Parole di un'ombra da una tomba di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 27 novembre 2013 "Una punizione è giusta solo quando è intesa al bene di chi la deve subire". (John Stuart Mill) Dopo l'appello al parlamento del Presidente della Repubblica sulla disumanità delle nostre Patrie Galere e la Presentazione della Proposta delle 3 leggi sull'introduzione del reato di tortura, diritti costituzionali e sovraffollamento delle carceri, anch'io desidero dire qualcosa, soprattutto perché la prigione in Italia è un mondo ignoto per tutti quelli che sono liberi e il Ministero della Giustizia ci tiene a non fare conoscere l'inferno che hanno creato e che mal governano. Si vuole che i detenuti prendano coscienza e la stessa coscienza di fatto viene distrutta, si vuole i detenuti più responsabili e di fatto viene negata ogni responsabilità. Ci vogliono costruttivi e ci denigrano facendoci sentire uomini inutili, uomini persi, uomini stupidi. Ci vogliono non violenti, ma si crea nella realtà un ambiente più violento, negandoci la parola su tutte le violenze che ogni giorno siamo costretti a subire con il ricatto di stare peggio se si protesta. Io ritengo che bisognerebbe riconoscere ai detenuti un ruolo attivo, non da semplici frequentatori delle patrie galere. Per questo ci tengo che si sappia che il carcere in Italia è violenza, pura violenza, non è certo una medicina, anzi è il peggiore dei mali. E non è con il carcere o con la giustizia delle catene che si "educa", ma, piuttosto, con l'amore, e l'amore in carcere è la cosa che manca più di tutto. L'altro giorno andando in infermeria per una visita medica mi sono affacciato alla finestra e da lassù, non coperto dal muro di cinta, si vedeva tra le sbarre una panoramica da mozzare il fiato. Vedevo gli alberi, il verde, le macchine, le case, insomma vedevo il mondo dei vivi, il mondo che io ho perduto per sempre. E mi sentivo come un bambino che guardava la vetrina di un negozio di giocattoli. Dopo la visita, mentre rientravo in cella, pensavo con tristezza che il mio mondo fuori se ne è andato, ora non ho altro che questo mondo dentro, l'unico mondo che ormai possiedo: un mondo da incubo. Grazie di avermi letto, ascoltato e capito. Un sorriso fra le sbarre. Giustizia: intervista al ministro Cancellieri "un carcere più umano? ce la farò" di Renzo Magosso Oggi, 27 novembre 2013 “Tra pochi mesi l’Europa ci condannerà per tortura se non miglioriamo i nostri istituti”, dice il contestatissimo ministro. “Ecco il mio piano per garantire ai detenuti il rispetto dei diritti. Anna Maria Cancellieri spalanca i suoi occhi azzurri e chiarisce subito la situazione: “Ah, lei mi vuole intervistare? E allora parliamo di giustizia, Delle sentenze con le quali la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha sanzionato il nostro Paese. E delle misure che intendo varare. Senza il minimo indugio. Sulle altre vicende ho già risposto in Parlamento che è la sede istituzionale più alta e qualificata”. Non mi lascio scappare l’occasione: “E allora parliamo di tortura, di trattamenti inumani. Di misure alternative al carcere quando non c’è rilevanza penale. Parliamo delle linee di intervento che a fine novembre il suo ministero deve consegnare al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa”. “Ecco, su questi temi rispondo”, replica sorridendo il ministro della Giustizia, “perché, finalmente, si parla di cose concrete, di situazioni che vanno risolte e che intendo portare positivamente a termine. Riguardano il bene del nostro Paese. Ed è il valore al quale tengo di più. Dunque, da dove cominciamo?”. Dalle situazioni che affliggono il nostro sistema di giustizia, dalle condizioni di detenzione dei nostri Istituti penitenziari, dei risarcimenti dopo la cosiddetta sentenza Torreggiani. “La sentenza Torreggiani per la quale è stato sanzionato il nostro Paese riguarda sette ricorsi depositati tra il 2009 e il 2010 da altrettanti detenuti, tre italiani, due marocchini, uno ivoriano e uno albanese, che lamentavano di aver subito un trattamento inumano e degradante. Erano stati infatti detenuti in celle di 9 metri quadrati, da condividere con altre due persone, per periodi che andavano da 14 a 54 mesi, tra il 2006 e il 2011. Nonostante tutti i ricorrenti meno uno fossero ormai liberi al momento in cui la Corte si pronunciava, essi non per questo hanno perso la qualità di “vittime”. Si tratta di una sentenza definita pilota e in base a questa sentenza l’Italia ha un anno di tempo per ricondurre la situazione detentiva a condizioni dignitose. Sappiamo che la Corte europea ha temporaneamente sospeso un notevole numero di casi identici che, se non porremo rimedio, porteranno a rilevanti sanzioni anche economiche nei confronti dell’Italia”. Quando scade l’anno di tempo fissato dalla Corte Europea? “Il 28 maggio 2014. Ma entro il prossimo fine novembre va consegnato il progetto che indica le linee d’intervento con le quali intendiamo procedere”. Può anticiparci il contenuto di queste linee? “Le direttrici sono tre. Il primo intervento, normativo, punta a ridurre i flussi d’ingresso in carcere e a rendere più fluido l’accesso alle misure alternative”. Quali? “Le prevede il decreto legge dello scorso luglio, riguardano l’affido ai Centri d’accoglienza, maggiore attenzione ai casi che consentono gli arresti domiciliari soprattutto in quelli di minore rilevanza penale e di lieve entità, in particolare per le tossicodipendenze. E per garantire i diritti dei detenuti a condizioni dignitose. E su questo fronte sono in fase di studio altri interventi legislativi”. Parliamo della seconda linea d’intervento... “Va cambiato il regime di detenzione. Soprattutto nei confronti dei reclusi per i quali sono previste misure di sicurezza media o bassa, come già prevedono le regole penitenziarie europee. Faccio un esempio concreto: non si può continuare a concedere solo due ore d’aria, vanno allungate fino a otto ore. In cella si va per il periodo del riposo. Questo provvedimento può riguardare almeno l’80 per cento dei reclusi. Che possono così accedere al lavoro, interno e anche esterno al carcere, come già succede, per esempio, a Bollate. Dobbiamo fare ogni sforzo per estendere al maggior numero possibile di istituti di pena le possibilità di lavoro. È un impegno importante per il quale bisogna ringraziare gli sforzi, la professionalità e lo spirito di sacrificio di tutti gli uomini della polizia penitenziaria e del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Poi, ma non ultimo in ordine d’importanza, puntiamo al potenziamento dei contatti con le famiglie, al miglioramento della vita affettiva. Non possiamo più permetterci di vedere bambini traumatizzati dalle visite ai loro genitori. Ho notizia di parenti e figli in attesa addirittura otto, dieci ore davanti al carcere per poter vedere e parlare con i propri cari. Lo trovo inammissibile”. E la terza linea che cosa prevede? “Abbiamo carceri con strutture fatiscenti, costruite in epoche borboniche, queste situazioni non sono più accettabili. Le carceri vanno ristrutturate, risanate, e quando è necessario vanno abbattute e ricostruite. Puntiamo a offrire 4.500 nuovi posti entro la scadenza della Corte Europea prevista per fine maggio prossimo. Entro il 2015 prevediamo 12 mila posti in più in strutture adeguate. Nel frattempo va detto che il numero dei reclusi è sceso in meno di tre anni da 69 mila a 64.400: è un primo risultato. Basti pensare che solo un anno fa, nel novembre 2012, il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene inumani aveva espresso profonda preoccupazione per la situazione delle nostre carceri, e invece a Strasburgo ho avuto, nel mio recente incontro, un apprezzamento del Consiglio per il miglioramento normativo e organizzativo che stiamo portando avanti”. Avete figure di garanzia per conoscere le situazioni dei diritti calpestati? “A livello locale queste figure di monitoraggio, controllo e segnalazione di criticità esistono ma devono trovare un inquadramento normativo più definito. Pensiamo a iniziative di legge per istituire la figura di un Garante nazionale in grado di fare da raccordo con gli organismi territoriali. Una persona che possa venire al ministero per relazionarci e denunciare eventuali situazioni di degrado. Che possa favorire consulenza legale e aiutare chi, per situazioni di debolezza culturale e sociale, non è in grado di far valere i propri diritti. “Il primo ad aver denunciato la tragedia delle carceri in Italia è stato il nostro Presidente della Repubblica. E, per quanto mi riguarda, intendo raccogliere le sue esortazioni, per una maggiore giustizia nel nostro Paese. Una maggiore giustizia che, voglio ricordarlo a tutti, significa anche maggiore sicurezza per i nostri concittadini perché carceri sicure e carceri dove si recupera alla vita civile il detenuto significano meno delinquenza”. Franco Corleone: numeri da tragedia, ma il confronto non è serio Bisogna passare ai fatti. Prendo atto delle parole del ministro ma il vero scandalo è che il messaggio del presidente Napolitano al Parlamento sulla questione delle carceri, che mina la democrazia e il prestigio dell’Italia in Europa, non sia stato oggetto di serio confronto. La Corte europea dei diritti umani darà la propria sentenza definitiva contro l’Italia nel maggio 2014 e dal 1° giugno comincerà il semestre europeo a guida italiana. Con quale credibilità se saremo stati condannati per tortura? Le cose da fare sono molte. Soprattutto bisogna intervenire sul sovraffollamento delle carceri. In Italia ci sono oltre 64 mila detenuti: 700 sono i mafiosi in regime di massima sicurezza; 7 mila le persone in regime di alta sicurezza. C’è dunque un grande spazio per liberare tossicodipendenti, piccoli spacciatori, specialmente di cannabis, poveri e stranieri. Quelle telefonate imbarazzanti Nell’intervista esclusiva rilasciata a Oggi, Anna Maria Cancellieri non ha voluto parlare della vicenda Ligresti, che nei giorni scorsi ha fatto tremare la sua poltrona e l’intero governo. Ritiene di aver già dato sufficienti spiegazioni in Parlamento e, in precedenza, ai magistrati. Tuttavia, nonostante una storia personale e professionale cristallina, è evidente che quelle telefonate e i successivi imbarazzi hanno fortemente indebolito il prestigio, la terzietà e l’autorevolezza del Guardasigilli. Il M5S e tutti i candidati alla segreteria del Pd ne avevano chiesto le dimissioni. Ma lei, protetta da Quirinale e Palazzo Chigi, è rimasta salda al proprio posto. Ora le tocca una missione molto difficile: far dimenticare con i fatti T’incidente di percorso”, rendendo più efficiente un sistema giudiziario (e carcerario) tra i peggiori del mondo occidentale. Giustizia: nuovo suicidio in carcere, i Radicali insorgono e tornano a chiedere l'amnistia di Raffaele Bozzi news.supermoney.eu, 27 novembre 2013 Amnistia 2013: si ritorna a parlare dell'argomento dopo l'ennesimo suicidio in carcere, questa volta nel carcere di Capodimonte a Benevento. Il ventinovenne Mario Iacca, che è stato trovato morto in cella venerdì 22 novembre, aveva pochi mesi da scontare. Il brutto avvenimento riaccende i riflettori su l'affollamento delle carceri e le pessime condizioni di vita dei carcerati, ma sopratutto sulla paventata amnistia di cui si era tanto parlato nel 2013. Dopo infatti l'accorato appello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che per primo nel 2013 aveva pronunciato le parole Indulto e Amnistia, è ripiombato tutto nel dimenticatoio. Negli ultimi giorni tuttavia il Ministro Cancellieri, vincendo la sua personale battaglia e ottenuta la fiducia personale, è tornata a spingere sulla riforma delle carceri, lavorando anche sulla custodia cautelare e tentando di porre un freno all'applicazione di questo strumento giuridico se non nei casi gravi. Le tante manifestazioni dei Radicali per attirare l'attenzione sul tema dell'amnistia 2013 dopo un primo momento di stallo, sembrano aver ripreso vigore, molti infatti gli annunci del movimento su prossime manifestazioni e sit-in anche davanti a edifici istituzionali. Da fonti ufficiali del movimento si annuncia uno stop agli scioperi della fame e della sete messi in atto in questi giorni al fine di una più forte battaglia politica che porti in Parlamento l'apertura di una discussione sul tema dell'amnistia che a loro parere sarebbe auspicabile ancor di più dell'indulto, perchè estinguerebbe il reato oltre che la pena e rappresenterebbe un atto di clemenza e di riappacificazione sociale. E' proprio in tale contesto che si inseriscono gli appelli del Ministro Cancellieri ad un'ampia riforma delle condizioni di vita dei carcerati, appello che lascia presagire una riapertura del discorso su l'amnistia nell'anno 2013, parola per ora non pronunciata dal Ministro ma che sembra aleggiare nelle aule del Parlamento. Giustizia: Ass. Clemenza e Dignità; l'amnistia è scomparsa dalle priorità politiche Ansa, 27 novembre 2013 "In maniera del tutto ingiustificata, visto il protrarsi della tragedia delle carceri, l'argomentazione inerente un atto di clemenza, non ha fatto in tempo a ricevere un serio approfondimento, essendo già scomparsa dalle priorità in agenda del nostro Paese." Lo Lamenta il movimento Clemenza e Dignità, che fa notare che "subito" sono state mosse "critiche preventive" nei riguardi dei provvedimenti clemenziali, dimenticando che amnistia e indulto "non sono strumenti contro la legge o al di fuori delle leggi, non sono strumenti che hanno un rapporto opaco ed ambiguo con l'ordinamento, ma dei rimedi espressamente previsti dalla Costituzione della Repubblica Italiana" Rimedi che -sottolinea il responsabile del Movimento Giuseppe Maria Meloni- "sarebbero da azionarsi soprattutto in casi come questo, laddove non è più possibile garantire il rispetto dello stesso dettato costituzionale, per quanto concerne i diritti fondamentali dell'uomo, la dignità dell'essere umano, il diritto alla salute, il senso di umanità della pena e la finalità di rieducazione del condannato". Giustizia: senza guardie né armi, dal Brasile la ricetta per carceri più umane La Stampa, 27 novembre 2013 Recidiva al 10%, detenuti che lavorano, centri di recupero accoglienti e senza polizia. Un'alleanza tra società civile, Giustizia italiana e brasiliana per affrontare il problema dei diritti umani nelle carceri. Tremila detenuti che vivono in carceri senza armi né guardie penitenziarie e con in mano le chiavi delle loro stesse celle. Non evadono, ma rimangono nei centri per scontare la pena lavorando e, una volta usciti, solo un ex detenuto su 10 torna a delinquere. Sono i numeri dell'innovativo metodo di detenzione sperimentato in Brasile da un gruppo di associazioni della società civile, le APAC, e ormai adottato ufficialmente dal Governo brasiliano per dare respiro al quarto sistema carcerario più popoloso al mondo. E che potrebbe trovare spazio anche da noi, grazie a una collaborazione italo-brasiliana tra istituzioni, organizzazioni e imprese. Un modello, quello delle APAC, in grado di abbattere il tasso di recidiva fino al 15%, i costi di due terzi, e di garantire ai "recuperandi" - questo il termine che sostituisce la parola "detenuti" nel gergo APAC - condizioni di vita dignitose, pur senza negare gli aspetti legati alla pena e alla detenzione. Nato negli anni ‘70 da un'idea dell'italiano Mario Ottoboni, volontario in Brasile per garantire supporto morale ai carcerati, il metodo APAC è cresciuto e si è affermato a livello internazionale. Grazie al supporto della ong italiana Fondazione AVSI si è esteso in oltre 40 centri riconosciuti in tutto il Brasile ed è stato scelto dalla Commissione Europea - il 26 novembre se ne discute nel corso della più importante piattaforma europea di dibattito sul tema dei diritti umani, gli EDD13 - e dalla World Bank come un esempio da seguire per garantire carceri dignitose. Non si tratta soltanto di un modello di recupero, ma di una modalità alternativa di espiazione della pena, senza alcun coinvolgimento della polizia penitenziaria: sono gli stessi "recuperandi" che hanno in mano le chiavi delle celle e diventano responsabili della sicurezza e delle fughe, in un'ottica di autogestione che ha migliorato sensibilmente le condizioni di vita nei centri. Punto fondamentale è il riconoscimento da parte della persona che ha commesso il reato di aver sbagliato e di voler ricominciare. È il giudice che ha il compito di identificare i potenziali "recuperandi" e di seguirli durante il percorso di compimento della pena e di recupero. Un'inedita alleanza tra associazioni, sistema pubblico e imprese, infine, contribuisce al successo del metodo. Nello stato brasiliano di Minas Gerais, per esempio, una partnership tra APAC e il centro FIAT brasiliano consente ai condannati di confrontarsi con l'economia reale. Per mettere a punto dispositivi di detenzione efficace anche in Italia, da inserire nel nuovo "piano carceri" sul modello delle APAC, e aprire un confronto sui temi di efficacia e dignità delle pene, Fondazione AVSI e Cooperativa Giotto, attiva da anni nel campo del lavoro in carcere, promuovono un incontro in Senato il 29 novembre con i rappresentanti delle istituzioni e i fautori della "metodologia APAC", nell'ambito del programma di cooperazione europeo con l'America Latina, EUROsociAL. La delegazione italo-brasiliana incontrerà il presidente della Commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi, il presidente della delegazione italiana al Consiglio d'Europa Sandro Gozi e i rappresentanti del Ministero della Giustizia. Giustizia: se pluricondannato Berlusconi potrebbe anche andare in carcere Il Velino, 27 novembre 2013 "Si può andare in carcere anche in tarda età, ma l'ordinamento tende a venire incontro al condannato. Del resto anche l'ergastolo è sempre più una condanna comminata e non eseguita. Ma per altro verso ci sono detenuti, come ad esempio i cosiddetti rei "eccellenti" del 41 bis, che sono tuttora in carcere anche oltre gli ottant'anni di età". Così l'avvocato Franco Coppi, difensore di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset davanti alla Cassazione, ha risposto durante una conferenza stampa a chi gli chiedeva se in caso di condanne plurime il leader di Forza Italia potrebbe scontare la pena in carcere. Giustizia: Ucpi; inaccettabile Provenzano ancora al 41-bis nonostante malattia "L'evidente contraddizione fra il riconoscimento, da un lato, del grave stato di salute di Bernardo Provenzano, che non gli consente di partecipare validamente al processo sulla trattativa Stato-Mafia, e dall'altro, il mantenimento in stato di detenzione, per di più in un regime inumano, non è stata fin qui degna di alcuna attenzione, neppure tra coloro che, d'abitudine, si indignano per le violazioni dei diritti umani, forse perché ampia è la consapevolezza che una pubblica presa di posizione che riguardi Provenzano condanna chi la fa alla più assoluta impopolarità". Così in una nota, la Giunta dell'Unione Camere Penali interviene sul caso del boss Bernardo Provenzano. Provenzano - ricordano è "ancora sottoposto al 41 bis, nonostante sia ormai ridotto ad uno stato quasi vegetativo: affetto dal morbo di Parkinson e da altre patologie si trova costretto costantemente in un letto, nutrito artificialmente, incapace di attendere agli atti più elementari di vita quotidiana". Ma l'Ucp, prosegue la nota, "non ha mai temuto di essere impopolare quando denuncia la violazione dei diritti fondamentali dell'individuo, qualsiasi nome esso porti, fosse pure il diavolo in persona e a prescindere dalla sua storia processuale e dalle sue responsabilità, perché ritiene che i diritti fondamentali non siano divisibili e non possano essere negati ad alcuno". Se un'autorità giudiziaria, prosegue la nota dell'Ucpi, ha accertato "l'irreversibile processo degenerativo fisico e psichico di uomo, al punto da rendere impossibile la sua partecipazione ad un processo -fanno notare i penalisti- ciò significa evidentemente che egli è incompatibile con ogni forma di detenzione, figurarsi il regime del carcere duro" Questa situazione per i penalisti richiede "l'intervento immediato" dei magistrati competenti, del Dap, ma anche del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, "se veramente si vuole dimostrare di aver voltato pagina rispetto ai diritti dei detenuti, specialmente quelli in condizioni di salute estreme, senza distinzioni, discriminazioni o privilegi". "Non lo impone solo il senso di umanità o il rispetto delle Convenzioni e della Costituzione -conclude l'Ucpi- ma anche e soprattutto il fatto che lo Stato deve dimostrare che è proprio il rispetto della legalità a renderlo più forte della criminalita"‘. Sonia Alfano: 41bis non ha violato diritti detenuti "Vorrei ricordare che in Italia il regime di 41 bis non ha mai violato i diritti dei detenuti". Lo ha detto Sonia Alfano, presidente della commissione contro Crimine organizzato, corruzione e riciclaggio di denaro (Crim) dell'Ue, durante un incontro nella sede della Dia di Palermo su "Le mafie nel mirino dell'Europa". Il cosiddetto carcere duro, ha ricordato Sonia Alfano, "è nato proprio per evitare situazioni come quelle di Provenzano e per evitare soluzioni di continuità con chi continua a esercitare un potere all'interno della criminalità organizzata". De Lucia: 41 bis strumento irrinunciabile "Il 41 bis è uno strumento irrinunciabile per contrastare la mafia, e per capirlo basta pensare a com'è Cosa Nostra oggi. Eccetto alcuni importanti latitanti, la maggior parte dei boss si trovano in prigione, dentro il carcere. Ma Cosa Nostra non è ne sconfitta ne indebolita e finché noi utilizzeremo strumenti come il 41 bis riusciremo a limitare la capacità di comunicazione di questi soggetti con l'esterno, perché la mafia c'è ancora". Lo ha detto Maurizio De Lucia, sostituto della Procura nazionale antimafia, intervenendo al convegno "Le mafie nel mirino dell'Europa". Secondo il magistrato, "la strategia fondamentali per impoverire Cosa Nostra rimane colpire le intelligenze che la compongono. Ma non è sufficiente perché questi boss devono essere messi nella condizione di non nuocere più, che non vuol dire che non può più uccidere ma che non può più ordinare omicidi o comandare i suoi affiliati. E tutto ciò -ha concluso- può essere contrastato solo con una politica che riguarda il profilo penitenziario del sistema per esser scongiurato". Lettere: raccogliamo l'appello di Pomes, un lavoro agli ex detenuti di Giuseppe Berretta (Sottosegretario alla Giustizia) La Sicilia, 27 novembre 2013 La lettera di Claudio Pomes, apparsa su La Sicilia, ci conferma quanto sia stata sbagliata la concezione che, fino ad oggi, si è avuta dal carcere. Mi auguro che il racconto della sua esperienza consenta a tutti di mettere da parte ogni pregiudizio e di cogliere la drammaticità della condizione carceraria. Nelle attuali modalità, il carcere rappresenta una forma di isolamento, di sradicamento dalla società, non recupera i detenuti ma li predispone a nuovi comportamenti criminosi. Per fortuna ci sono anche tante eccezioni alla regola, frutto dell'instancabile impegno di funzionari ed operatori che, in condizioni non sempre favorevoli, riescono a portare avanti un lavoro meritorio. Eccezioni che confermano come il lavoro ed i progetti formativi rappresentino per i detenuti strumenti fondamentali perché possano riconsiderare la propria condotta di vita e per poter contare, una volta concluso il periodo di privazione della libertà, su un adeguato reinserimento sociale. La pressante sollecitazione contenuta nella lettera ci deve far riflettere su quanto sia importante investire sulla fiducia, su come porti ad un risultato più umano per il condannato e più conveniente per la collettività. Il governo Letta è fortemente impegnato in questa direzione ed in questi pochi mesi ha raggiunto risultati importanti. Grazie alle novità introdotte dal decreto legge sull'Esecuzione della pena è stata favorita l'offerta di lavoro per gli ex detenuti da parte di imprese e cooperative sociali, attraverso una serie di sgravi fiscali e contributivi: estendendo il periodo di inclusione degli ex detenuti nelle categorie svantaggiate. L'appello di questo detenuto non deve cadere nel vuoto: è giusto dare una risposta concreta alla sua voglia di vita. Mi auguro pertanto che qualche cooperativa sociale, o qualche impresa, utilizzando gli strumenti che la legge mette a disposizione, offra a Claudio Pomes quella seconda opportunità che con tanta speranza si attende. Da parte nostra, il governo non farà venir meno il proprio impegno per realizzare un moderno sistema di Giustizia ispirato al rispetto dei principi di umanità e della finalità rieducativa della pena. Emilia Romagna: duecento detenuti al lavoro nelle sedi dell'Auser di Luigi Spezia La Repubblica, 27 novembre 2013 Il Tribunale di sorveglianza presieduto da Francesco Maisto ha siglato un accordo con l'associazione per permettere ai condannati in via definitiva di uscire dalle carceri della Regione. Le aziende in crisi faticano a prenderli. Un accordo straordinario per permettere ai detenuti condannati in via definitiva di uscire dal carcere, ammessi al lavoro esterno o in semilibertà. L'hanno siglato il Tribunale di sorveglianza presieduto da Francesco Maisto e l'Auser, associazione di volontariato e promozione sociale rivolta agli anziani, legata alla Cgil a livello regionale. Vista la carenza di richieste di detenuti da parte delle aziende, questo accordo consentirà a circa 200 detenuti delle carceri dell'Emilia Romagna di poter svolgere lavoro all'esterno nelle sedi dell'Auser o in attività che l'Auser svolge sul territorio. L'associazione si impegna a garantire ai detenuti un pasto, il trasporto da e per il carcere e l'assicurazione contro gli infortuni. "È una iniziativa importante - dice il presidente Maisto - dal momento che non ci sono offerte esterne per il lavoro vista la situazione di crisi economica e in previsione dell'aumento del numero dei detenuti definitivi nelle carceri di questa regione". I detenuti condannati in via definitiva sono in Emilia Romagna 2102 contro i 1469 in attesa di giudizio. Prossimamente, arriveranno altri 362 detenuti definitivi: 250 a Piacenza, 50 a Modena, 40 a Forlì e 22 a Rimini. A Bologna i definitivi sono 471 e si stima che possano godere del nuovo accordo almeno una settantina. Roma: detenuto per tre anni a Rebibbia a causa di omonimia, chiederà risarcimento www.clandestinoweb.com, 27 novembre 2013 Mille e cento sono stati i giorni scontati da un detenuto all'interno del carcere di Rebibbia. Circa tre anni dietro le sbarre, ma si tratta di un innocente e di un altro caso di malagiustizia che si è verificato per un un'omonimia. Prelevato dalla Grecia è stato immediatamente catapultato nella capitale romana e trattato come il peggior criminale. Era il 22 ottobre 2010. Ma qual'è stata la sua colpa? Avere il nome, la nazionalità e la data di nascita simile a quella del vero colpevole: Patrik Oliora Nnamdi, nato in Nigeria il 27 luglio 1960. Mentre il vero colpevole si chiama Patrick Oliora Nnamdi. L'unica differenza? La lettera "c" presente nel nome del vero colpevole. Inoltre il povero uomo finito in carcere per aver avuto la sfortuna di portare lo stesso nome di un "poco di buono". A farlo scarcerare con la relativa ordinanza, undici giorni fa, in fretta e furia, la terza sezione della Corte d'appello di Roma su richiesta della procura. "Non erano state confrontate le impronte digitali e la foto del colpevole Patrik con quello dell'innocente Patrick", sottolinea l'avvocato Carlo Scepi. "Auspico che per risarcire il mio assistito gli venga conferito il permesso di soggiorno", conclude l'avvocato dell'innocente. Trapani: Uil-Pa; mezzi in dotazione alla polizia penitenziaria sporchi e invasi da ratti Ansa, 27 novembre 2013 "I mezzi in dotazione alla polizia penitenziaria in servizio alla Casa circondariale di Trapani sono sporchi e invasi da ratti". A segnalarlo, in un comunicato, è il coordinatore regionale Uilpa penitenziari Sicilia Gioacchino Veneziano. Il sindacalista ha reso noto di avere "scritto una lettera con cui si chiede un intervento di bonifica dei mezzi al Comando dei carabinieri per la tutela della salute, all'Azienda sanitaria provinciale e al Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria Sicilia". "è necessario intervenire al più presto a tutela della salute dei lavoratori e dei detenuti - afferma Veneziano -. Alcuni giorni fa, all'apertura del mezzo blindato per iniziare un servizio su Palermo, venivano rinvenuti escrementi sopra i sedili dove si posizionano i lavoratori della polizia penitenziaria ed in tutte le altre parti dell'automezzo". Per questo il segretario regionale della Uilpa penitenziari chiede "il blocco totale dei mezzi di trasporto in uso alla Casa Circondariale di Trapani, e l'ispezione di operatori specializzati per appurare se vi siano stati violazioni delle norme e delle leggi in materia di salute pubblica". L'Aquila: con Marco Cavallo contro gli Opg e per la rinascita della città di Francesco Lo Piccolo (Direttore di "Voci di dentro") www.huffingtonpost.it, 27 novembre 2013 A L'Aquila ho incontrato Marco Cavallo, il cavallo azzurro di cartapesta che quarant'anni fa sfondò il muro di cinta del manicomio di Trieste, diventando poi il simbolo della rivoluzione di Franco Basaglia che portò, con la legge 180 del 1978, alla chiusura dei manicomi. L'ho incontrato a metà del suo nuovo viaggio (obiettivo: chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e aprire i Centri di Salute Mentale h 24), un viaggio di 16 tappe, attraverso 10 regioni, 3.500 km in tutto. Dopo aver toccato Torino, Genova, Livorno, Palermo, Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli e Roma, Marco Cavallo è entrato nella città ferita dal terremoto del 2009 quando ormai era buio. Tappa d'obbligo le Case Matte (l'ex ospedale psichiatrico) teatro di un dibattito tra Stefano Cecconi, Alessandro Sirolli, Massimo Casacchia, Maurizio Acerbo, Alfonso Mascitelli, Betty Leone, Peppe Dell'Acqua, Danilo Montinaro: oltre due ore di confronto tra esperti sugli Opg e sulla legge di chiusura che resta inapplicata, sul pasticcio e sull'ennesimo spreco di 180 milioni che ruota attorno ai mini Opg e sui 4 milioni e mezzo che saranno spesi per ristrutturare un rudere a Ripa Teatina, nel Chietino, per 12 pazienti. Ma soprattutto si è parlato di malati ai quali viene tolto il diritto della cura e il diritto alla vita come nel caso di un giovane 28enne della Marsica trasferito da Aversa a una comunità delle Marche e morto suicida un mese fa senza neppure una "breve" sui giornali. E si è parlato di persone -oggi come una volta- bollate come pericolose socialmente senza nemmeno sapere che cosa vuol dire pericolose socialmente, internate negli Opg che sono insieme carcere e manicomio criminale (il peggio del peggio), di persone poi dimenticate anzi cancellate come persone. Perché è l'assenza delle persone quello che appare entrando in uno dei nostri terribili Opg pieni ancora oggi di un migliaio di poveretti. Come al solito, quando si ascolta si impara. E sono stato contento di essere andato a trovare Marco Cavallo a L'Aquila. E di aver ascoltato poco dopo davanti all'Emiciclo, sede della Regione Abruzzo, il bellissimo dialogo tra Marco Cavallo e la gru: l'hanno letto-recitato due giovani che a breve animeranno un laboratorio teatrale all'interno del carcere de L'Aquila. Il ragazzo interpretava Marco Cavallo, la ragazza era la gru. Alcuni stralci: - Ciao Marco Cavallo, che gioia vederti tornare nella nostra città sempre più martoriata. - Ciao a te, amica gru, ho sentito dire che le cose qui non vanno troppo bene e vorrei capire e saperne di più. - Sono contenta che tu sia qui...il tuo viaggio può essere d'ispirazione per tutti quelli che in questo momento e in questo territorio hanno perso la speranza. Ti va di raccontarci qualcosa di te? - Con piacere amica mia...Era l'ultima domenica di febbraio quando tentai di uscire dal manicomio . Ormai non potevo più starci, rinchiuso là ero diventato troppo grande. La mia pancia era stata riempita dai desideri di tutti i matti...ero troppo appesantito da quel carico di bisogni e desideri. Allora io, fremendo e nitrendo iniziai una corsa furibonda verso la porta principale e saltarono gli infissi, si infransero i vetri, caddero calcinacci e mattoni. Io arrestai la mia corsa nel prato, ferito e ansimante, confuso nel blu del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia guarirono in un baleno le mie ferite. Il muro, il primo muro era saltato. E subito la libertà: i muri del manicomio frantumati, la fila infinita di matti che dietro a me escono dalla breccia e si perdono per le vie della città. Quante ne ho viste da allora. Ma qui a L'Aquila la devastazione di case e di animi speravo fosse in via di risoluzione e invece è tutto ancora come l'ho lasciato due anni orsono. - Ma come possiamo trovare una strada da percorrere per sanare ciò che sembra irrimediabilmente rotto. Bada bene non parlo solo di muri crollati e case da ristrutturare: quello di cui parlo è l'angoscia silenziosa che ci fa sentire stanchi ancora prima di iniziare un nuovo giorno... - Calma, calma amica mia, tutto può cambiare, anche quando ci sembra impossibile. Non tutto è perduto...tanto c'è da fare per seminare la speranza...io c'ero in quel lontano mattino del febbraio del 1973. Io c'ero quando contro i muri del manicomio di Trieste ululava il vento di bora e dentro si sentivano i lamenti e le urla dei ricoverati. Io c'ero quando i manicomi erano ancora in piedi. E oggi non ci sono più. E tra qualche anno mi piacerebbe tanto poter dire : pensate, io c'ero quel giorno a L'Aquila, a Montelupo - e a Napoli e ad Aversa e a Castiglione e a Reggio Emilia e a Barcellona quando i manicomi giudiziari erano ancora in piedi. E sembrerà una favola perché i manicomi giudiziari non esisteranno più e anche il significato di quelle parole si sarà perduto, sarà ridicolo e senza senso e tutti rideranno di me. - Spero che quel giorno arrivi, il giorno in cui tutti gli Opg saranno chiusi. - Spero di incontrarti nuovamente, molto presto, per poterti dire che qui a L'Aquila le cose sono cambiate e che i desideri degli aquilani si sono avverati. - Riprendo il mio viaggio portando nella mia pancia anche i tuoi desideri, quelli di questa città. Ciao amica gru. - Ciao Marco Cavallo...Grazie e Buon viaggio. Eravamo una cinquantina di persone l'altra sera davanti all'Emiciclo ad ascoltare il dialogo tra Marco Cavallo e la gru e faceva freddo...ma era come se fossimo in migliaia ed era come se facesse caldo...e poi insieme con Marco Cavallo in testa abbiamo attraversato il corso, stessa scena di sempre, oggi come un anno fa, oggi come due anni fa, oggi come tre anni fa...transenne, impalcature attorno ai palazzi, macerie, finestre senza vetri. Noi eravamo la gioia. Noi eravamo Marco Cavallo. Tutti insieme a L'Aquila contro il progetto della Regione Abruzzo che vuole aprire una Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza, un piccolo manicomio con 12 posti e al costo di 4 milioni e mezzo che possono essere spesi e molto meglio per i Servizi di Salute Mentale da aprire 24 ore su 24, per permettere la realizzazione di progetti personalizzati con personale dedicato, in case di civile abitazione, con inclusione sociale e lavorativa. Non per alzare muri dove custodire ma per costruire opportunità di cura e vita nella libertà. Tutti insieme a L'Aquila per valorizzare questa città che soffre la mancata ricostruzione materiale e sociale, per la restituzione alla città dell'ex-Ospedale Psichiatrico "S. Maria di Collemaggio" con spazi sociali, spazi interetnici, culturali e artistici, per la realizzazione di un sistema di Salute di comunità. Io c'ero a L'Aquila con Marco Cavallo. E quando a notte fonda me ne sono tornato a casa, mentre in auto sintonizzato su Raidue seguivo Moby Dick che mandava in onda le canzoni di Björk, pensando a un'immagine della cantante islandese con un copricapo che pare proprio un soffione, ho deciso che al mio prossimo incontro con il cavallo azzurro costruito dai matti di Basaglia gli farò dono di un soffione del tarassaco, il soffione dei desideri. Chissà che Marco Cavallo possa vedere esauditi tutti i suoi desideri....che sono anche i miei. Che sono quelli di tutti: il rispetto dei diritti delle persone. Reggio Calabria: decreto svuota-carceri, nessuna incidenza sul sovraffollamento di Anna Foti www.reggiotv.it, 27 novembre 2013 Ancora sovraffollamento nel carcere reggino di San Pietro, nonostante il recente decreto svuota carceri, che in molti hanno definito "indulto mascherato", e la sentenza della Corte Costituzionale n. 57 del 29 marzo 2013 che ha dichiarato illegittima la presunzione assoluta di colpevolezza alla base della custodia cautelare obbligatoria per reati mafiosi. Continuano a registrarsi numeri che vanno ben oltre la capacità tollerata. Solo nel carcere di Reggio Calabria, diretto da Maria Carmela Longo, l'emergenza è quotidiana con oltre 300 detenuti, in una struttura che potrebbe ospitarne 260 ma dovrebbe ospitarne 160. Più della metà sono in attesa di giudizio. Al momento qualche centinaio è stato trasportato fuori regione per lavori ad un sezione della struttura penitenziaria. Anche lo stesso carcere di Arghillà, non pienamente utilizzato (due sezioni su tre) per ragioni di personale e non solo, si accinge ad ospitare piccoli gruppi di detenuti in attesa di giudizio, nonostante la sua vocazione sia quella di anticamera al rientro in società. Inaugurata lo scorso luglio, la struttura al momento ospita 150 detenuti che devono scontare pene fino a tre anni, anche residue; a regime potrebbe ospitarne fino a 375 con la possibilità, qualora venga realizzato l'altro padiglione già progettato, di arrivare ad una capienza di 720 detenuti. Il decreto svuota-carceri, presentato di recente dal guardasigilli Anna Maria Cancellieri a Strasburgo dove l'Italia non ha certamente brillato per la vivibilità nelle carceri, prevede la conferma del tetto minimo di 5 anni di reclusione per la praticabilità della carcerazione preventiva, con la deroga per i soli reati di finanziamento illecito dei partiti e l'aumento, per consentirne il ricorso, da 4 a 5 anni di reclusione per il reato di stalking; elemento distintivo di questo piano è il ricorso alle misure alternative alla detenzione attraverso il lavoro esterno (sgravi contributivi per le cooperative sociali e credito di imposta per le aziende che assumono e la possibilità per i detenuti di prestare attività gratuita e volontaria in progetti di pubblica utilità), gli arresti domiciliari e la libertà anticipata, anche per i recidivi, seppur concedibili una sola volta. Misure che ancora non hanno inciso nel panorama reggino come in quello nazionale nel quale, denuncia il Sindacato Unitario Polizia Penitenziaria (Sappe), ancora il decreto svuota-carceri non è decollato. I dati del sovraffollamento nazionale ancora registrano una popolazione detenuta che conta oltre 64 mila individui a fronte di 38 mila posti letto. Torino: a Natale le lampade realizzate dai detenuti illuminano la città Redattore Sociale, 27 novembre 2013 Cento lampade realizzate dai detenuti di Torino illumineranno i negozi di via Garibaldi per il periodo natalizio. Progetto dell'associazione La Brezza per sensibilizzare il territorio sul mondo carcerario. Uno scambio in luce tra "il dentro", il carcere, e il "fuori", la società. È con questo intento che verrà inaugurata mercoledì 4 dicembre alle ore 15 in via Garibaldi a Torino l'esposizione delle lampade che i detenuti della Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno" hanno realizzato nei laboratori "Arte espressione del Sé", nell'ambito del progetto "Scambi in luce", organizzati dall'Associazione La Brezza, che da sempre si occupa di promuovere e sensibilizzare il territorio nei confronti del mondo carcerario. L'inaugurazione avverrà con un evento pubblico presso l'Ufficio Informazioni di Turismo Torino e provincia, in via Garibaldi angolo piazza Castello, alla presenza del presidente di Turismo Torino e provincia Maurizio Montagnose, dei volontari dell'Associazione La Brezza, che hanno contribuito alla realizzazione delle lampade, e del Direttore dell'Istituto penitenziario Giuseppe Forte. La consegna delle luci alle autorità, tra cui anche il sindaco Piero Fassino, è stata affidata a Niccolò Fabi, partner 2013 della campagna del Centro Servizi V.s.s.p. "Volontariato una buona idea", che ha scelto di aderire al progetto "Scambi in luce" dell'Associazione La Brezza. Le lampade animeranno per tutto il periodo natalizio le vetrine dei negozi di via Garibaldi, insieme alle tradizionali Luci d'Artista, come simbolo dell'incontro tra la speranza dei detenuti e l'accoglienza della società. Lo scopo è quello di attenuare il grande divario che separa ancora oggi il carcere dal mondo esterno e dare concreta attuazione al dettato costituzionale che all'articolo 27 prescrive che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Brescia: all'Ospedale Civile detenuto cerca di strangolare poliziotto penitenziario www.bresciatoday.it, 27 novembre 2013 Accompagnato all'ospedale Civile di Brescia per necessità di ricovero, un detenuto ha aggredito due agenti della Polizia Penitenziaria: prima con le mani al collo, poi con un morso alla mano. Due agenti di Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti al Civile di Brescia, a seguito di un accompagnamento di un detenuto ricoverato appunto nella struttura ospedaliera cittadina. L'uomo si è alzato dal lettino e ha prima stretto le mani al collo di un agente nel tentativo di strangolarlo; non appena il collega si è mosso in suo aiuto è stato a sua volta aggredito, tanto da essere morso pure ad una mano. Dopo una breve colluttazione, ma non senza fatica, i due uomini in divisa sono riusciti a bloccare e a calmare il detenuto. Finita la convalescenza, rientrerà in carcere. Savona: di giorno rapinatore e di notte detenuto in regime di semi-libertà www.ivg.it, 27 novembre 2013 Si era già tolto la "divisa da lavoro" con tanto di giubbotto da montagna e casco per non farsi riconoscere, e stava andando tranquillamente in pizzeria a cenare, prima di fare ritorno in cella. Sì, perché questo rapinatore seriale che, per settimane, ha terrorizzato gli esercenti savonesi e in particolare i dipendenti delle farmacie, era in regime di semi libertà, il che significa che dalle 7,30 alle 22,30 era libero mentre la sera doveva fare ritorno al Sant'Agostino. Una condizione che Nicola Russo, 35 anni, originario di Napoli, aveva deciso di sfruttare per continuare a delinquere (l'uomo ha precedenti per rapina e omicidio) e per mettere a segno in poche settimane ben 7 colpi ai danni di attività commerciali della Torretta. Per darsi una parvenza di normalità l'uomo lavorava in un'azienda agricola del Loanese ma i soldi, quelli più cospicui, gli arrivavano dalle rapine messe a segno ai danni di 5 farmacie, un bar e una tentata rapina a un distributore di benzina. Il bottino veniva poi nascosto in un capanno che aveva a disposizione in zona Legino e in un monolocale affittato da un amico sempre a Savona. Le sue imprese all'ombra della Torretta iniziano il primo novembre quando prende di mira la farmacia Fasce; il 5 novembre, invece, svuota le casse della farmacia Alla Torretta. A questo punto gli inquirenti iniziano ad alzare le antenne e a classificarlo come un rapinatore seriale. Di qui l'istituzione di un tavolo di cooperazione investigativa, informativa e di controllo del territorio tra i carabinieri del Comando provinciale di Savona e gli agenti della Squadra Mobile, con uno scambio immediato di informazioni, una suddivisione in zone della città per un controllo più capillare, e una stretta collaborazione che porterà al successo dell'operazione. L'uomo nel frattempo colpisce altre 5 volte: tre ai danni di farmacie, una al "Coky bar" di via XX Settembre più una tentata rapina ai danni di un distributore della Esso. In tutti i casi indossa un pesante giaccone da montagna, un paio di scarpe grigie della Adidas che risulteranno determinanti per la sua individuazione (un modello non all'ultima moda e che attualmente i negozi non vendono) e un casco che, però, ogni volta è sempre diverso, riuscendo così a spiazzare per un po' le forze dell'ordine. Ieri, così vestito, si presenta alla farmacia Padovani di via Chiavella e mette a segno il suo ultimo colpo. A questo punto carabinieri e polizia diramano avvisi e segnalazioni ai tanti uomini in borghese che, in questi giorni, hanno popolato le strade savonesi, fino a quando i carabinieri individuano il soggetto. A tradirlo le scarpe di cui si parlava prima, il giubbotto, e la strana camminata ciondolante. Dalle successive perquisizioni nel capanno e nel monolocale utilizzati da Russo sono stati rinvenuti la pistola a salve, 4070 euro, 372 dollari americani, e un Rolex portato via ad un farmacista. Nello specifico è di 1870 euro il bottino della prima rapina, 870 euro quello della seconda, 1500 euro più un cellulare più il Rolex per il terzo colpo; 100 euro alla farmacia "essere Benessere", 200 euro sottratti al "Coky bar". Russo sarà interrogato domani mattina dal giudice per le indagini preliminari Donatella Aschero che dovrà convalidare il suo fermo. "Questo è il frutto della stretta sinergia e collaborazione tra le forze dell'ordine della città di Savona - dice il colonnello Alessandro Parisi, comandante dei carabinieri di Savona - Lo scambio costante delle informazioni disponibili ci ha permesso la cattura del rapinatore. Le manette sono state messe dai carabinieri ma è come se ad un polso l'avessero messe anche gli uomini della polizia". "È stata una bella esperienza per noi forze di polizia, perché abbiamo sperimentato un servizio di cooperazione che ha portato a grandi risultati" aggiunge il capitano Bianco, comandante del Nucleo Investigativo dei carabinieri. "Abbiamo messo fine a un reato odioso, capace di creare allarme sociale - aggiunge Rosalba Garello, capo della Squadra Mobile di Savona - È stata proprio la tipologia di intervento di questo criminale che ha indotto il questore e il comandante provinciale a chiedere un lavoro in sinergia. È stata un'esperienza professionale importante. È stata come una prova generale per unificare le forze di polizia. Abbiamo praticamente svuotato gli uffici per avere pattuglie in borghese ovunque. I carabinieri sono stati favolosi nell'individuare rapinatore e a fermarlo, e mi voglio complimentare con tutti coloro che hanno dato il proprio contributo. È stata data una risposta pronta alla cittadinanza. È un segnale che a Savona le forze dell'ordine ci sono e sono unite". Busto Arsizio: dopo mostra sui detenuti del liceo Crespi, ora "Extrema Ratio" con Enaip di Enzo Mari www.assesempione.info, 27 novembre 2013 Successo alla mostra Extrema Ratio a Palazzo Cicogna. Oggi Testimonianza di Max De Aloe Successo alla mostra Extrema Ratio a Palazzo Cicogna. Oggi Testimonianza di Max De Aloe. In città il tema carcerario è molto sentito nelle scuole. Dopo la mostra sui detenuti "Quadri dei detenuti" del liceo Crespi, è arrivata in città un'altra provocazione "Estrema ratio" messa in pista da Enaip con la collaborazione del liceo Crespi, Agesci di Busto, Exodus, Vol.Gi.Ter., Intrecci e Fondazione Cariplo. Il progetto inaugurato venerdi 22 a palazzo Cicogna ed in visione fino al 1 dicembre, ha simulato una cella in 8m quadri con tre letti a castello dove i cittadini vengono invitati a restare 5 min in "cella" di dimensione "reale". "L'idea è nata per sensibilizzare e informare diversamente sul tema del carcere - spiega Sergio Preite di Enaip e Agente di rete -. Tutto questo non é frutto di un'anima sola, ma delle tante che compongono il mondo del carcere". All'inaugurazione di venerdi 22 hanno partecipato infatti anche il sindaco di Busto Gigi Farioli, il presidente della commissione servizi sociali Mario Cislaghi, il direttore del carcere di Busto Orazio Sorrentini, la comandante degli agenti di Polizia penitenziaria Rossella Panaro, la presidente di Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna), la direttrice del Crespi Cristina Boracchi, i rappresentanti di tutti gli enti coinvolti nel progetto, volontari del carcere e della Caritas, ed oggi, mercoledi è prevista alle 16.30 un'esperienza in gattabuia anche per Max De Aloe, musicista di fama internazionale conosciuto in città, che proverà dal "di dentro" con Livein 8metriquadri. "Live in 8m² è un'ulteriore occasione per fare musica che abbia in sé anche un alto valore simbolico e di sensibilizzazione - spiega Max De Aloe -. Sono onorato di questo invito che prosegue un progetto già realizzato un paio di anni fa per portare la didattica della musica all'interno della casa circondariale di Busto Arsizio. Onorato anche di contribuire con la mia musica far riflettere sulle condizioni spesso inumane di sovraffollamento in cui versano le carceri italiane e di scarsa capacità alla reale riabilitazione del detenuto". I ragazzi interpellati, in particolare Ilenia Clasadonte e Caterina Scannapieco , del liceo Crespi hanno affermato "il carcere viene visto come qualcosa di estraneo e lontano. Il percorso fatto e soprattutto, la visita all'istituto penitenziario cittadino, per noi sono stati illuminanti: per questo abbiamo deciso di trasmettere questa esperienza alla comunità di Busto Arsizio". L'iter prevede: passaggio dalla "matricola", fotografia identificativa, deposito oggetti ed effetti personali. Poi i visitatori-detenuti saranno condotti nella cella e "chiusi dentro" per 5 minuti da un ex-detenuto Roberto Cusumano ed un detenuto del carcere di Busto Cabral Compasso - con permesso - che affermano "Pensiamo possa essere un'esperienza positiva perché le persone all'esterno non si rendono conto di cosa voglia dire sopravvivere in un carcere". Firenze: "Senza ali", un cd con le storie rap dei ragazzi del carcere minorile www.intoscana.it, 27 novembre 2013 Giovedì 28 novembre un concerto speciale per la presentazione del cd hip-hop "Senza ali" a sostegno del progetto "16 Sbarre". Un intero cd di Hip Hop realizzato all'interno di un carcere minorile in Italia dagli stessi detenuti? Registrato all'interno del carcere stesso e prodotto dagli operatori? Esattamente! C.A.T. Cooperativa Sociale di Firenze cura da molti anni laboratori di musica Hip Hop e Reggae in strada, nei quartieri, nei campi Rom, e dal 2007 anche nell'Istituto Penale per Minori G. Meucci di Firenze. Nel carcere minorile è stato applicato quello che il rapper Krs 1 chiama "Edutainment", ovvero l'incontro tra education e entertainment (educazione e intrattenimento). Dopo anni di lavoro e diversi demo, finalmente un album completo, scritto e registrato da detenuti minorenni, con musiche originali, intitolato "Senza Ali". L' album contiene una selezione dei 17 migliori brani incisi con i ragazzi tra il 2011 e il 2012. È un cd che porta alla luce, fuori dal carcere, le storie di questi ragazzi. Perché il carcere è un buco nero, un luogo rimosso dalla coscienza. "Senza Ali" è un disco con le loro storie, storie d'amore e di rabbia, di infanzia negata, fotografie di due mondi, quello della strada e quello del carcere, che pochi conoscono davvero. Sono storie vere, immediate, raccontate con il crudo linguaggio della strada, nella lingua e nel dialetto di provenienza. "Keep it Real!", dicono i rappers. Questo è un disco "vero" e senza censure. Scopo del cd è anche il desiderio che il laboratorio continui ad essere attivo all'interno del carcere, offrendo ai ragazzi un'opportunità di crescita, riflessione, confronto, e perché questo possa fare crescere non solo bravi "rappers", ma anche persone che grazie ad una nuova consapevolezza possano dirigere la propria vita verso modelli di comportamento più positivi, creativi e non violenti. Nei progetti futuri c'è anche la voglia di realizzare un nuovo cd, collaborando con artisti affermati del panorama Hip Hop nazionale. Per questo è nato il progetto "16 Sbarre", una raccolta fondi, un "crowd funding", grazie alla piattaforma Musicraiser. Chiunque, con una piccola somma, può contribuire alla nascita del nuovo cd. Roma: Ministro Cancellieri e presidente Coni Malagò presentano "Sport in carcere" Adnkronos, 27 novembre 2013 Martedì 3 dicembre alle ore 11, nel Salone d'Onore del Coni, il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ed il Presidente del Coni Giovanni Malagò presenteranno alla stampa il progetto "Sport in Carcere", finalizzato al miglioramento della condizione carceraria e del trattamento dei detenuti attraverso la pratica e la formazione sportiva. L'obiettivo è di realizzare in tempi brevi una prima serie di interventi in ambiente carcerario concordati in sede europea nel corso degli incontri che il Ministro della Giustizia ha avuto a Strasburgo il 4 e 5 novembre scorso, davanti al Consiglio d'Europa e alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Nel corso dell'evento sarà firmato il Protocollo d'Intesa che prevede l'impegno congiunto dei promotori - con il concorso delle Federazioni Sportive Nazionali - nelle strutture individuate all'interno di diversi istituti di pena, su tutto il territorio nazionale. Le sedi-pilota interessate dall'iniziativa sono quelle della Casa Circondariale di Bologna e di Roma-Rebibbia Femminile. Roma: detenuti e agenti compagni di squadra debutta la nazionale di calcio Rebibbia La Repubblica, 27 novembre 2013 Pronta all' esordio la nazionale di calcio Rebibbia. Domani alle 11, al centro sportivo Giulio Onesti all' Acqua Acetosa, la formazione penitenziaria debutterà nell' amichevole contro la nazionale Attori. La nazionale Rebibbia, affiliata Asi-Gruppo Idee, è una squadra "mista" composta da detenuti e agenti di polizia penitenziaria, nata dalla volontà di portare avanti il lavoro svolto nella sezione Nuovo Complesso del penitenziario per il reinserimento sociale dei detenuti. Gli attori, da sempre impegnati nella raccolta di fondi a favore di persone e associazioni, hanno deciso di scendere in campo per dare un forte segnale di reintegro nella vita quotidiana. Durante l' evento sarà possibile sostenere l' associazione Anagramma Onlus, che si occupa di disabilità e integrazione sociale, con donazioni libere. Cinema: "Come il vento" e le prigioni di Armida recensione di Federico Pommier Vincelli www.primonumero.it, 27 novembre 2013 Esce giovedì nelle sale il film di Marco Simon Puccioni su Armida Miserere, interpretata da Valeria Golino. La vita intensa e drammatica di una donna che diresse molte carceri importanti tra gli anni ottanta e duemila. E che aveva un rapporto speciale con il Molise. In un momento in cui il tema dell'amnistia torna al centro del dibattito pubblico, "Come il vento", di Marco Simon Puccioni, dedicato alla storia vera di Armida Miserere, interpretata da un'eccellente Valeria Golino, offre una prospettiva nuova sul pianeta carcere. Per una volta non sono i detenuti a essere protagonisti, ma chi fa funzionare questi luoghi, e in particolare una donna che, quasi sempre sola in un mondo integralmente maschile, ha diretto tra gli anni ottanta e duemila alcune tra le più importanti carceri italiane: Lodi, Opera, Pianosa, Ucciardone, Sulmona. Una storia intensa, dura, raccontata con rigore stilistico e fedeltà alla cronaca, ed in cui la dimensione pubblica (il giudice Caselli, il mafioso Brusca) si intreccia drammaticamente con la vicenda privata di una personalità forte e fragile allo stesso tempo, molto severa nel lavoro e di una struggente dolcezza nei rapporti umani. Il film racconta in forma circolare la carriera di Armida nei vari penitenziari, attraversando 15 anni di storia italiana in cui la criminalità organizzata attaccò frontalmente lo Stato, e ruota attorno al suo legame sentimentale con Umberto Mormile, l'operatore carcerario ucciso in un agguato dalla ‘Ndrangheta nel 1990 a Milano. Da allora la vita della Miserere non è stata più la stessa e il dolore per la perdita dell'uomo con cui aveva sognato di costruirsi un futuro normale, e con cui aveva anche concepito un figlio mai nato, l'ha accompagnata sino al suicidio, avvenuto la sera del Venerdì Santo del 2003. La sequenza finale è di grande impatto emotivo e la meticolosa preparazione dell'ultimo atto viene rappresentata in parallelo alle immagini vere della processione del "Cristo morto" di Sulmona, in una riuscita commistione tra finzione e cinema del reale. Eros e Thanatos avvolgono il film dall'inizio alla fine, con il carcere che fa da scenario costante al tormento della protagonista, con gli amici che cercano invano di lenire la sua sofferenza, con la delusione per altre relazioni amorose fallite, con la dedizione al lavoro e il senso del dovere che si scontrano con un sistema che lascia Armida sempre più sola. Emerge anche la complessità della concezione di carcere che aveva la Miserere: da una parte democratica e orientata ai diritti del detenuto (significativo il passo in cui fa allontanare dal carcere di Pianosa gli agenti che picchiavano i carcerati); dall'altra severa e inflessibile nel rispetto delle regole ("non sono la direttrice del Jolly hotel...il detenuto deve fare il suo mestiere") e che le costarono continue minacce e intimidazioni, tanto che le fu assegnata per lungo tempo una scorta. Valeria Golino, che ha rinunciato ai suoi occhi blu e ha messo delle lenti per interpretare Armida, offre una prova di grande intensità e credibilità che le è valso anche il premio come miglior interprete italiano al recentissimo Festival di Roma. Dimostra qui la sua piena maturità artistica ed è affiancata da attori di spessore : l'istintivo Filippo Timi, che impersona Umberto Mormile, il misurato Francesco Scianna, l'amico magistrato, e Chiara Caselli, la collega che raccoglie le sue confidenze. Belle e adeguate anche le musiche del giapponese Shigeru Umebayashi, gia autore di colonne sonore per grandi maestri del cinema asiatico come Zhang Yimou e Wong Kar-Wai. Il regista Puccioni, che firma la sceneggiatura insieme a Nicola Lusuardi e Heidrun Schleef (coautrice de "La stanza del figlio" e del "Caimano" di Nanni Moretti), ha scelto una chiave narrativa molto precisa, incentrando il nucleo del film sull'inquietudine di Armida e sulla costante ambientazione carceriara. Una coerenza scenica che si sofferma poco sulla sua vita fuori dal carcere e forse toglie qualcosa alla profondità della figura di Armida, al suo saper essere anche solare e ironica. La ricordano così molte persone che l'hanno conosciuta a Casacalenda, paese di cui era originaria e dove passava gran parte del suo tempo libero. Un aspetto questo che invece è approfondito nella biografia scritta dalla giornalista Cristina Zagaria ("Miserere. Vita e morte di una servitrice dello Stato"). Proprio al rapporto di Armida con il Molise inoltre è dedicato un docu-corto realizzato dallo stesso Marco Puccioni e promosso da Molise Cinema, Molise Film Commission e Regione Molise, in occasione della presentazione del film a Casacalenda lo scorso 16 aprile e che contiene le interviste a suoi cari amici molisani. Nonostante alcuni limiti, "Come il vento", terzo lungometraggio di Puccioni, è un'opera che colpisce e commuove e che ha il merito di riscoprire la figura di una donna che ha dedicato la sua vita ai valori della legalità e a un'istituzione come il carcere che tutti tendono a rimuovere e che invece è un luogo con cui la coscienza civile deve sempre confrontarsi. E dopo i titoli di coda appare forte la sensazione che fosse proprio Armida la principale prigioniera della sue prigioni. Televisione: "Pane quotidiano" (Rai3) dalla legge Basaglia al carcere aperto Tm News, 27 novembre 2013 Nuovo appuntamento con "Pane Quotidiano", la trasmissione condotta da Concita De Gregorio, mercoledì 27 novembre, alle 12.45 su Rai3. Chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e carcere aperto: istituzioni totali a confronto. Concita De Gregorio ne parla con Peppe Dell'Acqua, storico collaboratore di Franco Basaglia, e con Carlo Mazzerbo, direttore del carcere di Gorgona. Immigrazione: Centri di Identificazione ed Espulsione in crisi, chiusi 6 su 12 Ansa, 27 novembre 2013 Dei 12 istituiti, ne sono stati chiusi sei e la capienza è stata ridotta in altri quattro a causa di danneggiamenti e rivolte, secondo quanto si apprende da dati del Viminale. Il risultato è che mentre la capienza complessiva delle strutture è di 1.851 posti, la ricettività effettiva è di sole 749 persone. Ancora meno sono gli ospiti attualmente presenti (564 fino a qualche giorno fa). L'ultimo Cie a chiudere i battenti è stato quello di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), lo scorso 6 novembre. In precedenza erano stati sbarrati quelli di Brindisi, Bologna, Crotone, Modena e Trapani Vulpitta. Per tutti l'indicazione ufficiale della chiusura è attribuita a "lavori straordinari di manutenzione". Capienza ridotta in quello di Bari da 196 a 112 posti in seguito ad una class action presentata da alcuni legali. Meno posti anche a Milano (da 132 a 28), Roma (da 360 a 222), Torino (da 210 a 98). Mauro: tema va affrontato a livello europeo "L'Europa non ha più frontiere al proprio interno, e questo è un fatto positivo, ma è paradossale che quando le frontiere sono esterne, ridiventino nazionali. Lampedusa è il confine dell'Europa, e il tema delle migrazioni deve essere affrontato a livello europeo". Lo dice il ministro della Difesa Mario Mauro in una lunga intervista pubblicata sul numero di dicembre del mensile free press Pocket. "Dopo la tragedia di Lampedusa abbiamo lanciato immediatamente l'Operazione Mare Nostrum, e l'abbiamo fatto con uno scopo preciso, salvare vite umane. Un dato su tutti: grazie all'impegno dei militari, in particolare della Marina militare, in un mese sono state salvate 1.800 persone che sarebbero morte o la loro vita sarebbe stata messa a repentaglio. E in più abbiamo ottenuto anche un importante risultato politico: poiché non intendiamo fare gli scarica-barile, abbiamo fatto comprendere all'Europa che l'Italia non vuole sottrarsi alle proprie responsabilità. Anzi, assumendoci in pieno le difficoltà, mettiamo in evidenza la vastità del problema". Arci: Cie disumani, chiuderli tutti I dati sui Cie chiusi (6 su 12) e con la capienza ridotta "dimostrano quello che diciamo da quando sono stati introdotti: si tratta di strutture disumane e bisogna cancellarle tutte". Lo dice Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione dell'Arci. "I Centri di identificazione ed espulsione - spiega Miraglia - sono difficili, se non impossibili, da gestire perché si collocano al di fuori del quadro di garanzie e regole che esistono anche nel mondo penitenziario. Ciò - aggiunge - ne fa luoghi assolutamente fuori controllo". Per l'esponente dell'Arci "sarebbe opportuno prendere atto di questa realtà e chiuderli tutti sostituendo alla detenzione amministrativa un meccanismo di rimpatrio volontario previsto dalla legislazione europea ma ad oggi poco utilizzato in Italia". Questo, aggiunge, "in parallelo ad una riforma della legislazione tendente ad annullare le cause dell'irregolarità, che sono insite nella legge Bossi-Fini". Sap: Cie chiusi fallimento politiche migratorie "La mancata chiarezza sulle regole di ingaggio e i tagli alle risorse sono alla base del fallimento delle attuali politiche migratorie in Italia e della chiusura dei Cie, senza contare che fu un errore cinque anni fa introdurre il reato di clandestinità e aumentare i tempi di permanenza in queste strutture". Lo afferma Nicola Tanzi, segretario generale del sindacato di polizia Sap. "I migranti - spiega Tanzi - non sono detenuti, ma neppure possono godere di uno stato di libertà piena. Sono "trattenuti" e non abbiamo regole di ingaggio adeguate. Pertanto le forze dell'ordine hanno poco spazio di manovra e non è possibile prevenire nel modo migliore le violenze che colpiscono in primis i poliziotti, oltre ai disagi per i cittadini e ai danneggiamenti alle strutture". "Eravamo e siamo contrari al reato di immigrazione clandestina - prosegue il segretario del Sap - perché, così strutturato, non serve ad espellere realmente gli stranieri dal territorio nazionale e aggrava il lavoro delle forze di polizia. Da incoscienti, poi, è stato allungare i tempi di trattenimento nei Cie, con l'aumento vertiginoso di danneggiamenti e rivolte che ha portato alla situazione attuale". "L'unica cosa che è possibile fare adesso - conclude il sindacalista - è chiedere al Parlamento un intervento legislativo urgente per ristabilire, anche in tema di immigrazione, la certezza del diritto e, soprattutto, norme cogenti che permettano di punire e sanzionare i clandestini che commettono reati. Cosa che oggi non avviene". Francia: in carcere 127 membri dell'Eta, una decina arrestati quest'anno Tm News, 27 novembre 2013 Attualmente in Francia sono detenuti 127 membri dell'Eta, secondo il bilancio fornito da un portavoce della polizia francese, che ha precisato che 10 membri delle forze separatiste basche sono stati arrestati nel 2013. Dal 1999 ad oggi sono 300 i membri dell'Eta ad essere stati arrestati in Francia, ha continuato Stephane Durey, responsabile dell'antiterrorismo, che testimoniava davanti alla Corte d'assise di Parigi, dove è in corso un processo contro tre esponenti dell'Eta, per estorsione di denaro e sequestro. Secondo gli esperti dell'antiterrorismo francese, la maggior parte dei membri dell'Eta, dirigenti e militanti clandestini, risiedevano in Francia nel anni Duemila e andavano in Spagna solo per compiere operazioni. Alcuni documenti sequestrati all'organizzazione testimoniano che nel 2004 erano 120 gli effettivi dell'Eta in Francia. Spagna: liberati altri 14 detenuti Eta dopo sentenza della Corte di Strasburgo Tm News, 27 novembre 2013 In totale già 50 gli "etarra" scarcerati dal 22 ottobre. La Audiencia Nacional ha disposto la liberazione oggi di altri 14 detenuti dell'Eta sulla base del verdetto emesso a fine ottobre della Corte europea per i diritti umani che ha portato fino ad oggi alla scarcerazione in Spagna di 50 militanti del gruppo armato basco. In totale, 50 "etarra" sono stati liberati da quando la Corte di Strasburgo ha giudicato "illegale", il 21 ottobre, la detenzione prolungata della militante Ines del Rio, cassando di fatto la "dottrina Parot", con cui la giustizia spagnola limitava i benefici di legge per i detenuti per reati particolarmente gravi. Da allora, la magistratura spagnola ha ritenuto che questi altri detenuti fossero nella stessa identica situazione della del Rio che, condannata a 3.828 anni di prigione per 24 omicidi, è stata scarcerata il 22 ottobre dopo 26 anni passati dietro le sbarre. La "dottrina Parot" venne varata per evitare la liberazione di uno degli "etarra" più sanguinari, Henri Parot, e prevede il calcolo dei benefici di legge su ciascuna delle pene comminate e non sul limite massimo della detenzione che in Spagna si situa fra i 20 e i 30 anni non esistendo l'ergastolo. Con questo metodo gli sconti di pena rimangono praticamente senza effetto. La sentenza ha provocato manifestazioni di indignazione da parte delle associazioni delle vittime dell'Eta. Stati Uniti: la Cia convertì alcuni detenuti di Guantanamo in agenti segreti Ansa, 27 novembre 2013 In una sezione del supercarcere nella base Usa di Guantanamo, a Cuba, la Cia ha condotto per alcuni anni, non molto tempo dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001, un programma segreto per convertire alcuni detenuti in agenti, pronti a fare il doppio gioco in cambio della libertà e di denaro. Lo hanno rivelato funzionari ed ex funzionari Usa alla Ap. Il programma è stato portato avanti in otto piccoli cottage dotati di cucina, docce e tv, in una sezione della base chiamata "Penny Lane". Secondo quanto hanno riferito le fonti, citate in forma anonima, alcuni degli ex detenuti hanno poi aiutato in effetto la Cia a localizzare e uccidere esponenti di al Qaida. Altri hanno invece fatto perdere le loro tracce. Iraq: eseguite 11 condanna a morte per "terrorismo", condanne capitali in aumento Ansa, 27 novembre 2013 Le autorità irachene hanno eseguito oggi undici condanne a morte nei confronti di altrettanti detenuti, riconosciuti colpevoli di "atti di terrorismo". Lo riferisce l'agenzia ufficiale irachena Nina. Secondo un conteggio dei media locali e stranieri, dall'inizio dell'anno a oggi sono state eseguite in Iraq 162 condanne a morte, mentre l'anno scorso se ne erano contate 129. Somalia: arrestato direttore radio per aver fatto intervista a vittima di uno stupro Tm News, 27 novembre 2013 Le forze di sicurezza somale hanno arrestato il direttore della radio privata Shabelle per aver consentito a un giornalista di registrare l'intervista una presunta vittima di stupro. Dalla prigione in cui è detenuto, Abdimalik Yusuf Mohamud ha spiegato di essere stato arrestato per aver consentito a Mohamed Bashir, giornalista della radio, di videoregistrare l'intervista. "Sono in prigione perché Mohamed, che è in carcere con me, ha intervistato la donna che era stata stuprata usando una telecamera in dotazione alla radio - ha detto Mohamud ad al Jazeera - ci hanno negato ad entrambi un legale. Ci hanno sbattuto in carcere con dei criminali". Bashir è stato arrestato dopo la diffusione on-line della video intervista. Nel filmato postato su YouTube il 16 novembre scorso, la 19enne, dipendente dell'emittente radiofonica Kasmo, ha accusato due giornalisti della radio statale Radio Mogadiscio di averla stuprata sotto la minaccia delle armi. La vittima e il giornalista di Shabelle sono stati arrestati dopo che i presunti aggressori li hanno denunciati per calunnia. Al momento non è stata fissata alcuna data per il processo. Il governo somalo ha fatto sapere di non poter intervenire per non "interferire con il sistema giudiziario", stando a quanto precisato ad al Jazeera dal portavoce del governo, Abdirahman Omar Osman. Il Comitato in difesa dei giornalista ha chiesto alle autorità di rilasciare Bashir e la presunta vittima di stupro e di "garantire un'indagine trasparente sulle accuse".