Il "miracolo" di una domenica a pranzo con i propri cari in carcere Ristretti Orizzonti, 25 novembre 2013 "Bellissima giornata! Piena di emozioni e di esperienze nuove: mangiare qualcosa insieme, fare qualche passo mano nella mano… è stato un bel regalo! Grazie Ristretti Orizzonti". È bello, questo messaggio che abbiamo ricevuto oggi, domenica 24 novembre 2013, dalla compagna di una persona detenuta, appena rientrata dal primo "colloquio lungo" avvenuto nella palestra della Casa di reclusione di Padova: quattro ore per pranzare insieme ai propri cari, una domenica quasi come una famiglia vera. Ma perché ci prendiamo volentieri i ringraziamenti? I ringraziamenti vanno certamente alla direzione, e alla Polizia penitenziaria in particolare, perché la domenica è sacra per tutti, e non è facile accettare di rinunciare un po' alle proprie feste per una iniziativa come questa. Però questa questione dei "colloqui lunghi" a rotazione per tutti, non solo per la festa del papà, per poter assaporare la gioia di pranzare con i propri cari la domenica, è una richiesta che Ristretti Orizzonti aveva avanzato anni fa, e a ogni incontro con il Direttore avevamo tenacemente insistito sull'importanza di questa proposta, finché si sono convinti tutti della sua utilità. E la cosa è iniziata. Ricordiamo anche che le proposte minime per "ridurre i danni da sovraffollamento e salvare gli affetti delle persone detenute" Ristretti Orizzonti le aveva elaborate anni fa e presentate nell'estate del 2011 all'allora Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Le riportiamo qui sotto, chiedendo che in tutte le carceri, come nella Casa di reclusione di Padova, si possa non solo aprire le celle per buona parte della giornata, ma anche consentire a tutti di telefonare di più e di pranzare ogni tanto con i propri cari. Ricordiamo inoltre che il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha ribadito in questi giorni l'importanza di una maggiore apertura delle celle. Sì, è importante, ma è importante anche che quelle ore di "apertura" non siano ore vuote di passeggi in una sezione strapiena, ma siano ore piene di contenuti. Chiediamo allora che le associazioni di volontariato, i giornali delle carceri, la scuola, le cooperative siano chiamati intorno a un tavolo a parlare con il Ministro di come dare un senso al tempo recluso. E, tanto per cominciare, che l'orario di permanenza negli istituti dei volontari sia ampliato da subito. La redazione di Ristretti Orizzonti Proposte minime di riduzione del danno da sovraffollamento carcerario (documento del 2010) Si può fare qualcosa perché le persone detenute non finiscano a marcire nelle galere nell'indifferenza di tutti? La redazione di Ristretti Orizzonti ha elaborato delle Proposte minime di riduzione del danno da sovraffollamento carcerario, sia per i detenuti che per le loro famiglie, indirizzate ai Provveditorati dell'Amministrazione penitenziaria, ai direttori delle carceri, ai magistrati di Sorveglianza. Si tratta di proposte semplici (attuabili da subito e a costo zero dalle direzioni) già in parte presenti nella lettera circolare del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria del 24.04.2010 (Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire i fenomeni auto aggressivi) e in quella del 7.7.2010 (Ulteriori iniziative per fronteggiare il sovraffollamento), che non dovrebbero però costituire un "invito alle Direzioni" a metterle in pratica, ma essere recepite come misure fondamentali per riportare un minimo di legalità nelle carceri. Chiediamo quindi che le indicazioni presenti nelle circolari diventino disposizioni vincolanti per le Direzioni e non suggerimenti da attuare a discrezione. Apertura 24 ore su 24 dei blindi per favorire la ventilazione e il ricambio di aria nelle celle sovraffollate; apertura delle celle nel corso di tutta la giornata con libero accesso alle docce; utilizzo più ampio possibile dell'area verde per i colloqui; concessione dell'aria estiva: un'ora aggiuntiva di passeggi dalle 17:00 alle 18:00; aumento delle ore di attività sportive (campo e palestra) e predisposizione di attrezzi nelle aree dei passeggi per permettere alle persone, compresse per ore nelle celle in spazi ridottissimi, di fare almeno un minimo di esercizio fisico; utilizzo di tutti gli spazi comuni nelle sezioni per attività che coinvolgano i detenuti, che non lavorano e non sono impegnati in nessuna attività; accesso del volontariato nelle carceri almeno fino alle 18 Diritto all'amore della propria famiglia Piccole proposte per "salvare" le famiglie delle persone detenute Nelle carceri è sempre più difficile rispettare la Costituzione, sia per quel che riguarda il fatto che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, sia per quella rieducazione che ormai per migliaia di detenuti è solo una parola vuota. In questa situazione, quello che almeno si potrebbe fare subito è promuovere finalmente alcune misure per "salvare" le famiglie: in considerazione del sovraffollamento in strutture, pensate e attrezzate per ospitare meno della metà dei detenuti presenti, per cercare di "salvare" le famiglie sarebbe opportuno portare almeno a otto le ore mensili previste per i colloqui; dovrebbero essere organizzati colloqui lunghi, in aggiunta alle ore mensili da regolamento, per pranzare con i propri cari, possibilmente di domenica, per dar modo alle famiglie di vedersi in condizioni di quasi normalità; dovrebbero essere migliorati i locali adibiti ai colloqui, e in particolare all'attesa dei colloqui, anche venendo incontro alle esigenze che possono avere i famigliari anziani o i bambini piccoli, oggi costretti spesso a restare ore in attesa senza un riparo (servirebbero strutture provviste di servizi igienici); dovrebbero essere concessi con maggior rapidità i colloqui con le "terze persone"; dovrebbero essere autorizzati colloqui via Internet per i detenuti che non possono fare regolarmente i colloqui visivi, utilizzando anche sperimentalmente Skype; dovrebbero essere concesse a tutti i detenuti due telefonate supplementari, senza necessità di fare richiesta e motivarla con particolari esigenze personali, in considerazione delle condizioni poco umane in cui stanno vivendo*. Questo si può fare senza cambiare la legge, ma l'obiettivo dovrebbe essere per tutti una "liberalizzazione" delle telefonate, come già avviene in molti Paesi. E forse telefonare più liberamente ai propri cari, mantenere contatti più stretti quando si sta male e si sente il bisogno del calore della famiglia, ma anche quando a star male è un famigliare, potrebbe davvero costituire una forma di prevenzione dei suicidi. Vanno anche studiate possibilità di utilizzo di carte prepagate per chiamare all'estero, molto più economiche del costo attuale delle telefonate; dovrebbero essere rese più chiare le regole che riguardano il rapporto dei famigliari con la persona detenuta, uniformando per esempio le liste di quello che è consentito spedire o consegnare a colloquio, che dovrebbero essere più ampie possibile, e raddoppiando il peso consentito per i pacchi da spedire alle persone detenute. Chiediamo inoltre che sia predisposto in tutte le carceri il sistema della scheda telefonica come già in atto nella Casa circondariale di Rebibbia, nella Casa di reclusione di Padova e in altre carceri, sistema che permette un grande risparmio di lavoro, eliminando l'inutile burocrazia delle domandine per telefonare, e che consentirebbe di passare con più facilità a una "liberalizzazione" delle telefonate, come avviene appunto nella maggior parte dei Paesi europei. Mantenere contatti più stretti quando si sta male e si sente il bisogno del calore della famiglia, così come quando a star male è un famigliare, potrebbe davvero costituire anche una forma di prevenzione dei suicidi. *Nella Casa di reclusione di Padova è stata accolta dalla Direzione la richiesta di Ristretti Orizzonti e tutti i detenuti possono fare due telefonate in più al mese a fissi e cellulari senza distinzioni. La scuola trasforma un luogo di chiusura e di esclusione in un luogo di confronto Il Mattino di Padova, 25 novembre 2013 66 studenti tra alfabetizzazione e scuole medie, 99 iscritti all'Istituto tecnico commerciale Gramsci: sono tanti i detenuti studenti nella Casa di reclusione di Padova, ai quali vanno aggiunti più di cinquanta iscritti a corsi universitari. Sono numeri che fanno essere un po' meno pessimisti, perché almeno la scuola funziona in molte carceri, ed è una boccata di ossigeno: per gli studenti reclusi, che nello studio investono per ricostruirsi un futuro; per la società, perché una persona che comincia ad appassionarsi alla cultura, alla conoscenza, alla lettura è comunque una persona meno pericolosa. Biblioteche e scuole possono trasformare un luogo di chiusura e di esclusione come è il carcere in un luogo di confronto, dove le persone imparano ad ascoltare gli altri, a vederli, ad avere attenzione alle loro vite come forse non hanno mai avuto prima, quando al centro della loro esistenza c'era il più delle volte la ricerca delle scorciatoie per star bene, con la droga, i soldi, il potere. La scuola in carcere? non è solo cultura… Pochi sanno che anche nelle carceri c'è la scuola, e i corsi scolastici che iniziano, parallelamente a quelli esterni, con il medesimo programma scolastico, cominciando dal primo anno fino al quinto, e diversi detenuti riescono a conseguire il diploma. Qui nel carcere di Padova ci sono tutti i livelli scolastici, dalle elementari alla ragioneria. Ma quali sono i vantaggi per la società e per il detenuto che li frequenta? Credo che sia abbastanza evidente a tutti il fatto che portare la scuola in carcere equivale a portare la cultura dove ha regnato, spesso indisturbata, l'ignoranza. Anche perché la maggioranza dei detenuti non porta con sé un bagaglio culturale accettabile, ma ha avuto la sola "scuola" della strada, della delinquenza, la stessa che li ha "promossi al carcere". Quindi la scuola, quella vera, offre l'occasione a chi non l'ha mai avuta di conoscere attraverso gli studi nuove prospettive di vita, opportunità per migliorarsi. La scuola è anche un importante punto di risocializzazione, se pur graduale, grazie alle persone che in carcere vengono solo per lavorare, come gli insegnanti, che sempre operano privi di pregiudizi, dando così la migliore lezione di vita che un essere umano possa ricevere. E qui in carcere, chi lo vuole, può imparare non solo ciò che c'è scritto sui libri, ma anche, attraverso i volontari, gli insegnanti, le persone che vengono da fuori, può capire quali sono e come sono i volti di chi, con sacrifici, vive oggi una vita faticosa, e sa comunque che le regole bisogna rispettarle a prescindere dai nostri desideri, se si vuole essere parte di una società civile. Accettare per onestà di stare dalla parte più difficile, più dura, quella di chi sa fare sacrifici, quelli che tante volte non siamo stati capaci di fare noi… Qui al carcere Due Palazzi siamo più di un centinaio noi detenuti che possiamo accedere alle scuole, chi alle elementari, chi alle medie e chi alle superiori, forse per la maggior parte di noi una volta fuori dal carcere (per chi ha un fine pena) il diploma non sarà utile ad integrarsi meglio nella società, come pezzo di carta non varrà nulla, anche perché la maggior parte di noi è interdetto dai pubblici uffici, ma sono certo che a tutti coloro che hanno frequentato le scuole è rimasto un senso di civiltà più forte, più integro di come l'avevano prima dell'esperienza scolastica. Ed ecco che l'utile per la società è nell'aver scarcerato un uomo non imbruttito dall'ozio che regala il carcere, non imbruttito dalla violenta quotidianità delle nostre patrie galere, ma più consapevole e più responsabile nelle sue future scelte. Per alcuni di noi la conoscenza è anche sinonimo di sofferenza, ti consente di sensibilizzare la tua coscienza in modo più forte, permettendoti di vedere meglio le scelte del passato, e di conseguenza di proiettarti più consapevolmente verso il futuro. Purtroppo non avviene spesso che le scuole in carcere vengano valorizzate per come si dovrebbe, anzi restano come attività marginali di un carcere vissuto come un istituto che rinchiude "chi non serve più". Invece bisognerebbe comprendere che nella scuola in carcere bisogna investire coltivando la fiducia nell'essere umano, offrendo nuove "finestre" alle quali potersi affacciare per vedere delle alternative a una vita sbagliata, restituendo a voi che siete fuori persone più rispettose nei confronti della società. È necessario quindi rafforzare questo sistema scolastico interno alle carceri, valorizzando il lavoro degli insegnanti, dei volontari e dei reclusi che con passione scelgono di migliorarsi. A tutti i presidi (ora si chiamano dirigenti, credo) di questi istituti scolastici, che sono attivi nella realtà carceraria, desidererei mandare un invito affinché possano essere più presenti anche personalmente. Sedersi per qualche giorno all'anno al banco con gli ultimi non può che arricchire un po' tutti, voi presidi e noi "alunni" particolari. Giuliano V. La vita mi ha insegnato che non è mai tardi per studiare Era l'anno 2001 quando ho finito le scuole medie. Nel mio paese, l'Albania, erano tanti i ragazzi della mia età che percepivano la scuola come un posto dove andava chi aveva tempo da perdere. All'epoca i miei genitori me lo dicevano spesso, che la scuola era importante per riuscire nella vita, ma io non gli ho mai dato retta. Sono emigrato in Italia quando ero ancora minorenne, avevo poco più di sedici anni, e sono scivolato in una brutta vita che poi mi ha portato in carcere. Dopo tre anni e mezzo, mi hanno trasferito nella Casa di reclusione di Padova, dove c'è la possibilità di frequentare i corsi di ragioneria. Non ci ho pensato due volte, mi sono iscritto subito, e quando sono cominciate le lezioni, vi voglio dire che non è stato facile risedersi sui banchi della scuola dopo dieci anni. I primi mesi sono stati difficili, mi ci è voluto un po' ad abituarmi a stare seduto per cinque ore di seguito. Tanto è vero che a volte prendevo e me ne andavo in sezione. Superata la fase in cui dovevo imparare a seguire con pazienza e attenzione le lezioni, grazie anche alla grande capacità di comprensione dei professori che, con molta serietà e passione, svolgono il loro lavoro d'insegnamento, adesso frequento il triennio della ragioneria e cerco con tutte le mie forze di studiare e dare il meglio di me, e anche se in carcere si soffre abbastanza, io mentre sono a scuola mi immergo completamente nel ruolo del vero studente. Quando sei adulto impari a riflettere, capisci quanto sia importante l'istruzione, ne valorizzi la sua funzione, che in carcere è ancora più importante. A scuola si imparano tante cose, per me è come una fabbrica di informazioni che servono per sviluppare l'intelligenza e per aiutarci a formarci una cultura più aperta, lasciando alle spalle il nostro passato oscuro. Io ho ventisei anni, spero di diplomarmi al più presto, con un diploma in tasca posso sognare una eventuale iscrizione all'Università di Padova, cosi avrò la mia rivincita, il mio riscatto. La vita mi ha insegnato che non è mai tardi per studiare, bisogna solo avere fiducia nelle proprie capacità. Lejdi S. Giustizia: l'ennesimo suicidio in carcere e l'iniziativa nonviolenta dei Radicali di Valter Vecellio Notizie Radicali, 25 novembre 2013 La notizia: un detenuto di 29 anni, originario di Taranto e recluso nel carcere di Benevento è stato trovato morto, secondo la prima ricostruzione si sarebbe impiccato con una coperta, lasciandosi penzolare dalla finestra della sua cella. Grazie a "Ristretti Orizzonti" che monitorizza la situazione nelle carceri si apprende che questo è il 46esimo detenuto che si toglie la vita dall'inizio dell'anno; 141 sono i decessi in carcere, per malattia, scarsa assistenza o per imperscrutabili "ragioni da accertare". A questa cifra, già di per sé spaventosa e inquietante vanno aggiunte le morti (di cui quasi nessuno si occupa) degli agenti della polizia penitenziaria. Non è esagerato, se ai "caduti" del 2013 si sommano quelli degli ultimi dieci anni, parlare di vera e propria strage. Una strage silenziosa, che si consuma giorno dopo giorno, tra la sostanziale indifferenza di chi, al contrario ha il dovere, l'obbligo di intervenire. Di obbligo ha parlato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo primo e finora unico messaggio alle Camere. Un atto di rilevanza costituzionale, che i presidenti della Repubblica, da Luigi Einaudi in poi, hanno utilizzato con molta parsimonia, evidentemente per non usurare lo "strumento"; e non può e non deve sfuggire la valenza del messaggio del presidente Napolitano, tra i suoi primi atti, dopo che il rinnovo del suo settennato è stato praticamente acclamato da un ceto politico che non sapeva come uscire dal cul de sac in cui si era ficcato. Come non si stanca di sottolineare e ripetere Marco Pannella, non foss'altro per un gesto di cortesia ed educazione istituzionale, i presidenti del Senato e della Camera avrebbero dovuto immediatamente convocare i capigruppo per stabilire i tempi di una possibile risposta. Naturalmente non è accaduto, perché partitocraticamente, è dal sinedrio delle segreterie che si attende il via libera, ennesima conferma di un Parlamento espropriato e che si lascia impunemente espropriare. Nel corso della sua consueta domenicale conversazione a "Radio Radicale" Marco Pannella ha comunicato che assieme a Rita Bernardini, Marco Beltrandi e altre e altri compagni impegnati nello sciopero della fame e della sete su questa questione, hanno deciso di sospendere l'iniziativa. Una "pausa" per meglio mettere a punto modalità e tempistica di un'iniziativa che a breve riprenderà. Pannella ha già cominciato a delineare quello che si può definire l'obiettivo almeno nell'immediato: acquisito il primo importante successo (il messaggio del Presidente alle Camere), e preso atto che il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri in più occasioni ha individuato nell'amnistia e nell'indulto la prima, ineludibile riforma strutturale da acquisire se si vuole poi dare corso alle altre riforme; e considerando che nessuno, nell'ambito dell'esecutivo ha sollevato obiezioni o manifestato dissensi, è giunto il momento di chiedere al Governo di attivarsi concretamente in tale senso. Poi si vedrà in Parlamento chi e perché si schiererà in un modo o in un altro. Ma intanto il Governo può attivarsi. Come è uso dire: se vuole, può; se può, deve. Per interrompere la lunga, interminabile catena di morti "per" e "di" carcere; per corrispondere all'imperativo che ci viene dalle Corti di Giustizia Europee, che hanno fissato quale limite per uscire dalla flagranza di reato continuato, il maggio 2014 (sei mesi). Per, soprattutto, corrispondere alle speranze e alle aspettative dell'intera comunità penitenziaria, che esemplarmente da anni lotta e si mobilita. Nelle prossime ore si perfezionerà e si renderà noto il "percorso" di questa lunga marcia che coinvolgerà, come in passato, la comunità penitenziaria, i cattolici non rassegnati e tutte le persone consapevoli che questa lotta in favore degli ultimi, è in realtà una lotta per il rispetto della legge e per il diritto di tutti. E questo è quanto. Giustizia: trasformare la cultura dei violenti? anche il linguaggio dei media va cambiato di Valeria Fedeli (Vice presidente del senato) L’Unità, 25 novembre 2013 Oggi, 25 novembre, è la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. È un'occasione per unire tutti quelli che vogliono innovare e cambiare. La violenza di genere non è una questione femminile che può essere affrontata da una minoranza di donne, insieme a qualche uomo volenteroso. È un problema strutturale della società, che deriva da comportamenti degli uomini, e che insieme donne e uomini possono eliminare. È stato fondamentale il lavoro che donne di ogni estrazione politica e culturale hanno fatto e continuano a fare nelle istituzioni e nell'associazionismo, contribuendo ad aumentare sensibilità e conoscenza, e attivando percorsi virtuosi per affrontare la drammatica e strutturale condizione che viviamo. Ma è ormai evidente che la violenza contro le donne è un problema degli uomini e che il primo passo per analizzare e risolvere il problema è spostare lo sguardo, cambiare paradigma. Questo non significa abbassare la guardia nel sostenere i percorsi di uscita dalla violenza che tante donne, coraggiosamente, intraprendono o diminuire il sostegno ai centri antiviolenza, che vanno anzi implementati e rafforzati. Ma dire “questione femminile” significa scegliere un'etichetta che gli uomini sono abituati a scansare, mentre dobbiamo attivare il loro protagonismo. Perché troppo spesso succede che gli uomini, nelle discussioni sulla violenza di genere, sono un soggetto invisibile. Non sentiamo quasi mai dire: Mario ha picchiato Claudia. Ma molto più spesso: Claudia è stata picchiata da Mario. E nei titoli probabilmente troveremo solo: Claudia: ennesima donna che è stata picchiata. E ci chiediamo perché sia stata attratta da un uomo violento, perché abbia soppor- tato precedenti maltrattamenti, perché non si sia ribellata. Parliamo solo di Claudia e trasformiamo una questione sociale e culturale in un fatto privato, psicologico. E Mario? Dove finisce Mario? Non è forse lui il protagonista dell'atto di violenza? Non ci chiediamo abbastanza perché Mario ha picchiato Claudia, perché Mario considera la violenza un modo legittimo di relazionarsi ad una donna. Perché sembra normale unire l'amore e la morte? Ti amo quindi ti uccido: è una mostruosità, ma perché la nostra società la tollera? Ecco che siamo chiamati in causa tutti. Usiamo il linguaggio - le parole, la sintassi, la retorica - per stabilire gli ordini gerarchici del mondo, i punti di attenzione convenienti, gli orientamenti emotivi, lo usiamo per perpetuare abitudini e regole sociali da sempre governate dagli uomini e declinate al maschile. Il linguaggio diventa così fattore di conservazione, quando, invece, può essere uno strumento di profondo cambiamento: per rompere stereotipi, rapporti di potere consolidati, rappresentazioni discriminatorie. Per sostenere il cambio di paradigma. Il linguaggio è un fattore di quel cambiamento culturale, profondo e lungo, che è necessario per eliminare la violenza di genere. Un cambiamento che, proprio perché necessariamente profondo e lungo, non può che avere nell'educazione e nella formazione il vettore più forte e credibile. Cambiare quello che socialmente è ritenuto accettabile e quello che non lo è. Quello che fa ridere e quello che offende. Quello che sentiamo distante e quello che ci riguarda. Quello che fa sentire una persona vincente e quello che fa perdere punti tra gli amici e al lavoro e in tutti i contesti sociali. Ecco perché la violenza di genere non è una questione di parte, ma della maggioranza. Non è una questione di sensibilità, ma è una questione di leadership. Non è una questione di coppia, ma politica e culturale. Affrontare e battere la violenza di genere è un processo lungo e una sfida politica seria e ambiziosa. Una sfida che vorrei tutti insieme scegliessimo come decisiva, a partire dalla comunità democratica e dalle priorità del congresso in corso, per lanciare un'alleanza con tutte le associazioni e le forze della società civile, della cultura, dell'educazione, dei media. Perché un'Italia senza violenza di genere è un'Italia nuova, più libera, più uguale, più solidale e più competitiva. Ed è a fare questa Italia che serve il Partito Democratico. Giustizia: morti in cella, emergenza quotidiana, 46 i suicidi dall'inizio dell'anno www.televideo.rai.it, 25 novembre 2013 È ormai trascorso più di un mese dal messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla questione carceraria, pronunciato dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che condanna l'Italia a pesanti sanzioni a causa del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano. Nel messaggio il Presidente denunciava la situazione inumana delle carceri italiane, e la situazione della giustizia a essa collegata, ma di carcere si continua a morire. Sono 46 i detenuti che si sono tolti la vita da inizio anno, l'ultimo, sabato, a Benevento. Lo scorso anno sono stati 50 (37 da gennaio ad agosto); nel 2005 sono stati 57 (36 da gennaio ad agosto) e nel 2004 sono stati 52 (33 da gennaio ad agosto). Il tasso più elevato lo si è registrato nel 2001: 69 suicidi. Una giustizia troppo lenta e che sembra non abbia rispetto dei diritti umani fondamentali, tanto per l'irragionevole durata dei processi (violazione art. 6 della Convenzione Europea sui diritti dell'Uomo) quanto per i trattamenti inumani e degradanti (violazione art. 3 della stessa Convenzione) a cui sottopone i suoi cittadini detenuti. Secondo i numeri del Dap, infatti, il numero complessivo di detenuti è pari a 64.323 unità, a fronte di una capienza di 47.668 posti letto. Di diverso avviso il Sappe, secondo il quale la capienza è di circa 10mila unità inferiore. La questione più preoccupante riguarda però l'elevato numero di detenuti in attesa di primo giudizio, appellanti e ricorrenti, equivalente al 37,85% del totale della popolazione carceraria complessiva. Questo dato sfiora il 44% se si considera la sola popolazione straniera detenuta. Altra preoccupazione è quella del numero di tossicodipendenti in carcere: "L'Italia è uno tra i paesi al mondo che ha la percentuale più alta di consumatori di sostanze in carcere - denuncia Felice Nava, responsabile della sanità penitenziaria di Padova e dirigente di Federserd - attualmente circa il 30% dei 66 mila detenuti sono consumatori di sostanze stupefacenti, percentuale che raggiunge il 50% tra i 27 mila detenuti in attesa di giudizio. Portando queste persone fuori dai penitenziari e nelle comunità, quindi, si risolverebbe il problema del sovraffollamento e si risparmierebbe". Il fenomeno della tossicodipendenza nelle carceri italiane è tornato alla ribalta anche a causa di recenti decessi, a Trento e a Napoli, di due detenuti, i cui casi sono stati denunciati a gran voce dai familiari. Vi è infine la questione delle tante patologie cliniche diffuse nelle carceri, come evidenziato dal presidente della Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria), Roberto Monarca: "Il carcere è un concentratore di patologie perché raccoglie e mette insieme popolazioni che arrivano da zone a elevato rischio di patologie infettive, con altri soggetti sani. Ci sono situazioni cliniche che non sono compatibili con il regime di detenzione, come ad esempio la dialisi, le patologie oncologiche, i trapiantati, ma anche i disturbi alimentari. E il magistrato, dopo aver visionato la valutazione del medico, decide in base alla pericolosità del soggetto le possibili alternative: arresti domiciliari, reparti ospedalieri detentivi o il ricovero in centri specializzati". Il Ministro Annamaria Cancellieri, che ha definito l'amnistia un "imperativo categorico morale", sta introducendo i primi cambiamenti: entro aprile l'80% dei detenuti potrà trascorrere otto ore fuori dalla cella, ha annunciato in un recente convegno sul sistema carcerario a Milano. Il ministro ha evidenziato che i detenuti devono essere messi in condizione di lavorare e svolgere attività sportive e culturali per sviluppare un percorso di rieducazione che consenta loro di "uscire dal carcere migliori di come sono entrati". Nel corso dell'intervento, il ministro ha auspicato l'istituzione di un "garante nazionale dei detenuti" e la creazione di "sportelli legali" all'interno delle carceri, sportelli attualmente presenti solo a Roma, Firenze e Milano. Giustizia: Napolitano, la sinistra e il dramma-carceri di Giuseppe Berretta (Sottosegretario alla Giustizia) L'Unità, 25 novembre 2013 Luigi Manconi ha posto più volte, a mio avviso in modo del tutto condivisibile, il tema del rapporto tra garanzie per imputati e detenuti e sinistra moderna e progressista il pianeta carceri e le sue emergenze non devono continuare ad essere un non-luogo rimosso, insieme ai suoi attori, detenuti e personale dell'amministrazione. Si tratta di un tema scomodo da cui normalmente la politica rifugge, prestando più attenzione al sondaggio quotidiano, assecondando il senso comune, anziché affrontare con coerenza e determinazione i problemi del Paese. Il ventennio della destra berlusconiana ci consegna una giustizia in grande affanno, anche a causa di scelte di politica giudiziaria inaccettabili volte da una parte, a tutelare a dismisura i cosiddetti colletti bianchi, ostacolando l'opera dei magistrati, e dall'altra, a perseguire con grande determinazione gli imputati appartenenti alle categorie sociali più deboli, introducendo illogici automatismi collegati alla recidiva. Di tale politica, la cosiddetta ex "legge Cirielli" può rappresentare una sorta di norma manifesto. La reazione della sinistra è stata inadeguata, con il rischio di una mutazione genetica che porti a rinnegare il garantismo, nato nel campo progressista, consegnandolo ad un avversario che ne ha fatto un distorto. La lotta ingaggiata dalla sinistra infatti, sul tema dell'impunità dei potenti, il contrasto alle illegittime leggi ad personam, ha offuscato il tema della difesa e delle garanzie per i più deboli. La composizione della popolazione carceraria ci consegna una nitida fotografia di quanto accaduto. Il numero degli immigrati e dei tossicodipendenti reclusi è cresciuto anche grazie a provvedimenti spot della destra, sugli stupefacenti, sull'immigrazione. Il combinato disposto tra finto garantismo e cultura securitaria della destra, facendo leva sulla paura, ha illuso gli italiani, inducendoli a ritenere che alcune questioni sociali potessero essere affrontate, o per meglio dire rimosse, attraverso l'inasprimento delle pene, la carcerizzazione. Il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla questione carceraria non ha avuto l'accoglienza dovuta e infatti alla scontata e scomposta reazione da parta della destra populista, non ha fatto da contraltare un pieno sostegno della sinistra. Segno della mutazione a cui ho accennato. Dovremmo rimettere al centro del nostro dibattito il tema delle garanzie, della funzione rieducativa della pena, di una giustizia penale che non può essere ulteriore elemento di disparità sociale in un Paese che di disuguaglianze ne vive già troppe. Ha ragione Luigi Manconi quando afferma che la pretesa battaglia egualitaria contro i privilegi di Giulia Ligresti, nasconde un pulsione diversa, cioè l'idea di un livellamento verso l'azzeramento delle garanzie e dei diritti. Relativamente ai casi di Vito Manciaracina, Brian Gaetano Bottigliero, Vincenzo di Sarno, così come peraltro ho già fatto in molte altre occasioni, garantisco un mio immediato impegno ad attivarmi. Concludo dicendo che il messaggio del Presidente impone di aprire una seria riflessione sul tema delle pene e delle garanzie, per avviare tempestivamente quella stagione di riforme necessarie per rispondere agli obblighi derivanti dalle pronunce della Cedu (la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo), ma ancor di più per ripristinare una condizione carceraria coerente con i precetti costituzionali e la tradizione civile e giuridica dell'Italia. Credo che questo servirebbe alla Sinistra, al Partito democratico, ma ancor di più all'Italia. Giustizia: direttori delle carceri convocati da Mauro Palma per piano riforme Ansa, 25 novembre 2013 Per approfondire il piano d'azione messo a punto dal Ministero della Giustizia per il superamento dell'emergenza carceraria, in linea con le indicazioni della Corte Europea, Mauro Palma, responsabile della commissione di studio in materia penitenziaria del ministero, ha convocato per lunedì il sindacato dei direttori penitenziari Sidipe. Il sindacato "rivendica il ruolo della dirigenza penitenziaria nel processo di revisione del sistema delle carceri" e sottolinea come "un'eventuale spending review del comparto preoccupa e sconcerta". "La situazione delle carceri è drammatica - spiega il Sidipe - ed una riduzione dei già pochi dirigenti penitenziari si pone in contraddizione non solo con le univoche e continue dichiarazioni politiche di attenzione per il problema carceri ma anche con le necessità obiettive che discendono sia dall'apertura di nuove carceri e di nuovi padiglioni detentivi sia dai progetti di riforma destinati ad aumentare il ricorso alle misure alternative". Giustizia: l'alt di Napolitano al Cavaliere "Non ci sono condizioni" per la grazia di Marzio Breda Corriere della Sera "Non ci sono le condizioni, giudizi gravissimi privi di misura in contenuti e toni" Dal Quirinale appello perché la protesta non esca dalla legalità. Fi: sbigottiti. Un "omicidio politico", addirittura un "colpo di Stato", il voto di Palazzo Madama sulla decadenza di Berlusconi? Una chiamata alla "piazza" fondata proprio su queste parole d'ordine per contrastare quel passaggio ormai fatale? Una "vergogna" l'applicazione della pena inflitta con una sentenza, che è "un'ignominia" in sé, dalla Cassazione? "Un'umiliazione ridicola e inaccettabile" la pretesa che il condannato debba chiedere la grazia anziché vedersela attribuita motu proprio dal Quirinale? Giorgio Napolitano ha atteso 24 ore prima di replicare alla sfida istituzionale del Cavaliere, studiata per anticipare con uno strappo rumorosissimo l'addio di Forza Italia dalla maggioranza di governo. Ha voluto verificare le reazioni dei partiti, il presidente. Poi, ha fatto conoscere la sua, di reazione. Durissima. Nella quale definisce "di estrema gravità", perché "privi di ogni misura nei contenuti e nei toni", i "giudizi e propositi" espressi dall'ex premier. E gela l'ipotesi di un provvedimento unilaterale di clemenza (pronunciata con la foga intimidatoria di un diktat), spiegando che "non si sono create via via le condizioni" per un suo "eventuale intervento" sulla base di quanto prevedono "la Costituzione, le leggi e i precedenti". Vale a dire che, giusto per fare un paio di esempi, Berlusconi non ha deliberatamente accettato il verdetto della Suprema corte, né ha mostrato rispetto per la magistratura. Due delle precondizioni - assieme alla domanda dell'interessato - indicate dal comunicato quirinalizio del 13 agosto per rendere praticabile l'esame per la concessione della grazia. Anzi: "Nulla è risultato più lontano del discorso tenuto sabato dal senatore Berlusconi dalle indicazioni e dagli intenti che in quella dichiarazione erano stati formulati" e ai quali Napolitano rammenta d'essersi sempre tenuto fermo, "con coerenza". Ecco l'esito dell'ultimo capitolo del tormentone della grazia (cominciato, anche se pochi lo ricordano, già prima del verdetto di condanna definitiva) degenerato ormai in una specie di incubo. Per il Quirinale e per mezz'Italia. Una rincorsa di attacchi e minacce per la quale il capo dello Stato sente il bisogno di lanciare un "pacato appello a non dar luogo a comportamenti di protesta che fuoriescano dai limiti del rispetto delle istituzioni e di una normale, doverosa legalità". Allarme eccessivo? Timori infondati? Sospetti malposti? Non troppo, dal punto di vista di Napolitano, e non solo dal suo. Infatti, convocare una manifestazione non contro una presunta ingiustizia, contestabile, ma contro un "colpo di Stato", rischia di sfociare in esiti imprevedibili. Se le cose stessero davvero in questo modo, in che democrazia saremmo? Non a caso, se si considerano gli slogan incendiari echeggiati alla convention della neonata Forza Italia (per molti, Partito democratico in testa, sconfinati nell'eversione vera e propria) non è marginale il pericolo che in questo modo si produca un effetto moltiplicatore delle tensioni che già da tempo percorrono il Paese. Uno scontro da evitare, insomma. Un richiamo alla responsabilità, anche emotiva. È così che va letta la nota informale diramata dall'ufficio stampa del Colle, in cui sono riassunte le preoccupazioni del presidente della Repubblica. Così, non certo alla stregua di una messa in mora preventiva alla libertà di manifestare. Nessuna mordacchia, quindi, anche se le truppe berlusconiane interpretano la nota del Quirinale esattamente in questo modo, con l'umore di chi si sente criminalizzato. Da Gasparri, che si dice "sbigottito", a Brunetta, che qualifica Napolitano come un "uomo di parte", è tutto un fiorire di repliche affilate. Renata Polverini individua una "singolare sintonia tra il capo dello Stato e Angelino Alfano", Fitto ricorda gli articoli 17 e 21 della Costituzione sulla "libertà d'espressione", Bondi riparla di "colpo di Stato" e di "grave ingiustizia" non sanata. Dal centrosinistra, all'opposto, si levano scudi di difesa del presidente, di "condivisione e sostegno" (Colaninno) per le sue "parole sacrosante" (Speranza) e un "comportamento ineccepibile" (Finocchiaro). Lazio: Fns-Cisl, cambiamenti organizzativi nelle carceri, serve confronto con Sindacati www.castellinews.it, 25 novembre 2013 Tra questi l'apertura domenicale dei reparti colloqui per una volta al mese. "Queste le novità che si prospettano nelle carceri del Lazio e non solo dove "gli istituti dovranno assicurare 1) l'apertura domenicale dei reparti colloqui per una volta al mese; 2) il prolungamento dell'orario di apertura del medesimo nelle ore pomeridiane per un minimo di due volte al mese; 3) profondi cambiamenti organizzativi e gestionali". La recente emanazione del Programma Territoriale Unitario - scrive il Segretario regionale della Cisl Federazione Nazionale Sicurezza Massimo Costantino - per gli anni 2013/2014 da parte del Provveditorato regionale per il Lazio, ha posto la necessità per tutti gli istituti che insistono sul territorio regionale di operare profondi cambiamenti organizzativi e gestionali, al fine di consentire l'indispensabile adeguamento del nostro sistema penitenziario alle regole dettate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Per la Fns Cisl Lazio, ovvio, che detti cambiamenti possono avvenire solo mediante confronto con i sindacati e non certo d'ufficio, poiché vanno condivise tra le parti, previsto tra l'altro dall'Aqn e leggi vigenti, trattandosi di materia afferente l'organizzazione del lavoro". Benevento: detenuto impiccato, la famiglia avanza dubbi sul suicidio Il Mattino, 25 novembre 2013 I familiari di Mario Iacca, di 27 anni, il detenuto tarantino trovato morto due giorni fa in una cella del carcere di Benevento, hanno chiesto alla Procura campana "di svolgere tutti gli accertamenti necessari per chiarire le cause del decesso". Secondo gli inquirenti il detenuto, con precedenti per reati contro il patrimonio, si sarebbe impiccato con le lenzuola del letto. Ma le cause, spiega l’avvocato Nicola Ciaccia del foro di Taranto, che segue gli sviluppi dell’indagine per conto della famiglia Iacca, "dovranno ricercarsi anche al di fuori dell’ipotesi del suicidio. Si ritiene improbabile, infatti, che un soggetto che aveva un fine pena di pochissimi mesi a fronte di un’ininterrotta carcerazione che durava da qualche anno, potesse portare a termine un gesto così estremo senza un motivo apparente". Intanto, sabato, Antigone, associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema penale", ha annunciato, tramite il presidente regionale Mario Barone e il presidente onorario regionale e componente l’Osservatorio nazionale Dario Stefano Dell’Aquila, che approfondirà quanto accaduto venerdì "senza ovviamente interferire nelle indagini della magistratura". "Non conosciamo ancora le dinamiche di quanto è accaduto - dice Dell’Aquila - ma approfondiremo la vicenda. È il settimo suicidio in carcere in Campania, su quarantacinque in Italia, e il primo a Benevento dall’inizio dell’anno. Per questi suicidi non c’è una responsabilità delle singole persone ma del sistema penitenziario che è al collasso. Il carcere di Benevento, ben diretto e dove si punta molto sulla funzione rieducativa, è tra quelli che in Campania presenta minori criticità rispetto agli altri, fermo restando il problema del sovraffollamento. A giugno risultavano oltre quattrocento detenuti rispetto a una capienza prevista per duecentottanta". In sintonia Barone: "Fermo restando che ci sono istituti penitenziari come quello di Benevento ben diretti - dice - rimane il problema di fondo di un sistema penitenziario al collasso al cui interno registriamo il dilatarsi del fenomeno delle morti legate ai suicidi o alla mancata tutela del diritto di tutela della salute". Busto Arsizio: il carcere sopra la soglia dei 400 detenuti di Rosella Formenti Il Giorno, 25 novembre 2013 Colpa dell'ampliamento del Tribunale e degli ultimi arresti. Il sovraffollamento aveva costretto ad una condanna della Corte Europea per "trattamento inumano". Di nuovo superata la soglia dei 400 detenuti nella casa circondariale di Busto Arsizio. "In questo momento - dice il direttore Orazio Sorrentini - sono 415. Eravamo scesi a 385, ma nei giorni scorsi il numero è aumentato. Effetto dell'ampliamento del Tribunale di Busto Arsizio che con la riforma ha accorpato altre sedi, ampliando l'area di competenza, tra cui quella di Rho, territorio da cui sono arrivati una parte degli arresti che hanno incrementato il numero degli ospiti nella struttura bustese". Il carcere in via per Cassano è tra le realtà nelle quali si vive il disagio provocato dal sovraffollamento, una situazione che all'inizio dell'anno ha visto l'Italia condannata per "trattamento inumano" dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, a cui si erano rivolti 7 detenuti delle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Nei mesi scorsi la popolazione carceraria in via per Cassano era diminuita, scendendo al di sotto della soglia dei 400 (da ricordare che il carcere bustese era stato costruito con una capienza di 167 posti, ndr.), ma con l'avvio dell'attività del super tribunale subito si era diffusa la preoccupazione per gli effetti sulla struttura dove sarebbero arrivati gli arrestati dalle nuove aree di competenza della giustizia bustese, con un bacino di utenza raddoppiato. Lo conferma quanto è accaduto in questi giorni: gli arresti effettuati nella zona di Rho hanno contribuito a far risalire il numero dei detenuti. La situazione però pare destinata a migliorare nei prossimi mesi, come fa sapere il direttore Sorrentini, "saranno realizzati 100 nuovi posti secondo quanto dichiarato a Milano dal ministro Annamaria Cancellieri . E l'impegno è di avere due detenuti per cella, non più tre". Intanto il carcere resta sovraffollato ma nonostante le difficoltà non mancano esperienze importanti e positive per i detenuti che lavorano nel laboratorio di cioccolateria, un fiore all'occhiello e nel panificio. Ieri il direttore Sorrentini era a Palazzo Cicogna dove fino a domenica prossima è proposta un'importante iniziativa, si tratta del progetto Extrema Ratio con il quale è stata collocata un'installazione che riproduce fedelmente una cella delle carceri italiane, che soffrono di sovraffollamento, da 3 a 6 persone in otto metri quadrati. I visitatori possono avvicinarsi alla realtà carceraria e ai suoi problemi. Le persone che ieri hanno provato per pochi minuti quella cella ricostruita, una volta "tornati in libertà" hanno parlato di esperienza angosciante ma utile per capire la realtà quotidiana che si vive dietro le sbarre. Nuoro: la Colonia penale di Mamone isolata per maltempo, odissea per gli agenti di Luciano Piras La Nuova Sardegna, 25 novembre 2013 Ponti spazzati via, manto d'asfalto divorato. Condotta idrica scomparsa: sepolta chissà dove, la vecchia rete di adduzione principale che portava acqua potabile a Lodè. Campagne sconvolte, carcasse di animali ovunque. Su ponte ‘e Gallè sospeso nel vuoto, senza più ringhiere né protezione alcuna. Otto frane lungo una strada di venti chilometri appena. Tanta è la distanza tra Lodè e la Colonia penale di Mamone. Un serpente di curve e controcurve, la provinciale n° 50, che fino a domenica scorsa collegava il paese con la diramazione centrale del carcere. Ma anche con Buddusò e dunque con Sassari. Una strada chiusa, dopo il passaggio del ciclone Cleopatra. Che ha lasciati isolati i quaranta detenuti reclusi della diramazione Santissima Annunziata, a due passi dall'omonimo santuario campestre, a metà percorso circa tra Lodè e Mamone centrale, dove invece sono circa duecento i detenuti. Sono gli agenti di polizia penitenziaria, perciò, i primi a dover fare i miracoli, per raggiungere il posto di lavoro e per assicurare un pasto caldo ai reclusi. Mentre la diramazione S'Alcra è chiusa (come chiusa è da anni la diramazione Fiaccavento), all'Annunziata è necessario arrivarci a piedi, facendo sponda magari, per assicurare i viveri ai reclusi e ai poliziotti in servizio. All'Annunziata, infatti, non esiste un servizio mensa autonomo. Per gli agenti che ogni giorno partono da Lodè verso Mamone, l'odissea si allunga: pur di arrivare in Centrale, devono percorrere la vecchia interpoderale che da Ispichines arriva a Portellitos e poi verso Lula sulla pedemontana del Montalbo, poi ancora verso Bitti e da lì direzione Mamone. Sessanta chilometri di strada girando da est, anziché i venti direttamente sul versante interno. Una situazione grave che difficilmente potrà essere risolta in poco tempo. Impossibile anche soltanto ipotizzare quando potranno riprendere le corse dell'Arst che collegano Lodè e Siniscola a Sassari passando per Mamone. Impossibile sapere quando potranno essere rimosse le frane che hanno cambiato l'orografia del terriotorio. Molti i vuoti sotto il manto stradale della provinciale 50, elevatissimo il pericolo di ulteriori crolli. "Per rifare la condotta di adduzione d'acqua potabile ci vorrà l'Esercito o il Genio civile" dice disperato il sindaco di Lodè Graziano Spanu. Che tra una richiesta d'aiuto e l'altra, ha anche diramato una nota per avvisare la popolazione che "in ordine alle richieste di risarcimento dei danni patiti a seguito dell'alluvione, l'amministrazione comunale sta predisponendo tutta la modulistica per l'avvio della procedura inerente la raccolta, l'esame e la gestione delle pratiche necessarie. Qualsiasi informazione al riguardo verrà pubblicata sul sito internet istituzionale del Comune. Si consiglia, nel frattempo - precisa la nota, di raccogliere tutta la documentazione possibile a supporto delle future richieste di risarcimento danni (fotografie, stima danni, inventario, relazioni e quanto necessario per la valutazione)" Padova: il panettone dei detenuti è diventato internazionale di Felice Paduano Il Mattino di Padova, 25 novembre 2013 Ordinativi per il dolce prodotto dall'Officina Giotto arrivano da mezzo mondo È apprezzato da Napolitano e anche quest'anno c'è il Vaticano tra i clienti vip. Già avviata, al carcere Due Palazzi, la produzione e la commercializzazione dei panettoni dell'Officina Giotto, preparati, sempre con grande professionalità dai detenuti sotto la regia di Nicola Boscoletto. Anche quest'anno, come già nel 2012, saranno sfornati 70.000 panettoni, tra cui quello classico e quello, denominato Kabir, preparato con il moscato passito di Pantelleria, prodotto dall'azienda vitivinicola Donnafugata. Al dettaglio, come ad esempio al Pedrocchi, dove è in vendita già da una settimana, il costo è di 25 euro. Ora è possibile acquistare i prodotti, che escono dal Due Palazzi, anche via internet. E c'è di più. La società che li produce e li confeziona è anche in grado d'inserire nelle scatole-regalo i biglietti personalizzati degli auguri di Natale e di Capodanno. Ancora una volta il tipico dolce di Natale, che sarà regalato anche al presidente del Consiglio Enrico Letta, al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, al collega della Difesa, Dario Mauro e al direttore dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburrino, sarà commercializzato in tutto il mondo. Un ristoratore italiano di Chicago ne ha già ordinate 200 confezioni. Il panettone "made in Padova" finirà anche sulle tavole di un locale nei Caraibi olandesi e di altri ristoranti del Brasile. A tale proposito Nicola Boscoletto ha anticipato che, a fine mese, il laboratorio del carcere sarà visitato da alcuni rappresentanti degli istituti penitenziari di Belo Horizonte, nella regione del Minas Gerais, dove, alcuni mesi fa, si è recata una delegazione della Cooperativa Giotto. In pratica sta per diventare esecutivo il progetto di produrre il panettone dei detenuti di Padova anche in Brasile e, nello specifico, nelle strutture dei cosiddetti Pac. Ossia in alcune carceri all'avanguardia sociali, aperte nel periodo governativo in cui era presidente l'ex sindacalista di sinistra, Lula, dove non ci sono né gli agenti di custodia e né le armi. Boscoletto e i colleghi di lavoro hanno messo in piedi un altro progetto analogo per produrre i dolci di Giotto anche in una struttura carceraria di Chicago. Per il resto, la produzione in carcere da parte dei 25 detenuti-pasticcieri, addetti al laboratorio interno, è diventata ancora più variegata rispetto all'anno scorso. È già in vendita anche un nuovo panettone prodotto direttamente con la birra Antoniana e un altro tipo ancora che è in vendita con otto formati di biscotti diversi ed anche con le famose tazzine firmate da Alessi e dalla torrefazione Marchi, di Venezia. Anche quest'anno, infine, papa Francesco, come già fatto in passato Benedetto XVI, dovrebbe ordinare parecchi panettoni da regalare ad altre autorità. "L'anno scorso Papa Benedetto XVI ne fece acquistare dal suo Economato 232", spiega Boscoletto, "furono regalati tutti ai suoi amici più vicini e anche ai rappresentanti delle istituzioni più importanti. Ad esempio, come mi ha detto lo stesso Napolitano nella recente visita, che anche noi dell'Officina Giotto abbiamo effettuato al Quirinale, il panettone padovano finì sulla tavola del presidente della Repubblica proprio nel giorno di Natale. L'ordinativo da parte del Papa per la fornitura 2013 ci dovrebbe arrivare la settimana prossima. Lo attendiamo con ansia. Papa Francesco sta già facendo tanto per i carcerati. Dal giorno della sua investitura sino ad oggi, i detenuti sono sempre nel suo cuore. Naturalmente, ci farebbe molto piacere che alcuni nostri dolci natalizi fossero destinati al Vaticano. Anche per dimostrare sul campo quel grande e costruttivo filo spirituale che lega la nostra cooperativa con tutte le istituzioni, cattoliche e non, che sono sempre in prima linea nella difesa dei deboli e, innanzitutto, delle persone che hanno sbagliato una volta, ma hanno anche tanta voglia di redimersi e di trovare un reinserimento nella società quando sarà restituita loro la libertà". Cosenza: criticità nella Casa Circondariale di Paola, interrogazione M5S Gazzetta del Sud, 25 novembre 2013 I parlamentari grillini hanno presentato una interrogazione al Ministro della Giustizia sulle criticità dell'istituto penitenziario. I deputati hanno raccolto le denunce di Emilio Quintieri, il candidato radicale alle scorse politiche arrestato alla vigilia del voto. Le precarie condizioni delle carceri calabresi e nello specifico della struttura di Paola al centro di un interrogazione parlamentare presentata da 12 deputati del Movimento 5 Stelle che hanno raccolto la denuncia di Emilio Quintieri, l'ecologista radicale, arrestato nel febbraio scorso, nell'ambito di una operazione antidroga sul tirreno cosentino, alla vigilia delle elezioni politiche nelle quali Quintieri era candidato a Montecitorio con la Lista "Amnistia, Giustizia e Libertà" di Marco Pannella ed Emma Bonino. Quintieri che è rimasto recluso nel carcere di Paola per sei mesi ora è ai domiciliari, ha più volte denunciato le ‘violazioni' ai diritti dei detenuti che sostanziano l'interrogazione parlamentare. Sovraffollamento: su 161 posti disponibili i detenuti sono 300; è completamente assente qualsivoglia attività trattamentale, sia per gli imputati che per i condannati, poiché la biblioteca, con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità, sono chiuse e non funzionanti; nonostante sia esistente una lavanderia, non è data la possibilità ai detenuti di usufruirne e tantomeno esiste una convenzione con una ditta esterna che garantisca ai detenuti, come previsto dalle norme vigenti, di poter lavare gli indumenti personali, con grave disagio, particolarmente per coloro che non hanno la possibilità di effettuare i colloqui familiari. I detenuti sono allocati in delle celle piccolissime, alcune sfornite addirittura di un pavimento decoroso, e costretti a rimanerci per ben 20 ore al giorno su 24. In molti casi, nella stessa cella, sono reclusi detenuti che scontano una condanna definitiva e detenuti in attesa di giudizio, senza che sia assicurata la separazione del condannati dagli imputati e non esistono neanche delle celle riservate ad ospitare detenuti non fumatori. Particolarmente disagiata sarebbe, anche, la condizione dei detenuti stranieri: non esistono mediatori culturali, non vengono concessi sussidi agli indigenti, non vengono accordati colloqui telefonici sulle utenze mobili a coloro che non hanno utenze fisse e molti di questi detenuti non conoscerebbero nemmeno la loro posizione processuale, in considerazione delle oggettive difficoltà linguistiche. Diversi detenuti stranieri avrebbero chiesto al Magistrato di Sorveglianza di ottenere l'espulsione come misura alternativa alla detenzione avendo da espiare una pena residua non superiore a due anni ma, a tali istanze, non sarebbe stata fornita alcuna risposta. Treviso: botte e umiliazioni in cella all'Ipm, l'aguzzino va a processo di Sabrina Tomè La Tribuna di Treviso, 25 novembre 2013 Costretto a stare per ore immobile e seminudo, con le braccia legate e gli slip abbassati e con il compagno di cella che lo picchiava e mordeva, umilandolo davanti ad altre persone. È accaduto a un giovane detenuto nel carcere minorile di Treviso: il caso è finito davanti al tribunale di Treviso, dove venerdì mattina si è tenuta la prima udienza a carico del presunto aguzzino. I fatti contestati risalgono al febbraio dello scorso anno quando la violenza è stata scoperta e nei confronti di Matteo Olivieri, 21 anni, originario di Padova, con precedenti per furti e rapine, è scattata la denuncia per violenza privata e lesioni. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, il detenuto avrebbe sottoposto il compagno di cella a una serie di angherie, psicologiche e fisiche. Vessazioni ripetute nel tempo, un vero e proprio bullismo dietro le sbarre. Il fatto più grave è però quello avvenuto il 9 febbraio, tre giorni prima che Olivieri lasciasse il carcere per fine pena. Il giovane avrebbe bloccato le braccia del compagno di cella legandogliele con le lenzuola e gli avrebbe abbassato pantaloni e mutande costringendolo a stare immobile. Ma non basta: Olivieri a questo punto si sarebbe scagliato contro il detenuto: avrebbe cominciato a morderlo alle braccia e lo avrebbe colpito con pugni e con schiaffi al volto e alla testa. Il tutto si sarebbe consumato sotto gli occhi degli altri due detenuti che occupavano la stanza 5 dell'istituto minorile e che non sarebbero intervenuti in alcun modo per fermare la brutale aggressione. Le urla della vittima hanno fatto accorrere le guardie che, arrivate nella cella, hanno trovato il giovane legato e seminudo. "È stato solo un gioco", ha spiegato Olivieri agli agenti di polizia penitenziaria. Certo è che l'aggressione è stata violenta al punto da costringere il giovane a rivolgersi alle cure del pronto soccorso, i cui medici hanno diagnosticato una prognosi di cinque giorni. L'accaduto ha fatto scattare l'inchiesta della Procura di Treviso e venerdì mattina si è aperto il processo a carico di Olivieri, difeso dall'avvocato Daniele Panico. In aula sono sfilati la vittima, un compagno di cella - l'altro ha detto di non aver sentito nulla perché stava dormendo - e l'agente di polizia penitenziaria che ha raccontato la scena a cui si è trovato di fronte al momento dell'intervento. La ricostruzione fatta dai diversi testimoni, però, presenta molte discordanze. Il processo è stato rinviato. Pescara: promozione della salute orale negli Istituti Penitenziari Il Centro, 25 novembre 2013 Il 27 novembre prossimo il primo appuntamento finalizzato alla prevenzione delle patologie del cavo orale. I dentisti volontari dell'Andi illustreranno ai detenuti come prendersi cura dei propri denti e delle gengive. Il vicesindaco di Pescara Berardino Fiorilli, nel corso della conferenza stampa convocata ieri per ufficializzare l'avvio della campagna di Promozione della Salute orale nelle carceri, alla presenza degli esponenti dell'Andi, del Garante dei Detenuti Fabio Nieddu, del dottor Valerio Cortesi della Asl di Pescara e del Direttore del Carcere Franco Pettinelli, ha reso noto che nell'Istituto Penitenziario di Pescara prenderà il via tale campagna di prevenzione. Il primo appuntamento è previsto il 27 novembre, il secondo il 3 dicembre: i medici aderenti alla Fondazione Andi, Associazione Nazionale Dentisti Italiani, incontreranno i detenuti della struttura del San Donato, 350 unità in tutto, per insegnare la maniera corretta per prendersi cura dei propri denti e delle gengive, al fine di prevenire patologie anche invalidanti, e quindi con la distribuzione di spazzolini, fili interdentali e dentifrici, e di un opuscolo informativo completo da tenere sempre a portata di mano. "Si tratta solo dell'ennesima iniziativa che abbiamo assunto nella nostra Casa circondariale ai fini di una giusta prevenzione sanitaria, perché anche i detenuti devono poter esercitare il proprio diritto alla salute. Obiettivo della campagna di prevenzione - ha sottolineato l'assessore Fiorilli - è quello di aiutare il detenuto a prendersi cura di se stesso anche durante il periodo di reclusione, aiutandolo a rendere meno gravoso il periodo di perdita della propria libertà, rendendo dunque il carcere, se possibile, meno duro da tollerare". "Il progetto - ha spiegato il Presidente Andi Antonio Tafuri - è frutto di un Protocollo d'intesa ed è stato già realizzato in Lazio, Sicilia e Piemonte, grazie alla disponibilità dei dentisti volontari dell'Andi. Il progetto prevede una serie di incontri periodici per sensibilizzare una parte dei detenuti sulla salute e sulla prevenzione delle patologie del cavo orale, iniziativa nella quale coinvolgeremo anche il personale di vigilanza e i funzionari dell'amministrazione penitenziaria. Gli odontoiatri di Pescara illustreranno ai 350 detenuti ospiti nel carcere di Pescara l'importanza di una corretta igiene orale, al fine di prevenire eventuali malattie e soprattutto la trasmissione di virus e batteri, particolarmente accentuati in realtà come quelle del carcere. I primi due incontri si svolgeranno il 27 novembre e poi di nuovo il 3 dicembre, dalle 9.30 alle 11.30, con la distribuzione anche di opuscoli e di kit contenenti gli strumenti essenziali per una corretta igiene orale". "Il detenuto è un cittadino - ha ricordato il Direttore Pettinelli - ed è giusto insegnargli a fare prevenzione, perché fra i nostri ospiti il problema odontoiatrico è sicuramente uno dei più importanti". "Abbiamo aderito con entusiasmo al progetto perché la gestione della salute nel carcere è una delle esigenze prioritarie della nostra Asl - ha detto il dottor Cortesi, tanto che intendiamo portare avanti un discorso importante che riguarda la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Oggi abbiamo già potenziato la nostra presenza medica, con un servizio ventiquattro ore su ventiquattro, ora vogliamo incrementare l'aspetto diagnostico e a breve arriverà anche un nuovo ecografo e un impianto di radiologia con il sistema della refertazione a distanza. Attualmente all'interno del carcere vengono già garantite 10 ore di specialistica odontoiatrica alle quali si aggiungeranno le iniziative dell'Andi". Porto Azzurro (Li): degrado nella chiesa del carcere, ex agente chiede aiuto al Papa di Luigi Cignoni Il Tirreno, 25 novembre 2013 Scrive al Papa per impedire che la chiesa all'interno della cittadella carceraria di Forte San Giacomo cada a pezzi. L'iniziativa è partita da Mario Palazzo, vice commissario del corpo di polizia penitenziaria in congedo e comandante del reparto della casa di reclusione di Porto Azzurro dal 1987 al 2003. "Mi sono rivolto al Santo padre - dice - come uomo di fede perché, grazie al suo intervento, vengano attivate le procedure necessarie per una ristrutturazione importante del vetusto edificio, oggi nel più completo abbandono. Mi auguro che il Papa, almeno lui, possa rendere la chiesa funzionale ed accessibile ai condannati ospiti dell'istituto, agli operatori e agli stessi abitanti come era nell'ultimo ventennio". Mario Palazzo rifà la storia del complesso sulla sommità del promontorio che sovrasta il porto di Porto Azzurro. Prima fortezza spagnola, poi, avvenuta l'unificazione dell'Italia, sede carceraria secondo la filosofia del tempo che voleva i reclusi lontani dalla società, in luoghi appartati e possibilmente non raggiungibili con facilità come possono essere le isole. "Il forte - scrive Palazzo - fu edificato in pochissimi anni agli inizi del Seicento e la chiesa di cui si parla fu eretta nel 1656, in perfetto stile barocco. Una ristrutturazione importante avvenne solo nel 1720, circa due secoli fa. Nel 1890 - continua l'ex comandante - la fortezza venne trasformata in carcere; allora il sindaco di quel periodo di Porto Longone (all'epoca il paese si chiamava così ndr) Domenico D'Apollo chiese e ottenne che ogni anno, il 25 luglio ricorrenza del patrono San Giacomo, i residenti potevano assistere alla celebrazione della messa all'interno delle sbarre. Negli anni questa bellissima tradizione è venuta meno. Negli anni Ottanta fu permesso ai condannati di andare nei giorni festivi in chiesa, confessarsi e fare le comunione insieme agli abitanti della cittadella e ai volontari assistenti". Nel 2004 tale concessione fu vietata e nel 2006 furono sospese le funzioni perché la struttura fu dichiarata pericolante. "Si può fare qualcosa - aggiunge ancora Palazzo - per renderla nuovamente fruibile e frequentabile ai cristiani e non solo a loro, ma anche ai turisti dato che il punto dove si trova la chiesa non incide sulla sicurezza in quanto è al di fuori dal luogo adibito alla detenzione. Come possono essere visitabili anche gli ex laboratori oggi in disuso. Oggi i detenuti sono costretti a vivere in pessime condizioni - conclude l'ex comandante della polizia penitenziaria - Non priviamoli adesso pure di una chiesa dove recarsi a pregare per ricevere conforto". Milano: "Siddhartha The Musical", dal carcere ai principali teatri italiani di Sebastiano Di Mauro ww.duerighe.com, 25 novembre 2013 "Siddhartha The Musical" si è appena concluso agli Arcimboldi di Milano e si appresta a raggiungere le altre tappe del tour italiano, prima di intraprendere il più impegnativo tour asiatico e americano, ma essendo stato riconosciuto, da più parti, Opera Musicale capace della creazione e diffusione di valori tra gli uomini, sarà messo in scena nel Teatro interno al Carcere di Massima sicurezza di Milano Opera, dove Isabella Biffi, autrice dei testi teatrali ispirati al capolavoro letterario di Hermann Hesse", collabora fin dal 2006. La scrittrice/regista Isabella Biffi, più nota col nome IsaBeau, in quegli anni è stata incaricata di realizzare un progetto artistico sperimentale con i detenuti della sezione Alta Sicurezza, che ospita i detenuti più pericolosi con condanne detentive lunghe o addirittura a vita, ma che grazie a progetti come questi o altri realizzati dall'Associazione Cisproject, con i suoi laboratori di scrittura e lettura creativa - Libera_Mente - curati dalla psicoterapeuta Barbara Rossi e coadiuvata da Silvana Cerruti (quest'ultima insignita dell'Ambrogino d'oro lo scorso anno), diversi uomini-detenuti riescono ad abbattere le barriere ed evadere dalla ferrea struttura detentiva, per raggiungere traguardi culturali, di cui loro stessi per prima si stupiscono. Attraverso queste esperienze, coloro che hanno partecipato a questi progetti sono riusciti a rielaborare la loro vita, i loro errori e sono pronti per affrontare con pensieri nuovi la società, come qualcuno ha già fatto arrivando a fine pena o in regime di semi-libertà. E stato con queste convinzioni, che IsabBeau, ha accettato la sfida e ha aperto un Laboratorio di Musical, selezionando 20 detenuti indicati dalla Direzione del Carcere. In quattro anni di duro lavoro IsaBeau ha realizzato 3 Musicals di "valore umano" che hanno riscosso un successo straordinario. Poi nell'estate del 2011 Isabeau scrive un nuovo spettacolo da proporre al carcere, un musical tratto dal libro di Herman Hesse:"Siddharta". Un musical speciale basato su concetti di"amore universale", di "vera essenza della vita", di "ricerca della felicita"…rappresentato dagli stessi detenuti del carcere di massima sicurezza! Quando i detenuti sentono le musiche e i testi rimangono sorpresi dalla loro bellezza e convincono Isabeau che è giunto il momento, dopo 7 anni di attività carceraria, di proporre la sua sceneggiatura non solo in carcere, ma anche all'esterno con una compagnia teatrale di soli professionisti. È stato così che Isa, con il supporto di alcuni amici parte nella sua nuova avventura creando una produzione di musical chiamata "E.d.v". "Siddhartha The Musical" con i professionisti parte per il tour del 2013 e riscuote enorme consenso di pubblico e critica, fino ad arrivare, a settembre 2013, alla sottoscrizione di un contratto di distribuzione internazionale che, da Gennaio 2014, porterà il Musical Siddhartha in tutto il mondo, passando per alcuni teatri italiani con debutto il 21 novembre. Siddhartha the Musical, dunque ora, come segno di gratitudine e se vogliamo anche un po' per scaramanzia, ritorna in scena all'interno dell'istituto penitenziario dove è nato e debutterà il 27, con repliche il 29 e 30 Novembre 2013. Lo spettacolo sarà aperto al pubblico esterno, che però dovrà prenotare attraverso una procedura stabilita dalla Direzione del Carcere, trattandosi comunque non di un comune teatro, ma di un accogliente e capiente sala, posta all'interno di un istituto di pena che ha le sue regole. Per questo motivo un doveroso e sentito ringraziamento va al mondo dell'Amministrazione Penitenziaria e degli Agenti di Polizia Penitenziaria,che rompendo gli schemi e pregiudizi atavici, avvalendosi di leggi e regolamenti, che agevolano questi progetti, hanno dato la loro disponibilità in questi anni, impegnandosi oltre la loro figura professionale, riuscende a dare il giusto sostegno al Laboratorio del Musical di IsaBeau con i detenuti, che ha raggiunto molteplici obiettivi, primo tra tutti, come detto, il cambiamento e la trasformazione positiva di molti dei partecipanti. Coloro che intendono partecipare e prenotare il loro boglietto, devono accedere al sito da questo link http://www.eventidivalore.it/ e seguire le istruzioni. Teramo: teatro in carcere con "Le Eumenidi" di Eschilo, attori i detenuti da Direzione Casa Circondariale Ristretti Orizzonti, 25 novembre 2013 La direzione della Casa Circondariale di Teramo ha in animo di coinvolgere, in qualità di attori, undici detenuti del circuito Media Sicurezza - Comuni nello spettacolo che sarà messo in scena in data 26 novembre 2013 nel teatro dell'Istituto di pena. Previsto il contributo degli studenti del Liceo classico Delfico di Teramo. L'idea prende le prime mosse dal progetto Dì Ke Giustizia sei! elaborato da alcuni docenti del Liceo classico della Comunicazione Delfico con l'intento di avviare i ragazzi ad una riflessione articolata sul cammino dei diritti e sul significato profondo della Giustizia, intesa come acquisizione irrinunciabile delle moderne democrazie. La lettura, l'analisi e la rappresentazione della tragedia "Le Eumenidi" di Eschilo insieme ai detenuti e per i detenuti rappresenta il fulcro del progetto. Con "Le Eumenidi" nasce nella Grecia antica il Tribunale come luogo in cui dimora la giustizia e vi è il superamento della vendetta (ossia la legge del taglione) come forma arcaica di risoluzione delle controversie. Dike in greco antico vuol dire "giustizia", ma anche "processo": si tratta di un percorso di studio del mondo della giustizia italiana in cui gli studenti possono entrare in contatto con le figure di riferimento, nell'ambito sia della magistratura sia delle realtà detentive. Seminari di studio, incontri sul tema e l'allestimento dello spettacolo teatrale ne sono i momenti salienti. La realizzazione è andata ben oltre l'idea originaria, come spesso e per fortuna succede, e 19 studenti adesso recitano a fianco di 11 detenuti, cimentandosi in un testo molto complesso, ma che tutti sono riusciti a fare proprio grazie alla recitazione: è un testo significativo, per i ragazzi e per i detenuti, selezionato in considerazione della peculiarità del progetto. Si parla di un processo a seguito di un omicidio, delle motivazioni e della lacerazione di chi ha compiuto il gesto, del peso e della responsabilità del giudicare: si porta sulla scena il dramma esistenziale di un uomo, ma anche le riflessioni su come la società debba reagire al reato e al colpevole, e c'è l'importanza del tribunale, come riflessione razionale sul crimine. Il linguaggio del teatro attua il miracolo di rendere vivo, per la durata della rappresentazione, ciò che in realtà è fiction, pura invenzione; e l'attore è in quel momento il personaggio, è altro da sé. Evidente è quindi l'importanza di questa esperienza per i protagonisti, studenti e detenuti: ai primi consente di capire le tematiche delle società antiche e la loro attualità molto più di quanto potrebbero con i libri di testo, ai secondi di riempire un tempo potenzialmente vuoto, di conoscere un testo classico che difficilmente arriva a chi non frequenti un liceo classico, di mettere in gioco se stessi. Chissà se interpretare una parte (e su questi temi, poi!) non aiuti anche a guardare la vita dal punto di vista dell'altro, nell'antica e sempre attuale interazione colpa/pena! E in fondo "saper adottare il punto di vista dell'altro" è il fondamento della dimensione umana del vivere e quindi costituisce momento centrale in un percorso riabilitativo. Inoltre, per gli studenti e i detenuti è impagabile l'esperienza di trovarsi spalla a spalla, parte di un medesimo progetto e coinvolti in vista di un risultato comune: questo crea legami tra le persone o comunque innesca la percezione che il proprio contributo è essenziale per il successo del gruppo: i detenuti si sentono meno soli e più parte della società; i ragazzi del Delfico sono cresciuti, toccati da un'esperienza così importante: punto di partenza per riflettere, conoscere una realtà così distante, abbandonare la divisione netta bianco/nero nel giudicare gli eventi e cominciare a cogliere la problematicità del vivere e il senso della detenzione. Il progetto comprende una serie di iniziative e di esperienze da sviluppare nelle ultime classi del Liceo classico della Comunicazione Delfico di concerto con la Direzione scrivente. Il coinvolgimento dei detenuti è previsto in due momenti: - 26.11.13 / n. 11 detenuti metteranno in scena insieme a 18 studenti l'Eumenidi, spettacolo destinato ai detenuti comuni; - 19.11.13 sono state effettuate le riprese per la realizzazione di un audiovisivo della durata complessiva di 2/3 minuti per il progetto "Eumenidi 2.0: the making off", documentario/reportage del dietro le quinte, ha visto coinvolti i ragazzi della classe 1A del "Delfico" in qualità di cameraman sotto la guida del regista Paolo Sorgi e i detenuti recitanti della Casa Circondariale. Lo scopo del reportage è lasciare traccia documentaria del percorso, fatto di prove, di suoni, di umori, che gli attori del Liceo e del carcere hanno affrontato per arrivare alla rappresentazione del 26 novembre. Al fine di garantire una corretta visibilità e autentica conoscenza di tale evento, per rendere edotti i cittadini delle attività svolte in carcere e delle finalità di trattamento che si stanno perseguendo nello spirito dei valori costituzionali si vuole pubblicizzarlo: invitando allo spettacolo la magistratura di Sorveglianza, il presidente del Tribunale di Teramo, il Vescovo, rappresentanti della scuola e le maggiori autorità locali; invitando rappresentati di organi di stampa e giornalisti Tv. Nuoro: Badu ‘e Carros, basta un calcio al pallone per "evadere" dalle celle di Luciano Piras La Nuova Sardegna, 25 novembre 2013 Mancano quindici secondi al triplice fischio: Defalco non perdona. Palla in avanti, collo pieno a tutta dritta: il bolide si infila in rete, esplode l'apoteosi. Il tifo sale alto dalle inferriate di Badu ‘e Carros, mentre la delusione solca i volti stanchi degli avversari sconfitti per quel gol in zona Cesarini. Azzurra trionfa, La Fenice soccombe. Cinque a quattro, il risultato finale del derby galeotto: Azzurra è la squadra dei detenuti dell'Alta sicurezza; La Fenice è la squadra dei detenuti comuni. Gianni Careddu è il tecnico esterno di entrambe le formazioni. Lui che per par condicio ha dovuto abbandonare i suoi al loro destino poco prima del fischio di inizio, alle 14,30 di mercoledì scorso nel campo all'interno del penitenziario di Badu ‘e Carros. Incontro valido per l'accesso alle semifinali del campionato di calcio a otto organizzato dalla Asd Olimpiakos, affiliata con l'Us Acli Nuoro, inserito all'interno del progetto "Liberi nello sport". Una partita davvero speciale per i detenuti di Badu ‘e Carros: primo, perché mai avrebbero voluto scontrarsi tra di loro se non in finalissima; secondo, perché è la prima volta che hanno l'occasione di vedersi in faccia l'uno con l'altro, Alta sicurezza e sezione comuni. Tutti in campo con indosso il completo azzurro della nazionale della Figc, prezioso omaggio fatto arrivare a Nuoro direttamente dal presidente nazionale Giancarlo Abete. Detenuti in divisa, dunque, con la stessa divisa azzurra che per due tempi annulla (o meglio: sospende) condanne diverse da scontare in carcere, nuovo e aperto al mondo da un semplice pallone che a Badu ‘e Carros coinvolge dodici squadre, ben dieci esterne, in questa quarta edizione del torneo "Liberi nello sport". Due le formazioni di casa, scontro diretto già ai quarti di finale. Mister Careddu riunisce separatamente le due corazzate per le ultime dritte e un'unica raccomandazione: "Da questo momento dovete fare da soli". Una prova nella prova, sport, voglia di vincere, ma anche responsabilità. La gara inizia con un minuto di silenzio per le vittime del ciclone Cleopatra. Azzurra è la favorita, è da una settimana che non si parla d'altro in cella. Ma La Fenice sorprende tutti: in appena dieci minuti rifila quattro gol ai colleghi dell'altro versante. Poker d'assi calato sul tavolo verde dall'infallibile Lattone (che segna pure in rovesciata). Accorcia le distanze il solito Defalco. La musica cambia nel secondo tempo: Condello cerca il pareggio in tutti i modi. È una furia. Il tifo sale, le panchine ballano. Condello segna ancora: è il quattro a due. E poi Defalco: quattro a tre. E ancora Condello: quattro a quattro. Azzurra spinge, La Fenice è stremata dopo un primo tempo da leoni. Ma Defalco non grazia nessuno: cavalca imbizzarrito sotto gli occhi increduli del comandante della polizia penitenziaria Alessandro Caria e delle educatrici Sandra Cincotti e Rita Nonne. La correttezza in campo è massima, l'arbitro non fa alcuna fatica a dirigere lo scontro diretto, il silenzio è tombale. Mancano quindici secondi alla fine: Defalco va in rete. È festa grande per l'Azzurra dell'Alta sicurezza. "Vogliamo la rivincita" si riprendono subito gli amici comuni della Fenice. Milano: i detenuti delle carceri di Opera e Bollate incontrano i cittadini www.varesenews.it, 25 novembre 2013 Come si sopravvive in una cella? Quali azioni riempiono la vita quotidiana dietro le sbarre? Di questi temi si parlerà martedì 26 novembre, alle ore 18, all'Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele II. Si tratta del secondo appuntamento del ciclo di incontri "Consigli di lettura su carcere e dintorni", promosso dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano, Alessandra Naldi. All'incontro interverranno alcune persone detenute provenienti dalle case di reclusione di Opera e Bollate. "Affronteremo - ha detto il Garante Naldi - il tema della vita quotidiana in carcere e delle strategie messe in atto da chi deve trascorrere quasi tutto il suo tempo chiuso all'interno di una cella. Racconteremo di come ci si fa da mangiare o si tiene in ordine uno spazio di tre metri per quattro dove vivono fino a cinque o sei persone. Ci interrogheremo su come si possano far passare intere giornate senza avere mai niente da fare. E su come si possa difendere la propria identità all'interno di un sistema che tende ad annullare la personalità di chi sta chiuso al suo interno. Proponiamo questi incontri perché vogliamo che la città conosca e rifletta sulle varie sfaccettature del mondo del carcere". Parteciperanno all'incontro Davide Dutto, coautore del libro "Il gambero nero" e promotore dell'associazione Sapori Reclusi e Giorgia Gay, antropologa, giornalista e autrice dell'e-book "… e per casa una cella". Interverranno anche Emilio Caravatti e Lorenzo Consalez, docenti del Politecnico di Milano, che illustreranno un'esperienza di interazione tra studenti di architettura e persone detenute sulla riprogettazione degli spazi del carcere. "Voglio ringraziare - ha concluso il Garante Naldi - la direzione delle carceri di Opera e Bollate per aver dato la possibilità di partecipare all'incontro ai detenuti che interverranno". Ulteriori informazioni nella sezione "Pena e carcere a Milano" del sito www.comune.milano.it. Firenze: carcere di Sollicciano, ciechi e carcerati uniti dallo sport La Nazione, 25 novembre 2013 Lo sport che supera ogni barriera. Non è una frase fatta, ma quello che è successo all'istituto penitenziario Mario Gozzini, dove i non vedenti e i detenuti si sono sfidati a showdown, uno speciale ping pong pensato per i ciechi. Un'occasione per far incontrare due mondi che, pur nella diversità, si assomigliano. "I detenuti per un verso e i ciechi per un altro devono fare i conti con vincoli che di fatto limitano la loro libertà", ha osservato il presidente provinciale Uic Antonio Quatraro, a Sollicciano insieme al presidente della polisportiva fiorentina Silvano Dani, Nicola Vincenti. Alla giornata, organizzata all'interno delle numerose attività culturali e professionalizzanti che si svolgono nell'istituto a custodia attenuata, ha partecipato anche Gianna Maschiti, funzionario giuridico-pedagogico dell'istituto. "Un momento di incontro che abbiamo fortemente voluto per far riflettere i nostri detenuti sul significato della parola ‘diversità' e per far loro capire che, pur nelle difficoltà, si possono raggiungere obiettivi importanti", le sue parole. I carcerati hanno accolto con entusiasmo i non vedenti, che la mattina hanno dato prova della loro abilità. Il pomeriggio, invece, sono state formate squadre miste (composte quindi da ciechi e da detenuti). "Una giornata come questa risveglia in noi sensibilità sopite - riflette un carcerato. È bello che lo sport faccia avvicinare persone che appartengono a due fasce socialmente emarginate". Russia: dai gay alle Pussy Riot, le tante libertà violate di Stefano Giantin Il Piccolo, 25 novembre 2013 La terra degli zar in cima alla "black list" di Amnesty e Human Rights Watch. "Dopo il ritorno di Putin giro di vite allarmante contro oppositori e attivisti". Ormai succede dappertutto, diranno i "filorussi". Guardate cosa accade in America, nel Regno Unito, in Francia, per non parlare della Cina. E certo, anche in Italia. Guardate là, quali violazioni dei diritti umani. In parte, hanno ragione, perché Mosca non è di certo l'Impero del male, un "buco nero" dello stato di diritto, né l'unica nazione dove i diritti dell'uomo rimangono spesso un concetto riconosciuto solo sulla carta. Nondimeno, la Russia continua a rimanere nella lista dei cattivi, di quei Paesi che ricevono ogni anno i peggiori voti dalle più autorevoli organizzazioni non governative internazionali, da Amnesty International a Human Rights Watch (Hrw). E proprio il "World Report 2013" sui diritti umani di Hrw aiuta a capire le dimensioni del problema. O meglio dei problemi che ci sono in Russia, Paese dove Internet è "parzialmente libero ", la stampa "non è libera", in conclusione una nazione in generale "non libera", secondo Freedom House. Problemi che si sono acuiti dopo "le proteste di massa" del dicembre 2011 e il "ritorno alla presidenza di Vladimir Putin" nel maggio 2012, specifica il rapporto di Human Rights Watch. Ritorno di Putin che avrebbe soffocato le già "timide" riforme politiche e soprattutto dato "un giro di vite senza precedenti " contro attivisti, oppositori della leadership al potere, Ong, il tutto a danno "delle libertà di assemblea e di espressione". Quanto è stretta la presa? Assai, denuncia l'ong con quartier generale a New York. Le già severe pene "per violazioni relative all'organizzazione di eventi pubblici " sono state "innalzate di trenta volte" e oggi sono equivalenti a quelle per reati penali, mentre alle autorità è stato persino concesso, senza limitazioni, di "compilare liste di luoghi pubblici " dove è sempre vietato organizzare raduni. Ma oltre a quella di manifestazione, anche la libertà di espressione è a volte a rischio. Sul web, quando un giudice decide che il contenuto di una pagina o di un sito Internet è "estremista" o pericoloso per i minori, una mossa che automaticamente obbliga i provider a bloccare i siti incriminati. Oppure per strada, come prova il caso delle "Pussy Riot", condannate semplicemente per aver inscenato una protesta in chiave musicale contro la Chiesa ortodossa, nella cattedrale di Mosca. Ma se le ragazze con i passamontagna colorati fanno così paura, in "nove province russe" gli omosessuali sembrano incutere vero terrore. Dopo San Pietroburgo, anche nelle regioni della Bashkiria, della Chukotka, di Krasnodar, Magadan, Novosibirsk e Samara "è stata introdotta una legislazione" che di fatto vieta la "propaganda gay", per quello che può significare, ha ricordato nel suo rapporto 2013 anche Amnesty International. Potrebbe spiegare bene il senso delle norme anti-gay Nikolaj Aleksejev, il primo attivista per i diritti di gay e lesbiche a essere stato condannato per il grave crimine di aver esposto un cartello dalla scritta "l'omosessualità non è una perversione". Rimane poi apertissima la questione della libertà d'azione delle organizzazioni non governative, nel mirino dopo l'approvazione e l'entrata in vigore di una nuova legislazione che le obbliga, ricorda Amnesty, a registrarsi "come organizzazioni che svolgono le funzioni di agenti stranieri", formulazione che non può non evocare il termine "spie", nel caso in cui abbiano ricevuto "finanziamenti dall'estero" e abbiano esercitato non meglio specificate "attività politiche". Chi non osserva i precetti, rischia pesanti multe e perfino il carcere, come i numeri uno delle ong "colpevoli" di disubbidienza, nei mesi passati oggetto di decine di "proverka", raid-ispezioni da parte di funzionari delle tasse, degli interni, dell'immigrazione. Leggi e sanzioni che hanno provocato un'alzata di scudi internazionale. Da Washington, che ha parlato di pesante "stigma" sulle ong, alla Germania, che ha paventato rischi "sulle relazioni bilaterali" con Mosca, fino a Bruxelles, che ha descritto la norma come un'arma "per minare ulteriormente la società civile nel Paese". Ma alla fine si può sempre chiudere un occhio, su questioni del genere. Lo ha confermato la conquista russa di un seggio al Consiglio per i diritti umani dell'Onu, l'organo che dovrebbe vigilare sugli abusi a livello globale. "Una giornata nera per i diritti dell'uomo", hanno bollato la vittoria di Mosca attivisti da tutto il mondo. Una vittoria - a fianco di altri "paladini" dei diritti come Cuba, Cina e Arabia Saudita - che fa però capire che la comunità internazionale non vuole o forse non può fare le pulci al gigante russo. Medio Oriente: 4.900 palestinesi nelle carceri israeliane, 190 sono bambini di Salvatore Michele Di Carlo www.infopal.it, 25 novembre 2013 Il ministero palestinese dei Prigionieri ha diffuso un rapporto sul numero dei prigionieri palestinesi nelle carceri dell'occupazione israeliana, dichiarando che tra di essi vi sono ammalati, feriti, disabili, bambini, madri e deputati, così come 495 condannati all'ergastolo per una o più volte. Il rapporto rende noto che il numero dei prigionieri ammonta a 4900, ripartiti in circa 17 tra carceri e centri di detenzione e di fermo e che, tra questi, 190 sono bambini al di sotto della maggiore età. Si stima che circa 10.000 bambini sono stati arrestati e detenuti in carcere a partire dal settembre del 2010. Quattordici prigionieri sono detenuti in cattive condizioni e trattati con durezza senza il minimo riguardo nei confronti della loro privacy e dei bisogni personali. Tra questi Lina al-Jarbuni, detenuta da più di undici anni. Inoltre 495 sono quelli condannati all'ergastolo per una o più volte. La condanna più alta è quella di Abdullah al-Barghouti: 67 anni in aggiunta ad un'altra di 250. Israele - dichiara infine il rapporto - continua a colpire i deputati. Nelle sue prigioni ce ne sono quattordici, gran parte dei quali in detenzione amministrativa e senza un'accusa ed un processo. Albania: arrestati quattro dei sette detenuti condannati all'ergastolo evasi Ansa, 25 novembre 2013 La polizia albanese ha reso noto di aver arrestato oggi quattro dei sette detenuti condannati all'ergastolo per omicidio che erano fuggiti ieri da una prigione a sud di Tirana. Il ministro dell'interno albanese Saimir Tahiri ha dichiarato che "le operazioni di polizia continuano, per arrestare gli altri tre evasi dal carcere di Drenova", località a circa 170 chilometri dalla capitale. Dal canto suo - pur senza parlare apertamente di corruzione - il ministro della Giustizia, Nasip Naco, ha riferito che una ventina di guardie della prigione sono state arrestate e numerosi responsabili del dipartimento di sicurezza carceraria sono stati rimossi dal loro incarico. Egitto: approvata legge contro le manifestazioni, 7 anni di carcere per chi è armato Nova, 25 novembre 2013 Il presidente egiziano, Adli Mansur, ha promulgato ieri la legge che regola le manifestazioni di piazza in Egitto. Secondo quanto riporta il quotidiano egiziano "al Ahram", il nuovo provvedimento vieta l'apertura di tende o il dormire al centro delle piazze, come avvenuto negli ultimi anni nel paese, e vieta a chiunque di partecipare a cortei o raduni armati. Sono vietati nei cortei anche i fuochi artificiali o qualsiasi prodotto incendiario ed è vietato sfilare in corteo a volto coperto. Per chi infrange queste regole è previsto il carcere duro da uno a sette anni.