Giustizia: sull’indulto meno politica e più scelte competenti di Walter Massa (Presidente di Arci Liguria) La Repubblica, 8 novembre 2013 Oltre le polemiche il Parlamento è chiamato a rendere le nostre prigioni degne di un paese civile Le celle che scoppiano, la maggior parte dei detenuti entrati nelle carceri nel 2011 (76.982) è in attesa di giudizio, mentre soltanto il 10% circa ha una condanna definitiva. Il 25% di questi torna in libertà entro una settimana.” (Fonte dati Istat 2011). Di questi tempi la questione carcere sembra essere oggetto di mera contesa congressuale, o peggio gettata nel fango della contesa politica come una clava per separare i buoni dai cattivi, come se le denunce degli attivisti e dei volontari e i richiami dell’Europa di questi anni fossero carta straccia. Arci, da tempo lo considera, invece, un tema centrale e così abbiamo inteso in questi anni le battaglie sul rispetto della Costituzione fatte insieme alla Comunità di San Benedetto e a Don Andrea Gallo, senza pontificare ma realizzando e condividendo progetti per cercare di migliorare le condizioni di vita, di chi “sta dentro”, di chi è uscito e delle loro famiglie. Provo quindi a proporre alcuni elementi - dalle colonne che hanno ospitato le sempre illuminanti riflessioni del Gallo - prendendo innanzitutto le distanze dallo sciacallaggio mediatico di questi tempi. Con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena, e quindi ai relativi processi, mentre con l’indulto si limita a condonare la pena, in tutto o in parte”. Due cose ben differenti, quindi, contrariamente a quanto si vorrebbe far intendere e questo consentirebbe ai magistrati di dedicarsi ai procedimenti per reati più gravi e con detenuti in carcerazione preventiva. Sempre il messaggio presidenziale ricorda i tredici provvedimenti di amnistia (sola o unitamente all’indulto) emanati tra il 1953 e il 1990, cessati con l’attribuzione al Parlamento della competenza e una maggioranza necessaria dei due terzi, ma anche per una “ostilità agli atti di clemenza” diffusasi nell’opinione pubblica. Ostilità, crediamo noi, orchestrata ad arte e che ha portato il governo Berlusconi a emanare le leggi carcerogene (la Fini-Giovanardi, la Bossi-Fini e la Cirielli per la parte sulla recidiva), a cui fa riferimento in un’intervista il professor Pugiotto, autore nel maggio 2006, di una lettera aperta al Presidente Napolitano, sottoscritta da oltre cento fra costituzionalisti, docenti di diritto penale e Garanti dei detenuti. Certo, in assenza di misure concrete per l’effettivo reinserimento delle persone scarcerate e al loro accompagnamento nel percorso di risocializzazione, il rischio che molti dei beneficiari ritornino dietro le sbarre è alto. Dobbiamo però sottolineare, a proposito dell’indulto del 2006, che dopo 35 mesi la percentuale di detenuti rientrati in carcere era del 30,31% contro il 21,78% di quelli che hanno usufruito di misure alternative. Di questo vorremmo si parlasse e su questi aspetti noi, insieme a tante e tanti, vorremmo dare un contributo in termini di discussione. Ora tocca al Parlamento rendere degne di un paese civile le nostre carceri e far sì che i provvedimenti di clemenza costituiscano il frutto non di compromessi politici ma di una riflessione seria e di scelte competenti. Giustizia: Vìetti (Csm); sì amnistia e indulto, ma accompagnate da misure strutturali di Maria Paola Milanesio Il Mattino, 8 novembre 2013 Più confronto e meno scontro, perché la giustizia non può essere usata come una clava, è questo l’invito che Michele Vietti, vicepresidente del Csm (oggi alle 17.30 a Villa Pignatelli a Napoli per presentare il suo libro “Facciamo giustizia”), rivolge a politica e magistratura. “La giustizia riguarda le regole del gioco e, inevitabilmente, esige il concorso di tutti i giocatori per cambiarle. In un contesto in cui, costretti a coabitare nella stessa squadra, i giocatori mantengono riserve mentali e sospetti reciproci e pensano che lo strumento giudiziario non sia un servizio da rendere al cittadino ma un corpo contundente da usare contro l’avversario, è difficile trovare la convergenza indispensabile per cambiare le regole”. Quanto pesano le ideologie e il contesto politico? “Più che di ideologie, forse è un problema di riflessi condizionati, indotto da una storia in cui, anziché condividere il rispetto per la funzione giurisdizionale e le esigenze di modernizzazione dell’organizzazione giudiziaria, ci si è divisi tra il partito dei giudici e il partito contro i giudici. In questa contrapposizione ci si è fornito un alibi reciproco per non cambiare nulla”. La magistratura e il Csm non hanno responsabilità? “La magistratura deve fare autocritica, liberandosi dalla sindrome dell’assedio ed evitando di cadere nelle provocazioni, nella consapevolezza di avere fatto per la gran parte il proprio dovere ma di dover necessariamente cambiare per evitare che altri la cambino. Il Csm risente inevitabilmente delle modalità della sua composizione. In particolare la legge ha previsto un meccanismo elettorale della componente dei magistrati che, per una curiosa eterogenesi dei fini, ha rafforzato il ruolo delle correnti. Queste componenti nella magistratura sono utili se forniscono un contributo di dialettica culturale e di selezione della classe dirigente, molto meno se si trasformano in centri di potere che operano per cooptazione”. Si lamenta il sovraffollamento delle carceri, ma il 40% dei reclusi è in custodia cautelare... “Il codice di procedura penale ha previsto che le misure cautelari siano adottate solo in casi eccezionali. Ma è un dato di fatto che - anche per effetto della prescrizione che falcidia molti processi - la prassi abbia trasformato il carcere preventivo in uno strumento di espiazione anticipata della pena. Per evitarlo occorre tornare a garantire che i processi accertino definitivamente le responsabilità in un tempo ragionevole. In ogni caso il legislatore ben può, sin da subito, rendere più stringenti i presupposti per l’applicazione della custodia e lare della giustizia una priorità anche in termini di investimenti”. Amnistia e indulto sono risposte efficaci o emozionali? “Il Presidente Napolitano è intervenuto più volte sulle condizioni delle nostre carceri, denunciandone l’invivibilità e invocando rapidi ed efficaci rimedi. Il numero di detenuti è di gran lunga superiore alla capienza dei nostri istituti penitenziari. Pensare ad un intervento straordinario di clemenza è possibile a condizione che, al contempo, si metta mano a riforme strutturali che evitino tra qualche anno di ritrovarci al punto di partenza. La strada è una sola: incrementare le misure alternative alla detenzione”. Che cosa pensa del progetto presentato dal ministro della Giustizia a Strasburgo? “La messa in mora del nostro Paese da parte dell’Europa rende ormai ineludibile un intervento legislativo che modifichi non solo le condizioni di carcerazione ma anche l’intera politica criminale. È un’illusione pensare di rincorrere con la sola edilizia carceraria il problema del sovraffollamento, senza capire che questo è la conseguenza di una precisa scelta legislativa che passa dal costante incremento delle fattispecie di reato al ricorso al carcere come unica sanzione. Se non si cambiano questi due postulati che, nonostante tutte le affermazioni contrarie, sono stati perseguiti dai governi di tutti i colori, è illusorio pensare che “svuota carceri”, amnistie, indulti e cemento armato possano da soli risolvere il problema”. Il ministro Cancellieri, parlando del caso Ligresti, ha detto che sono prevalsi i sentimenti. È comprensibile? “Non tocca a me giudicare. Sul piano umano le va la mia solidarietà. Sul piano istituzionale la separazione dei poteri richiede la leale collaborazione tra le nostre istituzioni e questa non è mai venuta meno”. Il caso Berlusconi. Ci sono i presupposti per la grazia? “La materia è di stretta competenza del capo dello Stato che, nella sua nota di agosto, ha chiarito molto bene i margini di manovra di ciascuno”. Per un leader politico è ipotizzabile un trattamento diverso? “Nelle aule di giustizia sta scritto, non a caso, che “la legge è uguale per tutti”. Il protagonismo di alcuni magistrati deriva anche dalle inchieste che hanno coinvolto il mondo politico: fu un errore abolire l’autorizzazione a procedere? “L’art. 68 della Costituzione rappresentava una guarentigia della politica rispetto ad un indiscriminato sindacato da parte della magistratura. La delegittimazione della politica, che in un Paese come il nostro a basso tasso di legalità ha visto ampiamente contaminata anche la sua classe dirigente, unita all’abuso che di quell’istituto si è fatto, ha trasformato l’autorizzazione a procedere da guarentigia in privilegio intollerabile per la pubblica opinione. Ma la sua abolizione, votata dal Parlamento a furor di popolo, nel medio periodo ha portato ad un’affievolimento della linea di confine tra giustizia e politica. Ne è conseguito, se il riferimento ludico non fosse inappropriato, un gioco permanente di “guardie e ladri”, in cui lo stereotipo del ruolo prevale sull’impianto istituzionale. Un nuovo regolamento dei confini passa inevitabilmente da una corretta riappropriazione dei ruoli”. Giancarlo Caselli ha lasciato Md. Che cosa ne pensa? “Il Procuratore Caselli è stato un protagonista indiscusso della storia giudiziaria di questo Paese e le sue scelte vanno comunque rispettate. La sua posizione nei confronti dei No-Tav è coraggiosa e gli fa onore, come anche l’orgogliosa reazione sul fronte della lotta al terrorismo”. Il Csm ha archiviato la pratica Esposito. Tanto rumore per nulla? “La Prima Commissione non ha ravvisato gli estremi per un trasferimento d’ufficio, anche per non interferire sui profili disciplinari della vicenda che devono ancora essere compiutamente valutati”. Giustizia: Ilaria Cucchi; favorevole all’amnistia, anche se salva carnefici di Stefano 9Colonne, 8 novembre 2013 “Oggi mi trovo a sperare che passino amnistia e indulto. E questo nonostante il fatto che sono consapevole che, con un’amnistia, i colpevoli della morte di mio fratello “la faranno franca”. Da persona che ha a cuore il rispetto dei diritti umani e da donna cattolica, non mi sento di augurare a nessuno la stessa fine, anche se questi sono i carnefici di mio fratello. Queste sono le condizioni in cui mi mette il nostro Stato, che non è in grado di garantire la dignità dei detenuti”. Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano morto nel 2009 mentre era in custodia cautelare, in un’intervista a Intelligo News. “Il problema del carcere - prosegue Cucchi - è principalmente culturale. Qualcuno pensa di poter risolvere il sovraffollamento con la realizzazione di nuove carceri. Le nostre carceri sono una realtà disumana nel disinteresse generale. Basterebbe cambiare questo, insieme ai motivi per cui si manda la gente in carcere. La realtà è che le nostre carceri sono strapiene di derelitti umani che non ci dovrebbero stare, che sono finiti lì grazie a leggi criminali come la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini. Mi auguro che ci si decida finalmente ad abrogarle”. Giustizia: Manconi (Pd); un’interrogazione al ministro, per chiarire ultime morti in carcere Adnkronos, 8 novembre 2013 “Presenterò oggi stesso un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia affinché vengano chiarite le circostanze in cui è avvenuta la morte di due detenuti nelle carceri di Roma Regina Coeli e di Trento”. Lo scrive in una nota il presidente Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi. “Danilo Orlandi, 31 anni, è morto nel mese di giugno 2013 nel carcere romano e solo oggi sono stati resi noti i risultati dell’autopsia: le cause della morte sarebbero da ricondurre a una polmonite non diagnosticata che sarebbe stata curata con una semplice aspirina -si legge nella nota-. Inoltre gli esami tossicologici hanno evidenziato una presenza non spiegata di benzodiazepine”. “Il ventottenne deceduto nel penitenziario di Trento è stato trovato privo di sensi il 29 ottobre 2013 dai compagni di cella. L’uomo, che in carcere era sottoposto a terapia di metadone a scalare, secondo il medico di guardia è morto per un “arresto cardiaco”, ma la procura, a tutt’oggi, ha respinto le richieste di effettuare un’autopsia”, continua Manconi. “Al di là di eventuali altre responsabilità che vanno immediatamente verificate perché sia fugato ogni dubbio sulle circostanze di questi decessi, quanto accaduto ci parla della drammatica situazione dell’assistenza sanitaria in carcere - prosegue Manconi. Basti ricordare, tra i mille scandalosi casi, quello di Brian Gaetano Bottigliero, del quale è stata respinta la richiesta di scarcerazione nonostante il suo peso corporeo in due anni di detenzione sia sceso dagli ottantatrè ai sessantatrè chili. Bottigliero, che per mesi denunciava dolori e malesseri, mai è stato visitato e, dopo i trattamenti assolutamente inadeguati ricevuti e la carcerazione in luogo non idoneo, la diagnosi dell’ottobre 2013 rileva una ‘insufficienza renale cronicà dalla quale, ormai, è impossibile guarire del tutto. La decisione di non scarcerare il ventiquattrenne -sottolinea infine il senatore- sottoposto a dialisi ormai tre volte la settimana discende dal fatto che, a parere del giudice, sussiste un “pericolo di fuga”“. Giustizia: Renzi (Pd) sul caso Cancellieri; avrebbe fatto un servizio al Pese dimettendosi Il Mattino, 8 novembre 2013 La Cancellieri “avrebbe fatto un servizio al Paese dimettendosi”. Lo dice a “Servizio Pubblico” Matteo Renzi, spiegando che “è inaccettabile che sia andata a finire così” e aggiungendo: “se fossi stato il segretario del Pd, avrei chiesto le dimissioni”. “Non indigna la telefonata in cui” il ministro Cancellieri “si preoccupa di Giulia Ligresti, perché se riceve una segnalazione di un problema reale, il problema non si pone. Mi scandalizza che il ministro della giustizia dica alla compagna dell’arrestato, che” l’arresto “non è giusto, non va bene”. “Il tema dell’emergenza carceraria è serio e affrontarlo partendo solo dall’amnistia e dall’indulto è inaccettabile” perché la politica carceraria “non si fa liberando con uno spot demagogico per un anno” le persone ma “facendo qualcosa sulla Bossi-Fini o la Fini-Giovanardi”. “La vicenda del ministro Cancellieri è emblematica. Se il ministro, che probabilmente è una persona per bene, avesse capito che era il momento di dare un segnale e fare passo indietro” sarebbe stato meglio ma ora “il Pd deve fare una solenne promessa che di fronte alle regole del mondo dell’economia la politica non è più succube, non è più succube agli interessi delle famiglie e degli amici degli amici ma prova a fare un percorso in cui legge è uguale per tutti”. “Dentro il gruppo Pd si decide insieme, un gioco democratico che oggi fa soltanto il Pd”, per “gestire anche opinioni diverse”. Matteo Renzi risponde così, poi, a chi gli domanda se i renziani sarebbero disposti a votare la mozione di sfiducia dei grillini al ministro Cancellieri. “In un gruppo si decide la linea, chi la pensa come me dirà quello che pensa”, sottolinea. “Non credo che” nel caso Cancellieri “il problema sia semplicemente come vota il Pd sulle dimissioni. Se anche il Pd vota per la mozione di sfiducia ma non elimina l’intreccio con l’economia e resta subalterno è morto”. “O la politica dà la linea - aggiunge - o se è subalterna allora anche votare le dimissioni del Papa non cambia nulla”. Elezioni anticipate. Andare a elezioni anticipate “non sarebbe una catastrofe ma non credo che avverrà, non credo sia il caso”. Se eletto alla segreteria del Pd, la settimana successiva alle primarie il primo appuntamento di Matteo Renzi sarà una visita “nella Terra dei fuochi”, per “dire: noi non stiamo nei nostri circoli ma affrontiamo” i problemi reali. Renzi sul caso Alitalia. “Non si può dire che” su Alitalia “non è colpa di Berlusconi, ma della Cgil. Berlusconi ogni volta dà la colpa ad altri, ma ha fallito lui perché non ha fatto le cose, non perché c’erano gli altri a ostacolarlo”. Lungo botta e risposta poi il candidato alla segreteria del Pd Matteo Renzi e il direttore di Libero Maurizio Belpietro. Renzi ricostruisce la vicenda di Alitalia, ma Belpietro lo punzecchia e difende Silvio Berlusconi, di cui il sindaco di Firenze evidenzia le responsabilità. “Alitalia il governo Prodi voleva darla ai francesi nel 2008. Per me era un errore darla ai francesi. Bisognava andare verso i russi, il far east. Ma comunque Berlusconi bloccò l’operazione in nome della italianità”, spiega Renzi. Ma Belpietro lo interrompe, spiegando che a bloccare l’operazione è stata la Cgil. “L’operazione Alitalia l’ha fatta la Camusso d’accordo con Berlusconi...”, scherza. “Lei non lo sa”, replica Belpietro. “Sa tutto lei”, risponde Renzi. Che non perde la pazienza e si concede una battuta: “Tutto avrei immaginato che parlar bene della Cgil, cosa che non farò. Ma la responsabilità politica ce l’aveva Berlusconi, non la Camusso”. “Il 2014 è l’anno in cui capiamo se in Parlamento c’è il bluff: si è parlato per anni di riforme, il Pd ha una maggioranza schiacciante alla Camera e relativa al Senato: se ha gli attributi in questo 2014 incalzi la maggioranza parlamentare per vedere se le cose si fanno o no”. “Il governo doveva fare la riforma della legge elettorale, sono tre anni, anche quando c’era Monti, che dicono che è urgentissima”, sottolinea Matteo Renzi. “Ora i gruppi in Parlamento hanno l’occasione di fare una legge elettorale dove chi arriva primo vince e al massimo per decidere chi vince si fa il ballottaggio, senza fare inciuci”. Giustizia: 20 centesimi al giorno per riabilitazione detenuti, un convegno per discuterne 9Colonne, 8 novembre 2013 Per ogni detenuto si spendono, per tre pasti al giorno, meno di 4 euro, e per le attività trattamentali e rieducative la spesa prevede meno di 20 centesimi. Negli ultimi dieci anni, a fronte dell’aumento della popolazione nelle carceri italiane, si ha una costante erosione delle risorse a disposizione, mentre proprio a causa del sovraffollamento e delle inumane condizioni di vita intramurarie l’Italia sarà costretta dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo a indennizzare i detenuti che vi hanno fatto ricorso. Questi e altri dati saranno commentati e approfonditi in occasione del 46.mo convegno nazionale del Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario), che si tiene oggi e domani a Roma e dedicato al tema “I costi del carcere”. I lavori avranno inizio questa mattina presso il carcere di Regina Coeli dove si parlerà dei “Costi (umani) del carcere”. Si sposteranno poi nel pomeriggio all’Istituto Maria Bambina per approfondire il tema “Dal sociale al penale, senza ritorno” dove riprenderanno domani mattina con “Le cifre della reclusione e dell’esclusione tra crisi dei diritti e impegno socialè. Interverranno, tra gli altri, Ignazio Marino, sindaco di Roma, Luisa Prodi, presidente del Seac; Giovanni Tamburino, capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria; Mauro Mariani, direttore del carcere di Regina Coeli, Vittorio Trani, cappellano del carcere di Regina Coeli; Roberto Rossi, componente Csm; Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, Alberto Bellet, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, Giorgio Pighi, sindaco di Modena, oltre a giuristi ed esperti. Lazio: Fp-Cgil; gli Uepe vicini al tracollo, per misure alternative servono investimenti Ansa, 8 novembre 2013 “La Fp-Cgil di Roma e Lazio raccoglie l’appello dei lavoratori dell’Uepe (Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna) di Roma e denuncia la situazione prossima al tracollo”. È l’allarme lanciato in una nota da Fiorella Puglia, segretaria Fp-Cgil Roma e Lazio che aggiunge: “Se si vuole diminuire l’utilizzo della carcerazione e riportare a livelli umani e sostenibili la presenza dei detenuti nelle carceri, bisogna investire prioritariamente sulle misure alternative”. “Gli Uepe si occupano delle misure alternative alla detenzione - ricorda Puglia, sono Uffici di alto valore sociale e, alla luce del disumano sovraffollamento delle nostre carceri, rappresentano un pilastro fondamentale per un nuovo sistema carcerario. Gli assistenti sociali che lavorano in questi uffici del Lazio lamentano una condizione drammatica a causa della grave carenza di organico, di risorse economiche e di mezzi, con un carico di lavoro enorme, ormai insostenibile, conseguenza dei continui tagli operati nel tempo ai servizi pubblici”. La sindacalista riporta “qualche numero: a giugno 2013 nel Lazio si registra una carenza di 57 unità (60 assistenti sociali su una previsione di 117); parallelamente a livello nazionale vengono proposti tagli alle piante organiche del 35% per gli assistenti sociali e del 27% per gli educatori, tagli che sanciscono un ritorno indietro di almeno 15 anni per le due figure cardine dell’area trattamentale. E poi i tagli alle risorse economiche. Sono anni che l’amministrazione penitenziaria non destina risorse e personale agli Uepe. Si tratta di tagli delle risorse fondamentali allo svolgimento del lavoro: indisponibilità delle auto di servizio, carenza delle dotazioni informatiche, abolizione delle indennità di trasferta, problemi per i rimborsi spese, persino per i trasporti pubblici. L’ultimo concorso per assistenti sociali al Ministero della Giustizia risale a ben 15 anni fa”. Abruzzo: presentata la prima Carta dei servizi per l’assistenza sanitaria in carcere www.chietitoday.it, 8 novembre 2013 Presentata la carta che tutela il diritto alla salute dei detenuti. I servizi di medicina penitenziaria della Asl Lanciano Vasto Chieti riguardano 594 persone in provincia di Chieti. Tutto quello che è utile sapere per curarsi in carcere. Per la prima volta in Abruzzo l’assistenza sanitaria alla popolazione detenuta viene messa nero su bianco, grazie alla Carta dei servizi redatta dall’Unità operativa di Medicina penitenziaria della Asl Lanciano Vasto Chieti. Una guida agile, chiara e puntuale, realizzata per facilitare l’accesso alle prestazioni sanitarie assicurate a chi sconta una pena detentiva presso gli istituti di Lanciano, Vasto e Chieti. È stata presentata questa mattina presso la Casa Circondariale di Lanciano con Lucia Avantaggiato, Direttore dell’Istituto penitenziario, Francesco Zavattaro, Direttore generale della Asl, Francescopaolo Saraceni, responsabile dell’unità operativa di Medicina penitenziaria della Asl, Bruna Brunetti, Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria Abruzzo-Molise, e Luigi De Fanis, Assessore regionale alla Prevenzione. Il documento formalizza l’impegno dell’Azienda a mantenere uno standard assistenziale all’interno dei penitenziari, declinando le modalità di accesso alle prestazioni, fin dal momento dell’ingresso in istituto, con l’accertamento dello stato di salute in generale e l’apertura del diario clinico che accompagnerà il detenuto in ogni spostamento, anche se trasferito in altre strutture. Diverse le branche specialistiche disponibili nei tre istituti secondo un calendario diversificato, dalla cardiologia alla dermatologia, all’odontoiatria, all’oculistica, psichiatria, chirurgia, malattie infettive. In ciascuna struttura è assicurato quotidianamente il servizio di medicina generale, con copertura oraria tra le 12 e le 24 ore, mentre l’assistenza infermieristica è continuativa nelle 24 ore. A completare l’offerta, altre tre aree tematiche sulle quali si sviluppa l’attività sanitaria all’interno del carcere: tutela della salute mentale, dipendenze patologiche e prevenzione. I servizi di medicina penitenziaria della Asl Lanciano Vasto Chieti riguardano una popolazione carceraria di 594 unità, cosi distribuiti: 282 a Lanciano, 193 a Vasto, e 119 a Chieti, di cui 23 sono donne. La fascia d’età più rappresentata è tra 25 e 59 anni, equamente distribuita nei tre istituti, mentre 158 sono i detenuti con problemi di dipendenza e 13 i sieropositivi. Il report di attività relativo al 2012 dell’unità operativa di Medicina penitenziaria pone ai primi posti la psichiatria e l’odontoiatria tra le discipline più richieste, seguita da cardiologia, dermatologia e malattie infettive. Emilia Romagna: Garante Desi Bruno; affidare le riqualificazioni delle carceri ai detenuti Redattore Sociale, 8 novembre 2013 “Affidare le riqualificazioni delle carceri ai detenuti, per risolvere al tempo stesso il problema delle difficili opportunità di lavoro e delle strutture fatiscenti”. È questa la proposta del garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, ospite all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano del convegno “Lavorare per una pena utile. Fare impresa con i detenuti”, moderato dal garante piacentino Alberto Gromi. I detenuti in Emilia Romagna sono 64mila persone, di questi 38mila sono detenuti effettivi, gli altri sono in custodia cautelare. I detenuti che lavorano sono solo 13mila. “Sono numeri bassissimi, soprattutto perché lavorano a turnazione e non in maniera continuativa - spiega la Bruno -. La situazione complessiva non aiuta a migliorare la situazione: ci sono liste, all’interno del carcere, dedicate a lavori generici e a lavori invece specializzati. Le persone iscritte sono tantissime e tutte in gravi condizioni di disagio, quindi diventa difficile riuscire ad accontentare tutti, anche con rotazioni di pochi giorni”. “Affidare le ristrutturazioni delle carceri ai detenuti stessi sarebbe una cosa sacrosanta. All’interno delle carceri sono presenti delle squadre di manutenzione, che possono essere supportate e integrate dai detenuti” continua. “Non si tratta di lavoro forzato, perché le persone sarebbero pagate per il lavoro svolto, come prevede la nostra stessa legislazione”. Su questo punto interviene anche il garante dei detenuti di Piacenza, Alberto Gromi. “Mi ha contattato ieri la preside della scuola delle Novate, dicendomi che sono stati costretti a sgomberare le aule, perché inondate dall’acqua delle docce sovrastanti. Questo la dice lunga sullo stato di fatiscenza del carcere di Piacenza, dove è stata spesa una somma ingente per il nuovo padiglione”. Sardegna: contributi per progetti di accoglienza e inclusione sociale dei detenuti www.regione.sardegna.it, 8 novembre 2013 Pubblicato l’avviso per la concessione dei contributi in favore delle associazioni e cooperative per azioni finalizzate a sostenere la presa in carico delle persone soggette a provvedimenti penali (detenuti, ex detenuti e soggetti a misure alternative) attraverso l’attuazione di percorsi riabilitativi e di interventi alternativi alla detenzione. Le associazioni e le cooperative sociali o loro consorzi dovranno essere regolarmente iscritte al registro generale del volontariato o all’albo regionale delle cooperative sociali, istituiti presso la Regione, avere sede operativa in Sardegna e operare nell’ambito dell’accoglienza e dell’inclusione sociale e socio lavorativa di persone sottoposte a misure restrittive e in favore di minori entrati nel circuito penale con prescrizioni a carico. In particolare, questi i destinatari delle azioni: soggetti adulti che si trovano: in esecuzione penale interna con possibilità di ammissione al lavoro all’esterno o alle misure alternative alla detenzione; in esecuzione penale esterna o sottoposti a misura di sicurezza non detentiva e soggetti che hanno concluso l’esperienza di esecuzione penale sia detentiva che non o una misura di sicurezza non detentiva, da non più di cinque anni; minori sottoposti a provvedimenti penali e a misure di sicurezza non detentiva nonché i fuoriusciti dal circuito penale da non più di due anni. I progetti dovranno essere presentati entro il 29 novembre 2013 a mano, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o agenzia di recapito autorizzata al seguente indirizzo: Assessorato regionale dell’Igiene e Sanità e dell’Assistenza Sociale - Direzione generale delle politiche sociali. Servizio programmazione ed integrazione sociale. Via Roma, 253 - 09123 Cagliari. Lazio: Sandro Spriano, Cappellano di Rebibbia, è il nuovo presidente della CRVG Ristretti Orizzonti, 8 novembre 2013 Sandro Spriano, da 24 anni cappellano del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, ha offerto la sua disponibilità all’incarico di presidente della Conferenza regionale del Lazio, immediatamente votata all’unanimità. Persona di grandissima esperienza, da sempre in prima fila nelle battaglie e le azioni a sostegno dei diritti e della dignità delle persone in carcere, riveste anche la carica di responsabile dell’area carcere della Caritas di Roma e di delegato regionale per i cappellani del carcere per il Lazio. Insieme alla soddisfazione per la sua elezione, le associazioni presenti hanno espresso la volontà e la necessità di lavorare in rete, particolarmente in questo momento così difficile per le condizioni delle persone detenute. Piemonte: dalla Compagnia di San Paolo 1,3 mln per 39 progetti a favore dei detenuti Adnkronos, 8 novembre 2013 Sono 39 i progetti dedicati ai carcerati e alle loro famiglie che nel 2014 beneficeranno del sostegno della Compagnia di San Paolo con risorse complessive pari a 1,3 milioni di euro. Selezionati tra 88 richieste pervenute dai tredici istituti penitenziari del Piemonte e di Genova, i progetti sono orientati prevalentemente all’inserimento sociale e lavorativo dei detenuti in uscita dal carcere, alla promozione ed educazione al lavoro e al miglioramento della qualità della vita in carcere. “Le Linee guida deliberate dalla Compagnia ad aprile 2013 trovano oggi uno sbocco concreto nell’approvazione dei progetti che nel 2014 troveranno effettiva applicazione -ha spiegato Piero Gastaldo, segretario generale della Compagnia di San Paolo- non a caso abbiamo attribuito alle Linee il nome di “Progetto Libero”, a conferma dell’impegno prioritario verso il recupero dell’autonomia e di una qualità di vita accettabile per i detenuti e per le loro famiglie, in un contesto progettuale che offre una metodologia di selezione più razionale e strutturata”. Lavoro, sport, ascolto, formazione, benessere, creatività, cittadinanza, esigenze primarie, genitorialità e famiglia, oltre a lavori di ristrutturazione dei locali sono i principali ambiti in cui si svolgono i progetti che beneficeranno dei contributi. Novità delle Linee guida 2013 è la definizione di due differenti sezioni. La prima interessa i progetti di reinserimento sociale e lavorativo, per esempio progetti di economia carceraria legati al tema dell’occupazione e della formazione professionale (assunzioni, tirocini, voucher) e per il superamento di problemi legati alla condizione abitativa. In questa sezione sono stati ammessi progetti richiedenti un contributo complessivo massimo di 150mila euro. La seconda sezione riguarda i progetti di assistenza e socializzazione dei detenuti, per esempio orientati al miglioramento della qualità della vita carceraria, alla promozione di attività culturali, formative e socializzanti dei detenuti, al sostegno psicologico ed educativo, al sostegno alla genitorialità, alla mediazione culturale, alla riqualificazione e rifunzionalizzazione di spazi, alla formazione degli operatori. Per i progetti di questa sezione, la cui durata massima è di dodici mesi, è fissato un contributo massimo di 35mila euro. Trento: l’appello di una madre “mio figlio morto in carcere, adesso voglio la verità” Il Trentino, 8 novembre 2013 Lettera di una mamma: “Aveva 28 anni, doveva scontare 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale. Come è stato possibile?”. La Procura di Trento: morte naturale, nessun reato. In carcere si continua a morire, anche quando il detenuto è “ospite” di una struttura modello come quella di Spini di Gardolo. Il decesso risale alla settimana scorsa e ora la madre del giovane - 28 anni con problemi di tossicodipendenza, era stato incarcerato a luglio, e stava scontando quattro mesi per resistenza a pubblico ufficiale - chiede trasparenza. “Voglio tutta la verità sulle cause della morte in carcere di mio figlio” dice la donna, che non si dà pace: suo figlio doveva essere scarcerato alla fine di novembre. A quanto risulta dal certificato di morte, il giovane sarebbe deceduto per cause naturali. “La mattina del 29 ottobre, alle 6 circa, i compagni di cella lo hanno trovato in bagno privo di sensi. Hanno chiamato gli agenti penitenziari, poi è intervenuto il 118, ma non sono riusciti a rianimarlo. Il medico di guardia ha certificato che le cause del decesso sono attribuibili a un “arresto cardiaco”. Mio figlio aveva solo 28 anni e avrebbe terminato la condanna a fine novembre. Soffriva di problemi di tossicodipendenza e per curarsi aveva già trascorso 3 anni in una Comunità Terapeutica, in carcere gli è stato somministrato del metadone con “terapia a scalare”. Non aveva altri problemi di salute. Come può essere morto, improvvisamente, per “cause naturali”? Vorrei una risposta a questi dubbi, per questo ho chiesto tramite un avvocato che la Procura disponesse l’autopsia. Ma oggi è arrivata la comunicazione che il pm ha respinto la nostra richiesta e allora ho deciso di rivolgermi ai media. Voglio conoscere fino in fondo la verità: perché un ragazzo, entrato sano in una struttura preposta alla “custodia” delle persone, dopo tre mesi ne è uscito senza vita? Il pm Amato: ci sono elementi per sospetto di reato “Il medico ha accertato la morte per cause naturali, dunque non ci sono elementi per configurare un sospetto di reato, nemmeno con ciò che è stato ricostruito con la polizia penitenziaria”. Così il procuratore capo di Trento, Giuseppe Amato, interpellato in seguito all’appello della madre del giovane detenuto, spiega le ragioni per cui la magistratura non ha potuto accogliere la richiesta di disporre l’autopsia. “La vicenda - ha aggiunto Amato - è stata seguita dal magistrato di turno (Carmine Russo, ndr.), che poi mi ha trasmesso il fascicolo, come di prassi. Ho ricevuto i difensori e ne ho parlato ampiamente, dicendo che non essendoci sospetto di reato, se la famiglia ha un dubbio, è liberissimi di svolgere accertamenti autonomi. Ho rappresentato loro ciò che potrebbero fare e lo dice il Codice stesso. Ma deve essere chiaro - ha sottolineato il procuratore capo - che il loro dubbio non comporta l’automatismo dell’intervento della magistratura. A meno che abbiano elementi per poterlo sostenere. In questo caso però non ci sono denunce, né testimonianze, né documentazione in proposito, né altro elemento”. “Stiamo parlando - ha concluso Amato - del miglior carcere d’Italia, in cui finora non ci sono state problematiche” Civico (Pd): richiesta legittima della madre “É competenza del procuratore decidere sulla richiesta di autopsia. Prendo atto della sua decisione e le rispetto, ma non posso non rilevare che c’è un problema di custodia del corpo”. Mattia Civico (Pd) ieri ha avuto un prolungato incontro con il dottor Claudio Ramponi responsabile dell’unità di medicina penitenziaria, e Domenico Gorla, comandante della polizia penitenziaria in servizio a Spini di Gardolo, per acquisire tutte informazioni del caso del giovane morto in carcere. “Quando un detenuto è ristretto in cella, e ne esce morto - argomenta Civico -, è comprensibile la richiesta dei genitori di avere la chiarezza più assoluta affinché non permanga alcuna traccia di dubbio sul tragico caso in questione. Pur non mettendo in dubbio né la perizia medica né la decisione del procuratore, un ragazzo di 28 ani che muore in carcere, dove il mantenimento in vita della persona ristretta è responsabilità dell’amministrazione penitenziaria, è un fatto drammatico in cui la chiarezza tutela anche la stessa istituzione penitenziaria. La famiglia può comunque procedere alla richiesta di autopsia, assumendosene le spese. La politica - allarga le braccia Civico - non può intervenire, ma comprendo la richiesta chiarezza della famiglia: sull’accaduto non deve esserci alcuna ombra”. Secondo Civico “non mi pare ci siano profili di responsabilità di terzi, né sull’intervento d’emergenza. Resta però il fatto oggettivo e drammatico di un giovane che entra in carcere e ne esce morto. Il ragazzo - conclude Civico - era ai domiciliari quando gli è stata revocata la misura alternativa per riportarlo in carcere. Va aperta una riflessione dal punto di vista della responsabilità collettiva. Servirebbe uno sguardo più attento e costante non solo a ciò che accade dentro il carcere, ma anche a chi ci vive o, come in questo caso, vi smette di vivere. Mi chiedo se sia il carcere l’unico luogo in cui scontare la pena o attendere il giudizio definitivo”. Sinappe: morte detenuto, no sanitari di notte “Nonostante una presenza di circa 300 detenuti, nel carcere di Spini di Gardolo a Trento non c’è un medico o semplicemente un infermiere in servizio nella fascia oraria che va dalle ore 21 alle ore 7”. Lo afferma il segretario provinciale del sindacato di polizia penitenziaria Sinappe, Andrea Mazzarese, a proposito della morte il 29 ottobre scorso di un detenuto di 28 anni dovuta, secondo quanto certificato dal medico di guardia, ad un arresto cardiaco, e per la quale la madre del giovane ha chiesto ulteriori chiarimenti. Il Sinappe precisa che il decesso risulta si sia verificato alle ore 6.15 e che “il personale di Polizia penitenziaria, dal momento in cui è stato allertato dai compagni di camera del detenuto deceduto, ha messo in atto celermente con professionalità tutte le attività previste per richiedere l’intervento del medico della guardia medica”. “Dire adesso che con un intervento immediato del personale medico, se presente in istituto, il detenuto si sarebbe salvato è ipocrisia, ma comunque aumenta sicuramente le possibilità di salvare delle vite”, aggiunge Mazzarese che afferma di “comprendere la battaglia della madre alla ricerca dei tanti perché”. Cremona: aperto un nuovo padiglione detentivo, ma il carcere rimane sovraffollato di Daniele Rescaglio Il Giorno, 8 novembre 2013 L’apertura del nuovo padiglione non risolve la questione del cronico sovraffollamento della casa circondariale di Cà del Ferro che ospita circa duecento persone in più rispetto alla capienza prevista. È stato aperto il nuovo padiglione del carcere di Cremona. Alcuni detenuti, poco più di una decina, sono stati trasferiti da Mantova a Cremona, altri ne stanno arrivando così come era stato previsto. Ma l’arrivo dei detenuti non significa che qualcosa sia cambiato all’interno della casa circondariale, anzi i problemi sul tappeto rimangono ancora tutti da risolvere, come del resto hanno più volte sottolineato le organizzazioni sindacali che rappresentano i lavoratori. L’apertura del nuovo padiglione non risolve la questione del cronico sovraffollamento della casa circondariale di Cà del Ferro, che oggi ospita circa duecento persone in più rispetto a quella che sarebbe la capienza prevista. Inoltre la i detenuti che arriveranno a Cremona, in particolare da Mantova e San Vittore, sono “comuni giudicabili”, il che significa che spesso dovranno partecipare ad udienze in tribunali diversi da quello di Cremona con un aggravio di lavoro per il personale in servizio. Se si aggiunge poi che il parco mezzi in dotazione al personale della polizia penitenziaria di Cremona è molto vecchio e, in parte, fermo per guasti, la situazione si complica ulteriormente. Secondo calcoli fatti da Sel, il partito che in questi mesi ha seguito molto da vicino la questione del carcere di Cremona, potrebbero arrivare fino a duecento i detenuti ospitati nel nuovo padiglione. Se così fosse la situazione rischierebbe davvero di diventare esplosiva. Le guardie carcerarie in servizio a Cremona sono duecento circa. Tuttavia di queste una ventina sono impegnate presso altre amministrazioni. Infine la necessità di nuovi educatori, figure ritenute indispensabili per aiutare i detenuti. Arezzo: Corleone (Garante); carcere in abbandono, scandaloso affronto per la regione www.gonews.it, 8 novembre 2013 Il garante regionale dei diritti dei detenuti ha condotto un sopralluogo: “Condizioni fatiscenti mentre le altre carceri soffrono il sovraffollamento”. “Investirò della questione il Dipartimento amministrazione penitenziaria ed il commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. La Toscana non merita questo affronto, tenendo conto che il carcere di Arezzo aveva una vitalità testimoniata dall’impegno degli operatori dell’istituto e anche dalla presenza dell’attività teatrale del regista Pedullà”. È quanto dichiara il garante regionale dei detenuti della Regione Toscana, Franco Corleone, che oggi ha compiuto la seconda visita agli istituti toscani, ad Arezzo appunto. Al termine del sopralluogo, condotto col direttore dell’istituto Paolo Basco, il garante ha dichiarato: “Siamo di fronte ad uno scandalo ciclopico. Un carcere funzionante è stato chiuso nel 2010 per un progetto di ristrutturazione che non è mai arrivato a compimento. Tutti i detenuti furono sfollati ed i lavori avviati giusto il tempo di rendere di fatto inagibile la struttura”. Nelle parole di Corleone la storia della struttura “abbandonata e che versa in condizioni fatiscenti; i tre piani del principale corpo detentivo sono stati lasciati dall’impresa fallita, e ora le finestre sono state divelte e si cammina tra macerie, stanze allagate e cadaveri di piccioni. In una condizione di sovraffollamento come l’attuale è stato un delitto impostare una ristrutturazione in questi termini, ma ora è un crimine vero e proprio l’abbandono dei lavori”. Ad oggi la capienza effettiva dell’istituto è di 32 posti, di cui 14 riservati ai collaboratori di giustizia, nonostante i dati ufficiali del Dap continuino a parlare di una capienza regolamentare di 103 posti. I presenti sono oggi 29. Continua Corleone: “Il turn over è molto elevato e abbiamo incontrato vicende umane molto gravi, ci sono persone in carcere per reati bagatellari, con pene brevissime e per fatti molto risalenti nel tempo, che non riescono ad uscire in misura alternativa”. Si segnalano poi gravi difficoltà relative all’organizzazione sanitaria. Dalle 16 in poi in istituto non è garantita la presenza di un medico, nemmeno su chiamata. Padova: Sappe; assistente capo Polizia penitenziaria tenta suicidio, è in coma irreversibile Adnkronos, 8 novembre 2013 Un assistente capo della polizia penitenziaria in servizio alla casa di reclusione di Padova ha tentato il suicidio questa mattina nella propria abitazione nel vicentino, dopo aver accompagnato la figlia alla scuola materna. Lo riferisce in una nota il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). “Il collega, originario di Pompei e con 23 anni di servizio, è in coma irreversibile - fa sapere il segretario generale del Sappe, Donato Capece - i medici stanno valutando se dichiararne la morte cerebrale”. “Sposato, con una figlia di 5 anni, viveva in provincia di Vicenza ed era rientrato in servizio dopo un periodo di malattia per problemi depressivi. Speriamo in un miracolo - auspica Capece - ma la situazione è estremamente critica e siamo tutti sconvolti”. “I baschi azzurri della penitenziaria - prosegue il segretario del Sappe - sono costantemente esposti a situazioni di stress”. “In molte realtà istituzionali - ritiene Capece - si tiene in grande considerazione il benessere psicofisico dei collaboratori che oltre a migliorare la qualità di vita del singolo, migliorano la qualità di vita e di lavoro interna all’istituzione stessa. Non così da parte dell’amministrazione penitenziaria, che è colpevolmente silente su questa criticità”. “Per questo - dichiara Capece - rinnovo l’appello al ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, perché avvicendi il capo del Dap, Giovanni Tamburino, dalla guida dell’amministrazione penitenziaria: perché - continua Capece - non si può continuare a rimanere insensibili verso i disagi quotidiani che affrontano i poliziotti penitenziari. Poliziotti - conclude - demotivati, stressati e spesso abbandonati a loro stessi, con i loro disagi ed i loro problemi”. Cuneo: tentò il suicidio bevendo detersivo, condannato per minacce a pubblico ufficiale www.targatocn.it, 8 novembre 2013 “L’ho chiesto quattro volte. Non potevo fare i colloqui con i parenti perché tutta la mia famiglia (padre, madre e la sorella. ndr) sono detenuti. Volevo essere trasferito nel carcere vicino ai miei genitori”. Sarebbe stato questo il motivo per cui un uomo nel giugno 2011 aveva minacciato agli agenti di polizia penitenziaria di uccidersi. E aveva anche tentato di farlo, bevendo detersivo e procurandosi un taglio con la lametta all’avambraccio. Questa mattina il detenuto, un italiano, è stato condannato dal tribunale di Cuneo per minacce a pubblico ufficiale, per costringerli a compiere un atto nel loro servizio, a sei mesi di reclusione, pena sostituita con 45mila euro di multa. L’imputato era in cella d’isolamento nella casa circondariale di Cerialdo per motivi disciplinari, da una decina di giorni. Un’agente ha spiegato che l’uomo “Era in stato di agitazione, reclamava dei vestiti che erano nella precedente cella, e disse che se non gliele portavano entro 10 minuti si sarebbe provocato tagli e avrebbe bevuto detersivo”. Poco tempo dopo il detenuto mette in atto quanto minacciato: “Era steso a terra, con il sangue che usciva da avambraccio e ho chiamato subito il medico”. Prima del gesto autolesionistico, aveva inserito nella toppa della cella della sostanza in modo impedire che gli agenti potessero ritornare nella sua cella: “Non volevo che entrassero, allora ho fatto tutto questo così poi mi portavano in infermeria. È stata una protesta perché volevo parlare col direttore”. La difesa, sostenendo l’assoluzione per legittima difesa, ha replicato che il detenuto avrebbe avuto paura vedendo più agenti fuori dalla porta. In più si trovava “Dentro una cella in uno stato degradante e pericoloso dal punto di vista psicologico, ed è quindi possibile che si sia sentito minacciato”. Trani: un corso per aiutare i detenuti a reinserirsi nel mercato del lavoro www.coratolive.it, 8 novembre 2013 L’iniziativa è stata proposta dall’associazione coratina “Tradizione e progresso” ai detenuti della casa circondariale di Trani. Un corso per aiutare chi è in carcere a conoscere il mercato del lavoro e affrontare il modo consapevole la ricerca di nuove opportunità. L’iniziativa è stata proposta dall’associazione coratina “Tradizione e progresso” ai detenuti della casa circondariale di Trani. “In linea con le attività di volontariato dell’associazione - spiega il presidente Giuseppe Cannillo - abbiamo deciso di dedicare la nostra attenzione ai detenuti di Trani proponendo loro una serie di incontri sulle tematiche del lavoro”. La ricerca di una occupazione crea spesso difficoltà, tanto più chi lascia gli istituti di pena avendo da tempo perso ogni contatto con gli ambienti produttivi. “L’associazione - precisa Cannillo - ha voluto dare ai detenuti la possibilità di guardare al futuro con uno sguardo diverso. Con il corso intitolato “Informatore del territorio”, abbiamo concentrato l’attenzione sulla necessità di specializzarsi nel settore d’elezione, imparando a guardare comunque in direzioni molteplici per cogliere nuove opportunità. Gli incontri sono stati condotti dagli esperti Aldo Ventura, Savino Mastrapasqua e Aldo Fiore. Sono state evidenziate le principali caratteristiche ambientali, artistiche ed agroalimentari del nostro territorio nella speranza di offrire agli utenti informazioni e conoscenze utili nei settori in evoluzione quali turismo, agroalimentare e tempo libero. Doverosi i ringraziamenti al personale del carcere, disponibile e collaborativo: in particolare il direttore Bolumetti, gli operatori A. B. Piarulli, V. Paccione e E. Pellegrini”. Agrigento: sovraffollamento nelle celle, sit-in di protesta davanti al carcere Petrusa di Domenico Vecchio Quotidiano di Sicilia, 8 novembre 2013 Il sit-in, che da qui nei prossimi giorni si sposterà davanti ad altri istituti penitenziari dell’Isola, è soprattutto una proposta ai Parlamentari. “Indulto e amnistia subito”. L’accorato appello parte dai Carcere Petrusa di Agrigento e presto farà il giro della Sicilia. La situazione è al collasso e in una struttura di duecento posti, sono reclusi quattrocento cinquanta detenuti di cui venti donne e il 35% extracomunitari. “In celle di appena 8 metri quadrati, compreso il bagno, sono costretti a convivere tre persone”. Sono i dati in possesso dell’Associazione Autonomie delle libertà di Agrigento e il Centro Studi Pedagogicamente che ieri mattina hanno tenuto una manifestazione dinanzi il cancello principale del Carcere di Agrigento. Al loro fianco i parenti dei detenuti che ogni otto giorni si mettono in fila per il “colloquio”. “Aspettiamo ore -dicono - prima di poter riabbracciare per pochi minuti i nostri cari. Fuori non ci sono bagni e quello annesso alla sala colloqui versa in condizioni igieniche ai limiti della sopportazione”. “All’interno della casa circondariale ci sono impiantì sportivi inutilizzabili, non si svolgono attività rieducative, le uniche iniziative sono i corsi di formazione” - aggiunge Antonello Nicosia dell’Associazione autonomie per la libertà. “Quella dì oggi non è una protesta - ci tiene a chiarire Giuseppe Amone che fa parte della stessa associazione. Siamo qui per sensibilizzare l’opinione pubblica circa le precarie condizioni in cui sono costretti a vivere i carcerati, situazione che certe volte risulta controproducente al fine che deve avere il carcere non solo espiazione della pena ma rieducazione del condannato affinché il cittadino carcerato possa essere realmente reinserito nella società”. Il sit-in, che da qui nei prossimi giorni si sposterà davanti ad altri istituti penitenziari dell’Isola, è soprattutto una proposta ai Parlamentari per sensibilizzarli al fine di concedere l’Amnistia e l’Indulto. “Riteniamo - aggiungono i promotori tra cui Salvatore Sciumè e Raffaele Mancuso - dopo aver partecipato alla Campagna Referendaria per la Giustizia Giusta dei Radicali e avendo raccolto centinaia dì firme nelle carceri di Agrigento, Sciacca e Castelvetrano che sia ineluttabile e non rinviabile un intervento contro il persistente stato di abbandono, di vetustà delle Carceri che abbrutiscono l’Uomo”. Inoltre c’è un invito al Ministro della Giustizia che peraltro Nicosia ha già avuto modo di avvicinare a Roma. “La Cancellieri - dicono - nelle sue naturali funzioni riteniamo abbia il dovere di occuparsi della dignità e dello stato detentivo di tutti i 64.000 detenuti e soprattutto dì coloro che versano in grave stato di salute”. Brescia: Uil-Pa; detenuto tenta evasione in autogrill, ma la Polizia penitenziaria lo blocca Ansa, 8 novembre 2013 Giovedì mattina un detenuto maghrebino durante una traduzione dal carcere di Gorizia a Torino ha tentato la fuga sventata grazie al personale di Polizia Penitenziaria che è riuscita ad impedire l’evasione. A darne notizia il Segretario Nazionale Uilpa Penitenziari Angelo Urso che in una nota spiega che l’accaduto si è verificato durante una traduzione dal carcere di Gorizia a Torino. “Alla scorta mancava almeno una unità di Polizia Penitenziaria”, rileva Urso. “Non si può depauperare di continuo unità di Polizia Penitenziaria (all’appello mancano 7.000 unità circa) e pretendere che la qualità del servizio sia sempre al massimo dell’efficienza - sottolinea il sindacalista - Quello del carcere è l’unico settore ufficialmente dichiarato in stato d’emergenza, tuttavia non ha ottenuto alcun provvedimento straordinario. Affrontare l’emergenza in tal modo non è più possibile”. “La speranza - conclude Urso - è che chi governa si renda conto, al più presto, della situazione drammatica, nel frattempo a noi non resta che complimentarci con gli operatori penitenziari protagonisti di questa vicenda”. Terni: Polizia penitenziaria in stato di agitazione, protesta contro apertura nuova sezione www.ternioggi.it, 8 novembre 2013 La polizia penitenziaria del carcere di Terni è in stato di agitazione in seguito all’annuncio dell’apertura di una sezione del nuovo padiglione della struttura. Lo annunciano le otto sigle sindacali della struttura in un comunicato in cui specificano che nella nuova sezione saranno subito trasferiti 27 detenuti. Secondo i sindacati si tratta di “un’azione arbitraria, unilaterale ed antisindacale”, resa ancora più grave dal fatto “che vi è un accordo con il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Ilse Runsteni, sul fatto di procrastinare l’apertura del nuovo padiglione al momento in cui il dipartimento centrale avrà inviato risorse umane nella regione Umbria”. Il problema è infatti sempre lo stesso: tanti, troppi detenuti e pochi, pochissimi agenti penitenziari. Sollecitando la sospensione del provvedimento, i sindacati chiedono ora un incontro urgente con il provveditore regionale mentre alle proprie segreterie generali chiedono di intercedere presso l’ufficio del ministro e presso il Dap. Reggio Calabria: Osapp; al carcere di Arghillà tre agenti aggrediti da un detenuto bulgaro www.reggiotv.it, 8 novembre 2013 È la prima volta da quando è stato aperto il nuovo penitenziario. Reggio Calabria. Nuova aggressione alla Polizia Penitenziaria. Mancava all’appello la nuova casa circondariale di Arghillà (Rc). A dichiararlo è il Segretario Generale Aggiunto dell’Osapp - Domenico Nicotra - che rende nota la recente aggressione perpetrata nei giorni scorsi all’interno del nuovo istituto calabrese. “Il detenuto di nazionalità bulgara, continua Nicotra, inizialmente poneva in essere resistenza passiva nei confronti del Comandante del Reparto e di due agenti della polizia di stato, ai quali spettava il compito di tradurlo presso la Questura per regolarizzare la propria posizione nello stato italiano”. Successivamente, per motivi riconducili probabilmente alla consegna al personale della Polizia di Stato, il detenuto si è scagliato contro il personale delle forze dell’ordine ai quali si sono aggiunti altri due Poliziotti Penitenziari che, a causa della sua mole, hanno riportato delle ferite. È evidente, conclude Nicotra, che se anche ad Arghillà, fiore all’occhiello dell’Amministrazione Penitenziaria, in cui sono prevalenti le attività trattamentali si registrano simili episodi l’unica spiegazione plausibile è quella della carenza di organico di Polizia Penitenziaria; personale indispensabile per garantire in sicurezza qualsivoglia attività di recupero e di reinserimento di persone detenute”. Roma: dall’Ipm al Vaticano… tre giovani detenuti alla consegna del Premio Sciacca Ansa, 8 novembre 2013 Dai carceri minorili di Piemonte, Calabria e Sicilia al Vaticano per un giorno molto speciale in cui riceveranno il premio internazionale Giuseppe Sciacca nella sezione “Cultura della Pace e Tutela dei Minori”. Accadrà all’Università Urbaniana il 16 novembre a tre ragazzi detenuti, che hanno dai 14 ai 18 anni. Arriveranno dai luoghi dove sono in custodia o in affidamento e saranno premiati davanti a rappresentanti dello Stato, delle Forze Armate e del Vaticano con un diploma di merito, una targa, una medaglia e una borsa di studio. Un evento fortemente simbolico, reso possibile dal protocollo d’intesa sottoscritto fra la presidenza del premio Sciacca e il ministero della Giustizia. I tre ragazzi premiati hanno risposto al bando diramato in estate assieme a una trentina di giovani detenuti presentando, rispettivamente, una poesia (dal titolo “Solo dentro un sogno”), un quadro (acrilico su tela) e una scultura (dal titolo “Uscita dalla terra per generare vita”). “Questa - spiega Serenella Pesarin, direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento della Giustizia minorile - è una delle occasioni importanti che abbiamo per risocializzare e reinserire sul territorio i minori detenuti in Italia, fermo restando ovviamente il valore che si dà alle vittime e alla punizione”. Fra gli altri premiati della categoria “Giovani”, riservata agli under 35, c’è anche il liceale sedicenne del Maryland, Jack Andraka, ideatore di un nuovo test non invasivo per la diagnosi di alcuni tumori. Il sensore, inventato dal giovane, costa pochi centesimi di dollaro e riesce a diagnosticare un tumore pancreatico nella sua fase iniziale in modo 168 volte più veloce e 400 volte più sensibile dei test medici tradizionali. Gli altri premiati sono il fotografo Dominic Packulat che sta riportando in auge l’uso della camera oscura e Vasilis Spanoulis, olimpionico greco di basket. L’elenco completo dei vincitori è disponibile sul sito www.premiosciacca.it dove nei prossimi giorni sarà ufficializzato il vincitore assoluto 2013. Milano: “Chiaroscuro”, a San Vittore serie di foto nel carcere con didascalie dei detenuti Corriere della Sera, 8 novembre 2013 “Pareti nude, intrise del nostro dolore. Dimentichi della vita, chiediamo il perché dei nostri errori”. La calligrafia incerta, un po’ infantile, della didascalia che accompagna la prima fotografia ricalca le migliaia di scritte incise sulle pareti delle celle, tra un poster di Bobo Vieri e uno di Monica Bellucci. Però questa è una poesia. L’ha scritta un detenuto che si è cimentato, con altri, a commentare gli scatti di Alessandro Bastianello, avvocato milanese, raccolti nella mostra “Chiaroscuro del carcere”. Percorso che racconta l’arrivo in “istituto”, dalla matricola, all’ingresso in cella. Almeno per un giorno, martedì 5 novembre, la mostra è esposta lì dove è nata: la casa circondariale di San Vittore, a Milano. La “location” è tanto d’impatto da moltiplicare all’infinito la forza di immagini e parole. La galleria si sviluppa al primo piano del IV raggio, sezione in attesa di una (pare) imminente ristrutturazione. I detenuti non ci vivono dal 2006, le finestre sono spalancate, ma l’odore pesante di latrina, densità umana e umidità non se n’è andato. Forse è l’odore del dolore intriso nei muri, come dice la poesia. Fuori quasi si suda nel caldo autunno 2013, dentro ci si allaccia il cappotto. Nelle celle, dove non si può credere ci potessero stare sei o otto letti e altrettanti esseri umani, sono ospitate alcune delle fotografie. “Non si sa da che parte si stia peggio. Vedere le sbarre da dentro o da fuori. Non si sa chi soffre di più: io o la mia famiglia”. Tra gli scatti c’è la sala perquisizioni e la consegna delle lenzuola. C’è il tavolaccio dei colloqui: “Mani si stringono/ sul legno corroso/ da lacrime acide”. Anche il comandante Nicola Grieco si commuove e in tanti, persino tra gli addetti ai lavori, in questo raggio buio hanno gli occhi lucidi. Arriva anche il sindaco Giuliano Pisapia, ci sono tra gli altri l’ex direttrice del carcere modello di Bollate e oggi consigliere regionale, Lucia Castellano, la giudice di sorveglianza Roberta Cossia, il criminologo, educatore dei minori al Beccaria, Simone Pastorino, Antonella Calcaterra, avvocata della Camera Penale di Milano che ha patrocinato la mostra che si trasferirà a dicembre all’Urban Center e poi a Palazzo di Giustizia. La direttrice di San Vittore, Gloria Manzelli, ringrazia gli ospiti uno a uno, le foto sono in vendita con il ricavato, ricorda, sarà finanziato un progetto “per i nostri detenuti”. Pavia: “Oltre la cura”, detenuti e bambini nelle corsie del Policlinico San Matteo La Repubblica, 8 novembre 2013 Un progetto davvero speciale ha incrociato le vite da reclusi dei bambini del Policlinico San Matteo e dei detenuti del Carcere circondariale di Pavia. Un sorriso non si può comprare, ma regalare sì. Lo dimostra la storia tenerissima di Cristiano, Pietro e altri 8 detenuti speciali, che hanno accettato di mettersi in gioco, improvvisarsi cuochi, imbianchini, pittori e poeti a servizio del Reparto di Chirurgia Pediatrica. Anche se i lavori di ristrutturazione sono terminati la collaborazione continua con i detenuti che preparano pane e biscotti per i bambini. Così si sono incontrati due mondi lontani ma paradossalmente uniti da un minimo comun denominatore: il dolore per la propria reclusione, per la perdita di libertà, condiviso dai bambini in cura, costretti a trascorrere anni preziosi dell’infanzia in una corsia d’ospedale, e dai detenuti, che hanno dato un senso diverso al tempo che in cella scorre sempre uguale a se stesso. Il libro “Oltre la cura” (di Valeria Pelizzo e Valeria Calcaterra, Edizioni Cantagalli, 16 euro) racconta tutto questo: le testimonianze dei bambini, il diario dei detenuti, i commenti a firma di Aldo Giovanni e Giacomo, Rita Borsellino, Pupi Avati e molti altri nomi noti. Eboli (Sa): il “Fantasma col passamontagna”, appassionata autobiografia di un detenuto www.positanonews.it, 8 novembre 2013 Massimo Balsamo ha scritto un libro “Il fantasma col passamontagna”, l’appassionata autobiografia di un giovane napoletano del quartiere Sanità che, dopo aver sciupato la sua vita nel consumo e traffico di droghe, rapine, furti, trova in carcere l’opportunità di una rinascita, fisica e morale, attraverso la scrittura e il teatro. L’autore, attualmente detenuto nell’Icatt di Eboli, è autore di poesie, alcune delle quali premiate anche in concorsi nazionali; autore, sceneggiatore ed interprete di spettacoli teatrali fra cui “La Divina Galera”, rivisitazione dell’opera di Dante Alighieri, “Un Angelo venuto dal mare”, sulla vita di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica assassinato nel 2010, “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono in fiori”, reinterpretazione delle poesie-canzoni di Fabrizio De Andrè. Il libro, dopo la presentazione, ha avuto un notevole successo. L’autore è disposto ad incontrare i suoi lettori. Per farlo, però, bisogna organizzare l’incontro. Chi intende conoscerlo può contattare il 3281276922 o scrivere a info@ilsaggio.it oppure recarsi direttamente in sede de “Il Saggio” alla via Guglielmo Vacca, 8 - Eboli. Giovanni Farzati. Stati Uniti: perché chiudere il carcere di Guantánamo è un problema per Obama di Barbara Maria Vaccani www.meridianionline.org, 8 novembre 2013 Ad aprile del 2013 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha ripetuto la sua volontà di chiudere il carcere militare di Guantánamo, “Penso sia fondamentale capire che Guantánamo non è necessario per tenere l’America sicura” ha affermato. Nonostante la promessa del 2009, anno di inaugurazione del primo mandato di Obama, di chiudere il carcere entro un anno, Guantánamo rimane aperto, così come la discussione sull’eventualità e la desiderabilità della sua chiusura. La California Western School of Law prova a chiarire la situazione con un’interessante infografica intitolata “Chiudere Guantánamo Bay: un rischio per la sicurezza nazionale o una saggia mossa di politica estera?”. Il campo di detenzione di Guantánamo è un carcere militare e si trova nell’omonima base navale che gli Stati Uniti detengono sull’isola di Cuba. I primi prigionieri vennero trasferiti a Guantánamo nel gennaio del 2002, in seguito all’invasione americana dell’Afghanistan e dell’inizio della guerra al terrorismo. Attualmente nella prigione i detenuti sono 171, ma dal 2002 ad oggi sono 779 le persone che sono state prigioniere a Guantánamo e di queste circa 600 sono state trasferite in altri paesi. Nella storia della prigione, la maggior parte dei prigionieri è stata di origine afgana. Tra gli altri paesi di provenienza dei detenuti ci sono Arabia Saudita, Yemen, Pakistan e Algeria. Dal punto di vista della causa della detenzione, i prigionieri di Guantánamo sono raggruppabili in tre categorie principali: detenuti cui è stato accordato il rilascio verso i paesi d’origine o in paesi terzi, a patto che ne venga monitorata la buona condotta, sospettati di terrorismo in attesa di processo o della formulazione dei capi d’accusa, prigionieri ritenuti troppo pericolosi per il rilascio, ma che non possono essere messi sotto processo per mancanza di prove. La prima categoria di detenuti è formalmente la meno problematica: questi prigionieri sono semplicemente in attesa di rilascio. Gli unici limiti sono la fiducia nelle istituzioni del paese ricevente, perché non maltrattino il prigioniero o siano in grado di prevenirne la recidività. La seconda categoria di detenuti, quelli in attesa di processo, pone dei problemi dal punto di vista dei diritti accordati all’imputato. Secondo una legge del 2006, i detenuti di Guantánamo devono essere processati da commissioni militari. A differenza delle corti civili, nei processi condotti dalle commissioni militari l’imputato non può fare appello all’habeas corpus, non può usare testimonianze di seconda mano come prove ed è sempre soggetto alla pena di morte. L’amministrazione Obama, nel 2009 e nel 2011 ha parzialmente modificato questo sistema, introducendo la possibilità, per i detenuti, di essere processati dalle corti federali (civili) degli Stati Uniti. Tuttavia, il Congresso, in opposizione alla volontà di Obama di chiudere la prigione di Guantánamo, ha approvato nel 2011 una legge che proibisce all’esercito di usare i propri fondi per trasferire i detenuti di Guantánamo sul suolo degli Stati Uniti, impedendo così la possibilità di processi nelle corti federali. Infine, la terza categoria è quella della detenzione indefinita, una situazione di limbo, che ha come vantaggio quella di tenere sotto custodia individui ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ma che ha dei limiti dal punto di vista della legalità della custodia perché non fondata su capi d’accusa, né su condanne di autorità giudiziarie. Accanto ai problemi sulla legalità della detenzione a Guantánamo, altri argomenti in favore della sua chiusura sono il costo del carcere e le condizioni de detenzione dei prigionieri di Guantánamo. Come riportato dall’infografica della California Western School of Law, mantenere un detenuto a Guantánamo costa più di 600.000 dollari l’anno, a fronte di una spesa di circa 35.000 dollari annui in un carcere di massima sicurezza e ci sarebbero più di cento prigioni statunitensi in grado di accogliere i prigionieri di Guantánamo. La questione delle condizioni di detenzione a Guantánamo riguarda l’uso di strumenti di tortura durante gli interrogatori di alcuni dei detenuti. Secondo un rapporto condotto da un gruppo di ricerca indipendente rilasciato lo scorso aprile non ci sono dubbi né circa l’utilizzo di strumenti di tortura in centri di detenzione come quello di Guantánamo, né sulla conoscenza, da parte delle alte cariche dello Stato, di questi metodi. I documenti ufficiali circa le pratiche di detenzione di Guantánamo rimangono segreti e solo in un caso gli Stati Uniti hanno ammesso l’uso della tortura nei confronti di un detenuto, un cittadino saudita processato nel 2009 perché ritenuto coinvolto negli attacchi dell’undici settembre 2001. C’è poi il problema dello sciopero della fama, strumento di protesta usato dai detenuti, e dell’alimentazione forzata, somministrata dalle autorità per prevenire la morte dei detenuti. Contro i dubbi sulla legalità delle condizioni di detenzione e dello status di alcuni dei detenuti si scontrano le ragioni della sicurezza nazionale, che hanno finora guidato le fila di quanti si oppongono alla chiusura del carcere. L’infografica mostra come il 70% dei cittadini statunitensi sia favorevole a far rimanere Guantánamo aperto. La sua chiusura significherebbe dover trovare una collocazione ai detenuti imprigionati senza processo e senza accuse a carico, con il rischio che rilasciandoli tornino a combattere contro gli Stati Uniti nella war on terror. Trasferire i detenuti in suolo statunitense, a parte l’impatto mediatico, creerebbe un precedente, nella storia degli Stati Uniti, per poter creare campi di detenzione simili direttamente su suolo americano. Difficile, poi, giustificare il rilascio di sospetti terroristi dopo dieci anni di guerra al terrore che non sembra vedere una fine. Russia-Usa: al via indagine congiunta per scoprire coinvolti responsabili caso Magnitsky Tm News, 8 novembre 2013 Sarebbe una svolta nelle relazioni tra i due Paesi Mosca. Le forze dell’ordine negli Stati Uniti e la Russia stanno per lanciare un’inchiesta penale congiunta di “reciproco interesse”, e alcuni imputati potrebbero venire dalla cosiddetta “lista Magnitsky”, ossia quel gruppo di russi ai quali il presidente Usa Barack Obama ha vietato l’ingresso negli Stati Uniti poiché coinvolti nella morte dell’avvocato Sergey Magnitsky all’età di 36 anni, in un carcere moscovita. Lo riportano le agenzie russe citando fonti non meglio specificate. Se le informazioni venissero confermate a livello ufficiale, sarebbe una svolta nei rapporti russo-americani, proprio dopo il caso Magnitsky con cui iniziò un peggioramento delle relazioni tra i due Paesi. Nei prossimi giorni arriveranno a Mosca gli esponenti di una delegazione del Ministero della Giustizia e dell’FBI e avranno colloqui con i loro omologhi russi sulle prospettive di cooperazione in questi casi. Delegati statunitensi hanno già discusso le prospettive di cooperazione tra gli organi di polizia della Russia e degli Stati Uniti nei casi penali specifici, anche per quanto riguarda alcuni imputati della “lista Magnitsky” sospettati di un’importante appropriazione indebita di fondi di bilancio e trasferimento di denaro all’estero. Svizzera: il Governo dice no ai microchip sotto pelle per controllo criminali pericolosi www.tio.ch, 8 novembre 2013 Le procedure penali vanno migliorate, ma senza questo tipo di misura che appare “sproporzionata”. In seguito all’omicidio di Adeline da parte di un detenuto al beneficio di misure terapeutiche, il Consiglio federale giudica sensato migliorare le procedure penali. Tuttavia, rispondendo ad alcune proposte del parlamento che invita a respingere, l’Esecutivo sostiene che l’impianto di un microchip elettronico sotto la pelle di criminali pericolosi o la soppressione della libertà condizionale siano misure sproporzionate. Con tre mozioni, la consigliera nazionale Udc Céline Amaudruz chiede un severo giro di vite, come l’impianto di un microchip destinato a chi è stato condannato per delitti gravi, come l’assassinio e lo stupro, e ritorna in libertà. Stando alla consigliera nazionale, un simile gadget avrebbe un effetto preventivo. Nella sua risposta, il Governo sostiene che una simile misure sarebbe sproporzionata; inoltre, se le autorità applicano correttamente il diritto, un detenuto verrebbe liberato solo se non rappresenta più un pericolo per la società. Nella sua risposta, l’Esecutivo ha anche ricordato che è attualmente in discussione un inasprimento delle prescrizioni riguardanti l’esecuzione delle pene.