Giustizia: carceri, amnistia e indulto... le FAQ di Francesco Costa www.dirittiglobali.it, 10 ottobre 2013 Metto insieme un po' di cose che ho scritto in questi anni sull'indulto, l'amnistia e le carceri, insieme a delle altre nuove, visto che il messaggio di Napolitano ha fatto tornare la questione d'attualità (per dieci minuti). Lo faccio per quella persona su cento che non esclude ogni tanto di cambiare idea, consapevole che avrà l'utilità di un cucchiaio davanti all'oceano. Le affermazioni in neretto sono scelte tra quelle più comuni che mi sono state rivolte discutendone su Twitter. Perché ne stiamo parlando? Perché in Italia le carceri potrebbero contenere al massimo 47.615 persone e invece ne contengono 64.758. Non è una novità, è così da molti anni, siamo ai confini della capienza considerata "tollerabile", quella oltre la quale non c'è più spazio nemmeno per terra, oltre la quale è impossibile stipare altra gente. Chi è riuscito a girare dei video in circostanze del genere - cosa non semplicissima - ha mostrato situazioni che si possono definire pacificamente tortura: celle in cui si sta in piedi a turno, con 50 teorici centimetri quadrati di spazio a persona (la Corte di Giustizia Europea dice che è tecnicamente tortura se sono meno di 7 metri quadrati), un bagno da condividere in 15 nella stessa stanza in cui si dorme, celle senza finestre e in condizioni igieniche terrificanti: e persone che restano lì per anni, anche in attesa di processo, e infatti si suicidano a un tasso enormemente superiore a quello di chi sta fuori. L'Italia è stata più volte rimproverata e sanzionata dalle istituzioni internazionali per lo stato delle sue carceri e lo scorso gennaio è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo. Cosa ha proposto Napolitano? Napolitano ha chiesto di fare qualcosa, che è il massimo che può fare. Ha proposto misure che avrebbero efficacia nel medio e lungo periodo, come l'introduzione progressiva di meccanismi di "messa alla prova", l'introduzione di pene limitative della libertà personale ma "non carcerarie", la riduzione dell'uso scandaloso della custodia cautelare, l'aumento della capienza delle carceri, la depenalizzazione di certi reati che non dovrebbero richiedere necessariamente la detenzione. Niente di tutto questo migliorerebbe però la situazione nel breve periodo e per questo Napolitano ha proposto anche un'amnistia e un indulto. L'indulto comporta l'estinzione di una parte della pena detentiva - non quelle accessorie - ed è generalmente limitato ad alcuni reati non particolarmente gravi. L'amnistia invece estingue il reato, sempre generalmente limitata ad alcuni reati non particolarmente gravi, e serve anche a evitare che dopo l'indulto si celebrino migliaia di processi inutili. Ma l'indulto e l'amnistia non sono una soluzione! Questo non lo dice nessuno. Liberiamoci di questo argomento: nessuno pensa che amnistia e indulto siano la soluzione. Nessuno. Ma servono. Indulto e amnistia servono a sanare temporaneamente una gigantesca violazione della Costituzione, dei diritti umani e della certezza della pena, che ha generato un'emergenza umanitaria e una montagna di sofferenza. Poi certo, da soli non risolvono il problema, bisogna fare anche altro. E quindi? Si chiama riduzione del danno. Mandare aiuti umanitari in Africa costa molti soldi e non risolve il problema della fame del mondo, sono pannicelli-caldi: quindi non ne mandiamo più? Avere un corpo di polizia costa molti soldi e non risolve di per sé il problema della criminalità: quindi lo sciogliamo? La legge 194 non risolve di per sé il problema degli aborti clandestini: quindi la aboliamo? Questo approccio ci sembrerebbe illogico se lo applicassimo a qualsiasi altra cosa che non siano le carceri. Per molti è semplicemente un alibi. E dove va a finire così la certezza della pena? Innanzitutto un dato: per il 38 per cento delle persone che si trovano nelle carceri italiane non c'è nessuna pena. Sono detenute in attesa di processo: sono tecnicamente innocenti, i dati dicono che moltissime alla fine saranno riconosciute definitivamente innocenti. Il tutto avviene a causa di un abuso della custodia cautelare enorme e ingiustificato. Ma torniamo alla certezza della pena… La certezza della pena non è solo quella che piace a te. L'articolo 27 della Costituzione, per esempio, è inequivoco e va preso alla lettera: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Non è che la mattina la Costituzione è sacra, è la "bibbia laica" per cui si sale sui tetti della Camera, e il pomeriggio la si ignora. Inoltre il principio della certezza della pena va a farsi benedire già nel momento in cui le persone detenute sono costrette a scontare torture a cui nessuno le ha condannate: dormire per terra a due passi dal cesso, vivere in sei in tre metri quadrati in agosto senza finestre, convivere con ratti e scarafaggi, eccetera. Siamo già oggi, e da anni, prima di qualsiasi amnistia e indulto, in circostanze di clamorosa e sistematica violazione della certezza della pena. La certezza della pena è anche la certezza di un trattamento umano, come quello teoricamente disposto dal giudice; ed è anche la certezza di potere usufruire, quando è il caso, di strumenti come indulto e amnistia che sono previsti, regolati e legittimati dalla legge e dalla Costituzione. Così aumenta la criminalità per le strade… L'argomento in sé ammette parte del problema - ammette cioè che in questo momento, nelle condizioni in cui si trovano, le carceri italiane sono un luogo criminogeno, che produce insicurezza e non sicurezza - ma è scivoloso. Sì, capita che chi esca dal carcere delinqua di nuovo, sia recidivo. Capita sia a quelli che escono per l'indulto sia a quelli che escono a fine pena: che facciamo, non facciamo uscire più nessuno? Ma aspetta, abbiamo dei dati. Stando ai dati dell'Ufficio Statistico del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, delle persone scarcerate alla fine naturale della pena il 68,45 per cento torna in carcere una o più volte nell'arco dei successivi sette anni. Delle persone uscite dal carcere grazie all'indulto, quelle che sono tornate a delinquere sono il 33,92 per cento. Sono dati tutt'altro che sorprendenti, la tendenza è nota da tempo. E la ragione non è così misteriosa, essendo provata da centinaia di dati e di studi: e c'entra col fatto che il carcere è un luogo di tortura. Per dirla con le parole di Luigi Manconi: "scontare la pena in condizioni meno afflittive e meno disumane può contribuire alla riabilitazione sociale (e a non reiterare il reato)". Lo dici perché sei ricco e fortunato e non ti è mai capitato niente… Questa è bella. La risposta istintiva è: e tu che ne sai? Sei davvero sicuro di cosa mi è capitato e di cosa non mi è capitato? E se ti sbagliassi? Come ti sentiresti se non fosse come dici tu? Ma in realtà la risposta giusta a questa obiezione è un'altra: è che non siamo più nel Medioevo e che non dovresti misurare tutti col tuo metro. Ci sono anche persone, un sacco di persone, che non pensano che essere vittima di un reato attribuisca un particolare valore alle proprie opinioni sulle condanne dei responsabili: che sanno distinguere tra i propri sentimenti personali di eventuali vittime e quello che dev'essere giusto in uno stato di diritto. Ma perché ne parliamo adesso? Tutte queste chiacchiere e invece è evidente che lo facciamo per Berlusconi. Forse tu te ne accorgi adesso ma questa è una storia di cui si parla da anni. Lo stesso Napolitano ne ha parlato decine di volte. Sul fatto che "lo fanno per Berlusconi" dovrei rispondere che Berlusconi per legge non andrà in carcere, dato che ha più di settant'anni; che l'indulto non si applica alle pene accessorie come l'interdizione dai pubblici uffici; che l'amnistia storicamente non si applica ai reati fiscali e finanziari. Se il "tempismo" fa qualche differenza, la differenza è sfavorevole a Berlusconi che nel frattempo è stato condannato. Ma il punto non è questo. Il punto è che io non credo ci sia davvero qualcuno che sia teoricamente favorevole a indulto e amnistia per fermare le torture contro 64.000 persone ma che non può accettarli perché questo eventualmente avvantaggerebbe Berlusconi, che comunque in carcere non ci andrà mai. Evidentemente sono contrari di fondo, per altri motivi, magari quelli di cui sopra. Non si può essere livorosi e vendicativi al punto da non applicare in un momento di emergenza uno strumento che si ritiene giusto per decine di migliaia di persone, in ragione del fatto che forse ne godrà una. O almeno io preferisco pensare che sia così. Giustizia: sulla clemenza tensione nella maggioranza, ma c'è un primo passo di Monica Guerzoni Corriere della Sera, 10 ottobre 2013 La pietra che Giorgio Napolitano ha lanciato nello stagno della politica continua a generare ondate concentriche di riflessione e di polemica. Pd e Pdl litigano sul destino giudiziario di Berlusconi, ma finalmente il Parlamento si muove e sul sovraffollamento delle carceri interviene anche la Corte Costituzionale. La Consulta dice no al rinvio della pena per "condizioni disumane" di detenzione, non ritenendolo un motivo sufficiente perché il Tribunale del riesame rimandi il provvedimento. Ma al tempo stesso si dice pronta a intervenire nel caso in cui il legislatore dovesse restare "inerte" di fronte a carcerazioni "contrarie al senso di umanità". Con lo scontro fra i partiti che non accenna a placarsi, il clima non sembra favorevole per affrontare temi delicatissimi come il dramma delle galere e la riforma della giustizia, eppure la Camera dei deputati batte un colpo e assegna la lettera del presidente della Repubblica alla commissione Giustizia. L'iniziativa è partita dal presidente del Misto, Pino Pisicchio, che ha ottenuto il via libera di tutti i gruppi parlamentari: la commissione avvierà un'istruttoria e l'intesa preventiva - se mai si dovesse concretizzare - sarà sottoposta al voto dell'Aula. È un primo passo per tradurre in provvedimenti di legge i "rimedi straordinari" che Napolitano suggerisce al Parlamento per alleviare le condizioni di vita dei carcerati. Per amnistia e indulto serve una maggioranza di almeno due terzi del Parlamento, Lega Nord e Movimento 5 Stelle si sono schierati contro e i partiti che sostengono il governo sembrano lontani da ogni possibile accordo. I democratici frenano. Guglielmo Epifani difende Napolitano dalla "polemica offensiva e volgare" che Grillo gli ha scagliato contro, ma nella sostanza spiega che il partito intende muoversi su amnistia e indulto con i piedi di piombo, perché "il percorso è complesso e ci sono sensibilità nel Paese che vanno affrontate con grande cautela". I provvedimenti di clemenza indicati dal Colle "possono essere presi in considerazione", ma prima devono arrivare altri interventi: sulla ex Cirielli, sulla legge Giovanardi, sulla Bossi-Fini... Epifani ritiene che vadano esclusi "i reati già esclusi in passato", perché il problema non è solo svuotare le carceri "ma anche evitare con misure intelligenti che si riempiano di nuovo". Serve insomma una riflessione "a tutto campo", da fare "con attenzione" e da spiegare "bene" ai cittadini. Sia chiaro però che il Cavaliere, assicura Epifani, con la posizione del Pd non c'entra nulla: "La commistione con le vicende di Berlusconi non ha nessun senso". Angelino Alfano non ne è convinto e attacca, invita i democratici "a non trasformare tutto in un referendum su Berlusconi" e spera che il Pd "non traduca le parole di Napolitano in norme contro una persona". Per il Pdl la riforma della giustizia si deve fare in fretta e il segretario annuncia che il suo partito ne sarà "il motore". I grillini si sono messi di trasverso e difficilmente cambieranno posizione, anzi. Dopo il botta e risposta di martedì, l'attacco al capo dello Stato si va intensificando. Beppe Grillo accusa il Quirinale di non essere super partes, ironizza sulle "lacrime napulitane" per i detenuti, "sospette" quando arrivano da chi è "parte fondante di questa classe politica". E annuncia che farà pervenire al presidente il piano carceri del M5S, che a giudizio dei grillini contiene "soluzioni più efficaci dell'indulto e dell'amnistia". E intanto dal sito di Grillo piovono insulti su Napolitano da parte di elettori vicini al movimento. Giustizia: carceri sovraffollate, malsane e violente: l'inferno delle celle da tre metri a persona di Piero Colaprico La Repubblica, 10 ottobre 2013 La Corte europea ha dato ragione a un detenuto che lamentava la violazione dei diritti umani. Da dicembre a oggi più di ottanta morti e una catena di suicidi che ha coinvolto anche due giovani ispettori. Negli ultimi tre mesi sono state sette le proteste dei carcerati. Hanno causato a volte incendi tali da far evacuare il carcere (vigilia di ferragosto a Vicenza). A volte intossicazioni (27 ricoverati, a Sollicciano) o blackout (Cagliari, 9 luglio). Dietro le spesse mura delle carceri si combatte una guerra che sembra muta solo perché ci è lontana. Basta leggere che cosa è accaduto dal 1° luglio al 30 settembre. Si sono contate, oltre le sette proteste, ventinove aggressioni ad agenti, a volte con un graduato preso da solo e ferito gravemente, a volte con i detenuti che ne circondano un gruppo. Praticamente, un attacco ogni tre giorni, con quasi un centinaio di feriti e contusi. Cinque le risse scoppiate tra carcerati. Ogni giorno la cella può trasformarsi in abisso. C'è un ultimo dato, riguarda le morti negli istituti di pena: dal 7 dicembre scorso dell'anno al 26 settembre se ne contano più di ottantina. Diciannove sono morti dietro le sbarre per malattia, altrettanti detenuti escono dal carcere con la poco rassicurante dizione "morte da accertare", tutti gli altri si sono tolti la vita. Negli ultimi tre mesi, sedici tra suicidi e tentativi: tra i morti, due ispettori, poco più che quarantenni. Vent'anni prima dell'alba. "I problemi del carcere sono gli stessi da vent'anni", dicono tutti, ed è vero. È un lungo incubo senza sosta. Eppure, negli ultimi mesi sembra esserci una sorta di risveglio. Un primo indizio è a portata di clic, si trova su Internet. Ci sono i siti dei detenuti, a cominciare da www.ristretti.it, figlio del giornale Ristretti Orizzonti, tra i migliori d'Italia. Esiste però anche un sorprendente sito del sindacato Uil della Polizia penitenziaria (www.polpenuil.it) dove - e mai era accaduto in passato - sono gli agenti a fotografare la situazione delle carceri. Fotografare davvero. Con carrellate di immagini, con una documentazione del tutto inedita. Ecco diventare visibile a chiunque l'interno del pesante carcere di Monza, con una micidiale carrellata di secchi dell'acqua per raccogliere le perdite dal soffitto. O San Vittore, con la sua umidità ovunque. O il Buoncammino di Cagliari, e così via: "Per conoscere le mura dei misteri, bisogna abbattere i misteri di quelle mura" era lo slogan del segretario nazionale Eugenio Sarno, e lo era vent'anni fa. Solo in questi mesi, finalmente, grazie alle autorizzazioni del vicecapo del Dap, Luigi Pagano, storico direttore di San Vittore, uomo della "trasparenza", i fotoreporter in divisa sono potuti passare all'azione. Ma che cosa sta accadendo, dunque? Sentenza Torreggiani. Nel mondo sovraffollato, malsano, nervoso delle carceri, c'è un argomento di cui tutti parlano. È la "sentenza Torreggiani", emessa l'8 gennaio 2013 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Alcuni detenuti italiani, tra i quali uno chiamato Mino Torreggiani, che soffriva nel difficile istituto di Busto Arsizio, avevano presentato un ricorso perché "ciascuno di loro occupava una cella di nove metri quadrati con altre due persone e disponeva quindi di uno spazio personale di 3 metri quadrati". E avevano vinto. Ma che cosa significa questa vittoria, oltre a un risarcimento economico? Semplice. Quei concetti che il presidente Giorgio Napolitano, ancora ieri, rilanciava, sono quelli internazionali ai quali l'Italia, stando in Europa, deve obbedire. Subito. È già in ritardo. Perché esiste, parola dei giudici, "un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano". Lo dimostrano "diverse centinaia di ricorsi (...) pendenti e in continuo aumento". In sintesi, chiede l'Europa all'Italia: vi siete dati un regolamento carcerario bello e funzionante, ma perché non lo applicate? Il sovraffollamento. Nei 205 istituti italiani ci sono - dato aggiornato al 30 settembre scorso - quasi 65 mila detenuti (2mila e 800 donne circa), quando i posti sono 47.615. Quasi ventimila in più. Di questi detenuti, 22mila e 770 sono stranieri. "E se gli italiani a volte riescono ad andare alla detenzione domiciliare, lo straniero, che spesso senza casa, resta dentro sino alla fine", spiegano gli avvocati penalisti. L'Italia ha il coefficiente di sovraffollamento più alto d'Europa: gli ultimi dati comparabili risalgono al 2011 e Italia è maglia nera con il 146,4 per cento, segue la Catalogna con il 126, la Romania, la Repubblica Ceca, la Francia (116,7 per cento). Questi dati, di per sé catastrofici, peggiorano se si pensa che, sempre al 30 settembre, i detenuti in attesa del primo giudizio sono ben 12.333, mentre i "definitivi", quelli che in carcere cioè devono starci perché la sentenza è passata in giudicato, 38.845. Si calcola che tre detenuti su dieci siano consumatori di droga. È un carcere per "poveracci", quello italiano, dicono i dati di fatto. Rivoluzione normale. Al ministero di Giustizia, il ministro Anna Maria Cancellieri parla con il suo entourage di "rivoluzione normale". Cioè, in via Arenula sono convinti che l'inferno delle carceri vada sconfitto "muovendosi". Tra detenuti che aumentano sempre di più e personale che manca sempre di più, è passata, tra le righe, un'idea chiamata "vigilanza dinamica". Quella che Gianluigi Madonia, segretario regionale della Uil-Pa, spiega così: "Il nuovo modello prevede le sezioni aperte per più tempo, il detenuto responsabilizzato, la fiducia reciproca". È così, su un equilibrio precario, tra suicidi e rischio di rivolte, che si naviga a vista: sembrano però in parecchi a credere di essere finalmente, così dicono, "sulla rotta giusta". Vent'anni dopo Tangentopoli. Giustizia: il piano anti degrado Fuori dalle celle (restando in carcere) di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 10 ottobre 2013 "Socialità" a tempo pieno per 48 mila. Il peso dei 2.800 ricorsi alla Corte europea I calcoli si possono fare solo per approssimazione, giacché i numeri dipendono da molte variabili, non tutte prevedibili. Ma qualche cifra realistica si può immaginare. Se l'Italia non comincerà a cambiare la situazione di vivibilità delle proprie prigioni, i circa 2.800 ricorsi pendenti davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo saranno esaminati con buone possibilità di essere accolti. Nel caso della "sentenza pilota" chiamata Torreggiani dal nome di uno dei ricorrenti, per sette detenuti ai quali è stato riconosciuto il trattamento "disumano e degradante" a causa del poco spazio in cui erano costretti, la Corte ha stabilito una sanzione complessiva di 100.000 euro. Moltiplicando questo importo per il totale dei ricorrenti si arriverebbe a un maxi-risarcimento di 40 milioni, e questo riguarderebbe solo i reclami già presentati. Naturalmente è possibile che non tutti siano ammissibili o raccoglibili, ma è pure prevedibile che di qui a sei mesi se ne aggiungano altri. In ogni caso si tratterebbe di sborsare qualche decina di milioni per via del sovraffollamento, che andrebbero ad aumentare il già rilevante "debito pubblico della giustizia" derivante dai risarcimenti per l'eccessiva durata dei processi: 348 milioni di euro, secondo l'ultimo dato, a fronte dei 50 stanziati dal ministero dell'Economia per questa voce. Il giudizio europeo sui ricorsi che lamentano le condizioni di vita "degradanti" all'interno delle carceri è stato sospeso per dare tempo all'Italia di provvedere ai necessari rimedi. La scadenza è fissata al maggio 2014, e il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha deciso di correre ai ripari. Per evitare le multe milionarie, ma anche e soprattutto perché risolvere l'eterna emergenza carceraria, o almeno provare a farlo, "è un imperativo categorico". Senza aspettare il provvedimento di amnistia e indulto invocato da Napolitano - misura eccezionale per una situazione eccezionale - che dipenderà dall'incerta volontà del Parlamento. Tra un mese il Guardasigilli andrà a Strasburgo per illustrare il piano messo in campo dal vertice dell'Amministrazione penitenziaria (il direttore Giovanni Tamburino e i suoi vice Francesco Cascini e Luigi Pagano), dal commissario straordinario Angelo Sinesio e da Mauro Palma, presidente della commissione per gli interventi in materia penitenziaria appositamente istituita dalla Cancellieri. A parte gli interventi legislativi già adottati per ridurre i nuovi ingressi (maggiore applicabilità degli arresti domiciliari, delle misure alternative o dei lavori di pubblica utilità), è stato ripreso in mano il progetto di interventi varato dall'ex ministro Alfano nel 2010 con un maxi-stanziamento di 468 milioni. Rimodulato secondo diversi canoni d'intervento. Trentanove appalti per la costruzione di nuovi istituti, nuovi padiglioni all'interno di quelli esistenti e per le ristrutturazioni sono stati già assegnati, o avviate le procedure: una spesa di 310 milioni che dovrebbe garantire 12.000 posti in più entro il 2016 (attualmente il sovraffollamento è di circa 17.000 persone, differenza tra capienza e presenze effettive). Un po' di un terzo dei nuovi posti, 4.400, dovrebbero essere disponibili entro la fine del 2013. Ma l'obiettivo del nuovo piano-carceri, al quale si stanno dedicando in particolare Cascini, Sinesio e Palma, non è solo l'aumento delle celle e delle brande. Prima e più in fretta si cerca di intervenire sul "modello di detenzione", cioè l'organizzazione della vita all'interno delle prigioni; cercando di migliorare le condizioni dei reclusi offrendo loro possibilità di lavoro, di studio e di socialità, e quindi di reinserimento. Quattro milioni e 100.000 euro sono già stati destinati a chi vuole dedicarsi alla costruzione dei mobili per arredare i locali (armadi, letti, sgabelli e tavoli), e confezionare coperte, cuscini e lenzuola. In questo modo si cerca di utilizzare il lavoro dei detenuti per le esigenze degli stessi penitenziari, ma alla lunga si tratta di un investimento contro il sovraffollamento: per chi sconta la propria pena senza fare niente, infatti, si calcola l'87 per cento di "recidiva", il che significa tornare a delinquere e candidarsi al reingresso in carcere; per chi lavora, invece, la recidiva scende sotto il 13 per cento, con una grossa riduzione dei ritorni in carcere. Tuttavia la principale novità con la quale si cercherà di rimuovere le condizioni di degrado riguarda l'apertura delle celle durante il giorno. Attualmente, dei quasi 65 mila detenuti, solo 8 mila hanno la possibilità di trascorrere le loro giornate (a parte la classica "ora d'aria") fuori dai locali in cui si calcolano i numeri del sovraffollamento. E dove si è costretti anche a consumare i pasti. Poco più del 10 per cento, quindi. Con la rimodulazione già avviata in un'ala dell'istituto di Rebibbia e che sta per partire a Sollicciano, invece, nasceranno i refettori e altri locali che permetteranno a chi sta scostando una pena o la carcerazione preventiva di trascorrere la giornata fuori dalle celle, insieme ai compagni di detenzione raggruppati per categorie e compatibilità. Secondo i programmi del ministero entro il maggio del 2014, quando ci sarà la verifica europea, circa 48 mila detenuti potranno vivere di giorno in condizioni di "socialità" a tempo pieno. Sarebbe la quasi totalità dei cosiddetti "comuni", di scarsa pericolosità sociale e non sottoposti ai regimi dell'alta sicurezza o del "41 bis". In attesa dei nuovi posti, insomma, le condizioni di sovraffollamento saranno limitate alla notte, quando si dorme. Per presentarsi alla corte dei diritti dell'uomo con le carte un po' più in regola, ma soprattutto con una nuova "filosofia della detenzione" nelle prigioni d'Italia. Giustizia: quando Napolitano voleva tenere i detenuti sottochiave di Lanfranco Palazzolo Il Tempo, 10 ottobre 2013 Nel 1998 da ministro dell'Interno contestò l'approvazione della legge "svuota carceri". E Giorgio Napolitano disse: "Fermate quelle scarcerazioni". All'indomani del messaggio del Capo dello Stato alle Camere sulla situazione negli istituti penitenziari italiani, il mondo politico scopre che esiste un'emergenza dei diritti umani negli istituti di pena. La vicenda non può e non deve essere presa sotto gamba da nessuno, ma in questi giorni molti osservatori politici sono rimasti sorpresi dalla "sensibilità" del Presidente della Repubblica di fronte alla questione dei diritti dei detenuti. Ai tempi in cui era ministro dell'Interno Giorgio Napolitano non si mostrò altrettanto sensibile. Nel giugno 1998 scoppiò un caso clamoroso all'interno del primo Governo Prodi, quando si trattò di applicare, per la prima volta, la legge Simeone-Saraceni (1998) che risparmiava il carcere a chiunque dovesse scontare meno di 3 anni. La legge numero 165 dimostrava la volontà del governo dell'Ulivo di affrontare il problema della costante progressione della popolazione detenuta. A tale scopo, il legislatore affrontò il problema dello scarso accesso alle misure alternative da parte di quei soggetti economicamente deboli che, non potendo fruire di un'assistenza giuridica adeguata, non riuscivano ad evitare il carcere anche quando ne avrebbero diritto. Tutte le misure alternative, contemplate in quel provvedimento venivano concesse solamente su richiesta del condannato e non d'ufficio. Al momento della prima applicazione di quella legge, nel giugno del 1998, il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick non ebbe alcun problema a dar corso alla norma. Tuttavia, il ministro dell'Interno Giorgio Napolitano si oppose fermamente a quel provvedimento approvato dal suo stesso governo che avrebbe permesso la scarcerazione di 13 mila detenuti. A quel punto Napolitano, il 16 giugno 1998, scrisse una lettera aperta al direttore de La Repubblica Ezio Mauro: "L'entrata in vigore della legge Simeone potrà porre le forze di polizia di fronte a ulteriori incombenze e responsabilità di controllo nei confronti di persone condannate a pene detentive di cui venga sospesa l'esecuzione e ammesse alla concessione di misure alternative. Si tratta di un problema cui il governo, nell'applicare la legge voluta dal Parlamento, dovrà dedicare la massima attenzione". Ma Napolitano non si limita a questo appunto e sferra un duro attacco al ministro della Giustizia ricordando che "la legge Simeone - continua Napolitano nella lettera apparsa sulla prima pagina di Repubblica del 17 giugno 1998 - (discussa da Camera e Senato sin dal luglio di due anni fa) è stata approvata da una maggioranza larghissima, comprendente gruppi sia di maggioranza sia di opposizione. Risultano però agli atti parlamentari - espresse il 25 settembre 1996 nell'intervento alla Camera del sottosegretario Sinisi - le riserve e le preoccupazioni del ministero dell'Interno". Riserve e preoccupazioni "a più riprese prospettate, e solo parzialmente prese in considerazione, nei rapporti col ministero di Grazia e Giustizia e con la presidenza del Consiglio". Ma cosa aveva detto il sottosegretario agli Interni - a nome del ministro Napolitano - in quella occasione? A pagina 3563 del verbale di seduta vengono riportate queste parole del sottosegretario Sinisi: "Desidererei formulare un'altra osservazione, che mi è venuta in mente mentre seguivo la discussione sulle linee generali, e desidererei, in questo contributo che offro a nome del ministero dell'Interno, superare un argomento che ripetutamente è stato sollevato in aula. Mi riferisco al fatto che un provvedimento di siffatta natura possa essere utile per decongestionare le carceri. A coloro che hanno sostenuto un simile argomento, vorrei dire che il sovraffollamento delle carceri si supera costruendo nuove carceri e non certo scarcerando coloro che invece meriterebbero di restare detenuti. Certo, bisognerebbe assicurare nelle carceri livelli di civiltà e di dignità consoni ad uno Stato democratico e moderno e che rispetta pienamente i diritti individuali dei cittadini". Sia allora che al momento dell'approvazione della legge era chiaro che il provvedimento avrebbe riguardato detenuti con meno di tre anni da scontare. E Napolitano non era d'accordo. Oggi, con il messaggio inviato alle Camera, ha cambiato idea. Una testimonianza evidente della saggezza acquisita negli anni. Per fortuna. Giustizia: l'ex garante Margara; il sovraffollamento colpa delle leggi di Berlusconi di Lorenzo Lamperti www.affariitaliani.it, 10 ottobre 2013 "Il sovraffollamento non si è creato da solo, lo hanno creato le leggi dei politici". Alessandro Margara, ex garante dei detenuti in Toscana, è un'autorità indiscussa del campo carcerario e sceglie Affaritaliani.it per far sentire la sua voce autorevole e piena di esperienza: "L'amnistia da sola non basta, serve un intervento di ampio respiro. Siamo in questa situazione per alcune leggi del governo Berlusconi: la ex Cirielli, la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini". Amnistia e indulto possono risolvere il problema delle carceri? L'amnistia è sempre stata un aspetto che veniva richiesto ma che serviva a poco. Quando è stato concesso il condono è stata richiesta anche l'amnistia però continuava a servire a poco. Se si resta dentro il livello consueto dei reati amnistiati, quindi quelli con pene fino a 3 o 4 anni, l'amnistia non serve. Come dovrebbe essere applicata allora? Dovrebbe essere applicata con un occhio ai casi più complessi e più ricorrenti come il comma 5 dell'articolo 73 del codice penale che riguarda la detenzione attenuata dei presunti innocenti. I casi di questo tipo sono molto frequenti e se si volesse intervenire su questo allora l'amnistia avrebbe qualche risultato soddisfacente. Ma non può bastare l'amnistia come unica misura a risolvere il problema. Come si fa a risolvere il problema del sovraffollamento? Serve un intervento strutturale di ampio respiro che purtroppo non credo non sia facilmente realizzabile. Dovrebbero essere ritoccate tre leggi: la ex Cirielli, la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini. Riviste queste norme il problema potrebbe ridimensionarsi. Serve una ripulitura della legislazione che ha prodotto il sovraffollamento. Quindi il sovraffollamento è colpa della politica? Il concetto è questo: il sovraffollamento non è nato da solo ma è nato a causa di alcune leggi. La Fini Giovanardi, per esempio, ha contribuito molto al problema, prevedendo equiparando le droghe leggere a quelle pesanti. Allo stesso modo hanno avuto effetti negativi altre leggi arrivate con il governo Berlusconi, vale a dire la ex Cirielli del 2005 e la Bossi-Fini del 2002. Sono norme che hanno provocato molti danni. Giustizia: Tamburino (Dap); provvedimenti di clemenza non riguardano i reati fiscali Asca, 10 ottobre 2013 "Nulla potrebbe essere più lontano". Lo ha affermato in un'intervista a Repubblica Giovanni Tamburino, Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, rispondendo ad una domanda sulla possibilità che dietro il messaggio del Capo dello Stato sulle carceri possa celarsi un salvacondotto per Silvio Berlusconi. "L'intervento invocato dal Capo dello Stato - ha chiarito Tamburino - si riferisce alle migliaia di detenuti stipati nelle celle per reati di scarsa gravità e comunque tipicamente quelli commessi da persone ai margini della società, perché sono proprio questi che affollano le carceri". Mentre quel che riguarda i detenuti per reati dei colletti bianchi o per evasione fiscale "credo che a stento si arrivi a un migliaio di casi sugli oltre 64.500 detenuti oggi. Quindi è evidente che questa realtà è proprio fuori dall'ottica del messaggio di Napolitano". "Rispetto al tempo presente, certamente occorre un intervento che possa comportare l'uscita di alcune migliaia di detenuti perché i rimedi che stiamo attuando non sono immediati, ma realisticamente daranno frutto nel giro di uno o due anni". Per quel che riguarda il perimetro di reati esclusi da amnistia e indulto, Tamburino ha spiegato di non voler "entrare in una questione che comporta diverse valutazioni politiche e possibili schieramenti di parte" ma "il messaggio contiene già una prima indicazione contraria ai reati "odiosi"", inoltre "aldilà degli schieramenti politici non si può non intervenire non solo di fronte alla condanna europea, ma anche, per una questione di civiltà, di fronte al precetto costituzionale italiano che vieta le pene inumane e degradanti". Giustizia: Mauro Palma; amnistia? L'Europa non chiede toppe di Giampiero Gramaglia Il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2013 Il Consiglio d'Europa chiede all'Italia di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, non le dice come deve farlo: si tratta di rimuovere una situazione di violazione" dei diritti dell'uomo, sancita dalla Corte di Giustizia di Strasburgo, "e di trovare una soluzione risarcitoria per chi ha subito tale violazione". Mauro Palma, già a capo del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d'Europa, fa il punto del contenzioso sulle carceri tra Strasburgo e Roma. Palma, matematico e ricercatore, uno dei fondatori di Antigone, di cui è stato il primo presidente, è attualmente presidente della Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani. Nelle sue richieste, il Consiglio d'Europa non evoca né amnistia né indulto. Palma spiega: "Un'amnistia può aiutare ad azzerare la situazione di partenza. Ma se ci si limita a un'amnistia, allora si tratta solo di un provvedimento deflattivo, che non risolve, perché, dopo un po', ci si ritrova nella situazione di partenza". L'Italia ha tempo fino a fine novembre per presentare un piano d'intervento al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che controlla tramite un comitato ad hoc l'esecuzione delle sentenze; e avrà poi sei mesi per attuarlo. I responsabili dell'Istituzione di Strasburgo, che riunisce 47 Paesi europei, ne hanno già discusso con i ministri Severino, prima, e Cancellieri, poi. Dall'Italia ci si attende "provvedimenti strutturali" e l'amnistia "non lo è": la Commissione di Palma si muove per portare l'Italia "in linea con i modelli europei" di trattamento carcerario, utilizzando strumenti che vanno dall'edilizia carceraria alla depenalizzazione dei crimini di lieve entità all'evoluzione dei modelli organizzativi di pene e lavoro nelle carceri. "Questa è la direzione giusta. Se ci si muove in questa direzione, un'amnistia può pure starci. Ma un'amnistia da sola non risolve il problema". La sentenza contro l'Italia dell'8 gennaio è una sentenza pilota, una formula adottata dal 2004: essa pone cioè le basi per sanare, col concorso dello Stato in causa, un mancato rispetto dei diritti umani. Il 27 maggio, il ricorso dell'Italia fu giudicato inammissibile: da quel giorno, decorrono i termini per affrontare la questione. Ad oggi, la Corte ha ricevuto quasi 600 ricorsi da detenuti in Italia, costretti a vivere in celle dove lo spazio a disposizione è inferiore a quanto accettabile dal punto di vista della loro dignità. Il giudizio di gennaio offre un percorso per sanare gran parte di questi casi. A giugno, il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa chiese al governo di Roma di fornirgli presto i dati sul sovraffollamento nei penitenziari italiani. Il contenzioso tra Strasburgo e Roma sulle carceri risale al 2009, quando l'Italia subì la prima condanna per violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. L'8 gennaio la seconda Camera della Corte pronunciò la sentenza del cosiddetto "caso Torreggiani", relativo alla carenza di spazio e alle disfunzioni nei servizi subìte per molti mesi da sette detenuti - italiani e non - nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Con quella decisione, ribadita a maggio, la Corte individuava l'esistenza di un "problema strutturale" nelle carceri di tutto il Paese e invitava l'Italia ad adottare entro un anno misure specifiche, compreso un "equo indennizzo pecuniario", 100mila euro, per i danni morali subiti dai sette detenuti. Dopo la sentenza, la commissaria alla Giustizia dell'Ue Viviane Reding aveva definito "scandalosa" la situazione delle carceri italiane, ricordando che l'Unione non ha poteri in merito: "Le condizioni detentive rientrano nelle competenze degli Stati membri", finora contrari "a interventi normativi". Giustizia: calendarizzati al Senato ddl di Compagna (Gal) e Manconi (Pd) su amnistia e indulto Ansa, 10 ottobre 2013 La Commissione Giustizia del Senato ha deciso di calendarizzare per martedì prossimo 15/10 l'esame dei disegni di legge sull'amnistia e l'indulto presentati dai senatori Compagna (Gal) e Manconi (Pd). Lo ha deciso l'ufficio di presidenza della Commissione che si è chiuso a tarda sera. Giustizia: Commissione Senato, ok ddl per la messa alla prova e la delega sulle depenalizzazioni Ansa, 10 ottobre 2013 La Commissione Giustizia del Senato ha approvato in via definitiva il Disegno di legge per la messa alla prova, che contiene anche la delega al governo sulle depenalizzazioni e le norme sul processo per gli irreperibili. Nell'ambito di questo Ddl è stato approvato l'emendamento degli M5S che cancella il reato di immigrazione clandestina. Giustizia: Consulta; sovraffollamento carceri? no al rinvio della pena, ma legislatore agisca Il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2013 Per la Corte Costituzionale è "inammissibile" che la pena possa essere differita anche a causa delle condizioni disumane di detenzione. Ma, allo stesso tempo, interverrà per stoppare l'esecuzione della pena qualora non venissero presi provvedimenti. Il sovraffollamento delle carceri deve essere risolto dal legislatore, o la Corte Costituzionale adotterà decisioni per stoppare l'esecuzione della pena quando debba essere scontata in condizioni disumane. Il monito arrivato dalla Consulta è più forte della sentenza pronunciata in merito alla questione di legittimità costituzionale sollevata da due tribunali di sorveglianza, Venezia e Milano, sull'articolo 147 del codice penale. I giudici, infatti, hanno reputato inammissibile l'istanza, che di fatto puntava ad ottenere dalla Corte una sentenza additiva che integrasse l'articolo 147, in modo da ampliare i motivi per cui si può chiedere il differimento della pena. Attualmente le cause che giustificano il rinvio sono gravidanza, puerperio, Aids conclamata o altra malattia particolarmente grave. L'obiettivo era che tra questi motivi fosse ricompreso il sovraffollamento carcerario e le condizioni disumane di detenzione. Le ragioni del "no" giunto dalla Consulta - che saranno illustrate più chiaramente quando saranno depositate le motivazioni - è che la Corte non può sostituirsi al legislatore. Inoltre, ci possono essere "una pluralità di possibili soluzioni" che solo chi fa le leggi può individuare. Resta il fatto, avverte la Consulta, che il problema è "grave" e "il legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile". Il pronunciamento arriva in una fase quanto mai cruciale per l'emergenza carceri, all'indomani del messaggio alle Camere del Capo dello Stato Giorgio Napolitano che tante reazioni ha scatenato per l'apertura ad amnistia e indulto. Sull'Italia, inoltre, pende una scadenza impegnativa: quella dettata dalla sentenza della Corte di Strasburgo dei diritti dell'uomo che dà tempo all'Italia fino al maggio 2014 per adeguarsi e rendere le carceri conformi ai parametri europei in termini di spazio, capienza e condizioni generali o scatteranno le sanzioni. E, in prospettiva, è anche guardando a questa scadenza che la Corte Costituzionale ha deciso di muoversi come si è mossa. Il tribunale di sorveglianza di Venezia aveva sollevato il dubbio di costituzionalità per il caso di un detenuto del carcere di Padova, ristretto in una cella con uno spazio vitale inferiore ai tre metri quadri. Poi è giunta l'istanza da Milano per un detenuto del carcere di Monza: la cella è così piccola che i tre carcerati che la dividono non possono scendere insieme dal letto; il bagno è senza porta e senza acqua calda. La Consulta ha giudicato inammissibili entrambe le questioni. Così facendo ha lasciato tempo al legislatore perché faccia la sua parte e rispetti gli obblighi imposti da Strasburgo. Allo stesso tempo però ha lanciato un chiaro avvertimento, preannunciando un'eventuale fase 2: "Nel caso di inerzia legislativa - ha fatto affermato infatti la Consulta - la Corte si riserva, in un eventuale successivo procedimento, di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l'esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità". Intanto, nella notte, la Commissione Giustizia del Senato ha deciso di calendarizzare per martedì prossimo 15/10 l'esame dei disegni di legge sull'amnistia e l'indulto presentati dai senatori Compagna (Gal) e Manconi (Pd). Lo ha deciso l'ufficio di presidenza della Commissione. Lettere: la riforma non può aspettare di Franco Corleone (Garante dei detenuti della Toscana) Il Tirreno, 10 ottobre 2013 Una questione di prepotente urgenza. Così il Presidente Giorgio Napolitano aveva definito nel luglio del 2011 la insostenibilità della situazione delle carceri italiane e in occasione di una visita al carcere di San Vittore a Milano nel febbraio di quest'anno aveva lamentato che i suoi appelli fossero rimasti inascoltati e sostanzialmente disattesi. Nel frattempo lo scenario si è aggravato in quanto l'Italia è stata condannata dalla Corte europea per i diritti umani per trattamenti crudeli e degradanti equiparabili alla tortura e ha avuto un anno di tempo per rimediare a uno stato di illegalità. La data limite indicata dalla Corte europea di Strasburgo è il maggio 2014 e per questo Giorgio Napolitano da Poggioreale, il carcere più affollato d'Italia, ha fatto un annuncio clamoroso, l'invio di un messaggio alle Camere su questo tema non più eludibile e ha accennato alla necessità che il Parlamento valuti l'opportunità e la necessità di un provvedimento di amnistia e indulto. Giusto un anno fa, il 27 settembre, fu ricevuta al Quirinale una delegazione dei 139 giuristi e garanti dei diritti dei detenuti che avevano sottoscritto una lettera aperta al capo dello Stato elaborata dal professor Andrea Pugiotto con la richiesta dell'invio alle Camere di un messaggio ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione affinché il Parlamento fosse chiamato ad affrontare i due problemi strettamente connessi della giustizia penale e del sovraffollamento carcerario. In quella occasione il Presidente ci spiegò il motivo per cui non riteneva di aderire a quel pressante invito, cioè il timore che il messaggio cadesse nel vuoto e indebolisse le ragioni della sollecitazione. Può essere un caso, o comunque una felice coincidenza, che il Presidente Napolitano abbia accettato il rischio di compiere un atto assai impegnativo anche in un momento politico così delicato. Il Presidente ha sicuramente messo in conto le reazioni polemiche di chi si richiamerà alla retorica securitaria e di chi denuncerà questa scelta come un favore per Berlusconi. La polemica incandescente tra il Quirinale e il capo di Forza Italia di fronte alle minacce di abbandono del Parlamento, alle dimissioni dei ministri e alle accuse farneticanti di un ruolo attivo di Napolitano nella redazione della sentenza della Cassazione sul lodo Mondadori, rendono questa accusa più grottesca che offensiva. Napolitano invece si rende conto che l'Italia non può rischiare una condanna che mette a rischio il suo prestigio internazionale non per l'equilibrio dei conti, ma addirittura per lo stato della democrazia. L'invivibilità delle prigioni è strettamente legata alla realtà dello stato di diritto e al rispetto dei principi della Costituzione, in particolare al senso della pena e al fine del reinserimento sociale dei detenuti previsti dall'articolo 27. Il Presidente Napolitano nel Messaggio alle Camere ha richiamato i possibili interventi, dalla limitazione del ricorso alla custodia cautelare alla depenalizzazione dei reati minori. Ricordo però che il sovraffollamento è determinato dagli effetti di troppe leggi frutto dell'ossessione panpenalistica assolutamente artificiosa e in particolare a causa della legge sulle droghe Fini-Giovanardi che provoca l'incarcerazione di oltre 25.000 persone e la presenza dietro le sbarre di oltre 15.000 tossicodipendenti. Questo scandalo è durato troppo tempo sull'altare di scelte ideologiche irragionevoli. Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha indicato le proposte per affrontare l'emergenza. L'amnistia, se ci sarà, dovrà interessare i reati che provocano il sovraffollamento e che dovranno essere cancellati perché non si riproduca dopo poco tempo lo stesso fenomeno. Il Presidente Napolitano ha ovviamente sollecitato anche l'approvazione di un provvedimento ben meditato di indulto legato a misure di accoglienza che favoriscano una positiva risocializzazione. La riforma del carcere non può aspettare. I volti e le maschere della pena (è il titolo di un volume appena uscito) devono uscire dall'ombra. Lettere: carceri, una tortura di Cesare Cicorella (Avvocato) www.prealpina.it, 10 ottobre 2013 Il messaggio che il Presidente della Repubblica ha avvertito il dovere di inviare alle Camere andrebbe solo letto: ogni commento sarebbe, invero, ultroneo. Si tratta di un'analisi minuziosa e sconfortante per l'immagine che delinea, di quello che costituisce il più avvilente fallimento istituzionale che affligge la civiltà del nostro Paese. Non è consentito, infatti, ad una moderna democrazia, di non essere in grado di assicurare alle persone che hanno subito la comminazione di una condanna, una esecuzione che non sia "disumana e degradante". Se il Presidente ha ritenuto di affermare che "la stringente necessità di cambiare profondamente le condizioni delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale" è perché lo stato di degrado che connota i penitenziari italiani, costituisce "un intollerabile allontanamento dai principi e dall'ordinamento su cui si fonda quell'integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini": Napolitano "avvocato difensore" dei diritti dell'uomo. E ora il Parlamento intervenga rapidamente se vogliamo fare parte della comunità civile, dobbiamo passare dalle chiacchiere ai fatti. Il tempo delle misure di ripiego, dei sistemi per far finta che il problema non esista, è terminato: abbiamo toccato il fondo. Gli avvocati, quelli che ogni giorno sperimentano direttamente il livello di avvilente barbarie che segna la vita dei detenuti, da anni, inascoltati, segnalano l'insostenibilità di una situazione che, in sé, costituisce la compressione sino all'annullamento, del diritto di ogni individuo a un trattamento coercitivo umano. La restrizione della libertà personale, per essere pena legittima, non è compatibile con la disumanità delle condizioni di segregazione: diviene tortura; si trasforma da rimedio in reato. Del quale siamo tutti partecipi: nessuno ha il diritto di non sapere, di non vedere. Il rischio è quello della complicità, con chi ha permesso che si arrivasse a tanto. Le parole di Giorgio Napolitano sono quelle che ogni difensore con rabbia pronuncia, quando si vede costretto a registrare impotente, le umilianti lamentele di chi può solo subire: "La Corte (europea dei diritti dell'uomo) ha affermato, in particolare che la violazione del diritto dei ricorrenti (detenuti) di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano". Si tratta del collasso, di ciò che rende legittimo l'intervento punitivo: una situazione umiliante sul piano internazionale. La nostra Costituzione, datata 22 dicembre 1947, con l'articolo 27 afferma che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato": in oltre sessant'anni, non siamo riusciti a dare attuazione a questo principio fondamentale. Allorquando queste parole venivano pensate e scritte, il Paese usciva dalla guerra ed era in rovina: sono trascorsi decenni di pace e progresso, ma il sistema carcerario in generale e quello dell'esecuzione penale in particolare, abbandonati a se stessi, sono regrediti sino alle soglie dell'abbruttimento: al punto che con la sentenza pilota 8.1.13, la Corte europea dei diritti dell'uomo, proprio decidendo sul ricorso proposto da sei detenuti nel carcere di Busto Arsizio, ha accertato la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea che sotto la rubrica "proibizione della tortura", pone il divieto di pene e trattamenti disumani e degradanti. Abbiamo perduto la capacità di ricordare parole, pensate e scritte quando era difficile anche solo immaginare la civiltà. L'intervento del presidente della Repubblica costituisce un atto di messa in mora del Parlamento; l'iniziativa di chi si è sentito portatore della coscienza di una civiltà, non solo giuridica, che si è persa. Ora spetta ai politici: intervenire rapidamente, secondo le indicazioni di Giorgio Napolitano. Noi avvocati, prima di ogni altro, abbiamo il dovere di vigilare. Lettere: amnistia e indulto sono una sconfitta per lo Stato di Federico Guiglia Il Tempo, 10 ottobre 2013 Caro direttore, non sono d'accordo sulle proposte "libera tutti", come diceva il bel titolo di ieri. Non credo affatto che, concedendo l'ennesima amnistia (sarebbe la quattordicesima) e l'ennesimo indulto appena sette anni dopo il fallimento dell'ultimo nel 2006, si risolverà l'indecenza dei troppi detenuti in carceri vecchie e malandate. Temo, al contrario, che l'eventuale colpo di spugna su delitti e reati già puniti in modo irrisorio (se e quando puniti: in quest'ambito purtroppo regna, com'è noto, l'impunità), affonderà quel che resta della certezza della pena e dell'accertamento della verità nei processi. Con la conseguenza che, a pagare il prezzo del perdono di Stato, saranno i cittadini onesti, e due volte. La prima perché con migliaia di colpevoli considerati tali "in nome del popolo italiano" e liberati in barba alle condanne definitive, aumenteranno delitti e reati. è accaduto con l'indulgenza parlamentare della volta scorsa. Tant'è che nell'importante messaggio inviato alle Camere, lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, raccomanda ai legislatori ulteriori misure amministrative e di reinserimento sociale "onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per l'indulto, come risulta essere avvenuto in occasione della legge n. 241 del 2006". Perseverare nell'errore sarebbe, dunque, molto più che diabolico. E poi: quale segnale arriverebbe alle vittime dei delitti e dei reati, ai loro familiari, agli investigatori e ai magistrati che sono riusciti a fare il proprio dovere fino in fondo? "Giustizia giusta" non è soltanto impedire che i presunti innocenti finiscano in galera - come le inchieste del Tempo hanno testimoniato "al di là di ogni ragionevole dubbio"-, ma anche che i colpevoli acclarati paghino per il male e le violenze compiuti. Violenze morali, fisiche, economiche che troppe volte hanno rovinato persone inermi e la vita dei loro cari. In nessun Paese del mondo lo Stato di diritto vale solo per chi infrange la legge, per i prepotenti, che spesso, e previ ben tre gradi di giudizio, fanno rima con delinquenti. Non si comprende a quale titolo essi dovrebbero beneficiare di questa clemenza dell'impotenza. L'impotenza di legislatori, governi e partiti che, con la sola, illuminata e coerente eccezione dei radicali, mai si sono preoccupati di infondere "un senso di umanità" e meno che mai della "rieducazione del condannato" (articolo 27 della Costituzione) nel sistema penitenziario. E che oggi si svegliano solo perché l'Europa altrimenti e giustamente ci condannerà. Il tempo per riparare al torto di celle sovraffollate e inumanità infame e infamante scade il 28 maggio 2014. E allora non c'è bisogno di graziare nessuno. Se a Dio sono bastati sette giorni per creare addirittura il mondo, il governo e il Parlamento hanno otto mesi per far costruire in fretta nuovi istituti (lo stanno facendo col "piano carceri": bene). Possono trasformare rapidamente caserme dismesse in prigioni e perfino in comunità, dove magari trasferire i reclusi con miti condanne. Possono depenalizzare e delegificare, prevedere trattamenti più liberali (arresti in casa) per un certo numero di detenuti a seconda dei reati, favorire i più giovani con progetti di lavoro. Per esempio facendoli partecipare come muratori, geometri o ingegneri alla costruzione dei penitenziari. Possono distinguere fra detenuti in attesa di giudizio (purché non accusati di gravi delitti), e condannati dopo tre gradi di giudizio. Esistono varie e sagge strade alternative: lo stesso Napolitano ne ha indicate ben sette. Ma tutte le strade non possono vanificare il principio civico e civile che chi sbaglia, deve pagare con la giusta pena. L'amnistia e l'indulto sarebbero la resa dello Stato davanti alla sua inadempienza. Toscana: Franco Corleone il nuovo garante dei detenuti a livello regionale www.gonews.it, 10 ottobre 2013 Subentra a Alessandro Margara, presidente onorario della Corte di Cassazione, che era stato nominato nel 2011. Franco Corleone è il nuovo Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Toscana. Corleone è stato eletto dal Consiglio regionale, che si è trovato a scegliere fra tre candidature: oltre a quella di Corleone, erano pervenute quelle di Francesco Ceraudo e di Aldo Vitelli. Corleone è stato scelto con 25 voti a favore, mentre Ceraudo ne ha ricevuti 13 e Vitelli 3. Franco Corleone, attualmente Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze e coordinatore dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti, succede ad Alessandro Margara, che si è dimesso il 20 luglio scorso per motivi personali. Nato a Milano nel 1946, Corleone è stato deputato nell'VIII, IX, XII e XIII legislatura e senatore nella X, ricoprendo anche per cinque anni (1996-2001) l'incarico di sottosegretario al ministero della Giustizia. È presidente dell'associazione "La Società della ragione" e ha scritto numerosi saggi e articoli sui temi della giustizia, dei diritti, del carcere e sulla politica delle droghe. Il gruppo Più Toscana ha deciso di non partecipare al voto. Il perché lo ha spiegato Gian Luca Lazzeri: "Innanzitutto abbiamo presentato una proposta per far svolgere la funzione dei garanti ai consiglieri regionali: questo - ha detto Lazzeri - permetterebbe un notevole risparmio di costi e garantirebbe un maggiore raccordo dell'attività dei garanti con il Consiglio regionale stesso. Inoltre, come ha segnalato Daniela Lastri in Ufficio di presidenza, esiste un mancato rispetto delle quote di genere e dunque sarebbe preferibile scegliere una donna. E nutriamo molte perplessità sulla scelta della maggioranza di puntare su Corleone". Marco Ruggeri (capogruppo Pd) ha al contrario sottolineato che "i Garanti devono essere figure terze e quindi non è opportuno che siano consiglieri regionali" e che "c'è bisogno di persone con grande esperienza in materia". Per questo ha avanzato, a nome del gruppo Pd, la candidatura di Franco Corleone. Marco Taradash (Pdl) ha invece avanzato la candidatura di Ceraudo, "perché è necessario dare un segnale forte su quella che è la drammatica situazione sanitaria nelle carceri, e il dottor Ceraudo è stato impegnato per anni come medico negli istituti penitenziari". Giovanni Donzelli (FdI) ha spiegato di non voler sostenere la candidatura di Corleone, "perché non si tratta di un soggetto terzo, essendo attivamente coinvolto in politica ed essendo stato parlamentare a più riprese". "Corleone - ha detto Donzelli - ha fatto più volte uso del suo ruolo per propagandare posizioni politiche". Enzo Brogi (Pd) ha infine messo l'accento sulla situazione drammatica delle carceri italiane e anche regionali. "Occorre far partire una commissione, senza costi - ha detto il consigliere - che valuti l'attuale situazione delle carceri toscane". La soddisfazione di Marco Ruggeri (Pd) "Franco Corleone è una persona seria e capace, che conosce in maniera approfondita la situazione carceraria. Per questo a nome del gruppo Pd esprimo grande soddisfazione per la sua elezione, siamo convinti saprà portare avanti al meglio questo incarico: a lui vanno i più sinceri auguri di buon lavoro". Così Marco Ruggeri, capogruppo Pd Regione Toscana, sull'elezione di Franco Corleone a garante dei detenuti della Toscana, avvenuta nella seduta odierna del Consiglio regionale. Lazzeri (Più Toscana): nomina costosa, troppo politicizzata "Garante regionale dei detenuti: è stato posto in ufficio di Presidenza del Consiglio regionale il problema che non era rispettato in Regione Toscana il criterio della equa distribuzione tra i sessi degli incarichi e delle nomine del Consiglio, come previsto dalla Legge. Pertanto avevo chiesto di sospendere la nomina del Garante dei Detenuti cogliendo l'occasione su questa importante nomina di invertire la situazione di fatto che vede privilegiare in maniera quasi assoluta i rappresentanti di sesso maschile. E poiché sono prevalentemente nomine di Maggioranza, a questa Maggioranza la responsabilità politica". È il commento del consigliere regionale di Più Toscana, gruppo nato per difendere gli interessi dei toscani, e membro della IV commissione Sanità, Gian Luca Lazzeri, a margine della nomina in Consiglio del Garante dei detenuti. "Inoltre - prosegue Lazzeri, il gruppo Più Toscana ha presentato delle proposte di Legge in base alle quali i Garanti dovrebbero essere consiglieri regionali senza oneri per il bilancio della Regione. Oggi invece il Garante percepisce una cifra che fra indennità e stipendio sfiora i 43.000 euro. Attribuendo invece il mandato di Garante ad un consigliere regionale (ovviamente senza oneri per le finanze pubbliche) si risparmierebbero questi soldi. Siamo poi contrari alla nomina del dottor Corleone in quanto espressione della politica, di una parte della politica, mentre il Garante dovrebbe essere un soggetto che aiuta il Consiglio regionale nella elaborazione delle politiche a favore dei detenuti. Questa è una nomina che a mio avviso creerà una dicotomia tra il Consiglio regionale e il Garante che andrà a svolgere un forte ruolo politico oltre e senza il Consiglio regionale. Per queste tre ragioni non abbiamo partecipato alla votazione in Aula". Nel frattempo le condizioni dei detenuti proprio a Firenze hanno raggiunto un punto di non ritorno. "Nel carcere fiorentino infatti a fronte di un capienza di 520 persone sono rinchiusi poco meno di 1000 detenuti di cui più un terzo in attesa di giudizio. Poiché spetterà alla Regione Toscana insieme al Ministero di Grazie e Giustizia di decidere sulla futura destinazione e sul futuro uso dell'Opg di Montelupo, realizziamo all'Ambrogiana - conclude Lazzeri - una struttura di carcere attenuato dove trasferire questi detenuti che non hanno ancora ricevuto una condanna in via definitiva". Manneschi (Idv): convenzione per renderne possibile l'utilizzo anche da parte del Comune di Firenze "La nomina di Franco Corleone a garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana potrebbe aprire le porte ad una forma di collaborazione istituzionale in grado di fare da apripista in questo contesto e generare importanti risparmi. Sarebbe infatti auspicabile a questo punto, con la nomina di Corleone che deve diventare punto di riferimento per l'intera Toscana, che il Comune di Firenze, il quale già aveva affidato lo stesso incarico proprio a Corleone, decidesse di rinunciare a nominare un suo garante, creando una figura che in qualche modo verrebbe a sovrapporsi. Si potrebbe invece favorire la stipula di una specifica convenzione con la quale regolare l'utilizzo di un unico garante, tanto più che entrambi gli Enti riconoscono la capacità professionale e le qualità di Corleone". è la proposta avanzata dal Consigliere Regionale dell'Italia dei Valori e presidente della prima commissione Marco Manneschi dopo l'ufficializzazione della nomina di Corleone, che succede così al dimissionario Alessandro Margara. Donzelli (Fdi): Corleone scelta sbagliata, come garante non ci rappresenta "Franco Corleone, noto per la sua passata militanza politica nell'estrema sinistra, non ci rappresenta come garante dei detenuti. Dispiace che la maggioranza di sinistra del Consiglio regionale della Toscana lo abbia votato, hanno fatto una scelta sbagliata." Lo dichiara, in una nota, Giovanni Donzelli, capogruppo in Regione Toscana per Fratelli d'Italia. "Corleone ha più volte in passato usato il ruolo di garante per propagandare idee da cui non ci sentiamo garantiti. Corleone si è battuto e si batte per la legalizzazione della droga, contro i Cie per gli immigrati e contro il carcere duro per i mafiosi. Opinioni più o meno legittime, ma sicuramente non a garanzia di tutti i cittadini", aggiunge Donzelli. "Fratelli d'Italia si batte per la certezza della pena e in difesa delle vittime - conclude - non si arrende a combattere l'uso della droga e crede che il carcere duro per i mafiosi sia uno strumento utile e necessario". Sardegna: diritti dei detenuti violati di Luciano Piras La Nuova Sardegna, 10 ottobre 2013 È un'isola felice, all'apparenza, quella dietro le sbarre. Così sembra dalla lettura dei dati ufficiali del ministero della Giustizia. Tanto felice, la Sardegna, da non aver bisogno né di indulto né di amnistia. Eppure la situazione carceraria è drammatica. Badu e Carros a Nuoro, per esempio: la Corte europea dei diritti dell'uomo potrebbe intervenire da un momento all'altro. "Ci sono celle che ospitano anche fino a cinque ergastolani", dice Gianfranco Oppo, garante dei detenuti del Comune di Nuoro. "La normativa è chiara - spiega -: ogni ergastolano ha diritto a una cella singola". "E ci sono celle, nella sezione comuni, con il cesso a fianco della cucina" aggiunge mentre fa sue le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "L'Italia viene a porsi in una condizione umiliante sul piano internazionale per violazione dei principi sul trattamento umano dei detenuti". I dati, tuttavia, lasciano intendere un'altra verità, almeno in Sardegna. Tanto che l'amministrazione penitenziaria ha già comunicato l'intenzione di chiudere le carceri di Iglesias e Macomer. Nell'isola, insomma, non c'è alcun problema di sovraffollamento: "Eppure si vogliono ancora costruire carceri in nome dell'emergenza" denuncia Franco Corleone, coordinatore nazionale dei garanti. "E per giunta - attacca l'ex europarlamentare - la Sardegna è stata trasformata in una colonia penale a regime speciale". Destinata a diventare la Cayenna dei 41 bis. I dodici penitenziari sardi, intanto, possono accogliere oltre 2.500 detenuti; allo stato attuale ne ospitano 2000. "Quando i detenuti sardi, invece, sono 1.200" insiste Corleone per sottolineare il primo dei paradossi: la mancata territorializzazione della pena. "Una questione prioritaria - sottolinea Lina Lunesu, consigliere regionale (Pdl), componente della Commissione diritti civili -. Il trasferimento dei detenuti sardi che scontano la pena fuori dall'isola e degli agenti penitenziari che operano nelle carceri della Penisola è ormai diventata una priorità". Per questo Lunesu ha presentato un'apposita mozione in aula, in via Roma a Cagliari. Mozione approvata all'unanimità lo scorso giugno. "Il problema è che nelle nostre carceri abbiamo gli scarti della società - dice a chiare lettere Cecilia Sechi, garante dei detenuti del Comune di Sassari -. Le nostre carceri sono piene di stranieri, di tossicodipendenti che al momento dell'uscita non hanno punti di riferimento, non hanno chances". "Ad esempio - riprende Lunesu: l'80% dei detenuti della colonia penale di Mamone sono stranieri che vorrebbero essere trasferiti nelle carceri del nord Italia per essere vicini ai loro cari". Missione impossibile, ora come ora. Anche se in Sardegna non esiste il problema sovraffollamento. Cecilia Sechi, reduce da un trasloco a Sassari, da San Sebastiano ("uno dei carceri più terribili d'Italia") a Bancali ("ora è un carcere, mi dicono i detenuti"): "È impressionante vedere questi spazi immensi, stanze su stanze su stanze, ma con i passeggi strettissimi... chiaro che sono scelte paradossali". "Di fatto la situazione è sempre uguale - era stato il lamento, qualche settimana fa, di Adriana Carta, magistrato di sorveglianza -. La verità è che il carcere è un mondo chiuso, e per la tutela dei diritti dei detenuti c'è ancora da lavorare molto". In Sardegna più che altrove. "Perché i 41 bis vanno concentrati nelle isole? - aveva provocato Carta - Non capisco perché i politici sardi fanno finta di nulla. La lezione non l'hanno imparata al ministero, ma non l'hanno imparata neanche i sardi". L'allusione è a trent'anni fa, alle Brigate Rosse e a Barbagia Rossa. "Chi l'ha detto che la mafia non attecchisce? Forse no, ma crea sicuramente guai, si crea un clima di terrore". "In Sardegna ci sono sezioni esplosive - riprende fiato Gianfranco Oppo, sezioni sull'orlo del tracollo anche se i dati assoluti non sembrano così allarmanti. Direttori che dirigono due o tre carceri diverse, Carla Ciavarella per esempio è a scavalco tra la casa circondariale di Badu e Carros e il nuovo istituto di Tempio, Nuchis, aree educative sempre più sguarnite, per non parlare della sanità penitenziaria... spesso la vita in carcere è la negazione totale dell'uomo". E neppure la situazione del personale di polizia penitenziaria gode di buona salute: nei dodici istituti di pena isolani prestano servizio 1.834 uomini in divisa, quando invece ne servirebbero 2270, ha ribadito più volte l'Ugl polizia penitenziaria. Cagliari: Uta aprirà tra otto mesi Buoncammino scoppia È iniziato il trasferimento di detenuti dal carcere cagliaritano di Buoncammino verso altre strutture detentive dell'isola, ma dovranno passare ancora mesi prima che il vecchio carcere al centro della città venga svuotato ed entri in funzione la nuova struttura a Uta, a una ventina di chilometri dal capoluogo. In ogni caso, per rendere meno invivibile la situazione di Buoncammino, una trentina di detenuti, soprattutto extracomunitari che non hanno esigenze di colloqui con i familiari, sono stati trasferiti nelle strutture del nord-Sardegna. La struttura penitenziaria però soffre ancora problemi di sovraffollamento, che potrebbero venir attenuati se entro l'anno venissero trasferiti almeno altri cento detenuti. Per poter però chiudere Buoncammino e aprire Uta ci vorranno, secondo fonti interne ai sindacati dei lavoratori edili, almeno otto mesi. Adesso, dopo una pausa di quasi un anno i lavori nella nuova struttura procedono a pieno regime. Gli operai sono impegnati nel completamento dell'area femminile e di quella destinata ai detenuti ad alta sicurezza. Sassari: carcere moderno ma il personale non è sufficiente Il carcere di Sassari è nuovissimo. Una struttura moderna realizzata nelle campagne della Nurra, nei pressi della borgata di Bancali, a una decina di chilometri dalla città. Può ospitare a pieno regime 475 detenuti, 95 dei quali con il regime duro del 41bis ospitati in celle a due posti. Il problema più urgente da risolvere è quello degli organici della polizia penitenziaria, ridotti all'osso e con conseguenti difficoltà per la gestione ottimale della popolazione penitenziaria. Molti agenti sardi che lavorano nella penisola sperano di fare rientro in Sardegna e i sindacati si sono già mobilitati per sostenere questi trasferimenti che allevierebbero i disagi, ma il ministero della Giustizia e il Dap nicchiano. Dopo la chiusura del vecchio carcere di San Sebastiano, sembrava che la nuova struttura potesse diventare un carcere modello: perché accada è necessario superare quanto prima le difficoltà nella gestione. Oristano: a Massama organici all'osso, appena 3 educatori L'unico pensiero a Massama, al di là di leggerissime infiltrazioni d'acqua, è quello di fare il conto alla rovescia sull'arrivo dei detenuti della categoria dell'Alta sicurezza 3. Per ora i problemi di organico non sono molto sentiti, ma entro Natale i detenuti diventeranno almeno 250, la maggior parte dei quali con regime di detenzione particolare. Una situazione del genere difficilmente potrà essere sostenuta da personale per la maggior parte in là con gli anni. E anche il numero degli educatori, appena tre, non è sufficiente. Tempio: la struttura modello dove mancano agenti e mezzi Nel carcere di Nuchis, il nuovissimo penitenziario di massima sicurezza realizzato in Alta Gallura, i detenuti aumentano (ora sono 180), mentre mancano gli agenti della polizia penitenziaria. Le "criticità" sono state più volte segnalate dall'Osapp e dalla altre sigle sindacali della polizia penitenziaria, che lamentano la carenza di oltre venti tra ispettori e sottufficiali, una decina di agenti e sovrintendenti, il mancato completamento del nucleo traduzioni (indispensabile per la struttura, che ospita detenuti sottoposti ad As3, alta sicurezza) e la scarsissima dotazione di mezzi, con vecchi furgoni ormai quasi in disarmo. Per il resto il nuovo carcere di Nuchis è un penitenziario modello. I detenuti (tutti appartenenti alle famiglie di mafia, ‘ndrangheta e camorra, compreso qualche trafficante internazionale di droga che deve scontare oltre vent'anni di reclusione) sono ospitati in celle con doppio letto, servizi separati, cucinino e possono godere (trattandosi in buona parte di personaggi in età avanzata) di assistenza sanitaria interna, essendo il carcere dotato di un ospedale dove lavorano una decine di medici e quindici infermieri. Milano: San Vittore, Cancellieri alla Camera; entro l'anno 300 detenuti trasferiti La Repubblica, 10 ottobre 2013 L'annuncio del ministro nel giorno in cui un detenuto denuncia: "Viviamo in condizioni disumane". E il suo avvocato chiede la scarcerazione dopo l'intervento del presidente Napolitano che ha invocato l'amnistia. Vivono in sei in una cella di 2,5 per 4,5 metri, con tre letti a castello, nel carcere milanese di San Vittore. Uno dei detenuti, un egiziano di 28 anni, Hassan H., attraverso il suo avvocato Mauro Straini, chiede la revoca della custodia cautelare a causa delle condizioni disumane di carcerazione "in violazione del Codice di procedura penale, della Costituzione e delle indicazioni provenienti dall'Europa, dove l'Italia è già stata condannata". La richiesta arriva all'indomani delle parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha invocato l'amnistia per arginare l'emergenza carceri in Italia. E qualche ora più tardi, durante il question time alla Camera, il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, annuncia: "Entro fine anno è prevista l'apertura di nuovi padiglioni carcerari a Cremona, Pavia e Voghera. E questo consentirà di trasferire almeno 300 detenuti da San Vittore". Nel carcere milanese, ha ricordato il ministro, ci sono "complessivamente 1.592 detenuti: dato sicuramente alto rispetto alla capienza regolamentare, ma comunque più basso rispetto a quello del mese di novembre dello scorso anno, quando i detenuti ristretti a San Vittore erano quasi 1.700". E l'avvocato di Hassan H. nell'istanza parla delle "condizioni di vita cui è costretto nella cella, con particolare riferimento allo spazio disponibile". Un "dato oggettivo e verificabile", secondo la difesa. Nella richiesta di "liberazione", il legale ripercorre una serie di norme del Codice di procedura penale e una "interpretazione costituzionalmente orientata": impone che "il termine istituto di custodia" sia "conforme alle norme poste a tutela dell'umanità del detenuto". Poi i riferimenti a una legge del 1975 in cui si fa riferimento alla "ampiezza sufficiente" che devono avere le celle e a un decreto del presidente della Repubblica del 2000 sulle "condizioni igieniche" nelle carceri. Inoltre si richiama l'articolo 27 della Costituzione ("le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"). L'avvocato spiega inoltre che secondo la Convenzione europea per i diritti dell'uomo "nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti" e riporta l'ormai nota "sentenza Torreggiani" della Cedu. Una "decisione pilota - si legge nell'istanza - sulle condizioni di detenzione negli istituti italiani" che ha imposto allo Stato la "adozione di misure necessarie per ovviare a tali violazioni". Peraltro, conclude il difensore, "giacché la sentenza Torreggiani ha riconosciuto la natura strutturale della situazione di sovraffollamento delle carceri italiane, la soluzione del problema non potrà semplicemente essere demandata al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria: lo spostamento in qualsiasi altra struttura carceraria vedrebbe egualmente presente lo stesso problema strutturale". In subordine, la difesa chiede che la questione venga sollevata di fronte alla Corte costituzionale. Milano: nuovi padiglioni a Pavia e Voghera, arrivano detenuti da San Vittore La Provincia Pavese, 10 ottobre 2013 Il ministro Cancellieri annuncia: "Aperture entro la fine del mese". Almeno 300 persone saranno spostate tra Pavia, Voghera e Cremona dal carcere di Milano. L'annuncio del ministro Cancellieri. È "prossima" l'apertura di tre nuovi padiglioni negli istituti di pena di Cremona, Pavia e Voghera, prevista "entro la fine di questo mese". Lo ha dichiarato, nel corso del question time alla Camera, il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, rilevando che con questi nuovi posti disponibili la "situazione è destinata a migliorare" nel carcere di San Vittore a Milano. Trasferimenti da San Vittore. Nell'istituto di San Vittore risultano reclusi, ha ricordato il Guardasigilli, "complessivamente 1.592 detenuti: dato sicuramente alto rispetto alla capienza regolamentare, ma comunque più basso rispetto a quello del mese di novembre dello scorso anno, quando i detenuti ristretti a San Vittore erano quasi 1.700". L'apertura dei nuovi padiglioni a Cremona, Pavia e Voghera "consentirà di trasferire da San Vittore - ha spiegato Cancellieri - almeno 300 persone già condannate in via definitiva o in secondo grado, così restituendo all'istituto milanese la funzione di casa circondariale, destinata ad ospitare solo persone indagate, imputate o condannate in primo grado". Lo stato di sovraffollamento del carcere di San Vittore "è costantemente monitorato dalle autorità penitenziarie": la situazione, ha sottolineato il ministro, "è ulteriormente aggravata dalla attuale chiusura, per inagibilità strutturale, dei reparti secondo e quarto, la cui ristrutturazione è stata inserita nel "Piano Carceri" per una spesa complessiva di 11,5 milioni di euro. Sino a quando i detti reparti non saranno riaperti, non sarà possibile intervenire sul sesto reparto che è sicuramente tra i più problematici, sia per le condizioni di sovraffollamento che per le condizioni strutturali", poiché "non è mai stato oggetto di ristrutturazione complessiva e straordinaria, ma solo di più interventi manutentivi". La situazione di sovraffollamento riscontrata a San Vittore "non impedisce che in tutti i reparti detentivi, conformemente al progetto pedagogico - ha concluso il Guardasigilli - si svolgano regolarmente corsi di formazione professionale, scolastici e attività di trattamento". Bologna: al carcere della Dozza detenuti in fibrillazione in attesa di indulto o amnistia La Repubblica, 10 ottobre 2013 Secondo le prime stime un provvedimento di clemenza svuoterebbe il carcere del 30%. Sono 884 le persone rinchiuse nella casa circondariale bolognese, il doppio della capienza regolamentare. Sono "in fibrillazione", così raccontano i volontari, i detenuti e le detenute della Dozza, alla conta di mezzanotte a quota 884, quasi il doppio della capienza regolamentare. Dopo il messaggio alla Camere del presidente Giorgio Napolitano, in via del Gomito apprezzato da tutti, all'orizzonte sembra profilarsi un provvedimento di clemenza, indulto o amnistia che sarà. I diretti interessati ci credono, ci vogliono credere. E fanno i calcoli, prendendo per ora come punto di riferimento le coordinate del precedente indulto - fino a tre anni di pena residua, una decina di reati esclusi - e la "liberazione anticipata" capitalizzata e non ancora riconosciuta, 45 giorni di abbuono ogni sei mesi scalabili a chi in cella ha tenuto un comportamento corretto. Anche direzione e provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, in attesa di vedere se e come si concretizzeranno gli attesi interventi, provano a valutare l'impatto statistico di un nuovo indulto. I "circa" e i condizionali abbondano. E la forbice è ampia, a seconda di chi faccia le stime e delle variabili considerate. Alla Dozza "prudenzialmente" si ipotizza un impatto di dimissioni extra compreso tra il 20 e il 30 per cento della popolazione detenuta, "a spanne - traduce la direttrice, Claudia Clementi - più o meno 200-230 persone". Su base regionale il Provveditorato ufficiosamente si spinge a preventivare 1.600-1.700 scarcerazioni, pari nello scenario più ampio quasi il 44,5 per cento delle 3.800 presenze: i "definitivi" messi fuori potrebbero essere 1.100-1.150, cui andrebbero aggiunti i 500-550 compagni in custodia cautelare per reati con pene teoricamente coperte dall'indulto. L'effetto sul sovraffollamento sarebbe comunque maggiore. Un provvedimento di clemenza inciderebbe anche sugli ingressi, tagliandoli. Potrebbe quasi azzerare l'esercito di uomini e donne in detenzione domiciliare, in misura alternativa o nel limbo dei liberi-sospesi, per intendersi quello in cui si trova l'ex premier Silvio Berlusconi. E metterebbe altri carcerati, in virtù del triennio di sconto, nelle condizioni di chiedere percorsi esterni. Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza, sui numeri non si sbilancia. Ma ha un timore, dichiarato. Paventa il rischio che "creare aspettative e illusioni possa mettere in agitazione i detenuti, generando reazioni e proteste". L'associazione Papillon annuncia che il 18 e il 19, in coincidenza con lo sciopero generale e le iniziative indette da sindacati e movimenti di base, alla Dozza ci sarà "un'agitazione pacifica". La garante regionale delle persone private della libertà, Desi Bruno, guarda avanti, chiedendo che ci si attrezzi per tempo: "Non basterà aprire i cancelli. Bisogna attrezzarsi e partire subito, con un monitoraggio che dia il quadro delle situazioni personali, oltre che dei numeri. Occorre cominciare a pensare, da adesso, di come farsi carico degli scarcerati". Mantova: "ce l'hai una famiglia?"… i detenuti rispondono con racconti e poesie La Gazzetta di Mantova, 10 ottobre 2013 "Ma tu ce l'hai una famiglia?": una domanda secca, brutale. I detenuti se la sono trovata scritta in bacheca: era il titolo di un premio letterario. Qualcuno si è irritato, ma ha scritto e scritto, fino a buttare giù: "Io sì che ce l'ho una famiglia, sono loro, i miei familiari, a non avere me". Hanno così deciso di mettersi alla prova con se stessi e i propri affetti 185 carcerati di 72 diversi istituti penitenziari italiani sparsi per la penisola. E venerdì alla casa circondariale di via Poma, si svolgerà per la prima volta a Mantova, la cerimonia conclusiva di queste esperienza, il Premio Carlo Castelli per la solidarietà riservato a detenuti delle carceri italiane e ospiti di istituti per minori. Il presidente della giuria, Luigi Accattoli fa notare che "nessuno dei concorrenti ha dato una risposta negativa - esplicita o implicita - alla domanda, riconoscendo - poniamo - di non aver mai avuto o di non avere più una famiglia, pur trovandosi più d'uno in una situazione anagrafica o affettiva di conclamata solitudine. Ogni uomo e ogni donna, dunque, sa di appartenere nativamente ad altre persone, afferma con decisione di avere "comunque" una famiglia, o presume di averla, o la rivendica, o la sogna come un'indispensabile completamento dell'esistenza". Dunque venerdì al carcere di via Poma si terrà la premiazione: il vincitore si chiama Gianluca Migliaccio che ha intitolato il suo lavoro "I miei week end con mamma e papà". "Due volte sono venuti da quando sto qui, e sono 4 anni", ma da Napoli ad Ascoli Piceno c'è solo un bus che parte nella notte. E loro non possono permettersi di alloggiare in albergo. Ma Gianluca non è disperato, fa teatro e racconta. Secondo classificato è Carmelo La Licata per "Nessuno ha diviso la famiglia di Caino"; terzo è Vincenzo De Simone con "Tra la luce e il buio". Dieci i detenuti-autori segnalati più alcune segnalazioni speciali. Ai primi tre vanno 1.000, 800 e 600 euro e la soddisfazione di poter finanziare progetti di solidarietà. Infatti, a nome di ciascuno dei tre vincitori, saranno devoluti mille euro per la costruzione di un'aula scolastica in Congo; mille per la formazione e il reinserimento sociale di un minore straniero uscito dal circuito penale; 800 euro per l'adozione a distanza di un bimbo del Vanautu (Oceania) per 5 anni. I tre premiati riceveranno anche una speciale medaglia del presidente della Repubblica Napolitano. Sono inoltre stati segnalati: Francesco Antonio Garaffoni (Il raggio di Zac-Sammy), Francesco Barbagallo (Mi vado a fare due passi), Sofi S. (Me stessa), Nazareno Caporali (Ma noi possiamo avere la famiglia?), Alessandro Cozzi (Come una lettera), Biagio Crisafulli (Tornare padre), Massimiliano Maiocchetti (Legami), Vittorio Mantovani (Lo scarafaggio di San Vittore), Iuliana Birzani (Storia della mia vita), Fiorella Rapposelli (La speranza). Segnalazioni speciali per "Oltre il muro" da Treviso, "Vivo di ricordi" di Bruno da Spoleto e "Ricordi dentro" di Gennaro Geremia da Treviso. Nei vari racconti, poesie, lettere, video, emerge la difficoltà in carcere di mantenere rapporti con familiari e amici, aggravate dal sovraffollamento, con l'aggravante della ormai cronica lentezza della giustizia. La difficoltà di comunicare con l'esterno e con i propri cari porta alla disperazione. Prova ne sono i 40 suicidi all'inizio dell'anno e gli innumerevoli atti di autolesionismo nelle carceri italiane. La tematica della famiglia e degli affetti in carcere sarà poi approfondita nel convegno "Famiglia e affetti nella vicenda penitenziaria" che si terrà sempre venerdì alle 15 nella sala chiostro di S. Barnaba, con esperti e rappresentanti delle istituzioni penitenziarie, per prima la direttrice del carcere di Mantova, Rossella Padula. Le due iniziative sono state organizzate dalla Società San Vincenzo De Paoli e dalla sezione di Mantova, insieme alla Fondazione Ozanam con la collaborazione Csvm e del Centro solidarietà carcere. Hanno dato il loro patrocinio la Provincia e il Comune di Mantova. Lanciano (Ch): detenuti premiati al Concorso nazionale "Lettere d'amore dal carcere" di Stefania Sorge Il Centro, 10 ottobre 2013 La lontananza dalla persona amata, la voglia di rivedersi, il tempo che manca al nuovo incontro, sentimenti che si accentuano se a dividere i due innamorati sono le sbarre di un carcere. A queste sensazioni ha voluto dare sfogo il concorso nazionale "Lettere d'amore dal carcere", organizzato per il primo anno dalla casa circondariale di Lanciano, in collaborazione con l'Enfap. L'iniziativa è stata pensata come una sezione del concorso internazionale "Lettere d'amore", che da tredici anni si svolge a Torrevecchia Teatina, e rivolto agli istituti penitenziari di tutta Italia. "Abbiamo pensato di estendere il concorso al mondo delle carceri", spiega il direttore del carcere di Villa Stanazzo, Maria Lucia Avantaggiato, "l'obiettivo era valorizzare l'affettività dei detenuti e invogliarli a fare una riflessione rispetto a soggetti e oggetti d'amore che nel corso della loro esistenza li avessero coinvolti affettivamente, sentimentalmente ed emotivamente. La risposta è stata eccezionale: sono arrivate più di 300 lettere d'amore, in cui il destinatario non sempre era la persona amata". Oltre ai tre vincitori, a cui è andato un premio in denaro, altri sette detenuti sono stati segnalati dalla giuria, presieduta da Vito Moretti e della quale faceva parte anche Massimo Pamio, direttore del "Museo della lettera d'amore" di Torrevecchia Teatina. "Più che lettere sono racconti con una loro dignità narrativa", dice Moretti, "il lavoro della giuria è stato difficile. Hanno forma di diario, di confessione intima". Alla cerimonia, con intermezzi musicali di Ornela Koka e Alessandra Varone e letture delle prime dieci opere classificate da parte degli attori Franca Minnucci e Stefano Angelucci Marino, hanno partecipato tredici detenuti del carcere di Lanciano in permesso premio con le famiglie. Tra i componimenti segnalati dalla giuria, spicca quello di Giuseppe C., detenuto a Bergamo. "Mi sono ispirato ai canti di Dante e pensando alla libertà ho scritto questa lettera", racconta Giuseppe, "scrivere dà evasione, con una penna e un pezzo di carta non sono più dietro alle sbarre. Questa esperienza è stata fortissima per me, ho percorso 600 chilometri ma ho avuto uno scambio personale e culturale con altra gente. Spero che scrivere possa diventare un lavoro per il futuro". Pisa: tutti a teatro per aiutare i detenuti, anche Sofri sul palco Il Tirreno, 10 ottobre 2013 Uno spettacolo teatrale per raccogliere fondi a favore del carcere Don Bosco di Pisa, con la firma di Sergio Staino, Sandro Luporini e Fondazione Giorgio Gaber. Otto anni dopo la città prova a ripetere l'exploit dell'ormai lontano 2005 quando furono raccolti 35mila euro che furono interamente devoluti in beneficenza al fondo-detenuti. Questa volta l'obiettivo dell'evento è quello di reperire risorse per recuperare lo spazio dedicato agli incontri e agli spettacoli e ad altre attività a favore del reinserimento sociale dei detenuti della casa circondariale pisana. Il 23 ottobre il palcoscenico del teatro Verdi ospiterà un altro spettacolo e la compagine di allora si è rimessa al lavoro. Alla direzione, agli educatori e ai volontari del carcere si sono già affiancati la Fondazione Gaber, Sandro Luporini, Sergio Staino che stanno lavorando al reclutamento degli artisti e alla forma teatrale della serata. In scena anche una delegazione del Don Bosco composta da detenuti e personale penitenziario (tra agenti della polizia penitenziaria e funzionari). Tra coloro che hanno già aderito al progetto spiccano i nomi di Claudio Bisio, Adriano Sofri, Gianmaria Testa, Roberto Vecchioni, i Gatti Mézzi e Bobo Rondelli. La serata a favore del Don Bosco ha ottenuto anche il patrocinio della Camera dei deputati. Sofri sul palco per aiutare il carcere Se potesse, il signor G. ci salirebbe anche lui sul palco del teatro Verdi il 23 ottobre. Al signor G., noto come Giorgio Gaber, è dedicato lo spettacolo "L'illogica allegria II", che vuole replicare il successo ottenuto nel 2005 quando risultò essere lo spettacolo con il maggiore incasso nella storia del teatro Verdi (35mila euro). Gli elementi essenziali si ripetono tutti: ancora i grandi nomi (da Claudio Bisio a Roberto Vecchioni, da Alessandro Benvenuti ai Gatti Mezzi) e ancora la finalità di aiuto per i detenuti del carcere Don Bosco. Ci sarà anche Adriano Sofri che reciterà una poesia: l'ex leader di Lotta Continua fu detenuto al Don Bosco dopo la condanna per l'omicidio Calabresi. La direzione artistica della serata porta la firma di Sergio Staino e può vantare il patrocinio di Comune, Provincia, Regione e Camera dei Deputati. Collaborano anche la Fondazione Gaber e Sandro Luporini. Tutti gli artisti parteciperanno a titolo gratuito e i fondi raccolti saranno devoluti interamente al progetto di recupero della sala polivalente posta all'interno del carcere. "Il recupero di quella sala - spiega Fabio Prestopino, direttore del carcere - permetterà di proseguire nel processo di coinvolgimento dei detenuti in processi di auto rafforzamento della personalità come i laboratori teatrali. Al di là della riuscita economica la serata è importante perché pone all'attenzione i problemi delle carceri". "Dal 2005 - sostiene il sindaco Filippeschi - la situazione non è migliorata, per questo abbiamo pensato ad un rilancio che possa avere un richiamo nazionale, ho intenzione di fare di Pisa un esempio in questo senso". Nel 2005 l'allora sindaco Fontanelli si prestò a fare la maschera e staccare i biglietti. Ieri Filippeschi ha dichiarato di essere pronto a non tirarsi indietro. "Quello che voglio sottolineare - aggiunge Dario Danti, assessore alla cultura - è che i posti per le autorità avranno un prezzo maggiorato, mentre giovani e studenti avranno prezzi speciali". La serata si prospetta ricca di sorprese: Alessandro Benvenuti abbandonerà la prosa per il canto, Bisio rispolvererà una canzone dedicata a Gaber. I detenuti che godranno di un permesso speciale per assistere allo spettacolo saranno 25 mentre un'altra decina sarà sul palco con il Laboratorio Don Bosco. Info: 050.941111. Biella: 460 posti per 230 detenuti, la Casa circondariale che non conosce sovraffollamento Ansa, 10 ottobre 2013 Il carcere di Biella ha più posti che detenuti. Un caso anomalo rispetto a gran parte del resto d'Italia quello descritto dalla direttrice Antonella Giordano. "La nostra struttura non soffre di problemi di sovraffollamento - spiega -. Forse, rispetto alla situazione nazionale, può sembrare improbabile, ma il problema credo riguardi le grosse strutture che sicuramente, come evidenziato dal presidente Napolitano, soffrono di gravi disagi". La capienza del penitenziario di via dei Tigli è di 260 posti, con una permanenza media di detenuti che va dai 220 ai 230. A questi numeri occorre poi aggiungere quelli del nuovo padiglione aperto a gennaio. Si tratta di una sezione a custodia attenuata: ospita reclusi, un centinaio al momento, che hanno aderito a uno specifico patto di responsabilità e, quindi, godono di benefici diversi da quelli assicurati nelle aree di media sicurezza. Questa speciale sezione potrà ospitare, a pieno regime, circa 200 persone. In tutto, dunque, i posti sono 460, che fanno di Biella il secondo carcere per grandezza dopo quello di Torino. Nessun problema di sovraffollamento, dunque, come in molte altre carceri italiane. C'è invece un altro problema, anche questo molto diffuso nelle case circondariali, ovvero la carenza di personale, tanto amministrativo che di polizia penitenziaria. Gli organici sono sottodimensionati e le iniziative sindacali si moltiplicano. L'ultima è dell'Alsippe, l'Alleanza sindacale polizia penitenziaria, che ha inviato una lettera al parlamento. "Tutti i giorni i colleghi - si legge - affrontano avversità che vanno dall'organizzazione del lavoro al rispetto dei diritti". Bologna: Sappe; mancano mezzi per portare detenuti in udienza Agi, 10 ottobre 2013 Non solo sovraffollamento per le carceri, ma scarseggiano anche i mezzi per portare i detenuti in udienza: è quanto denuncia il Sappe, sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, riferendo che questa mattina alcuni agenti del carcere bolognese della Dozza sono partiti con un furgone, peraltro preso in prestito da un altro istituto, per portare dei detenuti in udienza a Modena e a Parma. Tre agenti si sono fermati al tribunale di Modena per l’udienza di un detenuto e gli altri hanno proseguito verso Parma. Terminata l’udienza a Modena i tre agenti e il detenuto - racconta il Sappe - sono dovuti rimanere in tribunale, fino a quando non sono riusciti a trovare un passaggio su un furgone proveniente da Ferrara, all’interno del quale, però, c’era posto solo per due agenti e per il detenuto. Quindi, il terzo agente è rimasto in tribunale, a Modena, nell’attesa di trovare anche lui un passaggio per Bologna. Questa mattina tra l’altro - riferisce il sindacato - è dovuto partire un pullman da Milano per poter garantire il servizio di trasporto dei detenuti a Bologna, nei prossimi giorni. “La situazione è diventata ormai insostenibile - commenta Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto Sappe - considerato, anche, che i pochi mezzi rimasti in regione hanno già fatto trecento o quattrocento mila chilometri”. Il tutto “mentre si parla di indulto e amnistia, provvedimenti assolutamente inutili - è la valutazione del sindacato - se non accompagnati da riforme generali”. Cagliari: a Buoncammino posta al rallenti per i detenuti… arriva 4 mesi dopo di Maria Grazia Caligaris www.buongiornoalghero.it, 10 ottobre 2013 "Il servizio postale a Buoncammino risulta inadeguato ai bisogni dei cittadini privati della libertà con ritardi nella consegna della posta anche di tre o quattro mesi. Analoga anomalia si registra perfino nella posta in uscita. Una situazione intollerabile che rischia di avere pesanti ripercussioni nella vita dei detenuti". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso del grave disagio subito da numerosi ristretti. "La corrispondenza - sottolinea - costituisce per molti detenuti l'unico strumento di comunicazione con i familiari e con il mondo esterno. La ritardata e talvolta mancata consegna delle lettere genera quindi uno stato d'ansia e in alcuni casi, quando si tratta di informazioni relative a pratiche pensionistiche o giudiziarie, perfino un danno. Le difficoltà nella ricezione o invio della corrispondenza si sono accentuate negli ultimi mesi facendo registrare quasi un blocco". "L'impressione è che Poste Italiane stia trascurando il servizio per il quale è nata da quando ha subito la trasformazione in società privata. È quindi indispensabile che negli Istituti di pena con diverse centinaia di cittadini, l'ente postale istituisca degli sportelli in grado di assicurare i servizi compresa l'erogazione delle pensioni eliminando l'attuale iter burocratico effettuato attualmente dai volontari. Nell'attesa per Buoncammino è necessaria un'intesa tra il Direttore della Casa Circondariale e i responsabili provinciale e cittadino di Poste Italiane affinché cessino gli attuali gravi disservizi". Immigrazione: "via il reato di clandestinità", in Senato primo colpo alla Bossi-Fini di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 10 ottobre 2013 Il via libera del governo a un emendamento del Movimento 5 Stelle che abolisce il reato di clandestinità e un decreto legislativo sul diritto di asilo. In due mosse l'esecutivo ha impresso ieri una brusca virata alla politica sull'immigrazione definita nella legge Bossi-Fini. Scatenando sconcerto nel Pdl e dure reazioni nella Lega. A suscitare polemiche il parere favorevole dell'esecutivo, annunciato dal sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, in quota Pdl, all'emendamento grillino (votato anche da Pd, Sel e Sc) sulla depenalizzazione del reato di clandestinità presentato in commissione al Senato nell'ambito del provvedimento sulla messa in prova dei detenuti: "La sanzione penale appare sproporzionata e ingiustificata - ha spiegato Ferri - E quella penale pecuniaria è di fatto ineseguibile, considerato che i migranti sono privi di qualsiasi bene". "L'abolizione del reato di clandestinità è una vergogna", ha tuonato subito la Lega che ha votato "no" assieme al Pdl. Il ministro dell'Interno, e segretario dello stesso Pdl, Angelino Alfano, ha appreso con sconcerto la notizia durante il Consiglio dei ministri. Ed è scattato subito l'allarme nel partito che ha aperto una discussione interna sulla linea da assumere. Con Mariastella Gelmini che ha twittato: "Ma siamo impazziti"? Intanto, comunque, nel Consiglio dei ministri, veniva approvata la mini-rivoluzione del diritto di asilo. Una norma che attua una direttiva del Parlamento europeo (per il cui mancato recepimento a luglio era stata aperta una procedura d'infrazione contro l'Italia) e prevede che venga rilasciato il permesso di soggiorno di lungo periodo "alle medesime condizioni previste per i cittadini stranieri" anche al "rifugiato e al titolare di protezione sussidiaria" che finora ne erano esclusi. Nei quattro articoli del ddl viene prevista la possibilità per i rifugiati di muoversi all'interno dei Paesi europei. I titolari di protezione internazionale muniti del permesso di "lungo soggiorno", infatti, potranno stabilirsi, a determinate condizioni (ad esempio, per motivi di lavoro), in un secondo Stato europeo. Per ottenere il permesso "lungo" si elimina per gli stranieri beneficiari di protezione internazionale e i loro familiari l'onere di documentare la disponibilità di un alloggio idoneo. Si esclude anche l'obbligo di superare un test di conoscenza della lingua italiana. E per il rilascio del permesso ai titolari di protezione internazionale, nel calcolo dei cinque anni necessari a maturare lo status, si computa il periodo di soggiorno compreso tra la data di presentazione della domanda di protezione internazionale e la data del rilascio del permesso di soggiorno per asilo o per protezione sussidiaria. Il nuovo status di "lungo soggiornante" per i beneficiari di protezione internazionale non interferisce con la protezione dall'espulsione, che rimane circoscritta ai casi di pericolosità per l'ordine e la sicurezza pubblica. Fermo restando che nessuno può essere rinviato verso uno Stato in cui può essere oggetto di persecuzione. Le modifiche introdotte dal decreto, si legge nella relazione di accompagnamento, mirano a garantire la stessa tutela allo straniero a cui il permesso per soggiornante di lungo periodo è stato rilasciato da un altro Stato membro. In particolare, si prevede che lo straniero a cui un altro Stato Ue ha riconosciuto sia la protezione internazionale che lo status di soggiornante di lungo periodo possa essere allontanato solo verso questo Stato. Il provvedimento è stato accompagnato dallo stanziamento da parte del Consiglio dei ministri di 190 milioni per l'immigrazione a cui se ne aggiungono 20 per i minori non accompagnati. Immigrazione: Cancellieri; sulla legge Bossi-Fini deciderà il Parlamento Dire, 10 ottobre 2013 "Comprendo perfettamente chi teme provvedimenti di questo genere, ed ha paura per la propria sicurezza, però bisogna avere un occhio d'insieme sulla situazione". Così il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, torna a parlare di indulto e amnistia, in un'intervista al Tg3. "Comunque - aggiunge - il governo farà tutto quello che deve fare", anche perché i provvedimenti "andranno ad inserirsi su settori che non destano allarme sociale. Garantiremo la sicurezza". Per Cancellieri "se questi provvedimenti verranno uniti ad una seria riforma, che sarà fatta, allora saranno provvedimenti importanti: siamo veramente in una cattivissima posizione e non è solo un problema con l'Europa ma con la nostra Costituzione". Il ministro della Giustizia conclude sottolineando che "stiamo prendendo una serie di provvedimenti che prevedono una depenalizzazione molto vasta e mirata, poi sulla Bossi-Fini e sulla Fini-Giovanardi, parliamo di temi sui quali sarà il parlamento a dare la propria opinione". Mondo: Amnesty; pena di morte, in vari Paesi riprese le esecuzioni capitali Adnkronos, 10 ottobre 2013 In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, Amnesty International ha invitato gli esponenti politici “a smetterla di presentare le esecuzioni come soluzione rapida per ridurre i tassi di criminalità e a concentrarsi invece sui problemi del sistema penale dei loro paesi”. “Gli esponenti politici devono cessare di rincorrere l’applauso del pubblico e mostrare, invece, leadership sui temi della sicurezza. Non vi è alcuna prova convincente sul fatto che la pena di morte abbia un effetto deterrente speciale. Occorre piuttosto concentrarsi nella ricerca di rimedi efficaci per affrontare la criminalità”, ha dichiarato Audrey Gaughran, direttrice dei Temi globali di Amnesty International. Nel documento diffuso oggi, intitolato “Non ci renderà più sicuri”, Amnesty International ha messo in evidenza l’assenza di prove a sostegno della tesi che la pena di morte riduca i crimini più gravi. “Una minoranza di paesi ha ripreso o ha in programma di riprendere le esecuzioni, spesso come reazione impulsiva all’aumento dei reati o a omicidi particolarmente efferati. Dal 2012 - denuncia Amnesty - le esecuzioni sono riprese in Gambia, India, Indonesia, Kuwait, Nigeria, Pakistan e Vietnam. Ciò nonostante, i paesi che ricorrono alla pena di morte restano assai pochi a fronte dei 140 paesi che l’hanno abolita per legge o nella prassi”. Il documento di Amnesty International spiega “che non vi sono prove convincenti che la ripresa delle esecuzioni abbia avuto un impatto nel contrasto alla criminalità: in India, negli ultimi 10 anni, gli omicidi erano diminuiti del 23 per cento, eppure dal 2004 al 2011 non vi era stata neanche un’esecuzione; in Canada, il numero degli omicidi è diminuito dopo il 1976, anno dell’abolizione della pena di morte; un recente studio condotto a Trinidad e Tobago ha riscontrato l’assenza di correlazione tra esecuzioni, condanne al carcere e criminalità”. “Prendere posizione a favore della pena di morte distrae l’attenzione dalle soluzioni a lungo termine che affrontano efficacemente i problemi del sistema penale”, ha commentato Gaughran. “Attività di polizia efficaci, sistemi giudiziari funzionanti, progressi nel campo dell’educazione e dell’impiego si sono dimostrati strumenti importanti nella riduzione dei livelli di criminalità. Gli esponenti politici citano spesso l’alto consenso dell’opinione pubblica per la pena di morte come giustificazione per il suo uso. Tuttavia - rileva Amnesty - i sondaggi tendono a semplificare la complessità delle opinioni del pubblico. Quando vengono presi in esame fattori quali il rischio di mettere a morte un innocente e l’iniquità dei processi, il sostegno dell’opinione pubblica alla pena di morte cala”. “Le vittime del crimine meritano giustizia, ma la pena di morte non è la risposta. Riprendere le esecuzioni per mostrarsi duri verso il crimine assoggetta la vita delle persone all’opportunismo politico”, ha sottolineato Gaughran. Amnesty International si oppone alla pena di morte “in tutti i casi, senza eccezione, a prescindere dalla natura o dalle circostanze del crimine, dalla colpevolezza, innocenza o altra caratteristica del condannato o dal metodo usato per eseguire le condanne a morte. La pena di morte è la punizione più crudele, disumana e degradante. Viola il diritto alla vita, proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani”. Libia: premier Zeidan arrestato in mattinata da gruppo anti-crimine e poi rilasciato Tm News, 10 ottobre 2013 Il primo ministro libico Ali Zeidan, detenuto da una cellula anti-crimine legata al governo di Tripoli, è “in buone condizioni di salute”. Lo ha riferito l’agenzia libica. Il governo accusa ex ribelli del rapimento del primo ministro. La “Camera per le operazioni rivoluzionarie di Libia” ha annunciato invece “l’arresto” di Zeidan “sulla base del codice penale libico” e “su ordine della procura generale”. La brigata per la lotta contro il crimine, che dipende ufficiosamente dal ministero dell’Interno, ha precisato di “detenere il capo del governo Zeidan” e che sarà “trattato bene”. Zeidan è stato rilasciato Su Twitter Bishr ha spiegato che i ribelli si sono recati nel luogo dove Zeidan era detenuto per chiederne il rilascio. Il leader dei Comitati supremi di sicurezza di Tripoli ha quindi aggiunto che il premier libico è stato scortato fino all’abitazione di uno dei rivoluzionari ed è in buona salute. Il primo ministro libico Ali Zeidan è stato rilasciato. Lo ha reso noto la televisione di Stato libica. Zeidan era stato prelevato questa mattina dall’hotel Corinthia dove risiede a Tripoli da uomini armati. L’azione era stata poi rivendicata dalla Camera dei rivoluzionari libici, che avevano spiegato che su Zeidan era stato aperto un fascicolo a giugno per “crimini e offese contro lo Stato” e “crimini e offese contro la sicurezza dello Stato”. Iraq: ministro giustizia, eseguite 42 condanne a morte per terrorismo Aki, 10 ottobre 2013 Nell’ultima settimana sono state eseguite in Iraq 42 condanne a morte per terrorismo. Lo ha riferito in una nota il ministro della Giustizia di Baghdad, Hassan al-Shimmary, secondo cui tutti i detenuti, tra i quali figura anche una donna, erano stati condannati sulla base della legge antiterrorismo in vigore nel Paese. I condannati a morte si sono macchiati di crimini che “hanno portato alla morte di decine di civili innocenti” e avevano “l’obiettivo di mettere a repentaglio la sicurezza e la stabilità del Paese”, ha affermato al-Shimmary. Le Ong per i diritti umani hanno spesso criticato la legge sul terrorismo in vigore nel Paese arabo perché prevede la pena di morte non solo per coloro che eseguono atti di terrorismo, ma anche per chi li progetta. La revisione della legge è una delle richieste avanzate dall’opposizione sunnita al governo guidato dallo sciita Nuri al-Maliki. Venezuela: il carcere "paradiso" dei detenuti venezuelani www.greenme.it, 10 ottobre 2013 C'è davvero bisogno dell'indulto e dell'amnistia per migliorare la situazione delle carceri? Dal Venezuela arriva un esempio di come vivere in carcere possa essere reso un po' più piacevole: è il carcere di San Antonio, in Venezuela, dove prigionieri cucinano i propri pasti, guardano la TV, ballano il reggeton e fanno il bagno in piscina. L'unica cosa che non possono fare, insomma, è uscire. Per questo la maggior parte dei prigionieri è felice di stare lì. A San Antonio, infatti, si può godere di molti privilegi, compreso avere un lavoro e guadagnare soldi veri. Alcuni sono barbieri, alcuni farmacisti. C'è anche un ragazzo che usando Photoshop vende foto di detenuti appoggiati a un Hummer. I più pigri se ne stanno nelle celle climatizzate, in compagnia di mogli e fidanzate, libere di andare e venire a loro piacimento. Anche i figli dei detenuti possono utilizzare il carcere come un parco giochi e trascorrere la giornata nuotando in una delle quattro piscine. Nei fine settimana, si apre a per tutti i visitatori che vogliono ballare nei suoi club. Insomma, è veramente un carcere diverso da qualsiasi altro. Ma c'è un pesante rovescio della medaglia. Ogni privilegio concesso a San Antonio si deve a Rodrigues Teófilo, noto anche come "El Conejo", il coniglio, a causa della sua dipendenza dalle carote. Rodrigues, un trafficante di droga condannato, è il leader dei detenuti. Il suo marchio di fabbrica, il logo di Playboy, appare sui muri della prigione ed è tatuato sul corpo di alcuni dei detenuti come segno di fedeltà e lealtà verso di lui. Si è affermato come capo della comunità proprio attraverso il miglioramento delle condizioni di vita. Lo scopo, ovviamente, è avere il controllo e il comando, sostituendosi allo Stato. Insieme con le sue guardie del corpo, El Conejo impone alcune regole di condotta, a sua discrezione, e coloro che disobbediscono vengono severamente puniti, anche perché le armi sono una comuni all'interno dei cancelli della prigione. La maggior parte dei 2.000 detenuti ha paura di parlarne. E immaginarne il perché svuota di ogni fascino la prigione paradisiaca, governata dagli spiriti maligni della criminalità organizzata. Ma se a creare un carcere più a misura di detenuto fosse lo Stato? Brasile: almeno 13 morti in tumulti nel carcere di Pedrinhas, nello stato di Maranhao www.blitzquotidiano.it, 10 ottobre 2013 Una rivolta è scoppiata nel carcere brasiliano di Pedrinhas di San Luis nello stato di Maranhao. Il bilancio dei tumulti, al momento, è di almeno 13 morti e 30 feriti. La protesta sarebbe esplosa - secondo la polizia - quando due fazioni rivali di detenuti si sono affrontate per decidere chi dovesse tentare la fuga attraverso un tunnel scavato da una cella fino all'esterno del perimetro del penitenziario. "Almeno 13 detenuti sono rimasti uccisi negli scontri tra fazioni avversarie. I tumulti sono cominciati dopo che gli agenti hanno scoperto un tunnel dal quale circa 60 detenuti volevano evadere all'alba. Quando gli agenti hanno tentato di entrare nella cella da dove parte la galleria, i detenuti si sono ribellati" ha detto il responsabile della giustizia del Maranhao, Aluisio Mendez. Un portavoce della polizia ha rivelato che i detenuti hanno anche appiccato un incendio, che è stato domato dopo alcune ore. Non appena si è diffusa la notizia, davanti al carcere si sono radunati familiari dei reclusi che chiedevano informazioni sui loro congiunti. Ci sono stati momenti di tensione e di contestazione contro la polizia militare: alcuni parenti dei detenuti hanno lanciato pietre contro gli agenti. La rabbia di familiari e amici dei detenuti morti del carcere di San Luis si è scatenata contro alcuni autobus di linea della città: almeno sette mezzi pubblici sono stati dati alle fiamme e sono andati distrutti. L'autista di un autobus incendiato ha raccontato che tre persone armate sono salite a bordo e hanno intimato di scendere ai passeggeri prima di appiccare le fiamme. Il responsabile della sicurezza dello Stato di Maranhao ha confermato che gli incendi sono stati appiccati in risposta alla morte dei 13 detenuti nel complesso penitenziario di Pedrinhas.