedono da anni, sembra profilarsi all’ordine del giorno. Alcuni preferiscono parlare di differimento dell’esecuzione della pena. Si può anche accettare questa puntualizzazione lessicale. Purché sia chiaro che in questo caso la parola differimento non significa semplicemente rinvio, come dice il vocabolario della lingua italiana, ma anche che il tempo che il condannato trascorre ristretto a casa in attesa che un posto letto regolare si liberi, vale come tempo di esecuzione della pena. Qualcuno, nell’attuale parlamento, accetterà questa provocazione? Giustizia: amnistia e indulto due sconfitte, esistono depenalizzazioni e pene alternative di Lorenzo Miazzi (Magistrato) Il Mattino di Padova, 21 ottobre 2013 Del messaggio del Presidente della Repubblica sulla drammatica situazione delle carceri, che accenna fra le soluzioni anche ad amnistia e indulto, la politica sembra discutere solo di questi provvedimenti di emergenza, che servono soltanto a risolvere, malamente, il problema immediato. Ma amnistia e indulto, senza una riforma generale del sistema delle pene, rappresentano una sconfitta: della certezza del diritto, perché la pena promessa dalla legge non viene effettivamente applicata; della legalità, perché manda soprattutto ai giovani il messaggio che delinquere “conviene”; dello Stato, che perde la fiducia dei suoi cittadini. L’inumana condizione in cui si trovano oggi i detenuti non può proseguire oltre, questo è un fatto. Da anni molti, compresi i magistrati, denunciano il sovraffollamento delle carceri e per anni hanno chiesto provvedimenti che evitassero la situazione che adesso l’Europa ci impone di risolvere in pochi mesi. Ma dal 2006, epoca dell’ultimo indulto, non solo non è stata approvata una riforma strutturale che ponga almeno le basi della soluzione definitiva del problema. Al contrario, sono state introdotte molte leggi che aumentano la risposta detentiva e intanto sono stati lasciati chiusi, per mancanza di personale, i molti penitenziari già pronti, costruiti all’esito di un dispendioso programma di edilizia carceraria. Perciò senza riforme il sovraffollamento carcerario si ripresenterà a breve. L’indulto è poi una misura miope e iniqua, perché distingue irragionevolmente fra chi ha commesso lo stesso reato in un giorno o in un altro; fra chi ha commesso lo stesso reato nello stesso giorno ma ha avuto un processo rapido e ha scontato interamente la pena e chi, grazie a strategie difensive o all’inefficienza del sistema, è ancora a piede libero. Perché invece non distingue, a parità di reato e di pena, fra chi è pericoloso e chi non lo è: fra il rapinatore dì banche e il balordo che ha spintonato il cassiere del supermercato dopo un furto da pochi euro, ma si è visto la pena quasi raddoppiata dalla recidiva; fra l’ex marito che ha picchiato e molestato la moglie, e probabilmente riprenderà la persecuzione appena libero, e quello che ha superato i problemi della separazione e ha girato pagina. L’indulto senza amnistia, poi, aggiunge alla beffa della mancata punizione dei colpevoli il danno delle spese e dell’impegno nel celebrare processi inutili, in una situazione già di gravi difficoltà del sistema giustizia. Provvedere anche in pochi mesi per attenuare il sovraffollamento si può fare anche in modo diverso. Con ulteriori depenalizzazioni; con forme alternative di detenzione per persone che non necessitano di custodia rigida (un detenuto in semilibertà passa già metà giornata all’esterno: perché dovrebbe fuggire di notte dal carcere?); facendo valutare ai magistrati per quali persone (fra i due rapinatori, fra i due persecutori etc.) sono necessarie o no la detenzione immediata o la prosecuzione della stessa; con processi più rapidi che evitino custodie cautelari nei casi in cui il detenuto definitivo potrebbe godere di misure alternative; abolendo la riforma della recidiva, che gonfia artificialmente la carcerazione senza concreta pericolosità. E, certo aprendo almeno una parte del le 40 sezioni carcerarie già pronte e arredate. Questo sì, se ci fosse la volontà di farlo, sarebbe un “pacchetto sicurezza” che rimedia alle condizioni dei detenuti e tutela la legalità e i cittadini. Giustizia: l’urgenza di cancellare situazioni di tortura nelle carceri italiane di Michele Di Schiena Brindisi Sera, 21 ottobre 2013 Capita spesso nella politica nostrana che vengano espressi per non commendevoli fini giudizi apodittici su fatti o problemi senza avere la minima cognizione di causa o leggendo la realtà con le lenti distorsive del sospetto o del pregiudizio. Gli attacchi di Grillo e di Renzi al Presidente della Repubblica per il suo messaggio alle Camere sulla situazione carceraria, diversi per il linguaggio e per il tono ma simili nel contenuto, ne sono una malinconica conferma. La sortita del leader del Movimento pentastellato non sorprende perché si colloca nel solco dei suoi ricorrenti e assordanti interventi sempre suggeriti da una incontenibile inclinazione a cavalcare gli umori popolari ritenuti (a torto o a ragione) dominanti mentre quella del sindaco di Firenze, anch'egli attento a muoversi secondo il vento che tira, preoccupa per la superficialità e la miopia dell'approccio a un drammatico e complesso problema che andrebbe trattato con maggiore ponderazione e più senso di responsabilità da chi aspira a guidare un grande partito come il PD e il governo del nostro Paese. Aprendo la sua campagna congressuale a Bari Renzi ha detto che parlare oggi di amnistia e indulto è "un grave errore e un clamoroso autogol" e ha aggiunto che è difficile educare i giovani alla legalità se ogni sei o sette anni, quando le carceri scoppiano, si concedono condoni senza andare "alla radice del problema". Il sindaco di Firenze ha quindi polemizzato col Presidente della Repubblica aprendo nei suoi confronti un processo alle intenzioni e facendogli dire ciò che non ha assolutamente detto. Napolitano non ha invero raccomandato la concessione di atti di clemenza senza affrontare in primo luogo i problemi che da anni provocano il sovraffollamento carcerario. E' andato, eccome, alla radice del problema sollecitando per l'ennesima volta la classe politica (della quale fanno parte anche Renzi e i suoi sostenitori) ad adottare con urgenza le necessarie misure. E si è mosso, eccome, all'insegna della legalità il cui rispetto - forse a qualcuno sfugge - va pienamente garantito anche all'interno delle carceri. Nel suo articolato e motivato messaggio il Capo dello Stato ha ricordato le sue ripetute prese di posizione sulla intollerabilità del sovraffollamento carcerario e ha sottolineato "la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia" ricordando che essa "costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale". Ha poi indicato i rimedi "prospettati o in atto" e ha menzionato le strade da percorrere congiuntamente: quella della riduzione del numero complessivo dei detenuti e quella dell'aumento della capienza complessiva degli istituti penitenziari. E lo ha fatto con una puntuale e dettagliata esposizione delle misure in via di attuazione e di quelle da varare senza ulteriori dilazioni. Solo dopo questa parte del messaggio il Presidente Napolitano ha rappresentato l'esigenza di adottare rimedi straordinari richiamando l'attenzione del Parlamento sulla necessità e l'urgenza di varare un'amnistia e un indulto che escludano "i reati particolarmente odiosi" e quelli "di rilevante gravità e allarme sociale". L'amnistia e l'indulto, necessaria la prima perché con l'estinzione del reato favorisce la rapida chiusura dei processi di minore rilievo con l'accelerazione di quelli per fatti più gravi e necessario il secondo in quanto provoca con l'estinzione della pena dei reati minori la riduzione della popolazione carceraria, non gioverebbero certo a Berlusconi e ai politici condannati o imputati per delitti di notevole gravità. Ipotesi questa cinicamente sbandierata come obiettivo ultimo dei provvedimenti di clemenza ma priva di qualsiasi fondamento anche per la considerazione che per l'approvazione di questi atti occorrerebbero in Parlamento maggioranze di due terzi non certo ipotizzabili per portare a termine simili operazioni. Né va poi sottaciuto che i provvedimenti in questione ben possono essere formulati, prevedendo esclusioni di reati e commutazioni di pene detentive in pene non detentive, in modo da non fare regali a coloro che si sono macchiati di colpe particolarmente riprovevoli. Cadono così le dietrologie e le censure sull'iniziativa del Capo dello Stato, le une e le altre mosse da intenti di deprecabile propaganda politica. Il Presidente della Repubblica aveva il dovere di richiamare l'attenzione del Parlamento sulla disumana condizione delle carceri nel nostro Paese che ha indotto la Corte europea dei diritti dell'uomo a riscontrare a carico dell'Italia la violazione dell'art. 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica "Proibizione della tortura", pone il divieto di trattamenti disumani a causa di situazioni di sovraffollamento carcerario. Grillo, Renzi e tutti gli altri più o meno agitati critici del messaggio di Napolitano devono domandarsi se un Paese come il nostro, supremamente ordinato da una Costituzione per la quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", può restare indifferente di fronte a un'accusa di tortura carceraria senza eliminare immediatamente le cause che la determinano ponendo nel contempo mano nel modo più celere e fattivo alle indispensabili misure strutturali. E se lo devono chiedere anche coloro che, dentro e fuori il Parlamento, dovessero impedire il sollecito varo dei rimedi straordinari invocati per tutelare l'indifendibile o per bassi interessi di bottega. Giustizia: se l’indulto è la prova del fallimento della politica di Giovanni Mastrobuoni Il Piccolo, 21 ottobre 2013 Con un atto formale di estrema rarità e forza, un discorso diretto alle Camere, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha chiesto al Parlamento di affrontare e risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Questo atto inusuale è anche dovuto alla sentenza della Corte di Strasburgo che invita il governo italiano a porre rimedio alla situazione carceraria entro il 28 maggio 2014, tra poco più di sette mesi. Con 65 mila presenze di detenuti, a fronte di una capienza "regolamentare" di 47 mila, la situazione è effettivamente drammatica, così come lo era anche nel 2006, poco prima dell’ultimo indulto. Allora i detenuti erano 61 mila e la capienza di 43. Il riproporsi dello stesso identico problema sancisce l’incapacità della politica di risolvere il problema delle carceri. All’epoca l’indulto sancì la fine dell’emergenza e quindi, in un Paese come il nostro, la fine della spinta riformatrice per risolvere il problema alla radice. Ad esempio, ai proclami di massicci piani di edilizia carceraria con copertura finanziaria seguì l’opera di un lento e silenzioso cannibalismo dei fondi spinto dalla necessità di reperire denari per le casse dello stato. Sette anni dopo, la capienza delle carceri risulta essere aumentata di sole 4 mila unità, meno del 10%, mentre i proclami di allora parlavano di 37 mila nuove unità. Indulti e amnistie oltre a non risolvere i problemi che sono alla radice della questione del sovraffollamento (come più volte ricordato su questo) uccidono qualsiasi spinta riformista. Quindi, il primo errore da evitare è quello di incominciare ad affrontare la questione del sovraffollamento con atti come l’indulto o l’amnistia. Sarebbe molto più utile condizionare tali atti a una seria riforma carceraria. Fatta una riforma sistematica, se ce ne fosse ancora bisogno, per risolvere il problema delle carceri e, in secondo luogo, per evitare le sanzioni della Corte di Strasburgo, si potrebbe passare ai rimedi straordinari previsti dalla nostra Costituzione, come l’indulto o l’amnistia. Per fortuna il Presidente ha fornito tutti gli elementi che una riforma sistematica dovrebbe contenere: un maggiore utilizzo della messa in prova; l’utilizzo di pene alternative al carcere; un minor utilizzo della custodia cautelare; l’espiazione della pena nei Paesi di origine per chi è immigrato; una depenalizzazione di alcuni reati; un piano carceri. Il presidente conclude l’elenco dei rimedi possibili con l’indulto e l’amnistia, ma a una lettura distratta potrebbe essere sfuggito un importante distinguo rispetto a come venne organizzato l’indulto del 2006. Il presidente riconosce infatti che tale indulto fece aumentare i reati, e quindi si augura che questa volta vengano adottate idonee misure finalizzate al reinserimento dei detenuti. Come ciò possa avvenire con un numero finito di operatori quando si liberano 24 mila detenuti da un giorno all’altro non ci è dato sapere. Il secondo errore da evitare è quindi quello di replicare il metodo di scarcerazione dell’indulto del 2006. Ad esempio, si potrebbe prendere in considerazione lo scaglionamento nel tempo delle scarcerazioni, iniziando dai detenuti più anziani (che sappiamo essere quelli meno propensi alla recidiva). Andrebbe anche presa in considerazione l’opportunità di escludere non solo chi commette reati particolarmente odiosi, ma anche chi tende a commetterne molti e a intervalli ridotti, come d’altronde previsto dalla legge. Il presidente Napolitano, nel suo discorso alle Camere, ha messo in dubbio l’efficacia deterrente delle sanzioni penali. Non è affatto chiaro a quale dottrina penalistica egli faccia riferimento, dato che esiste evidenza empirica del contrario (si veda l’articolo di Drago, Galbiati e Vertova "The deterrent effects of prison: evidence from a natural experiment" apparso sul Journal of Political Economy). Ancora una volta è bene ricordare e sottolineare che, prima di qualsiasi decisione volta a riformare il sistema sanzionatorio, occorrerebbe fare una seria valutazione, basata su solide analisi empiriche, della recidiva. Un segnale molto forte, in tale direzione, è arrivato dal ministero della Giustizia e dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria, che hanno messo a disposizione di alcuni ricercatori molti dati sui detenuti al fine di poter fare delle analisi di natura quantitativa che possano aiutare a individuare quali potrebbero essere le riforme più appropriate. Giustizia: amnistia e indulto non servono, la legge svuota-carceri c’è già… di Antonio Buttazzo www.articolo21.org, 21 ottobre 2013 Il disegno di legge che delega il Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento penale per messa alla prova giace alla Camera dei Deputati già approvato. L’approvazione in via definitiva della legge favorirebbe da un lato una soluzione civile al problema del sovraffollamento carcerario , dall’altro porrebbe fine a questa ignobile commedia che la classe politica, nessuno escluso, continua a mettere in scena sulle spalle di una popolazione carceraria probabilmente ancora una volta illusa. Ci chiediamo infatti cosa potrà succedere nei nostri istituti penitenziari allorquando si andranno a contare i voti in Parlamento necessari all’approvazione di una legge di amnistia o di indulto che sia. È evidente infatti che l’ampia maggioranza dei 2/3 necessaria all’approvazione non c’è, soprattutto alla luce delle dichiarazioni recenti di Matteo Renzi da un lato e di Renato Schifani e Gaetano Quagliarello dall’altro. Per motivi diversi ma alla fine convergenti, il Pd o comunque chi di fatto lo dirige non appare favorevole al provvedimento, mentre il Pdl non è disposto ad approvare una legge che non consentirebbe a Berlusconi di evitare le conseguenze delle condanne a suo carico, emanate ed emanande, con la ulteriore complicazione che, se anche si trovasse un accordo di massima, questo si infrangerebbe contro una serie di obiezioni tecniche attinenti ad esempio alla fruibilità di un provvedimento di indulto che andrebbe cumulato con un altro in precedenza goduto oppure con la difficoltà di ricomprendere nel novero dei reati cui sarebbe applicabile i reati finanziari, che non sono mai stati ricompresi in precedenza. Senza contare la ferma obiezione dei 5 Stelle di Beppe Grillo e della Lega. Insomma un pasticcio inestricabile che continua ad ingarbugliarsi ancora di più perché ovviamente vi è chi ha interesse a dare un peso che non ha al messaggio di Napolitano alle Camere, ritenendo quasi che l’approvazione del provvedimento sollecitato dal Quirinale sia una sorta di obbligo cui il Parlamento non può sottrarsi. Niente di più falso. In realtà si finge solo di non sapere che i messaggi alle Camere previsti dall’art. 87 della Costituzione sono un tipico atto presidenziale, con il quale il Capo dello Stato esercita il cosiddetto potere di esternazione, manifestando il suo personale intendimento: ciò in funzione di controllo, di proposta e di denuncia di eventuali violazioni costituzionali. Importanti quindi, mai però capaci di interferire con l’attività parlamentare cui è demandata invece la scelta in materia di politica giudiziaria. E qui quindi ritorniamo all’argomento di cui al principio. Il Parlamento ha discusso ed approvato un disegno di legge, che giace nei cassetti delle giunte parlamentari, con il quale ha individuato una serie di riforme (molte delle quali sollecitate da Organismi rappresentativi dell’Avvocatura e della Magistratura, categorie in prima linea interessate), capaci di incidere da un lato sulla emergenza del sovraffollamento carcerario e dall’altro in linea con la necessità che la risposta penal-sanzionatoria alla devianza criminale di modesta gravità possa essere diversamente affrontata rispetto all’unica risposta oggi possibile e cioè il carcere. Il disegno di legge, sicuramente emendabile, prevede infatti la possibilità per il Giudice di comminare una sanzione penale che non sia la detenzione penitenziaria per una tipologia di reati bagattelari per i quali anche altre sanzioni meno afflittive sarebbero sufficienti, si pensi alla detenzione domiciliare o alla sospensione del processo con messa alla prova, prevista già nel processo minorile, il cui esito positivo estingue reato e pena. Diciamola tutta, è arrivata l’ora di liberarsi del feticcio del carcere come unica possibile risposta ed espiazione da dare al condannato. Ne gioverebbe il sistema tutto, e non saremo costretto a tenere dentro uno spacciatore di paccottiglia contraffatta sui nostri marciapiedi piuttosto che un consumatore di droghe leggere o pesanti che siano come impone la Legge Giovanardi, con indubbi vantaggi sia in termini economici (si provi a pensare quanto costa un detenuto alla Stato) che di attuazione del principio costituzionale secondo cui la pena deve tendere al recupero del condannato. Infatti una pena continuerà ad esserci ma sarà il Giudice a sceglierla tra quelle che possono favorire il recupero del condannato. Oggi non è cosi, il Tribunale, in nome del popolo italiano, quando condanna commina solo carcere e multe e sarà poi solo nella fase esecutiva che si potranno valutare le possibili misure alternative alla detenzione. Questo significa altro processo, altre spese, altri costi per tutti, che non tutti possono permettersi, con la ovvia conseguenza che solo i più ricchi accederanno ad una diversa modalità di espiazione della pena. Da ultimo, pare che il Quirinale abbia inviato alle camere il messaggio per indurle a riflettere su un’altra conseguenza pesante per l’Erario e cioè la condanna da parte della UE per le condizioni di precarietà in cui versano i detenuti in sovraffollamento. Bene, per risolvere il problema non è necessaria una amnistia o un indulto che a quanto pare serve solo a sollevare polemiche e (non) risolvere diatribe politiche tra le parti. Basta solo che il Parlamento faccia il suo dovere che è quello di adeguare le leggi alle necessità storiche della società, una delle quali in questo momento è quella di adeguare il sistema penitenziario ai tempi. Del pietismo con cui si maschera il cinismo dei politici non abbiamo bisogno, grazie. Giustizia: Tamburino (Dap); in 18mila fuori con un indulto, come nel 2006 Sole 24 Ore, 21 ottobre 2013 Affollate, vecchie e spesso abbandonate. Con meno di 3 metri per ogni detenuto, in fila ogni giorno per il wc e senza acqua calda. Ecco le prigioni italiane, che per la Commissione europea, sono "disumane". Dopo la prima condanna con la sentenza pilota, Torreggiani, l’Italia rischia di pagare altri "60-70 milioni di multe all’anno", in mancanza di provvedimenti entro maggio 2014. E’ la stima del Guardasgilli a fronte di un sovraffollamento che vede ora 64.564 detenuti, stipati in spazi per 47.599 posti. Quali sono gli effetti? E quali le cause? Quali le ricadute all’interno delle stesse carceri ? Mentre si discute di un provvedimento di clemenza, siamo entrati all’interno delle carceri. Un viaggio-inchiesta dentro le celle, da cui - in caso di indulto come quello del 2006 - "potrebbero uscire 18mila persone". Lo anticipa a Radio 24 il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino. E il sovraffollamento pesa anche - non poco - sulle casse pubbliche: è una delle voci che appesantisce i conti in rosso del Dap. Rischio crac? Ecco i bilanci, aperti per noi dal capo del Dap. L’inchiesta di ACiascunoIlSuo chiude una settimana dedicata da Radio24 al carcere. Dentro San Vittore e Poggioreale vi condurrà anche il reportage di questa domenica, dopo cinque puntate di un viaggio in altrettante realtà. Giustizia: dai panettoni alla moda, il riscatto dietro le sbarre arriva grazie al lavoro di Gabriele Santoro Il Messaggero, 21 ottobre 2013 "V.S. si muoveva con pesantezza. Le braccia mostravano segni evidenti di ferite da taglio, leggere ma fitte. All’inizio era schiva, mi fissava con l’ira negli occhi e chiedeva alle guardie di essere riportata in cella. Tra tessuti, lane, bottoni e filati ha compiuto il primo passo verso il cambiamento: ha trovato la materia per trasformarsi. Noi abbiamo governato artisticamente i suoi eccessi, lei ha scoperto la propria grazia". Monica Cristina Gallo, fondatrice dell’associazione La Casa di Pinocchio, racconta l’impresa quotidiana che si sviluppa nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Un laboratorio tessile dietro le sbarre, sostenuto dalla Compagnia San Paolo, in cui la capacità di progettare e produrre da materiale riciclato di un gruppo di detenute, contrattualizzate e retribuite, ha portato due anni fa alla nascita di Fumne, un marchio di moda ormai commercializzato nei negozi. Nella difficile realtà dei penitenziari italiani esistono delle oasi con numeri ancora molto piccoli, dove vi sono gli strumenti per attuare con risultati eccellenti il dettato costituzionale di rieducazione del condannato. Storie di riscatto sociale che cambiano la vita a chi ha sbagliato e costituiscono una sfida culturale per il Paese. A Natale lo squisito panettone, sfornato dentro al Due Palazzi di Padova, registra spesso record di ordini. La pasticceria I Dolci di Giotto è il fiore all’occhiello del Consorzio Rebus, che dal 1990 porta avanti l’integrazione mediante l’occupazione vera. Nelle varie attività (call center, officina meccanica, produzione di ceramica) sono impiegati circa 130 detenuti, che arrivano a guadagnare anche novecento euro al mese. Il filo che unisce queste esperienze cooperativistiche è la creatività. A Rebibbia si sogna di aprire il primo museo d’arte contemporanea in un carcere. Un’idea visionaria coltivata da Luca Modugno, che da privato cittadino, in accordo con la direzione della casa di reclusione romana, ha fatto decollare la declinazione sociale della cooperativa Artwo, che investe nel design ecosostenibile. In un laboratorio s’incontrano artisti e detenuti, che nascondono talenti, e dalla decontestualizzazione e il riuso di scarti industriali prendono vita nuovi oggetti belli e utili. Giustizia: Silvio Scaglia finito in carcere da innocente, nessuno si scuserà di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 21 ottobre 2013 Quando venne indicato al pubblico ludibrio come un pericoloso criminale, il fondatore di Fastweb Silvio Scaglia si trovava all’estero. Invece di scappare, tornò in Italia per conferire con i magistrati che lo accusavano. Fu arrestato, e per un anno venne privato della libertà, prima in carcere, in uno spazio angusto dove, come ha detto in questi giorni, perfino un maiale si sentirebbe soffocare, poi agli arresti domiciliari. Scaglia, insieme ad altri manager arrestati nel cuore della notte come fossero i peggiori malfattori, è stato assolto nei giorni scorsi "perché il fatto non sussiste". È stato sbattuto in galera ingiustamente. La sua vita è stata stravolta, i suoi affetti messi a dura prova, la sua professione fortemente compromessa, i suoi beni onestamente guadagnati messi in pericolo. Ha pagato un prezzo elevatissimo, innocente. Chi lo ha privato della libertà senza prove, come al solito in Italia, invece non pagherà alcunché, protetto da un’invulnerabile e iniqua irresponsabilità. Scaglia avrebbe potuto "ammorbidire" la sua difesa, concedendo qualcosa ai suoi accusatori per allentare la morsa della carcerazione preventiva. Non lo ha fatto e, come ha ricordato Adriano Sofri, i suoi accusatori hanno addirittura considerato il suo "non ravvedimento" come motivo sufficiente per non liberarlo dal carcere, nonostante la presunzione d’innocenza. Visto che è poi risultato innocente, avrebbe per convenienza dovuto interpretare il ruolo di "innocente ravveduto". Una mostruosità. Una delle tante mostruosità di una Nazione che accetta senza reagire la denuncia europea secondo la quale il nostro sistema carcerario ha assunto le caratteristiche efferate di un sistema dedito alla "tortura". Non è un modo di dire, è scritto proprio così: "tortura". Una Nazione in cui le prigioni sono sotto la soglia di uno standard civile, ospitano per il 42 per cento detenuti in attesa di giudizio, metà dei quali risulterà innocente alla fine del processo, rivelando così un uso smodato, incivile, della carcerazione preventiva. Le forze politiche pensano ad altro. Il presidente della Repubblica chiede un impegno straordinario per far fronte con misure anche d’emergenza allo scandalo di uno Stato di diritto sfregiato, ma loro tentennano, fanno i "benaltristi", totalmente insensibili all’illegalità della situazione carceraria. I carcerati, e quelli come Scaglia, sono lasciati soli: da una sinistra oramai accecata da un giustizialismo cupo e feroce, da una destra che dimentica ogni proclama garantista quando ad essere toccato è qualcuno al di fuori del suo cerchio magico. Scaglia ha patito il carcere, e l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso non si scuserà per aver proclamato alla stampa, da magistrato, che le accuse contro Scaglia avevano messo in luce "una strage della legalità". No, avevano messo in luce una strage del diritto, ma nessuno si assumerà la responsabilità di questa distruzione. Sardegna: 132 detenuti dell’Alta sicurezza arrivati sull’isola con volo charter Adnkronos, 21 ottobre 2013 "Centotrentadue tra camorristi, mafiosi, trafficanti internazionali di droga sono sbarcati nel pomeriggio da un volo charter Blue Panorama atterrato all’aeroporto di Elmas diretti ad Oristano, Nuoro e Tempio". Ne da notizia il deputato sardo di Unidos Mauro Pili. "Entro il mese di ottobre - aggiunge Pili - il ministero progetta di mandare i primi 10 capimafia nel carcere di Sassari. Quarantatre detenuti di Alta Sicurezza sono giunti nelle ultime ore nel nuovo carcere di Oristano-Massama per essere sistemati nel braccio repentinamente dedicato agli affiliati di mafia. Si tratta di un contingente malavitoso mai arrivato così in gran numero nell’isola". Pili riferisce di un "nuovo sbarco di detenuti previsto per giovedì, con altri 30 detenuti in arrivo di nuovi "ospiti", provenienti dalle carceri delle altre regioni italiane. La destinazione ad Oristano di detenuti di alta sicurezza, dei livelli 1 e 3, contrasta palesemente con il nuovo carcere nato come casa circondariale e non certo come carcere destinato a questo elevato grado di sicurezza". Bellizzi Irpino (Av): detenuto muore in cella, forse la causa è un infarto Ansa, 21 ottobre 2013 Soccorsi inutili, 43enne doveva scontare condanna fino al 2030. Un detenuto nel carcere avellinese di Bellizzi Irpino (Avellino) è morto nella tarda mattinata all’interno della sua cella, forse stroncato da un infarto. L’uomo, 43 anni, originario di Napoli, è stato colto da malore mentre riassettava la cella che occupava da solo. Doveva scontare una condanna fino al 2030 ed era detenuto nel reparto di Alta Sicurezza. Si è seduto sulla brandina ed è deceduto subito dopo. Per rianimarlo, dopo che è scattato l’allarme, è stato utilizzato anche un defibrillatore, ma i soccorsi si sono rivelati inutile. Il magistrato di sorveglianza ha disposto l’autopsia. Il detenuto, secondo quanto si apprende, non aveva mai accusato problemi di salute. Parma: morto il boss Angelo Nuvoletta, in regime 41 bis per l’omicidio Siani Corriere della Sera, 21 ottobre 2013 Angelo Nuvoletta, boss della camorra condannato all’ergastolo per l’omicidio del giornalista del Mattino Giancarlo Siani, è morto domenica nell’ospedale di Parma, dove era ricoverato. Nuvoletta, 71 anni, capo della camorra a Marano, arrestato nel maggio 2001 dopo 17 anni di latitanza, era detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Spoleto e poi in ospedale a Parma. Fra gli omicidi contestatigli, vi sono quelli di cinque affiliati del clan Alfieri, strangolati e poi sciolti nell’acido, oltre a traffico di stupefacenti, estorsione, possesso di armi ed esplosivo, intimidazione, controllo degli appalti pubblici. Nuvoletta era considerato uno dei grandi capi della camorra, a lungo nell’elenco dei trenta latitanti di massima pericolosità. La sua "famiglia" da decenni aveva allacciato stretti rapporti di collaborazione con la mafia. Il clan era governato da i tre fratelli: Lorenzo, Ciro e Angelo. Il primo, morto in carcere , era considerato il capo; Ciro, ucciso in un agguato nella guerra di camorra fra i Nuvoletta-Gionta e i Bardellino-Alfieri-Galasso-Verde, era considerato il più sanguinario del gruppo; Angelo era invece la "mente" del clan ed era lui che ne gestiva gli affari economici e che teneva i contatti con Cosa Nostra e, in particolare, con la cosca dei Corleonesi di Riina e Provenzano. Secondo gli investigatori, durante i lunghi anni di latitanza Angelo Nuvoletta non si sarebbe quasi mai mosso da Marano, riuscendo sempre a trovare rifugio, forse in qualche nascondiglio segreto nello stesso centro della cittadina. E da lì avrebbe continuato sia a mantenere in piedi l’organizzazione criminale. Lecce: Uil-Pa; viaggio a Borgo San Nicola, carcere aperto e modello da esportare di Valeria Blanco www.leccesette.it, 21 ottobre 2013 Certo, ci sono infiltrazioni d’acqua sui muri in sala d’attesa e alcuni contatori sono arrugginiti, senza contare il grave problema del sovraffollamento, che portò alla sentenza storica del risarcimento a un detenuto. Nonostante tutto, però, il sindacato di Polizia penitenziaria Uilpa, che ieri ha visitato l’istituto di pena leccese, lo definisce un "modello da esportare" Nel carcere di Lecce gli agenti possono lavorare in serenità e questo si riflette anche sulla qualità della vita dei detenuti. A differenza di quanto accaduto in altre parti d’Italia, dalla Uilpa arrivano quasi solo parole d’elogio per le condizioni complessive di lavoro e di vita nel carcere di "Borgo San Nicola". L’iniziativa "Lo scatto dentro" ha portato ieri all’interno dell’istituto diretto da Antonio Fullone, Gennarino De Fazio, segretario nazionale della Uilpa Penitenziari, insieme con altri dirigenti regionali e provinciali del sindacato, tra cui Stefano Caporizzi, Francesco Chiechi, Diego Leone e Chiara Taurino. La visita ispettiva, voluta per verificare le condizioni di lavoro dei poliziotti all’interno degli istituti di pena, ha dato esito positivo. Intanto, quello di Lecce è uno dei pochi penitenziari in cui da poco si applica il cosiddetto regime detentivo "aperto", che prevede la possibilità per i reclusi di rimanere al di fuori delle camere di detenzione ed impegnati in attività per gran parte della giornata. "A Lecce - osserva De Fazio - è già in fase di avanzata realizzazione il progetto di sorveglianza dinamica ed è quindi possibile toccare con mano, passando dalle teorizzazioni alla pratica, gli enormi benefici che gli operatori ricavano da un nuovo e moderno sistema di sorveglianza che li affranca da compiti meramente custodiali per farli divenire operatori di una moderna polizia d’intelligence che pone alle basi della sicurezza la conoscenza del detenuto". In alcuni settori del penitenziario, le grate di ferro rimangono aperte e i detenuti sono liberi di comminare per i corridoi. "Naturalmente - prosegue il segretario di Uilpa - tutto ciò si riflette positivamente pure sui livelli di civiltà e di umanità della detenzione, ancorandola compiutamente al principio costituzionale che la vuole tendente alla rieducazione. Una condizione che contribuisce persino ad alleviare gli effetti negativi del sovraffollamento della carenza di risorse economiche". Senza contare che nel carcere leccese esistono delle aree all’aperto con giochi e panchine in cui i genitori possono incontrare i figli in un ambiente "amichevole", oltre che sale e laboratori dove detenuti e detenute possono lavorare o seguire dei corsi. Certo, anche a "Borgo San Nicola" non mancano le criticità: nei settori ristrutturati di recente le condizioni di vita e di lavoro sembrano essere superiori alla media, mentre in altri settori non ancora ristrutturati celle e corridoi sono fatiscenti. Nel quadro di un giudizio positivo, che spinge il sindacato a indicare quello di Lecce come un modello da esportare in tutta Italia, non mancano però le zone d’ombra, documentate dal sindacato con un reportage fotografico: "Il principale problema del carcere di Lecce - conclude De Fazio - è il numero di detenuti, che si attesta a quasi il doppio dei posti regolamentari. Le piante organiche sono inadeguate rispetto al numero di detenuti e le parti dell’istituto non ancora interessate dai lavori di ammodernamento sono fatiscenti, con gli effetti delle infiltrazioni di acque di scarico e piovane ben visibili. Tuttavia la sensazione, che discende anche dall’aver potuto apprendere alcuni dettagli del progetto complessivo che dovrà interessare il penitenziario, è che ben presto pure quelle verranno superate e faranno divenire il carcere leccese come un modello da esportare". Brescia: Cancellieri, entro 15 giorni progetto per nuovo carcere, 24-36 mesi per realizzarlo Adnkronos, 21 ottobre 2013 Entro 15 giorni si troverà una soluzione per il carcere di Canton Mombello. È quanto ha assicurato il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, oggi in visita a Brescia e che, per impegni personali, ha dovuto cancellare la sua visita in programma proprio al carcere di Canton Mombello. “Avrei dovuto passare dal carcere questa mattina -ha sottolineato il ministro- ma devo rientrare rapidamente per una questione personale. Ho promesso al sindaco che nell’arco di 15 giorni, più o meno, giusto il tempo di risolvere alcuni miei problemi, ci rincontriamo e io porterò una soluzione”. “Ho buttato il cuore oltre l’ostacolo” ha sottolineato il ministro che ben conosce la situazione nel carcere di Brescia, essendo stata prefetto della città dal 2000 al 2003. Oltre alla situazione del sovraffollamento del carcere a Brescia vi è anche un problema di organico e “mentre per il carcere mi sento di impegnarmi sugli organici credo ci vorrà più tempo. Brescia soffre molto la carenza di organici non solo a palazzo di giustizia. Purtroppo Brescia ha poco personale statale in servizio e questa è una problematica molto complessa. Prometto quindi il mio impegno -ha concluso il ministro- ma non garantisco una soluzione”. Tornando alla soluzione da trovare per il carcere, se costruirne uno nuovo o se adattare una vecchia caserma di Montichiari “una volta approvato il progetto - ha sottolineato il ministro - si può andare dai 24 ai 36 mesi per la sua realizzazione”. “La legge di stabilità mi sta sostenendo molto su delle cose importanti che riguardano gli aspetti finanziari legati alle carceri, soprattutto nella vendita degli immobili e su alcune questioni per noi fondamentali perché possono portarci delle risorse”. Così il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, in visita oggi a Brescia giudica positiva la legge di stabilità. Su amnistia o indulto “è il Parlamento che decide sulla base della legge che si darà, se intende darsela”. È quanto sostiene il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, oggi in visita a Brescia. “La storia dice che i reati finanziari non sono mai stati contemplati da queste ipotesi però - ha concluso - è sempre il Parlamento sovrano che decide”. Cagliari: Sdr; assurdo Dap neghi da trasferimento Buoncammino per sovraffollamento Comunicato stampa, 21 ottobre 2013 “Negare a un detenuto, come fa il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il trasferimento da Buoncammino, motivandolo con il sovraffollamento, appare come un atteggiamento vessatorio e ingiustificato anche perché l’Istituto cagliaritano non è immune dalla piaga dell’eccesso di presenze di persone private della libertà”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento al caso di Saverio Marinaro, torinese, cardiopatico, con ricorrenti crisi asmatiche, che ha chiesto inutilmente di poter essere trasferito da Cagliari a Torino o in un Istituto vicino ai suoi familiari. “Il detenuto piemontese, che sta scontando una pena detentiva a 7 anni di reclusione, ha subito - precisa Caligaris - due infarti in seguito ai quali gli sono stati impiantati due stent. Le sue condizioni preoccupano i medici del carcere di Buoncammino che sono costretti a ricorrere a interventi in Day Hospital per tenere sotto controllo i diversi disturbi. Nei giorni scorsi infatti è stato necessario dapprima sottoporlo a un esame specifico in seguito a una crisi respiratoria e successivamente a un ricovero per un’ablazione. Senza contare la depressione, aggravata dalla distanza dalla famiglia, impossibilitata per la situazione economica a poter raggiungere Cagliari”. “Saverio Marinaro, assistito dall’avv. Teresa Camoglio, non chiede di tornare in libertà. È consapevole - conclude la presidente di Sdr - del reato commesso e ha accettato la pena. Vorrebbe soltanto avvicinarsi ai suoi parenti, come peraltro sancisce la legge sull’ordinamento penitenziario nell’ottica del recupero sociale previsto dalla Costituzione. In questo specifico caso inoltre le condizioni di salute meriterebbero una più attenta riflessione ma evidentemente il Dipartimento non tiene in alcuna considerazione i principi costituzionali trincerandosi dietro motivazioni discutibili. È lo Stato insomma a dover garantire i diritti dei cittadini compreso quello, per chi ha perso la libertà, di effettuare regolari colloqui con la moglie e i figli, specialmente in presenza di minori e di una condizione di salute particolarmente precaria”. Livorno: "ho aperto le celle a Gorgona"; intervista a Carlo Mazzerbo, direttore del carcere di Stefano Ardito Il Messaggero, 21 ottobre 2013 Carlo Mazzerbo, direttore del penitenziario sull’isola dell’arcipelago toscano, in un libro scritto con Gregorio Catalano racconta la sua esperienza con i detenuti impegnati in attività come l’acquacoltura e l’allevamento. In un’isola del Tirreno lavora un uomo soddisfatto di quel che fa. Carlo Mazzerbo, originario di Catania, è tornato da poco a dirigere il penitenziario di Gorgona, un’isola a diciotto miglia da Livorno. Ha già lavorato lì dal 1989 al 2004, e poi ancora dal 2008 al 2010. Da qualche settimana è ridiventato responsabile del carcere di Gorgona, che dirige insieme a quello di Massa Marittima. Prima di sistemarsi tra l’Arcipelago Toscano e la Maremma, Mazzerbo ha lavorato a Pianosa (un’altra isola-penitenziario), a Patti, a Messina, a Catania, a Como e a Monza. In trent’anni è diventato un esperto dell’universo carcerario italiano e dei suoi sessantacinquemila detenuti. Nel suo libro "Ne vale la pena" (Nutrimenti, 192 pagine, 16 euro), scritto insieme al giornalista Gregorio Catalano, racconta la sua vita e il suo lavoro. E si augura che l’esperienza di Gorgona possa servire anche altrove. "Appena il tredici per cento dei detenuti lavora. Tra loro, però, torna a delinquere solo il venti per cento" racconta. All’inizio degli anni Ottanta trovare un lavoro era più facile di ora. Perché ha scelto il concorso per le carceri? "Ho studiato Giurisprudenza, mi appassionava il sociale. Mi stavo preparando per il concorso per la Magistratura, mi ha convinto il mio amico Carmelo Cantone, poi diventato direttore di Rebibbia". Com’è arrivare per la prima volta in un carcere? "Terribile, anche per chi deve fare il vicedirettore. Tutti quei controlli, tutti quei chiavistelli. Poi, negli anni, mi sono appassionato al mio lavoro". Nel libro lei racconta il "carcere aperto" di Gorgona, dove i detenuti lavorano nell’agricoltura, nell’acquacoltura e nell’allevamento, come una sua creatura. È così? "L’esperienza di Gorgona è nata grazie a Niccolò Amato, il capo dell’amministrazione penitenziaria. Io l’ho fatta crescere, con i miei collaboratori". È stata un’esperienza difficile? "È stato estremamente complicato. Ho dovuto imparare molti mestieri diversi, compreso quello del barcaiolo per traghettare agenti e detenuti dalla nave al porticciolo. Ho conosciuto persone straordinarie ma anche situazioni drammatiche. Abbiamo avuto suicidi, evasioni, due omicidi". In questi anni il carcere di Gorgona è diventato anche una meta di escursioni? "Sì. All’inizio i visitatori erano isolati da tutto il resto, poi sono stati autorizzati a vedere l’azienda agricola, e a conoscere i detenuti. Molti di loro acquistano vino o provole di nostra produzione". Il carcere di Gorgona è piccolo e si trova su un’isola. L’esperienza può funzionare anche altrove? "Certo. Nel carcere di Bollate, in Lombardia, l’80% dei mille detenuti lavora. E molte aziende del territorio collaborano con il penitenziario. Ci sono belle esperienze di lavoro nelle carceri di Padova, Noto, Firenze e Siracusa. A San Vittore e a Rebibbia ci sono importanti esperienze culturali. A Massa Marittima prepariamo i detenuti al ritorno alla libertà e a trovarsi un lavoro". Perché è tornato per la terza volta a Gorgona? "Ormai sono considerato un esperto. I detenuti da duecento si sono ridotti a una cinquantina, ora bisogna farli aumentare di nuovo. Ma non è facile capire chi è adatto a vivere e a lavorare in una struttura così particolare". Qual è il momento più difficile della giornata in un carcere? "Le quattro del pomeriggio, quando cambia il turno degli agenti di custodia, e i detenuti vengono rinchiusi nelle celle. Finiscono il lavoro, i corsi, la socializzazione, lo sport. Restano i corpi ammassati, la gente che si lamenta e che urla. Lì si vede la durezza del carcere". Succede anche nel carcere-modello di Gorgona? "A Gorgona le celle si chiudono alle 20 d’inverno e alle 21 d’estate. È uno dei cambiamenti di cui sono più fiero". Belluno: manifestazione dei Radicali; il carcere è una vergogna istituzionale Corriere delle Alpi, 21 ottobre 2013 Giovedì sera i Radicali hanno manifestato di fronte al carcere di Baldenich. E insieme a loro, alcuni cittadini, più o meno comuni, tra i quali il sindaco Jacopo Massaro, l’assessore al sociale Valentina Tomasi e l’ex onorevole di Rifondazione comunista Gino Sperandio. Tutti presenti, all’inizio di una settimana di mobilitazione che si chiuderà con un’altra manifestazione in calendario venerdì 25, per continuare a chiedere migliori condizioni per i detenuti della casa circondariale. Un cartello costruito artigianalmente chiedeva "migliore qualità della vita " e un altro la metteva sul piano della legalità. Alle finestre alcuni ospiti dell’istituto di pena, con i quali sono stati scambiati saluti e messaggi di conforto. Vista da fuori, la situazione sembra alquanto allarmante e dentro dev’essere ancora peggio: Sperandio ha visitato la struttura tre anni fa, insieme all’altro consigliere regionale di quegli anni Pietrangelo Pettenò. La sua testimonianza, aggiornata di qualche tempo è sempre molto dura. Rende l’idea di quello che ha visto e sentito dire: "Ero di fronte al carcere di Baldenich, a un presidio per denunciare le condizioni inaccettabili della casa circondariale di Belluno. Come Rifondazione comunista. Con piena coerenza e sapendo che non porta alcun consenso, abbiamo cercato in questi anni di alzare un velo su una vergogna istituzionale che è presente nella nostra città, è per questo che sono stato insieme ai radicali a ribadire una battaglia di civiltà". Giusto i Radicali stanno cercando di organizzare un incontro con la direttrice del carcere, nel frattempo il Comune di Belluno ha già in progetto d’istituire la figura del garante dei diritti dei detenuti, della quale si occupa in prima persona proprio l’amministrazione comunale, che ospita questa struttura. Venezia: una cella "vera" in Piazza Ferretto, per sensibilizzare le persone sul carcere La Nuova Sardegna, 21 ottobre 2013 Detenuti in semilibertà ed ex detenuti, sabato 26 ottobre dalla 10 in poi, costruiranno in Piazzetta Coin una cella di dimensioni reali, con tanto di porta a inferriate, letti a castello, arredi, servizi igienici, per denunciare in piazza l’inciviltà del carcere. Naturalmente, si tratta di un prefabbricato che alle 18 verrà smantellato: è un’iniziativa della Camera penale veneziana, che riunisce gli avvocati lagunari, per informare quali siano le incredibili condizioni di vita dei detenuti nelle carceri italiani. Verranno distribuiti materiali informativi e si potrà vedere un video. Inoltre, gli operatori della Cooperativa Rio Terà dei Pensieri, attiva nelle due carceri di Venezia nel dare lavoro ai detenuti, metteranno in vendita i loro prodotti. L’iniziativa "Cella in piazza" si pone l’obiettivo di offrire a quante più persone possibili l’occasione di conoscere quale situazione vivono coloro che sono rinchiusi in un qualsiasi carcere italiano. le condizioni di sovraffollamento oggi non permettono di perseguire concretamente l’obiettivo della rieducazione del condannato, ne garantiscono il rispetto dei suoi diritti e della sua dignità personale. Attualmente sono circa 67 mila i detenuti, ma i posti disponibili sono 47 mila (a Santa Maria Maggiore sono poco meno di 300 e i posti disponibili sono meno di 160). Dal 200 ad oggi sono ben 700 le persone che hanno deciso di togliersi la vita in carcere. L’Italia, negli ultimi anni, è stata condannata dalla Corte europea di Strasburgo per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, proprio quello che vieta la tortura, le pene e i trattamenti inumani o degradanti. Le Camere penali italiane si sono subito schierate a favore dell’intervento dei presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che con un messaggio al Parlamento ha messo in rilievo tutto questo, sostenendo la necessità di un intervento urgente, così come da tempo ci chiede l’Europa. I penalisti veneziani sono anch’essi d’accordo della necessità che prima possibile vengano approvati amnistia e indulto, in attesa di riforme strutturali, che naturalmente toccano ai politici. Gli avvocati veneziani, sabato 26 ottobre, saranno in Piazzetta Coin anche per spiegare la loro posizione a tutti coloro che si fermeranno. Milano: Garante detenuti; al via un ciclo di incontri con docenti, esperti e autori di libri www.mi-lorenteggio.com, 21 ottobre 2013 Parte "Consigli di lettura su carcere e dintorni", un ciclo di incontri per conoscere e approfondire il tema della pena detentiva. Lo ha organizzato il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano Alessandra Naldi. Il primo appuntamento è in programma martedì 22 ottobre, alle ore 18, all’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele: interverranno Silvia Buzzelli, docente di diritto penitenziario all’Università Bicocca, e Lucia Castellano, consigliere in Regione Lombardia, membro della Commissione ministeriale sul sovraffollamento carcerario ed ex direttrice della casa di reclusione di Milano-Bollate. Silvia Buzzelli e Lucia Castellano sono le autrici, rispettivamente, de "I giorni scontati" e "Diritti e Castighi", due testi sul tema del carcere. L’idea della rassegna, infatti, è quella di proporre un confronto a partire dai libri, novità editoriali o pubblicazioni meno recenti, che hanno affrontato i tanti aspetti relativi agli istituti di pena e alle persone private della libertà. "Con questa rassegna - ha dichiarato Alessandra Naldi, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano - proveremo a far luce sulle tante problematiche che riguardano la pena detentiva. Dal sovraffollamento alle condizioni di vita in celle di tre metri per quattro, alla situazione delle donne e mamme detenute fino al sistema della giustizia minorile. Vogliamo offrire a chiunque sia interessato, per motivi di studio, lavoro o solo per curiosità, l’occasione di riflettere e discutere di carcere e pena con gli autori dei libri e gli esperti del settore". Il secondo appuntamento del ciclo di incontri è previsto per martedì 26 novembre e sarà incentrato sul tema delle strategie di sopravvivenza in cella e dell’importanza delle azioni che riempiono la vita quotidiana dietro le sbarre: farsi da mangiare, tenere in ordine la cella, costruirsi piccoli arredi con materiali di recupero. Ospiti dell’incontro saranno Davide Dutto, coautore del libro "Il gambero nero" e promotore dell’associazione "Sapori Reclusi", e Giorgia Gay, antropologa, giornalista e autrice di una ricerca sulla "domesticazione" dello spazio in carcere. Roma: eroina killer in una cella di Regina Coeli, condanna a detenuto nigeriano di Adelaide Pierucci Il Messaggero, 21 ottobre 2013 Aveva scambiato in carcere eroina con un po’ di cibo. Ma una dose di eroina pura aveva poi ucciso il suo compagno di cella. Per Iedemudia Osagie, corriere nigeriano che nel febbraio 2012 provocò a Regina Coeli la morte di Tiziano De Paola, un trentenne romano, appena fermato per piccolo spaccio, è arrivata la condanna del tribunale di Roma: un anno e mezzo di carcere. Una pena mite, strappata dal suo legale, l’avvocato Giacomo Marini, da sempre convinto che siano stati gli altri detenuti a convincere Osiage a consegnare un ovulo di 15 grammi di eroina non tagliata che aveva evacuato in carcere. Il nigeriano, un 25enne incensurato, si era prestato a portare in Italia ingoiandoli, 24 dosi di 15 grammi di eroina ingoiati. Ventitré erano stati recuperati con una lavanda in ospedale, dopo l’arresto. Ma un ovulo era sfuggito, così, dopo averlo evacuato in carcere lo ha ceduto o sotto ricatto o in cambio di derrate alimentari. "Non abbiamo puntato a riti alternativi", ha detto l’avvocato Marini, "perché volevo che un processo pubblico evidenziasse le pecche del carcere". Per la procura la colpa è stata soprattutto del corriere che ha fornito quella dose pura a un soggetto in via di disintossicazione. Cagliari: droga nel carcere di Buoncammino, lanciata oltre il muro di cinta dall’esterno Ansa, 21 ottobre 2013 Grazie a un ispettore di Polizia penitenziaria è stato sequestrato un etto di hascisc che un detenuto addetto alle pulizie nel carcere di Buoncammino aveva raccolto e depositato all’interno della busta dei rifiuti. Qualcuno, dal piazzale esterno che si affaccia su piazza D’Armi, ha lanciato oltre il muro di cinta una calza con un laccio bianco. L’involucro è stato poi raccolto dal detenuto addetto alle pulizie che lo ha depositato nel sacco dei rifiuti. Al rientro nella zona detentiva, il sacco è stato svuotato e la droga recuperata. Per il detenuto il direttore Gianfranco Pala ha disposto 15 giorni di isolamento e la rimozione dall’incarico di spazzino. Che la droga nel carcere cagliaritano circoli con facilità emerge anche da un’operazione effettuata dai cinofili della Polizia penitenziaria. Il 17 ottobre, gli agenti e i cani Badiane (pastore belga malinois) e Lorenza (dobermann) hanno effettuato un blitz nelle celle dell’istituto di pena. Nel braccio destro, con i detenuti fuori dalle celle per la perquisizione, uno di loro (un cagliaritano di 23 anni, in cella per spaccio e che finirà di scontare la pena nel 2015) ha cercato di ingoiare un ovulo. La mossa non è sfuggita a un poliziotto che è riuscito a far sputare l’involucro. Aperto, all’interno sono state trovate sette dosi di hascisc. Anche per il giovane, che ha ammesso le sue responsabilità, è scattata la denuncia e l’isolamento per 15 giorni. Padova: teatro-carcere, la "compagnia" del Due Palazzi ritorna sul palco di Alberta Pierobon Il Mattino di Padova, 21 ottobre 2013 Un nuovo corso. Anzi una rinascita in grande stile, quella del Teatro-Carcere di cui è stata e continua ad essere capofila Maria Cinzia Zanellato, attrice e regista teatrale, forte di quella passione e di quell’ostinazione che muovono le grandi imprese. Lei rimane la responsabile del progetto, affiancata e sostenuta da una nuova rete di "soci": Bel Teatro, associazione da 20 anni presente a Padova; i Comuni di Cadoneghe e Vigodarzere e sempre con l’appoggio del direttore del Due Palazzi. Da vent’anni, e fino a quest’estate, il progetto dei laboratori settimanali in carcere (nella sezione penale) e l’allestimento degli spettacoli con gli attori-detenuti, era un "ramo" dell’attività di Tam-Teatromusica, gruppo "storico" padovano di cui Cinzia Zanellato faceva parte fin dalle origini. L’ultimo spettacolo, "Experti", tratto da Kafka e con testi originali scritti dai detenuti medesimi, l’anno scorso è stato presentato due volte dentro il Due Palazzi davanti a un folto pubblico interno ed esterno. E la compagnia degli otto detenuti-attori per tre volte tra maggio e agosto ha recitato "fuori": all’Mpx, nell’ambito del festival Biblico; a Vigodarzere e a Salzano. Ogni volta un trionfo. Poi, in agosto, "Experti" era previsto nel cartellone della rassegna al Castello Carrarese e, meglio ancora, era stato selezionato per partecipare al Premio Off, al Verdi, indetto dal Teatro Stabile del Veneto. Tutto pronto, prove e riprove, emozione, motivazione. La grande occasione. Tutto disfatto, quando d’improvviso il Tam di Michele Sambin, con un colpo di mano e scavalcando Cinzia Zanellato, ha ritirato lo spettacolo sia dalla rassegna che dal concorso. Come dire, abbiamo cambiato strada, questa faccenda del "teatro civile" non ci interessa più. Punto e chiuso. Lasciando lei con il cuore dolorante e abbandonando quegli attori-detenuti per i quali fare teatro vuol dire scoprirsi capaci di un’altra, nuova, vita oltre il carcere. Sono passati due-tre mesi: prima lo sprofondamento nell’angoscia, poi la ratificazione del brusco stacco dal Tam, infine una sorprendente e spontanea raccolta di forze e disponibilità attorno al progetto. Che quindi ricomincia. A fine ottobre uscirà il bando regionale per i finanziamenti e si spera che il contributo arrivi. Ieri Maria Cinzia Zanellato, carica e raggiante, ha presentato il nuovo corso in una conferenza stampa al Centro universitario in zia Zabarella, assieme a Bruno Lovadina, presidente di Bel Teatro; a Lorena Orazi, responsabile dell’area pedagogica della Casa di reclusione Due Palazzi; alla consigliera comunale di Cadoneghe Augusta Parizzi e a Lucio Piva per il Comune di Vigodarzere. A breve ricominceranno gli incontri, 20-25 i detenuti già coinvolti e altri ne arriveranno. Nel frattempo il progetto si è rafforzato grazie alla firma di un protocollo di intesa tra il ministero della Giustizia e il coordinamento nazionale Teatro Carcere di cui il gruppo padovano è socio fondatore. Intanto oggi la giornata si annuncia campale. A mezzogiorno gli otto, strepitosi attori-detenuti (italiani, africani, maghrebini e albanesi) parteciperanno, invitati da Alessandro Gasmann, direttore del Teatro Stabile del Veneto, alla cerimonia di premiazione del Premio Off al Verdi (concorso al quale avrebbero dovuto partecipare). E alle 16 porteranno lo spettacolo "Experti" a Cadoneghe all’auditorium Ramin. Pisa: in scena "L’illogica allegria", lo show per il carcere tornerà ogni anno di Gianluca Campanella Il Tirreno, 21 ottobre 2013 A mezzogiorno di ieri erano 559 i biglietti venduti (su 800 circa disponibili) per lo spettacolo "L’illogica allegria": l’incasso per la serata di beneficenza in favore dei detenuti del carcere Don Bosco sale così a 12.303 euro. Esauriti in brevissimo tempo i tagliandi di importo basso, restano i tagli da 40, 50 e 100 euro. E così il sindaco Marco Filippeschi fa un appello alla città e alle autorità affinché accorrano al botteghino per "i contributi più rilevanti". Per il momento hanno già acquistato un biglietto il premier Enrico Letta (che lo ha regalato a un detenuto), il deputato Paolo Fontanelli, il consigliere regionale Paolo Tognocchi e il presidente della Provincia Andrea Pieroni; altre telefonate di invito sono partite da palazzo Gambacorti. Si sa anche che il prefetto Francesco Tagliente ha rinunciato al posto a lui riservato per legge, in adesione allo spirito dell’iniziativa, che ha un sottotitolo: "Non sono previsti biglietti omaggio". Lo spettacolo al teatro Verdi comincia alle 20,30 di mercoledì 23 e dura circa tre ore senza intervallo; pertanto, tutti i possessori dell’ingresso potranno approfittare di un aperitivo offerto dal Dsu Toscana, azienda regionale per il diritto allo studio, dalle 19 alle 20,15 in via Martiri 7 (dietro piazza dei Cavalieri), dove c’è la mensa universitaria centrale. Lo show vuole bissare l’esperienza di sette anni fa, quando fu commemorato il terzo anniversario della scomparsa di Giorgo Gaber (morto il primo gennaio 2003) e si raccolsero 35mila euro. Anche in quest’occasione, il decennale, sarà dedicata all’artista milanese che più di altri si è speso per la causa dei carcerati. Tutti coloro che saliranno sul palco si sono impegnati a cantare almeno un brano di Gaber: per esempio, "L’illogica allegria" vedrà la performance di Gianmaria Testa; "La libertà" sarà cantata in arabo da otto detenuti; e addirittura i Gatti Mézzi si esibiranno solo con i successi del "Signor G". Conduce la serata Claudio Bisio e ci saranno anche Bellula Babies, Bianca Barsanti, Alessandro Benvenuti, Gianni Coscia, Tetes De Bois, Letizia Fuochi, Sandro Luperini, Nino Pellegrini, Bobo Rondelli, Adriano Sofri, Sergio Staino e Roberto Vecchioni. Filippeschi e l’assessore alla cultura Dario Danti (che ha comprato 28 biglietti per i ragazzi di due comunità) intendono far diventare l’appuntamento a cadenza annuale con momenti specifici di riflessione - come convegni o simili - su temi specifici della vita carceraria dislocati in altre zone della città. Lo spettacolo non sarà relegato al palco, ma prevede momenti di interazione con il pubblico al quale più volte sarà chiesto di cambiare sedia: spariranno i cognomi e le cariche delle persone e in questa sorta di gioco anarchico tutti si chiameranno per nome. Il direttore: con quei soldi recupereremo gli spazi per i laboratori Fabio Prestopino, da un anno e mezzo direttore del carcere Don Bosco, spiega che con il ricavato dello spettacolo "L’illogica allegria" intende "ripristinare una situazione decorosa in alcuni spazi comuni dove attualmente si tengono laboratori teatrali e musicali per i detenuti, tra molti disagi: ci piove dentro e non funzionano bene il sistema di aerazione e riscaldamento". Il penitenziario pisano al suo interno ha un centro clinico tra i cinque più importanti d’Italia, ha circa 80 anni di età e "non si può pensare che basti a se stesso" evidenzia Prestopino: "Quest’anno abbiamo ricevuto dal ministero di Giustizia una dotazione di 300mila euro su cui stiamo lavorando e che considero già impegnati. Ma ho inviato molte altre segnalazioni, perché non sono fondi sufficienti per una cittadella con 400-500 detenuti e 250-300 operatori". Tra le lettere inviate a Roma c’è anche l’invito a trovare una soluzione per un padiglione nuovo, la cui costruzione è cominciata anni fa e che è inutilizzabile, poiché incompleto, malgrado siano stati spesi finora circa sei milioni di euro, "ma nessuno sa la cifra esatta". Il direttore parla di varie difficoltà al Don Bosco: "Dal problema minimo dei diffusori mancanti nelle docce a quello massimo di problemi strutturali (che comunque non pregiudicano l’agibilità". Ma indipendentemente dai problemi di sovraffollamento lamentati in questi giorni ai massimi livelli, "che siano 40 o 60mila i detenuti, si deve intervenire per migliorare le necessità concrete della popolazione carceraria e la vivibilità delle aree, in particolare degli spazi comuni". Mercoledì al Verdi ci saranno molti "miei collaboratori, che stanno dimostrando un entusiasmo superiore a quanto ci si aspetterebbe dal dovere d’ufficio. È un bel segnale". Pistoia: teatro-carcere con la Compagnia Rossolevante, i "Giorni rubati" al S. Caterina Il Tirreno, 21 ottobre 2013 "Giorni rubati D10, D11" è il titolo dello spettacolo teatrale, che mercoledì scorso la Compagnia Rossolevante ha offerto ai detenuti del carcere pistoiese di S. Caterina in Brana, grazie alla collaborazione fra l’assessorato alla cultura della Provincia, la Casa circondariale di Pistoia e l’associazione Teatro popolare d’arte (diretta da Gianfranco Pedullà, che dal 2005 cura il laboratorio teatrale rivolto ai detenuti). Da anni lo spettacolo del gruppo teatrale sardo Rossolevante sul tema degli infortuni sul lavoro sta girando il nostro Paese, nei teatri, nei festival, nelle fabbriche, incontrando gli operai, nelle scuole con i giovani, passando dal salone delle feste del palazzo del Quirinale (lo spettacolo nel 2012 ha ricevuto da Napolitano la medaglia di rappresentanza del presidente della Repubblica, in occasione della "Giornata Nazione delle vittime del lavoro") ai luoghi meno "luminosi", più marginali e dolorosi, delle nostre città, come le carceri. Nella Casa circondariale di Pistoia, di fronte agli oltre 70 detenuti presenti nella palestra - teatro della struttura penitenziaria, Giammarco Mereu, ex operaio e grande invalido a seguito di un infortunio, ha raccontato la sua storia. "Il punto di partenza nella creazione di questo lavoro è stato il terribile incidente subito da un giovane operaio nostro amico nel molo di Arbatax che una sera del 2006, a soli 37 anni, è rimasto schiacciato sotto un cancello di 600 chili che gli ha spezzato la schiena e tolto per sempre la possibilità di camminare - spiega Juri Piroddi, regista, insieme a Silvia Cattoi, dello spettacolo - La storia di Giammarco è la storia di tanti ) altri". Una storia dolorosa, ma piena di forza e di voglia di ricominciare è quella che Giammarco Mereu, l’operaio di allora, oggi attore, racconta in questo intenso lavoro, commovente e delicato, da lui scritto e interpretato. "È la storia di chi ha dovuto re imparare, rivedere e riscoprire tutto - conlcude Piroddi - la storia di una lotta personale che vuole diventare una lotta comune, perché si parli di tragedie che ogni giorno colpiscono il mondo del lavoro, come una sorta di guerra sotterranea che nessuno vuol vedere o di cui vuol sentir parlare". Insieme ai detenuti, hanno partecipato allo spettacolo rappresentanti della Provincia, Cgil, Inail e Arci. Un pubblico attento e partecipe, che ha ringraziato Giammarco Mereu e il gruppo Rossolevante per il costruttivo messaggio trasmesso, l’invito a trovare la forza di andare avanti e ricostruire la propria vita. Airola (Bn): l’Ipm realizza il corto "Storia di un attimo", con la collaborazione di Vincenzo Sociano di Antonio D’Addio www.informatoresannita.it, 21 ottobre 2013 Finalmente la post produzione è terminata e il corto Storia di un attimo, prodotto dall’Associazione senza scopo di lucro, "Orfani della vita", nata dal felice incontro dell’attore Vincenzo Soriano, che ha alle spalle una delicata vicenda personale di bambino abbandonato ed adottato, con la cantautrice D’Aria, la quale, affascinata e commossa dalle vicende di Soriano, ha realizzato un brano che racconta la sua vita difficile e travagliata. I due hanno deciso di unire la vita professionale e quella privata e di dedicarsi, parallelamente, ad impegni artistici e sociali. Il corto, "Storia di un attimo", è stato ambientato nell’Istituto Penitenziale Minorile di Airola (Bn) e vede come protagonisti proprio i giovani detenuti sotto l’attenta guida di Vincenzo Soriano e D’Aria. Su You Tube è già possibile vedere il trailer e lasciare dei commenti. Il filo conduttore è rappresentato dalle loro storie, un’occasione di riscatto sociale che possa essere anche una speranza per tutti loro. La storia, scritta da Antonella D’Agostino e Nevio Russo e diretta dalla stessa D’Agostino e Vincenzo Soriano, prende spunto dalla singolare vita di Vincenzo Soriano. Una scelta segna le vite dei protagonisti, sette giovani ragazzi che in un attimo, per una scelta, sono diventati l’espressione dei sette peccati capitali (ira, superbia, accidia, lussuria, invidia, avaria, gola) che li condurrà dietro le sbarre dove conosceranno Vincenzo, ex meccanico di origini modeste, diventato, per scelta, guardia penitenziaria. Una convivenza difficile quella di Vincenzo con i detenuti, lui non accetta il destino che hanno scelto in un attimo e con Dalia, dolce musicista ed amore della sua vita, decidono di insegnare loro a scegliere la strada giusta. Entusiasti della bellissima esperienza i giovani detenuti dell’IPM di Airola, interpreti dei ‘sette vizi capitalì. "Nessuno nasce delinquente, spesso sono le condizioni di vita ad indicare la strada sbagliata - ha spiegato un Vincenzo Soriano commosso e soddisfatto dell’iniziativa. Il mio obiettivo è dare loro l’opportunità di scegliere e costruire il loro futuro. Per questo ringrazio il direttore dell’IPM di Airola, Mariangela Cirigliano che ci ha permesso di realizzare il cortometraggio all’interno del carcere". La cantautrice D’Aria, in dolce attesa, oltre a recitare, ha scritto e prodotto la colonna sonora del film: "Il nostro obiettivo attraverso l’Associazione è creare occasioni positive, opportunità che consentano ai giovani di costruire un futuro migliore per loro e per l’intera società". Il corto, oltre alla normale programmazione, sarà presentato a tutti i concorsi e i festival, i proventi serviranno ad allestire una cucina professionale all’interno del carcere per formare i detenuti e dare loro la possibilità di trovare lavoro una volta liberi. Augusta (Sr): al via un corso di fotografia per 12 detenuti della Casa circondariale Apcom, 21 ottobre 2013 La direzione della casa di reclusione di Augusta comunica che ha preso oggi avvio il primo corso di fotografia, realizzato in collaborazione con l’associazione Augusta freelance, che svolgerà questa attività a titolo gratuito. Il primo modulo del corso è stato preceduto da una rassegna delle fotografie che hanno segnato grandi avvenimenti mondiali, come la bomba ad Hiroshima, il bacio del soldato americano a Times square, l’ingresso di Hitler a Parigi occupata, il Ko inferto da i Mohamed Alì a Sonny Liston, la morte del miliziano, il Mahatma Gandhi, l’uomo a piedi che ferma i carri armati in Piazza Tien A Men. Poi, la prima lezione con la storia della macchina fotografica, dal dagherrotipo alle vecchie analogiche da 35 mm e 6 X 6 fino alle prime digitali. Il corso viene seguito da dodici detenuti, avrà la durata di due mesi e terminerà con una mostra e la premiazione della foto migliore. Pescara: Walter Nanni diverte al carcere di San Donato per l’associazione Donna Cultura www.abruzzo24ore.tv, 21 ottobre 2013 Ieri pomeriggio, presso il carcere "San Donato" di Pescara, si è svolto uno spettacolo satirico dell’attore e regista Walter Nanni, organizzato dall’associazione culturale onlus "Donna Cultuna" di Spoltore. L’attore ha aperto in gran festa lo spettacolo che ha coinvolto i detenuti in un plauso continuo alternato a grandi risate, spaziando dalla parodia della pubblicità, ai vecchi cartoni animati, fiction, slogan sulle sigarette concludendo con la poesia del grande Totò "A livella" con un interpretazione magistrale. L’evento è stato un successo annunciato dopo l’ottima performance eseguita l’anno scorso presso il carcere "Madonna del Freddo" di Chieti in occasione della prima edizione del Premio. Walter Nanni è testimonial del concorso e presidente di giuria della prima edizione, impegnato al "Teatro dei Satiri" a Roma e nelle riprese di un film-documentario sugli immigrati del Senegal. Il direttore della struttura Dott. Franco Pettinelli ha già dato disponibilità per gli incontri del laboratorio poetico che l’associazione svolgerà coi detenuti al fine di incentivare la scrittura. L’evento ha inaugurato la pubblicazione del bando ufficiale del Premio Nazionale di Poesia "Alda Merini - A tutte le donne" nel quale i detenuti saranno direttamente coinvolti. Quest’anno il Premio è alla sua seconda edizione: si propone di promuovere lo studio e la valorizzazione dell’arte poetica come strumento di emancipazione dello spirito e di affinamento della percezione della realtà, riservando una specifica attenzione alle giovani generazioni e alle realtà di disagio sociale presenti sul territorio abruzzese. A tal fine il Premio affiancherà all’usuale momento di selezione e premiazione, un’attività collaterale formativa e di sensibilizzazione rivolta ai detenuti delle Case Circondariali presenti sul territorio abruzzese. India: caso Marò, in Italia inquirenti indiani per interrogare commilitoni di Ugo De Giovannangeli L'Unità, 21 ottobre 2013 Una squadra della National Investigation Agency indiana potrebbe arrivare presto in Italia per interrogare i quattro marò che furono testimoni dell'incidente al largo della costa del Kerala nel 2012, a bordo dell'Enrica Lexie insieme a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. I quattro, sostenuti dal governo italiano, si sono infatti rifiutati di recarsi in India per testimoniare. E dopo un lungo braccio di ferro, le autorità indiane avrebbero ceduto. A riferirlo è l'agenzia stampa indiana Pti. Il Times of India aggiunge che sarebbe la polizia italiana ad interrogare i quattro marò, alla presenza di una squadra Nia. La seconda opzione possibile sarebbe invece quella di ottenere le dichiarazioni da parte dei testimoni in base al Trattato di reciproca assistenza legale firmato da India e Italia. Entrambi i metodi sono accettati dai tribunali indiani. Le due proposte fatte dall'Italia, interrogare i testimoni in videoconferenza o tramite un questionario, non sono invece ammissibili per la magistratura indiana. I quattro fucilieri che si trovavano a bordo della Lexie con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte. Le notizie che giungono dall'India s'intrecciano con le mai sopite polemiche interne. "Accetto consigli da tutti ma un po' meno sono disposta ad accettare polemiche". È quanto sostenuto nei giorni scorsi dalla ministra degli Esteri, Emma Bonino, alle Commissioni riunite Esteri e Difesa durante l'audizione congiunta con il collega Mario Mauro, in riferimento alla vicenda dei due marò italiani trattenuti in India. "Vanno bene lezioni da tutti, con qualche distinguo", ha spiegato la titolare della Farnesina, dopo le recenti critiche a tal proposito, arrivate anche dal suo predecessore Giulio Terzi. Il governo Letta, ha detto la ministra Bonino, ha "ereditato un dossier di grande complessità" sulla vicenda dei due marò italiani trattenuti in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. "Il nostro impegno è portare a casa i marò. Dove si è bloccato il discorso, che al momento penso stiamo superando, è l'interrogatorio dei quattro militari che erano sulla nave" con Latorre e Girone. "Noi giustamente ci rifiutiamo di rimandarli in India per essere interrogati e il braccio di ferro sta in queste dimensioni", ha commentato Bonino, precisando che una volta in Italia "i nostri connazionali avranno un processo davanti una Corte speciale" e per loro varrà "la presunzione di innocenza". "Non voglio far polemiche - insiste la ministra degli Esteri - con chi ha gestito in passato questo dossier. Accetto le critiche di tutti, ma non di chi l'ha gestito prima. Se era così bravo - puntualizza - li portava a casa. Altrimenti mi faccia lavorare". Il principale destinatario degli strali di Bonino è il suo predecessore alla Farnesina: Giulio Terzi. "Preciso a giusta memoria - replica Terzi - che nel febbraio 2013 li ho riportati in Italia, mi sono dimesso quando altri hanno deciso di rimandarli in India". "Da marzo a oggi, tra silenzi e annunci, nulla è accaduto - prosegue l'ex ministro degli Esteri - se non la sottomissione a processo illegittimo in India. Questi sono i fatti. L'unico mio auspicio è che finalmente parta l'azione internazionale per riportarli a casa". Ma a litigare sul caso dei marò italiani sono anche i ministri indiani. E, considerato che il braccio di ferro potrebbe avere riflessi sulla campagna elettorale locale, la tensione rischia di complicare la sorte dei due fucilieri del Battaglione San Marco. La tensione tra i ministri è così alta che, secondo il quotidiano The New Indian Express, il governo federale ha deciso di chiedere il parere del procuratore generale, G.E. Vahanvati, per "trovare una via d'uscita al pasticcio". Spagna: la Corte di Strasburgo si pronuncia oggi sull’ergastolo “aggravato” per i terroristi Nova, 21 ottobre 2013 Spagna, la Corte di Strasburgo si pronuncia oggi sulle discrepanze giudiziali relative alla “Dottrina Parot”. La Corte europea dei diritti dell’uomo, questa mattina, stabilirà se la cosiddetta Dottrina Parot, la norma giuridica che la Spagna sta applicando da sette anni per inasprire la carcerazione dei detenuti con pene più lunghe (specialmente terroristi), è valida o meno secondo il diritto europeo. Se la Corte dovesse giudicarla non valida, questo potrebbe portare alla scarcerazione di 61 membri dell’organizzazione terrorista basca (Eta) e almeno 14 detenuti comuni. Altre diverse decine di prigionieri Eta, circa 80 dei quasi 600 appartenenti alla banda, potrebbero beneficiarne nel medio-lungo termine, in una seconda fase, secondo il Ministero degli Interni. Il governo guidato da Mariano Rajoy ha informato che si atterrà alla sentenza, ma la dà praticamente per persa e ora tiene le dita incrociate nella speranza che abbia un effetto immediato limitato. La prima corte che applicò i benefici di riduzione della pena detentiva su ciascuna di esse e non sulla totalità della sua condanna, fu quella di Huelva, nel 1993. Lo fece con Josè Franco de La Cruz, detto El Boca, stupratore e assassino di una bambina di nove anni. La Corte suprema revocò questa formula nel 1994. Tuttavia, 12 anni dopo, nel 2006, la ritenne applicabile al sanguinario membro dell’Eta, Henri Parot, che diede il nome alla nuova dottrina. Fu allora che scoppiò una dura lotta nei tribunali ed è per questo che la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo stabilirà oggi i limiti definitivi ad una interpretazione giuridica imposta da parte della Corte Suprema nel 2006 e perfezionata dalla Corte Costituzionale nel 2012. Stati Uniti: le prigioni si stanno trasformando nei nuovi ospedali psichiatrici di Ivano Abbadessa www.west-info.eu, 21 ottobre 2013 Negli Stati Uniti sono decine di migliaia i reclusi con malattie e disabilità mentali. Una situazione critica dal punto di vista sociale, ma anche economico. Visto che trattare i malati di mente dietro le sbarre non è certo una soluzione a buon mercato. Ma costa ai contribuenti americani circa 9 miliardi di dollari l’anno, secondo il National Alliance on Mental Illness. Non certo pochi in epoca di shutdown. Persone con disordini celebrali che vanno dalla depressione, alla schizofrenia fino ai disturbi di personalità borderline e antisociale, caratterizzati da improvvisi cambiamenti di umore. Le cause dell’attuale emergenza carceraria Oltreoceano vanno ricercate nella chiusura di centinaia di case di cura a partire dagli anni Settanta, sotto la presidenza di Jimmy Carter. Giustificate dalla mancanza di fondi necessari a mantenere aperte queste strutture. Lasciando molti pazienti abbandonati. A vagabondare per le strade della città, senza casa, senza trattamenti psichiatrici e senza lavoro. Situazioni che creavano le circostanze ideali per farli finire dritti in galera. Dato che la condizione di marginalità, povertà e uso di droghe li rendeva facile preda della criminalità. Una realtà che con gli anni è andata sempre più aggravandosi. Nelle prigioni nella Contea di Cook (Illinois), Los Angeles e New York City c’è la più grande popolazione di detenuti malati di mente. Si pensi che i circa 11mila prigionieri trattati quotidianamente nei tre istituti di pena equivalgono al 28% del totale dei posti letto disponibili nei 213 ospedali psichiatrici statali presenti nel paese. Numeri che crescono addirittura lì dove i crimini calano. Ad esempio, nella città di New York la popolazione detenuta è di 11.500 persone, contro i 13.500 del 2005. Ma il numero dei reclusi con problemi psichici è contemporaneamente salito a 4.300 contro i 3.300 di otto anni fa. E in Italia la situazione non è certo migliore. Un detenuto su tre soffre di disturbi mentali. Ovvero sul totale della popolazione carceraria (circa 70mila persone) sono 20mila quelli che convivono con una patologia psichica. E il problema andrà a peggiorare con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) nel 2014. Che rischia di acuire il problema del sovraffollamento, già ora a livelli record. Se non si interverrà con misure appropriate una parte dei detenuti degli Opg, infatti, tornerà dietro le sbarre. Compromettendo qualsiasi possibilità di recupero. Visto che gli stessi psichiatri sostengono che è meglio curare queste persone fuori dalle mura del carcere. Siria: al-Watan; liberate 128 detenute. Attivisti: nessuna conferma della liberazione La Presse, 21 ottobre 2013 Non è ancora chiaro l’esito della terza parte dell’accordo che ha visto la liberazione nei giorni scorsi dei nove pellegrini sciiti libanesi rapiti in Siria e di due piloti della Turkish Airlines sequestrati in Libano. Gli attivisti siriani fanno infatti sapere di essere ancora alla ricerca di notizie sulla liberazione delle donne detenute nelle carceri del governo di Damasco, come richiesto dai ribelli come parte dell’intesa. Il giornale filo-governativo al-Watan, citando fonti dei media, riferisce oggi che sono state rilasciate 128 donne. Ma gli attivisti dicono di non avere conferme. Arabia Saudita: Amnesty International accusa; repressione diritti umani su larga scala Aki, 21 ottobre 2013 L’Arabia Saudita dà "libero sfogo alla repressione" dal 2009 rendendo "disastrosa la situazione dei diritti umani" nel Paese. Lo denuncia Amnesty International, che accusa le autorità saudite di torturare gli attivisti e di procedere con arresti arbitrari. Alla vigilia di un incontro convocato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, il direttore di Amnesty per i Paesi Mena Philip Luther ha dichiarato che "le precedenti promesse dell’Arabia Saudita all’Onu si sono rivelate fasulle". Luther ha quindi accusato Riad di farsi forza del suo "peso politico ed economico come deterrente per evitare le critiche della comunità internazionale sui diritti umani". Nel rapporto "Arabia Saudita: promesse non mantenute", Amnesty critica "la repressione continua, tra cui arresti arbitrari, processi non equi, torture e maltrattamenti negli ultimi quattro anni" nel Regno. "Non solo le autorità non hanno agito, ma hanno continuato la repressione" dal 2009, ha detto Luther. "Per tutti gli attivisti pacifici arrestati in modo arbitrario, torturati e detenuti in Arabia Saudita, la comunità internazionale ha il dovere di chiedere conto alle autorità" di Riad, ha detto il funzionario di Amnesty. L’organizzazione ha quindi rinnovato a Riad la richiesta di rilasciare due illustri attivisti per i diritti umani arrestati a marzo. Si tratta di Mohammed al-Gahtani e Abdullah al-Hamed, condannati rispettivamente a 11 e 10 anni di carcere per aver violato la legge usando Twitter per denunciare vari aspetti della vita politica e sociale nel Regno. I due hanno fondato l’Associazione saudita per i diritti civili e politici. "Sono prigionieri di coscienza che vanno liberati immediatamente e senza condizioni", ha chiesto Luther. "Il loro attivismo contro le violazioni dei diritti umani merita lode, non punizione. L’unico colpevole qui è il governo", ha aggiunto. Amnesty ha quindi documentato una "discriminazione sistematica delle donne nella legge e nella pratica" da parte delle autorità saudite, che commettono anche "abusi nei confronti dei lavoratori immigrati". Riad viene anche accusata di "discriminazioni delle minoranze", come gli sciiti che vivono per lo più nella provincia orientale. Infine, Amnesty contesta al Regno saudita le "esecuzioni basate su processi sommari e "confessioni" estorte sotto tortura".