Un atto di clemenza o un atto di giustizia? Mattino di Padova, 14 ottobre 2013 “Il dramma delle nostre carceri, oggi, è che questi uomini e queste donne escono addirittura peggiori di quando sono entrati”: queste sono parole di Luigi Pagano, per anni direttore del carcere di San Vittore e oggi una delle massime autorità dell’Amministrazione penitenziaria. Allora se parliamo di amnistia e di indulto, non parliamo, per favore, di un atto di clemenza, parliamo piuttosto di giustizia: perché è illegale scontare la pena nelle condizioni disumane del sovraffollamento, e far uscire le persone dal carcere un po’ prima con un indulto significherebbe allora risarcirle di una detenzione profondamente ingiusta, e prevedere un’amnistia significherebbe invece ammettere che è altrettanto ingiusto venire processati con leggi, create apposta in un clima di paura per punire i più deboli, tossicodipendenti, immigrati, recidivi per piccoli reati. Quelle leggi poi però bisogna anche cambiarle, altrimenti tutto tornerà come prima. Comprendo le paure delle persone che si dannano la vita per arrivare a fine mese Il Presidente della Repubblica ha mandato un messaggio alle Camere sollecitando i parlamentari a prendersi le loro responsabilità e a varare dei provvedimenti per risolvere il drammatico problema del sovraffollamento. Nel messaggio si invita anche a valutare anche l’ipotesi di un provvedimento di amnistia e indulto, e la cosa ha scatenato tantissime polemiche. Io mi trovo in carcere da molti anni e di indulti non ne ho mai presi perché esistono delle norme che rendono difficile la fruizione per tutti. Riesco a comprendere che non siano d’accordo con la concessione dell’indulto le persone che non sono mai entrate in galera, quelli che lavorano tutto il giorno e si dannano la vita per arrivare a fine mese, oppure quelli che hanno subito un furto. Comprendo le paure delle persone che sono state bombardate dalla propaganda elettorale sulla sicurezza, perché c’è un’informazione creata proprio per ottenere qualche voto in più, con l’unico sforzo, in campagna elettorale, di gridare contro lo straniero o il tossicodipendente, o tutti quelli che non piacciono e si vorrebbe buttarli via. Tuttavia, a me viene da chiedere a tutte le persone che sono così decisamente contro questi provvedimenti di clemenza se sanno davvero come sono ridotte le galere. Mi piacerebbe capire se sanno quanti suicidi ci sono stati nelle carceri e quanti sono gli atti di autolesionismo da gennaio ad oggi. Chissà se sanno che nelle carceri non si muore solo di suicidio, ma anche perché il diritto alla salute è spesso un miraggio. I posti disponibili sono circa trentottomila, ma qua dentro siamo quasi settantamila! E intanto il numero dei medici è rimasto immutato! Nei reparti dove stavano 25 perone, oggi ce ne stanno 75. Le docce pensate per 25 persone oggi le usano in 75. Si possono immaginare le conseguenze per l’igiene, si possono anche immaginare le tensioni che vivono le persone detenute. I contatti con i parenti sono anche più difficoltosi, giacché le sale adibite per i colloqui erano attrezzate per ricevere 70 persone al giorno e oggi ne devono sopportare forse il triplo. Come si può allora rispettare la funzione rieducativa e risocializzante della pena? La sicurezza sociale, la riduzione della recidiva è garantita dai percorsi rieducativi, ma quante sono le persone detenute che vi possono accedere? Sono poche e chi non vi potrà far parte uscirà peggiore di come era entrato. Ecco perché è necessaria una misura di clemenza e servono poi le riforme della giustizia, in particolare la riforma del codice penale e la piena attuazione delle misure alternative previste dalla legge penitenziaria insieme all’abrogazione di alcune leggi dannosissime come la ex-Cirielli che ha alzato le pene per la recidiva, riempiendo le galere per reati di poco conto; la Giovanardi-Fini che ha riempito le galere di tossicodipendenti con l’invenzione della tabella unica delle droghe; infine la Bossi-Fini che ha riempito le galere di extracomunitari clandestini. Queste leggi sono servite solo ad aumentare il numero dei detenuti, quelli che appartengono alla categoria dei soggetti deboli, ovviamente. Quelli che stanno male e che a volte non ce la fanno proprio a sopravvivere a queste galere. Bruno Turci Meglio un Silvio “salvo” che 67mila Nessuno “morti” Sinceramente quando scrivo di galera, sul carcere e in prigione non riesco a essere sopra le parti. La Direttrice del nostro giornale, Ristretti Orizzonti, m’invita spesso a non pensare e non scrivere da arrabbiato, ma dopo ventitré anni ininterrotti di galera mi viene difficile non indignarmi perché i miei occhi nell’inferno delle carceri italiane in questi anni hanno visto cose che i normali umani non vedranno mai. Ecco perché penso che un atto di clemenza come l’indulto e l’amnistia non sia solo giusto, intelligente e umano, ma sia anche necessario. E pazienza se per salvare sessantasette mila “colpevoli” si amnistia e s’indulta anche un “Silvio di troppo” o se l’amnistia indulto non risolverà il sovraffollamento delle carceri perché per farlo bisogna anche cambiare alcune leggi che altrimenti le riempiranno di nuovo. Intanto salveremo tante vite umane perché dall’inizio dell’anno ci sono stati 121 morti in cella, di questi circa trentanove sono i suicidi accertati. E credo che non si possa lasciare alla morte il compito di portare la legalità istituzionale o di risolvere il sovraffollamento nelle carceri. Penso anche che un indulto e un’amnistia facciano bene alle tasche di tutti i cittadini italiani, oltre che alle casse dello Stato, perché la sentenza della Grande Camera della Corte europea ha stabilito che entro fine maggio 2014 l’Italia deve ritornare nella legalità penitenziaria. In caso contrario il nostro paese sarà costretto a pagare milioni di euro di multa perché lo Stato italiano è da qualche tempo ritenuto dall’Europa un “criminale a piede libro”. E alcuni addetti ai lavori dicono che sia persino più fuorilegge di quei circa sessanta settemila “colpevoli” e di quel “Silvio di troppo”. Si è vero, c’è il rischio che forse quei partiti che appoggeranno un eventuale indulto e amnistia perderanno consensi elettorali e invece quei partiti che saranno contrari li aumenteranno, ma è bene che si sappia che questi ultimi saranno voti che gronderanno di disumanità. Un partito o un movimento politico non dovrebbe guadagnare voti sulla sofferenza sia delle vittime sia degli autori dei reati. E i tutti i casi non penso che sia giustizia tenere i detenuti uno sopra l’altro come pezzi di legno in una catasta perché non c’è più posto. Credo che “Una punizione è giusta solo quando è intesa al bene di chi la deve subire” (John Stuart Mill). Voi che ne pensate? E se avete dubbi venite a vedere come sopravviviamo. Carmelo Musumeci Ci considerate ancora delle persone? Sono carcerato da 5 anni e devo stare in carcere altrettanto. Dopo il messaggio del Presidente della Repubblica si è scatenata una vera e propria “guerra” fra chi è a favore e chi è contrario a dare un provvedimento di clemenza. Si è arrivati a minacciare, da parte di qualche parlamentare, in caso di concessione di indulto, di “fare del parlamento un Vietnam”. Mi sono chiesto anch’io: perché devono essere clementi con chi ha infranto la legge? Dov’è la certezza della pena? Chi risarcirà le persone che hanno subito dei reati? E al primo impatto ho detto che sono d’accordo, non è giusto essere clementi con chi ha fatto del male, chi sbaglia deve pagare. Ma non mi posso fermare qui, perché io vivo in carcere. Vivo in questo posto dove povertà, violenza, suicidi (tentati o riusciti) sono all’ordine del giorno, quando qualcuno riesce a suicidarsi il pensiero che Non si dice è “è stato coraggioso a risparmiarsi questa sofferenza”. Vivo in questo posto dove anche il contenimento chimico, con gli psicofarmaci che qui non mancano mai, non dà più risultati. Vivo dove ogni detenuto ha a sua “completa” disposizione 2,8 metri quadrati. Togliendo lo spazio occupato da letto e armadio gli rimangono poco più di 0,5 metri quadri di spazio calpestabile. In queste condizioni non riesco a capire il significato delle parole della Costituzione “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. A questo puto mi pongo un’altra domanda: “ci considerate ancora delle persone?” Sento tante proposte e soluzioni, ma ci si è dimenticati che negli ultimi anni sono stati fatti 3 decreti soprannominati “svuota carceri” e però la situazione è sempre più o meno la stessa. La soluzione è semplice, bisogna fare una scelta. Considerare non appartenente alla Razza Umana chi entra in carcere, Colpevole o Presunto Tale, o discutere seriamente sulla proposta del Presidente, perché è l’unica maniera per mettere fine a questa situazione di degrado. Anticipando di poco tempo il rientro nella società di chi in società rientrerà comunque. Scegliete voi, scegliete il male minore. Io voglio solo essere considerato una persona, ma fate presto, perché mentre voi tentate di trovare una soluzione siamo oltre 66 000 persone (se ancora ci considerate tali) che sopravviviamo in condizioni molto vicine alla tortura. Clirim Bitri Da detenuto “cattivo per sempre” a detenuto “come lo vuole la Costituzione” Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2013 All’attenzione del Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. All’attenzione del Capo del Dap, Giovanni Tamburino. Da detenuto “cattivo per sempre” a detenuto “come lo vuole la Costituzione”. È questo che chiediamo per Carmelo Musumeci, la declassificazione, finalmente, da un regime di Alta Sicurezza a una sezione di media sicurezza, il riconoscimento che l’uomo della pena non è più quello del reato. Le battaglie che Ristretti Orizzonti ha fatto in questi anni le ha fatte per migliorare le condizioni di vita di tutti, ma anche per i singoli detenuti, perché la storia di uno che viene “salvato” dai danni che può produrre il carcere e accompagnato in un percorso di assunzione di responsabilità è comunque un successo per tutti. Ora è la volta di battersi per uno dei nostri redattori, per Carmelo Musumeci, perché finalmente, dopo 23 anni di carcere ininterrotti, sia considerato pronto per essere declassificato, dal regime di AS1 alla media sicurezza. Se riteniamo che la Costituzione, quando all’articolo 27 parla di pene e carcere, e della pena coglie solo il valore rieducativo, e non quello di rispondere al male con altrettanto male, sia il testo in cui si parla di carcere nel modo più moderno e più ricco di umanità, allora forse dobbiamo anche cominciare a porre delle domande a chi la Costituzione dovrebbe applicarla. E noi una domanda forte e chiara la facciamo: che cosa ci fa in Alta Sicurezza un detenuto che, entrato in carcere con la quinta elementare, si è laureato in Scienze Giuridiche prima, in Giurisprudenza dopo, ha pubblicato quattro libri, da tanti anni si impegna con tutte le sue energie per l’abolizione dell’ergastolo, in particolare quello ostativo, quello che lui chiama “La Pena di Morte Viva”, facendosi in qualche modo carico del destino di tanti, e non solo del suo? Che da anni su questi temi collabora con la Comunità Papa Giovanni XXIII, che insieme a noi chiede con testarda convinzione la sua declassificazione? Che cosa ci fa in Alta Sicurezza un detenuto che da un anno ormai fa parte della Redazione di Ristretti Orizzonti, e interviene attivamente nel progetto di confronto fra le Scuole e il Carcere, incontrando i ragazzi delle scuole non per dire quanto male si sta in carcere, ma per riflettere anche su di sé, sul percorso che lo ha portato a scegliere l’illegalità, sulla necessità di assumersene ora tutte le responsabilità? Perché ci sentiamo dire da esperti, addetti ai lavori, operatori penitenziari che l’uomo non è solo il suo reato, se poi dobbiamo vedere un uomo, che negli anni è profondamente cambiato, restare inchiodato al suo passato perfino dentro al carcere, perfino nel luogo a cui la Costituzione ha assegnato il ruolo di RIEDUCARE, prima e più che di punire? Possiamo sperare allora in una risposta che sia, finalmente, rispettosa della Costituzione? Possiamo aver fiducia che finalmente verrà riconosciuto il percorso di Carmelo Musumeci, le energie le fatiche l’impegno che ci ha messo per diventare una persona diversa dall’uomo del reato? La Redazione Giustizia: domani in Commissione Giustizia del Senato inizia esame ddl per amnistia e indulto Adnkronos, 14 ottobre 2013 “Ritengo che ora, di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e all’imperativo - morale e giuridico - di assicurare un “civile stato di governo della realtà carceraria”, sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all’adozione di atti di clemenza generale”. È il passaggio centrale del messaggio, mercoledì scorso, del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alle Camere, che ha fatto ricorso per la prima volta alla facoltà derivante dall’art. 87 della Costituzione. Un segno, formale ma anche simbolicamente significativo, del rilievo massimo attribuito dal Capo dello Stato alla situazione delle carceri e al possibile rimedio, individuato in provvedimenti di amnistia e indulto. Se non ve ne sono stati, rispettivamente, dal 1990 e dal 2006, è a causa della diffusa ostilità dell’opinione pubblica, che ha trovato un riflesso in posizioni politiche che hanno reso irraggiungibile il quorum dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, come prevede l’art. 79 della Costituzione. Il messaggio di Napolitano è immediatamente stato recepito nella sua rilevanza dal Parlamento al punto che la Camera ha affidato alla commissione Giustizia presieduta da Donatella Ferranti un’istruttoria sull’argomento, che si concluderà entro il mese di ottobre, al termine di alcune audizioni, la prima delle quali del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, giovedì prossimo. Il Senato, nella seconda commissione presieduta da Francesco Nitto Palma, ha già incardinato nei suoi lavori, per la seduta di dopodomani, almeno due ddl, presentati da Luigi Manconi (Pd) e Luigi Compagna (Gal), relatori Ciro Falanga (Pdl) e Nadia Ginetti (Pd). A Montecitorio, c’è un progetto presentato da Sandro Gozi (Pd). Un altro ddl è stato depositato pochi giorni fa da Lucio Barani (Gal) a palazzo Madama. M5s dice no, anche Fdi e Lega contrari Presentate fra marzo e maggio scorsi, la caratteristica che accomuna le proposte, fatta eccezione per quella di Barani, è che le loro norme non sono applicabili ai reati che vedono condannato Silvio Berlusconi, visto che le fattispecie indicate sono quelle per cui la pena massima prevista non deve superare i 4 anni. Una circostanza che non ha rassicurato diverse parti politiche (fra cui M5S), che si sono mostrate contrarie al clima auspicato da Napolitano, proprio per il timore che nei passaggi parlamentari si trovi il modo di risolvere i problemi del Cavaliere (il reato di frode fiscale prevede un massimo della pena di sette anni). Lega e Fratelli d’Italia, invece, sono contrari per principio ad ogni forma di clemenza, che incrina la certezza della pena e hanno già annunciato la loro contrarietà. Anche la proposta presentata il 26 marzo scorso da Sandro Gozi, inoltre, “concede amnistia per tutti i reati commessi entro il 14 marzo 2013 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena, ferme restando alcune esclusioni per i reati connotati da maggiore pericolosità sociale e lesivi di beni giuridici di rango costituzionale particolarmente elevato”. Inoltre, “analoghe esclusioni sono previste per l’indulto, che è concesso nella misura di tre anni in linea generale e di cinque per i soli detenuti in gravi condizioni di salute”. Nella proposta Manconi-Compagna esclusi i reati più gravi Nella proposta Manconi - Compagna sono esclusi dall’amnistia (che è rinunciabile), fra gli altri, i reati: commessi in occasione di calamità naturali, peculato, falsa testimonianza, attentati a impianti di pubblica utilità, delitti contro la salute pubblica, rialzo e ribasso fraudolento di prezzi, lesioni colpose in relazione a violazioni delle norme per la sicurezza sul lavoro, diffamazione con attribuzione di fatto determinato con mezzi di comunicazione radiotelevisiva, violazione del codice delle leggi antimafia e del testo unico sull’immigrazione. Quanto all’indulto, che estingue la pena (a differenza dell’amnistia che estingue il reato) viene concesso “nella misura non superiore a quattro anni per le pene detentive e non superiore a euro 10.329,13 per le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive. L’indulto è concesso, nella misura non superiore a cinque anni, invece, a chi è affetto da gravi patologie. ‘indulto per le pene accessorie viene concesso “per intero per le pene accessorie temporanee, conseguenti a condanne per le quali è applicato, anche solo in parte l’indulto”. Anche per l’indulto sono previsti casi di non applicabilità, per i reati di strage, mafia, sequestro di persona, usura, riciclaggio, produzione e traffico di stupefacenti. L’indulto viene inoltre revocato se chi ne ha usufruito commette entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge un delitto non colposo per il quale riporti una condanna non inferiore ai due anni. In ogni caso, Luigi Manconi, visti alcuni commenti, ha precisato in una nota il suo ddl “non potrebbe applicarsi alle pene principali e accessorie inflitte a Silvio Berlusconi per il caso Mediaset”. Nel progetto di Barani un super indulto, anche per i recidivi Un certo clamore ha suscitato la proposta depositata il 9 ottobre dal senatore socialista, iscritto al gruppo Gal, Lucio Barani per “consentire - si legge nella relazione - il superamento dei conflitti tra poteri dello stato, debellare definitivamente ogni forma di criminalità in piena applicazione dell’art. 27 della Costituzione” (contro le pene inumane e a favore della rieducazione del condannato, ndr.) e abbandonare ogni forma di violazioni dei diritti umani commessi durante l’esecuzione di pende detentive e o in regime di custodia cautelare”. Barani avanza così una proposta (atto Senato 1081) più ampia delle precedenti, anche perché non esclude i recidivi fra i beneficiari dell’amnistia e dell’indulto, anche sotto il profilo delle pene accessorie, e vi include anche coloro che, condannati per la partecipazione a organizzazioni criminali, “rendano completa divulgazione di tutti i fatti rilevanti relativi a reati commessi durante la loro partecipazione in organizzazioni criminali”. È previsto che l’amnistia venga concessa “per ogni reato per il quale è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a sei anni” o una pena pecuniaria “per fatti commessi non oltre il 30 settembre 2013”. Sul fronte dell’indulto, viene concesso nella misura non superiore a 5 anni per le pene detentive e non superiore ad euro 12.911,41 per le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive. Giustizia: con l’indulto del 2006, fuori 26mila detenuti, ma oggi carceri scoppiano più di allora Ansa, 14 ottobre 2013 Sono stati più di 26mila i detenuti - e tra questi oltre settemila gli stranieri - che uscirono dalle carceri per gli effetti diretti e indiretti dell’indulto varato dal Parlamento il 31 luglio del 2006, una cifra ben superiore a quella inizialmente stimata, allora, dal ministero della Giustizia, e pari a circa 17mila unità. Agli effettivi “fuoriusciti” del 2006 bisogna inoltre affiancare altre 17.290 persone che scontavano la pena con misure alternative al carcere e che beneficiarono anche loro dell’indulto. Una platea, anche questa, non calcolata nelle cifre sui primi impatti del condono, sulle quali ci fu un valzer di numeri con relative polemiche che portarono alle dimissioni il sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre “colpevole” di aver diffuso dati allarmistici sull’effettivo numero degli indultati, ben superiori a quelli resi pubblici dal Guardasigilli Clemente Mastella che a fine 2006 contava solo 15.455 detenuti usciti dalle carceri. Sette anni fa nei penitenziari erano stipate circa 60mila persone e la situazione era al collasso: oggi lo è ancora di più dal momento che sono oltre 65mila i reclusi, e la capienza regolare delle celle è sempre per 43mila detenuti. Dal 1946, sono state 24 le amnistie e 17 i provvedimenti di indulto. A testimonianza del fatto che lo strumento della clemenza è sempre stato abbondantemente usato per disinnescare l’emergenza carceri lasciando però irrisolti i fattori inflattivi del sovraffollamento. Già nei primi mesi del 2007, infatti, la popolazione carceraria aveva ripreso a crescere al ritmo di 900 nuovi ingressi ogni mese. La recidiva dei rientrati tra quelli usciti per effetto dell’indulto si è attestata attorno all’11%, di questi quasi il 20% aveva 18-20 anni. A beneficiare maggiormente del condono varato dal governo Prodi sono stati nell’80% dei casi uomini tra i 25 e i 44 anni. Per quanto riguarda il tipo di crimini commessi dagli indultati, il 39,9% era stato condannato per reati contro il patrimonio; il 14,3% per vicende legate agli stupefacenti; il 12,1% per reati contro la persona; il 7,4% per violazione della normativa sulle armi; il 6,2% per atti contro la fede pubblica e il 5% conto la pubblica amministrazione. Giustizia: così all’estero il lavoro svuota le carceri… i governi investono sulla riduzione della recidiva di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 14 ottobre 2013 In Gran Bretagna c’è un carcere, quello di Peterborough nel Cambridgeshire, dove se nel 2014 scenderà almeno del 7,5% il tasso di recidiva di 3mila detenuti - ammessi nel 2010 a un programma di reinserimento sociale attraverso lavori finanziati con 5 milioni di sterline da 17 investitori privati - costoro incasseranno un rendimento annuo del 13% per 8 anni (meglio di qualunque titolo in Borsa), pagato dal ministero della Giustizia inglese con una quota dei soldi di una lotteria nazionale. Negli Stati Uniti c’è un carcere, quello di Rikers Island, dove la banca d’affari Goldman Sachs - che con la garanzia della fondazione del sindaco newyorkese Bloomberg ha messo 9,6 milioni di dollari in un progetto di riabilitazione attraverso il lavoro e lo studio di 3 mila detenuti - guadagnerà 2,1 milioni di dollari di interessi pagati dal governo americano se la recidiva dei detenuti sarà scesa almeno del 10%. Non è fantascienza buonista ma serissima sperimentazione all’estero dei social impact bond , cioè di prodotti finanziari sulla scia delle tradizionali obbligazioni, con la differenza che alla scadenza garantiscono un certo rendimento ai privati sottoscrittori soltanto se è stato raggiunto il risultato prestabilito per un certo progetto di interesse pubblico. Se il risultato è centrato, infatti, ci guadagnano proprio tutti. I detenuti rientrano nella vita quotidiana con un reinserimento reale e stabile. Per i cittadini la minore recidiva degli ex detenuti si traduce in maggiore sicurezza nella società. Lo Stato raccoglie risultati sociali ed economici (minor recidiva si traduce in meno nuovi reati che vogliono dire anche meno soldi da spendere in repressione e carcere) senza dover impegnare all’inizio grosse cifre per investimenti per i quali non ci sarebbe margine nei malconci bilanci pubblici. Le associazioni non profit, che svolgono sul campo il lavoro di reinserimento lavorativo-sociale, trovano sul mercato finanziario quei fondi che altrimenti lo Stato non sarebbe in grado di impegnare. E gli investitori privati incassano i frutti di bond dal rendimento assai maggiore e protratto rispetto alla maggior parte delle alternative in Borsa. Ovvio però che occorrano strumenti di misurazione affidabili, altrimenti diventa impossibile convincere investitori privati, i quali in caso di insuccesso dei progetti rischiano di perdere totalmente il proprio capitale investito. Eppure questo modello, di cui dopo un seminario romano mercoledì alla Uman Foundation si parlerà oggi a Padova all’Officina Giotto in un convegno sul lavoro in carcere con i ministri Cancellieri della Giustizia e Zanonato dello Sviluppo economico, sembra maturo per poter trovare sperimentazioni anche in Italia, dove mesi fa si è già fatta fatica a difendere almeno la destinazione di 16 milioni al rifinanziamento della legge Smuraglia sul (pochissimo) lavoro in carcere, e dove però i dati sulla recidiva fanno intravvedere quanto possa essere efficace proprio la leva del lavoro per i detenuti. Se infatti quasi 7 su 10 che scontano tutta la pena in carcere tornano poi a delinquere, questo tasso di recidiva non soltanto scende intorno al 19% per chi sconta parte della propria pena in misura alternativa al carcere (come l’affidamento ai servizi sociali), ma nell’esperienza concreta di alcune cooperative sociali si è misurato precipiti sino all’1% laddove quella misura alternativa al carcere sia accompagnata proprio da un reinserimento lavorativo. Soldi ben spesi, insomma, forse gli unici, investimenti veri, seppure lunghi e faticosi e poco spendibili al mercato della propaganda politica di corto respiro, ma con i quali converrà al più presto fare i conti se non si vuole che da emergenziali diventino permanenti tanto il sovraffollamento delle carceri quanto il fallimento strutturale delle misure di clemenza che non hanno potuto impedire il riempimento oltremisura delle carceri pur svuotate dall’indulto del 2006. Giustizia: carceri, riforme, responsabilità civile e referendum radicali… Renato Brunetta Il Giornale, 14 ottobre 2013 Carceri più umane, atti di clemenza, responsabilità civile dei magistrati, referendum. Il messaggio di Napolitano e l’Unione europea ci impongono di cambiare il sistema. Matteo Renzi ha finalmente rovesciato sul tavolo la sua mercanzia elettorale su temi decisivi della vita comune. In sintesi. Renzi dice sì alla droga libera, con l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi. Vuole aprire le porte alla immigrazione clandestina, con la cancellazione della Bossi-Fini. Lo fa in nome di un senso di umanità fasullo, tant’è vero che nega amnistia e indulto per eliminare la tortura di carceri sovraffollate. Non vuole alcuna riforma della giustizia. Dopo il voto del 2 ottobre che ha ridato fiducia al governo Letta, è diventato più chiaro che i fronti dell’impegno sono due: quello economico e quello istituzionale. A sua volta, spina dorsale della riforma istituzionale è quella della giustizia. Che può essere incardinata e discussa in parti essenziali anche senza usufruire dell’art. 138 della Costituzione. Dal punto di vista delle riforme istituzionali, invece, dopo il messaggio alle Camere del presidente della Repubblica torna alla ribalta la questione “giustizia”. Che, a sua volta, si declina in 4 grandi filoni, di cui intendiamo parlare oggi: 1) carceri, indulto e amnistia; 2) riforma della giustizia e documento dei “saggi”; 3) procedura di infrazione europea sulla responsabilità civile dei magistrati; 4) referendum radicali. Il messaggio di Napolitano. Carceri, indulto e amnistia Il messaggio alle Camere del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sulle misure necessarie per affrontare la questione carceraria, introduce con la massima forza e autorevolezza il tema della giustizia nelle cose da fare da parte di governo e Parlamento: amnistia e indulto. Ci aspettavamo, almeno da parte del Partito democratico, un consenso operoso. Invece la prima risposta di Epifani è stata: “cautela”. Perché? Lo ha detto subito: evitare che ne possa trarre un qualsiasi beneficio Berlusconi. Siamo a una novità giuridica: l’amnistia contra personam. Qualcosa di spaventoso se ci si pensa: la legge vale per tutti. Meno per uno. Uno il cui nome è deciso dalla sinistra. Tralasciamo, per carità di patria, commenti e iniziative del Movimento 5 Stelle, gravi nei confronti del presidente Napolitano. Ma di certo dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, non ci aspettavamo un’invasione di campo. Non è accettabile che un ministro della Repubblica, per di più un ministro tecnico, dica al Parlamento che cosa fare e come farlo. Il ministro è incappata in due errori gravi. Il primo affermando che amnistia e indulto non potranno riguardare Silvio Berlusconi. E qui tristemente notiamo che non è una posizione originale e fantasiosa: pensare e praticare un codice penale a parte ad uso della condanna di Berlusconi è una turpitudine costante. Il secondo errore è stato quello del portavoce del ministro Cancellieri, che si è affrettato a precisare che “al ministero della giustizia non è in preparazione alcun testo di legge”. Peccato che non spetta al ministero preparare il testo, ma la competenza è del Parlamento, come espressamente ha scritto Napolitano, parlando di “perimetrazione” dell’amnistia. L’atteggiamento della sinistra, cui non importa nulla di chi è sottoposto all’illegalità di una pena che tradisce qualsiasi canone di umanità stabilito dalla Costituzione nell’art. 27, è di una ipocrisia da premio Nobel. L’atteggiamento della sinistra nei confronti della giustizia è stato sempre ondeggiante tra la figura evangelica del sepolcro imbiancato e quella del sinedrio che imbastisce e fa eseguire processi politici. Riforma della giustizia partendo dal testo dei “saggi” Affrontare la questione delle carceri e valutare la necessità di amnistia e indulto, tuttavia, è solo uno di 4 aspetti che nel nostro paese occorre affrontare con riferimento al tema giustizia. La grande occasione ci è stata fornita dal presidente della Repubblica, da ultimo, lo scorso 8 ottobre, ma lo aveva già fatto il 30 marzo con l’istituzione del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, la cui relazione finale (punto 5) rappresenta un ottimo punto di partenza per la riforma della giustizia in Italia. E ancora il 1° agosto 2013, con le dichiarazioni a seguito della sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi, il presidente della Repubblica aveva ribadito il valore del lavoro dei “saggi” come base per studiare i termini di una riforma della giustizia. L’intenzione di dar corpo al testo dei “saggi”, d’altronde, è stata manifestata anche dal presidente del Consiglio, Enrico Letta, nel suo discorso per la fiducia enunciato il 2 ottobre 2013. Il programma iniziale di questa maggioranza prevedeva una riforma delle istituzioni che rafforzasse il potere politico, per poi procedere, con una rinnovata autorevolezza, alla riforma della giustizia. Il testo dei “saggi” è straordinariamente importante, coraggioso, capace di pacificazione. Il problema, per la sinistra, è che ci sono proposte di riforma che sfondano dei tabù. Ad esempio la questione delle intercettazioni. Procedura d’infrazione europea sulla responsabilità civile dei magistrati Ancora nel suo discorso sulla fiducia del 2 ottobre, il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si è impegnato ad adempiere agli “obblighi europei (a cominciare dal rispetto delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea)”. Cioè responsabilità civile dei magistrati. Ricordate il chiasso che fece la sinistra per la procedura d’infrazione aperta contro l’Italia per le quote latte? Insulti tutti i giorni al governo, solo per aver cercato di tutelare un settore della nostra agricoltura dagli interessi soverchianti franco-tedeschi. Siccome in questo caso, invece, ci sono di mezzo i magistrati e il loro privilegio di essere principes legibus soluti, svincolati cioè da qualsiasi responsabilità civile, tanti piccoli capi di Stato irresponsabili dei loro atti senza bisogno di farsi votare per il Quirinale; siccome a essere causa della prossima multa ciclopica è un favore fatto alle toghe da un Parlamento impaurito ecco che è sceso il silenzio, o si gira la frittata dicendo che i magistrati non c’entrano. Dobbiamo giungere a un punto. Il governo deve farlo. Il presidente Letta deve farlo. Come si usava dire alla fine della scorsa legislatura: “È l’Europa che ce lo chiede”. Ma all’Europa, evidentemente, rispondiamo solo quando ci va. Il centrodestra si è battuto da sempre per far sì che anche i magistrati siano considerati cittadini uguali agli altri, per lo meno nel pagare i danni quando li provocano. La loro lobby potentissima, sostenuta dalla sinistra con equivoca compiacenza, ha impedito finora che questo principio elementare diventasse regola e prassi. Referendum radicali per una “giustizia giusta” Ancora lungo la strada aperta dal capo dello Stato con il suo messaggio alle Camere, il Popolo della Libertà intende intraprendere una vigorosa campagna parlamentare, che avrà il suo perno nella proposta di 6 indagini conoscitive sui 6 quesiti referendari sulla giustizia promossi dai radicali e per i quali il Pdl ha dato un contributo decisivo nella raccolta delle firme. Le indagini conoscitive dovranno incardinarsi nelle commissioni Giustizia dei due rami del Parlamento, al fine di consentire agli elettori di votare sulla base di conoscenze certe e condivise. Il Parlamento oggi ha davanti a sé una grande occasione. Se legifera sul tema giustizia, raccogliendo le istanze presenti nei quesiti, conseguirà un grande risultato, e darà la dimostrazione della vitalità della istituzione. La riforma della giustizia non è per noi una varia ed eventuale del programma delle larghe intese. Non sono fantasie nostre. Punti inventati allo scopo di porre aut aut. Come ha detto il presidente Letta, che siamo certi sia un uomo d’onore e un politico serio, la riforma della giustizia, insieme alle misure per il lavoro, le famiglie e le imprese sono il cuore della sua azione di governo. Questo è il senso della nostra partecipazione a maggioranza e governo. Altrimenti inganneremmo gli italiani, come sta facendo Renzi, che dice sì al governo Letta e contemporaneamente lo destabilizza. Noi ci siamo e ci saremo se e finché potremo agire efficacemente come sentinelle contro l’aumento delle tasse e come motore della riforma della giustizia. O così o così. Secundum non datur... Giustizia: dire no all'amnistia è di sinistra.. per il carcere meglio le riforme di Domenico Petrolo (Dipartimento cultura e informazione Pd) L’Huffington Post, 14 ottobre 2013 Se "il grado di civiltà di una società si misura dalle sue prigioni" come affermava Dostoevskij allora il grado di civiltà dell'Italia è veramente basso. Secondo l'ultimo rapporto Antigone i detenuti in Italia al 31 ottobre 2012 erano 66.685 a fronte di una capienza regolamentare dei 206 penitenziari italiani di 46.795 posti. Un disastro che rende disumane le condizioni di vita dei detenuti e trasforma questi luoghi deputati alla riabilitazione in vere e proprie università del crimine. Non ci sono dubbi: esiste da anni una questione carceri in Italia. Ma siamo sicuri che l'unica soluzione sia aprire le porte ogni 7 anni? L'ultimo provvedimento è del 2006 ed oggi ci ritroviamo da capo a dodici. E probabilmente ci ritroveremmo cosi anche fra 7 anni. Certo non possiamo accettare che i detenuti vivano nelle condizioni attuali: siamo al limite del rispetto dei diritti umani. Ma allo stesso modo non è accettabile che la politica, non riuscendo a produrre soluzioni strutturali, proceda con le solite soluzioni tampone che lanciano sempre lo stesso messaggio: Il rispetto delle regole in questo Paese è un'opzione possibile ma non necessaria. Occupandomi per qualche anno di sicurezza per il comune di Roma ho visto sul campo quanto la "Legalità" sia naturalmente un valore di sinistra. Una comunità si fonda sul rispetto delle regole che si è data e quando non c'è il rispetto di tali regole a farne le spese sarà sempre il più debole. E la famosa "Sinistra" con la S maiuscola non dovrebbe stare dalla parte dei più deboli? Sempre secondo il rapporto Antigone "ben 26.804 detenuti, il 40,1%, non sconta una condanna definitiva ma è in carcere in custodia cautelare. Nonostante vi sia una decrescita rispetto al 2011, in base ai dati pubblicati dal Consiglio d'Europa nel marzo 2012 questa percentuale è del 23,7% in Francia, del 15,3% in Germania, del 19,3% in Spagna e del 15,3% in Inghilterra e Galles. La media dei paesi del Consiglio d'Europa è del 28,5% e questo dato rappresenta certamente l'anomalia maggiore del nostro sistema". Ecco, forse chi ha responsabilità politiche potrebbe iniziare a ripensare l'applicazione dello strumento della custodia cautelare, depenalizzare alcuni reati minori, magari come "immigrazione clandestina", o ipotizzare in alcuni casi pene alternative rispetto alla detenzione. Il Pd stesso, quest'estate, per bocca del suo responsabile giustizia Danilo Leva affermava la sua contrarietà ad una soluzione una tantum: "Come già più volte dichiarato nelle scorse settimane, siamo nettamente contrari a un provvedimento di amnistia. Per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, c'è bisogno di interventi strutturali". Chi crede veramente nel rispetto dei diritti umani e nella necessità di migliorare le condizioni di vita nelle carceri, accogliendo il giusto monito del Presidente della Repubblica, deve assumersi le proprie responsabilità ogni giorno e impegnarsi per produrre soluzioni strutturali che vadano oltre l'emotività del momento. Lo si deve ai detenuti, che hanno diritto ad un vero un percorso di riabilitazione, e lo si deve ai cittadini onesti che ogni giorno rispettano le leggi. Giustizia: Amodio (Aspp); da Parlamento necessaria riforma non di facciata per le carceri Adnkronos, 14 ottobre 2013 “Ora che il tema delle misure coercitive è davanti agli occhi di tutti nella sua corposa drammaticità”, divide la politica sull’indulto e l’amnistia ed è anche al centro del referendum proposto dai radicale “è doveroso riaprire il dibattito in modo da spingere il Parlamento a mettere in cantiere una riforma che non sia soltanto di facciata”. È l’invito mosso da Ennio Amodio, penalista tra i più noti e presidente dell’Aspp, l’associazione fra gli studiosi del processo penale intitolato a Gian Domenico Pisapia, riunito in questi giorni a Trento, nell’assemblea annuale, dove gli studiosi hanno cercato di “gettare le basi di una riforma capace di rendere davvero eccezionale la custodia cautelare”. Qualche intervento, ammette il presidente dell’Aspp, la politica ha cercato di farlo in passato. “Certo - afferma Amodio - non si può negare che in Italia vi siano state voci capaci di esprimere considerazioni critiche sull’uso distorto della custodia cautelare in carcere e sul moltiplicarsi degli interventi legislativi che a poco a poco hanno sfigurato il sistema del 1988 per rendere sempre più estesi gli ambiti applicativi delle misure coercitive. E non va dimenticato che il Parlamento ha cercato di porre rimedio alla piaga delle celle straripanti con il cosiddetto decreto svuota carceri varato dal Governo Monti, che peraltro si è rivelato del tutto improduttivo avendo puntato sulla utilizzazione delle camere di sicurezza delle stazioni di polizia per ospitare gli arrestati in flagranza in modo da tenerli fuori dal circuito carcerario. “Si tratta però di una attenzione in sostanza poco adeguata a fronte di una dilagante violazione dei principi costituzionali e perciò inidonea a suscitare una appropriata reazione rispetto ad un fenomeno degenerativo di corposa gravità. Soprattutto con riguardo alle deviazioni della prassi e alla incapacità della giurisprudenza di contenere le spinte verso una deformazione del sistema contra libertatem”. “Mentre nella stagione della inchiesta Mani pulite il dibattito aveva messo sotto i riflettori le deviazioni nell’uso della custodia cautelare - aggiunge il presidente dell’Aspp - tanto da indurre il Parlamento a por mano alla importante riforma realizzata con la legge n. 332 del 1995, da allora il tema dell’abuso delle misure coercitive è scomparso dalla agenda del legislatore, sparendo anche dal dibattito politico e dal focus della ricerca degli studiosi di diritto processuale penale. Solo negli anni più recenti la Corte costituzionale ha avviato una revisione della normativa antigarantista che comincia a dare i suoi frutti”. Adesso che si è presa coscienza delle censure della Corte europea, si cerca di correre ai ripari. A luglio il governo ha emanato un disegno di legge su disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena proprio per adempiere all’obbligo di “porre rimedio alla constatata violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” dichiarata con la sentenza Torreggiani. “Si capisce subito però - ribatte Amodio - che la decretazione d’urgenza ha affrontato il problema del sovraffollamento carcerario solo sotto il profilo degli interventi di alleggerimento da realizzare nell’ambito dell’ordinamento penitenziario”. “Questa monodirezionalità, tanto più inspiegabile perché sorda rispetto al preciso invito della Corte europea di provvedere con riguardo alla disciplina della carcerazione cautelare, è stata solo marginalmente corretta in sede di conversione del decreto legge. La legge 9 agosto ha infatti modificato, elevando da 4 a 5 anni il tetto della pena che autorizza, sul piano della proporzionalità, il sacrificio della libertà personale”. “L’innovazione è certo molto significativa, ma al tempo stesso sintomatica della incapacità di ristrutturare con maggior coraggio e più ampia progettualità la materia delle misure cautelari personali. È stata insomma una manovra semplice e a portata di mano”, spiega ancora Amodio. Qualche passo verso una soluzione rispettosa dei dettami europei, intanto, la magistratura ha cominciato a farlo. “Un’eco della sentenza si è avuta anche nelle aree più garantiste della magistratura. Il Procuratore della Repubblica di Milano - riconosce e conclude Amodio - ha richiamato l’attenzione dei suoi sostituti sulla sentenza Torreggiani e sulle precedenti raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sollecitando i magistrati milanesi a ricorrere il più possibile alle misure 5 alternative alla detenzione, sia con riguardo ai provvedimenti cautelari che in fase di esecuzione”. Per “berlusconeide” e chiusura pm in Italia abuso detenzione La “berlusconeide” e la “posizione respingente della magistratura” hanno portato l’Italia ad un punto di non ritorno sull’uso della carcerazione. Mentre la politica, in questi giorni, si dibatte e si divide sull’ipotesi di un indulto o amnistia, Emmio Amodio, presidente dell’Aspp, l’associazione fra gli studiosi del processo penale intitolato a Gian Domenico Pisapia, tra i più noti penalisti italiani, individua in due componenti, quelle che chiama la “berlusconeide” e “la reazione respingente della magistratura”, due delle cause principali dell’attuale overdose di carcerazione cautelare italiana. Un passo indietro. All’inizio di quest’anno la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ordinato all’Italia di mettere fine ad un uso massiccio e sistematico delle manette che fa apparire una “vera ipocrisia” la formula della nostra Costituzione secondo cui la libertà personale è inviolabile. A Trento, il convegno annuale dell’Aspp, ha fatto il punto della situazione dopo “lo scossone provocato dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani” dalla quale è emerso che “il sovraffollamento degli istituti di detenzione esibisce infatti una overdose di carcerazione cautelare: si ricorre troppo spesso alla custodia dietro le sbarre, divenuta l’unica ratio anche per inesorabili presunzioni legislative”. Gli studiosi hanno cercato di capire “come operano le prassi devianti per costruire un nuovo sistema senza sacche di discrezionalità e tempi di durata irragionevoli” e hanno cercato di “gettare le basi di una riforma capace di rendere davvero eccezionale la custodia cautelare”. Per anni l’Italia è rimasta in silenzio sul fronte della carcerazione. “C’è una prima ragione di questo silenzio che può essere identificata nello sviamento dell’attenzione dai veri problemi della giustizia”, dice Ennio Amodio. “Tutto l’impegno dei politici e della stampa si è concentrato sul processo penale contro gli imputati eccellenti e in particolare sulle vicende giudiziarie dell’ex Presidente del Consiglio”. “La berlusconeide ha avuto così una portata assorbente e totalizzante. Non si è parlato d’altro che di riforma delle intercettazioni, di processo breve o lungo e di prescrizione, come se nel pianeta giudiziario ci fossero solo questi problemi e non quelli di migliaia di imputati che sperimentano quotidianamente l’ingiustizia dei procedimenti grandi o piccoli che si celebrano lontano dai riflettori”. Non solo. “La magistratura nel suo complesso - indica come seconda causa della situazione attuale Amodio - si dimostra sempre più restia ad una revisione critica delle prassi devianti per non esibire incrinature e apparire così compatta nel momento in cui deve fronteggiare gli attacchi, spesso ingiustificati e spregiudicati, che ne lamentano il ruolo politico in contrasto con i suoi compiti istituzionali. Il combinarsi di questi due fattori, la monotematica sviante e la reazione respingente, ha generato l’effetto oscuramento su una problematica assolutamente centrale come quella della libertà personale. Si potrebbe così osservare, pur senza sarcasmo, che dum Romae consulitur... Strasburgo fa schioccare la frusta e richiama l’Italia al suo dovere di usare il carcere nei limiti imposti dal rispetto degli human rights”. Giustizia: indulto e amnistia, bufera su Renzi, il sindaco di Firenze sfida l’ira dei ministri Pd di Alessandro Barbera La Stampa, 14 ottobre 2013 Non si placano le polemiche sulle parole di Matteo Renzi che si è schierato contro l’ipotesi di rispondere al sovraffollamento carcerario con provvedimenti di clemenza, come l’amnistia e l’indulto. Dopo la presa di posizione di Enrico Letta, che ieri ha difeso il capo dello Stato, stavolta sono i ministri a criticare le affermazioni del sindaco di Firenze. E senza troppi complimenti. Altrettanto secca la replica di Renzi, che pur precisando di non voler attaccare il capo dello Stato, rivendica il diritto di essere in disaccordo con il Quirinale. Il primo a dar fuoco alle polveri è Flavio Zanonato: Renzi, “ragiona in termini puramente propagandistici stile Grillo”, attacca il ministro per lo Sviluppo, che accusa il sindaco di guardare solo al “consenso” senza entrare minimamente nel “merito” della questione. Anche il pidiellino Maurizio Lupi non va per il sottile: “Cerca consensi a destra come a sinistra”, anziché “dimostrare che sta facendo politica”, il che richiederebbe senso di “responsabilità”. Quello delle carceri, rincara la dose il ministro dei Trasporti, è un “dramma” e il “futuro segretario del Pd” dovrebbe smetterla di “pensare se le cose possono essere fatte o non fatte pensando a Berlusconi, all’unico nemico che ha tenuto unito l’opposizione”. Lapidaria Emma Bonino, che da Radicale ha sempre avuto a cuore il tema del sovraffollamento carcerario: Se Renzi “è il nuovo che avanza, fatemi il favore di ridarmi l’antico”, è il commento tranchant del ministro degli Esteri, che invita il sindaco di Firenze a leggersi bene il messaggio di Napolitano “prima di rottamarlo”. A stretto giro di posta arriva la replica del diretto interessato che, pur chiarendo di non aver attaccato il presidente della Repubblica, non intende minimamente smorzare i toni: “Non ho parlato contro Napolitano che è stato ineccepibile e ha legittimamente ha fatto un messaggio con sue riflessioni” ed anzi “ha dimostrato una capacità di servizio unica”, ma “le forze politiche devono dire come la pensano” e soprattutto “avere il coraggio di dire che su alcune cose si può essere in disaccordo” con il Quirinale. Renzi entra quindi nel merito: “Io ho detto che non mi sembrava serio un nuovo indulto-amnistia dopo 7 anni dall’ultimo” atto di clemenza. “Non serio, non educativo e non responsabile”, rimarca. Il problema, a suo giudizio, è di sostanza: “Non si può non far nulla per 6 anni e poi dire, scusate ci siamo sbagliati nei calcoli e a questo punto l’unico sbocco e aprire le celle”. E ancora: “Un terzo dei detenuti è in attesa di giudizio e in gran parte sono detenuti per la Bossi-Fini o per la Fini-Giovanardi. Allora si intervenga in modo radicale sulla giustizia invece di non far nulla per sei anni”. Renzi replica senza peli sulla lingua anche agli attacchi dei ministri: “Chi fa politica dovrebbe parlare chiaro e non entrare nei giochini degli addetti ai lavori. Se poi i ministri, invece di governare, si mettono a commentare le mie dichiarazioni sull’amnistia, mi spiace per loro se lo vogliono fare”. Parole che sembrano una implicita replica a Letta, che per primo aveva difeso il messaggio di Napolitano. L’ultima stoccata del sindaco di Firenze, tra l’altro, è proprio indirizzata ai colleghi del Pd: “La sinistra non può essere legalitaria solo quando c’è Berlusconi e smettere di esserlo quando ci sono gli altri”. Inevitabile che la polemica torni a scuotere il Pd: l’altro candidato alla segreteria del partito, Gianni Cuperlo, si schiera con il Quirinale: “Il Capo dello stato ha ragione, l’amnistia è un tema che riguarda la dignità di migliaia di detenuti nelle nostre carceri”. Giustizia: Uman Foundation; non fermarsi all’amnistia, riforme necessarie di Lorenzo Bandera Vita, 14 ottobre 2013 La finanza sociale può permettere lo sviluppo di interventi di più ampio respiro. Se ne è discusso al secondo Annual Meeting di Uman Foundation. Nei giorni scorsi si è assistito all’affermarsi di un ampio fronte istituzionale ai più alti livelli per affrontare, finalmente, i gravi problemi che affliggono il sistema carcerario italiano. Il Presidente Napolitano, con un messaggio alle Camere, ha infatti invitato il Parlamento ad assumere quanto prima provvedimenti adeguati per affrontare l’emergenza e valutare misure accessorie che impediscano il ripetersi di simili situazioni in futuro. Il messaggio, controfirmato dal Premier Letta, ha ricevuto il plauso del Ministro della Giustizia Cancellieri, che nel corso del secondo Annual meeting di Uman Foundation ha assunto un esplicito impegno a sviluppare strumenti che permettano di avviare la lunga attesa riforma della giustizia. La situazione del sistema carcerario italiano Fatiscenti, sovraffollate, assolutamente inadeguate a rispondere agli elementari principi di rieducazione contenuti nella nostra Costituzione: è questa la deprimente fotografia delle carceri italiane. Come vi avevamo raccontato all’inizio dell’estate, la situazione del sistema detentivo del nostro Paese risulta essere una delle peggiori d’Europa. A fronte di 45 mila posti disponibili, infatti, nelle prigioni italiane sono detenute più di 67 mila persone, con una media di 147 prigionieri ogni 100 posti. Sul fronte del sovraffollamento, come mostrano i dati del Consiglio di Europa, siamo dietro a Paesi come Montenegro, Turchia, Albania e Armenia. Peggio di noi solo Grecia e Serbia. Secondo le indicazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione almeno 7 metri quadrati, e dovrebbe trascorrere fuori dalla propria cella un minimo giornaliero di 8 ore. Nel nostro Paese i detenuti sono invece stipati in celle dove spesso bisogna fare i turni per stare in piedi tanto è piccolo lo spazio a loro disposizione, e in cui sono rinchiusi per circa l’80% della giornata. Per meglio rendersi conto di questa situazione si rimanda alle sentenze Cedu 16 luglio 2009 Sulejmanovic vs Italia, o alla più recente Torreggiani vs Italia dell’8 gennaio 2013. Il messaggio del Presidente Napolitano Giorgio Napolitano l’8 ottobre 2013 ha inviato alle Camere il suo primo messaggio da Presidente della Repubblica (qui il testo completo) per chiedere al Parlamento di assumere adeguati provvedimenti legislativi in modo da affrontare la situazione drammatica sopra brevemente descritta. Il Presidente ha sottoposto all’attenzione del Parlamento “l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo”. Napolitano ha ribadito che “le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell’insensibilità e nell’indifferenza, convivendo con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari”. Il Presidente ha quindi elencato ai Parlamentari gli strumenti attraverso cui fronteggiare nell’immediato l’emergenza ed evitare che questa si possa riproporre in futuro. Per diminuire il numero complessivo dei detenuti Napolitano ha indicato la possibilità di introdurre alcune innovazioni di carattere strutturale come meccanismi di probation, forme di detenzione alternative a quelle carcerarie, un minor utilizzo della custodia cautelare da scontare in carcere, la possibilità che i detenuti stranieri scontino la pena nel loro Paese di origine e la depenalizzazione per alcune classi di reati. È inoltre stata sottolineata la necessità di affiancare a tali misure l’aumento della capienza complessivo delle strutture detentive, dando impulso al completamento di nuovi istituti e all’ammodernamento dei più vecchi. Il Presidente non ha tuttavia nascosto come, in questo momento drammatico, non sia da escludere il ricorso a “rimedi di carattere straordinario” come l’indulto, che dovrebbe essere tuttavia accompagnato da “idonee misure finalizzate all’effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione”. All’indulto potrebbe essere quindi associata un’amnistia andando oltre quella “ostilità agli atti di clemenza” diffusasi nell’opinione pubblica (l’ultimo provvedimento di questo tipo risale al 1990), al fine di assicurare un “civile stato di governo della realtà carceraria”. L’indulto, a differenza dell’amnistia, impone di celebrare comunque il processo per accertare la colpevolezza o meno dell’imputato e, in caso si riveli colpevole, applicare il condono, totale o parziale, della pena irrogata (al contrario dell’amnistia, dunque non elimina la necessità del processo, ma annulla, o riduce, la pena inflitta). ?L’effetto combinato dei due provvedimenti, come sottolineato dal Presidente Napoltiano, potrebbe conseguire rapidamente i seguenti risultati positivi: ridurre considerevolmente la popolazione carceraria; definire immediatamente numerosi procedimenti per fatti “bagatellari” (destinati di frequente alla prescrizione se non in primo grado, nei gradi successivi del giudizio), permettendo ai giudici di dedicarsi ai procedimenti per reati più gravi e con detenuti in carcerazione preventiva; facilitare l’attuazione della riforma della geografia giudiziaria.? La riduzione complessiva del numero dei detenuti derivante dai provvedimenti di amnistia e di indulto potrebbe permettere all’Italia di rispondere alle richieste provenienti dall’Europa e, soprattutto, di rispettare i principi costituzionali in tema di esecuzione della pena. Come sottolineato dal Presidente Napolitano a questo punto “appare infatti indispensabile avviare una decisa inversione di tendenza sui modelli che caratterizzano la detenzione, modificando radicalmente le condizioni di vita dei ristretti, offrendo loro reali opportunità di recupero”. In conclusione Napolitano ha sottolineato come la rieducazione dei condannati - oltre alle indispensabili precondizioni realizzabili solo attraverso l’eliminazione dell’emergenza attuale - necessiti dell’impegno di Parlamento e Governo nel perseguire “vere e proprie riforme strutturali al fine di evitare che si rinnovi il fenomeno del sovraffollamento carcerario”. Uman Foundation: possibile riformare la giustizia, coi Social Impact Bond Il caso vuole che nella stessa giornata in cui il Presidente Napolitano ha inviato il proprio messaggio al Parlamento, si svolgesse a Roma il secondo Annual meeting di Uman Foundation, nel corso del quale si è discusso di strumenti di finanza sociale utilizzabili per creare innovazione anche nel mondo delle carceri. Nel più ampio contesto dell’evento, che ha visto la partecipazione di esponenti di primissimo piano del mondo accademico, imprenditoriale e finanziario chiamati a confrontarsi sull’articolato tema della finanza sociale (vedi il programma completo), si è svolto il panel “Investire per le comunità. I social bonds per il reinserimento dei detenuti”. Nel corso di questa tavola rotonda, moderata da Riccardo Luna, Jonathan Flory di Social Finance e Janette Powell, direttrice del progetto One Service, hanno raccontato come attraverso l’utilizzo dei Social Impact Bond in Inghilterra si stia provando a cambiare nel profondo il sistema penitenziario. Nel 2010 Social Finance, banca di investimento che si occupa specificamente di terzo settore, su impulso del Ministero della Giustizia britannico ha sviluppato i primi Social Impact Bond attraverso il lancio di un progetto pilota dedicato al recupero dei carcerati. I Social Impact Bond in questione sono stati stanziati per sostenere il reinserimento di circa 3.000 detenuti rinchiusi nel carcere di Peterborough, contea del Cambridgeshire. Il progetto One* Service prevede lo stanziamento di circa 5 milioni di sterline, ottenuti grazie all’acquisto di social bonds da parte di numerosi investitori privati, per abbattere la percentuale di recidiva del reato. Se quest’ultima scenderà del 7,5% rispetto all’inizio del progetto gli investitori riceveranno un pagamento - garantito per il 37,5% dal Ministery of Justice e per il 62,5% dal Big Lottery Fund - che potrà raggiungere un massimale di 8 milioni di sterline a seconda del grado di successo raggiunto. Alla luce di questo intervento sono risultati particolarmente interessanti anche le esperienze offerte da Letizia Moratti, in rappresentanza della comunità di San Patrignano, e di Nicola Boscoletto della Cooperativa Giotto di Padova. Letizia Moratti ha ricordato come negli ultimi 30 anni San Patrignano abbia accolto quasi 4.000 giovani condannati a pene alternative al carcere (risparmiando loro qualcosa come 3.500 anni di detenzione complessivi) aiutandoli a reinserirsi nella società, garantendo allo Stato un risparmio stimabile in circa 312 milioni di euro. Nicola Boscoletto ha invece raccontato la storia della cooperativa che dal 1990 opera all’interno del carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova dove quasi per caso, partendo da un corso di giardinaggio rivolto ai detenuti, è nata quella che oggi è una delle maggiori realtà di lavoro all’interno delle carceri italiane. Dall’assemblaggio alla produzione artigianale, dal call center al servizio di ristorazione - tra cui spicca la pluripremiata produzione dolciaria che lo scorso anno ha registrato esportazioni in tutti i continenti - le attività della Giotto rappresentano un’eccellenza che, come ha sottolineato Boscoletto, potrebbe svilupparsi ancora di più grazie a strumenti come i Social Impact Bond. Da ultimo il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, incalzata dagli interventi precedenti, ha assunto importanti impegni sul tema della riforma delle carceri e della giustizia in generale, promettendo che diventerà una priorità dell’agenda di governo. La drammatica situazione in cui versano le prigioni italiane - “abbiamo detenuti che stanno su dei posti letto a castello addirittura su cinque livelli” - merita risposte incisive e le parole del Presidente Napolitano, su cui il Ministro ha espresso “la più alta condivisione”, sono la strada giusta da seguire. Il Ministro ha spiegato come occorra cambiare l’approccio col quale si pensa alla pena, che non può più essere intesa come mera punizione e che deve riassumere la sua valenza di percorso rieducativo. Oggi le prigioni sono una sorta di scuola del crimine, e non c’è da stupirsi se tra il 70 e il 90% di chi delinque ritorna in carcere, perché dietro le sbarre si può imparare ogni sorta di attività illegali. Ad esempio “se oggi un giovane tossicodipendente entra in carcere non ha nessuna possibilità di guarire dalla sua dipendenza, che anzi rischia di peggiorare e di rovinargli per sempre la vita” per questo bisogna sempre provare a “mandare i giovani prima in comunità e poi, se e solo se non rispondono positivamente, in carcere”. La Cancellieri non ha nascosto come la battaglia per cambiare le carceri sarà lunga e difficoltosa, ma anche in forza di quello che si è discusso nel corso dell’Annual meeting di Uman “si può iniziare a combattere insieme, indipendentemente dallo schieramento politico, per raggiungere l’obiettivo”. Il Ministro ha concluso il proprio intervento sottolineando come per far questo occorra tuttavia cambiare il paradigma culturale oltre che la normativa. Per cambiare le cose serve muoversi con un “interesse reale verso l’uomo: dobbiamo dare risposta all’uomo, al di là di tutto”. Ora amnistia e indulto, ma per il futuro serve molto di più Il ricorso all’manista o indulto (come già scrivemmo alcuni mesi fa) non può più essere considerata una scelta: oggi si impone come necessità per rispondere a una situazione drammatica e intollerabile per un Paese civile. Nelle nostre carceri, in situazioni di grande degrado, sono detenuti il 50% in più delle persone ospitabili e non si può pensare che girando la testa dall’altra parte il problema possa risolversi magicamente. Alcune forze politiche, per ragioni differenti, si sono già pronunciate in maniera fortemente contraria, e talvolta offensiva, nei confronti delle posizioni espresse dal Presidente della Repubblica e da diversi esponenti del governo. È innegabile il fatto che oggi più che mai occorra rispondere in maniera urgente e coerente a un problema che non può essere più ignorato e rinchiuso dietro le mura delle carceri. Con tutti i rischi che questo può comportare. Liberare persone che hanno commesso reati, condonargli pene imposte da tribunali delle Repubblica, dare loro la possibilità di tornare a delinquere (ipotesi tutt’altro che remota) rappresenta una scelta grave e sicuramente non facile da assumere. Queste conseguenze saranno tuttavia un prezzo accettabile solo se alle misure di carattere emergenziale saranno affiancate riforme strutturali del sistema della giustizia, che permettano non solo di evitare il vergognoso fenomeno del sovraffollamento ma favoriscano il reinserimento effettivo dei detenuti. Il recupero presso comunità apposite, lo sviluppo del lavoro dentro e fuori dal carcere, la creazione di programmi rieducativi efficienti sono indispensabili affinché l’indulto non sia l’ennesimo tappeto sotto cui nascondere la sporcizia. Puntare (in grande) sulla finanza sociale Per realizzare strumenti come quelli sopra elencati servono fondamentalmente due cose: la ferma volontà di fare quel che si deve fare e la disponibilità di risorse adeguate per dar gambe agli impegni assunti. In questo senso le proposte lanciate da Uman Foundation, che ricalcano quelle giunte da altri settori della società civile nei mesi scorsi, possono essere una soluzione quanto meno alla seconda delle necessità sopra indicate. Una maggiore commistione tra pubblico, privato e terzo settore rappresenta infatti la chiave di volta per far diventare le best practices - come quelle di San Patrignano e della Cooperativea Giotto, ma come anche quelle di tante altre realtà sparse nel Paese - delle consuetudini diffuse. Un rapporto positivo in cui il pubblico svolga un ruolo di regia e coordinamento, i privati possano mettere a disposizione capitali significativi e le organizzazioni del terzo settore possano svolgere la propria missione, laddove possiedono competenze e strutture per farlo meglio di chiunque altro, sono la base da cui partire. L’esperienza inglese, in primis attraverso lo strumento dei Social Impact Bond, mostra non solo che questo è possibile, ma che funziona e conviene. Per far questo, come richiamato da più parti, occorre tuttavia dare il via a un processo che permetta lo sviluppo di strumenti di finanza sociale su più larga scala. In questo senso il Presidente di Uman, Giovanna Melandri, ha lanciato la proposta di creare una grande banca d’investimento, una Big Society Capital italiana, che possa garantire risorse adeguate per dare il là a forme concrete di finanza sociale anche nel nostro Paese. Giustizia: amnistia e indulto, priorità necessarie per il problema delle carceri italiane di Simona Santullo www.laperfettaletizia.com, 14 ottobre 2013 Tra polemiche di vario tipo, sembra l’unica strada per risolvere il sovraffollamento dei penitenziari. Gli istituti di detenzione presenti in Italia sono 206; il totale dei detenuti presenti in queste carceri sono 64.758 contro una capienza regolamentare di 47.615 posti: 2.821 sono donne, 22.770 stranieri e 863 soggetti in semilibertà, di cui 90 stranieri. Sulla base dei numeri potremmo tranquillamente dire che il sovraffollamento delle carceri sia l’unico aspetto negativo del sistema penitenziario italiano, ma ovviamente non è così. A determinarne l’emergenza ci sono una molteplicità di altri importanti aspetti quali le condizioni inumane in cui sono tenuti i detenuti, le scarse cure cui sono sottoposti, le condizioni igieniche molto precarie, la tossicodipendenza, fino alla carenza di personale penitenziario e alla quasi inesistente sorveglianza sugli stessi detenuti. A tutto questo possiamo tranquillamente aggiungere l’irragionevole durata dei processi e farci un quadro abbastanza preciso sulle penose condizioni in cui versano le carceri italiane, e quanto ciò possa essere pericoloso e preoccupante. La prima cosa da dire, forse la più banale, ma anche la più importante, è che in queste condizioni viene meno uno dei principi dell’Ordinamento Penitenziario il quale afferma che “il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. E infatti l’Italia è il secondo Stato europeo con il maggior numero di condanne per violazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), preceduta in classifica solo dalla Turchia: sono oltre 2mila le sentenze contro il nostro Paese emanate dalla Corte di Strasburgo sulla base della Convenzione. Le sentenze Cedu poi sono vincolanti, nel senso che gli Stati firmatari s’impegnano a darne esecuzione, e la massima pena in caso di mancato rispetto potrebbe essere l’espulsione di uno Stato membro dal Consiglio. Alla luce di tutto questo, le autorità italiane sono state invitate a presentare un piano d’azione per risolvere la questione delle carceri italiane e delle disumane condizioni in cui vivono i detenuti. Le risposte più veloci e immediate a questo problema, secondo la politica italiana, pare siano l’amnistia e l’indulto, come suggerito direttamente dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con un messaggio diretto alle Camere. Napolitano ha sottolineato che, combinando i provvedimenti di amnistia e indulto che estinguono rispettivamente pena e reato, si avrebbe l’immediato effetto di ridurre considerevolmente la popolazione carceraria. In Parlamento si è scatenata subito la folle corsa a chi riuscirà a concretizzare al più presto l’appello del Capo dello Stato, e non mancano i ddl da presentare in Commissione Giustizia di Palazzo Madama. Ma ovviamente c’è stata subito polemica, perché, se è vero che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, l’amnistia calzerebbe a pennello a Silvio Berlusconi e a parte dei suoi problemi giudiziari, visto che l’indulto sarebbe applicato anche alle pene accessorie temporanee conseguenti a condanne anche solo in parte indultate. In ogni caso, mentre noi facciamo polemica su Berlusconi rimane il problema di aver violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’ordinamento penitenziario e il suo regolamento di esecuzione, dato che trattiamo in modo disumano e umiliante persone che stanno dietro le sbarre perché sì colpevoli di tanti reati (o, a volte, solo in attesa di giudizio), ma che comunque hanno dei diritti da tutelare. Giustizia: Don Balducchi; la Fini-Giovanardi ha incancrenito il Codice penale e fatto aumentare i detenuti di Gregorio Romeo L’Huffington Post, 14 ottobre 2013 Sono quasi 65mila i detenuti che vivono stipati nelle 205 carceri italiane, la cui capienza massima è di 47.615 posti. Da inizio anno i morti per suicidio in cella sono già 39. I casi di proteste, risse e infezioni dovute alle scarse condizioni igieniche, sono quasi quotidiani. È la vita nelle prigioni italiane. Routine conosciuta molto bene don Virgilio Balducchi, per oltre vent’anni cappellano del carcere di Bergamo e dal 2012 responsabile dei sacerdoti che lavorano ogni giorno nei penitenziari della penisola. Come ispettore generale dei cappellani carcerari, don Balducchi, 63 anni, coordina il lavoro dei preti in prima linea e interagisce con le diverse associazioni di sostegno ai detenuti. Ovviamente, anche lui ha apprezzato l’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a favore di misure urgenti per alleviare le sofferenze dei detenuti in Italia. Don Balducchi, in una situazione di grave sovraffollamento come cambia il lavoro dei cappellani? “L’emergenza rende difficilissimo, per tutti gli operatori, rispondere ai bisogni, anche i più elementari, dei detenuti. In molti istituti, ad esempio, è impossibile per il cappellano conoscere tutte le persone ospitate, non c’è il tempo materiale, sono troppi. Figuriamoci quando si tratta di organizzare attività di gruppo o intraprendere un percorso spirituale. Come dicevo, è un problema che riguarda tutti gli attori in campo. Basta leggere i pronunciamenti delle associazioni di volontariato o della polizia carceraria: si fatica a distinguerli, i toni sono identici, il problema è sentito trasversalmente in maniera drammatica”. È cresciuta, negli anni, la domanda di sostegno spirituale ed esistenziale da parte dei detenuti? “Certamente si. La condizione di degrado in cui si vive spinge molti alla richiesta di ascolto. Inoltre, molti detenuti non hanno contatti con l’esterno e cercano un volto amico, qualcuno con cui parlare di ciò che esiste oltre le mura. Per molti versi, è più facile offrire un aiuto materiale - regalare un paio di scarpe o una maglietta a chi non può permettersele - piuttosto che ascolto e comprensione. Anche per questo, i casi di depressione in carcere sono numerosissimi”. Oltre all’amnistia, sarebbero necessarie delle modifiche del codice penale? “Senza dubbio. Spesso, quando si tratta di legiferare, l’approccio del ceto politico è semplicistico. Giocando sulla paura dell’opinione pubblica, si forniscono risposte securitarie a problemi complessi che non sono necessariamente legati all’illegalità. Il così detto reato di clandestinità è un esempio in questo senso. Leggi come la Fini-Giovanardi sulla droga, ma anche molte altre, andrebbero modificate: hanno incancrenito il codice penale e fatto aumentare il numero dei detenuti”. Quasi la metà dei detenuti in Italia è di origine straniera e molti sono musulmani. Pensa che nel nostro Paese, come accade in Francia, sia il caso di affiancare ai cappellani degli imam? “In alcuni casi, piuttosto rari, ciò avviene anche in Italia. Alcuni cappellani hanno un rapporto proficuo con gli imam e si lavora in sinergia. Poi, se d’accordo con lo Stato e le associazioni islamiche, si decidesse di estendere in maniera strutturale la loro presenza in carcere, io sarei favorevole. In ogni caso, com’è ovvio, nel rapporto con i detenuti i cappellani usano la carità, e la carità non conosce distinzioni di razza, cultura o religione”. Proprio il tema della carità è uno dei più presenti negli interventi di Papa Francesco. Com’è stato accolto dai detenuti questo nuovo pontificato? “Con grande calore e ottimismo. E lo dico a ragion veduta, ricevendo una mole sempre maggiore di lettere indirizzate proprio al Papa. Francesco, con le sue parole di apertura forti e semplici, è riuscito a porsi come qualcuno a cui si può chiedere. Qualcuno che si può toccare”. Giustizia: Codacons promuove class action a favore dei detenuti, da presentare a Corte Strasburgo 9Colonne, 14 ottobre 2013 Francesco Tanasi segretario nazionale Codacons e candidato alla carica di Garante dei detenuti in Sicilia interviene in merito alla condizione critica che dilaga nelle carceri italiane, annunciando un’azione per la tutela dei diritti dei detenuti che parte dalla Sicilia e presto si estenderà alle altre strutture di detenzione italiane. “L’8 gennaio 2013 - spiega Tanasi - la Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo, alla luce del grave problema del sovraffollamento delle carceri italiane e più in generale delle condizioni disumane in cui i detenuti sono obbligati a vivere, ha ravvisato una violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e ha obbligato lo Stato italiano, oltre a risarcire i ricorrenti, “ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario”. Nonostante ciò la situazione resta gravissima e appare particolarmente allarmante, specie nelle carceri siciliane dove il problema è maggiormente sentito. Il Codacons ha dunque avviato la procedura per la presentazione di una class action, da proporre direttamente davanti la Corte Europea dei diritti dell’uomo. I detenuti costretti a vivere quotidianamente in condizioni disumane nelle carceri sovraffollate del nostro paese, potranno così finalmente agire per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Sul sito www.codacons.it l’associazione ha pubblicato una pagina dove i detenuti possono già fornire una preadesione all’azione collettiva che partirà in Sicilia e verrà presto allargata al resto d’Italia”. Giustizia: situazione carceri, oggi a Padova due appuntamenti per il ministro Cancellieri www.giustizia.it, 14 ottobre 2013 Padova. Il carcere al centro dei due appuntamenti odierni del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Alle ore 15, infatti, il guardasigilli visita la struttura della casa di reclusione Due Palazzi e le numerose attività lavorative che si svolgono al suo interno. Al termine, previsto l’incontro con il personale dell’Amministrazione penitenziaria e con una rappresentanza di detenuti. Successivamente, alle ore 17, presso il Centro congressi di Padova A. Luciani, il ministro della Giustizia si intrattiene con i rappresentanti di circa quindici realtà cooperative che operano nelle carceri italiane e che, in occasione dell’evento, presentano alcuni stand illustrativi delle loro attività con i prodotti realizzati dai detenuti. Segue conferenza stampa. Alle 17:45 circa, al via i lavori di presentazione del primo dei Quaderni su Carcere e Giustizia dal titolo Emergenza lavoro nelle carceri. Dopo i saluti delle autorità e di alcuni autori del volume, uscito nel luglio 2013 con il patrocinio del Ministero della Giustizia e della Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Padova, l’introduzione spetta al ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato. Previsti gli interventi del Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino e del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia Pietro Calogero. Chiude il convegno l’intervento del guardasigilli Cancellieri. Modera Nicola Boscoletto, presidente di Officina Giotto, consorzio attivo all’interno del carcere dall’inizio degli anni Novanta e curatore della collana i Quaderni su carcere e giustizia. L’evento verrà trasmesso in diretta su Repubblica Tv e seguito da Radio Radicale. Lettere: c’è chi ha scelto il crimine giusto... per non passare da criminale di Loris Tonino Paroli Gazzetta di Reggio, 14 ottobre 2013 Sul problema carcerario sollevato dal Presidente Napolitano molti politici usano il caso di Berlusconi per avallare le loro tesi reazionarie e ignoranti. Ne so qualcosa anche personalmente. Nonostante sia uscito dalla galera ventidue anni fa con il timbro “Fine Pena”, dopo aver scontato 16 anni, c’è ancora qualcuno con la mentalità dell’inquisizione che vorrebbe punirmi per sempre. In Italia, tra Penali, Mandamentali e Giudiziari, vi sono circa 300 carceri che dovrebbero contenere 30-40 mila detenuti, ma ve ne sono sempre più di 50 mila, con una rotazione annua di 150 mila. In queste 300 e più galere non vi è un trattamento identico, cioè ogni struttura detentiva ha un regime diverso, perché tutto serve alla logica binaria premialità-punizione. Vi sono carceri simili (si fa per dire) ad alberghi e carceri simili ai cimiteri. Vi sono luoghi in cui si mangia bene e altri in cui vi è solo della sbobba, vi sono carceri in cui tutti i reclusi lavorano ed altri in cui il detenuto è segregato 22 ore e quattro perquisizioni corporali al giorno e 2-3 denudamenti alla settima, ecc… ecc… Ed è a partire da questa realtà che sorge la mia tesi: nei tribunali non stabiliscono la pena, ma stabiliscono solo il tempo della pena. La pena da infliggere è arbitraria perché non è il tribunale a stabilire dove fare la carcerazione, cioè il trattamento punitivo. Un altro esempio, se un detenuto lo mettono in un carcere a mille chilometri di distanza dai suoi familiari il diritto di fare un colloquio settimanale con loro si va a fare friggere. Questa è una punizione terribile per un detenuto, non decisa in tribunale. Anche vivere in celle sovraffollate , con due o tre letti a castello la sofferenza è doppia e se poi non ti permettono la libertà di autodeterminare la composizione della cella, cioè con chi stare in cella, la punizione peggiora molto! Ecco perché condivido la necessità di un intervento con l’indulto e/o l’amnistia per smantellare almeno quella sofferenza e permettere che la punizione non sia fuorilegge. Inoltre voglio dire ai soliti personaggi così detti “duri” contro i prigionieri che ha rubato di più una semplice tangentopoli, una semplice truffa bancaria, una semplice Parmalat, ecc.. che 50 mila detenuti. Ha fatto più morti una semplice guerra umanitaria o un semplice bombardamento su Belgrado, che tutti i detenuti delle patrie galere in 100 anni. Proprio come diceva Fabrizio De Andrè “C’è chi ha scelto il crimine giusto per non passare da criminale”. Lettere: amnistia e indulto sono una soluzione sbagliata di Lodovico Sonego (senatore del Pd) Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2013 Amnistia o indulto sono una soluzione sbagliata, lo dico avendo ben presente la situazione drammatica dell’amministrazione della giustizia e la condizione inumana delle carceri. Giustizia e organizzazione carceraria manifestano problemi cui va data una risposta all’altezza di un paese moderno e civile ma in realtà l’atto di clemenza di cui si parla è solo uno dei mezzi con i quali si alza bandiera bianca perché in questo modo i problemi si eludono e non si risolvono. Sgombriamo il campo dalla questione Berlusconi. Dò per presupposto, il ché per il vero non è del tutto acquisito, che la discussione sulla clemenza non implichi l’ex premier nemmeno per le sanzioni accessorie e che pertanto le deliberazioni parlamentari riguarderebbero terzi ma non il leader del Pdl. Fissato il presupposto l’indulto o l’amnistia non sono la soluzione e l’esperienza di analogo deliberato parlamentare varato con Prodi e Mastella lo conferma: la clemenza sfoltì le carceri che tornarono ben presto a riaffollarsi come prima. È ragionevole prevedere che in assenza di riforme e di nuova edilizia carceraria accada nuovamente ciò che accadde con Prodi e Mastella. Dunque, è dalla riforma e dall’edilizia penitenziaria che si deve iniziare, ma è pensabile si riesca a fare in tempi brevi una convincente riforma e a migliorare l’ospitalità delle carceri sì da consentire che il dibattito sulla clemenza offra sbocchi ravvicinati? Vorrei dire di sì proprio perché ho in mente le carceri italiane eppure so che se lo facessi sarei ingannevole. Se le cose stanno così, e così stanno, la clemenza non è un problema odierno. Parteciperò alla discussione che sull’argomento si svolgerà nel gruppo senatoriale del Pd con queste considerazioni e sollecitando l’inizio di quel cammino di riforme che comunque vanno fatte. Veneto: tremila detenuti nelle carceri della Regione, un terzo in più della capienza di Daniele Ferrazza Il Mattino di Padova, 14 ottobre 2013 Oggi pomeriggio in visita a Padova il ministro della Giustizia Cancellieri Boscoletto (Officina Giotto): “Insostenibili i costi dei carcerati inoccupati”. Tremila detenuti nelle carceri del Veneto, un terzo in più della capienza. Che costano - mediamente - novantamila euro l’anno. Il costo delle carceri venete sfiora i trenta milioni di euro. Ma chi guarda al sovraffollamento vede il dito ma non guarda la luna: “Il vero problema è che noi, in generale, stiamo gestendo nelle carceri tanti master della delinquenza” spiega Nicola Boscoletto, presidente di Officina Giotto di Padova, il consorzio di cooperative che gestisce la “fabbrica Due Palazzi” che sforna pasticceria, produce biciclette, assembla valigie si occupa di confezionamento, digitalizzazione, catering. Non solo per questo, nel mondo delle cooperative si guarda con favore allo stimolo del presidente Giorgio Napolitano a favore di indulto e amnistia: “Ma non crediamo poi di aver risolto il problema carceri: bisogna cambiare atteggiamento” spiega. “Su 65 mila detenuti nelle carceri italiane, solo 900 sono addetti al lavoro - aggiunge Boscoletto: di questi, 120 sono a Padova”. Un record che pone il carcere padovano in cima alle buone pratiche per arginare il fenomeno della recidiva: “Tra i detenuti il tasso di recidiva va dal 70 al 90%; tra i detenuti che lavorano la recidiva va dal 2 al 10%” osserva il presidente dell’Officina Giotto. Che domani pomeriggio, a Padova, promuove un incontro con il ministro della Giustizia Anna Maria Cancelleri per presentare i “Quaderni su carcere e giustizia” proprio sul tema dell’emergenza lavoro nelle carceri (ore 17, Centro congressi Papa Luciani a Padova, presenti anche il ministro Zanonato, il procuratore generale della Repubblica a Venezia Pietro Calogero, il capo delle carceri italiane Giovanni Tamburino e l’industriale Carlo De Benedetti). Con l’introduzione del lavoro in carcere si potrebbero risolvere molti problemi, anche di finanza pubblica (le carceri costano 6 miliardi l’anno). “I problemi che lo impediscono sono sostanzialmente tre - spiega Boscoletto: c’è un’emergenza culturale perché il carcere, negli ultimi vent’anni, è stato percepito come luogo repressivo; c’è un’emergenza economica perché la crisi del lavoro incide anche in questo segmento; e c’è l’emergenza sovraffollamento che rende di difficile introduzione, nonché costosi, i progetti lavorativi nel carcere”. Molto è stato fatto, ammette Boscoletto, soprattutto negli ultimi due anni: ma moltissimo resta da fare. Solo per fare un esempio, il Consorzio Giotto impiega 120 detenuti su un totale complessivo di 450 e realizza un volume d’affari di 20 milioni di euro. “Ogni milione investito in questi progetti ne fa risparmiare nove allo Stato: e noi vogliamo arrivare giusto a questo” conclude il presidente del consorzio padovano. Umbria:1.342 posti per 1.600 detenuti, ma spazi ancora più ridotti per inagibilità di alcune aree di Armando Allegretti www.giornaledellumbria.it, 14 ottobre 2013 Le carceri italiane scoppiano. I detenuti presenti nelle celle, al 30 settembre 2013 (secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia) sono 64mila 758, contro una capienza regolamentare di 47mila 615 posti. I dati, che non tengono conto delle situazioni cosiddette transitorie come le ristrutturazioni e la chiusura degli edifici, presentano una situazione allarmante nel nostro Paese e fotografano un sovraffollamento degli istituti di pena senza precedenti. La Lombardia, con 8mila 980 detenuti e poco più di 6mila posti a disposizione, è la regione dove le carceri sono più sovraffollate, seguita da Campania (8mila 103 detenuti e 5mila 627 posti), Lazio (7mila 157 detenuti e 4mila 799 posti) e Sicilia (6mila 987 detenuti e 5mila 540 posti). La situazione in Umbria è diversa, ma non per sovraffollamento. Anche se qui le cifre non sono alte come per il resto d’Italia, la nostra regione con 4 istituti e 1.342 posti regolamentari, ospita nelle proprie celle 1.612 detenuti, con un sovraffollamento di circa 300 persone. Il sovraffollamento delle carceri è dovuto soprattutto ai problemi di inagibilità delle strutture e delle celle. Numerosi sarebbero i lavori necessari alla riqualificazione degli istituti, così come ha denunciato qualche tempo fa l’associazione Antigone, che nel suo rapporto annuale sulla visita negli istituti penali ha evidenziato che “circa 5mila posti letto rispetto ai numeri della capienza regolamentare delle carceri non sono al momento disponibili perché sono in padiglioni inagibili o in fase di ristrutturazione. Quindi i detenuti sono ammassati nelle sole sezioni aperte. Alla fine del 2009, alla vigilia della proclamazione dello stato di emergenza e del piano carceri, la capienza regolamentare era di 44mila 073 posti, passati a fine ottobre del 2012 a 46mila 795”. Quest’anno, secondo i dati del ministero, c’è stato un aumento di 820 posti disponibili, ma ancora non bastano a soddisfare i bisogni del nostro Paese. Ma c’è dell’altro. Nell’inferno dei tre metri a persona non c’è solo sovraffollamento, i problemi riguardano la sicurezza e la vivibilità. Solo nel 2012 ci sono stati 56 morti per suicidio e 97 per cause naturali. Ultimo esempio quello del tentato suicidio nel carcere di Spoleto il 5 ottobre scorso. Per non parlare, poi, delle aggressioni tra detenuti e agli agenti di polizia penitenziaria. Basta leggere che cosa è accaduto dal primo luglio al 30 settembre. Ci sono state sette proteste, ventinove aggressioni ad agenti, a volte feriti anche gravemente. Una situazione insostenibile, stigmatizzata anche dal Presidente della Repubblica, Napolitano. Una cosa è certa, le carceri italiane stanno scoppiando, sono riempite all’inverosimile: in 47mila posti sono stipati più di 64mila detenuti, e il 30 per cento è composto da stranieri. I dati, già catastrofici di per sé, peggiorano se consideriamo che, sempre al 30 settembre scorso, i detenuti in attesa del primo giudizio sono ben 12mila 333, mentre i definitivi che resteranno in carcere perché la sentenza è passata in giudicato sono 38mila 845. Sulla questione sovraffollamento è intervenuto anche il deputato umbro, Walter Verini. Il capogruppo Pd in commissione Giustizia della Camera ha detto che il messaggio del Presidente della Repubblica “non solo richiama il Parlamento e le altre Istituzioni al rispetto obbligatorio di prescrizioni europee ma, ancora una volta, pronuncia parole di grande valore civile e morale che debbono essere subito ascoltate. Concordo - ha continuato - con le parole del Presidente, che impongono di superare ogni colpevole atteggiamento di indifferenza, per rendere subito esecutivi provvedimenti urgenti come quelli della messa alla prova, della reclusione domiciliare (già esaminati dalla Camera ndr)”. Ma non solo, è necessario ripensare alle strutture stesse. “Occorre intervenire - evidenzia Verini - per migliorare la situazione carceraria, per attuare un serio piano di edilizia carceraria e per rendere più umana e vivibile la pena in carcere, che deve essere rieducazione e reinserimento e non disumana vendetta”. Ma esistono anche altri problemi, problemi di fondo che devono essere affrontati o per lo meno necessitano di una riflessione, come ad esempio l’abolizione della custodia cautelare o la possibilità di pene alternative per reati di non grave pericolosità sociale. Problemi che, se affrontati e risolti, potrebbero eliminare l’emergenza carceri facendo dell’Italia un Paese più civile. Lasciamo aperta qualche domanda, infine: è davvero rieducativo il carcere, dove il rischio suicidio è superiore di venti volte a quello della popolazione libera? Dove l’indice di sovraffollamento è del 149% contro il 99% di quello del resto dell’Europa? Dove bambini sotto i tre anni vivono e convivono con le mamme detenute, scontando la pena da innocenti? Emilia Romagna: la Garante regionale dopo le parole di Napolitano e della Corte costituzionale Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2013 “Nel giro di due giorni, sul gravissimo flagello del sovraffollamento si sono espressi il Capo dello Stato e la Corte Costituzionale. Il primo con un monito formale, preciso e incalzante. La seconda con un avvertimento chiarissimo: se il legislatore non metterà mano a questa drammatica situazione, la Consulta si riserva di adottare le necessarie decisioni per far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità, ovviamente nell’ambito delle proprie prerogative e con gli strumenti a sua disposizione. Il senso complessivo è evidente: bisogna chiudere - e in fretta - con questa vergognosa condizione. Un primo risultato si è già visto: martedì prossimo è stato calendarizzato in Senato l’esame di due disegni di legge su amnistia e indulto. Il tema del sovraffollamento carcerario, finalmente, ha assunto nel dibattito politico il peso che deve avere: quello di una emergenza non più procrastinabile. Siamo a un punto di svolta: non posso che esprimere soddisfazione e contestualmente auspicare il raggiungimento di risultati tangibili. Perché ciò sia possibile, è però necessario che ai provvedimenti di clemenza si accompagnino anche riforme strutturali: custodia cautelare, tossicodipendenza, immigrazione e carenza di risorse restano nodi ineludibili della questione carceraria”: così Desi Bruno, Garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna. Liguria: Sappe; numeri da brividi, quelli delle violenze nelle carceri della Regione Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2013 Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe: “Da tempo denunciamo l’invivibilità delle carceri liguri per i poliziotti penitenziari, costretti a fronteggiare una violenza sistemica fatta da costanti episodi di criticità. Oggi diamo anche i numeri di queste violenze, perché le istituzioni sorde ascoltino finalmente il grido d’allarme dei poliziotti e si decidano ad intervenire sulle problematiche liguri. Dal 1 gennaio al 30 giugno scorsi, nella nostra Regione ci sono stati 21 atti di autolesionismo nel carcere di Marassi, 14 a Sanremo, 11 a Spezia, 6 a Pontedecimo, 5 a Imperia, 4 a Chiavari e 2 a Savona. 12 i detenuti che hanno tentato di togliersi la vita, salvati in tempo dalle donne e dagli uomini della Polizia penitenziaria: 3 a Marassi e Pontedecimo, 2 a Sanremo e Spezia, 1 a Chiavari ed Imperia. Pesante anche il numero delle colluttazioni: ben 38 a Sanremo (sintomo di una pessima organizzazione del lavoro e di una altrettanta negativa gestione degli strumenti disciplinari verso i detenuti), 16 a Pontedecimo, 7 a Imperia, 4 a Savona e 2 a Spezia, Marassi e Chiavari”. Martinelli, che sottolinea anche come le manifestazioni di protesta di detenuti a vario titolo in Liguria hanno visto coinvolti complessivamente 1.003 detenuti - 746 nella rumorosa protesta della battitura delle inferriate e 257 nel rifiuto del vitto fornito dall’Amministrazione penitenziaria -, evidenziare che se il bilancio di queste violenze non si aggrava ulteriormente “è grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio nelle carceri liguri. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di circa 7mila unità - 400 in meno solo in Liguria - e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Toscana: Sappe; detenuti aggrediscono poliziotti, inaccettabile… chi difende i difensori? Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2013 Ancora tensioni nelle carceri della Toscana: poliziotti aggrediti nei penitenziari di Pisa e Lucca. A denunciarlo il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, che torna a sensibilizzare le Istituzioni sulle criticità delle carceri toscane. “Diversi nostri agenti sono stati aggrediti da detenuti nelle ultime ore. 5 agenti a Lucca ed uno a Pisa, per un complessivo numero di diverse decine di giorni di prognosi a testimonianza della grave situazione delle carceri in Toscana. In entrambe le situazioni, che hanno visto coinvolti detenuti italiani e stranieri, il pronto intervento del personale di Polizia ha scongiurato più gravi conseguenze. I poliziotti di Pisa e Lucca sono comunque riusciti ad evitare conseguenze peggiori ma di fronte a questa ingiustificata violenza servono risposte forti: come quella di espellere tutti gli stranieri detenuti in Italia (oltre 23.200 sugli oltre 65mila presenti) per far loro scontare la pena nelle carceri dei loro Paesi”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (il primo e più rappresentativo della Categoria), commentando quanto avvenuto nelle ultime ore nelle carceri toscane. “Le tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante, come dimostra i gravi episodi contro i nostri Agenti a Pisa e Lucca: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza ai poliziotti penitenziari e alle strutture, punendo con severità e fermezza coloro che si rendono responsabile di aggressioni ai Baschi Azzurri”, prosegue Capece. “E invece non ci risulta che siano stati presi adeguati provvedimenti verso questi detenuti. Questo ci sembra molto grave da parte della Direzione, tanto più se - come nel caso di Pisa - vede responsabile un detenuto già responsabile di aggressioni a poliziotti penitenziari di Prato. Manifesteremo nelle prossime settimane e proclameremo lo stato di agitazione in Toscana contro questo inaccettabile stato di cose. Ma intanto una domanda rivolgiamo ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria ed alle istituzioni regionale: chi difende i difensori?”. Calabria: Radicali; la Regione istituisca garante per i diritti dei detenuti Agi, 14 ottobre 2013 “L’ultimo messaggio alle Camere, prima di quello del Presidente Giorgio Napolitano, risale al 2002 da parte del Presidente Ciampi. Chi ne avesse prima dubbi oggi non può più far fina di niente: le carceri sono stracolme e i diritti delle persone detenute sistematicamente violati”. È quanto si legge in una comunicato di Giuseppe Candido, attivista del Partito Radicale. “Riteniamo che il messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla questione carceraria - continua Candido - possa e debba essere da stimolo anche per il Presidente della Giunta, per il Presidente del Consiglio Regionale e per l’intero Consiglio affinché provvedano, anche per la nostra Regione dove pure il sovraffollamento delle carceri è un grave problema, all’istituzione del Garante dei diritti delle persone private delle libertà. E pure i Sindaci dei comuni nel cui territorio sono presenti istituti di pena potrebbero autonomamente istituire il loro Garante. In Calabria, stante i tredici istituti di pena disseminati nelle 5 province, solo il Comune di Reggio Calabria lo ha già istituito”. Perugia: muore suicida ergastolano di 49 anni, si proclamava innocente Ansa, 14 ottobre 2013 La testa infilata in un sacchetto e, accanto, il fornellino a gas: è stato trovato morto così ieri dalla polizia penitenziaria, riverso sul pavimento della cella nel carcere di Perugia, il forlivese Davide Valpiani, 49 anni, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Vincenzo Di Rosa, fratello della sua compagna avvenuto nel 2005 a Cervia (Ravenna). Due giorni prima, riferisce il Resto del Carlino, aveva parlato al telefono con il difensore, Gianluca Alni: “Sono innocente. Faccia qualcosa”. Dieci anni fa Valpiani era stato assolto dall’accusa di aver ucciso i genitori tra maggio e luglio 1999: la madre Marisa, 61 anni, fu trovata semicarbonizzata nella vasca da bagno della sua abitazione forlivese; il padre Giovanni, 68 anni, morì apparentemente per un malore nella sua casa estiva a Lido di Savio (Ravenna). Il presunto movente, secondo l’accusa, una ricca eredità perché lui si era rovinato con il miraggio del guadagno facile in Borsa. Due perizie giocarono a suo favore: la madre si suicidò, il padre era stato colpito da ictus. Valpiani fu condannato a tre anni per la morte del padre quale conseguenza del fatto che, pur ammalato, il figlio l’aveva lasciato solo in casa. Nel 2008 venne invece condannato all’ergastolo per l’omicidio di Vincenzo Di Rosa, ucciso con un colpo di pistola alla nuca il 4 agosto 2005 a Pinarella, sulla riviera ravennate: il motivo di quel gesto, secondo i giudici, stava nella polizza sulla vita dell’uomo, a cui la sorella di Valpiani in quel periodo era fidanzata. Secondo le indagini Valpiani aveva indotto il “cognato” a firmare due polizze assicurative per infortunio (lesioni e morte) per un indennizzo complessivo di 800.000 euro, la cui unica beneficiaria era la sorella, cioè la sua fidanzata. Venne arrestato nel 2007 e condannato all’ergastolo, pena confermata in Cassazione. “Davide era in uno stato di profonda depressione ed era stato sottoposto a una serie di accertamenti clinici - ha riferito l’avvocato Alni - Venerdì mi aveva detto che una perizia effettuata di recente aveva concluso con l’incompatibilità del suo stato con la detenzione in carcere. Mi aveva anche detto che attraverso un avvocato di Perugia, che lo seguiva sotto il profilo dell’esecuzione della pena, era in corso la ricerca di una struttura adeguata che potesse accoglierlo”. Piacenza: il Garante Gromi scettico su amnistia e indulto “i detenuti sono ossessionati” di Marcello Pollastri www.piacenza24.eu, 14 ottobre 2013 Il Garante dei detenuti: “solo polvere negli occhi della gente. Nelle carceri mancano lavoro, scuola e formazione professionale” “Non sono contrario in linea generale all’amnistia e all’indulto, ma in questo momento sono solo dei palliativi per mascherare tante lacune di tipo strutturale”. A dirlo è il professor Alberto Gromi, garante dei detenuti di Piacenza, uomo che da anni conosce al meglio la realtà carceraria delle Novate. Per Gromi, prima di parlare di amnistia e indulto, andrebbero risolte altre questioni. “In questo momento il dibattito che si è innescato a livello parlamentare maschera l’incapacità di intervenire in modo effettivo sui problemi del carcere. Amnistia e indulto hanno senso se sono inseriti in un contesto di sistema, in cui si fanno interventi strutturali. Ad esempio: il carcere ha una legge penitenziaria che è applicata forse per il 30%. Non costerebbe nulla applicarla al 100%, si risolverebbero tante questioni. In carcere servono lavoro, scuola e formazione professionale. In questi anni sono stati ridotti drasticamente i finanziamenti per il lavoro in carcere. La scuola è l’ultimo gradino di tutta la struttura scolastica regionale e nazionale. Quando si deve tagliare qualcosa in organico, si taglia sul carcere. La formazione professionale è inesistente. Se non si pensa a tutto questo, amnistia e indulto è polvere begli occhi della gente. Il governo ha la preoccupazione che a maggio l’Italia verrà sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, allora corre a mettere toppe”. Per quanto riguarda il problema del sovraffollamento, “nel carcere di Piacenza è superato. Non ci sono celle con detenuti stipati”. Gromi parla tutte le settimane con i detenuti e rivela che “da quando si parla di amnistia e indulto, continuano a chiedere con insistenza. È diventata una ossessione”. “Il governo deve intervenire, l’opinione pubblica deve pretendere un intervento significativo di rieducazione. Oggi nel carcere la sicurezza ha il sopravvento sulla rieducazione che è uno strumento per garantire la sicurezza”. Lanciano (Ch): Uil-Pa Penitenziari, domani una nuova tappa de “Lo scatto dentro” Adnkronos, 14 ottobre 2013 Domani alle 9 il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, accompagnato dal segretario regionale dell’Abruzzo, Pino Giancola, e dal segretario provinciale di Chieti, Ruggero Di Giovanni, si recherà in visita al carcere di Lanciano (Ch) nel corso della quale effettuerà un servizio fotografico per documentare lo stato dei luoghi di lavoro. Ne dà conto una nota della Uil-Pa Penitenziari, spiegando che copia del reportage fotografico sarà distribuito agli operatori dell’informazione nel corso di una conferenza stampa convocata per domani alle 12 davanti all’istituti di pena di Lanciano. La visita di domani rientra nell’ambito dell’iniziativa che la Uilpa Penitenziari ha denominato “Lo scatto dentro”. “Questa iniziativa - spiega Sarno - ha l’obiettivo di gettare uno squarcio di verità sulle reali condizioni di lavoro e di detenzione all’interno delle nostre prigioni. Da qualche mese, grazie al parere espresso dal Garante della privacy e alla sensibilità del Dap, possiamo documentare fotograficamente lo stato dei luoghi di lavoro all’interno delle carceri ma anche il degrado e l’inciviltà che le connotano nella quasi totalità dei casi”. “È nostro intendimento -prosegue il leader della Uil-Pa Penitenziari - non solo denunciare una situazione vergognosa e insostenibile quanto alimentare, attraverso l’informazione e la verità, la coscienza sociale su ciò che è la realtà carceraria in Italia. Siamo convinti che le foto possano incidere molto più di tante parole”. A fronte di questa situazione, Sarno ribadisce quindi che “l’amnistia è un atto necessario” e “legiferare per ridare dignità alla pena e consentire agli operatori di agire in conformità all’art. 27 della Costituzione non è un favore a nessuno: è un dovere che ogni politico dovrebbe sentire, se non altro per fare giustizia di un ventennio di oblio politico che ha determinato le disastrose e disastrate condizioni in cui versano i nostri penitenziari”. “Se questo non bastasse - spiga ancora Sarno - occorrerebbe pensare agli effetti economici che un mancato intervento deflattivo potrebbe determinare a seguito delle certe sanzioni che la Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ndr) comminerà al nostro Paese se permangono le inumane e degradanti condizioni della detenzione. Forse sarebbe utile che qualche politico, se non vuole visitare le carceri, almeno visionasse i nostri reportage fotografici (www.polpenuil.it)”. “Qualcuno - rimarca il leader della Uil-Pa penitenziari - potrebbe accorgersi che nella città di cui è sindaco insiste uno dei più degradanti, sporchi e decadenti penitenziari italiani, com’è l’istituto di Firenze Sollicciano. E le nostre foto stanno lì a testimoniare una verità inequivocabile. Pertanto - chiosa Sarno - in attesa della necessaria riforma della Giustizia almeno si ridia dignità al lavoro penitenziario e civiltà alle condizioni di detenzione”. “D’altro canto -conclude- se il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, concordano sulla necessità dell’amnistia, qualche ragione valida deve pur esserci. Diamo atto al presidente del Consiglio, Enrico Letta, di aver espresso sul tema parole opportune e condivisibili, soprattutto responsabili”. Trento: il carcere scoppia di poveracci, servono nuove leggi su droga e immigrati di Chiara Bert Il Trentino, 14 ottobre 2013 “Le nostre carceri scoppiano di poveracci e la società non è diventata più sicura”. Il senatore altoatesino del Pd Francesco Palermo lo dice dopo quattro ore di visita al carcere di Spini di Gardolo, ieri mattina, dove insieme all’avvocato Fabio Valcanover, storico esponente radicale, ha incontrato detenuti e agenti della polizia penitenziaria, in un momento dove il tema carceri è al centro del dibattito politico con la proposta di amnistia e indulto lanciata dal presidente della Repubblica Napolitano. Palermo di penitenziari ne ha visti altri e quello di Spini, ammette, “è di gran lunga migliore”. Struttura nuova, inaugurata meno di due anni fa, sovraffollamento minimale (270 detenuti su una capienza di 240). Il senatore è stato particolarmente impressionato dal braccio femminile: “Non ne avevo mai visto uno e la differenza con il braccio maschile è abissale, perché le detenute sono molte meno rispetto alla capienza e perché tutto è più pulito, curato”. Il problema - avverte - è che “il carcere nuovo e moderno sta andando in peggio piuttosto che in meglio”. La struttura è infatti molto tecnologica, il che consente di risparmiare personale in primis per l’attività di sorveglianza dei detenuti, ma richiede al contempo un’alta manutenzione per tenere in funzione gli apparecchi. E non ci sono i soldi per farlo. “La Provincia - spiega Palermo - aveva un contratto di tre anni dall’attivazione, ora il contratto è scaduto e il ministero, che dovrebbe pagare, non ha le risorse”. Risultato: meno videocamere in funzione, meno possibilità di attività fuori dalle celle. “Manca personale e mancano progetti di reinserimento, quelli che l’ex direttrice aveva promesso nell’ultima mia visita di qualche anno fa”, denuncia l’avvocato Valcanover. L’altro problema, di Spini come delle altre carceri, riguarda l’alta percentuale di detenuti per reati legati alla droga e all’immigrazione, di cui la stragrande maggioranza stranieri (sono il 72%). Dati che per Palermo impongono una riflessione profonda sulle norme penali in materia di droga e immigrazione, “leggi che creano situazioni di degrado e delinquenza e alla fine non rendono la società meno pericolosa, perché in carcere entrano gli anelli deboli della catena”. Dietro le sbarre si vive una situazione esplosiva gravissima, per far fronte alla quale, insiste il senatore Pd, “provvedimenti di clemenza diventano necessari ma non bastano”. “L’amnistia è sempre un po’ una sconfitta ma la scelta oggi è tra due strade: costruire nuove carceri, ammesso che ci siano i soldi, e continuare su una logica repressiva che non funziona, oppure uscire da questa logica e ciò significa, nell’emergenza, anche l’amnistia o l’indulto”. “Ma se questi provvedimenti servono solo a svuotare un po’ le carceri, come nel 2006, tra qualche anno saremo punto e a capo. Se invece preludono a iniziative più strutturali, allora hanno un senso”. Ma sulla possibilità che questo processo si metta in moto, Palermo si mostra scettico: “Fino ad adesso abbiamo risposto con una logica protezionistica sulle droghe e falsamente repressiva sull’immigrazione, il risultato è che le carceri scoppiano di poveracci e la società non è più sicura. Sono temi poco popolari e a maggior ragione una grande coalizione come quella che oggi governa dovrebbe avere la forza di affrontare l’impopolarità, invece figuriamoci”. Quanto al fatto che Berlusconi possa beneficiare di amnistia o indulto, motivo del duro attacco dei Cinque stelle a Napolitano, il senatore altoatesino ricorda che “sarà il governo a scrivere il contenuto del provvedimento, dunque a indicare i reati amnistiati o indultati. Il ministro ha detto che non riguarderanno Berlusconi, bisognerà fidarsi. Certo - conclude - è triste che in Italia di qualunque tema si parli, si leghi a Berlusconi”. Vercelli: la direttrice Tullia Ardito; l’indulto toccasana per il carcere di Billiemme di Floriana Rullo La Stampa, 14 ottobre 2013 L’indulto e l’amnistia potrebbero dare una boccata d’ossigeno al carcere di Vercelli”. Ne è sicura Tullia Ardito, direttrice della casa circondariale del Billiemme, teatro dell’ennesima aggressione ai danni degli agenti di polizia penitenziaria. La quarta nell’ultimo mese: una media di una alla settimana. A colpire due agenti stavolta un italiano alla fine di un colloquio con i familiari. “Episodi isolati - ripete la direttrice. I detenuti vengono segnalati e puniti, spesso trasferiti. La situazione del carcere non è facile. I detenuti hanno però delle aspettative verso i provvedimenti che lo Stato vorrebbe attuare: per quello sono più agitati”. Un carcere sovraffollato quello di Vercelli con un’emergenza ormai consolidata da tempo. Perché anche la casa circondariale vercellese, come quasi tutte quelle del Nord Italia, ospita quasi il doppio dei detenuti previsti. “In realtà per ora sono solo 340 in più - spiega l’Ardito -. Siamo arrivati anche a 400. Per questo, indulto e amnistia potrebbero aiutarci, ma bisogna valutare i reati che verranno inseriti. Se fossero inseriti i reati comuni potremo davvero dare respiro al nostro carcere”. Non solo. A migliorare la situazione vercellese potrebbe essere anche la nuova ala della casa circondariale di Biella, inaugurata e ancora semivuota. “È ancora sottodimensionata - spiega l’Ardito. Ma potrebbe essere utile sia per Vercelli che per il resto della Regione”. Intanto a continuare a dire che il Billiemme è ormai una struttura “invivibile” ci pensa il sindacato di polizia penitenziaria. “Il carcere di Vercelli è pericoloso sia per i carcerati ma anche per chi, come gli agenti di polizia penitenziaria, ci lavora - spiega Mario Corvino, del Sappe. Basti pensare, ad esempio, che in media ci sono 3-4 docce per 40 detenuti. E i numeri che ci portano a definire l’emergenza come totale. Per questo siamo pronti a dichiarare lo stato di agitazione”. Tutto mentre, come una spada di Damocle, sulle carceri pende il richiamo dell’Ue: se entro maggio 2014 non si troverà un rimedio contro il sovraffollamento, l’Italia pagherà una penale salata. Trani: convenzione tra Comune e carcere, detenuti per lavori di pubblica utilità www.radiobombo.com, 14 ottobre 2013 Una convenzione con gli istituti penali di Trani per l’utilizzo di alcuni detenuti in lavori di pubblica utilità. È quella che il sindaco, Gigi Riserbato, ed il direttore delle due Case circondariali cittadine, Salvatore Bolumetti, si apprestano a sottoscrivere per dare un senso compiuto, ed a 360 gradi, ad un progetto che già, per la verità, da diversi anni trova forma con la partecipazione di alcuni reclusi alle operazioni di pulizia delle spiagge da parte di Legambiente. Evidentemente, anche e soprattutto alla luce del recente riconoscimento della cittadinanza onoraria tranese agli istituti penali di via Andria e piazza Plebiscito, le parti hanno ragionato sulla possibilità che i detenuti si rendano concretamente utili alla collettività della città in cui le carceri hanno sede, attualizzando, a distanza di quasi 160 anni, il messaggio in tal senso di Cesare Beccaria nel suo famoso trattato “Dei delitti e delle pene”. La notizia è emersa nel corso di “Appuntamento con Trani”, andata in onda ieri su Radio Bombo. E proprio in seguito al quesito, posto da un ascoltatore in merito ai frequenti allagamenti del sottovia di Pozzopiano, il primo cittadino ha chiamato in causa la necessità “che l’opera, al di là della difficile risoluzione dei problemi delle pendenze, sia oggetto di manutenzioni pressoché quotidiane a causa della insufficienza delle caditoie. E - ha spiegato - poiché il cantiere comunale è ormai totalmente sprovvisto di dipendenti e, tra l’altro, gli affidamenti alle cooperative hanno costi elevati e tempi limitati, dobbiamo pensare a soluzioni alternative che assicurino la continuità di queste manutenzioni”. È per questo che s’è pensato che un certo gruppo di detenuti effettuino queste operazioni, rendendo davvero un fondamentale e gradito pubblico servizio. E non sarebbero soltanto questi, peraltro, i lavori in cui impegnare questa manodopera: si pensa anche a pitturazioni di panchine e strisce pedonali, colmatura di buche stradali, lavori di minuta manutenzione in genere. Ovviamente, perché questo avvenga, vi è bisogno che l’Ufficio tecnico e la direzione delle case circondariali sottoscrivano un’apposita, formale convenzione. Pertanto, fino a quando non saranno ben chiari i compiti da segnarsi, non si potranno conoscere i tempi con cui fare partire il progetto. “Ormai, però, siamo sulla strada buona - dice Riserbato - e ci teniamo tanto, per riempire di contenuti un percorso di recupero che dovrebbe essere comune a tutti i reclusi. E Trani vuole essere per loro la migliore palestra possibile per un rapido ed efficace reinserimento nella società”. Parma: detenuto ingoia lametta durante lettura sentenza, ricoverato Ansa, 14 ottobre 2013 Condizioni non destano preoccupazioni. Gesto contro carcere. Atto di autolesionismo, questa mattina, in Tribunale a Parma: un detenuto sardo ha ingoiato una lametta in aula, mentre era in corso il processo per evasione dai domiciliari che lo vedeva imputato. Il detenuto ha ingoiato la lametta mentre ascoltava, seduto al fianco del suo avvocato, la lettura della sentenza. Il ferito è stato ricoverato al Maggiore di Parma e le sue condizioni non destano particolari preoccupazioni. Si tratta di un ragazzo di 24 anni con precedenti per rapina e problemi di droga. A quanto sembra il gesto è dovuto alla volontà di protestare per le condizioni di reclusione che i detenuti patiscono nel carcere di Ferrara. Un gesto simile era stato commesso dalla stessa persona nel corso di un processo celebrato a Bologna. Ferrara: “Libri Galeotti”, si è conclusa la terza edizione del ciclo di incontri La Nuova Ferrara, 14 ottobre 2013 Si è conclusa alla libreria Ibs.it Bookshop di Ferrara, la terza edizione del ciclo di incontri Libri Galeotti, dedicato ai temi del carcere, della pena (e dintorni), promosso dal Dipartimento di giurisprudenza dell’ateneo cittadino. Anche questa volta, come già nei precedenti appuntamenti, un pubblico numeroso e attento ha assistito ad una riflessione a più voci sul tema del sovraffollamento carcerario: qual è la sua genesi? E quali sono le sue conseguenze sul piano del rispetto della legalità costituzionale e internazionale? E, soprattutto, quali possono essere i rimedi, adeguati e tempestivi, per uscire dall’attuale condizione inumana e degradante cui sono costretti 65.000 detenuti in carceri dalla capienza regolamentare stimata in 48.000 posti? Il tema è all’ordine del giorno in Parlamento, dopo il messaggio alle Camere del Presidente Napolitano dedicato alla questione carceraria e al dovere costituzionale di adempiere a quanto prescritto nella recente sentenza della Corte europea dei diritti umani, che ha condannato l’Italia per violazione del divieto di tortura: perché tale è considerata, dalla comunità internazionale, l’attuale condizione detentiva nelle nostre prigioni. Introdotta dalla suggestiva lettura dell’attore Marcello Brondi e dopo il saluto partecipato dell’avvocato Federico D’Anneo a nome dell’Ordine degli Avvocati e della Fondazione forense di Ferrara, la discussione è stata animata da Andrea Pugiotto (costituzionalista dell’Università di Ferrara), Marcello Bortolato (giudice di sorveglianza di Venezia), Franco Corleone (garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana) e Glauco Giostra (membro del Csm). Molteplici gli spunti emersi dal dibattito. Il messaggio presidenziale, che accoglie le sollecitazioni della lettera-aperta di cui il prof. Pugiotto è stato estensore e primo firmatario. La recente sentenza della Corte costituzionale in tema di differimento facoltativo della pena, che respinge il dubbio di legittimità prospettato proprio dal Tribunale di sorveglianza di Venezia. La relazione della Commissione mista del Csm, presieduta dal prof. Giostra. Legittima e più che giustificata la soddisfazione degli organizzatori per la qualità dell’intero ciclo e il suo successo di pubblico. Pavia: a Torre del Gallo tentativo di suicidio sventato dalla polizia penitenziaria di Anna Ghezzi La Provincia Pavese, 14 ottobre 2013 Ha annodato le lenzuola facendone una corda, ne ha messo un capo intorno al lampadario della cella in cui era arrivato da poche ore e l’altro se l’è messo intorno al collo. Poi si è abbandonato nel vuoto. Per fortuna è stato salvato in tempo da due agenti di polizia penitenziaria, che l’hanno tratto in salvo. L’uomo infatti si trovava nel reparto isolamento, ovvero quello di prima accoglienza. Era arrivato nel pomeriggio, gli erano stati revocati gli arresti domiciliari che scontava a casa sua, in un paese della provincia di Pavia. E alle 22 ha deciso di farla finita, senza che nessun compagno di cella potesse vederlo, o fermarlo. È stato portato al policlinico San Matteo, dove sono state prestate le cure necessarie. Ma l’altro ieri è stata una giornata dura per gli agenti di polizia penitenziaria del carcere pavese di Torre del Gallo: solo poche ore prima, alle 14 circa, due guardie erano state aggredite da un detenuto con un manico di scopa sulla soglia della cella in cui lo stavano riconducendo dopo una visita medica. L’aggressione è avvenuta nella sezione infermeria, dove medici e infermieri che dipendono dall’Azienda ospedaliera della provincia di Pavia garantiscono le cure mediche ai detenuti. I due agenti sono stati colpiti a un braccio e alla schiena, e poi sono riusciti a far rientrare il detenuto in cella, e sono stati portati in ospedale per accertamenti. Con l”apertura dei nuovi padiglioni nel carcere di Torre del Gallo, di Voghera e anche Cremona arriveranno da San Vittore almeno 300 persone già condannate in via definitiva o in secondo grado, come annunciato dal guardasigilli Anna Maria Cancellieri. L’apertura del padiglione di Torre del Gallo, inizialmente prevista per settembre, era slittata al 15 ottobre. I sindacati, nelle scorse settimane, avevano sollevato perplessità e posto l’accento sul problema degli organici: per 300 nuovi detenuti arriveranno 10 agenti in più, portando l’organico a 273. Ma la direttrice di Torre del Gallo, Iolanda Vitale ha spiegato che è tutto pronto per far fronte all’arrivo dei nuovi detenuti. Massa: inaugurato la nuova ludoteca, spazio dedicato alle famiglie dei detenuti Il Tirreno, 14 ottobre 2013 Alla presenza del sindaco Alessandro Volpi e dell’assessore Gabriella Andreazzoli del comune di Carrara, nonché della dottoressa Marina Babboni della provincia e della professoressa Fambrini, preside dell’istituto alberghiero, è stata inaugurata, all’interno della casa di reclusione cittadina, la nuova ludoteca, uno spazio interamente dedicato alle famiglie dei detenuti, in particolare ai contatti tra figli minori e genitori reclusi. Il percorso che ha portato all’apertura della ludoteca è stato illustrato da Maria Giovanna Guerra, responsabile del locale Telefono Azzurro che ha seguito fin dall’inizio il progetto culminato nell’inaugurazione. La direttrice della casa di reclusione, dottoressa Maria Martone, ha poi sottolineato il ruolo avuto nella realizzazione dell’iniziativa degli enti locali, del mondo della scuola, degli stessi detenuti che hanno attivamente contribuito ai lavori, evidenziando anche l’impegno dell’amministrazione penitenziaria nel costruire un modello di detenzione che, nel rispetto della legalità, sia orientato al mantenimento degli affetti familiari. Immigrazione: sulla Bossi-Fini muro dei ministri Pdl, contrari ad ogni roforma Il Velino, 14 ottobre 2013 Ancora dibattito sulla Bossi-Fini. Emerge un’apertura da parte del sindaco leghista Flavio Tosi, ma da parte dei ministri del Pdl c’è ancora opposizione a una riforma della legge sull’immigrazione. Scrive La Repubblica: “I ministri del Pdl alzano il muro sulla Bossi-Fini”. Dopo che sabato, a Repubblica delle Idee, il premier Enrico Letta si è schierato per la sua abrogazione, la pattuglia governativa alza la voce. Maurizio Lupi, esponente vicino a Cl, blinda la legge del governo Berlusconi: “Se pensassimo che l’abolizione del reato di clandestinità possa risolvere il problema dell’immigrazione lo faremmo domani mattina. Ma il problema non è questo”. Anche Nunzia De Girolamo è sulla stessa linea: “Non impicchiamoci al dibattito sulla Bossi-Fini, non sarà uno strumento legislativo a risolvere il dramma di Lampedusa”. Ma Letta pensa a un intervento selettivo, cancellando le parti più ideologiche della norma che dalla sua nascita ha attirato su di sé solo critiche. Per una volta le posizioni dei ministri Pdl sono intonate con quelle dei falchi antigovernativi. Come Gasparri, che invita Letta ‘ad ascoltare chi ne sa più di lui, non ceda alle tesi demagogiche di qualche suo inutile ministro e ascolti Alfano, che sabato aveva difeso la legge. A sorpresa apre invece il leghista Flavio Tosi, che da Mestre, a Repubblica delle Idee, afferma che “il reato di immigrazione clandestina non è stato inserito per mettere in carcere nessuno, ma per dare la possibilità dell’espulsione: se c’è una norma che garantisce un risultato equivalente, la legge può cambiare”. Il premier al momento si è limitato ad annunciare che sarebbe per la soppressione della norma, ma non ha ancora varato una strategia compiuta su come andare a dama visto che è concentrato sulle scadenze imminenti: martedì il Consiglio dei ministri deve approvare la Legge di Stabilità, poi Letta volerà a Washington per incontrare Barack Obama. Della Bossi-Fini, spiegano da Palazzo Chigi, si occuperà al rientro. L’idea embrionale che si fa largo tra i suoi collaboratori è quella di affidare al ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, la missione di sondare la pattuglia governativa del Pdl e i capigruppo per capire se ci siano margini di trattativa. Poi Letta potrebbe parlarne direttamente con Alfano. L’obiettivo del premier, racconta un fedelissimo, è quello di intervenire chirurgicamente, abolendoli, sul reato di clandestinità e sull’obbligatorietà dell’azione penale senza toccare il resto della legge, che peraltro contiene ampi stralci della precedente Turco-Napolitano. Il tutto da inserire in un quadro più ampio, ovvero l’ammodernamento delle regole sull’asilo. Parallelamente il ministro montiano Mario Mauro insieme ad alcuni parlamentari di Scelta Civica sta preparando un pacchetto di idee per completare il quadro normativo che comprendono anche una serie di novità sulla Bossi-Fini da proporre come possibile punto di mediazione tra Pd e Pdl. Intanto ieri la Guardia di Finanza, la Capitaneria di porto e la Marina Militare hanno salvato 386 migranti soccorsi su due barconi. Il primo si trovava a 40 miglia a sud di Lampedusa, l’altro a 140 miglia dalle coste siciliane. E a Catania centinaia di siriani sbarcati sei giorni fa hanno provato a fuggire dal Palaspedini cercando di raggiungere la stazione. Per fronteggiare l’emergenza ieri il premier maltese Joseph Muscat è volato a Tripoli per incontrare il capo del governo libico Ali Zeidan, che ha negato che il suo Paese abbia spalancato le porte ai migranti e ha chiesto di essere coinvolto nelle discussioni che settimana prossima si apriranno in seno all’Unione europea sulla soluzione del problema. In serata Muscat ha chiamato Letta per riferirgli dell’esito dell’incontro”. Gran Bretagna: carceri in crisi, recidiva al 50% per gli adulti e 72% per i minori di Ivano Abbadessa www.west-info.eu, 14 ottobre 2013 Un detenuto nelle prigioni di Sua Maestà costa al contribuente 34mila sterline (€ 40mila). Più o meno la retta che si paga per frequentare le più prestigiose scuole del Regno Unito, tipo l’Eton College. E per di più con risultati sconfortanti, se si pensa che neanche un programma di educazione nelle galere è stato valutato come eccellente negli ultimi 4 anni. E solo uno su tre è stato giudicato buono. Per non parlare dei livelli di recidiva che attualmente sono al 50% per gli adulti e 72% per i minori. Troppi, infatti, lasciano il carcere senza le competenze professionali che li aiuterebbero a trovare un nuovo lavoro. Che ridurrebbe del 30-50% il rischio di finire nuovamente dietro le sbarre. Sono questi alcuni dei numeri contenuti in un documento dell’Ofsted. Che si aggiungono ai dati della Camera dei Comuni. Secondo i quali a giugno del 2013 quasi 2/3 delle reali galere erano sovraffollate. Con penitenziari che eccedevano del 150% la capienza inizialmente prevista. Stati Uniti: 34mila presenze, “numero chiuso” nei Centri di detenzione per immigrati Adnkronos, 14 ottobre 2013 C’è una direttiva del Congresso Usa, poco nota al pubblico, in base alla quale i funzionari del Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti hanno posto sotto detenzione un numero record di immigrati illegali. La direttiva, conosciuta nei circoli di Capitol Hill con l’appellativo di “bed mandate”, impone alla US Immigration and Customs Enforcement (Ice), l’agenzia che si occupa della sicurezza delle frontiere e delle dogane, di mantenere in custodia una media di 34mila detenuti al giorno. Una “quota” che è costantemente cresciuta a partire dal 2006, quando venne istituita dai Repubblicani, convinti che l’agenzia non stesse facendo abbastanza per espellere dal Paese gli immigrati irregolari. Gli effetti paradossali di quella norma appaiono oggi in tutta la loro evidenza. Se l’immigrazione illegale dal Messico è scesa quasi ai livelli minimi dal 1970, l’Ice per raggiungere gli obiettivi fissati dal Congresso ha dovuto procedere a una vera e propria “caccia all’irregolare” per trovare un numero sufficiente di stranieri da espellere. In alcuni casi si è trattato e si tratta di immigrati irregolari che non hanno commesso alcun reato, ma che semplicemente sono stati fermati dalla polizia stradale senza avere i documenti in ordine. In altri casi, di stranieri che risiedono legalmente negli Stati Uniti, ma che per aver commesso un reato, anche di natura minore, e avere anche scontando l’eventuale pena in carcere, possono essere espulsi. Il Dipartimento della sicurezza interna nega di avere usato con troppa facilità le manette pur di raggiungere i numeri imposti dalla norma. Con circa 11 milioni di immigrati non in regola che vivono negli Stati Uniti, il Dipartimento è “pieno di clienti”, ha commentato il deputato del Texas John Abney Culberson. Ma i critici del “bed mandate” sostengono che la maggior parte delle persone poste sotto la custodia dell’Ice sono responsabili di reati non violenti e che a molti di loro, una volta comparsi davanti a un giudice, è consentito di rimanere negli Stati Uniti. Mentre altri, rimangono per mesi in custodia, con un notevole spreco di risorse, perfino quando si potrebbe ricorrere ad alternative meno costose, come i braccialetti elettronici o altre forme di controllo elettronico. Poiché la spesa del governo federale per la detenzione e l’espulsione degli immigrati irregolari ha raggiunto la cifra record di 2,8 miliardi di dollari l’anno, più del doppio rispetto all’introduzione della norma nel 2006, la direttiva comincia ad attirare le critiche non solo dei Democratici, ma anche di quei falchi Repubblicani favorevoli a drastici tagli al bilancio del governo federale. In particolare, dopo che il Dipartimento per la sicurezza interna ad aprile ha riferito al Congresso che si potrebbero risparmiare parecchi soldi abbassando la quota a 31.800 detenuti e adottando misure alternative alla detenzione. I Repubblicani della Camera sono però riusciti con successo a respingere i tentativi di riforma, hanno confermato la quota di 34mila detenuti e ordinato all’Ice di spendere 400 milioni di dollari in più rispetto a quanto richiesto dalla stessa agenzia. Per Julie Myers Wood, ex direttore dell’Ice tra il 2006 e il 2008 sotto l’amministrazione Bush, la direttiva aveva una sua giustificazione all’epoca, quando la polizia di frontiera effettuava oltre un milione di arresti l’anno. Ma oggi, commenta, “non ha senso”.