Giustizia: per rieducazione dei detenuti 20 centesimi al giorno, volontariato insostituibile Redattore Sociale, 9 novembre 2013 Poco più di un euro per un pasto, soli 8 centesimi al giorno per l’assistenza psicologica. I costi umani e sociali del carcere al centro del 46° Convegno nazionale Seac oggi a Roma. Prodi: “Se non ci fosse il volontariato, in certe carceri non ci sarebbe nulla”. Quattro euro al giorno per i tre pasti giornalieri, poco più di un euro a pasto, che sia pranzo, cena o colazione. Venti centesimi al giorno per le attività trattamentali e rieducative. Otto centesimi per il trattamento della personalità ed assistenza psicologica. Molto meno di un caffè al giorno. È quanto spende l’Italia per ciascuno dei circa 64mila detenuti nelle carceri dello stivale. Costi che quando si parla di carcere spariscono dietro quelli necessari per la realizzazione o la ristrutturazione di istituti di pena vecchi e nuovi, ma che oggi sono al centro della scena in occasione del 46° Convegno nazionale del Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario - Seac, in corso presso il carcere di Regina Coeli a Roma. Un appuntamento di due giorni, oggi e domani 9 novembre presso l’Istituto Suore di Maria Bambina, in via Paolo VI a Roma, per parlare di costi umani e costi sociali del sistema carcerario italiano, in un confronto aperto tra volontariato e istituzioni. Senza il volontariato, il nulla o quasi. “Avere meno di 20 centesimi al giorno per la rieducazione significa che se non ci fosse quel po’ di volontariato in alcune carceri non ci sarebbe assolutamente niente, proprio niente - spiega Luisa Prodi, presidente del Seac -. Nell’assoluta necessità di dare da mangiare e dare una saponetta, la rieducazione diventa genere voluttuario. Lo stravolgimento totale dell’articolo 27 della Costituzione italiana, quando invece la rieducazione non è un di più, ma carne e sangue della pena”. Eppure, facendo un po’ di calcoli su come vengono impiegati i fondi stanziati sulle carceri italiane, emergono cose interessanti. “Fatta cento la spesa per il detenuto - aggiunge Prodi -, 85 sono le spese di personale, inteso come agenti, personale amministrativo, educatori e altro”. Una distribuzione dei costi comprensibile, chiarisce Prodi, anche se “trattandosi di una pubblica amministrazione è una cifra troppo alta”. Facile comprendere che le percentuali per il funzionamento delle strutture, per il vitto e i generi di prima necessità abbiano percentuali nettamente inferiori. Tuttavia, raccogliere dati sul carcere non è così facile, spiega Prodi. “Ci sono dati difficili da conteggiare e da ascrivere a voci di bilancio, ci sono parecchie mani che contribuiscono: c’è lo Stato, i provveditorati regionali, le competenze degli enti locali. Non è stato facile trovare le informazioni e spesso non siamo riusciti a trovare dati disaggregati o letti in modo comparativo”. Il sovraffollamento peggiora le cose. “Il sistema è fatto in modo lo stanziamento di fondi è lo stesso, sia con 70 mila che con 40 mila detenuti” ha aggiunto Prodi . E poi c’è il problema delle porte girevoli. “I primi giorni di detenzione sono costosissimi - ha aggiunto -, c’è il colloquio con il medico, con l’educatore e altri ancora. Se si considerano tutti questi costi per poi tenere una persona in carcere una settimana, dal punto di vista dell’analisi della spesa, è di una inutilità assoluta. Occorre trovare modi diversi di punire un certo tipo di reati”. Un problema di risorse che ricade in particolar modo sulle attività trattamentali che “vengono ulteriormente selezionate e non proprio incentivate”, ha aggiunto Prodi. “Nel carcere dove opero io, quello di Pisa, quest’estate ci è stato detto di non entrare perché gli agenti erano in ferie. Quindi niente attività estive, che poi servono solo per ingannare il tempo, tornei e altro. È una questione che si avvita su se stessa, perché meno fai rieducazione, l’ambiente si fa più pesante e si creano problemi. E la gente esce dal carcere uguale a prima, se non peggio”. Serve più coraggio in Parlamento. Uno spartiacque nella storia degli istituti di pena italiani potrebbe essere proprio la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia per il sovraffollamento delle carceri. “È stato un bello scossone” ammette Prodi e gli stessi messaggi del Presidente della Repubblica, sono un segnale d’attenzione. “Ci si rende conto che c’è una scadenza e che è un affare serio - spiega Prodi -. L’Europa ci ha dato un anno di tempo, ma non può continuare a chiudere un occhio. La sentenza è già stata pronunciata. La situazione è critica e credo che un gran parlare di carcere negli ultimi tempi sia dovuto alla consapevolezza che il problema c’è, ma non ho molta fiducia nel nostro Parlamento. Lo scandalo è che ci si impantana in vicende non così importanti, mentre da anni abbiamo migliaia di detenuti che sono in un regime di semi tortura. C’è da prendere una decisione e il Parlamento deve avere il coraggio se fare l’amnistia o l’indulto o se cambiare le leggi. Anche se non lo riesce a fare entro fine maggio, serveun segnale, che per ora ancora non c’è”. Per Prodi, però, l’amnistia è un “atto di disperazione”, mentre invece servirebbe un intervento strutturale, “quello che a tutti appare molto complesso e difficile, ma è quello che riteniamo essere l’unico che possa avere una buona riuscita. Inventare modi diversi per far eseguire la pena. Non c’è solo il carcere”. (ga) Tamburino (Dap): volontariato insostituibile Il capo del Dap annuncia i risultati dell’apertura delle celle in alcuni istituti: “Diminuiti autolesionismo e suicidi”. E sui costi “difficile ridurli nel breve periodo, 85% sono fissi, anche con riduzione dei detenuti” Giusto parlare di costi e sprechi nell’amministrazione pubblica, ma l’85 per cento dei fondi stanziati per il carcere sono “bloccati, ibernati e fissi nel breve termine”. È quanto ha affermato Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, intervenuto durante il 46° Convegno nazionale del Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario - Seac, in corso oggi e domani a Roma e dedicato ai “Costi del carcere”. “Quello delle spese è un argomento attuale in un momento in cui il Paese considera l’aspetto dei costi molto rilevante - ha affermato il capo del Dap -. I costi sono innanzitutto economici, ma su questo spesso ci sono dati discordanti. Io mi attengo a quelli ufficiali, quelli che elabora il Dap”. I costi fissi. Un detenuto, in Italia, “costa” intorno al 100-120 euro al giorno, ha precisato Tamburino, ma sono dati da manipolare con le dovute attenzioni, soprattutto quando si parla di tagli. “C’è un apparato, ci sono circa 200 istituti per 400 mila metri quadri, abbiamo i mezzi, i veicoli e i beni strutturali che consentono alle strutture di funzionare e voci fisse che non sono destinate a variare nel breve periodo che incidono per l’85 per cento sui 2.800 milioni di euro stanziati annualmente a questo settore”. Dato pro capite, che nel caso di una riduzione consistente della popolazione carceraria, quindi potrebbe “schizzare” da un giorno all’altro. Un incremento repentino che, qualora dovesse verificarsi, è dovuto all’impossibilità “che la struttura riduca in un giorno solo la spesa della metà”. Autolesionismo e suicidi in calo. Tuttavia non sono solo i costi economici, quelli che preoccupano il Dap, ci sono anche quelli umani, come “il decadimento psicofisico, etico, le malattie e altro ancora”, ha aggiunto Tamburino. Tuttavia, per il capo del Dap, nelle carceri italiane qualcosa sta cambiando. “Stiamo attuando una apertura negli istituti - ha spiegato -. Stiamo realizzando una diversa distribuzione del tempo con l’apertura delle celle e stiamo lavorando per trovare attività per riempire questo tempo”. Un’apertura delle celle, che secondo Tamburino, è già una notizia positiva che fa raccogliere anche i primi risultati. “Abbiamo misurato una diminuzione dell’autolesionismo - ha affermato il capo del Dap -, un notevole calo di casi di suicidio e una riduzione dei fenomeni di aggressività. Indicatori che quando sono così tanti significa che abbiamo imboccato la giusta direzione”. Un call center per detenuti. Tra gli aspetti positivi evidenziati da Tamburino anche la territorializzazione e le esperienze lavorative. “Abbiamo attuato una maggiore territorializzazione dell’esecuzione penale - ha aggiunto Tamburino -. Il Dap così com’è stato finora, non ha funzionato bene. Bisogna incrementare il decentramento: i provveditori sono i nostri pilastri”. Tra le buone prassi menzionate dal capo del Dap, anche l’esperienza dei call center gestiti dai detenuti. “Abbiamo eccellenti call center gestiti dai detenuti a Bollate, a Padova e anche a Roma - ha aggiunto -. Si potrebbe introdurre un call center che raccolga le chiamate dei detenuti stessi, che sia addetto alle segnalazioni proprio dei detenuti”. Insostituibile il ruolo del volontariato. Nonostante i dati positivi snocciolati dal capo dell’amministrazione penitenziaria, non mancano le preoccupazioni per le criticità croniche, ma l’intervento di Tamburino in apertura del Convegno Seac è “una dichiarazione di ragionevole ottimismo - ha spiegato il capo del Dap -. Vi è una attenzione rinnovata e maggiore di prima rispetto a questa problematica che riguarda anche il mondo della politica e dell’informazione pubblica. Riguarda anche l’Europa, che ci terrà d’occhio e ogni mese vorrà sapere che succede. Ma la realtà è ancora problematica. Non ci sarà mai un carcere senza criticità. Dobbiamo lavorare per ridurre il “danno”, avere qualcosa dove tutto vada bene è impensabile. In questo contesto, il volontariato è uno strumento prezioso e insostituibile”.(ga) Giustizia: Tamburino (Dap); abbiamo trend positivo, per calo detenuti e aumento posti Agi, 9 novembre 2013 È un “trend positivo” quello che si registra oggi nelle carceri italiane con una diminuzione, negli ultimi mesi, del numero dei detenuti in cella e, contemporaneamente, l’aumento di posti letto disponibili. A sottolinearlo è stato il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, nel corso di un convegno a Regina Coeli. “Il numero dei detenuti ieri si attestava a 64.333 unità mentre nel 2010 eravamo arrivati a 69.000 reclusi - ha rilevato - c’è un calo di 5.000 detenuti in tre anni e, negli ultimi mesi, abbiamo assistito alla diminuzione settimanale di circa cento unità. Proiettando questi dati in un anno, si può prevedere che potrebbe esserci una diminuzione di oltre 4-5 mila detenuti. Credo che potremmo scendere sotto la soglia dei 60.000 nei prossimi mesi”. A ciò si aggiunge, osserva Tamburino, l’aumento di posti letto nei penitenziari “con almeno duemila posti nuovi, l’apertura di tre istituti nuovi in Sardegna e altri reparti in altre parti d’Italia. I posti disponibili arriveranno a 50.000”. Vi è inoltre una “rapida riduzione” dei “casi più estremi, che giustamente sono da considerare disumani”, ha detto il capo del Dap, riferendosi a quei detenuti che vivono in spazi inferiori ai tre metri quadrati. In calo, poi, sono anche i casi di “autolesionismo e i fenomeni di aggressività. Questi sono indicatori - conclude Tamburino - da cui si può desumere che abbiamo imboccato la direzione giusta”. Strasburgo? non lavoriamo a una proroga “Noi non lavoriamo per ottenere una proroga” dalla Corte di Strasburgo - che ha condannato l’Italia per trattamento disumano nelle carceri dandole tempo fino a maggio per adeguarsi - “ma per risolvere interamente il problema. Io ritengo che la Corte sia in condizione di valutare la serietà e oggettività dei passi che un paese compie e trarne un equo giudizio”. Lo ha detto il capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, a margine di un convegno organizzato a Regina Coeli dal Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario-Seac, a pochi giorni dalla trasferta a Strasburgo del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Tamburino ha sottolineato che Strasburgo ha dato “una valutazione molto positiva” del lavoro che l’Italia sta facendo, e allo stesso tempo “l’Europa ci ha detto: vi terremo d’occhio e mese per mese vorremo sapere come procede”. “È difficile pensare che solo con le misure finora prospettate riusciremo a ottenere al 100% le soluzione che la Corte ci chiede”, ha spiegato Tamburino, che si è rifatto al messaggio del Presidente della Repubblica sulle carceri inviato alle Camere un mese fa. “Io credo che il messaggio del Capo dello Stato colga la necessità di un intervento straordinario”, ha detto il numero uno del Dap. Un provvedimento di clemenza?, gli è stato chiesto. “Un intervento straordinario - ha risposto - può essere modulato con diverse soluzioni di carattere giuridico. La più tradizionale è quella dell’indulto e dell’amnistia, ma non è detto che sia solo questo, ci possono essere anche altri strumenti di natura eccezionale legati alla contingenza”. Tamburino non si è addentrato oltre, ma il riferimento potrebbe essere a un forte intervento di depenalizzazione. Ogni recluso costa 100-120 euro al giorno Riguardo ai costi del sistema carcere nel suo complesso, “ogni anno 2.800 milioni di euro vengono assegnati dal bilancio dello Stato al settore”, ha spiegato Tamburino, “l’80-85% dei quali sono costi fissi, non modificabili nel breve periodo”, come i costi del personale - che pure è stato “toccato dai tagli legati alla razionalizzazione delle risorse” - e delle strutture, “200 istituti per 400mila metri quadri di superfici”. Al Dap nel suo complesso afferiscono “circa 40mila persone”. Quanto al “costo giornaliero per ogni detenuto è tra i 100 e i 120 euro”. Ma c’è anche un costo di altra natura, “un costo umano, che spesso è difficile da quantificare, legato alla diminuzione dell’abilità sociale, lavorativa, psico-fisica e a volte anche etica del detenuto. Un costo che diventa anche costo economico. Su questo piano noi abbiamo solo cifre sui flussi di recidiva - ha detto Tamburino - mentre molto c’è da fare, ed è essenziale il ruolo del volontariato, nella valutazione del dopo carcere per gli ex detenuti”. Dap, con clemenza aumenterebbe costo detenuti. Un call center per segnalazioni detenuti “Ci sono già detenuti che lavorano molto bene per dei call center. Perché non farne uno per le segnalazioni che riguardano gli stessi detenuti?”. È la proposta lanciata oggi dal capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, nel corso di un convegno cui costi del carcere organizzato a Regina Coeli dal Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario-Seac. Tamburino ha ricordato l’esperienza dei call center che coinvolge detenuti di Padova, Bollate e Roma “gestiti in maniera eccellente” e ha prospettato l’intenzione di estendere questo modello anche per l’apertura di un call center dedicato alle segnalazioni di situazioni di disagio degli stessi detenuti. Giustizia: caso Cancellieri ed emergenza carceri di Sandro Gozi (Responsabile giustizia del Pd) L’Unità, 9 novembre 2013 Si potrà, certo, discutere dell’”opportunità” dell’intervento del Ministro Cancellieri a proposito del caso Ligresti. Se ne potranno discutere modi e tempi, analogie e differenze con altri casi di detenuti in custodia cautelare, nonostante le gravi condizioni di salute. Si potranno tracciare parallelismi e divergenze rispetto alle condizioni d’incompatibilità con il carcere di altri imputati e condannati (ricorre proprio in questi giorni il quarto anniversario del suicidio, poche ore dopo la notizia della condanna all’ergastolo, di Diana Blefari, in carcere nonostante condizioni fisiche e psichiche assai gravi). Si potrà discutere se spetti al Ministro, alla magistratura o all’amministrazione penitenziaria attivarsi per evitare il peggio, in condizioni del genere. Certo è che questa vicenda- se non la si riduce alle schermaglie politiche e alle volgari strumentalizzazioni pro o contro Ruby - nipote di Mubarak- pone nuovamente al centro del dibattito la questione carceraria. E la questione penale. Dopo il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica e la “sentenza-monito” della Consulta sul “numero chiuso” nelle carceri, in meno di un mese il carcere, la pena, la custodia cautelare tornano a contrapporre le posizioni non solo delle varie forze politiche, ma anche delle correnti interne a ciascuna di esse. Pochi altri temi, infatti, sono percepiti come così tanto divisivi, forse perché attorno all’idea del carcere e della pena ruota il nodo vero della democrazia: quello del rapporto tra autorità e individuo, tra libertà e sicurezza, tra colpa e perdono. Eppure, una riforma strutturale del sistema penale e penitenziario è - per usare le parole del messaggio- un vero e proprio “dovere costituzionale”, anche a fronte delle condanne emesse dalla Corte europea dei diritti umani per le modalità di esecuzione della pena detentiva nelle nostre carceri, contrarie a quel senso di umanità che, anche secondo la nostra Costituzione, la pena non può mai violare. Di più. Come ribadisce Napolitano, la pena - scontata con le modalità imposte dal disumano sovraffollamento delle nostre carceri - impedisce quella funzione di reinserimento sociale che le è propria e che, sola, la legittima, secondo l’art. 27 della Costituzione. Non a caso, il messaggio del Presidente della Repubblica ha già indicato alcune essenziali linee di riforma del sistema sanzionatorio, per risolvere il problema del sovraffollamento penitenziario, che vanno al cuore del dibattito sulla politica penale di questi anni. L’esigenza di un’incisiva depenalizzazione; l’introduzione di meccanismi di messa alla prova che evitino l’ingresso in carcere a soggetti meritevoli di un percorso di effettivo reinserimento sociale; la previsione di pene non carcerarie, seppur limitative della libertà personale; la riduzione dell’ambito applicativo della custodia cautelare. Riforme essenziali non soltanto per ridurre il sovraffollamento ma anche per allineare il nostro sistema penale ai principi costituzionali. Negli ultimi anni, infatti - e in particolare con le legislature di destra - si è registrata anzitutto una generale ipertrofia del sistema penale (che ha portato a circa 35.000 le fattispecie di reato), facendo così non solo della sanzione penale, ma della stessa pena detentiva la prima (e unica) risposta anziché l’estrema e determinando una carcerizzazione di massa, spesso anche socialmente selettiva. Inoltre, la custodia cautelare è stata notevolmente estesa e in alcuni casi addirittura “imposta” - per determinati tipi di autore rappresentati come nemici - mediante presunzioni astratte, volte a privare il giudice del potere di valutazione della necessità, in concreto, della misura restrittiva. Questa tendenza - censurata più volte dalla Consulta, soprattutto rispetto alla custodia cautelare obbligatoria - è stata almeno in parte corretta dai decreti-legge Severino e Cancellieri, che tuttavia hanno toccato solo alcune delle più evidenti disfunzioni del nostro sistema penale. Se, dunque, il caso Ligresti fosse l’occasione per riprendere i progetti di riforma del sistema penale (e gli stessi provvedimenti di amnistia e indulto) che il Parlamento continua a rinviare, quella telefonata si rivelerebbe straordinariamente utile. A tutto il Paese. Giustizia: cari moralisti un tanto al chilo, lo scandalo è la detenzione preventiva di Valerio Spigarelli (Presidente dell’Unione Camere Penali) Gli Altri, 9 novembre 2013 La bufera che ha investito il ministro Cancellieri ha preso saldamente le prime pagine dei giornali, e un’ondata di moralismo a buon mercato ha sommerso il dibattito mettendo da parte i veri scandali che la vicenda dimostra. E allora, tanto per pagare il necessario obolo al pensiero facile senza il quale dalle parti nostre non si discute di giustizia, è ovvio sottolineare come, oggi e da sempre, se sei una persona dotata di buone conoscenze campi meglio degli altri, anche se ti capita una grana giudiziaria. Non è una grande scoperta, ad essere franchi, e chi come me si batte per gli ultimi, cioè per quelli che in galera ci entrano dalla porta posteriore, un certo fastidio lo prova a ritenere che se sei vicino di pianerottolo di un potente hai più probabilità di veder tutelati i tuoi diritti rispetto a qualcun altro. È qui, però, che sta il punto vero: un Paese che non rispetta i diritti fondamentali delle persone perché le sue carceri sono indecenti, che non tutela la presunzione di innocenza, tanto che sbatte in galera migliaia di persone durante le indagini, che usa la custodia cautelare da un lato come incostituzionale anticipazione della pena e da un altro come metodo per costringere una Ligresti - ma anche migliaia di poveri disgraziati - a confessare, di cosa si dovrebbe vergognare? Si dovrebbe vergognare di queste cose e ancora di più del fatto che tutto ciò finisce per far pie tir e a tutti, potenti e non, il rispetto dei propri diritti alla stregua di un favore da richiedere al potente di turno. Quelli che in queste ore riempiono le pagine dei giornali, in specie quei politici che alzano il ditino a dire che non si fa, che un ministro di Giustizia non parla con i familiari di uno che ha dei guai giudiziari, sono coloro che lo scandalo vero della giustizia non lo risolvono da anni. E allora lo scandalo non è la segnalazione della Cancellieri al Dap, se i fatti questi rimarranno, ma che la Costituzione venga violata, per la Ligresti e per i poveri cristi. I moralisti un tanto al kilo, vecchi e nuovi, se ne dovrebbero accorgere senza fare la classifica dei potenti presentabili e di quelli impresentabili; e soprattutto senza aspettare l’esito dei processi per accorgersi che in tema di custodia cautelare siamo un Paese incivile. Per scoprire che Scaglia era stato sottoposto ad un trattamento barbaro durante le indagini, tanto per essere chiari, non bisognava attendere che lo assolvessero. Bisognava dirlo prima, perché la difesa dei diritti fondamentali non cambia se uno è colpevole o innocente. Purtroppo qui da noi, quando si parla di giustizia, impera la doppia morale, oltre che il doppio binario: se alla fine ti va bene diventi Tortora, e tutti quelli che ti hanno crocifisso nel corso del processo fanno la fila per dire che è stato uno schifo, ma se ti va male, o se sei condannato per mafia, allora tutto diventa accettabile, anche una tortura legalizzata come il 41 bis. Una doppia morale che i moralisti in servizio permanente effettivo impongono impugnando i brogliacci delle intercettazioni telefoniche, peraltro, e continuando così a fare strame di un altro articolo della Costituzione: quello che tutela la riservatezza delle conversazioni dei cittadini. Una regola di civiltà che ormai abbiamo abrogato, abituando tutti noi a guardare dal buco della serratura l’anima e la vita delle persone, ben al di là del consentito e del sopportabile in una società libera. Del resto, come avveniva nella Repubblica democratica tedesca, tutti ci sentiamo allegramente spiati al telefono, e ci facciamo crasse risate, ma solo finché le nostre facezie non finiscono in prima pagina, allora non ridiamo più. Eppure anche pubblicare i testi delle intercettazioni è vietato dalla legge, nel corso delle indagini, solo che - come ha spiegato con chiarezza il Procuratore capo di Roma al congresso dell’ Associazione nazionale magistrati - le procure hanno deciso di non perseguire questo tipo di reati, in barba alla obbligatorietà dell’ azione penale che pure, a parole, venerano. E questo non è uno scandalo? Esiste un circuito mediatico giudiziario che si attiva per distruggere carriere e progetti politici, quando questi non sono graditi. Un circo che anticipa intercettazioni, le pubblica a pezzi stravolgendone il senso, o magari le fa recitare in prima serata nel corso dei talk show da attori famosi, tutte cose che in un Paese libero non dovrebbero avvenire... salvo poi scandalizzarsi davanti al grande fratello dell’Nsa. Doppia morale e ipocrisia, ancora e sempre. Giustizia: in stand-by nuova disciplina valutazione dei rischi nelle strutture penitenziarie di Carla De Lellis Italia Oggi, 9 novembre 2013 In stand-by la nuova disciplina sulla valutazione dei rischi nelle strutture penitenziarie ai sensi del T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008). Nel frattempo si applica la vecchia normativa, la quale prevede che la valutazione sia effettuata tenendo conto delle specifiche esigenze individuate dal dm n. 388/1997 (pericolo di fuga, aggressioni ecc.). In considerazione di questa valutazione dei rischi, inoltre, che deve essere decisa l’eventuale predisposizione di armadi e spogliatoi a favore del personale della polizia penitenziaria. Lo precisa la commissione per gli interpelli sulla sicurezza nell’interpello n. 12/2013 dell’Ugl. Con tre diversi quesiti, l’Ugl ha chiesto di sapere se: 1) è obbligatorio il documento di valutazione dei rischi all’interno delle strutture e dei servizi penitenziari; 2) se vada osservato l’obbligo in particolari casi di costruire pareti fi no all’altezza di 1 metro dal pavimento (punto 1.3.6 dell’allegato IV del T.u. sicurezza approvato dal dlgs n. 81/2008); 3) se possano essere predisposti gli spogliatori e gli armadi per il vestiario a favore del personale di polizia penitenziaria. Il T.u., spiega la commissione, relativamente ad alcune attività, tra cui quella svolta nelle strutture giudiziarie e penitenziarie, stabilisce che le norme di sicurezza “sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alla peculiarità organizzative” sulla base di appositi decreti ministeriali di attuazione. E stabilisce, inoltre, che, in attesa di tali decreti, sono fatte salve i vecchi provvedimenti attuativi del dlgs n. 626/1994. È sulla base di tanto che la commissione risponde ai tre quesiti, precisando che: 1) la valutazione dei rischi va effettuata tenendo conto delle particolari esigenze individuate dal dm n. 388/1997 (pericoli di fuga, aggressioni, incolumità del personale o dei detenuti ecc.); 2) con riferimento alle superfici vetrate si applica quanto previsto dal citato punto 1.3.6 dell’allegato IV del T.u. sicurezza (tra cui la necessità che non superino il metro di altezza dal pavimento); 3) la predisposizione degli spogliatoi degli armadi è una decisione conseguente alla valutazione dei rischi, effettuata tenendo conto delle predette particolari esigenze. Giustizia: non strumentalizzate il dramma delle carceri per parlare del caso Cancellieri di Ilaria Cucchi www.huffingtonpost.it, 9 novembre 2013 Ieri sera ho seguito con interesse la puntata di Servizio Pubblico. Sapevo che tra i temi trattati vi sarebbero stati anche quelli a me cari. Diritti umani e carcere. Diritti civili e detenzione in qualsiasi forma attuata. Sono rimasta delusa perché il tema delle terribili condizioni umane in cui viene attuata la detenzione, sotto qualsiasi forma, nel nostro Paese, merita più rispetto. Se la crisi Cancellieri è stata fino a oggi anche un’occasione per tutti di riflessione su questi drammatici problemi che continuano a produrre quasi quotidianamente morti, ora veramente rischia di essere il carcere occasione per parlare della Cancellieri. Tutto ciò è inaccettabile. Soprattutto per coloro che continuano a subire quelle terribili condizioni, che continuano ad ammalarsi per esse fino a morirne. Allora dico veramente basta! A questo strumentale e superficiale modo di trattare il problema io vorrei veramente che tutti si ribellassero. Al signor Santoro e al signor Renzi io dico questo: non capite che ogni volta che pubblicamente si vogliono trattare questi gravissimi problemi si offrono speranze a tutti coloro che con essi debbono fare continuamente i conti? Ai famigliari di coloro che queste speranze non possono più averle, perché ne sono semplicemente morti? Possibile che non vi rendiate conto che parlarne in questo modo e poi ridurre tutto in termini di “Cancellieri dimettiti o meno”, non significa altro che volerne fare strumento di sterile dialettica (nella migliore delle ipotesi) politica o peggio di propaganda politica dai contenuti insopportabilmente superficiali? Significa deludere sistematicamente quelle speranze di cui parlavo e allontanarsi ancora una volta dal cuore e dalla sostanza dei problemi. Se volete parlare ancora dei Ligresti, della Cancellieri e delle loro telefonate continuate a farlo, per carità, ma lasciate in pace il problema carceri. Fate calare quella parvenza di sensibilità per quelle persone che soffrono in regime di detenzione fino a morirne. Il sistema Giustizia non funziona, quando lo fa è una giustizia a due velocità e a due modelli diversissimi di funzionamento: quello per i normali cittadini e per i cosiddetti ultimi, e quello per i potenti. Non nascondiamoci dietro la politica e la demagogia. Sono gli uomini che fanno funzionare la giustizia. È la loro cultura, la loro volontà e il loro agire. Non le istituzioni, non i ministri, non la pubblica opinione, ma coloro che amministrano la giustizia, indipendenti, autonomi, ma anche immuni da responsabilità e intoccabili. O vogliamo forse far credere che con le dimissioni della Cancellieri risolviamo il problema carceri? Lettere: 28enne morto in carcere a Trento... “arresto cardiaco” non è una diagnosi! di Gabriella Trenchi (Medico Legale) Ristretti Orizzonti, 9 novembre 2013 Non è accettabile che una madre non possa sapere di cosa sia morto suo figlio e venga zittita sulla base di due certificati medici che attestano che suo figlio è morto per “arresto cardiaco”. Tutti si muore per arresto cardiaco: il ricco ed il povero, il santo ed il delinquente, il centenario ed il suicida, la vittima di omicidio e la vittima di incidente stradale od infortunio sul lavoro; per tutti l’arresto cardiaco è solamente l’ultimo atto del nostro organismo prima del trapasso. “Arresto cardiaco” non è una diagnosi di morte ma semplicemente la constatazione della morte in contrapposizione alla condizione di esistenza in vita. Tutt’altra cosa è la diagnosi della causa della morte, che nessuno ha voluto accertare. Se fosse sufficiente un esame esterno del cadavere, non sarebbero necessarie le autopsie, gli esami tossicologici, istologici e genetici. Ogni decesso senza testimoni è un decesso sospetto, fino a prova contraria; a maggior ragione se riguarda un giovane di 28 anni e per giunta detenuto. Se di morte naturale si tratta, dovremmo quantomeno ipotizzare che il giovane fosse affetto da patologia che per oltre tre mesi è stata ignorata dai medici della struttura carceraria, e prima ancora per tre anni dal personale medico della comunità terapeutica. Se invece il decesso fosse avvenuto per overdose di psicofarmaci (ma come facciamo a saperlo finché nessuno effettua un prelievo per un esame tossicologico?) dovremmo ipotizzare un errore del personale sanitario; o una carenza nella sorveglianza da parte del personale ad essa preposto, onde evitare accumuli e smercio di farmaci. Se, ancora, il decesso fosse dovuto ad overdose di sostanze stupefacenti (e di nuovo mi domando come possiamo escluderlo se nessuno ha fatto un prelievo di liquidi biologici?) si dovrebbe individuare chi ha fornito la sostanza al detenuto. E potrebbe benissimo trattarsi di morte per causa naturale, ad esempio di una aritmia causata da un difetto cardiaco genetico: in questo caso, è lecito che la famiglia voglia sapere se altri congiunti sono portatori di analogo problema onde adottare le dovute misure preventive? Anche Arafat era morto di morte naturale, fino a ieri quando qualcuno (con più mezzi e voce di quella povera madre) ha dimostrato che così non è. La salma del giovane detenuto è ancora al cimitero di Trento, oramai da 10 giorni, che attende accertamenti o, per sfinimento dei vivi, la sepoltura. E tutti sappiamo che più il tempo passa, più la verità si allontana. Trento: Sinappe; dalle 21 alle 7 del mattino in carcere non c’è guardia medica né infermieri di Giuliano Lott Il Trentino, 9 novembre 2013 La sera prima di morire, il giovane detenuto ha chiacchierato con i compagni di cella. Stava bene, dicono, hanno anche scherzato e il ventottenne, in carcere per scontare gli ultimi giorni di una condanna a 4 mesi, non aveva manifestato alcun disturbo. La mattina, attorno alle 6, si sono svegliati e lo hanno trovato nel bagno, per terra. Era privo di sensi. I compagni hanno chiamato a gran voce la guardia carceraria, la quale ha dato l’allarme ed è scattata la procedura per avviare i soccorsi. Ma era troppo tardi per rianimare il giovane, che è spirato poco dopo. A quanto risulta, non aveva assunto alcun medicinale e i tracciati dell’elettrocardiogramma, all’ingresso nella casa circondariale di Spini di Gardolo, erano regolari. Sul caso, che si aggiunge ad altre drammatiche morti dietro le sbarre, il senatore Luigi Manconi presenterà un’interrogazione urgente al ministro Annamaria Cancellieri. Nel frattempo, Andrea Mazzarese, segretario provinciale del Sinappe, il principale sindacato della polizia penitenziaria, lancia un j’accuse pesantissimo: a Spini non esiste un medico di guardia, né un infermiere, a tutela dei detenuti nelle ore notturne. “Desidero chiarire - spiega Mazzarese - che il personale di Polizia penitenziaria dal momento in cui è stato allertato dai compagni di camera del detenuto poi deceduto, ha messo in atto celermente con professionalità tutte le attività previste per richiedere l’intervento del medico della guardia medica, in quanto in istituto, nonostante una presenza di circa trecento detenuti, non c’è un medico o semplicemente un infermiere in servizio nella fascia oraria che va dalle ore 21 alle sette del mattino, e il fatto ci risulta si è verificato alle 6.15 circa”. Mazzarese puntualizza come il sindacato avesse già sollevato il problema in tempi non sospetti. “Il 6 maggio proprio noi del Sinappe abbiamo informato la stampa locale dell’importanza di avere in servizio in istituto in modo continuato nelle 24 ore personale infermieristico o medico, auspicando che tale segnalazione potesse portare ad una diversa organizzazione del sevizio sanitario all’Interno dell’istituto, che tenesse in considerazione le necessità segnalate da questa segreteria, purtroppo fino ad oggi tutto vano”. Ciò non significa che la morte del giovane, la mattina del 29 ottobre, si potesse evitare. “Dire adesso che con un intervento immediato del personale medico, se presente in istituto, il detenuto si sarebbe salvato è ipocrisia, ma comunque aumenta sicuramente le possibilità di salvare delle vite” aggiunge Mazzarese, che esprime alla madre dello sfortunato giovane la propria vicinanza, anche nella richiesta di chiarezza che la donna ha espresso. “Alla signora - scrive il segretario del Sinappe - va tutto il cordoglio della nostra Segreteria e di tutto il personale di Polizia penitenziaria, comprendiamo la sua battaglia della ricerca dei tanti perché”. Il procuratore capo Giuseppe Amato ha invece spiegato sulle nostre pagine di ieri il motivo per il quale non ha ritenuto di dover ordinare un’autopsia o altri tipi di accertamenti per chiarire le cause del decesso: il medico ha accertato che la morte è sopraggiunta per cause naturali e dunque non c’è motivo, dal punto di vista della magistratura, di disporre l’autopsia, fermo restando - è lo stesso Amato a specificarlo - che la famiglia del ragazzo ha pieno diritto di richiedere accertamenti, ma in forma autonoma e a proprio carico. Non esiste un automatismo - ha aggiunto il procuratore capo - tra i dubbi della famiglia e l’azione della magistratura. Commozione in consiglio comunale, dove ieri sera il consigliere Paolo Serra (Pd) ha ricordato il caso. “Il ragazzo avrà pure sbagliato, ma per quei quattro mesi gli si poteva concedere una pena alternativa”. Associazione Famiglie Tossicodipendenti: Istituzioni e Azienda sanitaria facciano chiarezza “Un fatto grave che ci tocca profondamente” commenta l’Associazione Famiglie Tossicodipendenti di Trento in merito alla morte in carcere di un detenuto di 28 anni deceduto lo scorso 29 ottobre in circostanze non ancora del tutto chiare. “Siamo vicini a questa madre che attendeva il figlio a casa per fine novembre e che tanto si era data da fare per i problemi di tossicodipendenza del figlio. Accogliamo con calore l’istanza della madre e chiediamo che si possa mettere in atto tutto il possibile per giungere fino in fondo a verità e chiarezza. Siamo certi che le istituzioni e l’ Azienda sanitaria non ci lasceranno soli. La domanda della madre è anche la nostra: perché un ragazzo, entrato in una struttura preposta alla custodia delle persone, dopo tre mesi ne esce senza vita? Auspichiamo una risposta. Abbiamo convocato i soci e il gruppo famiglie che periodicamente si riunisce nelle nostre sedi, rendendoci disponibili affinché su questa vicenda si porti luce fugando ogni possibile dubbio. Attendiamo concrete risposte”. Napoli: visita all’Opg Secondigliano “gravi ritardi nell’attuazione della legge di chiusura” Ansa, 9 novembre 2013 Una delegazione di Psichiatria Democratica si è recata nuovamente in visita all’Ospedale psichiatrico giudiziario (OPG) di Secondigliano - Napoli, per conoscere le condizioni dei reclusi e per informarsi, con i dirigenti e il personale della Polizia penitenziaria, “sulla concretezza delle procedure in atto, di ordine sanitario e amministrativo, per rendere possibile la chiusura dello stesso Istituto nei tempi previsti dalla vigente legge in materia”. Le persone ancora ristrette nella struttura sono 95, di queste 78 provengono dalla Campania e dal Lazio. “A fronte di un registrato impegno da parte del personale tutto”, Psichiatria Democratica, rileva “tuttora i gravi e ingiustificati ritardi nell’attuazione della legge di chiusura dell’OPG soprattutto a carico delle Regioni e delle ASL competenti”. “Le Regioni, difatti, che avrebbero dovuto fungere da pungolo e coordinamento del processo di dismissione si muovono, talora, in un’ottica di tipo burocratico risultando, a tutt’oggi, per niente incisive nel rendere effettivo il pur dichiarato impegno circa la programmazione di attività per la realizzazione dei decreti attuativi della Legge Severino. Le Asl e i Dipartimenti di Salute Mentale poi - si aggiunge - sono in genere ancora assenti sul piano della elaborazione dei Progetti terapeutici individuali - strada maestra, sottolinea ancora una volta e con forza Psichiatria Democratica - indispensabili per consentire lo svuotamento del manicomio giudiziario di Secondigliano come dei rimanenti cinque nel Paese. La risposta prioritaria da dare - laddove risulti cessata la pericolosità sociale - resta unica e chiara: l’accompagnamento in strutture socio-sanitarie territoriali e pubbliche già esistenti, il rientro, ove possibile, presso le famiglie d’origine o con la propria libertà delle persone attualmente ristrette negli OPG”. Napoli Mazzotta (Radicali); entrare a Poggioreale equivale a ricevere una pena di morte di Chiara Autiero www.campania24news.it, 9 novembre 2013 Questa mattina a Napoli il consigliere regionale Dario Barbirotti, accompagnato da Donato Salzano segretario di Radicali Salerno “Maurizio Provenza” e da Luigi Mazzotta membro del Comitato Nazionale di Radicali italiani e dell’associazione Radicale Per La Grande Napoli, si sono recati al carcere di Poggioreale per richiamare l’attenzione sulle drammatiche urgenze patologiche e sanitarie. La redazione di Campania24news ha intervistato Luigi Mazzotta per sapere effettivamente com’è la situazione del carcere partenopeo. Qual è il motivo della visita di questa mattina? Lo scopo della visita era quello di denunciare lo stato delle persone malate nel carcere, dove è del tutto assente un adeguato sistema sanitario. La visita è stata mirata a un detenuto che è stato trasferito da Potenza, dove era agli arresti domiciliari, a Poggioreale dove dovrebbe scontare una pena di 5 anni per ricettazione. Il detenuto però non ha una gamba ed è diabetico, risulta invalido al 100% e noi Radicali ci battiamo per farlo ritornare a casa, dove potrà ricevere cure adeguate per la sua condizione di salute. Donato Salzano con il suo legale, ha presentato un’istanza al Tribunale di Napoli per ottenere di nuovo gli arresti domiciliari per il detenuto e ci siamo assicurati che nonostante il carcere venisse curato adeguatamente. Ha avuto modo di parlare con il detenuto in questione? Io no, ci sono stati problemi burocratici per l’entrata in visita ispettiva, quindi è riuscito a parlarci solo Barbirotti che ha visitato il padiglione San Paolo e ha rassicurato noi tutti sulle condizioni del detenuto, dicendo che ad oggi gli vengono somministrati tutti i farmaci di cui ha bisogno. Com’è la situazione igienico-sanitaria generale a Poggioreale? Andare a Poggioreale equivale a ricevere una pena di morte, chi entra sano esce malato. Pensa che la capienza è di 1.350 posti e attualmente ci sono 2.900 detenuti. Inoltre ci sono state 300 richieste di detenuti malati e i tempi di attesa sono di 7/8 mesi, anche per malattie gravi come tumori, epatiti, molti soffrono di cirrosi epatica, di diabete. Molti i giovani che a Poggioreale si ammalano perché gli altri detenuti non vengono curati. In che condizioni sono i giovani detenuti a Poggioreale? Ci battiamo molto per i giovani detenuti a Poggioreale, la maggior parte sono dentro per reati minori, magari sono stati trovati con un po’ di droga e marciscono in condizioni disperate in carcere. Bisognerebbe denunciare tutto al CEDU, vengono meno non solo i diritti umani da parte dei detenuti, ma anche dei parenti, che non hanno commesso nessun reato e sono sottoposti a vere e proprie torture: file interminabili per andare a trovare il parente, anche andare in bagno per loro diventa un problema. La situazione è drammatica, pensa ai poliziotti penitenziari che si suicidano perché la loro sensibilità non sopporta i maltrattamenti inumani a cui sono sottoposti i detenuti e inoltre c’è l’aggravante che devono rendere giustizia e non riescono: per 200 persone c’è un poliziotto. Che appello vuole fare alle Istituzioni? Chiediamo da 30 anni una Riforma della Giustizia, ci sono 10 milioni di processi civili e penali pendenti con 170 mila prescrizioni all’anno, di fatto un’amnistia occulta e selvaggia che si ripete ogni anno puntualmente. Il 40% dei detenuti in attesa di giudizio risulteranno innocenti ed è per questo che chiediamo dopo il messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, un’amnistia per la repubblica, un inizio di riforme della nostra giustizia per un ripristino di legalità nel nostro paese. Messina: l’Opg di Barcellona P.G deve chiudere… ma continuano ad arrivare pazienti Adnkronos, 9 novembre 2013 All’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), “continuano ad arrivare nuovi pazienti, fra chi entra e chi esce oggi siamo a quota 190-200 ospiti”. A dirlo all’Adnkronos Salute è Antonino Levita, responsabile Area sanitaria della struttura siciliana, che denuncia: “La chiusura sarebbe prevista per il 1 aprile 2014, ma purtroppo temo che non si farà in tempo a organizzarsi per quella data”. “Finché il territorio, quindi Asl e Regioni, non inizierà ad assorbire concretamente i pazienti con percorsi personalizzati, e continueranno ad arrivarne di nuovi - sottolinea Levita in occasione del congresso della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) a Roma - la situazione non potrà cambiare. Le ispezioni dell’ex senatore Ignazio Marino hanno dato voce a un problema che noi stessi lamentavamo da tempo, gridavamo di aver toccato il fondo. Successivamente era stata decisa la chiusura dei 6 Opg italiani entro marzo 2013, ed erano diminuiti sia i nuovi arrivi, che il numero totale di ospiti. Ma poi è stata introdotta una proroga di un anno e si è registrata una nuova impennata di presenze e di nuovi arrivi”. Levita ricorda che “la struttura di Barcellona potrebbe essere riconvertita in istituto penitenziario ordinario per detenuti a basso tenore di criminalità, arrivando a poterne ospitare fino a 500 e sgravando così altre carceri che stanno scoppiando. E gli operatori non perderebbero nemmeno il posto di lavoro”. L’esperto, che è anche responsabile del settore speciale Medicina penitenziaria Fimmg, ha parlato proprio di assistenza sanitaria ai detenuti al congresso capitolino, evidenziando “la grave situazione di sovraffollamento che si lega a quello del disagio psichico e del ritorno di patologie che pensavamo scomparse come la tubercolosi, o altre malattie infettive. Il legislatore dovrebbe emanare linee di indirizzo uniformi per tutto il territorio italiano perché allo stato attuale le situazioni sono diverse nelle singole Regioni. E non si può pensare che un detenuto in Toscana riceva un’assistenza sanitaria diversa di un detenuto in Calabria”. Avellino: nuovo padiglione del carcere di Ariano Irpino, arrivano 200 nuovi detenuti www.ottopagine.net, 9 novembre 2013 Con il nuovo padiglione e i suoi 200 detenuti in più la polizia penitenziaria, già da anni sotto organico, andrà in forte affanno. Il grido di allarme arriva dal Sappe, rappresentato dal segretario nazionale Emilio Fattoriello e dal quello locale Rocco Iagulli. Una conferenza stampa all’interno della struttura arianese, per denunciare gravi carenze e per sollecitare con forza l’amministrazione penitenziaria italiana. L’arrivo di altri 200 detenuti di media sicurezza, nella nuovissima struttura i cui lavori sono stati ultimati, rischia di mettere davvero in ginocchio la macchina della sicurezza. Un edificio completamente autonomo da quello esistente, che prevede l’introduzione della cosiddetta sorveglianza dinamica, ovvero una sorta di carcere a regime aperto che per i detenuti a media e bassa pericolosità, significa potenziare gli spazi dedicati al lavoro, allo sport, alle attività ricreative e culturali. Ad Ariano non si effettuano opere di manutenzione alla struttura da quando è stata edificata. Basta osservare in che condizioni versano le mura esterne. “E un azione di protesta come politica sindacale - spiega Fattoriello - verso questo operato frettoloso dell’amministrazione penitenziaria. Qui abbiamo una carenza organica di 27 unità, per quanto riguarda gli uomini e 4 per le unità femminili, immaginate cosa accadrà adesso con l’imminente apertura del nuovo padiglione.” Rocco Iagulli: “C’è poca attenzione sul personale, da parte dell’amministrazione penitenziaria, si apre questa nuova struttura all’interno di contesti già fatiscenti. I detenuti aumenteranno e il personale rimarrà sempre lo stesso, se non addirittura destinato a decrescere a causa dei pensionamenti”. Catania: l’Uepe è in grave difficoltà, mancano personale e risorse e ufficio sotto sfratto La Sicilia, 9 novembre 2013 I locali dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Corso Sicilia sono sottoposti allo sfratto esecutivo, la pianta organica è carente e anche le risorse materiali e finanziarie risultano gravemente impoverite. Lo si evince dal documento che è stato consegnato ieri dai sindacati, nel corso di un incontro, al sottosegretario alla Giustizia, on. Giuseppe Berretta. A confrontarsi con Berretta sulle difficoltà che coinvolgono la struttura catanese dell’Uepe c’erano il segretario della Fp Cgil, Gaetano Agliozzo, Armando Garufi, della segreteria provinciale della Funzione pubblica, e il segretario della Uil-Pa, Armando Algozzino. “Il sottosegretario Berretta si è impegnato a intervenire presso il dipartimento di amministrazione penitenziaria a Palermo e il Dap nazionale, per dare risposte ai lavoratori - spiegano Agliozzo e Garufi . Catania non può sottovalutare un avamposto di giustizia e legalità quale è appunto l’Uepe. Chiediamo che vengano potenziati gli organici e che venga applicata presto una soluzione per ottenere in tempi brevi una nuova sede”. L’ufficio viene diretto da un dirigente in missione, periodicamente sostituito dal capo area di segreteria, condizione che di fatto, rallenta l’operatività dell’ufficio. La pianta organica è carente anche per quanto concerne i funzionari della professionalità di Servizio sociale, sia in relazione all’estensione dell’ambito territoriale, sia alla complessità del carico di lavoro, che dal primo luglio 2012 al 30 giugno 2013 ha gestito 4.247 incarichi. A fronte di tale carico di lavoro si contano, infatti, solo dodici funzionari assegnati, mentre il restante personale è suddiviso così: due con funzioni di capi area con esclusive mansioni di coordinamento; undici in posizione di distacco da varie parti di Italia, di cui quattro con assegnazione temporanea. Prato: Socialismo Diritti Riforme; detenuto vince battaglia diritto studio con laurea Ristretti Orizzonti, 9 novembre 2013 Ha conseguito la laurea in Scienze dell’Amministrazione e dell’Organizzazione Alexander Alejo, un giovane detenuto domenicano, attualmente ristretto a Prato, che aveva impegnato le Istituzioni per il riconoscimento del diritto allo studio dei cittadini privati della libertà. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” esprimendo “soddisfazione per avere contribuito a dare una nuova opportunità a un giovane particolarmente determinato nella volontà di cambiare la propria storia personale”. Nel 2009 un immotivato trasferimento nel carcere nuorese di Bad’e Carros aveva infatti compromesso la possibilità per il giovane - ricorda Caligaris che ha ricevuto una lettera dal detenuto - di proseguire gli studi universitari a Bologna. La caparbietà di Alexander Alejo, la sensibilità del Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Nuoro Maria Paola Vezzi e dell’allora Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, a cui si era rivolta la presidente dell’associazione, avevano però permesso al giovane di proseguire gli studi con una nuova assegnazione a Prato. “Lo studio, in questa fase della mia vita ha rappresentato e rappresenta - ha scritto Alexander Alejo - il principale progetto di riscatto su cui sto investendo tantissime energie. Si tratta, come potrà immaginare, di un percorso molto arduo, sia per il contesto in cui mi trovo, sia per le difficoltà di linguaggio nell’affrontare un testo universitario. Ora ho raggiunto questo mio piccolo traguardo e desidero ringraziare tutte le persone che lo hanno reso possibile”. Napoli: “Donne in Rete”, a Scampia all’asta abiti da sposa cuciti da mogli dei detenuti Ansa, 9 novembre 2013 Abiti da sposa cuciti da chi ha sposato un uomo che ha avuto problemi con la giustizia e che sta cercando ora una propria strada nella legalità. Sono gli abiti che sfileranno il 10 novembre al teatro Tan al centro polifunzionale di Piscinola e saranno messi all’asta per finanziare le attività del teatro stesso che opera in un’area particolarmente difficile come quella della periferia nord di Napoli. L’iniziativa è sostenuta dall’assessore ai giovani, creatività e innovazione del Comune di Napoli Alessandra Clemente che sarà lei stessa in passerella. “Questo abiti - spiega la Clemente - rappresentano l’energia migliore di Scampia, fatto da donne che eseguono un lavoro pregiato, frutto di competenza e manualità in un laboratorio del quartiere. Questi capi verranno messi all’asta e insieme al Comune verrà varata una piattaforma di crowd founding che comincia il 10 novembre al Tan e proseguirà con altri eventi in città che finanzieranno le attività del teatro Tan, una bellissima realtà dell’ara nord di Napoli”. Nell’occasione sfileranno anche le stesse donne delle cooperative e delle associazioni che aderiscono al progetto, come spiega Patrizia Palumbo, presidente dell’associazione Dream Team - Donne in rete. “Puntiamo a dare visibilità al lavoro delle donne - dive - e sostenere la loro progettualità in un’area degradata come quella dell’area nord di Napoli”. Bologna: Sappe; detenuto che doveva andare a udienza in tribunale aggredisce due agenti Adnkronos, 9 novembre 2013 Questa mattina, nel carcere bolognese della Dozza, un detenuto di origine tunisina, che doveva andare in udienza in tribunale, ha aggredito due agenti della polizia penitenziaria. Lo riferisce una nota del Sappe, (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), che aggiunge: “i due agenti sono stati portati in ospedale, per essere sottoposti alle cure mediche, non si conosce ancora la prognosi”. “Chiediamo - prosegue la nota - che il detenuto venga punito secondo le norme previste dall’ordinamento, oltre alla denuncia all’autorità giudiziaria. Non è assolutamente tollerabile - si legge nella nota - che il personale di polizia penitenziaria venga aggredito nell’esercizio delle sue funzioni, da gente che non ha alcun rispetto delle regole, neanche in carcere. Altro che indulto e amnistia, è bene che questi soggetti restino in carcere a lungo”. “Ricordiamo che nel carcere di Bologna - continua la nota - ci sono il doppio dei detenuti previsti, infatti, a fronte di una capienza di 470 posti, ci sono circa 900 detenuti. A ciò - conclude la nota - si aggiunge la forte carenza di personale, oltre 150 il numero dei poliziotti in meno, rispetto a quello stabilito”. Volterra (Pi): detenuti-chef, tutto pronto per nuovo appuntamento con “Cene galeotte” Il Tirreno, 9 novembre 2013 Tutto pronto per l’appuntamento numero otto con “Cene galeotte” (www.cenegaleotte.it), iniziativa unica capace di coniugare i piaceri della tavola con un progetto di fortissima valenza sociale. Dopo il successo crescente registrato nella passate edizioni - e gli oltre 1.000 partecipanti dello scorso anno, ben 10mila dalla sua “prima” - venerdì 22 novembre lo staff della casa di reclusione di Volterra accoglierà il pubblico per un altro momento di solidarietà, con i detenuti impegnati al fianco di chef professionisti nella preparazione di otto cene con cadenza mensile fino a giugno. Un evento dall’anima anche benefica, visto che il ricavato (il costo di ogni cena è di 35 euro a persona) sarà integralmente devoluto ai progetti umanitari sostenuti dalla fondazione “Il cuore si scioglie onlus”. Si rinnova la possibilità di un’esperienza irripetibile per i visitatori, ma anche un momento vissuto con coinvolgimento da parte dei detenuti, che grazie al percorso formativo in sala e cucina vanno acquisendo un bagaglio professionale che in ben 16 casi si è tradotto in impiego nei ristoranti locali, secondo l’articolo 21 che regolamenta il lavoro al di fuori del carcere. Nuovi chef - toscani e non - coinvolti nel progetto. La Fortezza Medicea aprirà alle 19,30 le proprie porte per l’aperitivo, allestito nel cortile interno sotto le antiche mura. A seguire la cena alle 20,30, servita nella vecchia cappella dell’istituto trasformata per l’occasione in sala ristorante con tanto di candele, camerieri/detenuti in divisa con il supporto di uno chef professionista che metterà a disposizione - gratuitamente - tutta la sua esperienza. Ad accompagnare le portate una selezione di etichette fornite, a titolo gratuito, da un’azienda vinicola. Per prenotazioni Agenzia Toscana Turismo - Argonauta viaggi (gruppo Robintur), tel. 055-2345040. Unione Europea: omosessuali che rischiano carcere nel loro Paese possono ricevere asilo La Presse, 9 novembre 2013 Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea, affermando che l’esistenza di leggi che prevedono la detenzione di gay “può costituire un atto di persecuzione di per sé” se questi provvedimenti vengono effettivamente applicati. Spetterà alle autorità europee, precisa la Corte, decidere se la situazione nel Paese d’origine del richiedente asilo prevede persecuzioni e soprattutto se i gay rischiano davvero condanne al carcere. Non ci si può aspettare, afferma il tribunale, che un omosessuale nasconda il proprio orientamento sessuale in patria per evitare le persecuzioni, dato che questo significherebbe rinunciare a “una caratteristica fondamentale dell’identità di una persona”. Il tribunale con sede a Lussemburgo si è pronunciato in merito a tre casi di persone provenienti da Sierra Leone, Uganda e Senegal, che avevano chiesto asilo in Olanda. Il caso era stato sottoposto ai giudici dell’Ue dalla Corte suprema olandese, che chiedeva chiarimenti sulla normativa europea. La Corte suprema olandese ha fatto sapere che si occuperà adesso delle richieste di asilo presentate dai tre migranti e da altre persone che hanno indicato gli stessi motivi nelle richieste se queste sono state presentate dopo l’aprile del 2012, quando la questione fu sottoposta alla Corte europea. Non è tuttavia chiaro in che modo le autorità nazionali dovrebbero controllare se il potenziale rifugiato sia effettivamente omosessuale. A marzo scorso la Corte suprema olandese aveva sottoposto questo problema al tribunale in Lussemburgo, chiedendo quali sono ai sensi della normativa europea i limiti dei “metodi di valutazione della credibilità di un dichiarato orientamento sessuale”. La decisione in questo caso è attesa per l’anno prossimo. I trattati internazionali prevedono che i rifugiati dimostrino di avere un fondato timore di persecuzioni per motivi di religione, razza, etnia o posizioni politiche per ottenere l’asilo. India: Bonino; sui marò spero in buone notizie, ma non sono gli unici italiani in cella di Laura Pertici La Repubblica, 9 novembre 2013 “Mi auguro che Staffan de Mistura possa dare buone notizie sui marò alla Camera il 13 novembre”. Non è l’annuncio di una svolta definitiva per i due fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, quello che arriva da Emma Bonino nel video forum di Repubblica Tv, in cui il ministro risponde alle domande dei lettori sui principali dossier internazionali. Un nuovo passo dovrebbe però essere stato compiuto. Alle commissioni Esteri e Difesa riunite, mercoledì, l’inviato speciale del governo dovrà dire cosa si sta facendo per loro. Ci può confermare che sarà l’11 novembre, in videoconferenza dall’Italia, l’interrogatorio degli altri militari che erano a bordo dell’Enrica Lexie? “Preferisco la politica dei risultati e credo che la riservatezza, che non è segretezza, a volte protegga di più. Spero che de Mistura possa dare conto di tutto il nostro lunghissimo lavoro. Siamo un Paese complesso nell’amministrazione della giustizia: lo è anche l’India”. Tra i lettori c’è chi le chiede se ricorda i nomi dei fucilieri… “E perché?” Per sapere qual è il grado di attenzione del governo su di loro… “I nomi li so e non li voglio dire. Perché ho 3.120 italiani in carcere nel mondo. Trovo eccessivo che si parli solo di quelli che arrivano alla stampa. Non voglio far sentire gli altri meno tutelati”. Sembra evocare la vicenda Cancellieri: per lei è chiusa? “Mi hanno fatto la stessa osservazione sul caso Shalabayeva-Alfano. Per quanto mi riguarda la ricostruzione di Cancellieri è convincente. Vorrei però non si chiudesse la vicenda carceri e giustizia appena finisce il fragore”. E su Shalabayeva? Cosa stiamo facendo per lei? “Abbiamo passato tutto agosto a sostenere la signora nel presentare alle autorità kazake la richiesta di libertà di movimento. Il ministro degli Esteri kazako mi ha risposto, dopo due mesi, che farà di tutto perché possa essere celebrato presto il processo che la riguarda, per la falsificazione del passaporto e lei possa esercitare dunque questa libertà di movimento”. Padre Dall’Oglio è stato rapito in Siria a luglio. Può dirci se è vivo? “I fili che abbiamo sono fragili, in quella zona la situazione si è inviperita. Ma almeno non abbiamo prova che sia stato ucciso”. C’è poi Giovanni Lo Porto, cooperante scomparso 19 mesi fa in Pakistan… “Siamo in contatto con la famiglia ma non abbiamo informazioni”. Lei doveva incontrare a Roma il ministro degli Esteri iraniano Zarif, impegnato a Ginevra nel negoziato sul nucleare. Vi siete invece sentiti al telefono. Perché? “Perché il dialogo è entrato in una fase promettente e delicata, la speranza è di chiudere in settimana o di lasciare fuori solo una tornata di colloqui”. Quale sarà il punto finale dei colloqui? “Non si può dire ora. Gli iraniani puntano alla cancellazione delle sanzioni. Bisogna vedere cosa offrono in cambio”. Come segue l’Italia la situazione in Egitto? Molti tour operator chiedono perché sia ancora fra le mete sconsigliate.. “La situazione egiziana è una delle più complesse. Il 15 novembre il governo dovrebbe togliere lo stato di emergenza. Io da ministro mi comporto in base alle informazioni che ricevo, poi gli italiani scelgono liberamente se partire o no”. Parliamo di immigrazione: come si possono tradurre in pratica le promesse di maggiore collaborazione dell’Unione europea? “Bisogna continuare a responsabilizzare l’Europa sulla questione di tutta la frontiera sud” Vietnam: pena di morte; difficile reperire prodotti iniezione letale, ritorna la fucilazione www.tempi.it, 9 novembre 2013 Lo ha chiesto il ministro della Pubblica sicurezza: ci sono 678 persone in attesa di esecuzione ed è difficile rifornirsi di agenti chimici per l’iniezione letale. Il Vietnam vuole ricominciare a eseguire le sentenze di pena di morte usando i plotoni di esecuzione. È quanto rivelano oggi i quotidiani di regime vietnamiti, secondo cui il ministro della Pubblica sicurezza, Tran Dai Quang, ha chiesto all’Assemblea nazionale di permettere l’uso della fucilazione almeno fino alla fine del 2015. Il paese comunista aveva vietato questa pratica nel 2011, quando ha deciso di ricorrere all’uccisione dei detenuti attraverso l’iniezione letale per “motivi di umanità”. Ma secondo quanto riportato dai media locali, Hanoi da agosto non riesce più a procurarsi gli agenti chimici necessari all’iniezione letale e per questo il ministro avrebbe chiesto temporaneamente di riprendere la pratica dei plotoni di esecuzione. A fronte di 678 persone che sono attualmente nel braccio della morte in Vietnam, da agosto “solo” sette persone sono state uccise con l’iniezione letale a causa dei problemi indicati. La richiesta del ministro di ricorrere alla fucilazione servirebbe anche a svuotare le carceri, attualmente “sovraffollate” a causa dei ritardi nell’esecuzione delle pene capitali.