Più soldi e lavoro per chi è in carcere di Francesca Vianello* Mattino di Padova, 16 ottobre 2013 Non è l’occupazione interna che abbatte la recidiva ma l’impiego che si ottiene una volta usciti. Meglio se appena usciti Il lavoro in carcere è un diritto, ma riesce ad accedervi solo una minima parte dei detenuti, neanche il 20% a livello nazionale: per questo è sicuramente necessario un suo ampliamento e sono auspicabili una legislazione più attenta e una destinazione di fondi più sostanziosa. Il lavoro in carcere è risorsa ambita: lo è per il detenuto in termini economici, per integrare il vitto giornaliero e magari mandare qualche soldo a casa, e per la qualità della vita, altrimenti da trascorrere in lunghe ore di inattività dentro a una cella. Il lavoro è una risorsa anche per l’amministrazione del carcere, che lo propone come attività trattamentale e lo utilizza come strumento per una più agevole gestione dei detenuti. Il lavoro penitenziario, infine, è una risorsa per cooperative e imprese, che possono godere di sgravi fiscali e detassazioni nell’impiego dei detenuti. Ciò nonostante, il lavoro penitenziario non basta. Non esiste alcuna ricerca, a livello nazionale o europeo, che attesti una relazione tra impiego dei detenuti in carcere e abbattimento della recidiva. Le ricerche italiane testimoniano una relazione tra affidamento in prova al servizio sociale e diminuzione della recidiva: ma se l’affidamento in prova spesso comprende l’inserimento lavorativo, la sua essenza sta nel progressivo accompagnamento fuori dalle mura del carcere. A livello europeo ricerche più specifiche - eseguite su campioni rappresentativi di detenuti e misurazioni della recidiva ad almeno cinque anni di distanza - testimoniano il medesimo risultato: non esiste prova di alcuna relazione tra il lavoro interno al carcere e l’abbattimento della recidiva dei detenuti. La relazione positiva è piuttosto con l’inserimento lavorativo al momento della scarcerazione: non è il lavoro all’interno del carcere che abbatte la recidiva, ma il lavoro una volta usciti, meglio se appena usciti. Purtroppo, secondo le ricerche, il lavoro in carcere non aumenta le possibilità di un inserimento lavorativo al momento della scarcerazione: non solo perché il lavoro penitenziario spesso non è formativo né professionalizzante, non riesce a tener conto della domanda di lavoro all’esterno, non garantisce - attraverso cooperative ed imprese che impiegano i detenuti solo dentro al carcere - contatti adeguati con le realtà produttive; ma anche perché, così copre svolto nella maggior parte degli istituti, si compone di frazioni di lavoro concesse e sottratte a piacimento, turnazioni imprevedibili, pagamenti sostanzialmente a cottimo e controlli invasivi. In tal modo non si trasmette il valore sociale del lavoro, il suo essere un diritto (per tutti) ed una porta d’ingresso alla cittadinanza sociale, un vettore di responsabilità e dignità. *Professore di Sociologia della devianza, docente di Condizione carceraria, responsabile scientifico European Prison Observatory, Università di Padova Giustizia: se l’etica entra nelle patrie galere di Franco Corleone Il Manifesto, 16 ottobre 2013 L’irruzione nel dibattito politico della proposta di amnistia e indulto, avanzata dal presidente Napolitano per rispondere ai rilievi della Corte europea per i diritti umani, sta provocando polemiche strumentali. Con il rischio che della situazione insostenibile delle carceri non si parli più e che si abbandoni il confronto sui possibili rimedi e sulle cose da fare subito. Viene dunque a proposito la pubblicazione del documento elaborato dal Comitato Nazionale per la Bioetica, significativamente intitolato “La salute dentro le mura” e che si pone in continuità al precedente parere “Il suicidio in carcere” del giugno 2010. Il tema della salute è visto sotto l’aspetto etico della disparità da superare: i ristretti rappresentano un gruppo la cui salute è mediamente più compromessa di quella dei liberi, ancor prima di entrare in carcere. Questo svantaggio iniziale è poi aggravato da una pratica quotidiana di detenzione che produce sofferenza e malattia. La condanna dell’Italia per trattamenti crudeli e degradanti da parte della Corte di Strasburgo ha svelato uno stato di illegalità e di violazione delle norme della riforma penitenziaria del 1975 e del Regolamento di attuazione del 2000. In questo quadro il passaggio di competenze sanitarie dall’amministrazione penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, avvenuto nel 2008, non ha ancora manifestato i suoi effetti nel riequilibrare l’accesso al bene salute tra i soggetti reclusi e i cittadini liberi. Il superamento di una gestione “domestica” della sanità rispondeva ad un’istanza di trasparenza di un’ istituzione totale chiusa come il carcere, da realizzarsi con l’immissione di personale sanitario autonomo e con chiare priorità circa il bene salute da proteggere rispetto alle esigenze di sicurezza. Purtroppo una gestione troppo burocratica e una certa sudditanza psicologica hanno fatto spesso chiudere gli occhi quanto meno sui fattori ambientali della salute: in primo luogo su un quadro di condizioni igieniche sanitarie che provocherebbero la chiusura per qualunque esercizio commerciale. Eppure, l’emergenza del sovraffollamento non può trasformarsi in un alibi per non applicare norme e standard previsti. Solo un esempio: in decine e decine di carceri è presente ancora il bancone di separazione nei locali dei colloqui tra detenuti e famigliari. Ancora: in una percentuale altissima di istituti le finestre hanno schermature che impediscono la luce diretta con danni notevoli alla vista. La salute dei detenuti è minata dalla limitazione dell’affettività e dei rapporti con la famiglia e i figli, perfino dall’assenza di tessere personali per le comunicazioni telefoniche, dalla mancanza di luoghi di socialità e di refettori per la consumazione dei pasti in comune. Le previste “camere di pernottamento” si trasformano in gabbie affollate all’inverosimile, con una coabitazione forzata per venti o ventidue ore al giorno. Come ricorda il Cnb, rifacendosi alle raccomandazioni internazionali circa un “approccio globale” alla salute in carcere, il rispetto dei diritti umani, insieme a condizioni accettabili di vita carceraria, costituiscono le fondamenta del diritto alla salute. Fra gli interventi nelle raccomandazioni finali del documento, è particolarmente urgente il varo della cartella sanitaria informatizzata, in modo da assicurare la continuità terapeutica in caso di trasferimenti e per garantire tempestività negli interventi d’urgenza. Infine, si individuano le aree chiave di intervento, specie la salute mentale, la prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo, dell’infezione da HIV, i diritti delle donne detenute. Si tratta di un monito che aiuta il cambiamento. Corso di Politica Italiana. Iscritto: Ahmed, in carcere per reato di clandestinità di Alessandro Robecchi Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2013 Programma di studi Lunedì. Ahmed si alza nella sua cella per tre persone dove vivono in otto. Aspetta che gli altri sette facciano i loro bisogni. Intanto studia le prime dispense: Matteo Renzi dice che la legalità è di sinistra. Approfondimento sulla parola “legalità”. Seminario sulla parola “sinistra”. In effetti, il fornello su cui cucineranno tra poco è a sinistra della tazza del cesso. Venti centimetri a sinistra. Martedì. Ahmed si alza nella sua cella per tre persone dove vivono in otto, cosa che lo fa riflettere sulla parola legalità. Intanto legge le dichiarazioni di Quagliariello: se ci sarà un provvedimento di clemenza per lui che può contare su ben 26 centimetri quadrati di spazio vitale, allora dovrà valere anche per uno che ha un vulcano in giardino, una dozzina di ville e un parco con il mausoleo, e che in una cella non ci andrà mai. Ad Ahmed sfugge il concetto di “uguali davanti alle legge”. Mercoledì. Ahmed, nella sua cella da tre dove vivono in otto, ha un forte mal di pancia, ma il medico potrà forse vederlo tra quattro o cinque giorni, se tutto va bene. Tenta di farsi passare il malessere leggendo gli scambi tra Renzi e Zanonato a proposito della legalità, della sinistra, delle primarie, del congresso del Pd, del rispetto al Capo dello Stato e della doccia che forse potrà farsi tra tre giorni, se tutto va bene. Giovedì. Ahmed si alza per primo nella sua cella per tre persone dove vivono in otto. Uno si è sentito male e quindi non hanno dormito. Per distrarsi, legge le dichiarazioni del ministro Cancellieri, della Lega, del Movimento 5 Stelle e del Quirinale che è “amareggiato”. Tenta di dormire un pò, ma è inquieto: il suo corso sulla politica italiana non lo soddisfa, decide di applicarsi di più e medita sul passaggio del messaggio di Napolitano che dice: “far scontare la pena agli stranieri nei paesi d’origine”, dove non sarebbe in galera, ma forse già al cimitero. Venerdì. Ahmed si alza nella sua cella per tre persone dove vivono in otto e decide di approfondire: Renzi, Grillo e la Lega parlano alla pancia del Paese, un pò come lui quando dorme, che sta a sei centimetri dalla pancia di Gaetano, che è dentro per la Fini-Giovanardi, come un terzo di tutti i detenuti d’Italia. Il Pd è spaccato: qualcuno parla alla pancia del Paese, qualcuno parla alla testa del Paese e gli altri parlano tra loro per capire se conviene stare con Renzi. Napolitano parla alle Camere. Grillo parla sul blog, il Pdl parla a Berlusconi dicendo che o sarà amnistia e indulto anche per lui o niente per tutti, Ahmed compreso. Che comincia a capire la politica italiana, e gli ricorda un film di fantascienza: gente che chiacchiera su Saturno, mentre sulla terra c’è gente che sta in otto in una cella da tre. Sabato. Nella sua spaziosa cella da tre dove vivono in otto, Ahmed capisce che il problema è Berlusconi, quel simpatico vecchietto. Lui potrà forse uscire di lì se un milionario che ha frodato il fisco verrà perdonato per i reati passati in giudicato e per quelli ancora da giudicare, e capisce che il corso per detenuti sulla politica italiana era inutile. Domenica. Ahmed dorme tutto il giorno. Non ha nient’altro da fare. Verso sera, insieme ai suoi sette compagni di cella che occupano con lui una stanza pensata per tre, controlla sbarre, porta, buchi nei muri. Vorrebbe capire come ha fatto Silvio Berlusconi, un collega pregiudicato, a venire a rompergli le palle persino lì dentro. Giustizia: sondaggio Datamedia "il 40% degli italiani è favorevole all'amnistia" di Ester Mieli Il Tempo, 16 ottobre 2013 Secondo l'ultimo sondaggio realizzato da Datamedia Ricerche per II Tempo, il 40,1% dei cittadini italiani è favorevole all'amnistia. Seaprima vista questa percentuale sembra bassa, bisogna tenere presente che la stessa rilevazione, nel 2009, aveva registrato soltanto il3,2% di favorevoli. Questa cifra è salita al 5,3% l'anno successivo, al 14,9% nel 2011, al 21,7% nel 2012, fino ad arrivare al 40,1 % di quest'anno. «Ecco cosa vuol dire lottare per le proprie idee», commenta l'ex segretario radicale Rita Bernardini. Anche se non bisogna sottovalutare l'impatto di Silvio Berlusconi su questo cambiamento d'umore dell'opinione pubblica, almeno quella che si riconosce nel centrodestra. In ogni caso, si tratta oggettivamente di una crescita impressionante. Giustizia: va amnistiata la Repubblica, non i sondaggi di Domenico Bilotti www.politicamentecorretto.com, 16 ottobre 2013 Forse anche i più intransigenti libertari troveranno difficile ammetterlo, ma il dibattito di questi giorni su amnistia e indulto ha assunto dei toni oggettivamente illogici e disumani. Il primo rilievo è di tipo meramente tecnico-giuridico. La Corte di Strasburgo ha imposto all’Italia dei termini per adeguare lo statuto delle proprie condizioni carcerarie ai canoni dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Disattenderlo è danno di legalità, di immagine e di portafoglio. In più, sono francamente stucchevoli le polemiche su un possibile scorporo tra i provvedimenti di amnistia e indulto: non solo perché essi viaggiano tradizionalmente in sincrono (anche per evitare la prosecuzione o, peggio, l’instaurazione di procedimenti che non avrebbero incidenza significativa quanto ai profili punitivi, pur tante volte invocati come irrinunciabili), ma anche perché quando si adotta prima l’uno, rispetto all’altra, questa passa dal rinvio alla soffitta nello spazio di un mattino. Si aggiunga altro, a un più largo livello di politica legislativa del diritto penale. Quarant’anni fa un pensatore radicale come Chosmky poteva affermare che l’eccesso di legge penale è un tratto deleterio dello Stato novecentesco, che lo rende, da questo punto di vista, più reazionario e limitante dello Stato liberale della seconda metà del secolo precedente. Oggi, l’eccesso non è nella norma penale, ma ancor peggio nell’esecuzione penale, perché si sono moltiplicate le tipologie di misura irrogabile (anche in assenza di un reato) e perché le norme speciali che regolamentano i reati non sono affatto parse oggetto di una seria ed equa razionalizzazione. Così la carcerazione è aumentata anche quando non aumentava la criminalità e l’aumento della carcerazione ha corrisposto solo occasionalmente a un aumento della sicurezza. Non bastassero questi argomenti, vi sono delle ragioni di carattere umanitario che vorrebbero, letteralmente, liberare dal giogo della pena - o della “cautela”- soggetti che si siano resi responsabili di fatti di lievissima offensività sociale o che ancora non abbiano ricevuto alcuna condanna definitiva (che a volte non arriva: così se aumenta il reato e non il giudicato sulla responsabilità del suo autore, la sensazione di impunità diffusa va a braccetto con l’odio per le depenalizzazioni e le de-carcerizzazioni). Tali ragioni possono essere accettate da un cattolico prudente, che nel settore delle pene alternative potrebbe avanzare molte proposte di impegno mutualistico e di lavori socialmente orientati (assistenziali, benefici o più semplicemente di risocializzazione del detenuto); da un liberale rigoroso, che intenda il diritto penale alla stregua di quella accessorietà e marginalità con cui è nato nella dottrina della limitazione del potere statuale; dai movimenti altermondialisti e non solo che, cercando altre piattaforme di benessere, non possono non imbattersi anche in concezioni radicalmente altre del delitto, dei suoi rapporti con la legge e con la morale. Perché un leader di centrosinistra debba respingere a scatola chiusa un’ipotesi del genere, senza nulla dire delle varie proposte che circolano, anche fuori dalla calendarizzazione parlamentare, sembra più che insostenibile, misterioso… Ma siamo certi che i sondaggi certifichino abbastanza bene quello che pensa il popolo della galera, della giustizia e della sicurezza sociale? Giustizia: cosa fare sulle carceri di Pippo Civati www.ilpost.it, 16 ottobre 2013 Leggo molti commenti ipocriti sulla questione carceri. Prendere le distanze dalle soluzioni proposte del Colle non è coraggioso, è molto facile. Popolarissimo e banalissimo dire che le persone che devono stare in carcere stiano in carcere. Il problema è come. E la civiltà fa parte del concetto di legalità, anzi, mi dispiace, lo precede. L’ipocrisia però fa rima anche con amnistia. Perché è una soluzione che dovrebbe essere preceduta da una forte autocritica, da un’analisi più complessiva di come funziona la giustizia, che affronti la complessità di un fenomeno che porta in carcere soprattutto (se non esclusivamente) alcuni tipi di persone. Perché bisogna essere chiari: se si procede in questa direzione, si sappia che stiamo parlando di chi è in carcere per reati legati agli stupefacenti. E spesso si tratta di stranieri. Qui si deve intervenire, senza troppi giri di parole, innanzitutto provando a cambiare la Fini-Giovanardi: farlo con Giovanardi, esponente della destra filogovernativa, non sarà facilissimo. Altro passaggio dettato dall’attuale situazione, che spesso invita, appunto, all’ipocrisia. E qui veniamo all’ipocrisia suprema: ci sono i voti in Parlamento per fare questo? Secondo me non ci sono. I duecento parlamentari che hanno dichiarato il loro appoggio a Renzi (che immagino lo seguano nella sua contestazione alla lettera di Napolitano) si aggiungono ai grillini e ai leghisti, ai destri di ogni genere e tipo che si sono già dichiarati contrari più o meno a qualsiasi soluzione. Per questo, e scusateci per la lunghezza, con Salvatore Tesoriero vi proponiamo la nostra via d’uscita dalle contrapposte ipocrisie di queste ore: Il recente messaggio alle Camere del Presidente Napolitano sulla necessità e l’urgenza di un intervento sul cronico problema del sovraffollamento carcerario è precipitato sul mondo politico come un dardo infuocato. Acceso il dibattito, questo si è fatto immediatamente incandescente sull’opportunità di adottare provvedimenti di clemenza (amnistia, indulto), attizzato da un lato dagli indulgenti dell’ultima ora (che si scoprono tali nella speranza di lucrare briciole d’impunità per il condannato e plurimputato celebre), dall’altro da novelli campioni di legalità, anch’essi impegnati a lucrare briciole, in questo caso di consenso. Stritolato, come sempre nel surreale dibattito politico, il merito del problema posto. Strabismo della propaganda: scrive sovraffollamento e dignità della detenzione, leggono indulto e amnistia. La costrizione del dibattito nelle maglie infuocate dell’opzione favorevole/contrario (all’indulto e all’amnistia) priva le risposte della indispensabile attenzione e serietà. E senza attenzione e serietà vi è solo demagogia. Il sovraffollamento carcerario non solo esiste (è nei numeri, 64.758 detenuti al 30 settembre 2013 a fronte di una capacità regolamentare di 47.615 posti), non solo chiama a provvedimenti urgenti (com’è noto il 28 maggio 2014 scade il termine posto dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per realizzare misure di contenimento del sovraffollamento penitenziario ed evitare al nostro paese centinaia di condanne per violazione della Convenzione), ma è soprattutto un problema di legalità. Le attuali condizioni di detenzione nel nostro paese violano il divieto degli Stati di sottoporre gli individui a trattamenti inumani e degradanti posto dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (C. Edu, Torreggiani e altri contro Italia). In altri termini, ogni giorno, a causa del degrado e dell’insopportabile sovraffollamento in cui versano le nostre carceri, lo Stato si pone in una condizione di illegalità, violando la Convenzione. Il bisogno - etico e giuridico - di rispettare la legge, insomma, impone di misurarsi con le misure per attenuare il problema del sovraffollamento. Chi liquida il problema agitando la legalità come il principio che verrebbe leso dai provvedimenti clemenziali ricorre ad uno slogan doppiamente inopportuno perché in questo caso il rispetto della legge è il motivo dell’intervento. Quando si alza il vessillo della legalità, insomma, bisogna conoscerne e rispettarne il peso. Se no si viene travolti. Perciò è fondamentale che la sacrosanta esigenza di intervenire su una materia delicata come questa vada presidiata con estremo rigore, competenza e attenzione per evitare un duplice tipo di rischio: da un lato, che l’occasione, ingolosendo i tanti ladri di Stato, possa essere il cavallo di troia per garantire piccole o grandi forme di impunità alla cerchia del malaffare che cinge la macchina legislativa fino - talvolta - a sovrapporvisi; dall’altro, che un provvedimento generico, insulso e vagamente buonista (buono, insomma, per lavarsi la coscienza) faccia pagare costi salati alla collettività in termini di aumento della criminalità. E così rendere sì l’indulto un insulto, come qualcuno ha scritto. C’è un solo modo per neutralizzare questi rischi e attiene al contenuto dell’intervento attraverso il quale si intende affrontare il problema. Per noi è indispensabile: a) che i provvedimenti clemenziali (indulto/amnistia) siano adottati a valle di un intervento sistematico che operi sia sui flussi d’ingresso in carcere (riducendoli) sia sulle maglie d’uscita dal circuito penitenziario (allargandole per i detenuti meno pericoli). Bisogna finirla, insomma, di guardare alle misure straordinarie come fossero misure ordinarie: l’indulto e l’amnistia sono misure straordinarie, misure tampone. Non curano la patologia, ma ne alleviano sintomi e manifestazione. Agire sulla struttura non è utopia. Come ricordato da Napolitano, vi è già un disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora in Senato che introduce la possibilità per il giudice di applicare la messa alla prova per reati meno gravi e la detenzione domiciliare come pena principale. Modifiche piccole, ma importanti. A questo vanno affiancati interventi, anche questi ricordati da Napolitano, sulla custodia cautelare, sul trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi d’origine per scontare la pena, oltre ai, troppo spesso solo evocati, interventi di depenalizzazione di reati di minima gravità. Su questo versante, vi sono, inoltre, due tipi di intervento poco valorizzati ma decisivi per razionalizzare il ricorso alla detenzione carceraria. Il 40% circa dei detenuti è in attesa di giudizio: è fondamentale agire sulla leva della custodia cautelare elevando la restrizione domiciliare a misura custodiale principale, salvo i casi in cui le esigenze cautelari siano di particolare gravità. Per selezionare efficacemente la popolazione carceraria bisogna impegnarsi a conoscerla. Il carcere è la casa degli ultimi. Per renderla più vivibile bisogna agire sui reati degli ultimi. Un quarto dei detenuti è in carcere per reati connessi all’utilizzo/spaccio di sostanze stupefacenti. È indispensabile superare l’ottuso rigore della legge Fini-Giovanardi e, soprattutto, investire sulle strutture socio-riabilitative come centri dove scontare la maggior parte della pena. I reati in materia di stupefacenti necessitano, in linea di massima, di una risposta in termini di assistenza più che di carcere. b) a valle degli interventi strutturali può essere adottato un provvedimento clemenziale (amnistia/indulto) purché siano attentamente selezionati: 1. i reati da includervi (solo reati la cui estinzione/condono abbia effetto sul sovraffollamento perché le relative pene sono tendenzialmente eseguite in carcere - per lo più reati contro il patrimonio e stupefacenti - con esclusione di quelli che hanno impatto sulla detenzione limitato nonostante la gravità - reati contro la pubblica amministrazione) 2. i soggetti destinatari (con esclusione dei soggetti gravati dalle più gravi forme di recidiva) 3. la disciplina: non cumulabilità con precedenti provvedimenti di clemenza (un imputato più importante di altri non ne sarà lieto, ma tant’è); reviviscenza della pena indultata in pena da espiare in caso di nuovo reato. 4. con particolare riferimento all’indulto: il limite di anni di pena condonata, che andrebbe limitata ad un periodo ben più ridotto di quanto suggerito da Napolitano. Un anno di indulto interesserebbe una platea di oltre 10.000 detenuti sufficiente - insieme agli altri prospettati interventi ad avvicinare notevolmente la soglia di capienza regolamentare senza costi reali sulla recidiva stante l’esiguità del residuo pena. Giustizia: Cuperlo; sbagliato inseguire sondaggi di Simone Collini L’Unità, 16 ottobre 2013 “Sui diritti umani, sulla dignità delle persone, non si possono inseguire i sondaggi”. A Gianni Cuperlo non sono piaciute le uscite di Renzi contro il messaggio di Napolitano su amnistia e indulto. Provvedimenti, dice lo sfidante del sindaco nella corsa per la segreteria del Pd richiamando quel che è scritto nella nostra Costituzione, utili proprio a ristabilire “un fondamentale principio di legalità che oggi viene violato in modi palesi e clamorosi”. Renzi si dice “in disaccordo” con Napolitano su amnistia e indulto: qual è la sua posizione, onorevole Cuperlo? “Il Capo dello Stato ha posto un problema di sopravvivenza e di dignità che riguarda oggi migliaia di persone detenute nelle nostre carceri. Peraltro lo ha fatto in maniera tutt’altro che improvvisata, ma dopo che da mesi aveva denunciato queste condizioni di vita anche alla luce delle visite svolte nel carcere di San Vittore e in quello di Poggioreale, e quindi con una consapevolezza piena del dramma che si consuma dietro quelle mura e del grado di disumanità che contraddistingue tanta parte dei nostri penitenziari”. Però non ha ragione Renzi nel sostenere che la legalità è un valore di sinistra, e che quindi non si può approvare una misura come l’amnistia? Che non sarebbe serio, educativo? “Guardi, noi oggi stiamo calpestando un principio di legalità nel momento stesso in cui viene violato l’articolo 27 della Costituzione, che stabilisce una cosa molto chiara: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Allora, se vogliamo trasmettere ai nostri figli il valore della legalità, la premessa è che non può essere lo Stato per primo a violare quel principio nelle carceri della Repubblica. Aggiungo che noi siamo stati più volte richiamati al rispetto dei diritti umani dentro le nostre carceri dalla Corte europea dei diritti. E non si può essere europeisti a corrente alternata, sull’attenti quando si discute di Fiscal compact ma disattenti quando si parla di diritti umani”. Non crede che per risolvere il problema servano misure strutturali più che interventi come l’amnistia o l’indulto? “Certamente, ma la premessa è che la politica, il Pd e la sinistra non possono lavarsi le mani rispetto a questo gigantesco scandalo inseguendo, magari per convenienza, la logica dei sondaggi. Dopodiché è chiaro che bisogna affrontare subito questa emergenza, e lo si deve fare con un pacchetto di misure immediate che prevedano un sistema di pene alternative alla detenzione, la messa in prova, nei casi possibili la detenzione domiciliare o l’avvio in comunità di recupero. Si intervenga sulle correzioni necessarie, sulle leggi che hanno finito con l’aggravare il problema, a cominciare dalla Fini-Giovanardi sulle droghe per arrivare alla Bossi-Fini sull’immigrazione. Dentro questo ragionamento che prevede degli interventi strutturali per ridurre il numero dei detenuti in tempi rapidi si colloca il senso del messaggio del Capo dello Stato, che invita il Parlamento a riflettere anche su eventuali provvedimenti di clemenza. E dunque è una responsabilità morale, prima che politica, della classe dirigente del Paese farsi carico della questione per come è stata posta da un messaggio, quello del Quirinale, che va letto e considerato nella sua ispirazione e interezza”. Da questo ragionamento sembra però rimanere fuori il tema della sicurezza dei cittadini. “No, perché è chiaro che noi dobbiamo tener conto da un lato della tutela dei diritti umani dei detenuti e dall’altro del problema della sicurezza dei cittadini nel loro complesso. Ma anche quest’ultimo, lo dobbiamo sapere, non è un problema che si può separare dalla condizione di vita dentro carceri che attualmente sono tutto meno che luoghi di riabilitazione e di rieducazione mentre rischiano di funzionare come palestre di illegalità”. Resta il fatto che nell’opinione pubblica è prevalente la contrarietà a misure come amnistia o indulto: non è un problema per un Pd che già governa con il Pdl e che deve aspirare a crescere nei consensi? “Qui non si tratta di inseguire l’umore dell’opinione pubblica. Ripeto, qui si tratta di raccogliere la verità più profonda del messaggio di Napolitano e di ristabilire il principio dello Stato di diritto in un Paese che sul punto fondamentale della condizione di vita dei detenuti sta offrendo da troppi anni una immagine indegna di una grande nazione civile ed europea. Non dimentichiamolo mai, noi siamo la patria di Beccaria. E che un Paese con la nostra storia, tradizione, cultura, possa ridurre questo dramma umano e sociale a una polemica di parte o di giornata è un’idea semplicemente irricevibile”. Giustizia: Senato mette in pista 4 ddl; Colle, ineludibile tema carceri; Nitto Palma, audiremo ministri di Corrado Sessa Ansa, 16 ottobre 2013 L’ emergenza carceraria, rilanciata stamane con forza dal capo dello Stato che l’ha definita “dolorosa, umiliante, ineludibile” prende il via dal Senato, con la pesante incognita, oggetto di un duro scontro con il Pdl, dell’inclusione o meno di Silvio Berlusconi in eventuali provvedimenti di clemenza. In commissione Giustizia, in mattinata, sono stati presentati quattro i disegni di legge su amnistia e indulto. Ai testi, già depositati di Luigi Compagna (Gal), Luigi Manconi (Pd) e Lucio Barani (Pdl), si è aggiunto un nuovo testo annunciato dal socialista Enrico Buemi e che sarà formalmente depositato domani. La commissione comincerà a esaminare i ddl da martedì 22 ottobre. Questa mattina, intanto, sono stati scelti i relatori: Nadia Ginetti (Pd) e Ciro Falanga (Pdl) mentre il presidente della commissione Francesco Nitto Palma avverte che nonostante le pressioni quirinalizie l’iter legislativo “non può esser breve”. “Se non arrivano altri disegni di legge - spiega Nitto Palma - si farà la discussione generale con tutto il tempo che ci vorrà e una volta terminata le relazione ed acquisiti dati, inevitabilmente si ascolteranno i ministri della Giustizia e dell’Interno, per poi procedere con l’esame dei testi”. “Se c’è un atteggiamento ostruzionistico di uno o più gruppi i tempi si dilatano a dismisura. E se non c’è una visione di un accordo è inutile andare avanti”, avverte Nitto Palma che invita a “evitare di drammatizzare oltre misura, raccordando questi provvedimenti a un caso specifico”. Ma sui tempi di realizzazione di un testo legislativo pesa, dunque, il tema dell’ inclusione o meno di Silvio Berlusconi in atti di clemenza. Anche oggi infatti il centrodestra ha rilanciato la questione. “Ci hanno sempre detto che la legge è uguale per tutti e ora non si dovrebbe rispettare questo principio verso una sola persona? Mi sembra - dice il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello a Canale5 - un’ ovvietà. Il Parlamento deve “perimetrare” i contenuti del messaggio del Capo dello Stato sull’ambito dell’amnistia e deve farlo in modo astratto, sulla base del criterio della pericolosità sociale dei reati”. Il capogruppo del Pdl al Senato Renato Schifani ha definito “inammissibile che in uno Stato di diritto si parli di leggi contra personam. Amnistia e indulto sono provvedimenti straordinari per risolvere l’emergenza carceraria. Coloro i quali si atteggiano a posizioni diverse offendono l’etica e lo Stato di diritto”. Da parte del Pd, si ribadisce, invece, che Berlusconi è fuori dai benefici di una misure di clemenza. “Berlusconi non beneficerà dei provvedimenti di clemenza ma è umiliante che ogni volta si debba fare riferimento a lui” ha affermato il responsabile giustizia del Pd Danilo Leva in una intervista al “Messaggero”. Un invito ai partiti di maggioranza a varare l’amnistia viene dal segretario dell’ Udc Lorenzo Cesa, secondo il quale “il governo di larghe intese è un’occasione unica per portarla a compimento”. Refrattaria a qualsiasi ipotesi di clemenza la Lega che con il capogruppo al Senato Massimo Bitonci ha promesso “una dura battaglia in commissione Giustizia perché non è possibile pensare di rimettere in libertà migliaia di delinquenti attraverso indulti e amnistie”. Giustizia: sondaggio Ipsos per Ballarò, freddezza degli italiani verso il messaggio di Napolitano Ansa, 16 ottobre 2013 Presentato come ogni martedì il sondaggio realizzato da Ipsos per Ballarò. Accanto alle intenzioni di voto, è stata chiesta l’opinione degli italiani rispetto ai temi principali dell’attualità politica. Innanzitutto, rispetto al messaggio inviato alle Camere dal Presidente Giorgio Napolitano sul sovraffollamento delle carceri, nel quale il Capo dello Stato ha avanzato l’ipotesi che per affrontare l’emergenza il Parlamento possa approvare provvedimenti di amnistia o indulto, il 45% degli intervistati ha dichiarato di non condividere il messaggio di Napolitano, il 21% lo approva soltanto in parte, mentre lo condivide totalmente il restante terzo degli italiani. Rispetto all’argomento amnistia o indulto la polemica è divampata anche rispetto all’eventualità che Silvio Berlusconi possa beneficiarne: qui l’opinione si è dimostrata piuttosto divisa, con il 51% che ritiene giusto possa riguardare anche lui in quanto cittadino come gli altri, mentre il 45% ritiene che sarebbe uno scandalo se l’ex Presidente del Consiglio ne beneficiasse Giustizia: Imposimato; amnistia ok per reati lievi, no a indulti ad personam di Lorenzo Lamperti Affari Italiani, 16 ottobre 2013 “Prendere provvedimenti del genere solo adesso sarebbe inaccettabile”. Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, critica duramente l’ipotesi di amnistia e indulto avanzata da Giorgio Napolitano in un’intervista ad Affaritaliani.it: “Un’amnistia servirebbe, ma solo per reati di lieve entità. Ma l’indulto si applica a tutti i tipi di reati, anche quelli più gravi”. L’ex giudice istruttore del caso Moro critica il Colle: “Il problema non è nuovo, ma in sette anni il Presidente della Repubblica non ha mai chiesto provvedimenti del genere. Strano lo faccia solo ora dopo la condanna di Berlusconi. Un indulto sarebbe un provvedimento ad personam”. Ferdinando Imposimato, è d’accordo con la proposta di amnistia avanzata dal presidente Napolitano? Già da sette o otto anni dico che sono favorevole a un’amnistia, ma molto limitata. Limitata nel senso che secondo me dovrebbe riguardare soltanto delitti e reati di lieve entità che prevedono pene al massimo fino a tre anni. Siccome la maggior parte dei detenuti sono detenuti per pene fino a due anni o due anni e mezzo potrebbe servire. Sarei favorevole a un’amnistia limitata non tanto per svuotare le carceri ma quanto per il fatto che è ripugnante sapere che ci sono persone condannate per cose ben più gravi che sono libere e altre costrette in carceri sovraffollati per reati di piccola entità. È per una questione di giustizia. Napolitano ha parlato anche di indulto... All’indulto sono fermamente contrario. L’indulto riguarderebbe tutte le fattispecie di reato, anche quelle più gravi. Al di là di Berlusconi, l’indulto avvantaggerebbe ingiustamente varie persone macchiate di delinquenza di notevole livello. Mentre l’amnistia può essere limitata a piccoli reati come per esempio i furti o la clandestinità, l’indulto per forza di cose riguarda tutti i reati e quindi anche quello di evasione fiscale. Chi lo dice che bisogna insieme all’amnistia bisogna fare anche l’indulto dice una cosa inaccettabile. Insomma, secondo lei quella di Napolitano è un’idea giusta ma, vista la recente condanna di Berlusconi, con un tempismo sbagliato? L’indulto sarebbe un errore in assoluto. E poi questa situazione di crisi delle carceri esiste da molto tempo e non certo da ora. Il problema esiste dal 2006, sin da quando Napolitano è stato eletto. In tutti questi però non mi risulta che si sia mai fatto riferimento ad amnistia o indulto... Mi sembra che questi sarebbero provvedimenti fatti per altri motivi rispetto al sovraffollamento delle carceri. Per questo dico che sarebbe un indulto ad personam. Giustizia: al Senato 4 ddl su amnistia e indulto, si parte la prossima settimana Dire, 16 ottobre 2013 Sono quattro i testi presentati al Senato in commissione Giustizia in materia di amnistia e indulto. Ai già noti ddl di Luigi Compagna (Gal), Luigi Manconi (Pd) e Lucio Barani (Pdl), si è aggiunto questa mattina un nuovo testo annunciato dal socialista Buemi e che sarà formalmente depositato domani. La commissione comincerà a esaminare i ddl la prossima settimana. Questa mattina, intanto, sono stati scelti i relatori: Nadia Ginetti (Pd) e Ciro Falanga (Pdl). Il presidente della commissione Francesco Nitto Palma dice: “Il percorso non mi pare possa essere breve. Eviterei di drammatizzare oltre misura, raccordando questi provvedimenti a un caso specifico”. In vista della discussione sui ddl di amnistia e indulto, Nitto Palma chiede di evitare polemiche: “Eviterei, come accaduto in questi giorni, di soffermare l’attenzione su questo o quell’aspetto dei testi di legge. Con tutto il tempo che ci vorrà- aggiunge - si arriverà a un testo unificato in cui i relatori non potranno non tenere conto della posizione maggioritaria”. E se il Movimento 5 Stelle esprime molte perplessità (“Sono misure ingiuste e tampone, che si applicano anche alle pene accessorie e ai recidivi - dice Maurizio Buccarella - così non va proprio bene”), Palma ribatte: “Il Pd ha la maggioranza assoluta alla Camera e un terzo dei senatori a palazzo Madama. Per approvare un provvedimento di amnistia e indulto ci vogliono i 2/3 dell’aula. Quindi...”. Per Palma i tempi non saranno brevi. Anzi: “Se c’è un atteggiamento ostruzionistico di uno o più gruppi i tempi si dilatano a dismisura. E se non c’è una visione di un accordo è inutile andare avanti”. Infine, il presidente della commissione annuncia che entro una ventina di giorni potrebbero essere auditi i ministri competenti: Angelino Alfano (Interno) e Anna Maria Cancellieri (Giustizia). Giustizia: Cancellieri; sfida cambiamento, si vince solo con l’impegno di tutti Italpress, 16 ottobre 2013 “Quella sulle carceri è una grande sfida di cambiamento, riusciremo a vincerla solo con l’impegno di tutti, aiutandoci a vicenda. Non sarebbe possibile riuscire a cambiare tutto per maggio, non siamo Maga Magò, non tutto sarà risolto. Ma di sicuro riusciremo a dare un segnale di inversione di tendenza”. Questa la certezza del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, intervenuta oggi a Roma al convegno “Carceri, immigrazione, diritti umani nello spazio costituzionale europeo”, organizzato dall’Università Roma 3, dalle Associazioni Antigone e Porgetto Diritti con il sostegno di Open Society Foundation. Nel corso del convegno, in programma anche domani, si è discusso e si discuterà di detenzione e immigrazione e degli interventi necessari per modificare una realtà di degrado e sofferenza umana, quale è, secondo le parole del Presidente Napolitano, quella carceraria, e per porre fine alla strage di migranti, “vergogna assoluta” secondo le parole di Papa Francesco. Il nostro paese condivide con la Grecia il triste primato per tasso di sovraffollamento nelle carceri nell’UE (64.758 detenuti al 30 settembre 2013 per 47.615 posti letto secondo il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, 37 mila secondo l’associazione Antigone (che ha fornito i dati). “Devo ringraziare Antigone - ha detto il ministro Cancellieri - la storia dei posti letto è tutta vera, mi hanno aiutato a vedere caso per caso. C’è comunque un problema di manutenzione, la differenza dei dati nasce da lì. Nella nostra storia c’è rispetto per i detenuti, dobbiamo ringraziare l’Europa che ci ha riportato alla nostra coscienza e richiamato ai nostri doveri. Non avevamo mai affrontato il problema delle carceri come stiamo facendo, non possiamo non farlo. Sono sicura che alla fine ce la faremo, perché nelle carceri, e intorno a esse, c’è un mondo bellissimo. Certo, abbiamo poche risorse finanziarie, bisogna partire dal sovraffollamento, creare nuovi spazi. È una bella sfida, abbiamo deciso di dare risposte. Ognuno può mettere un mattoncino, per fare un paese degno del suo nome”. Sul tema dei diritti del detenuto è intervenuto il Presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri. “Quando parliamo dei diritti umani dei detenuti- ha detto- troviamo la nostra bussola nella costituzione, negli articoli 13 e 27. I trattamenti devono tendere alla rieducazione, non devono essere contrari al senso di umanità. L’obiettivo è reinserire chi ha sbagliato nella società le cui regole ha violato. Le violenze fisiche e morali sul detenuto sono da punire. Ma non basta: la pena non deve incidere in alcun modo sulla dignità umana, che non è qualcosa che si acquista per meriti, non c’è una persona che non abbia dignità umana, è un assoluto costituzionale, è intangibile. Si può ammettere la limitazione della libertà, senza andare aldilà di questo. La privazione della libertà è la pena. Le istituzioni, oggi, esistono per garantire la libertà, ed è un fatto che ha una portata rivoluzionaria, da questo principio ne nascono tanti altri”. “No comment” su una domanda, a margine del convegno, sul reato di clandestinità e sulla Bossi-Fini. “Esiste l’articolo 10 della costituzione - ha affermato Silvestri - che dice che ogni cittadino che non può esercitare i diritti di fondo nel suo paese ha diritto di asilo nel nostro paese. Non posso invadere il campo del parlamento e della magistratura, bisogna vedere tutte le situazioni, ma è chiaro che la dignità è uguale per tutti”. Posti letto 37 mila, come dice Antigone Sul numero effettivo di posti letto nelle carceri “ha ragione Antigone”, l’associazione che si occupa dei diritti dei detenuti. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, intervenendo ad un convengo sul tema carceri. Su questa cifra i dati di Antigone si discostano e sono inferiori rispetto a quelli dell’ amministrazione carceraria. Secondo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, infatti, i posti letto regolamentari sarebbero 47 mila. Antigone ne conta 10 mila in meno, ovvero 37 mila. Una discrepanza su cui l’associazione ha richiamato l’attenzione pochi giorni fa nel rapporto sulle carceri e su cui il ministro ha voluto fare una verifica. “Questa storia dei posti letto - ha detto oggi - è tutta vera: i posti letto sono quelli che dice Antigone”. E la discrepanza, ha spiegato il ministro - di spiega perché “periodicamente ci sono alcune strutture carcerarie che sono in manutenzione e quindi si determina una discrepanza tra i dati ufficiali e quelli reali”. Giustizia: qualche proposta per uscire dall’emergenza di Sandro Favi, Responsabile carceri PD www.partitodemocratico.it, 16 ottobre 2013 Non era mancata, in questi anni, la moral suasion del Presidente Napolitano affinché la politica affrontasse con determinazione e concretezza la condizione delle carceri italiane. “Una situazione critica, agire in fretta” ammoniva nel maggio 2010; “una realtà disumana che ci umilia in Europa” intervenendo al convegno tenuto al Senato nel luglio 2011; e ancora inviti a trovare soluzioni efficaci contro il sovraffollamento nel maggio 2012 o nei richiami dei messaggi di fine anno del 2011 “una emergenza al limite del vivere civile” e del 2012 “condizioni di alcune strutture che fanno orrore”. Ancora alla vigilia delle elezioni di questo Parlamento e di quella che considerava la scadenza del suo mandato, visitando il carcere milanese di San Vittore avvertiva “è in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia”. Tutto questo con buona pace di quelli che inoculano il solito sospetto sulla tempistica; un espediente di certa politica che fugge da responsabilità scomode o che rischiano di mettere in imbarazzo rispetto alle omissioni o ai fallimenti delle facili posizioni di intransigenza del passato, oppure per la facile blandizia ai sentimenti più crudi o meno avvertiti presenti nella opinione pubblica. Il messaggio al Parlamento del Presidente della Repubblica di martedì 8 ottobre è qualcosa di più di una vigorosa sollecitazione. Richiama alla responsabilità tutti i poteri dello Stato rispetto “all’imperativo giuridico e morale” di far cessare, senza indugio, la situazione di sovraffollamento carcerario entro il termine del prossimo mese di maggio 2014, posto dalla Corte europea di Strasburgo a salvaguardia dei diritti umani previsti dalla relativa Convenzione, alla quale l’Italia ha aderito e che, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, è parte integrante del nostro ordinamento giuridico. Svolge, quindi, un’istruttoria puntuale, quasi scolastica, degli interventi di sistema e di quelli straordinari che possano consentire di soddisfare precisi doveri costituzionali, che non possono essere compromessi da “ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica della giustizia”. I capitoli della questione carceraria sono stati messi in chiaro dal Presidente Napolitano e vanno svolti con responsabilità dal Governo e dal Parlamento, dalla maggioranza come dalle opposizioni. Dovranno tenersi insieme nei loro effetti di sistema per il futuro e nelle misure straordinarie, che sono richieste dalla stringente attualità delle risposte dovute per gli impegni a cui ci richiama l’Europa. Per questo crediamo che serva una sessione parlamentare che discuta e adotti le misure legislative necessarie in tema di: a) riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare; b) previsione di pene non carcerarie; c) depenalizzazione di alcuni reati; d) potenziamento del sistema delle misure alternative alla detenzione; e) revisione delle limitazioni ai benefici penitenziari e degli inasprimenti di pena ai condannati recidivi (legge ex Cirielli); f) trattamento penale nei confronti degli stranieri (legge Bossi-Fini); trattamento penale e terapeutico dei tossicodipendenti autori di reato (legge Fini-Giovanardi). All’esito di questo impegno e in coerenza con la logica di una nuova stagione della politica carceraria e della giustizia, potranno essere adottati i rimedi straordinari dell’amnistia e dell’indulto, senza altra strumentalità o opportunismo di parte. Anche qui il Presidente Napolitano, pur rispettoso del ruolo del Parlamento, è stato chiaro. Vanno tenuti fuori da ipotesi di clemenza reati particolarmente odiosi a partire da quelli di violenza (qualsiasi violenza) contro le donne. Va considerato, invece, come Napolitano rimarca, che in anni recenti sono state varate norme penali che hanno sanzionato con eccessivo rigore “condotte la cui offensività è stata invece posta in dubbio dalla dottrina penalistica”, ovvero per le quali l’effetto deterrente si è mostrato inefficace. Vanno pure esclusi, come d’altronde in passato, i reati finanziari e fiscali, anche perché, con il non invidiabile record di evasione fiscale, l’Italia non sarebbe più credibile in Europa e nel mondo. Soprattutto bisogna essere credibili coi cittadini escludendo amnistia e indulto per i reati contro la salute e la sicurezza sul lavoro, i reati tipici della politica del malaffare e della pubblica amministrazione corrotta, nonché alcuni reati caratteristici dei poteri mafiosi. Misure di clemenza giustificate dal senso di umanità e della dignità della persona, accompagnate da misure di verifica del reinserimento sociale, ma rigorose, per la credibilità della politica e rispettose delle vittime dei delitti. Giustizia: agire con pene alternative è necessario per una riforma giudiziaria di Francesco Carlo Palazzo www.lindro.it, 16 ottobre 2013 Lo scorso maggio, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri entro un anno. Dal momento che l’appello è stato rigettato, Giorgio Napolitano ha lanciato una proposta al Parlamento, al fine di smuovere la situazione: amnistia e indulto per i reati minori, così da svuotare rapidamente i penitenziari. La differenza tra i due atti di clemenza è che l’amnistia estingue il reato, mentre l’indulto condona solo la pena. L’ultima volta che è stata concessa l’amnistia in Italia era il 1990 e ne hanno beneficiato tutti coloro che erano stati condannati per reati non finanziari, per i quali era prevista una pena detentiva massima non superiore a quattro anni. L’ultimo indulto risale invece al 2006 e fu concesso per i reati che non superassero i tre anni, per le pene detentive, e non superiore a 10 mila euro, per quelle pecuniarie. Tuttavia né l’indulto né l’amnistia sono state in grado di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, che sono tornate a riempirsi in breve tempo. Nello stesso modo, questa manovra concederebbe un atto di clemenza a circa 20 mila detenuti, ma il problema resta come arginare un nuovo riempimento dei penitenziari. Nonostante le polemiche e le diverse posizioni sulla proposta del capo di Stato, tutti sembrano d’accordo nell’affermare che tale azione non possa rappresentare da sola una soluzione al problema, ma che debba essere accompagnata da una riforma giudiziaria e da una riorganizzazione carceraria. Si discute infatti sulla necessità di trovare una soluzione definitiva, che argini sul lungo periodo il riempimento dei penitenziari. Guglielmo Epifani, segretario del Pd (Partito Democratico), dichiara infatti che “se vuoi svuotare le carceri, prima di arrivare all’indulto o all’amnistia devi evitare che si possano riempire di nuovo una volta svuotate: cambiamo la Bossi-Fini, la Giovanardi, la Cirielli e la legge sulla custodia cautelare e poi possiamo svuotare le carceri”. Parere affine a quello del vicepresidente del Csm (Consiglio Superiore della Magistratura), Michele Vietti, il quale ricorda che “Napolitano ha auspicato soluzioni strutturali e che, se queste misure non risolvessero problema, allora si può pensare ad amnistia e indulto”. Il capo di Stato, infatti, non si è limitato a chiedere al Parlamento italiano di riflettere sulla possibilità di utilizzare un atto di clemenza, per velocizzare così lo svuotamento dei penitenziari. Napolitano ha anche avanzato la proposta dell’utilizzo di pene alternative al carcere - come la messa alla prova, i domiciliari, la riduzione dell’applicazione della custodia cautelare - e una revisione del procedimento penale che renda più rapido l’iter delle sentenze. In risposta alle parole del capo di Stato, il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, si dichiara preoccupato perché “l’attuale situazione mortifica la dignità dei detenuti e, con loro, dell’Italia intera” e che “il Governo continuerà a fare di tutto per recepire indicazioni e sollecitazioni giunte dal capo dello Stato” riguardo al tema delle carceri. Analogamente il Vicepremier, Angelino Alfano, afferma che il Pdl (Popolo della libertà) si prefiggerà di essere il “motore vero della riforma della giustizia”. Sulla stessa linea di pensiero del capo di Stato, si trova anche il Ministro Annamaria Cancellieri. Il Guardasigilli promette che verranno presto presi dei provvedimenti riguardati la riforma della giustizia, che toccherà diverse questioni: “carceri, processo civile e velocizzazione processo penale. Su questi temi faremo molto presto, un mese, due mesi per approntare alcuni provvedimenti e alcune leggi delega nel settore”. Francesco Carlo Palazzo, professore ordinario di diritto penale presso l’Università degli Studi di Firenze ed ex componente della Commissione ministeriale per la riforma del Codice penale, ritiene che sia arrivato il momento di affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri, avviando immediatamente una serie di riforme da realizzare nel tempo. Secondo il giurista, è necessario agire su più fronti: bisogna applicare delle modifiche alle norme che producono una distribuzione eccessiva di pene carcerarie e fornire alternative alla detenzione. Il problema del sovraffollamento delle carceri non è una novità. Sono stati fatti diversi tentativi per svuotarle, tramite amnistia e indulto, ma da soli non sono bastati. Che cosa bisognerebbe fare per evitare che le carceri tornino a riempirsi in maniera sovradimensionata? Molte delle soluzioni dirette a contenere il cosiddetto sovraffollamento carcerario hanno trovato una puntuale indicazione in una parte del messaggio del capo dello Stato. Più precisamente, i fronti sui quali combattere questo fenomeno possono forse essere distinti in due categorie. Da un lato, vi sono alcune leggi del nostro ordinamento che tendono a produrre carcerazioni, in quanto incriminano comportamenti di grande diffusione. Un esempio potrebbe essere rappresentato dalle norme in materia di stupefacenti e, in parte più modesta, da quelle in materia di immigrazione. Molto significative sono anche le leggi riguardati la custodia cautelare, che producono detenzione preventiva, cioè la peggiore delle carcerazioni che esista. Su questo piano si è mossa la Corte Costituzionale, la quale ha cercato di contenere questo fenomeno. Si possono annoverare, infine, anche le norme in materia di recidiva, che hanno inasprito il trattamento di quest’ultima producendo ulteriori carcerazioni. L’altro fronte di intervento è quello più specificamente concernente gli istituti penitenziari... Il nostro sistema è ancora molto, come si suole dire, carcerocentrico: in Italia, la sanzione regina del sistema è il carcere. Il tentativo che va fatto al più presto - che sarebbe in linea anche con la politica di altri paesi - è quello di ridurre l’incidenza della prigione come unica sanzione possibile. Esistono altre disposizioni, che possono essere applicate in regime di libertà o in detenzione domiciliare. Ci sono infatti degli strumenti, come il cosiddetto lavoro di utilità sociale, che potrebbero essere potenziati. Tutti questi tentativi sono ormai maturi per essere avviati a soluzione. Quindi, concludendo, la strategia deve essere su due fronti: nell’ambito delle norme che producono carcerazione e in quello delle norme che riguardano più direttamente la prigione come unica ed esclusiva sanzione.... Il carcere non può più essere l’unica risposta, dobbiamo cercare di inventare e prevedere delle pene diverse dalla detenzione nei penitenziari. Sullo sfondo restano provvedimenti come l’amnistia e l’indulto, che hanno un carattere di straordinarietà e che non sono strumenti che da soli possono mettere a regime il sistema. Quali sono i problemi che scaturiscono nella gestione carceraria, derivanti dal sovraffollamento e che potrebbero trovare una risoluzione definitiva con la riforma giudiziaria? Trovare una soluzione definitiva e unica è molto difficilmente realizzabile. Si tratta invece di creare un programma, un itinerario che si prefigga, quanto meno, l’attenuazione dei problemi. Premesso questo, una delle cose sulle quali occorrerebbe intervenire al più presto è quello del lavoro all’interno del carcere. Quest’ultimo è un problema di tipo organizzativo e non di riforme legislative delicate, come quelle a cui accennavo prima. Il tasso di recidività dei delinquenti che abbiano potuto usufruire di questa possibilità è molto minore rispetto a quello di coloro che non hanno goduto di questa opportunità. Essendo un problema di tipo organizzativo, la possibilità del lavoro all’interno del carcere potrebbe essere implementata con la risoluzione, o l’attenuazione, del problema del sovraffollamento. Allo stato attuale non è invece possibile offrire questa opzione a tutti i carcerati. Riguardo la riforma giudiziaria, il Ministro Cancellieri ha promesso che verranno presi dei provvedimenti già tra un mese o due. Quali cambiamenti prevederanno le riforme del codice penale e di quello civile? Crede che saranno sufficienti per cambiare lo stato attuale delle carceri? Il ministro Cancellieri ha impostato un programma di studio preliminare a una messa a punto di alcuni provvedimenti di tipo organico. Certamente nessuno ha la bacchetta magica, occorre una strategia complessiva da avviare subito e da realizzare gradualmente, compatibilmente con le nostre risorse. Ma mi pare di aver colto un intento del Ministro Cancellieri di mettere a punto un programma strategico di ampio respiro. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per le condizioni delle carceri. Quali requisiti dovrebbero avere la riforma giudiziaria e quella carceraria per soddisfare le richieste di Strasburgo? La Corte Europea ha pronunciato un giudizio negativo sulla nostra situazione carceraria essenzialmente con riguardo agli spazi disponibili da parte dei detenuti. Non siamo in grado di dire che cosa potrà accontentare la corte europea. Il sovraffollamento però è il primo punto su cui aggredire il problema. Si cerca di eliminarlo, o quanto meno di ridurlo, attraverso le strategie di cui parlavamo prima e anche grazie al recupero di alcuni edifici, per aumentare la capienza complessiva dei penitenziari. Toccherà poi alla responsabilità politica del Governo e del Parlamento individuare gli strumenti a cui attribuire priorità e quelli da scadenzare nel tempo. Un dato interessante, su cui dovremmo ragionare, è il fatto che l’Italia ha un tasso di criminalità sostanzialmente allineato a quello degli altri Paesi europei. Quello che ci differenzia è che abbiamo un alto tasso di sovraffollamento carcerario. Non abbiamo quindi un numero di criminali maggiore alla media europea, ma non abbiamo neanche gli spazi per ospitarli dignitosamente. Per risolvere il problema del sovraffollamento si è parlato di misure alternative. Per quale tipo di reati proporrebbe questa soluzione e che tipo di misure ritiene che andrebbero impiegate? Si può pensare ad alcune tipologie di misure in parte già collaudate. Per esempio, si potrebbe fare maggior impiego della detenzione domiciliare, non escludendo l’uso di strumenti di controllo di tipo elettronico. Poi si potrebbe pensare a misure di carattere interdittivo, che consistono nel divieto di esercitare alcune attività, pubbliche o private, di vario genere. Infine si possono anche immaginare delle misure prescrittive, che impongono obblighi di vario tipo al condannato. Queste ultime possono prevedere, per esempio, l’imposizione di svolgere attività di solidarietà sociale. C’è un numero molto alto di detenuti che sono in carcere per pene detentive molto brevi, da pochi mesi fino a tre anni di reclusione. Rispetto alla brevità di queste pene, il carcere si giustifica poco, si potrebbe operare una sostituzione di questa sanzione con una pena alternativa, come la detenzione domiciliare o una disposizione interdittiva o una di tipo prescrittivo. In accompagnamento alle riforme della giustizia e del sistema carcerario, si è parlato di costruire nuove carceri e utilizzare caserme e altri edifici dello Stato per ospitare i detenuti. Secondo lei, ci sono i mezzi e i finanziamenti necessari per poter percorre rapidamente questo cammino? So che questo Governo, come quello precedente, ha un piano carceri. So che è stato fatto un annuncio dall’attuale Ministro della Giustizia, riguardante l’esistenza di un certo numero di edifici che potrebbero essere realizzati, o ristrutturati per questo scopo, in tempi abbastanza ravvicinati. Premesso che non conosco i conti dello Stato, posso però dire che c’è anche un problema di priorità che va tenuto in considerazione. A un certo punto, un Paese deve allocare le sue risorse sulla base di priorità. Non bisogna dimenticare che si dice che “il grado di civiltà di un Paese lo si percepisce guardando le sue carceri”. A suo parere, il problema della riforma giudiziaria può ancora aspettare o ritiene che sia arrivato il momento di trovare una soluzione di lungo periodo? La tendenza che ci affligge è quella di lasciare andare tutto. Ci vuole uno scatto di reni che sia concludente: assumersi le proprie responsabilità e passare all’atto. Giustizia: Anm; forti perplessità su ddl per misure cautelari in esame alla Camera Agi, 16 ottobre 2013 “Forti perplessità” e “critiche” sui disegni di legge, all’esame della Commissione Giustizia della Camera, in materia di misure cautelari personali. Ad esprimerle è l’Associazione nazionale magistrati, in audizione a Montecitorio. “Abbiamo grosse perplessità che possano avere grandi effetti sul sovraffollamento carcerario”, rilevano Rodolfo Sabelli e Maurizio Carbone, presidente e segretario del sindacato delle toghe. Le critiche più severe dell’Anm riguardano il ddl Gozi: “interviene sul profilo delle esigenze cautelari legate al principio della reiterazione del reato, limitando la possibilità di applicazione di misure cautelari ai soli delinquenti abituali. Ciò avrebbe - spiega Sabelli - un effetto molto forte, fortemente limitante e non è certo questa la soluzione. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra la necessità di non limitare la libertà personale oltremodo, e la necessità di tutelare la sicurezza”. I casi di ‘delinquenti abitualì, poi, “sono pochissimi e poi le norme del ddl non riguardano mai alcune categorie di reato, per cui la possibile conseguenza paradossale potrebbe essere quella del piccolo rapinatore in carcere, mentre il grande corruttore o bancarottiere no”. Per Carbone, inoltre, “non bisogna legare la questione alla personalità dell’individuo, non guardando alla gravità del fatto”. Le “perplessità” del sindacato delle toghe riguardano anche il ddl Ferranti, in particolare, precisano Sabelli e Carbone, “per il limite che pone per cui il pericolo di reiterazione non si può desumere dalla modalità del fatto”. “Vengono introdotti eccessivi limiti al potere discrezionale del magistrato, che rischiano di rendere difficile l’applicazione della custodia cautelare anche di fronte a fatti di oggettiva gravità”, conclude Carbone. Giustizia: Cassazione; no abiti e oggetti di lusso per i detenuti sottoposti al 41 bis Agi, 16 ottobre 2013 No categorico ad abiti e oggetti di lusso per i detenuti sottoposti al regime di carcere duro. La prima sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio un’ordinanza del magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, il quale aveva accolto il reclamo di un detenuto inerente al divieto di “ricevere e detenere capi di abbigliamento ed accessori particolarmente costosi e di tipo lussuoso”. Per la Suprema Corte, “non può non riconoscersi che il vestiario che solo un boss può permettersi, che lo ha contraddistinto in libertà e che un mero affiliato non si sarebbe ardito mai di indossare (per rispettare le ineludibili gerarchie interne) costituirebbe motivo di distinzioni, vassallaggi, ossequi o invidie e simili gravi turbative, ben pericolose per l’ordine e la sicurezza, quanto meno interne”. La Cassazione, che ha così accolto il ricorso presentato dalla procura reggiana contro la decisione del magistrato di sorveglianza, rileva che “l’adozione di vestiario lussuoso, che sarebbe possibile solo da parte dei detenuti particolarmente facoltosi, non solo altererebbe la tendenziale par condicio che deve presiedere alla condizione carceraria - si legge in una sentenza depositata oggi - che non può sopportare ingiustificate distinzioni nell’esecuzione della pena, ma finirebbe anche per riproporre ed esaltare in ambito carcerario posizioni di predominio, anche in un ben differenziato aspetto esteriore, ricalcato proprio dalle organizzazioni malavitose di provenienza, il che è davvero inammissibile”. Giustizia: Osapp; Legge di Stabilità disastrosa per la Polizia penitenziaria Ansa, 16 ottobre 2013 “Con la legge di stabilità varata ieri in Consiglio dei ministri, prosegue l’opera di progressivo smantellamento del corpo di polizia penitenziaria intrapresa dai ministri della Giustizia negli ultimi 10 anni, compresa l’attuale guardasigilli Anna Maria Cancellieri, particolarmente interessata a detenuti più che al personale che da lei dipende”. Ad affermarlo in una nota è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione autonoma polizia penitenziaria). Secondo l’Osapp, “a parte il blocco dei contratti e l’ulteriore riduzione delle prestazioni straordinarie (per le carenze di organico sono straordinarie oltre il 25% delle prestazioni lavorative dei poliziotti penitenziari) quanto di veramente devastante per il Corpo il Governo ha varato riguarda la fissazione degli organici al personale presente al 31 dicembre 2011 e il blocco delle retribuzioni per i funzionari non commissari capo”. “Per quanto concerne gli organici, infatti, il ministro Cancellieri avrebbe potuto pur sostenere a palazzo Chigi, come non risulta abbia fatto, che quello della Polizia Penitenziaria è fermo al 1992, quando i detenuti non superavano le 35mila presenze, mentre al Corpo mancano 6.500 unità (pari a circa il 20% di quelle presenti) di cui 1.500 ispettori e 2.000 sovrintendenti, che se disponibili costituirebbero riferimenti essenziali per chi lavora in carcere e i cui concorsi interni, invece, per volontà dell’attuale Esecutivo, non si potranno più tenere”. “Inoltre - lamenta ancora il leader dell’Osapp - bloccare le retribuzioni dei funzionari non Commissari Capo colpisce solo la polizia penitenziaria che è l’unica ad avere ancora Vice Commissari e commissari, in quanto dal 1995 ad oggi, mai riallineata alle altre forze di polizia. Apparirebbe ben strano, se non si dovesse immaginare che ai notabili della politica nostrana del carcere interessino più di altro 500 mln di euro stanziati per le nuove carceri, che a fronte di 20mila detenuti in più dei posti disponibili in carcere, con la Cedu di Strasburgo che ha imposto all’Italia immediati correttivi sulle condizioni di detenzione nel nostro Paese, si continui a colpire il corpo di polizia sulle cui spalle, già penosamente immiserite, si reggono le residue speranze di legalità e di sicurezza del baraccone penitenziario. È pertanto essenziale - conclude Beneduci - che il Parlamento metta riparo ad una manovra finanziaria così iniqua”. Giustizia: il ministro Cancellieri; lavoro in carcere, Padova è un modello da seguire Vita, 16 ottobre 2013 Nessuno dei relatori è intervenuto per onore di firma, dal sindaco reggente Ivo Rossi (il primo Progetto Carcere del comune risale all’inizio degli anni Ottanta), al presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo Antonio Finotti, da anni impegnata in molteplici progetti tra i quali la nuova sede della pasticceria e del call center del carcere. Per non parlare dell’Università, rappresentata dal prorettore Francesco Gnesotto: nella città del Santo i laureati dietro le sbarre ormai sono una lunga tradizione. È pure presente Adriano Rizzi, presidente Legacoop Veneto in rappresentanza dell’Aci, Alleanza cooperative italiane. Il mondo cooperativo - ribadisce - da sempre presente nel welfare, “non si sottrarrà certo alla sfida del lavoro penitenziario”. Al convegno hanno partecipato i protagonisti dell’attuale dibattito sul mondo della detenzione. Sandro Gozi, ad esempio, che ha aperto i lavori. Da pochi giorni è neo vicepresidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con delega alle carceri. È anche il relatore di una delle proposte di legge sull’amnistia e l’indulto che verranno discusse nei prossimi giorni dal Parlamento. La passione per il mondo del carcere gliel’ha trasmessa don Oreste Benzi, il fondatore dell’Associazione Comunità Giovanni XXIII. Lo cita con una frase fulminante: “Dovremmo portarci nel cuore una cosa, un uomo non è il suo errore. Un detenuto non è solo il crimine che ha commesso”. L’ospite d’onore della giornata è il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, reduce da una visita alla casa di reclusione di via Due Palazzi, dove ha incontrato gli agenti, visitato i capannoni con le lavorazioni di Officina Giotto e incontrato i 120 detenuti che ci lavorano. Valige, biciclette, call centre, cucina, pasticceria… un’umanità attiva, operosa. Nell’auditorium del carcere ha ascoltato Gianni, che ringrazia chi gli ha consentito di lavorare. Poi Davor, croato. Che non deve più subire l’umiliazione di chiedere aiuto ai familiari per le piccole spese quotidiane. Poi ascolta Dinja, giunto dall’Albania con il gommone: pensava di trovare l’Eldorado e invece è scampato per poco alla morte. E Michele, già piccolo imprenditore che ora dirige il call center. Tutta gente a cui il lavoro ha cambiato la vita dal giorno alla notte. Il lavoro e una compagnia di persone che condividevano con loro la giornata. “Un esempio per tutti, Padova è un carcere da prendere a modello”. Anna Maria Cancellieri ama andare subito al sodo. “Ci sono situazioni come Padova o Bollate in cui il miracolo avviene. E sempre la chiave di svolta è il lavoro. Che oggi coinvolge una quantità ridicola di detenuti. Occorre fare un salto di qualità, voltare pagina. Io oggi ho visto prodotti veramente buoni che non hanno nessun problema a stare nel mercato. Cerchiamo di portare in tutta Italia questo modello di comportamento, con prodotti che stanno sul mercato”. A dare il “la” al ministro non sono solo i detenuti di Officina Giotto, ma anche gli altri relatori. Il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino ricorda che “a Padova è cominciato tutto”, con un gruppo sparuto di docenti che iniziarono a far lezione nel vecchio carcere di piazza Castello. “Molti detenuti si laurearono”, ricorda Tamburino. “Un giorno uno di loro mi venne a dire “A noi rimane del tempo, vorremmo sfruttarlo per insegnare agli altri detenuti che non hanno neppure la licenza elementare”“. Di qui, l’intuizione: il detenuto “non è solo destinatario di un intervento, può diventare una risorsa”. Anche il procuratore Pietro Calogero, già pm degli anni di piombo, smantella con la sua immensa cultura giuridica l’idea che il lavoro in carcere sia appena una nobile aspirazione a cui corrisponde - quando capita - una concessione benevola. L’ordinamento penitenziario parla chiaro. “È un obbligo inderogabile dello stato a cui corrisponde il diritto soggettivo al lavoro del recluso. Rieducare è dovere fondamentale dello stato”. E apre una riflessione sull’amnistia e l’indulto, proponendo un’interpretazione di grande spessore che mira a contemperare dignità dell’uomo e rispetto della sicurezza sociale. Ha colpito molto il pubblico l’intervento a video di Carlo De Benedetti. Il presidente del Gruppo Espresso al Due Palazzi c’è stato già due volte. Li ha visti per bene quei capannoni industriali, ha parlato con i lavoratori. Pone un punto fermo: il carcere, ma anche il paese, ripartirà solo con il lavoro. Come in America con la “brain economy”, l’economia dell’innovazione. Non teme paragoni impegnativi: “Qui ci vuole una rivoluzione, come ha fatto Bill Gates a Seattle o Jeff Bezos, il creatore di Amazon a New York. Non dobbiamo attenderci la ripresa dell’economia dallo Stato, dobbiamo prendere noi l’iniziativa. Boscoletto con il consorzio Giotto non crea solo lavoro per i detenuti, ma li aiuta a modificare il loro rapporto con se stessi. Imparano la passione di lavorare. Perché noi torniamo uomini nel momento in cui lavoriamo. Altrimenti sopravviviamo, ci spegniamo e perdiamo la nostra natura di uomini. Parliamo tanto di sovraffollamento ma invece di creare nuove carceri di impianto tradizionale perché non creiamo strutture sicure - nessuno ne dubita - ma che consentano all’uomo a ridiventare se stesso attraverso il lavoro? Ma non vale solo per le carceri, che sono il punto più doloroso della nostra collettività, dovrebbe essere il leit motiv del paese”. Non può che condividere, Anna Maria Cancellieri. “Ha ragione De Benedetti, è il lavoro che dà dignità alle persone. Dobbiamo dare a tutti un’opportunità per potersi realizzare. A Padova abbiamo visto che quando si vuole si può fare. Se qui è successo, dobbiamo farlo dappertutto. Se oggi su 100 detenuti solo 5 lavorano e 95 non fanno nulla, dobbiamo puntare a invertire queste cifre”. Boscoletto, presidente di Officina Giotto, non si fa pregare. Ci sono strumenti anche finanziari di nuova generazione, come i social impact bond. Le cooperative sociali e le imprese profit sono in grado di gestire tutti i servizi accessori del carcere. “Siamo pronti a seguirla - interviene parlando a nome delle oltre venti coop sociali di tutta Italia presenti a Padova - perché lo stato possa risparmiare e perché ciò che spende lo spenda solo in proporzione ai risultati”. Toscana: Fns-Cisl; ipocrisia sulle carceri, mentre il sistema è collassato www.gonews.it, 16 ottobre 2013 La Fns Cisl interviene sul dibattito nazionale e locale sulla situazione delle carceri con questo comunicato nel quale dà anche i numeri della situazione toscana. È bastato che il Presidente della Repubblica abbia ricordato alla Politica che l’emergenza carceri non può più attendere, per vedere utilizzato il tema “amnistia/indulto” come l’argomento per innescare nuove polemiche, propagande e demagogie tra i diversi schieramenti presenti in Parlamento (e non solo quelli). I Cittadini, alle prese con mille altri problemi che stanno complicando sempre più il loro quotidiano vivere, pur consapevoli dell’emergenza penitenziaria, sono gioco forza tentati dal prendere posizioni estreme del tipo “tutti fuori” o “tutti dentro e buttiamo le chiavi”. Purtroppo, mentre la polemica impazza e mentre il dibattito nei talk show vede prendere posizione anche chi un carcere - dentro - non sa neanche come è fatto e come funziona, il sistema penitenziario è ormai collassato. Sovraffollamento di detenuti, scarsità di Personale di Polizia Penitenziaria e delle altre figure necessarie alle previste attività interne, strutture più che fatiscenti, sono la condizione con cui ogni giorno nel carcere si deve fare i conti. Senza considerare che i tagli di spesa pubblica hanno pesantemente inciso anche su questo settore dello Stato, complicando ulteriormente la situazione. In Toscana la situazione è perfettamente in linea con il quadro nazionale del sistema penitenziario. Anche qui gli interventi che vengono paventati mostrano le contraddizioni e le ipocrisie di quanti vorrebbero far credere che si stia facendo qualcosa, mentre invece non viene fatto niente. In Toscana le carceri esistenti dovrebbero - se fossero tutte agibili al 100% - ospitare circa 3000 detenuti, mentre in realtà sono oltre 4000 e le strutture sono agibili per circa il 70% dei posti previsti. Ci sono carceri con cantieri aperti (Livorno, Arezzo, Pisa, il Minorile di Firenze), ci sono carceri con interi settori chiusi (Lucca, Montelupo, Massa), ci sono carceri con situazioni tali che andrebbero chiusi e ristrutturati se non ricostruiti nuovi (Siena, Pistoia, Gorgona, San Gimignano, Volterra, Porto Azzurro, Grosseto, Firenze e Prato). Nel frattempo l’Europa ha messo l’Italia sotto una scadenza, la primavera del 2014, per adeguare gli spazi a disposizione dei detenuti e non violare la carta internazionale dei diritti umani. E allora visto che non si costruiscono carceri nuove, visto che non si depenalizzano reati minori per ridurre il numero delle persone che entrano in carcere per uscirne dopo pochi giorni, visto che non si ristrutturano quelle esistenti per recuperare gli spazi inagibili, si tira fuori nuovamente l’idea di forme di clemenza, che se sganciate da un progetto più complessivo rischiano (come avvenuto per l’indulto di 7 anni fa) di essere inutili. Nel frattempo che nulla viene fatto, adducendo alla mancanza di soldi (oltre che di volontà), assistiamo al fiorire di idee strane che da tempo la CISL contrasta, come l’ipotesi di spendere qualche milione di euro per portare circa 80 detenuti in regime speciale all’isola di Pianosa (Carcere chiuso da anni e anni). Così come per riformare la gestione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si spartiranno in piccoli gruppi da 20 gli attuali 100 Internati di Montelupo, in Strutture alternative che porteranno le Istituzioni (Regione in testa) a spendere altri milioni di euro. Anche per tutto ciò il dibattito di questi giorni non ci appartiene. Noi abbiamo la pretesa, rappresentando gli “addetti ai lavori” di voler pretendere - come facciamo quotidianamente - risposte concrete dalla Politica, risposte che non arrivano e che dimostrano come sia dilagante l’ipocrisia ed il qualunquismo su certi temi. Noi ci battiamo e continueremo a farlo perché questo stato di cose possa cambiare, in meglio. Firenze: il vicesindaco Saccardi; a Firenze consideriamo le carceri parte della città www.ilsitodifirenze.it, 16 ottobre 2013 “Firenze si occupa del carcere come se fosse una parte della città e come se le mura non fossero un elemento di separazione e, senza travalicare le nostre competenze, siamo il più possibile vicino ai detenuti”. Lo afferma il vicesindaco di Firenze Stefania Saccardi in merito al dibattito aperto sul tema dell’amnistia e dell’indulto. L’altro ieri Saccardi si è schierata sull’argomento al fianco del sindaco Matteo Renzi, dicendosi contraria al provvedimento. “Il Comune - spiega Saccardi - investe circa 400 mila euro in attività l’anno che riguardano l’ accoglienza delle persone che escono dal carcere e le attività di vario genere all’ interno del carcere. Sosteniamo le attività di socializzazione e sportive ma anche interventi di mediazione culturale e attività culturali come un gruppo musicale”. “Abbiamo un operatore - aggiunge - che si occupa di aiutare i detenuti che escono dal carcere, e c’è un progetto molto innovativo per le persone detenute con problemi di salute mentale, alternativo all’ Opg; siamo inoltre in fase di avanzata realizzazione dell’Icam, un centro a custodia attenuata per detenute madri e sosteniamo infine un centro diurno per detenuti in misure alternative e ex detenuti dove si fanno attività di socializzazione e counseling”. Parma: ingoia lametta durante il processo, la protesta di un detenuto www.estense.com, 16 ottobre 2013 Un gesto eclatante di autolesionismo è stato compiuto questa mattina in tribunale a Parma, dove un detenuto di origini sarde a processo per evasione dai domiciliari (si tratta del 24enne L.S.) ha ingoiato una lametta per protestare, come da lui stesso dichiarato, contro le condizioni di detenzione nel carcere di Ferrara. Il giovane detenuto, che risulta avere problemi psichici e di tossicodipendenza, avrebbe già compiuto un gesto simile in passato, in un precedente processo a Bologna. Questa mattina la “replica”, mentre si trovava seduto a fianco del proprio avvocato difensore, con successivo intervento del 118 e trasporto del 24enne all’ospedale Maggiore di Bologna, dove è stato sottoposto a radiografie e accertamenti e quindi ricoverato nel reparto detenuti. L.S. si trovava detenuto in carcere a Ferrara per una rapina compiuta nel marzo del 2011, quando assieme a un complice strappò un cellulare dalle mani di un giovane sottraendogli anche una somma di tre euro. Il 24enne non era nuovo a questo tipo di reati, che in questo caso gli era costata la custodia cautelare ai domiciliari, dai quali è risultato poi essere evaso, non essendo stato trovato in casa durante un controllo dei carabinieri. Denunciato per evasione, il ragazzo è tornato in carcere nell’aprile del 2012, ma da quanto si apprende avrebbe voluto essere trasferito dal carcere di Ferrara in un altro penitenziario, non essendosi adattato e non tollerando la detenzione in via Arginone. Quest’ultimo sarebbe quindi il motivo che ha scatenato il suo gesto in aula, mentre si trovava seduto a fianco dell’avvocato difensore Claudia Pezzoni. La polizia penitenziaria aveva portato il giovane detenuto nel tribunale di Parma per partecipare al processo per evasione e, nel corso dell’udienza, il 24enne ha mostrato al suo avvocato la lametta (o quello che potrebbe essere un oggetto metallico dalla forma simile) sulla punta delle lingua dichiarando che l’avrebbe ingoiata se non avesse ottenuto il trasferimento in un altro carcere. L’avvocato Pezzoni ha allertato subito pm, giudice e agenti di polizia penitenziaria. Nell’impossibilità di togliere la lametta dalla bocca del giovane, si è deciso di far uscire in pubblico dall’aula e chiamare il 118; nel momento in cui il giudice ha iniziato a leggere il dispositivo di condanna a un anno di reclusione, L.S. ha deglutito diverse volte fino a riuscire a inghiottire la lametta da barba che aveva nascosto in bocca prima di uscire dal carcere. Non avrebbe tuttavia riportato particolari problemi dopo aver compiuto il gesto e le sue condizioni non destano preoccupazioni. Roma: detenuto 82enne muore dopo un malore in cella Il Velino, 16 ottobre 2013 Si è sentito male all’interno della sua cella. Subito soccorso e trasportato all’ospedale romano di Santo Spirito, è deceduto dopo due giorni di agonia. È morto così un detenuto di 82 anni recluso nel carcere di Regina Coeli. La notizia di questo nuovo decesso nelle carceri del Lazio, il 15esimo dall’inizio del 2013, è stata diffusa dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. “Due settimane fa - ha detto il Garante - il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato la richiesta, presentata dai legali, di differimento della pena per motivi di salute. L’uomo, 82 anni, era affetto da gravi patologie ed era anche stato colpito da ictus. Forse bisognerebbe riflettere sul fatto che una persona con questo quadro clinico ed anagrafico avrebbe dovuto scontare la sua pena in una struttura diversa dal carcere e maggiormente adatta alle sue condizioni”. La vittima, S. C., aveva un fine pena previsto nel 2026. Nel 2005 a 75 anni di età, in preda ad una crisi depressiva dovuta alla sua situazione finanziaria, in quello che fu definito “il suo giorno di ordinaria follia”, aggredì una coppia cui aveva venduto l’appartamento e la falegnameria che gestiva. L’uomo venne ucciso, la donna gravemente ferita. Nel corso della sua detenzione S.C. era stato anche a Rebibbia. Non aveva contatti con l’esterno se non qualche saltuario colloquio con un anziano fratello. Questo è il decesso numero 15 registrato nelle carceri del Lazio da gennaio: cinque sono stati i suicidi, quattro i decessi per malattia e cinque per cause da accertare. Al computo va aggiunta anche una donna che lavorava come infermiera a Rebibbia. “La morte di quest’uomo - ha detto Marroni - riporta in primo piano la questione dei detenuti anziani e malati reclusi nelle carceri di tutta Italia. Si tratta di decine di persone che spesso sono ospitate nelle infermerie e nei centri clinici perché hanno bisogno di un’assistenza continua che, in una situazione di emergenza, comporta costi umani ed economici sempre più difficili da sostenere. Auspico che il Parlamento faccia al più presto proprio il grido d’allarme lanciato, una settimana fa, dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questi drammi rischiano di diventare all’ordine del giorno perché sovraffollamento, ristrettezze economiche e vuoti di organico sono fattori che, purtroppo, nascondono le persone, i loro problemi e le loro debolezze”. San Gimignano: Cenni (Pd); a Ranza migliora la situazione di personale e reclusi Adnkronos, 16 ottobre 2013 “Vedo molta passione nella discussione sul sistema carcerario italiano. Consiglio vivamente di approfondire di persona, e di toccare con mano.” È quanto dichiara Susanna Cenni, parlamentare del Pd alla Camera, in occasione del suo periodico incontro con le strutture carcerarie locali, ieri a Ranza, nel comune di San Gimignano (Siena). “Ho molto apprezzato i contenuti del messaggio che il presidente della Repubblica ha trasmesso alla Camere la scorsa settimana. Un messaggio che ha ricordato a tutti quanti che La Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, ci ha condannati, imponendoci di risolvere il problema entro il maggio del 2014”. “È certo - spiega Cenni - che occorrano un impegno serio e alcune modifiche strutturali e permanenti di un sistema che oggi riempie le strutture penitenziarie con molti detenuti per piccoli reati che certamente e più utilmente potrebbero scontare pene alternative. La certezza del diritto e della pena sono fondamentali ma altrettanto lo è la dignità di migliaia di detenuti e le condizioni di lavoro degli agenti che si trovano in condizioni di estrema difficoltà nelle nostre carceri”. “Servono interventi strutturali, misure alternative alla detenzione e una riforma della custodia cautelare per riuscire a fare delle carceri un vero luogo di riabilitazione. Abbiamo infrastrutture che versano in condizioni vergognose - aggiunge l’on. Cenni - e una popolazione carceraria non più gestibile. I numeri sono impietosi: nel nostro Paese i detenuti sono oltre 65mila, contro i 47mila posti possibili, per un totale di quasi 19mila persone in più. Occorre quindi aprire una seria riflessione normativa, come abbiamo fatto nei mesi scorsi, sull’adozione di pene alternative al carcere”. “Sovraffollamento e difficoltà strutturali, oltre ad una localizzazione infelice, con tutto quanto ne consegue, sono da anni presenti anche Ranza - spiega Cenni - oggi in parte attenuati da alcune prime risposte da parte del Dap, ma restano problemi strutturali che richiedono urgenti interventi. Da sempre le istituzioni locali si sono impegnate e in più occasioni il caso Ranza è stato portato all’attenzione dei ministri competenti e in Parlamento. Oggi la struttura può respirare grazie all’arrivo di alcune unità di nuovo personale di polizia, può contare finalmente su una direzione stabile che si sta molto impegnando, e alla quale credo vada garantita la massima collaborazione”. “Ho potuto apprezzare - conclude la parlamentare senese Pd - lo sforzo di questi mesi del direttore e del personale teso a perseguire un piano di più lungo respiro, cercando di favorire attività lavorative per i detenuti e organizzando all’interno del carcere progetti di recupero, come l’apertura di uno spazio attrezzato e reso più gradevole per favorire l’incontro tra detenuti e figli. Ma ho anche preso visione di carenze strutturali che rendono invivibili alcune celle, e difficoltoso anche il lavoro in alcuni uffici, che richiedono interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, affrontabili senza impegni ingentissimi, e sui quali intendo impegnarmi”. Oristano: Ugl chiede aumento agenti per arrivo 100 detenuti di alta sicurezza Adnkronos, 16 ottobre 2013 L’Ugl penitenziari sollecita il Dap ad inviare rinforzi “in vista dell’arrivo di 100 detenuti” in regime di Alta Sicurezza nel carcere di Massama, ad Oristano. “Infatti - si legge in una nota - se ad oggi l’istituzione del punto di Primo Intervento, affidato a Antonello Zanza, ottimamente integratosi col Personale medico in generale e con quello preposto alla sicurezza e custodia dell’Istituto ha determinato un’efficace risposta alle esigenze esistenti, l’arrivo ormai prossimo di oltre 100 detenuti a regime di alta sicurezza genera forti preoccupazioni”. Secondo l’Ugl “tali soggetti, precedentemente sostanzialmente capi-mafia o comunque appartenenti alla criminalità organizzata di alto profilo delinquenziale in uscita dal duro regime del 41 bis necessitano di assistenza sanitaria e sorveglianza custodiale in misura superiore rispetto al detenuto comune, sia dal punto di vista numerico che qualitativo”. Il sindacato della polizia penitenziaria chiede “ulteriori uomini, personale sanitario e mezzi adeguati per la gestione di tali pericolosi detenuti per evitare l’ingenerare di allarme sociale all’interno dell’Istituto nonché dell’intero territorio limitrofo”. Bologna: lavoro esterno per Annamaria Franzoni, una nota della Garante dei detenuti Ristretti Orizzonti, 16 ottobre 2013 L’attenzione mediatica rivolta in occasione dell’uscita per lavoro dal carcere di Annamaria Franzoni e il relativo assedio della stampa presso il luogo in cui è stata accolta impone alcune riflessioni. La dicotomia tra umanizzazione e spettacolarizzazione della pena e conseguenti oscillazioni. Se si ritiene siano indiscutibili concetti quali rispetto della persona, diritto alla riservatezza, tutela degli affetti, argomenti previsti non solo costituzionalmente ma anche da codici etici che si ritengono condivisi ed assodati, allora sarebbe necessario muoversi con la massima cautela nelle singole storie di chi è privato della libertà e sta scontando la pena. Le attenzioni riservate alla foggia degli abiti, al taglio dei capelli non producono valore aggiunto in termini di una doverosa e necessaria informazione sui temi della pena, sulle singole storie, col rischio di cristallizzarle in immagini mediatiche che divergono radicalmente da un atteggiamento etico di attenzione alla persona, ogni singola persona dietro le sbarre, la cui attenzione quantomeno al corpo, soprattutto se incarcerato, andrebbe declinata in maniera radicalmente differente. Attenzione di cui ci sarebbe un estremo bisogno, proprio per dare volti, biografie e luoghi a ogni persona detenuta, per progettare insieme ad essa il momento della libertà. Analoga attenzione andrebbe riservata ai luoghi che accolgono situazioni spesso difficilissime che possono uscire dal carcere solo grazie alla loro gratuita disponibilità, luoghi polifunzionali di tutela delle vulnerabilità che necessiterebbero di uno stabile sostegno di tutta la città, e non di assedi estemporanei, su cui si accendono i riflettori solo in presenza di eventi che destano risonanza. Ben venga una costante attenzione sulle tematiche carcerarie, sulla fatica delle risorse per il reinserimento, sulla necessità di lavorare operativamente dentro e fuori l’istituzione per la realizzazione di una pena costituzionalmente declinata. Con la consapevolezza che, se e quando ci saranno cambiamenti nel sistema carcerario, essi difficilmente saranno la conseguenza di un nuovo modo di pensare e di politiche innovatrici che evidentemente sinora hanno esitato a radicarsi, ma bensì di un processo di mutamenti esterni di altra natura, che possono e dovrebbero già partire a livello locale da un’attività di costante mobilitazione sociale e di risposte concrete su questi temi. Elisabetta Laganà, Garante Comunale dei diritti dei detenuti Lecce: Uil-Pa; venerdì “Lo scatto dentro” fa tappa nel carcere di Borgo San Nicola Adnkronos, 16 ottobre 2013 Nuova tappa in Puglia della segreteria nazionale della Uil-Pa penitenziari nell’ambito dell’iniziativa “Lo scatto dentro”, che sta interessando gli istituti penitenziari di tutta Italia. Dopo aver toccato, e fotografato, le carceri di moltissime città, venerdì sarà la volta della Casa Circondariale di Lecce. Immediatamente dopo la visita. il reportage fotografico realizzato dalla Uil-Pa Penitenziari sarà distribuito agli operatori dell’informazione e pubblicato sul sito internet www.polpenui.it nella sezione “Lo scatto dentro”. “La nostra iniziativa - spiega Gennarino De Fazio, segretario nazionale della Uil-Pa Penitenziari- ideata e fortemente voluta dal segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, ha lo scopo di far emergere soprattutto le condizioni di inumano degrado in cui, fatte salve poche eccezioni, gli operatori penitenziari sono costretti ad espletare la propria diuturna attività, subendo anche la compressione e la limitazione di elementari diritti, ed a cui lo Stato, non senza un certo livello d’ipocrisia, impone di far rispettare le leggi non mettendoli, però, nelle condizioni oggettive di poterle rispettare a loro volta”. “Ecco perchè -conclude De Fazio- il dibattito su amnistia e indulto, che siamo fermamente convinti siano una, se non la principale, delle precondizioni fondamentali per una seria riforma complessiva della giustizia, non può disconoscere ed essere avulso dalle fortissime criticità anche operative della Polizia penitenziaria e celarsi all’ombra di slogan inneggianti ad una sicurezza solo declamata”. Firenze: Sappe; detenuto protesta contro il trasferimento, feriti due poliziotti Agi, 16 ottobre 2013 Tre agenti della polizia penitenziaria del carcere fiorentino di Sollicciano al pronto soccorso dopo l’intervento per calmare un detenuto. La prognosi è di alcuni giorni. È successo oggi a Sollicciano. Il detenuto, un magrebino “pluripregiudicato per reati connessi alla droga”, ha messo in atto una protesta nel tentativo di evitare il trasferimento in un’altra parte dell’istituto. Il malvivente inizialmente ha sputato in faccia a un soprintendente, quindi ha iniziato ad accatastare all’interno della cella suppellettili e altro materiale a cui ha dato fuoco con un fornellino. Gli agenti sono intervenuti con gli estintori e, una volta spento il fuoco, sono entrati nella cella per accertarsi delle condizioni del carcerato, che in tutta risposta ha iniziato a colpirli. Questo il commento del segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Donato Capece: “Questo è il terzo episodio di violenza in un carcere toscano in pochi giorni. Dopo quelli di Pisa e Lucca, ora è il caso del carcere fiorentino di Sollicciano. Un penitenziario, va detto con chiarezza, nel quale l’organizzazione del lavoro dei poliziotti è assai precaria, c’è un forte malumore dei baschi azzurri verso una direzione del carcere che sentono insensibile, indifferente e distante ai problemi reali di chi lavora nella prima linea delle sezioni detentive”. Russia: italiano attivista di Greenpeace resta in carcere fino al 24 novembre Agi, 16 ottobre 2013 L’attivista italiano di Greenpeace Cristian D’Alessandro resterà in carcere in Russia fino al 24 novembre. Lo ha riferito l’organizzazione. Il tribunale regionale di Murmansk ha infatti respinto la richiesta di scarcerazione presentata dal legale del 31enne membro dell’equipaggio della nave Arctic Sunrise, attualmente trattenuto in custodia cautelare dalle autorità russe con l’accusa di pirateria. I giudici hanno anche respinto il ricorso degli altri 27 attivisti e dei 2 giornalisti free lance che si trovavano a bordo della nave abbordato e sequestrato il 19 settembre dalla Guardia costiera russa l’rompighiaccio di Greenpeace in acque internazionali. I 30 sono detenuti in strutture di detenzione preventiva intorno alla città di Murmansk. Pd: no a scarcerazione D’Alessandro è arroganza giuridica “Una pericolosissima arroganza giuridica, solo così si può definire il comportamento tenuto oggi dalla corte russa di Murmansk”. Lo dichiarano Michele Anzaldi, Antonio Boccuzzi, Lorenza Bonaccorsi, Federico Gelli e Giovanna Palma dopo che oggi è stata rifiutata la richiesta di scarcerazione per Cristian D’Alessandro, l’attivista italiano di Greenpeace, membro dell’equipaggio della nave Arctic Sunrise, trattenuto per due mesi in custodia cautelare dalle autorità russe. Gli avvocati di Greenpeace avevano chiesto la scarcerazione su cauzione per lui come per gli altri 27 attivisti e i 2 giornalisti free lance. Così come per gli altri casi esaminati finora. Rimane per tutti l’accusa di pirateria, secondo l’articolo 227 del Codice penale russo. Gli attivisti di Greenpeace rischiano fino a 15 anni di detenzione. “La conferma della carcerazione preventiva per il reato di pirateria - continuano i parlamentari del Pd - è già di per se un obbrobrio per molti motivi: primo, non si trattava di una nave, ma di una piattaforma petrolifera; secondo, non si è trattato di un abbordaggio armato, ma di una manifestazione pacifica con meri fini di comunicazione; infine - proseguono i deputati - non si è trattato di un avvicinamento inaspettato, ma di un evento anticipato via radio alla piattaforma che a sua volta lo ha comunicato alla guardia costiera, il tutto seguito e registrato minuto per minuto e metro per metro”. “Inoltre, oggi, per giustificare una prigionia lunghissima, immotivata e in condizioni ambientali durissime, è stato tirato in ballo un presunto pericolo di fuga e di inquinamento delle prove. Questo, in una nazione in cui senza visto, si riescono a fare pochissime cose”. Un simile trattamento giuridico - concludono i deputati - rischia di creare dei gravissimi precedenti e dovrebbe far riflettere tutti coloro che si recano in Russia per turismo o peggio ancora, per attività commerciali”. Sono intanto quasi 1 milione e 400 mila le firme per chiedere alle autorità russe il rilascio degli attivisti. Le diplomazie di vari Paesi si stanno muovendo, anche la Presidente del Brasile, Dilma Rouseff, ha assicurato il suo interessamento. Al Quirinale sono giunte le oltre 100 mila firme di sostegno all’appello della madre di Cristian perché l’Italia intervenga. L’equipaggio dell’Arctic Sunrise, gli attivisti e i due giornalisti freelance a bordo della nave sono nelle mani delle autorità russe da giovedì 19 settembre, quando la Guardia Costiera ha abbordato e sequestrato la nave rompighiaccio di Greenpeace in acque internazionali. Dal 24 settembre sono detenuti in strutture di detenzione preventiva intorno alla città di Murmansk e non sempre è assicurato loro spazio a sufficienza, riscaldamento o accesso all’acqua potabile. Iran: 471 esecuzioni registrate dall’inizio del 2013 alla Giornata Internazionale contro la Pena di Morte www.ncr-iran.org, 16 ottobre 2013 231 esecuzioni, fra le quali 10 di donne, dopo le elezioni presidenziali. Si inganna la comunità internazionale e si giustificano commercio e accondiscendenza sventolando il mito della temperanza e della moderazione del regime. Dall’inizio del 2013 al 10 ottobre, Giornata Internazionale contro la Pena di Morte, sono state registrate 471 esecuzioni di detenuti da parte di boia del regime dei mullah, 231 delle quali (incluse quelle di 10 donne) dopo le elezioni presidenziali farsa del 14 giugno. Questo è avvenuto mente le informazioni su molte altre esecuzioni non escono dalle prigioni. Alcune vittime erano giovani di meno di 18 anni al momento della commissione dei crimini loro imputati. Per decreto degli sgherri giudiziari del regime, alcuni dei giustiziati avevano ricevuto decine di frustate poche ore prima dell’esecuzione. In molte città, i detenuti sono stati impiccati in pubblico per diffondere orrore e terrore. Esecuzioni pubbliche sono avvenute a Noshahr, Babol, Ghaemshahr, Tonekabon, Shiraz, Jahrom, Fassa, Ahwaz, Dehdasht, Hendijan, Shahr-e Kord, Ilam e Karaj. Molte esecuzioni sono state collettive, di gruppi fra i 10 e i 20 detenuti. I media di Stato hanno pubblicizzato ampiamente orribili immagini di tali esecuzioni per generare ulteriore terrore. Gli esempi sconvolgenti delle esecuzioni pubbliche di due prigionieri di 20 e 23 anni, rei del furto di meno di 35 euro, di tre giovani che avevano rispettivamente 12, 15 e 17 anni al momento del loro arresto, dell’impiccagione della salma di un uomo di 28 anni, con il corpo ferito e insanguinato, che si era ucciso poche ore prima dell’esecuzione nella prigione di Bandar Abbas, e dell’impiccagione del corpo di un detenuto di 23 anni che era morto di attacco cardiaco nella prigione di Zahedan mostrano ancora una volta la natura anti-umana dei criminali che non hanno risparmiato al popolo iraniano alcuna atrocità e barbarie durante i loro 35 anni di regno. Intanto, nella sola prigione di Ghezel Hessar 3.000 detenuti sono nel braccio della morte. Per facilitare le impiccagioni collettive, il regime clericale ha allestito lì una struttura per l’esecuzione simultanea di 24 persone e impicca senza pubblicizzarlo numerosi detenuti ogni settimana. Il ciclo di atrocità e terrore del regime dei mullah, oltre alle esecuzioni arbitrarie, comprende pene medievali come amputazione delle mani, accecamento e taglio delle orecchie. Sei sentenze di amputazione di mani a Shiraz, quattro sentenze di lapidazione (per due donne e due uomini) a Tabriz e un decreto di asportazione di un occhio e taglio di un orecchio a un operaio detenuto a Tehran sono altri esempi delle recenti atrocità del regime al potere in Iran. La signora Maryam Rajavi, Presidente-eletta della Resistenza Iraniana, nel riaffermare la necessità di presentare il rapporto sulle violazioni sistematiche e barbariche dei diritti umani in Iran al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha dichiarato: “La tendenza in aumento delle esecuzioni in Iran dimostra che lo sventolare temperanza e moderazione da parte della dittatura religiosa al potere in Iran non ha altro obiettivo che ingannare la comunità internazionale e giustificare il commercio e l’accondiscendenza con questo regime medievale”. La signora Rajavi ha aggiunto: “Mentre con vuoti gesti a New York il regime aspira alla rimozione delle sanzioni, con l’aumento delle esecuzioni, l’attuazione del massacro ad Ashraf per mezzo del governo di Maliki in Iraq, le stragi spietate in Siria, l’esportazione crescente di fondamentalismo e terrorismo e l’accelerazione del progetto di armamento nucleare il regime stesso tenta di scongiurare il furore popolare e la propria inevitabile caduta. Israele: l’Unicef denuncia violazioni nella detenzione dei minori palestinesi Nova, 16 ottobre 2013 A sette mesi dalla pubblicazione del rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) sul trattamento dei minori palestinesi sotto custodia militare in Israele, si registrano tuttora delle violazioni dei diritti umani. È quanto emerge dal primo rapporto di monitoraggio (Progress Report) sulla condizione dei minori palestinesi detenuti dalle autorità militari israeliane, appena reso noto dall’Unicef. Tuttavia, come si legge in un comunicato, le autorità israeliane stanno anche dando corpo a diverse iniziative per dare seguito alle raccomandazioni formulate dall’Unicef nel marzo scorso. Il rapporto affermava che vi fossero fondati sospetti di casi di maltrattamento durante gli arresti, i trasferimenti e gli interrogatori di minorenni detenuti in Cisgiordania. In risposta, il ministro degli Esteri israeliano aveva dichiarato di voler valutare le conclusioni del rapporto e di essere disponibile a lavorare per dare seguito a queste raccomandazioni, collaborando con l’agenzia dell’Onu. Da allora l’Unicef ha collaborato strettamente con l’ufficio del Procuratore generale delle Forze armate israeliane (Idf), con la comunità diplomatica e con organizzazioni non governative internazionali, israeliane e palestinesi per fornire sostegno al processo di trasformazione delle raccomandazioni in azioni concrete. Nel settembre scorso il Comando centrale dell’Idf per la Cisgiordania ha accettato un test pilota in due aree della Cisgiordania, basato su un nuovo approccio: emettere ordini di convocazione per i minori ricercati, anziché procedere con arresti in casa nel cuore della notte, che sono traumatici per i bambini e per i loro fratelli. L’Unicef considera questo sviluppo fondamentale e in linea con uno dei documenti di raccomandazione più importanti, che afferma che "gli arresti di bambini dovrebbero avvenire durante il giorno, anche in situazioni eccezionali e gravi". Ad aprile 2013 è inoltre entrato in vigore l’ordine militare che per la prima volta riduce il periodo di detenzione di un minore palestinese prima di comparire di fronte a un giudice del tribunale militare. Il nuovo ordine riduce i tempi da quattro giorni a 24 ore per i bambini tra 12 e 13 anni e da due a quattro giorni per quelli di età compresa tra 14 e 15 anni. Non vi sono cambiamenti per i bambini tra 16 e 17 anni. Tali misure sono in linea con le raccomandazioni del rapporto, secondo le quali i bambini "in stato di detenzione, entro 24 ore dal loro arresto, dovrebbero avere accesso rapido ed efficace ad un controllo giurisdizionale indipendente sulla legalità del loro arresto e della loro detenzione". In ogni caso, questi tempi possono essere estesi se vengono riscontrate "circostanze speciali". L’Unicef continuerà a collaborare con il Procuratore generale delle Forze armate israeliane e promuoverà tutte e 38 le raccomandazioni del Rapporto, per migliorare la protezione per i bambini in conformità agli standard internazionali. Tali raccomandazioni includono la proibizione, nei confronti di detenuti minorenni, di pratiche quali: bendatura degli occhi, detenzione dura, abuso fisico, denudazione e perquisizione, isolamento. Inoltre si raccomanda che, ad eccezione di circostanze estreme, i bambini non devono essere arrestati di notte e che un avvocato o un membro della famiglia deve essere presente durante gli interrogatori dei minorenni sospetti, con possibilità di effettuare video-registrazioni degli interrogatori. Marocco: re Mohammed VI grazia 225 detenuti per la festa del Sacrificio Nova, 16 ottobre 2013 In occasione della festa islamica del Sacrificio, considerata la più importante del mondo islamico, il re del Marocco, Mohammed VI, ha graziato 225 detenuti. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa marocchina "Map", il provvedimento riguarda in particolare un gruppo di detenuti a fine pena e altri che hanno potuto così pagare una ammenda per poter essere scarcerati. Si tratta di un provvedimento di clemenza atteso ogni anno in occasione di questa festa islamica da parte del capo di stato marocchino che è anche leader religioso nel paese. Pakistan: governo libera sette prigionieri talebani, in totale 40 hanno lasciato il carcere Ansa, 16 ottobre 2013 Con l’obiettivo di contribuire al processo di pace e riconciliazione in Afghanistan, le autorità del Pakistan hanno disposto la scarcerazione di altri sette prigionieri legati al movimento dei talebani afghani. Lo hanno confermato oggi fonti degli stessi insorti, secondo cui i sette “hanno raggiunto le loro famiglie”. Con questo nuovo gruppo, il numero dei militanti che ha ritrovato la libertà ha raggiunto quota 40. La personalità più importante che secondo Islamabad ha lasciato il carcere è il mullah Abdul Ghani Baradar, già “numero due” del movimento guidato dal mullah Omar. Il rilascio di Baradar, considerato chiave dal presidente Hamid Karzai per far avanzare il processo di pace in Afghanistan, è ancora avvolto però nel mistero. Di recente infatti il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha sostenuto che “trascorre i suoi giorni e le sue notti in carcere”. Da parte sua un portavoce del ministero degli Esteri pachistano ha sostenuto che “per quello che ci riguarda il mullah Baradar è libero di muoversi come vuole”.