Giustizia: nel “pacchetto carceri” uno sconto di pena per i trattamenti inumani di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 5 novembre 2013 I detenuti che hanno sofferto una carcerazione inumana e degradante a causa del sovraffollamento potranno avere uno “sconto” sulla durata della loro condanna, proporzionale al periodo sofferto. E una delle misure annunciate a Strasburgo dal ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri per dare esecuzione alla sentenza della Corte dei diritti dell’uomo (Torreggiani) che ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti. Una condanna che, al di là della gravità sul piano del rispetto dei diritti umani, potrebbe “costare” al nostro paese 60 milioni di euro oltre all’intasamento della stessa Corte per i ricorsi dei detenuti, che, a miglia, arrivano a Strasburgo. Lo “sconto” sulla pena è una misura “compensativa eccezionale” prevista in un pacchetto più ampio, che si articola su tre “linee”. Alcune, urgenti, da approvare con decreto legge, altre con disegno di legge, altre ancora di natura amministrativa e, infine, quelle di natura edilizia. Misure da varare, nelle intenzioni originarie del ministro, già al rientro da Strasburgo in un immediato Consiglio dei ministri, slittato però a causa della vicenda-Ligresti, delle polemiche che ne sono seguite, delle comunicazioni del guardasigilli a Senato e Camera e, infine, dell’operazione alla spalla che Cancellieri dovrà affrontare giovedì 7 novembre. Nell’incontro con il segretario generale del Consiglio, il norvegese Thorbjorn Jagland, Cancellieri ha esordito riconoscendo l’importanza del ruolo del Consiglio d’Europa e confermando il “forte impegno dell’Italia” nel dare esecuzione alla sentenza “Torreggiarli” che ci ha dato fino a maggio 2014 per risolvere il problema sovraffollamento. Quella sentenza è stata colta come “un’opportunità” dall’Italia per un ripensamento delle condizioni detentive, ha assicurato il ministro, ricordando che il presidente della Repubblica ha inviato alle Camere un messaggio in cui il carcere è considerato questione di “assoluta rilevanza nazionale”. Quindi è passata a illustrare il suo “piano” articolato su tre linee. La prima linea. La prima linea è quella delle modifiche legislative. A partire da quelle già adottate con il recente decreto legge per ridurre i flussi di ingresso al carcere e rendere più fluido il ricorso a misure alternative. Questo provvedimento, insieme alle misure precedenti, ha ridotto già la popolazione carceraria: i 69mi-la detenuti del 2010 sono diventati i 64.564 di oggi. Ma Cancellieri ha ammesso che per risolvere il problema bisogna fare i conti con due realtà del carcere: tossicodipendenti e stranieri. Cancellieri intende proporre: 1) per i tossicodipendenti un reato autonomo e di minore gravità con una sanzione più bassa; 2) per gli stranieri un sistema per facilitare il rimpatrio, attraverso una misura alternativa specifica che sostituisca gli ultimi tre anni di carcere con l’allontanamento dal territorio nazionale; 3) aumentare a due anni il residuo pena da scontare in detenzione domiciliare; 4) trasferire al giudice collegiale le decisioni sulla custodia cautelare; 5) aumentare, eccezionalmente per due anni, da 45 a 60 i giorni di liberazione anticipata per ogni sei mesi di buona condotta. La seconda linea. Riguarda il fronte amministrativo ma non è meno importante: cambia il carcere per i detenuti di media e bassa sicurezza, che poi sono i “clienti abituali del carcere”, ben 52.373 su 64mila. La bussola di questo nuovo regime saranno nient’altro che le Regole penitenziarie europee: una detenzione aperta all’interno del muro di cinta, in cui le celle sono “camere di pernottamento”, cioè solo per dormire e non per trascorrere la giornata. La terza linea. Prevede il potenziamento delle strutture, sia quelle esistenti (con ristrutturazioni e manutenzioni) sia quelle nuove, sebbene, ha ricordato Cancellieri, lo stesso Consiglio d’Europa abbia osservato che costruire più carceri “non offre soluzioni di lungo periodo al problema” tant’è che ha invitato i Paesi a depenalizzare e a incrementare le misure alternative. Giustizia: il caso Cancellieri e lo stato delle carceri, a ognuno il suo “scandalo” di Diego Giorgi www.today.it, 5 novembre 2013 Due versione contrastanti, entrambe specchio del paese. “Ha favorito una sua amica” contro “ha mostrato umanità”. Il tutto, comunque, sulle pelle dei carcerati e sulla loro disumana condizione. “Non mi dimetto, ho fatto un gesto umano”. Il problema è che Anna Maria Cancellieri non è Papa Francesco. Fa il ministro della Giustizia. E se sei ministro i gesti umani non contemplano le corsie preferenziali dell’amicizia. Soprattutto se fatto all’interno di un tema sensibilissimo: la questione carceri. Questa la versione cattiva. Poi c’è quella buona: si è ministri è vero, ma sì è anche donne e uomini. Anna Maria Cancellieri ha fatto l’amica: “Se Giulia Ligresti si fosse uccisa io non sarei stata responsabile?”. Un ministro ha “il dovere di osservare le leggi dello Stato senza cedimenti e tentennamenti, ma credo che abbia anche il diritto di essere un essere umano. Non vi racconto della mia questione perché la spiegherò davanti al Parlamento. Ma vi dico solo che voglio vivere in un Paese libero, voglio vivere in un Paese che sia libero, dove l’onestà personale sia un patrimonio condiviso”. Come detto, da una parte la questione morale, quel tutti uguali di fronte alla legge che non può contemplare gli amici degli amici; dall’altra la pietas, una calamita più forte se il volto che la richiama è amico, visto e rivisto. Senza dimenticare, in questo, l’appunto di Danilo Leva, responsabile Giustizia del Pd: “Le carceri sono piene di migliaia di persone, poveri Cristi, che non hanno il numero di cellulare del ministro o di altri parlamentari da poter chiamare. Per loro e per i loro familiari c’è bisogno di chiarezza e trasparenza”. Per pillole: il ministro domani dirà la sua verità in Parlamento sulla telefonata pro-Ligresti; Letta ha fatto fortino e ha blindato il ministro, un po’ per mettere il governo al riparo dai falchi del Pdl, un po’ per quelli del Pd. A ognuno il suo, il giochino è facile. E tuttavia c’è un di più bello peso, che va ben oltre lo scacchiere politico del “chi appoggia chi”. Va ben oltre la tenuta del governo, le mosse del Cav, quelle di Letta, quelle di Renzi, Civati e Cuperlo: la solita gigantesca questione carceri. La situazione in cella è schifosa e indecorosa. “Io ho la responsabilità dei detenuti, ho fatto oltre cento interventi per persone che ho incontrato nel corso di mie visite in carcere o i cui i familiari si sono rivolti a me anche solo tramite una e-mail”. Come dire, una prassi, Ligresti o no. Il sottotitolo è lampante: le carceri italiane sono da quarto mondo. Un di più di pena non richiesto, non previsto. In pratica il caso Fonsai-Ligresti ha fatto da testa di ponte per riaprire un capitolo complicato. La discussione sull’amnistia o l’indulto, suggerite da Napolitano e che hanno scatenato la polemica (con Renzi che da Bari ha parlato di “gigantesco autogol”), sono tornate di gran moda. Anche se per l’Anm la strada, per adesso, non è percorribile. Almeno se posta nei temi dell’emergenza: “È necessario vedere il problema dell’amnistia e dell’indulto in termini più complessi, uscendo dalla logica dell’emergenza, delle soluzioni effimere, della precarietà e delle proroghe”. Così a Genova Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell’Anm. “L’ultimo indulto è stato nel 2006 - ha detto ancora Sabelli - e non ha risolto nulla. Non è stato accompagnato da soluzioni di tipo strutturale. A questo punto ci sono obiettivi urgenti che possono essere articolati dall’indulto ma non solo: anche da altri interventi che riguardano la fase esecutiva della sentenza penale. Vi sono obiettivi di medio e lungo periodo che richiedono invece interventi di tipo strutturale”. Giustizia: i democratici, il ministro e le carceri di Stefano Menichini www.ilpost.it, 5 novembre 2013 Fra un mese Anna Maria Cancellieri sarà ancora al suo posto. È facile previsione, perché la sua posizione è stata blindata politicamente da Letta, con l’avallo pieno del Pdl. E perché oggi il ministro sarà presumibilmente in grado di convincere i senatori del Pd della correttezza formale del proprio operato di capo anche dell’amministrazione carceraria. In verità spero che Cancellieri sappia tirare fuori qualcosa di più. Spero che il ministro esibisca davanti ai critici le prove di un comportamento che a quel punto dovrebbe strappare l’applauso, come le è capitato al congresso dei radicali italiani (gente esigente in materia). Le sarebbe dovuto, se dimostrasse che davvero ha risposto non solo alla telefonata di un’amica ma anche a decine di lettere di persone qualsiasi, a segnalazioni di famiglie disperate, ad appelli di madri e figli, in favore di detenuti rimasti schiacciati dalla macchina carceraria più feroce tra quelle dei paesi sedicenti civilizzati. Il parlamento a quel punto dovrebbe riconoscere che non sono molti i ministri di giustizia che siano mai presi un simile carico, e rinnovare a Cancellieri fiducia e stima, pur restando fermo il fastidio per la relazione speciale venuta alla luce grazie a una tempestiva intercettazione telefonica. Se il ministro non sarà capace di portare quelle prove, la sfiducia contro di lei non arriverà lo stesso ma sarà giusto annoverare anche lei nella schiera dei mediocri politici adusi a raccomandazioni e trattamenti di favore: brutta fine, per un servitore dello stato. In ogni caso, certo di chi avrò come ministro fra un mese, continuerò a chiedermi invece con quale Pd avrò a che fare fra un mese. Perché nella vicenda Cancellieri sono di nuovo affiorati - anche fra i “giovani” che si candidano a guidarlo - atteggiamenti strumentali e subalternità culturale, la voglia di surfare sull’onda dell’indignazione facile, la riluttanza a prendere di petto i mali strutturali che l’attualità ci pone di fronte, e che in questo caso si chiamano abuso della carcerazione preventiva, eccesso di pene detentive, disattenzione (o peggio) di magistrati inquirenti e giudicanti, sovraffollamento e degrado degli istituti. Sono questi i fattori, non episodici, che fanno della giustizia italiana una giustizia di classe che non dà scampo ai poveracci. Magari si risolvesse tutto non rispondendo al telefono ai Ligresti. Ma vallo a spiegare ai giovani indignati democratici. Giustizia: problema delle carceri colpa delle procedure di Carlo Alberto Tregua Quotidiano di Sicilia, 5 novembre 2013 Anna Maria Cancellieri è un funzionario integerrimo, stimato da colleghi e avversari. Lo possiamo testimoniare personalmente per i quattro anni in cui è stata prefetto a Catania, durante i quali abbiamo avuto la possibilità di una certa frequentazione e, soprattutto, per il forum al QdS pubblicato il 2 febbraio 2007. Che il ministro della Giustizia si occupi dei carcerati, anche dal punto di vista umanitario, è perfettamente legittimo. E se ne occupa telefonando ai dirigenti per sapere lo stato di chi versa in condizioni di salute più preoccupanti. Diversamente, non se ne potrebbe occupare. Il paragone fatto con la telefonata di Berlusconi alla Questura di Milano per il caso Ruby regge solo per essa stessa, non per il suo oggetto. Si potrebbe dire che, cambiando l’oggetto, cambi la motivazione della telefonata: una questione di lana caprina. La verità è che il clima di scarso rispetto che i cittadini hanno nei confronti della classe dirigente genera sospetto per ogni azione che i vertici istituzionali compiono. Anche quelle più semplici. La Cancellieri ieri è stata a Strasburgo per spiegare il Piano per iniziare un percorso che, nel giro forse di un decennio, dovrebbe portare a soluzione l’enorme problema delle carceri. Ne scriveremo nei prossimi giorni. Il tempo indicato è così lungo perché non abbiamo un vero governo e una vera maggioranza, dal momento che in Italia non si fa una politica alta che abbia come pilastri la decisione e l’azione. Qui da noi tutto prende tempo e perde tempo, mentre si dovrebbe agire con tempestività, come accade in altri Paesi che, proprio per la loro azione politica alta, non hanno subito la recessione come l’Italia. Il problema delle carceri ha due cause: il mantenere ventimila ospiti non italiani e altri ventimila ospiti in attesa di giudizio. Ne consegue che, al netto dei quarantamila prima indicati, la vera popolazione carceraria italiana sarebbe di venticinquemila persone, un numero ottimale se paragonato ai quarantacinquemila posti disponibili. Dunque, vi è il problema dei carcerati stranieri che andrebbe affrontato con decisione, stipulando convenzioni con i Paesi d’origine cui mandarli, anche con un bonus economico. Tanto costerebbe molto di meno di quello che costano mantenendoli nelle carceri nostrane. Vi è poi l’annosa e tremenda questione dei carcerati in attesa di giudizio. Pensare solamente che molti di loro, una volta uscite le sentenze definitive, possano essere riconosciuti innocenti turba fortemente le nostre coscienze. Ma di chi è la responsabilità del permanere in carcere di imputati in attesa di sentenza? Molti dicono dei magistrati che non lavorano abbastanza. Dissentiamo, perché la responsabilità riguarda la procedura penale e la procedura organizzativa delle cancellerie, nonché il ritardo colposo della digitalizzazione dei processi. Che agli imputati debbano essere date tutte le garanzie possibili è del tutto pacifico, ma quando esse si trasformano in impedimenti per una ordinaria conclusione dei processi, allora le garanzie diventano strumentali all’inefficienza. Inefficienza che il sistema Paese non può più sopportare dal momento che la procedura di infrazione Ue sta arrivando a conclusione. Con essa verranno comminate pesanti sanzioni pecuniarie, per ogni giorno di ritardo rispetto alla riforma che liberi le carceri dal sovraffollamento. Bisogna, dunque, razionalizzare la procedura penale e la procedura organizzativa, oltre che digitalizzare i processi, evitando che il percorso sia sinusoidale come quello attuale e si trasformi in una linea retta fra il giorno in cui il processo viene incardinato e quello in cui viene emessa la sentenza definitiva. Non è neanche pensabile che per tutti i reati vi siano tre gradi di giudizio, che non esistono in nessun altro Paese del mondo. Addirittura, nel sistema anglosassone, sono pochissimi i ricorsi in secondo grado, perché per chi li aziona in modo strumentale le conseguenze sono pesantissime. Per riformare la procedura penale occorre una maggioranza forte, che non tenga conto della pressione delle corporazioni che remano in senso contrario. Lo stesso vale per la riforma organizzativa e l’informatizzazione, perché anche in questo caso gli amministrativi non vedono di buon occhio la semplificazione. Anziché dire che non basta il personale servirebbero percorsi semplici ed efficaci. Roma: dai trapiantati ai dializzati; in cella decine di persone incompatibili col carcere Corriere della Sera, 5 novembre 2013 La denuncia del Garante Angiolo Marroni: negata la sospensione della pena, morto 82 enne cardiopatico di Regina Coeli. “La misura Ligresti sembra non valere per tutti”. Incompatibilità con il carcere? L’intervento presso il Dap che ha fatto liberare Giulia Ligresti si basa su una valutazione che “decisamente non vale per chiunque”. Lo afferma il Garante per i detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni. “Lo scorso primo ottobre, un 82enne detenuto a Regina Coeli, Sergio Caccianti, è morto appena giunto al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito di Roma - spiega il garante. Nonostante i gravissimi problemi cardiaci di cui era sofferente gli era stato negato il differimento provvisorio della pena a causa della malattia. Insomma, è stato detto di no alla sospensione della pena per sei mesi. Così è andato a morire al Pronto Soccorso quando ormai era troppo tardi…”. Trapiantato resta in cella - Carceri e incompatibilità per ragioni sanitarie, un argomento di grande attualità dopo quanto è emerso nell’affaire Ligresti. Il garante Marroni denuncia: “Quel morto non doveva esserci… Così come non dovrebbero esserci tutte quelle incompatibilità per malattie croniche e invalidanti, che non ottengono quasi mai ascolto…”. Ci sono carcerati, come D.M. , che vivono attaccati a un respiratore. D.M. è ricoverato al Centro0 diagnostico terapeutico dei Regina Coeli. Dialisi, amputazioni, carcerati diabetici gravi, detenuti con epatite, altri con situazioni cerebrali stravolte, condizioni sanitarie ai limiti estremi come quella di un detenuto L.G. che sta lottando dentro Regina Coeli per il rigetto di un trapianto di fegato. E non è l’unico trapiantato in carcere”. Diagnosi mai tempestive - Non bastasse, l’elenco continua: “Piaghe da decubito, strascichi e complicazioni cliniche per chi è privo di denti, malattie oncologiche, polmonari, cardiovascolari, apnee notturne”. Questo il panorama frequente nelle carceri romane. “La condizione ambientale del carcere non consente diagnosi tempestive e spesso neanche i ricoveri - aggiunge Marroni -. Dal carcere esce una collezione di sofferenze. Su oltre tremila detenuti e detenute delle carceri romane i casi di incompatibilità sono tantissimi, troppi, ma quasi sempre non succede nulla a causa delle trafile burocratiche scadenti, perché la polizia penitenziaria è insufficiente, insomma perché la struttura non dà risposte adeguate…”. Reparti cronici a Rebibbia - A Rebibbia è stato da tempo aggiunto un reparto cronici, dove si concentrano detenuti in carrozzina, amputati e altre situazioni limite. E’ stato ricoverato invece all’ospedale Pertini, fino al 3 novembre, per gravi problemi cardiaci, un detenuto di 76 anni, L.D., finito in cella lo scorso agosto perché coltivava a casa sua una pianticella di marijuana. Ci sono voluti 3 mesi per concedergli gli arresti domiciliari. Se in generale ad impedire un regime attenuato o la libertà è stata la cosiddetta pericolosità sociale, nel caso del “coltivatore ultrasettantenne di cannabis indiana” l’argomento pericolosità è difficilmente impugnabile. Così non è avvenuto per il detenuto tunisino J.M. che - reduce da un percorso di vari istituti penitenziari, attraversati nella condizione di uno chi non ci sta troppo di testa - è stato portato al Pertini per essere operato in quanto aveva appena ingurgitato un pezzo di neon e alcune viti. Poi questo detenuto non nuovo all’autolesionismo, una volta liberato chirurgicamente del problema, non solo non è stato inviato in una struttura assistita ma è stato di nuovo trasferito in un altro carcere fuori del Lazio, a Reggio Emilia, dislocando altrove i suoi gravi problemi psichiatrici. Sciopero totale della fame - Al Pertini è finito anche un cittadino mongolo B.B. incarcerato per un furto in un outlet e da due mesi in sciopero totale della fame. Molte situazioni di incompatibilità sono facilmente reperibili nelle infermerie delle carceri dove stazionano i detenuti in condizioni più gravi, assediati spesso da altri detenuti che per i dolori derivanti da emorroidi non curate - una patologia piuttosto diffusa - ricorrono all’autolesionismo pur di ottenere un minimo di attenzione. Il calvario della dialisi - Non mancano neanche i dializzati, come i due detenuti di Regina Coeli, uno dei quali - B.G. un ragazzo molto grave che ha perso 15 chili - è stato ricoverato al Pertini, ma pochi giorni fa è tornato in cella. E non manca neanche chi arriva alle crisi epatiche con varici esofagee. Molto diffuso, poi, il mal di denti a fronte di pochissimi dentisti a disposizione. “Troppi casi, tantissimi, che noi continuamente segnaliamo all’amministrazione penitenziaria, ai direttori, alle Asl - spiega il Garante Marroni -. Non sempre viene chiesta la scarcerazione per motivi sanitari, ma quando viene chiesta molto spesso l’esito è negativo”. Giustizia: Cancellieri; piano svuota-carceri all’Ue, il 79% dei detenuti fuori cella 8 ore La Stampa, 5 novembre 2013 Il governo si difende a Strasburgo: ecco i provvedimenti per evitare nuove sanzioni da parte dell’Europa. Ampliare il modello di detenzione “aperta”, in cui le “camere di pernottamento siano luoghi per il riposo e non per lo svolgersi della giornata quasi nella sua interezza”. È l’obiettivo delineato oggi dal Guardasigilli Annamaria Cancellieri nel corso dell’incontro a Strasburgo con il segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland. “Si tratta di un insieme di provvedimenti di tipo amministrativo - ha spiegato il ministro - messi a punto da un’apposita Commissione e rivolti prioritariamente ai detenuti classificati come richiedenti misure di media o bassa sicurezza. Complessivamente riguardano la quasi totalità della popolazione detenuta, coinvolgendo 52.373 detenuti”. La detenzione “aperta”, già in fase di attuazione, riguarda la permanenza fuori dalle camere di pernottamento e dalle sezioni ove queste sono dislocate per almeno 8 ore al giorno. Oggi, ha sottolineato Cancellieri, “il 29% dei detenuti usufruisce di tale previsione che sarà estesa, secondo il crono programma adottato, fino a raggiungere il 79% dei detenuti nell’aprile 2014”. L’ipotesi di detenzione aperta si accompagnerà ad altri interventi: tra questi l’estensione dell’attività lavorativa. Il ministero della Giustizia “sta attualmente elaborando - ha spiegato il Guardasigilli - nell’ambito della riorganizzazione del sistema detentivo, un progetto diretto ad accentrare la gestione dei fondi per ricollocare organicamente le risorse in relazione a un piano nazionale che preveda spazi all’interno degli Istituti penitenziari idonei ad accogliere attività lavorative”. Il Guardasigilli ha poi parlato di altre misure, come l’introduzione di una compensazione per i detenuti vittime del sovraffollamento come richiesto dalla Corte europea dei diritti umani, attività che riducano i tempi in cella, aumento della capacità delle strutture. “Stiamo valutando - ha detto - quali misure di compensazione adottare, se pecuniarie o di alleggerimento della pena o altre”. E questo come altri provvedimenti che riguardano la giustizia “saranno pronti abbastanza presto”. “Penso che entro la fine dell’anno saremo in grado di fare delle cose interessanti” ha spiegato la Cancellieri, sottolineando tuttavia di non poter ancora anticipare tutte le azioni che saranno prese, oltre che sul fronte carcere, anche su quello della durata dei processi e della legge Pinto, tutti temi che saranno affrontati nel corso dell’incontro che avrà domani con il presidente della Corte di Strasburgo, Dean Spielmann. Ma intanto il Guardasigilli ha presentato al segretario generale le tre linee direttrici su cui il governo si sta muovendo per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e migliorare le condizioni di vita dei detenuti. La prima è di tipo normativo e attraverso l’approvazione di un decreto legge mira a “ridurre i flussi d’ingresso in carcere e rendere più fluido l’accesso alle misure alternative previste nel nostro ordinamento”. Ma il governo intende anche adottare un nuovo provvedimento destinato in particolare ai tossicodipendenti per cui si prevedono minori sanzioni, e agli stranieri per i quali, in linea con le direttive dell’Unione europea, s’intende prevedere percorsi che facilitino il rimpatrio. La seconda direttrice riguarda invece il mutamento del regime di detenzione. “Il modello che si vuole introdurre è quello di una detenzione “aperta” all’interno del carcere” ha specificato il ministro. Questo va di pari passo con l’elaborazione “entro la fine del mese” di un piano dettagliato di attività lavorative, ricreative e socializzanti per i detenuti in ciascun penitenziario. Infine la terza linea del governo è quella che riguarda il potenziamento delle strutture, che “porterà entro la fine dell’anno ad altri 2000 posti in nuovi penitenziari, e all’aumento di altri 4.500 posti entro maggio 2014 nei penitenziari già esistenti”. Giustizia: salvarne una non basta, negli ultimi sei mesi record delle morti in cella Libero, 5 novembre 2013 Il sedicente ministro della Giustizia più umano della storia repubblicana, ovvero Anna Maria Cancellieri, settantenne ex prefetto, non è riuscito a cambiare il tragico record di morti in carcere del nostro ordinamento penitenziario (una media cinque volte superiore rispetto agli Stati uniti d’America). Anzi, da quando si è insediata al dicastero di via Arenula i detenuti deceduti per malattia, suicidio o altre cause sono paradossalmente aumentati rispetto al passato. Sono i crudeli dati dell’osservatorio “Morire in carcere”, un gruppo di lavoro di cui fanno parte il partito Radicale e associazioni come “Antigone” e “Ristretti orizzonti”. Dall’I maggio al 2 novembre 2013 sono morti in cella 56 persone, compresi due ultraottantenni di cui diremo dopo. Il suo predecessore Paola Severino, in questa Spoon River delle patrie galere, dovette registrare 55 defunti nello stesso semestre (maggio-novembre) del 2012. Medesimo numero di bare al tempo di Angelino Alfano, nel 2010. Nel 2007, in Guardasigilli del governo Prodi, Clemente Mastella fermò il macabro conteggio a49 defunti. Dunque Cancellieri ha certamente salvato la vita di Giulia Ligresti, ma non è riuscita a fare altrettanto con molti altri prigionieri. Dal 17 luglio, giorno in cui mostrò un’accorata partecipazione al dramma di Ligre-sti, sono morti 33 uomini. Tra di loro anche Egidio Corso, di 81 anni, spirato nel carcere di Ferrara per malattia e Sergio Caccianti, 82 anni, condannato per l’omicidio di un falegname e il ferimento a coltellate di una donna, dopo un pomeriggio di ordinaria follia. Nell’elenco dei sommersi e non salvati anche 24 suicidi. Tra loro Davide Valpiani, ex rampollo prima accusato della morte dei genitori e poi condannato per l’uccisione del cognato per 800 mila euro contesi. Ma sono i Radicali, sul loro sito, a raccon-tare le storie più agghiaccianti di questo cimitero dimenticato. Per esempio scopriamo che Corso “era in sciopero della fame da dieci giorni per protesta contro la mancata concessione di una pena alternativa”. Caccianti, recluso a Roma (Rebibbia ha il triste record di morti recenti), ha avuto un malore in cella ed è morto in ospedale dopo due giorni di agonia. “Aveva gravi patologie ed era stato colpito da ictus. A inizio ottobre il Tribunale di sorveglianza aveva rigettato la richiesta di differimento della pena per motivi di salute”. Il 16 ottobre è morto il sessantunenne Antonino Vadala, per un tumore al cervello. I famigliari avrebbero presentato un esposto alla magistratura sostenendo “che gli sono state negate le cure necessarie”. Il 26 settembre si è impiccato nel carcere di Secondigliano, a Napoli, Luciano De Marco, 35 anni, “malato terminale di Aids e in regime di osservazione psichiatrica”. In provincia di Avellino, invece, si è impiccato con i lacci delle sue scarpe Angelo Panariello, 64 anni: “Aveva già scontato 26 anni di carcere e aveva confidato ai familiari di non poter resistere in cella un giorno di più”. Non mentiva. A Opera (Milano) il 31 agosto è morto carbonizzato nella sua cella Walter Luigi Mariani, 58 anni, paraplegico a seguito di un’ischemia. Secondo i Radicali non è chiaro se si sia trattato di suicidio o incidente. Il 2 maggio è morto per un malore il settantottenne libico Sli-man Bombaker, “malato di diabete aveva già avuto un infarto e una grave insufficienza renale che lo aveva quasi paralizzato. Doveva scontare solo sei mesi di pena residua”. Ha una storia altrettanto triste il sessantaseienne cittadino belga, Jacques De Deker, accusato di traffico di stupefacenti e deceduto in carcere (ma ai tempi il Guardasigilli era Severino, Cancellieri guidava il ministero dell’Interno) perun cancro al pancreas diagnosticato nel 2008. Aveva chiesto inutilmente di curarsi fuori dal carcere e “sfumata ormai ogni possibilità di cura”, nel 2010 aveva scritto una lettera-appello in cui aveva supplicato “di poter morire accanto ai miei due bambini e a mia moglie in Belgio”. Nessuno lo ha accontentato. Tutti questi signori né i loro famigliari, ne siamo certi, avevano in agenda il numero di cellulare del ministro Cancellieri. Giustizia: Cascini (vicecapo del Dap); dal ministro almeno 40-50 segnalazioni di Annalisa D’Aprile Il Piccolo, 5 novembre 2013 Un detenuto che vuole essere trasferito per avvicinarsi ai familiari, magari in difficoltà con le visite, una detenuta che deve partorire e non vorrebbe farlo in carcere, un altro detenuto che dopo il trasferimento non riesce più a studiare e chiede di tornare dov’era prima. E poi ci sono i detenuti a rischio suicidio, che compiono atti di autolesionismo o la cui salute è compromessa. E allora qualcuno, i garanti dei diritti, i parlamentari, i rappresentanti di associazioni, i familiari, loro stessi o perfino i ministri e il presidente della Repubblica scrivono al Dap. E all’ufficio ispettivo sulle carceri dell’ Amministrazione penitenziaria arrivano le segnalazioni, a decine, ogni mese. A loro il compito di controllare, monitorare, intervenire per risolvere i problemi e tutelare la salute dei reclusi. “Quaranta? Forse anche cinquanta richieste d’intervento avrò ricevuto dal ministro Cancellieri da dopo l’estate - racconta Francesco Cascini, vicecapo del Dap con delega sui detenuti - e tutte le segnalazioni vengono istruite”. “Ero appena andato in vacanza, era il 18 o il 19 agosto - spiega Cascini ricordando com’è andata quella telefona in cui il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri chiede conto delle condizioni in carcere della figlia di Salvatore Ligresti - e leggo sul giornale che Giulia Ligresti non mangiava, così mi sono attivato: ho chiesto informazioni su questa detenuta e l’ispettore mi ha risposto che aveva già sentito il carcere e che tutti erano stati allertati”. Lo avrebbe fatto anche se sul giornale avesse letto il nome di una perfetta sconosciuta? “Certo, il nostro compito è tutelare i detenuti, tutti. L’ho fatto perché non mangiava più, non perché si chiamava Ligresti. E, voglio ribadirlo, questo avviene prima della telefonata del ministro. Tanto che quando Cancellieri chiama per sapere se possiamo verificare le condizioni della detenuta, io le rispondo che il carcere sta già monitorandola situazione”. Amareggiato per la piega che ha preso tutta la vicenda, consapevole del peso politico che ha, Cascini racconta un episodio: “A Ferragosto il ministro ha fatto una visita ai detenuti del carcere romano di Regina Coeli. Dopo quella visita mi ha fatto una telefonata completamente sull’onda dell’emotività: aveva parlato in carcere con un uomo condannato per aver aiutato la moglie, malata terminale, a morire. Le era sembrato molto giù, era preoccupata e mi ha detto “possiamo fare qualcosa?”. Ecco, purtroppo più che aumentare i controlli sullo stato psicologico di quell’uomo, non abbiamo potuto fare. È vero che non tutti hanno il cellulare del ministro e che non tutti possono incontrarla, ma possono scrivere. Non c’è segnalazione che non venga esaminata”. Tra le ultime richieste arrivate al Dap proprio dal ministro quella di un detenuto, un ragazzo che nel carcere di Siracusa, causa il sovraffollamento, non riusciva più a studiare e, quindi, chiedeva il trasferimento in un istituto più “tranquillo”. Richiesta esaudita: il ragazzo è stato trasferito a San Cataldo (Caltanissetta). “Registriamo 20 casi di autolesionismo al giorno e 2-3 tentativi di suicidio al giorno: noi abbiamo il dovere di assicurarci delle condizioni dei detenuti. Nell’ultimo anno ci sono stati 12 suicidi in meno - conclude Cascini - ma combattiamo perché cene siano ancora meno. Cosa vuole che mi importi da chi arriva la notizia. Il punto è: cosa possiamo fare?”. I drammatici numeri nelle carceri: 64.758 presenze su una capienza di 47.615 Sono 64.758 i detenuti presenti nei 205 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 47.615 posti. I dati arrivano dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e sono aggiornati al 30 settembre 2013. Di questo numero complessivo, i detenuti in attesa di giudizio, come è evidenziato nei dati particolareggiati forniti dal ministero della Giustizia, sono24.635. Tra coloro in attesa di giudizio 12.333 sono i detenuti ancora in attesa del primo grado, 6.359 aspettano la decisione di Appello, 4.300 sono i attesa della decisione della Cassazione. Su64.758 carcerati(numero che comprende anche 863 persone in semilibertà), 22.770 sono stranieri, 2.821 sono donne, e 1.208 sono “internati”, cioè sottoposti all’esecuzione delle misure di sicurezza detentive (colonia agricola, casa di lavoro, casa di cura e custodia, ospedale psichiatrico giudiziario). Mentre in 12.035 sono agli arresti domiciliari. Andando poi a spulciare i dati del Dap, che per ogni regione riporta il numero di istituti di pena e i detenuti presenti, viene fuori che il maggior numeri di reclusi è concentrato in Campania (8.103 detenuti a fonte di 17 prigioni e di una capienza regolamentare di 5.627 posti), Lombardia (8.980 detenuti, 19 istituti di pena, 6.040 posti regolamentari), Lazio (7.157 reclusi, 14 istituti, 4.799 posti regolamentari), Sicilia (6.987 detenuti, 26 carceri, 5.540 posti regolamentari), Toscana (4.185 detenuti, 18 istituti, 3.259 posti regolamentari). Al sovraffollamento carcerario si unisce una seconda e ancor più delicata problematica: i suicidi in carcere. Secondo il centro studi Ristretti Orizzonti che ha redatto il dossier “Morire di carcere”, sono stati 60 i casi di suicido nel 2012, e 42 nel 2013 (dato aggiornato al 2 novembre). Mentre l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere riporta il dato dal 1 gennaio 2009 al 17 ottobre 2013: 306 suicidi, di cui 103 stranieri, 203 italiani, 7 donne, di cui 4 straniere. Gli istituti di pena nei quali si è registrato il maggior numero di suicidi (10) sono anche quelle che soffrono maggiormente il sovraffollamento: Sollicciano (Firenze) e Poggioreale (Napoli). Ultimatum Ue, nuove norme dal governo Una compensazione per i detenuti vittime del sovraffollamento come richiesto dalla Corte europea dei diritti umani, attività che riducano i tempi in cella, aumento della capacità delle strutture. Queste alcune delle misure di cui il ministro della giustizia Annamaria Cancellieri ha parlato al segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, durante l’incontro di questo pomeriggio dedicato soprattutto al tema delle carceri. “Stiamo valutando quali misure di compensazione adottare, se pecuniarie o di alleggerimento della pena o altre”, ha detto il Guardasigilli. E questo come altri provvedimenti che riguardano la giustizia “saranno pronti abbastanza presto”. “Penso che entro la fine dell’anno saremo in grado di fare delle cose interessanti “ ha spiegato la Cancellieri, sottolineando tuttavia di non poter ancora anticipare tutte le azioni che saranno prese, oltre che sul fronte carcere, anche su quello della durata dei processi e della legge Pinto, tutti temi che saranno affrontati nel corso dell’incontro che avrà domani con il presidente della Corte di Strasburgo, Dean Spielmann. Ma intanto il Guardasigilli ha presentato al segretario generale le tre linee direttrici su cui il governo si sta muovendo per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e migliorare le condizioni di vita dei detenuti. La prima è di tipo normativo e attraverso l’approvazione di un decreto legge mira a “ridurre i flussi d’ingresso in carcere e rendere più fluido l’accesso alle misure alternative previste nel nostro ordinamento”. Ma il governo intende anche adottare un nuovo provvedimento destinato in particolare ai tossicodipendenti per cui si prevedono minori sanzioni, e agli stranieri per i quali, in linea con le direttive dell’Unione europea, s’intende prevedere percorsi che facilitino il rimpatrio. La seconda direttrice riguarda invece il mutamento del regime di detenzione. “Il modello che si vuole introdurre è quello di una detenzione “aperta” all’interno del carcere”, ha specificato il ministro. Questo va di pari passo con l’elaborazione “entro la fine del mese” di un piano dettagliato di attività lavorative, ricreative e socializzanti per i detenuti in ciascun penitenziario. Infine la terza linea del governo è quella che riguarda il potenziamento delle strutture, che “porterà entro la fine dell’anno ad altri 2000 posti in nuovi penitenziari, e all’aumento di altri 4.500 posti entro maggio 2014. Giustizia: caso Cancellieri; disposta a un passo indietro ma non si passi sul mio onore it.radiovaticana.va, 5 novembre 2013 Il gruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera ha presentato la mozione di sfiducia nei confronti del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, che si presenterà domani pomeriggio in Parlamento per riferire sul suo coinvolgimento nella scarcerazione di Giulia Ligresti. “Se me lo chiedessero farei un passo indietro, ma non consento che si passi sopra al mio onore.” ha detto il Guardasigilli, aggiungendo che non si è “mai occupata di scarcerazione, è una falsità” e che “mai ha fatto nulla che non sia” un suo “preciso compito”. Cancellieri ha poi precisato di aver fatto circa 110 interventi in favore di detenuti in 3 mesi. Il ministro Cancellieri è stata oggi a Strasburgo per parlare di sovraffollamento carcerario e durata dei processi. Per il ministro, con l’ultimo decreto i flussi d’entrata nelle carceri si sono ridotti del 40%. All’Italia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha chiesto di mettere a punto una soluzione definitiva entro maggio altrimenti dovrà pagare multe fino ad 80 milioni di euro annui. Paolo Ondarza ha intervistato Francesco Morelli del centro studi di “Ristretti Orizzonti”, progetto di informazione “dal” e “sul” carcere: L’Italia ha la percentuale di detenuti in attesa di giudizio più alta d’Europa. In altri Paesi l’iter processuale più snello consente di ridurre sensibilmente questa quota di persone in attesa di giudizio. Riguardo invece al sovraffollamento delle carceri, va detto che la percentuale di carcerazione, quindi quante persone stanno in carcere in rapporto alla popolazione, non è anomala in Italia, nel senso che è nella media europea. Il problema, in questo caso, sta nel fatto che l’Italia ha meno carceri rispetto agli alti Paesi. Costruire un carcere in Italia richiede 20-30 anni di lavoro dal momento della progettazione fino all’ultimazione dei lavori. Sono tempi impossibili con i ritmi di una società moderna. Ma crede che oggi siano necessarie più carceri? Sicuramente è necessario sostituire quelle vecchie. Ci sono carceri addirittura del 1500 che sono ancora utilizzate, altre del 1700, altre del 1800, dove la qualità, gli standard di abitabilità sono assolutamente inadeguati. Secondo la Corte europea dei diritti umani l’Italia è seconda solo alla Russia per numero di ricorsi pendenti da parte di detenuti; oltre la metà riguardano il ritardo nei pagamenti dei risarcimenti a chi è stato vittima di un processo durato troppo a lungo… Sì, in effetti questo è un po’ l’esito di una situazione che si trascina da decenni. Non si tratta di un’emergenza - come spesso viene definita - ma in realtà è una situazione cronicizzata da decenni di disattenzioni. Quindi stiamo pagando ancora i risarcimenti di situazioni di ingiustizia che si sono verificate negli anni ‘90. Il ministro della Giustizia Cancellieri ha detto che serve una vera e propria rivoluzione copernicana per il sistema carceri. Il sovraffollamento - ha aggiunto - è solo il problema peggiore… In effetti le carceri hanno bisogno di una serie di interventi, prima di tutto dal punto di vista dell’approccio politico, perché l’opinione pubblica non pensa bene delle carceri e non pensa bene dei carcerati. Purtroppo, c’è questo luogo comune che vuole le carceri come posti per far soffrire le persone; mentre l’unica sofferenza ammessa dalla nostra Costituzione e dalle leggi internazionali è quella della privazione della libertà. Oltre alla privazione della libertà, non dovrebbero esserci altre forme di afflizione, mentre purtroppo nelle carceri succede di tutto: dal sovraffollamento, alle morti. Depenalizzazione dei reati minori, misure alterative, lavoro esterno, introduzione del modello di detenzione aperta e - come lei ricordava - anche l’urgenza dell’edilizia carceraria. Sono alcuni dei provvedimenti che la Cancellieri porta a Strasburgo insieme alla convinzione che un provvedimento di indulto o amnistia sia necessario. Pensiamo anche noi che sia necessario assolutamente un provvedimento di indulto e di amnistia, anche perché le altre soluzioni non sono possibili da attuare in tempi brevi e comunque hanno dei costi che non possiamo permetterci a fronte di questa scadenza che ormai è di otto mesi. Difficilmente sarà possibile senza amnistia e indulto. Altrimenti l’Italia sarà sanzionata? Altrimenti i migliaia di ricorsi presentati dai detenuti italiani troveranno accoglimento della Corte europea dei diritti dell’uomo che sanzionerà l’Italia. Attualmente il governo sta lavorando bene? Fa quello che può. Con pochi soldi è difficile pensare a soluzioni davvero radicali. Il ministro si è impegnato molto, anche ascoltando per mesi - e di questo gliene rendiamo assolutamente merito - tutti gli operatori e anche il mondo del volontariato. Da lì, a uscire da questa situazione è un altro paio di maniche. Giustizia: Moretti (Ugl); preoccupati per impatto piano Cancellieri su personale penitenziario Agenparl, 5 novembre 2013 “Siamo preoccupati per l’impatto che il piano strategico per le carceri, presentato oggi dal ministro Cancellieri alla Corte europea di Strasburgo, avrà sull’organizzazione del lavoro del personale di Polizia Penitenziaria”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, spiegando che “gli agenti sono esposti a carichi di lavoro sempre più pesanti e non possiamo certo dirci ottimisti rispetto a soluzioni che, anche per difficoltà logistico/strutturali, ad oggi risultano inapplicabili se non a danno della sicurezza operativa del personale”. “In più occasioni - continua il sindacalista - abbiamo sentito il Guardasigilli dichiarare che entro breve saranno disponibili oltre 4 mila nuovi posti detentivi, che il 79 per cento dei detenuti non sosterà più nelle celle durante il giorno, che si procederà alla presentazione di una norma che affronterà il problema dei reclusi extracomunitari e dei tossicodipendenti, ma non sappiamo ancora nulla delle risorse, umane ed economiche, che serviranno, né tantomeno dove si sta pensando di reperirle”. “Ribadiamo perciò la necessità di un incontro urgente con le organizzazioni sindacali finalizzato a chiarire i dettagli del progetto illustrato a Strasburgo e a tracciare insieme un percorso di effettiva riqualificazione del sistema penitenziario e del personale che in esso opera, stanco - conclude Moretti - di subire inefficienze gestionali da un lato e disattenzioni politiche dall’altro”. Giustizia: i magistrati di “Area” sul sovraffollamento delle carceri Ristretti Orizzonti, 5 novembre 2013 La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha accertato che nel nostro paese le persone detenute sono sottoposte a un trattamento inumano a causa del sovraffollamento delle carceri. La Corte ha ragione, è noto a tutti e lo ha amaramente ammesso, per tutti, il Capo dello Stato. Le ragioni del sovraffollamento consistono, come rileva la Corte sulla scorta delle indagini e delle raccomandazioni degli organi del Consiglio d’Europa, nel ricorso eccessivo alla sanzione penale detentiva e alla custodia cautelare in carcere e non - o comunque non soltanto - nella scarsezza di istituti penitenziari. Area intende offrire il suo contributo attraverso un sereno esame delle statistiche della popolazione carceraria, dell’efficacia di eventuali provvedimenti clemenziali, dei rimedi per una pronta soluzione del sovraffollamento. Per realizzare un sistema di repressione penale realmente fondato sul principio di offensività, occorre procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale nella prospettiva del “diritto penale minimo”. Occorre depenalizzare le fattispecie bagatellari, evitare di procedere nei confronti di cittadini che, non essendo mai stati compiutamente generalizzati, rimarrebbero fantasmi nei cui confronti la pena non sarà mai eseguita, estendere anche al processo a carico dei maggiorenni le formule del proscioglimento per irrilevanza del fatto, che consente al giudice del caso concreto di verificare la reale offensività delle condotte ascritte all’imputato, e dell’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova. Si tratta di soluzioni necessarie ma che, non ci si può fare illusioni, non possono essere approvate in tempi brevi e soprattutto necessitano di ingenti investimenti finanziari e di personale umano. In particolare, la messa alla prova, così come insegna l’esperienza penale minorile, funziona solo se le amministrazioni locali ed il “privato sociale” offrono idonei percorsi per l’emenda del reo, tramite la riconciliazione con la persona offesa, lavori socialmente utili, volontariato. In anni di tagli ai bilanci pubblici, si deve tenere conto anche di tale profilo per evitare che un istituto dalle così tante potenzialità venga svilito e reso del tutto inutile. Si deve, invece, investire nell’esecuzione penale esterna ed in tutte le attività che attuino il finalismo rieducativo della pena. Tutti questi interventi renderanno meglio gestibili i “numeri” del processo penale italiano, consentiranno di utilizzare al meglio le risorse a disposizione, eviteranno il collasso del sistema penalprocessuale. Ma questi interventi, dei quali continuiamo a chiedere a gran voce l’attuazione, non serviranno a diminuire il numero dei ristretti in Italia ed a restituire loro la dignità che chiunque merita. Lo dicono i numeri che il Ministero della Giustizia ha comunicato al Parlamento. Il totale dei detenuti è 64.564 (al 14.10.2013), di cui 38.625 definitivi e 24.744 in custodia cautelare (12.348 in attesa del primo giudizio). 23.094 sono detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti (14.378 definitivi, 8.657 in custodia, 59 internati). Di questi circa 19.000 hanno l’art. 73 dpr 309/90 (detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente) come reato più grave. 9.473 sono detenuti per rapina (5.801 definitivi , 3564 in custodia, 108 internati). 9.077 sono detenuti per omicidio (6049 definitivi e 2792 in custodia, 236 internati). 4.238 sono detenuti per estorsione (2180 definitivi, 1982 in custodia). 3.853 sono detenuti per furto (1.952 definitivi, 1824 in custodia, 77 internati). 2.755 sono detenuti per violenza sessuale (2001 definitivi, 709 in custodia, 45 internati). 2.732 sono detenuti per ricettazione (1.897 definitivi, 809 in custodia, 26 internati). 1424 sono detenuti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Insomma, almeno per quanto riguarda chi si trova in carcere, il diritto penale minimo è già una realtà. Non vi è traccia in carcere delle distorsioni del pan-penalismo, che invece riempie le aule di giustizia. Si sta in carcere per pochi reati e, soprattutto, per quelli “classici”. Interessante notare che sui 38mila circa condannati, 23.000 hanno una pena residua inferiore ai tre anni (quasi 18mila meno di 2 anni), quindi tale da potere accedere ad una misura alternativa alla detenzione, che evidentemente non viene concessa per mancanza delle condizioni. Scarso è anche il ricorso alle misure alternative per i tossico-dipendenti. Nel 2006 con l’indulto sono usciti dal carcere 26mila detenuti. Ma nel 2009 la popolazione detenuta è tornata a 69mila unità. Infatti, nei due anni successivi all’indulto del 2006 sono entrate circa 90mila persone l’anno, mentre l’anno scorso sono entrate 63mila persone. In questo quadro un provvedimento di indulto generalizzato è, per quanto riguarda la situazione carceraria, sostanzialmente inutile, mentre per quanto riguarda il funzionamento del sistema penale è estremamente dannoso. È inutile per il sistema carcere, perché il dato della popolazione carceraria e degli ingressi è strutturale da oltre un ventennio. L’indulto ha un effetto di “svuotamento” di cortissimo respiro, perché le persone ritornano in breve tempo in carcere. È dannoso per il sistema penale, perché accentua la distanza tra coloro che subiscono una pena effettiva (gli autori dei pochi reati indicati sopra nei cui confronti l’indulto significa una riduzione di pena) e le centinaia di migliaia di imputati, che non hanno visto e non vedranno mai il carcere, ma che hanno commesso reati, anche gravi. Nei confronti di costoro, infatti, l’indulto ha effetti tombali: tutte le bancarotte. le corruzioni, le concussioni, le truffe, i reati in materia ambientale, gli omicidi sul lavoro non sarebbero mai puniti. Insomma l’indulto beneficerebbe costoro e non gli autori dei reati “classici”: il carattere classista del nostro sistema penale sarebbe moltiplicato e non ridotto da un provvedimenti di clemenza di carattere generale. La drammatica situazione delle carceri italiane impone, però, di assumersi la responsabilità di una scelta. La osservazione dei numeri richiamati sopra indica con chiarezza la strada da percorrere. Sono 23mila i soggetti detenuti per reati in materia stupefacenti. È un dato che registra in maniera incontrovertibile il fallimento delle politiche puramente repressive in materia di stupefacenti e che sono la causa principale, se non esclusiva, del sovraffollamento. Infatti la crescita della popolazione detenuta è cominciata subito dopo la riforma del 1990 in materia di stupefacenti. Soprattutto dopo la riforma Fini Giovanardi, ogni giorno vediamo gli effetti distorti di una legge assurda, ideologica, del tutto asimmetrica (quanto a entità della pena) rispetto agli altri reati, tale che si rischiano anche condanne ad anni di carcere per la cessione di una dose di hashish. E allora, suggeriamo alcuni punti di partenza per una riforma strutturale: 1. modificazione dell’art.73 dpr 309/90, con la previsione di una autonoma figura di reato per l’ipotesi di cui al 5 comma con pena massima di tre anni e senza facoltà di arresto (e dunque senza il famigerato effetto “porte girevoli” causato dagli arrestati che, dopo la convalida ed il patteggiamento, vengono liberati); 2. abrogazione del secondo periodo del comma 5 dell’art.391 cpp che consente di applicare, in caso di arresto, la misura custodiale per reati che non la consentirebbero (con conseguente riduzione dei detenuti cautelari). Probabilmente l’indulto sarà inevitabile: ma chiediamo che sia calibrato escludendo alcune fattispecie che la pubblica opinione avverte come intollerabili (corruzione, concussione, reati tributari, reati ambientali, reati in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro) e soprattutto che non si dimentichi la ben più urgente necessità di altri interventi che, nel tempo, facciano calare in modo strutturale gli ingressi. Il Coordinamento di Area Lazio: Cisl; i numeri del sovraffollamento, nelle carceri regionali 2.300 detenuti di troppo Agenparl, 5 novembre 2013 Solo un meno 57 detenuti rispetto al dato del 30 settembre scorso (7.157) questi i numeri del sovraffollamento dei detenuti reclusi nel Lazio, dato aggiornato al 31 ottobre. Un sovraffollamento di 2.301 detenuti considerato che 7.100 risultano essere i detenuti reclusi nei 14 Istituti del Lazio rispetto ad una capienza regolamentare di detenuti prevista di n. 4.799 Sovraffollamento che assume un livello emergenziale soprattutto negli Istituti Penitenziari di: NC CC Rebibbia dove il numero regolamentare dovrebbe essere 1.218,quello tollerabile di 1.696 ma i presenti risultano essere invece 1.797; Cassino, dove il numero regolamentare dovrebbe essere 172 , tollerabile di 285 ma i presenti risultano essere invece 306; Regina Coeli-Roma, dove il numero regolamentare dovrebbe essere 589, quello tollerabile di 1.022 ma i presenti risultano essere invece 1.035; CR Rebibbia dove il numero regolamentare dovrebbe essere 365, tollerabile di 427 ma i presenti risultano essere invece 427; Casi di sovraffollamento che, comunque, si registrano anche negli altri 10 Istituti Penitenziari della regione Lazio . Per la Fn Cisl occorre : una nuova riforma del sistema carceri , ammodernamento, manutenzione e messa in sicurezza delle strutture penitenziarie che valorizzi il lavoro in un contesto al limite della sopportabilità el’ adeguamento degli organici della Polizia Penitenziaria. Milano: un mq a detenuto… San Vittore sta scoppiando, ecco il piano per svuotarlo di Agnese Pini Il Giorno, 5 novembre 2013 Vivono così, i carcerati di San Vittore. Dove i numeri oltremodo fuori misura: 1.600 uomini dietro le sbarre in una struttura nata oltre un secolo fa per contenerne 800. Cinque detenuti in ogni cella, e per cella si intende una stanza da cinque metri quadrati, bagno compreso. Cinque metri quadrati sono una tenda canadese: significa un metro quadrato di spazio vitale per essere umano. Così quando questi esseri umani vogliono stare in piedi devono fare i turni, altrimenti non ci stanno: tre su, gli altri due in branda. E poi cambio. Vivono così, i carcerati di San Vittore. Dove i numeri oltremodo fuori misura - 1.600 uomini dietro le sbarre in una struttura nata oltre un secolo fa per contenerne 800 - non riescono a dare fino in fondo l’idea di un sistema “a rischio esplosione”, esempio emblematico di un’emergenza nazionale che all’Italia costa un’immagine che fa vergogna agli occhi del mondo e pesanti sanzioni dell’Unione Europea: lo Stato rischia di dover pagare oltre 60 milioni di euro all’anno per violazione dei diritti umani se il problema non verrà risolto entro la primavera prossima. Così, mentre la pressione internazionale e l’attenzione nazionale sono massime, finalmente qualcosa si muove, giocoforza, anche fra i sei bracci di piazza Filangieri. Cambiamenti da attuare in “tempi brevi” sebbene, nel linguaggio della burocrazia, la brevità vada sempre pesata nell’ottica degli anni: “Almeno due”, secondo il sindacato Osapp degli agenti di polizia penitenziaria, altre vittime indirette di un problema “da troppo tempo rimandato”. Nel piano d’azione allo studio del Provveditorato lombardo e in discussione proprio in queste settimane, diversi obiettivi, a cominciare dalla riduzione del numero dei detenuti e sperando anche “nell’aiutino” di indulti e amnistie che, a queste latitudini, sono visti “come una manna”. Quindi, secondo i pronostici, si dovrebbe passare da 1.600 a 1.100 reclusi, sfruttando il potenziamento di altre carceri lombarde, da Cremona, a Pavia, a Opera, a Busto Arsizio, a Voghera. I primi ad abbandonare San Vittore entro la fine di quest’anno dovrebbero essere - ma il condizionale resta d’obbligo - i detenuti in osservazione psichiatrica: una quindicina in tutto, fra loro il killer di Niguarda Mada Kabobo. Destinazione Pavia, dove sarà trasferito anche il reparto dei reclusi protetti (viados, pedofili, violentatori). Novità in vista per le donne, pure loro in sovrannumero: oggi sono 110 (su 80 posti previsti) e dovranno scendere del 50%. A San Vittore resteranno solo le detenute in attesa di giudizio, quelle con condanne definitive saranno trasferite a Bollate. Un primo timido tentativo di dar tregua a cifre e statistiche che scoppiano. Perché il vero problema del sovraffollamento carcerario, a San Vittore come in mezza Italia, riguarda soprattutto i detenuti di piccolo calibro. Per capirlo, basta fare la radiografia degli ospiti di piazza Filangieri (dove il 75% è extracomunitario): solo il 10-15% di loro deve scontare pene superiori ai 10 anni. Così, sfoltire i numeri non basta. Serve una “rivoluzione copernicana”, come la chiamano i sindacati. Una rivoluzione già sperimentata nel terzo raggio del carcere e destinata a “cambiare radicalmente” la quotidianità dietro le sbarre. Per guardie e detenuti. Quelli considerati “non pericolosi” e “responsabili” avranno infatti la possibilità di muoversi liberamente nel proprio reparto, fuori dalle celle, controllati da un sistema di sicurezza “dinamico e integrato” in cui lavoreranno gomito a gomito e con pari dignità agenti, volontari, personale medico e assistenti sociali. Entro quando? “Possibilmente ieri”, è il caso di dirlo. Perché, ora più che mai, il tempo stringe. Viterbo: il Pd presenta cinque punti per risolvere la situazione dei penitenziari di Maria Letizia Riganelli www.tusciaweb.eu, 5 novembre 2013 Riforma della custodia cautelare e messa alla prova. Sono queste due delle proposte, per superare il drammatico problema del sovraffollamento delle carceri italiani, presentate stamattina dai deputati del Pd Alessandro Mazzoli, Alessandra Terrosi e Danilo Leva, presidente del forum nazionale giustizia, insieme a Sandro Favi responsabile nazionale carceri del Pd, che hanno fatto visita alla casa circondariale di Viterbo. Non una visita di cortesia, ma un vero e proprio incontro per capire come vivono i detenuti all’interno del carcere e come lavorano gli agenti di polizia penitenziaria. Il bilancio della visita, che proseguirà in altri cinque carceri italiani, è stato tracciato in conferenza stampa nella sede del Pd alla presenza del segretario provinciale Andrea Egidi. “Questa visita - spiega Alessandro Mazzoli - si inserisce in un’iniziativa nazionale del Pd che vuole mettere in luce le drammatiche condizioni all’interno dei carceri italiani. La spinta arriva dal messaggio alle Camere del 7 ottobre scorso del presidente Napolitano. Probabilmente l’attenzione, soprattutto quella dei media, si è focalizzata solamente sulle parole indulto e amnistia che rappresentano, secondo noi, solo l’estrema ratio per affrontare questa situazione. Quello che immaginiamo è invece un percorso che ci porti al 28 maggio 2014, quando cioè scadranno i termini imposti dall’Ue per adeguare le nostre carceri agli standard europei, con una situazione carceraria che rispetti i diritti umani e che ponga fine al problema del sovraffollamento”. Sovraffollamento che però a Viterbo non sembra esserci. “La direttrice del carcere - dice ancora Mazzoli - ci ha parlato semplicemente di affollamento. Mammagialla ha una capienza di 44o posti, con una tollerabilità di circa 600, attualmente sono detenute 684 persone. Di questi 400 hanno una condanna definitiva, 50 sono in regime di 41bis, 139 in alta sicurezza. E il 33% sono stranieri, principalmente slavi o magrebini”. Il problema del carcere non è solo la concentrazione di detenuti ma anche la carenza di agenti penitenziari. A Viterbo dovrebbero esserci 470 agenti, mentre ce ne sono 316 effettivi. “La direttrice - continua Mazzoli - lamenta anche la mancanza di un mediatore culturale, fondamentale vista la massiccia presenza di stranieri e la possibilità di aumentare le ore per psicologi e psichiatri. Credo che sia importante anche parlare della questione sanitaria. L’atto aziendale recentemente bloccato dalla Regione, solo per fare un esempio, per Mammagialla prevedeva un’unità operativa semplice, qui invece è necessaria un’unità complessa che preveda più persone e più strutture. Il carcere fa parte di questo territorio, è una realtà che non si può dimenticare”. La campagna del Partito democratico nei prossimi giorni farà tappa nei carceri di Busto Arsizio, Firenze, Bologna, Bari e Palermo. La delegazioni girerà per l’Italia per capire come realizzare la proposta per migliorare la vita dei detenuti. “Rispetto ad altri istituti penitenziari - spiega Danilo Favi - la situazione qui a Viterbo non è catastrofica. Abbiamo visto situazioni al limite, dove i letti a castello sono a tre piani e celle con 14 detenuti. Qui al massimo una cella pensata per una persona è coabitata da due detenuti e le docce sono in comune. Insomma, non ci sono situazioni di difficoltà estrema. Il modo per superare l’affollamento però non è ricorrere all’edilizia penitenziaria ma a misure alternative. Così come per aumentare il numero degli agenti che lavorano in carcere è necessario sbloccare il turnover e assumere altro personale, stessa cosa vale per gli educatori. A Viterbo ce ne sono solo 6, di cui due in scadenza. Non c’è nemmeno un educatore ogni cento detenuti”. La ricetta per superare l’sovraffollamento e rientrare nei parametri europei la spiega Danilo Leva. “Quello che succede nelle carceri italiane - dice - non è da paese civile, non è umano. Per questo chiederemo una sessione straordinaria in Parlamento che affronti le problematiche dei carceri italiani. E chiederemo cinque interventi strutturali: la riforma della custodia cautelare, il superamento della Fini-Giovanardi, perché i tossicodipendenti devono intraprendere un percorso di terapia e non finire in carcere, il superamento della ex Cirielli che ha ingolfato tutto il sistema, l’approvazione della messa alla prova e l’approvazione di misure alternative. Solamente dopo questi cinque punti si può parlare anche di amnistia e indulto. Perché senza provvedimenti strutturali si finisce per tamponare una situazione emergenziale senza portare nessun beneficio. La nostra è una battaglia per uscire dall’arretratezza culturale in cui siamo finiti”. “Il messaggio del presidente Napolitano - dice infine il segretario provinciale Egidi - è importante e non va sottovalutato, per questo mi auguro che questa iniziativa del Pd possa far fare un passo in avanti per riportare i diritti umani al centro”. Milano: Radicali; con Commissione tecnica sapremmo di tutti i detenuti a rischio www.radicali.it, 5 novembre 2013 Sintesi dell’intervento svolto nel Consiglio comunale di Milano da Marco Cappato, Presidente del Gruppo Radicale - federalista europeo. Sono ormai passati 20 mesi da quando il Consiglio comunale di Milano approvò - su proposta del Radicale Lucio Bertè - la mozione Biscardini per l’istituzione di una Commissione comunale tecnica ad hoc con competenze, medico-sanitarie, di igiene edilizia e sicurezza degli impianti, per rilevare le condizioni oggettive di vita di tutti coloro che “abitano” ristretti negli Istituti di Prevenzione e pena sul territorio del Comune di Milano (Opera, San Vittore e Bollate), nell’Istituto per i minorenni “Cesare Beccaria” e nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Corelli. La Commissione - così come la propose il Consiglio comunale - in ciascuna struttura avrebbe proprio il compito di chiedere, cella per cella, il numero degli ospiti presenti e le condizioni di salute di ciascuno, aggiornando e acquisendo il “diario clinico” di ciascun detenuto, agente o operatore. È evidente che se tale Commissione fosse stata istituita, sarebbe ora possibile accertare in tempo reale e prevenire tutte le condizioni dove è a rischio la vita di un detenuto, rilevando dunque tutti i casi analoghi a quello segnalato dalla Ministra Cancellieri con la sua telefonata. Chiediamo al Sindaco Pisapia e all’Assessore Majorini di dare finalmente seguito al quanto voluto dal Consiglio comunale milanese. Siena: il Garante dei detenuti della Toscana Franco Corleone oggi visita il carcere www.firenzepost.it, 5 novembre 2013 Corleone avvia una serie di sopralluoghi presso le strutture penitenziarie. Oggi, martedì 5 novembre, alle 10, il Garante della Regione Toscana per i detenuti Franco Corleone sarà alla casa circondariale di Siena. Nella struttura di piazza Santo Spirito si trova una presenza media superiore alle 70 unità, a fronte di 50 posti di capienza. La componente straniera ammonta al 50% circa dei presenti. Con la visita a Siena, il Garante Corleone avvia una serie di sopralluoghi presso le strutture penitenziarie della Toscana. Le visite programmate proseguiranno il 7 novembre con la casa circondariale di Arezzo, il 13 novembre quella di Lucca, il 14 sarà la volta di Empoli e il 21 il Garante sarà presso l’Opg di Montelupo. Bologna: all’Ipm personale allo stremo, nuovo allarme della Polizia penitenziaria Ansa, 5 novembre 2013 Una “situazione di emergenza” che ha portato la polizia penitenziaria del carcere minorile di Bologna “allo stremo”, avvertendo “l’abbandono totale dei propri vertici istituzionali senza tra l’altro avere a supporto dei validi punti di riferimento”. Per questo motivo le organizzazioni sindacali degli agenti (Sappe, Uil-Pa, Ugl-Pp, Cgil-Fp, Fsa-Cnpp e Sinappe), dopo aver inviato numerose note al capo dipartimento giustizia minorile, Caterina Chinnici, dicono in un comunicato che “se entro pochi giorni non verranno convocate si dichiarano pronte ad eclatanti azioni di protesta”, come una manifestazione davanti al Dipartimento giustizia minorile. Secondo i sindacati le continue richieste per un confronto sulla situazione del carcere minorile del Pratello “hanno visto solamente un imbarazzante silenzio da parte del Dipartimento giustizia minorile. Tale silenzio ha portato ad oggi l’Istituto verso il collasso con situazioni di emergenza ed eventi critici, quali una rissa tra detenuti e principi di incendio, che non fanno altro che dare visibilità negativa all’Istituto”. Una mancata risposta da parte del capo del dipartimento “vorrebbe significare un ulteriore segnale di inadeguatezza dei vertici del Dipartimento ad affrontare una questione - continua la nota - che proprio dai vertici è stata spesso determinata in questi anni, aprendo una struttura insicura e non dotandola neanche delle unità di personale necessario per gestirla”. Asti: progetto Associazione Sapori Reclusi per il reinserimento sociale dei detenuti www.gamberorosso.it, 5 novembre 2013 Rinascita, possibilità e nuove libertà. Ecco le linee guida condivise dalla collaborazione tra Sapori Reclusi e Wine Bank Italia. Per comunicare bene, come per bere bene, occorre saper trasmettere delle emozioni. Nasce così “Bianco, rosso, libero”: una cassetta di legno, tre bottiglie, tre storie. Ed ecco che gli istituti penitenziari si raccontano attraverso prodotti del territorio, abbracciando tutti e cinque i sensi del pubblico a cui si rivolge. Il progetto che l’Associazione Sapori Reclusi ha lanciato in collaborazione con Wine Bank Italia prevede un percorso di reinserimento sociale dei detenuti attraverso i prodotti che più rappresentano il territorio d’origine, come l’uva. 10.000 bottiglie di vino di Cortese dell’Alto Monferrato e Barbera d’Asti della Tenuta Garetto di Agliano Terme saranno quindi commercializzate con il marchio “Sapori Reclusi”. Dalla vendita verrà ricavata una quota da destinare all’Associazione e ai suoi progetti di comunicazione, reinserimento sociale dei detenuti e sensibilizzazione sociale. Alle bottiglie è stato allegato un piccolo libretto scritto dai detenuti, con l’intento di mostrare un differente punto di vista rispetto a quelli cui comunemente si è abituati. Storie, impressioni, ricordi e sensazioni di chi, privato della libertà, serba nel cuore un forte sentimento di riscatto. Ed è proprio offrendo un riavvicinamento al territorio che la collaborazione tra Sapori Reclusi e Wine Bank Italia intende sostenere questo riscatto. Il vino, quello responsabile, di qualità, è quindi nuovamente vettore di buone pratiche, intente, in questo caso, ad avvicinare i detenuti al territorio, ma non solo. Obiettivo dell’operazione è anche quello di sensibilizzare la società sui temi che riguardano la delicata situazione di chi, scontata la pena, è pronto per rimettersi in gioco. Milano: il critico musicale Mario Luzzatto Fegiz parla ai detenuti del carcere di Opera www.informazione.it, 5 novembre 2013 È certamente un appuntamento di forte risonanza quello previsto in data Venerdì 8 Novembre alle ore 17.00 nel contesto carcerario di Opera a Milano con la presenza d’eccezione dell’affermato critico musicale e storico giornalista e collaboratore del Corriere della Sera Mario Luzzatto Fegiz, che affiancato in qualità di relatore dal manager Salvo Nugnes, agente di rinomati personaggi e artisti, terrà una conferenza su “I segreti di 50 anni di musica”. Fegiz, raccontando e raccontandosi in chiave autobiografica sugli anni di prestigiosa carriera internazionale svelerà anche curiosi aneddoti e intriganti retroscena del mondo della musica. L’evento si svolgerà nella sala teatro dell’istituto penitenziario dinanzi ai detenuti e rientra nel ricco programma di incontri d’intrattenimento cultural artistico a scopo solidale, di cui Salvo Nugnes è convinto sostenitore e promotore. Durante la conferenza, ci sarà un’anticipazione in forma di prefazione introduttiva recitata dello spettacolo teatrale “Io odio i talent show” nel quale Fegiz si è cimentato nel ruolo di protagonista nella corposa tournée, ricevendo straordinari encomi e apprezzamenti con una performance davvero esilarante, in cui spara a zero sulle fabbriche di talento. Fegiz spiega “È uno psicodramma, che racconta di un critico musicale un tempo temuto e rispettato, che si trova a doversi confrontare con una nuova realtà quella dei social network, i talent show, i televoti, gli sms, improbabili giudici dal retroterra culturale esile. Abituato dagli anni settanta a fare il bello e il cattivo tempo, il critico viene travolto da una contestazione di fan dei giovani artisti, pronti a coglierlo in fallo. Così in un crescendo di situazioni ed episodi tragicomici vengono narrate avvincenti leggende tra fatti e misfatti vissuti in prima persona insieme ai grandi nomi della musica mondiale”. Fegiz dichiara “Di mestiere faccio quello che vi dice se vale la pena di spendere 50,00 € per un concerto o 15,00 € per un cd. Per misteriose ragioni costringo pubblico e artisti a confrontarsi con me e ho visto cose, che voi umani neanche potete immaginare”. Milano: con queste foto vi faccio vedere il carcere con gli occhi di un detenuto di Chiara Rizzo Tempi, 5 novembre 2013 Un avvocato fotografo e una mostra che ci farà immergere nella vita reale dei reclusi, senza filtri. Oggi le porte del carcere di San Vittore si apriranno a magistrati, giornalisti, avvocati penalisti. Non si tratta di strani arresti di massa, ma della presentazione di una mostra fotografica che ha colpito l’attenzione della direzione del carcere, della Camera penale di Milano e dell’Associazione nazionale magistrati milanese. Si intitola “Chiaro scuro del carcere - il percorso del detenuto, dall’ingresso alla cella” di cui tempi.it vi offre qualche immagine in anteprima: è un rarissimo caso in cui la vita reale dei detenuti sarà visibili a tutti i cittadini, senza filtri. La mostra Chiaro scuro del carcere - il percorso del detenuto, dall’ingresso alla cella è stata realizzata attraverso gli scatti dell’avvocato penalista del foro di Milano Alessandro Bastianello, ed è organizzata dalla Camera Penale di Milano, l’Associazione nazionale magistrati di Milano e la direzione del carcere di San Vittore. La mostra sarà presentata oggi in carcere, ma già tra un mese arriverà in centro città, spostandosi dal 2 al 6 dicembre all’Urban center in Galleria Vittorio Emanuele: sarà interessante raccontare allora l’effetto che faranno sui passanti affaccendati nelle compere natalizie la vista delle sbarre, le porte chiuse, le stanze soffocanti da pochi metri quadri in cui si convive anche in otto-dieci persone. Così come sarà sicuramente altrettanto interessante capire che pensieri susciteranno le stesse foto, quando la mostra, successivamente, sarà esposta al III piano del Tribunale di Milano, davanti a quei giudici o pubblici ministeri che il carcere lo commutano come pena o lo chiedono come misura cautelare. Le fotografie sono state scattate dall’avvocato milanese Alessandro Bastianello che così racconta a tempi.it: “Sono un penalista e ho la passione per la fotografia. Mi è venuto il desiderio di fare qualcosa di concreto per i detenuti: questa mostra nasce per raccogliere i fondi per un successivo progetto, creare un laboratorio di fotografia a San Vittore che sarà tenuto dallo Ied. Ho tentato di raccontare con la mia macchina fotografica le emozioni che vive un detenuto. Non ho “vissuto” il carcere solo da avvocato, professione per la quale posso dire di aver girato tutte le carceri: l’Unione camere penali ha un Osservatorio carceri che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica al problema delle carceri e questa è una delle iniziative nate proprio in questo ambito”. Modena: “Sette contro Tebe”, attori-detenuti di scena al Teatro dei Segni www.modenatoday.it, 5 novembre 2013 Fuori dalle stanze ristrette, per una sera a confronto col pubblico, con la libertà che il teatro impone: è questo uno dei frutti del Laboratorio teatrale permanente che il Teatro dei Venti tiene da otto anni all’interno della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia. Mercoledì 6 novembre (ore 21.00 Teatro dei Segni, ingresso gratuito) va in scena “Sette contro Tebe” primo studio, liberamente tratto dall’omonima tragedia di Eschilo, che vede in scena gli attori-detenuti che hanno avuto la possibilità di lavorare, prima settimanalmente, poi con una sessione di prove intensive con il regista Stefano Tè. Lo spettacolo viene presentato all’interno di “Stanze di Teatro in Carcere 2013”, rassegna promossa dal Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna, del quale la compagnia modenese fa parte. Il lavoro è già andato in scena a Bologna in anteprima il 31 ottobre, alla Festa del Teatro organizzata da Arci. Il dramma del fratricidio, della maledizione atavica, ed insieme le contraddizioni profonde che stanno alla base della costruzione politica sono i temi principali dell’opera eschilea, riletta e rielaborata dalla sensibilità degli attori-detenuti. I “Sette contro Tebe”, la tragedia dei figli di Edipo che giocano la loro ultima partita è una storia immortale che continua a interrogare la nostra epoca, con una profonda riflessione sulla guerra, sulla parabola dell’esistenza umana e sulle sue lacerazioni. Nello spettacolo si narra della polis, del suo ordine, e di tutti i “nemici” di fuori - la guerra, ma non solo - che attentano all’armonia politica. Alla fine di ogni guerra, oltre ai vincitori e ai vinti, ciò che rimane, è sempre una sconfitta della civiltà in cui parole, azioni, capacità di comprensione restano schiacciati dall’orrore che annebbia le idee e rende difficile distinguere i torti dalle ragioni, le vittime dagli carnefici. La produzione dello spettacolo è sostenuta in parte da uno specifico finanziamento della Regione Emilia Romagna (L.R. 13/1999) e avviene con la collaborazione della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, PRAP Emilia Romagna e Coordinamento Teatro Carcere. Lo spettacolo nasce dal Laboratorio permanente curato dal Teatro dei Venti all’interno della struttura penitenziaria, un progetto che da 8 anni viene proposto grazie a diversi finanziamenti e all’impegno volontario della compagnia, che dà la possibilità a detenuti e internati di avvicinarsi al teatro e di sperimentare diverse tecniche della comunicazione artistica, rimettendo in circolo creatività e relazioni, finalizzando l’attività alla messa in scena e al compimento di un’esperienza teatrale completa. Tra le produzioni di Teatro Carcere è importante ricordare lo spettacolo “Frammenti” finalista al Premio Scenario per Ustica nell’anno 2007 e lo spettacolo “Attraverso Caligola”, che ha debuttato in Stanze di Teatro in Carcere 2011 al Teatro delle Passioni di Modena, replicando in diverse occasioni. Questa tragedia è stata letta e studiata, assieme ad altre, durante una prima fase di confronto con gli attori-detenuti, per la ricerca del testo da affrontare quest’anno - dice il regista Stefano Tè. I Sette contro Tebe ha colpito gli attori per forza evocativa, scatenando in loro reazioni emotive intense, che hanno reso naturale la scelta e il lavoro che ne è. seguito. Senza fronzoli. Diretto. Essenziale. Il teatro in carcere favorisce il cambiamento dei linguaggi comunicativi, scardina le abitudini, sposta i confini. Crediamo che il teatro sia una lotta contro la prigionia dell’inespresso e fare un laboratorio in carcere sia un atto artistico fondamentale per una compagnia teatrale che vuole confrontarsi col contemporaneo. Ferrara: i detenuti sul palco con il loro “Hard core”, regia di Andrea Amaducci di Fabio Ziosi La Nuova Ferrara, 5 novembre 2013 I detenuti della Casa circondariale di Ferrara tornano sulla scena. Per il momento lo spazio sarà quello del teatro del carcere di via Arginone, anche se si spera che tutti i ferraresi possano andare al Comunale per vederli, come fu lo scorso anno con “Cantiere Woyzeck”, tratto dal Woyzeck di Geor Buchner, con la regia di Horacio Czertok del Teatro Nucleo e la collaborazione di Andrea Amaducci. Questa volta nell’ambito della rassegna regionale Stanze del Teatro Carcere 2013 il Teatro della Casa circondariale, diretto da Czertok, questa sera presenta il nuovo spettacolo, dal titolo “Hard core” (Il nocciolo duro), creato con i detenuti-attori, con la regia di Amaducci e la collaborazione al video di Marinella Rescigno. L’iniziativa è patrocinata dal Comune di Ferrara e del Coordinamento regionale Teatro Carcere Regione Emilia Romagna e Provveditorato regionale all’Amministrazione Penitenziaria. “In questo lavoro - dice Amaducci - l’esigenza di comunicare dell’essere umano, viene elevata alla massima potenza e mostra il suo nucleo intimo, ricalcando i fondamenti millenari del teatro: la vita, l’amore, la morte. Gli attori, solo per la durata dello spettacolo, escono dalla condizione di “pacchi postali”, spediti nei luoghi e con i tempi determinati dalla Legge e danno estrema forza a gesti e situazioni semplici e quotidiane”. “Il lavoro - conclude il regista - è frutto di improvvisazioni guidate, dove ogni attore ha potuto ricercare molteplici elementi, partendo dai propri talenti e dai propri gusti indirizzando l’indagine sul tema del “proprio doppio”. Hard Core è un “manifesto del fare”, è la scintilla accesa nell’animo dell’uomo”. “Negli otto anni di esistenza del laboratorio teatrale in carcere - dice Czertok - è stata posta molta attenzione sulla capacità educativa del teatro, nella sua capacità di generare nuovi paradigmi, di dare ai detenuti la possibilità di compiere esperienze nell’ambito della gestione delle emozioni e delle relazioni, un lavoro essenziale in vista del reinserimento e l’integrazione sociale, a fine pena. Questo spettacolo nasce nell’ambito del lavoro medesimo, degli esercizi e delle pratiche, compiuto sostanzialmente attraverso la fisicità, privilegiando la capacità comunicativa delle presenza su quella, più distaccata, della parola”. La rassegna “Stanze” propone diversi spettacoli sia nelle carceri della regione, a Bologna, Reggio Emilia, Forlì, Parma, ma anche in spazi cittadini con la partecipazione di attori-detenuti. Il Coordinamento regionale, nato a Ferrara nel 2009 con l’attiva collaborazione del Centro Servizi per il Volontariato e il patrocinio di Regione e Comune di Ferrara, è diventato un tavolo tecnico nel quale dialogano esponenti degli assessorati ai Servizi sociali e alla Cultura, gli operatori teatrali e il Provveditorato all’Amministrazione Penitenziaria, con la consulenza scientifica dell’Università di Bologna. Genova: Dario Fo mercoledì visiterà il nuovo teatro all’interno del carcere di Marassi www.cittadigenova.com, 5 novembre 2013 Dario Fo mercoledì a Genova: visiterà il nuovo teatro all´interno del carcere di Marassi. Genova - Mercoledì il premio Nobel Dario Fo sarà a Gevova per visitare il cantiere del Teatro dell’Arca, attualmente in costruzione all’interno del carcere di Marassi. Dopo la cerimonia di benvenuto e l’incontro con la direzione, dei detenuti e della compagnia teatrale “Scatenati”, Dario Fo rivolgerà il suo saluto alla popolazione carceraria. Costruito in buona parte dai detenuti, il Teatro dell’Arca sarà una sala polifunzionale con una capienza di circa 200 posti, dotata delle attrezzature necessarie per la rappresentazione di spettacoli e l’organizzazione di mostre, convegni e conferenze aperte anche al pubblico. Immigrazione: rimpatri anche quando lo straniero è in pericolo, Italia condannata La Stampa, 5 novembre 2013 L’Italia è stata sanzionata per aver violato gli articoli 3 e 34 della Convenzione. La sentenza Saadi riguarda l’espulsione di cittadini stranieri verso i Paesi d’origine (in quel caso, la Tunisia) pur esistendo il rischio che i ricorrenti subissero maltrattamenti. Con le sentenze Ben Khemais e Trabeisi l’Italia è stata richiamata invece a rispettare le misure transitorie della Convenzione che impongono la revoca dei decreti di espulsione in caso di ricorsi. Il caso Trabeisi è quello che forse ha fatto discutere di più: l’imam Maourad Trablesi, tunisino di 40 anni, residente a Cremona, rimesso in libertà dopo avere scontato la pena nel carcere di Voghera (Pavia) per l’appartenenza a un’organizzazione terroristica, era stato espulso con atto firmato dal ministro Roberto Maroni nonostante i giudici di Strasburgo avessero intimato all’Italia di non procedere. Strasburgo aveva infatti raccomandato la concessione di un permesso temporaneo. Il ministro Maroni aveva invece firmato il decreto per motivi di sicurezza, dopo che il giudice di Pavia aveva confermato la pericolosità sociale dell’ex imam. Agli atti dell’inchiesta c’era una corrispondenza risalente al 2003 tra l’imam e l’ex bibliotecario della moschea, Drissi Nourredine, nel frattempo finito in campi di addestramento per terroristi nel Kurdistan iracheno, che lo invitava a inviare uomini e mezzi per la guerra santa. India: messaggio di Napolitano “operiamo per portare a casa i marò” La Stampa, 5 novembre 2013 Il messaggio di Giorgio Napolitano a Latorre e Girone da 600 giorni in India. “Non cessiamo di operare tenacemente per riportarli a casa”. Così il capo dello Stato Giorgio Napolitano in occasione del suo intervento per le celebrazioni del 4 novembre (festa delle forze armate, ndr) riferendosi ai due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India da oltre 600 giorni con l’accusa di aver ucciso due pescatori. Il Presidente della Repubblica ha poi rivolto “il più affettuoso saluto” ai due militari “la cui odissea ancora continua lontano dall’Italia”. Parole di fiducia sono state spese ieri anche dal ministro degli Esteri Emma Bonino. “Penso che alcune cose si stiano muovendo - ha detto. Spero di riuscire a portare a una buona conclusione un dossier ereditato con grandi complessità e con alcune contraddizioni”. Il ministro della Difesa Mario Mauro ha invece approfittato della videoconferenza con i teatri operativi italiani - dall’Afghanistan al Libano, dal Kosovo alle navi antipirateria - per collegarsi anche con Latorre e Girone. “Occorre non dimenticare e lavorare con forza e determinazione - ha spiegato -. L’unica soluzione è il ritorno a casa con onore”. Da parte loro i marò hanno voluto rivolgere “un sentito ringraziamento a Giorgio Napolitano “per le belle parole di sostegno che ci ha rivolto”. “Sappiamo bene quanta strada il governo deve fare per raggiungere il traguardo - ha poi aggiunto Girone. Ci aspettano periodi duri, ma speriamo di poter dire presto ai nostri figli: “papà sta tornando a casa”. Afghanistan: fra i dannati del carcere di Herat dove la giustizia è un miraggio di Adriano Sofri La Repubblica, 5 novembre 2013 Il carcere di Herat è terribile, e non fa niente per nasconderlo. Capienza 800, effettivi 3.500. “Non c’è spazio per la preghiera, per star seduti e per mangiare”, dice, nell’ordine, il comandante. Per i bisogni c’è un secchio, l’impianto idrico è disastrato e le fogne intasate, si portano fuori - chissà dove, il carcere è in piena città - i bidoni. Gli “arrestati”, non ancora giudicati, sono 490, gli altri condannati per omicidi, sequestri, traffico di droga, furti, e i Taliban, che dovrebbero essere separati, in un “blocco 6”, ma non si riesce. “Però non fanno proseliti, agli altri detenuti non piacciono”. Stanno portando decine di detenuti ai processi, attaccati a una lunga catena. L’insieme è miserabile e, all’apparenza, non violento, come se anche la violenza fosse un lusso in una condizione simile. Nel fabbricato centrale c’è un piano sopraelevato “dagli italiani”, ancora senza arredi - i letti a castello, cioè. Un agente prende 80 euro al mese. “Dopo due mesi se ne vanno”. Settanta detenuti sono condannati all’impiccagione, l’ergastolo non esiste, la pena massima è di vent’anni. Se al carcere maschile si prova la ripugnanza di sé e di tutto, che prende in certi zoo malmessi, al femminile si è sopraffatti dalla commozione. È stato costruito “dagli italiani”, le detenute sono 171, i locali spogli ma decenti, i colori vivaci quanto erano castigati al maschile. Però ci sono i bambini, e ti corrono addosso, ti avvinghiano come se ti stessero aspettando e non ti lasciano più. Stanno con le madri fino ai sei anni, poi li passano all’orfanotrofio. Oggi sono 67, sembrano mille. Il delitto più comune per le donne è la “prostituzione”, da uno a 10 anni: che vuol dire l’adulterio, o l’aver fatto l’amore prima di sposarsi. Ci sono stanzoni di lavoro, grandi telai verticali per i tappeti, macchine da cucire antiche, parrucchieria. Nel cortile donne giovani e vecchie e bambini stanno accampate come a una fermata di corriera che non arriva. Le condannate per sequestri di persona sono nove, per spaccio due, per omicidio 49, hanno ammazzato “il marito, o la moglie del figlio”. Direttrice, dottoresse e personale ispirano fiducia, non fanno che ringraziare e mostrare quello che serve con più urgenza. C’è una stanzetta per i parti. Il comandante è un generale, Abdul Bagni Bessoudi, è arrivato da poco, il precedente è stato travolto da un lungo sciopero della fame. “I detenuti per spaccio sono pesci piccoli. La mafia della droga ha influenza molto in alto, ma qualcuno grosso lo prendiamo. A Kabul ne avevo sette o otto. Se un contadino coltiva il grano si paga un mese, col papavero tre anni. Lo spazio per un carcere rispettoso dei diritti umani lo troveremmo, potremmo andare fuori città, con una struttura nuova. In alcuni distretti i giudici non vanno, perché hanno paura. A parte questo, la giustizia amministrata dagli anziani, l’omicidio compensato da un riscatto o dalla consegna di una ragazza, sta finendo: è un progresso necessario e anche una spiegazione del sovraffollamento. Senza gli italiani e la Croce Rossa non sapremmo come fare”. “Gli italiani” qui e altrove ripetuti per essere ringraziati e subito dopo richiesti di qualcos’altro di essenziale, sono il Prt, team di ricostruzione provinciale, ora guidato dal colonnello Vincenzo Grasso, che in sette anni ha impiegato 46 milioni di euro della Difesa per la provincia di Herat in progetti messi a concorso e gestiti dalle autorità locali, anche in comune con la Cooperazione, la Ue” o le Ong: ospedale pediatrico e ospedale per le tossicodipendenze, scuole, agricoltura. Ieri è stato inaugurato un centro per persone povere con gravi disabilità, che vivono in strada. Anche l’orfanotrofio, che ha 300 bambini e tre sedi: noi visitiamo quello per le 90 femminucce. Dovunque, bambine e bambini hanno imparato a dire “Ciao” e si divertono a ripeterlo all’infinito, e noi con loro, come si fa coi merli indiani, e i merli indiani siamo noi. Il programma del Prt finisce il prossimo 31 marzo. Che cosa succederà poi non si sa, e non solo per il Prt. Mawlawi Khodadad, 65 anni, due mogli e 12 figli, dirige una scuola con 12 mila studenti, 3mila ragazze, e detesta i “falsi Taliban” (“il Corano non dice di tagliare la testa alla gente”) ed è la più alta autorità religiosa sunnita di Herat. Dice seccamente: “Il nostro problema si chiama Pakistan e Iran. Appena le truppe internazionali saranno partite, l’Afghanistan ridiventerà il centro di Al Qaeda. Soldi e sacrifici buttati”. Però una giovane graduata del Genio, reduce da un servizio di prima linea, mi ha detto: “Quando la gente comincia a mettere la freccia per curvare, è difficile che accetti di tornare indietro”. Russia: attivisti di Greenpeace saranno trasferiti nel carcere di San Pietroburgo Ansa, 5 novembre 2013 I trenta attivisti di Greenpeace detenuti da settembre in un carcere di Murmansk nel nord della Russia dopo l’assalto alla piattaforma Gazprom nell’Artico, dovrebbero essere trasferiti questa settimana in una prigione di San Pietroburgo, in data ancora da decidere. Lo riferisce l’agenzia Itar-Tass citando un membro del Comitato investigativo russo del Distretto Federale Nord-Occidentale. “Il trasferimento a San Pietroburgo è previsto per facilitare il processo di traduzione e protezione giuridica per gli arrestati durante l’indagine” ha spiegato la fonte. Per il momento, fa sapere la portavoce di Greenpeace Maria Favorskaia, tutti i militanti, russi e stranieri, in custodia fino al 24 novembre e accusati di “teppismo”, si trovano ancora nel centro di detenzione della regione di Murmansk, e i loro avvocati non hanno ricevuto comunicazioni ufficiali sul loro spostamento. Nel frattempo oggi 30 musicisti, giornalisti e attori russi, esponenti dell’intellighenzia all’opposizione tra cui lo scrittore Zakhar Prilepin, hanno inviato una lettera al presidente russo Vladimir Putin chiedendo di liberare gli ecologisti detenuti, sottolineando il valore pacifico della loro protesta a difesa della natura. Svizzera: “Un detenuto difficile da gestire”… processo sulla morte di Skander Vogt www.cdt.ch, 5 novembre 2013 Si è aperto stamane a Renens (Vd) il processo contro nove persone sospettate di essere responsabili a vario titolo della morte del detenuto Skander Vogt, deceduto la notte tra il 10 e l’11 marzo 2010 per intossicazione da fumo nella sua cella di alta sicurezza del carcere di Bochuz, nella quale aveva dato fuoco al materasso. Ordinato dal Tribunale federale, il procedimento si protrarrà per un mese. L’udienza è cominciata con la lettura dell’atto d’accusa di una ventina di pagine, dopo di che è stato ascoltato il primo degli imputati: un secondino che era stata la prima persona ad avere contatti con il detenuto la notte del dramma. “Non l’avevo mai visto in uno stato tale, gridava, mentre di solito era piuttosto ironico”, ha affermato il sorvegliante, secondo cui Vogt chiedeva la restituzione della radio e dei guanti di boxe che gli erano stati ritirati “in seguito ad aggressioni fisiche verificatesi in precedenza”. Il prigioniero, descritto come “un detenuto difficile da gestire”, avrebbe poi minacciato di appiccare il fuoco alla cella qualora la sua domanda non fosse soddisfatta, ma nessuna delle guardie presenti - ha precisato il sorvegliante - disponeva di questa competenza. Quando il detenuto ha messo in atto le minacce, le guardie sono intervenute per spegnere l’incendio, per il quale non hanno ritenuto necessario allertare i pompieri. Un secondo sorvegliante ha peraltro indicato che Vogt aveva già appiccato altri incendi nella sua cella. “Se l’era sempre cavata collocando il viso davanti alla bocca d’aerazione”, ha precisato. Secondo il sorvegliante, una volta domato l’incendio, il prigioniero ha minacciato di “occuparsi del primo che sarebbe entrato”. Le guardie, che non portavano con sé la chiave della cella di Vogt, si sono spostate per recuperarla in un settore distante circa 25 metri dal luogo del dramma. Le telecamere del carcere li hanno ritratti mentre percorrevano il corridoio facendo finta di giocare al pallone, un comportamento che la presidente della Corte ha definito “inadeguato”. Celebrato dal Tribunale della Broye e del Nord vodese, il processo dovrà stabilire se il personale medico e carcerario siano colpevoli di omicidio colposo, esposizione a pericolo della vita altrui e omissione di soccorso. Il dramma aveva avuto inizio poco prima dell’una del mattino: condannato per vie di fatto a 20 mesi di carcere nel gennaio 2001 e da allora internato, il trentenne svizzero sopportava male le condizioni di detenzione. Per questo motivo si era già rifugiato per una trentina di ore sul tetto del penitenziario nel 2008. Secondo l’atto d’accusa, dopo aver spento l’incendio il personale del penitenziario non era entrato nella cella invasa dal fumo, preferendo aspettare l’arrivo del Dard, un’unità speciale della polizia cantonale vodese. Quando gli agenti sono giunti sul posto poco prima delle 03 era ormai troppo tardi: asfissiato dalle emanazioni tossiche, Vogt era già deceduto. Iran: impiccato Shirkuh Moharefi, oppositore curdo detenuto dal 2008 Aki, 5 novembre 2013 È stato impiccato Shirkuh Moharefi, oppositore curdo detenuto in Iran dal 2008. Lo riferisce il sito d’informazione per la difesa dei diritti civili dei prigionieri politici “Kampain”, spiegando che Moharefi è stato impiccato nel carcere di Saqqez, città situata nella regione del Kurdistan iraniano. Moharefi era stato condannato a morte dal Tribunale della Rivoluzione di Saqqez per “aver attentato alla sicurezza nazionale, partecipando alle attività eversive del partito politico d’opposizione curdo Komeleh”. Stando al sito, la condanna era stata confermata dalla Corte Suprema che lo aveva definito “Mohareb” (nemico di Allah e dell’Islam), in quanto membro di “gruppi terroristici” curdi. Moharefi era stato arrestato al confine con l’Iraq ad agosto del 2008 dai Guardiani della Rivoluzione. L’esecuzione di Moharefi segue l’impiccagione di un altro oppositore curdo iraniano, Habibollah Golaparipour, avvenuta nove giorni fa sempre nella regione del Kurdistan e di altri 16 oppositori beluci nel sud. Questa nuova ondata di impiccagioni è stata condannata dalle organizzazioni attive nell’ambito dei diritti umani in Iran. Israele: ex detenuto palestinese muore di tumore, l’Anp accusa le autorità carcerarie Ansa, 5 novembre 2013 Cresce la tensione fra Anp ed Israele in seguito alla morte, avvenuta la scorsa notte in un ospedale israeliano, di un ex detenuto palestinese. Hassan a-Turabi, 22 anni, soffriva di un tumore. Era stato arrestato all’inizio dell’anno ma alcune settimane fa era stato rilasciato per l’aggravarsi delle sue condizioni che avevano imposto un ricovero immediato, secondo la versione di Radio Gerusalemme. Il ministro palestinese per i prigionieri Issa Karake ha accusato le autorità carcerarie israeliane di negligenza, e di essere quindi responsabili della sua morte. Stati Uniti: Obama, massimo impegno per chiudere supercarcere di Guantánamo Ansa, 5 novembre 2013 Barack Obama, resta fermamente impegnato sul fronte della chiusura del carcere di Guantánamo. Il presidente americano lo ha ribadito nel corso di un incontro con gli inviati speciali del Dipartimento di Stato e del Pentagono nel supercarcere situato in una enclave dell’isola di Cuba. “Il carcere di Guantánamo continua a prosciugare molte risorse e a danneggiare la reputazione egli Stati Uniti nel mondo”, ha affermato Obama. “Spendiamo quasi un milione di dollari a detenuto ogni anno, quasi 200 milioni all’anno in un periodo di tagli e ristrettezze di bilancio”, si legge in una nota della Casa Bianca, in cui si sottolinea come “l’amministrazione farà di tutto per continuare a trasferire i detenuti in altri Paesi, chiedendo al Congresso di limitare le restrizioni che finora hanno di fatto impedito la chiusura del carcere”.