Giustizia: a chi giova la contrapposizione all’interno del Pd sul caso Cancellieri? di Maurizio Bonanni L’Opinione, 23 novembre 2013 A Matteo Renzi, innanzitutto, che si mette così (assieme a Civati) alla testa della protesta dei militanti del suo partito, per conseguire un bel diploma fiammante di “moralità pubblica”. Del resto, sono in molti, anche dalle parti di Firenze, a dare per scontata la spaccatura del Pd, in caso di vittoria del loro sindaco. Se la diarchia Letta-Napolitano dovesse reggere fino al voto del 2015, allora per il giovane Renzi la conquista del potere si dissolverebbe in lontananza. Curioso, però: sono in molti, a sinistra, a danzare al ritmo, e in base alle cadenze, degli editoriali di Repubblica e del “Fatto”. Eppure, Mauro e Scalfari sanno benissimo che, abbattuto il birillo della Cancellieri, andrebbe a rotoli il Governo Letta, che dovrebbe essere così sostituito in corsa da un altro giovane leone del Pd (Renzi stesso, Cuperlo, ecc.?). È solo una questione di moralità pubblica, o c’è dell’altro, nella contrapposizione Ligresti-De Benedetti? E ancora sul merito dei comportamenti censurabili del ministro di Giustizia: come mai via Arenula non ha emanato severe direttive alle Autorità competenti e non è intervenuta pubblicamente, in modo sistematico, viste le autentiche falle registrate dallo stesso ministro (e pubblicamente riconosciute) a proposito di carcerazione preventiva e condizioni di vita nelle carceri italiane? Con il suo comportamento (ovvero, l’intervento diretto, in “centinaia” di casi di carcerati in particolari condizioni di disagio), non ha forse avallato la sensazione sgradevole della discrezionalità del diritto, per cui soltanto chi ha accesso al “feudatario” può chiedere un trattamento di favore per sé? Il cittadino, per caso, è un suddito? Se parliamo di tasse, non c’è alcun dubbio in merito! Perché, nei casi in cui il ministro è intervenuto, non sono stati inviati ispettori e adottate riforme regolamentari interne, per alleviare le condizioni generali della carcerazione, per tutti i reclusi? Ma le notizie che sono uscite “dopo” il rinnovo della fiducia da parte del Parlamento sono ancora più disorientanti. Se è vero che la Cancellieri, al contrario di quanto dichiarato da Ligresti senior ai magistrati, non ha “mai” chiesto favori a nessuno per la sua carriera, allora perché non denuncia pubblicamente di calunnia e diffamazione chi la accusa? Pensa a una vendetta per l’attività del pargolo, come manager delle società Ligresti? E, di grazia, com’è accaduto che suo figlio si sia tempestivamente sfilato, a peso d’oro, da quella gestione, un attimo prima del crollo dell’impero Ligresti? Chi lo aveva avvertito? Domande lecite, suppongo. Giustizia: Sottosegretario Ferri; rispetto della dignità umana contro il disagio Ansa, 23 novembre 2013 “Sono stato proprio a Sollicciano e ho potuto constatare coi miei occhi il disagio di molti detenuti: occorre intervenire, il rispetto della dignità umana deve essere la stella polare”. Lo ha detto Cosimo Maria Ferri, sottosegretario alla Giustizia, commentando la lettera dei detenuti del carcere fiorentino letta ieri alla Camera dal deputato del M5S Alfonso Bonafede, nella quale i carcerati sostenevano di essere “trattati come bestie”. Secondo Ferri, che ha parlato a margine del convegno “Il risarcimento del danno alla persona nelle sue diverse componenti” a Firenze, “non è più possibile che all’interno di una cella ci siano tanti detenuti, senza lo spazio che le sentenze a livello europeo hanno riconosciuto”. Il sottosegretario sostiene quindi che “una delle priorità di questo governo e questo ministro sia quella di affrontare il sovraffollamento carcerario”. Ferri ha ricordato, a proposito dei pacchetti sulla giustizia allo studio, che quello sulla giustizia civile propone “tutti quegli strumenti che servono per ridurre i tempi, ridare competitività al Paese, e tutelare il credito, perché se le imprese riscuotono i crediti possono forse investire nel lavoro, assumere, e quindi gira tutto, quindi l’economia riparte”. Nel penale, ha poi osservato il sottosegretario, “oggi la priorità è il sovraffollamento delle carceri”, quindi vanno messe a punto “tutte quelle misure che incidono per dare dignità ai detenuti che sono al loro interno, e nello stesso tempo rieducarli, cercare di abbassare i tassi di recidiva reinserendoli nella società con la consapevolezza che hanno sbagliato. Quindi da una parte certezza della pena, dall’altra rieducazione cercando di ridurre i tassi di recidiva”. Giustizia: Corte Costituzionale; il sovraffollamento non salva dal carcere Il Sole 24 Ore, 23 novembre 2013 Per la Corte costituzionale non è illegittimo l’articolo 147 del Codice penale, anche se non prevede l’ipotesi di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena “quando essa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità”. I giudici hanno respinto, con la sentenza 179 depositata il 22 novembre, la richiesta di illegittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, che aveva ricevuto un’istanza di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena da parte di un detenuto. L’istanza era motivata non da una grave infermità fisica del detenuto, ma dalle “condizioni di perenne sovraffollamento” in cui versava la casa circondariale di Padova. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, il parametro di vivibilità minima in carcere è di 3 metri quadri, mentre quello misurato nella casa circondariale di Padova era di 2,85 metri quadri. Nonostante la tragica situazione delle carceri italiane, i giudici costituzionali hanno respinto la richiesta spiegando che “il sovraffollamento non può essere contrastato con lo strumento indicato dai rimettenti che, se pure potesse riuscire a determinare una sensibile diminuzione del numero di persone recluse in carcere, giungerebbe a questo risultato in modo casuale, determinando disparità di trattamento tra i detenuti, i quali si vedrebbero o no differire l’esecuzione della pena in mancanza di un criterio idoneo a selezionare chi debba ottenere il rinvio dell’esecuzione fino al raggiungimento del numero dei reclusi compatibile con lo stato delle strutture carcerarie”. La questione sollevata risulta inammissibile “per la pluralità di soluzioni normative che potrebbero essere adottate”. Oltre al mero rinvio dell’esecuzione della pena, infatti, sono ipotizzabili altri tipi di rimedi preventivi come, ad esempio, la detenzione domiciliare. Giustizia: fondi medicina penitenziaria, assegnato dal Cipe il riparto 2012 Il Sole 24 Ore, 23 novembre 2013 Arriva dal Cipe il riparto finale dei 167.800.000 euro accantonati sul fondo sanitario 2012 per il finanziamento della medicina penitenziaria. La delibera n. 49/2013 è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 273 del 21 novembre e prevede l’assegnazione alle Regioni a statuto ordinario e alla Sardegna di 145.765.637 euro e indica per le regioni a statuto speciale e le Province autonome come “residui” a carico del ministero della Giustizia e della Salute 22.034.363 euro - di cui 19.404.825 euro costituiscono residui a carico del ministero della giustizia e 2.629.538 euro sono a carico del ministero della salute - da accantonare. II trasferimento a favore della Sicilia per la sanità penitenziaria avverrà invece solo dopo l’emanazione delle relative norme di attuazione secondo il proprio Statuto speciale; per le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta il trasferimento è subordinato all’applicazione delle procedure previste dalle relative norme di attuazione. L’onere per il funzionamento delle strutture e per il personale dipendente resta a carico del ministero della giustizia. Infine, le quote relative a Trento e Bolzano, 1.109.910 euro in tutto , sono rese indisponibili in base alla legge 191/2009 e versate all’entrata del bilancio dello Stato. Giustizia: Cassazione; giusto limitare libri se detenuto è mafioso in isolamento Gazzetta di Parma, 23 novembre 2013 Non limita il diritto all’istruzione, all’informazione e al reinserimento sociale, la circolare dell’Amministrazione penitenziaria che vieta ai detenuti mafiosi in regime di isolamento di tenere tanti libri in cella, di farseli recapitare dai familiari e di restituirli a loro. Lo sottolinea la Cassazione - sentenza 46783 - che ha accolto il ricorso della Procura di Reggio Emilia e del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria contro l’ordinanza con la quale il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, lo scorso 10 gennaio, aveva autorizzato un boss di mafia del messinese, Giuseppe Gullotti (53 anni), recluso nel carcere di massima sicurezza di Parma, a ricevere libri e riviste inviategli dai familiari anziché attraverso i canali dell’amministrazione penitenziaria, a tenere più volumi in cella e a restituirli ai parenti. Secondo il magistrato reggino, la circolare del Dap numero 0434055, aveva introdotto “gravose limitazioni” che violavano “norme di rango costituzionale quali il diritto all’informazione del detenuto ed anche alla rieducazione, di cui la lettura e l’istruzione sono elementi fondanti, nonché il diritto allo studio che veniva limitato dal divieto di accumulo di libri nella cella”. Invece, ad avviso della Suprema Corte “risulta evidente” che le regole introdotte dal Dap hanno “l’espressa finalità di impedire che, attraverso la ricezione o la consegna di testi, il detenuto sottoposto a regime speciale possa ricevere o comunicare all’esterno messaggi cifrati”. “Con l’introduzione delle suddette regole - prosegue il verdetto degli ermellini - non viene limitato in alcun modo il diritto del detenuto ad informarsi o studiare attraverso la lettura di testi, ma si sottopone a un più rigoroso controllo la provenienza dei libri o delle stampe e si impedisce al detenuto di effettuare scambi sospetti con familiari di libri che potrebbero contenere messaggi criptici, non facilmente individuabili dal personale addetto al controllo”. Giustizia: Italia-Brasile, approvato trattato sul trasferimento delle persone condannate 9Colonne, 23 novembre 2013 “L’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di ieri del Trattato sul trasferimento delle persone condannate nei Paesi d’origine per l’espiazione della pena, siglato dall’Italia e il Brasile il 27 marzo del 2008 e atteso da ben 5 anni, contribuisce a rafforzare i rapporti bilaterali di cooperazione italo-brasiliani. La ratifica di questo Trattato si inserisce in una fase non facile delle nostre relazioni come conseguenza del caso Battisti”. Lo dichiara la deputata italo-brasiliana Renata Bueno, sottolineando che “scontare la pena nel Paese di appartenenza genera un risparmio sia allo Stato, in termini di sussidi consolari e di lavoro di Ambasciate e Consolati, sia alle famiglie, considerate le gravose spese a cui esse vanno incontro per viaggi, soggiorni e assistenza legale”. I detenuti italiani nelle carceri brasiliane risultano essere attualmente 70, mentre il numero di cittadini brasiliani presenti negli istituti di detenzione italiani a giugno del 2013 era pari a 168. “Ho sollecitato con convinzione l’approvazione del Trattato anche con azioni rivolte ai ministri degli Esteri e della Giustizia - dice in conclusione la Bueno - perché le condizioni in cui vivono gli italiani reclusi nelle carceri brasiliane sono disumane e intollerabili. Senza dimenticare i tanti detenuti brasiliani, come quelli di altre nazionalità, che stanno scontando la pena nelle sovraffollate carceri italiane lesive del rispetto dei diritti umani”. Toscana: gli istituti di pena scoppiano, quasi mille detenuti più del previsto di Carlo Strivieri Il Tirreno, 23 novembre 2013 In Toscana i detenuti sono 4.262 (di cui 154 le donne) e sono suddivisi in 18 carceri. Il sovraffollamento - a parte Volterra - contraddistingue tutti gli istituiti penitenziari toscani. Ci sono in Toscana quasi mille detenuti in più di quanto ci dovrebbero essere. L’indice di sovraffollamento nazionale è del 139,7% mentre quello toscano è pari al 127,2%. Le situazioni di maggiore criticità vengono segnalate all’interno del carcere di Pistoia con il 189,2% di affollamento. Segue Sollicciano, a Firenze( 183,3%), e Siena ( 178%). Grave la situazione anche nel resto dei maggiori carceri toscane - al 171,9% risulta il grado di affollamento a San Gimignano, al 160,9% a Pisa, al 153,6% a Massa Marittima e al 145,6% a Prato . Dando un’occhiata alle posizioni giuridiche degli oltre 4 mila detenuti, si scopre come il 64,4% sia colpito da una misura di condanna definitiva. Mentre il 33,2% è in attesa di giudizio. In costante diminuzione il numero di detenuti minori accolti all’interno dell’istituto fiorentino Meucci, passato dalle 21 presenze del 2009 alle 13 del 2012. “Lo dica al premier Letta di andare avanti con l’indulto e l’amnistia. Ma che sia solo il passo di inizio e non di arrivo di una riforma più complessiva sul mondo delle carceri. E, soprattutto, cari politici, non giocate sulla nostra pelle”. È l’appello che un detenuto, anche studente universitario, gli ha rivolto, racconta il parlamentare pisano Paolo Fontanelli, durante la sua visita al carcere don Bosco di Pisa, anche per capire il clima dietro le sbarre dopo la proposta avanzata dal presidente della Repubblica Napolitano. E non sono mancati riferimenti critici a Renzi. La cui contrarietà all’indulto non piace ai detenuti. Fontanelli ha avuto tre ore intense di colloqui in quella sorta di gironi danteschi che sono le sezioni di un istituto di pena. Qui i condannati con pena definitiva. Là i detenuti in attesa di giudizio. Poi i malati della sezione clinica. E le donne, una quarantina, per conto loro. Alla fine l’ex sindaco di Pisa ha stilato un rapporto sullo stato del carcere pisano e sulle attese dei detenuti in merito alle misure di clemenza avanzate dal Capo dello Stato. E lo riferisce al Tirreno. Capitolo per capitolo. Indulto e amnistia. Dunque c’è un clima di forte attesa tra i detenuti per le misure auspicate dal presidente della Repubblica. “Non c’è solo l’ovvio desiderio di uscire dal carcere, ma in diversi detenuti ho colto anche la consapevolezza di sfruttare nell’atto di clemenza la possibilità di rimettersi in gioco. Esco e mi rifaccio una vita. Chi dice che l’indulto è una scorciatoia ingiusta deve tener conto che lo scopo di uno Stato democratico è quello di rieducare i detenuti”, racconta Fontanelli. Così in molti dietro le sbarre fanno i calcoli delle loro pene in rapporto ai benefici che potrebbero venire dall’indulto. E leggono i giornali, guardano la televisione, in attesa della lieta notizia. E sognano, sperano, hanno le orecchie dritte all’esterno. Sovraffollamento: 100 detenuti in più. A Pisa ci sono 350 detenuti, un centinaio in più di quanto ne contenga il vecchio penitenziario. Di questi, grosso modo la metà, sono stranieri. Spacciatori, tossicodipendenti, gente senza riferimento sul territorio, alcuni con gravi problemi psichiatrici. Una bolgia infernale in una struttura vecchia con muri fatiscenti, crepe, calcinacci. Docce che non funzionano. Bagni da rifare. Il nuovo direttore Fabio Prestopino si dà da fare, ma i soldi scarseggiano. Pisa chiama Italia nel senso che anche qui il problema è come altrove: carceri vecchi e sovraffollati. Condizioni che rischiamo spesso di essere inumane. Per questo sono intervenuti l’Europa e il Capo dello Stato. Ecco le celle, colorate di verde con lo spioncino che la guardia apre al passaggio degli ospiti ed appaiono due, tre, a volte anche quattro prigionieri per “camera”. Alcuni rimangono a letto indifferenti e rassegnati. Altri si affacciano allo spioncino, salutano il parlamentare, gli danno la mano, si aggrappano a lui come ad un’ancora di salvataggio. Come nella Divina Commedia, il visitatore chiede per quale colpa il detenuto sia dietro le sbarre e questi comincia a raccontare la sua storia. E implora, chiede aiuto: voglio uscire, ho la doccia rotta, la finestra ha il vetro spaccato, mi fate parlare con mia figlia. Ti ricordi Paolo... C’è il vecchio muratore, che ha conosciuto Fontanelli quando era sindaco. “Ti ricordi, Paolo...”. “Eh se mi ricordo. Ma perché sei qui?”. E la giovane donna pisana, dietro le sbarre per droga, giura che una volta fuori taglierà di netto con il passato: ha una figlia piccola e il sogno di una vita altra. C’è il vecchio che ha ucciso la moglie e una volta fuori non sa dove andare. Per molti succede anche questo: meglio rimanere lì dentro, dietro le sbarre, almeno uno è curato, ha un tetto, conosce qualcuno con cui giocare a carte. Nelle celle i detenuti dormono in letti a castello, il “bagno” è composto da una tazza e una doccia, non ci sono divisori per l’intimità. Alle inferriate della finestra vengono stesi i panni che i detenuti si lavano da sé (solo alle lenzuola ci pensa l’amministrazione carceraria). Alle pareti foto di santi, padre Pio in testa. Quando non vanno in cortile per l’ora d’aria i detenuti guardano la tv, giocano a carte, e contano i passi lunghi della loro pena infinita. Le detenute donne invece hanno celle più curate, colorate, si nota il tocco femminile. Esperienze di laboratorio. Il Don Bosco è anche un carcere per certi aspetti all’avanguardia. Un centro clinico tra i migliori d’Italia. Con esperienze di laboratorio in cui ci sono detenuti che fanno i falegnami, i sarti, i cuochi. Ci sono giovani che studiano. Medie ma anche università. Poco meno di un mese fa al Teatro Verdi la città ha partecipato ad una iniziativa promossa per raccogliere fondi per l’emergenza del carcere pisano, con la presenza gratuita di molti artisti, tra cui Bisio, Vecchioni, Bobo Rondelli, i Gatti Mezzi. Però l’immagine che Fontanelli racconta di portarsi dietro dalla sua visita al Don Bosco è quella dello spioncino della cella che si chiude dopo il breve colloquio con l’ospite. Il detenuto che si è aggrappato alla sbarra si ributta nel letto. E spera. “È di questa speranza che la politica si deve far carico. Perché non dobbiamo mai dimenticare che un detenuto va aiutato a rialzarsi. A cambiare vita, conclude il parlamentare pisano. Calabria: M5S; sovraffollamento carceri al 161,3%, un’interrogazione alla Camera www.zoomsud.it, 23 novembre 2013 Fosse solo il sovraffollamento. Ratti, carenza di personale, cortili “insalubri”, docce carenti, cibi di scarsa qualità, assenza di assistenza medica e di regolamenti interni, celle disastrate, biblioteche, lavanderie e palestre chiuse da tempo o non accessibili: la fotografia delle carceri calabresi che fa il Movimento 5 stelle in un’interrogazione presentata in commissione Giustizia alla Camera (primo firmatario Vittorio Ferraresi) è impietosa. Sono 13 gli istituti penitenziari in Calabria; a fronte di una capienza di 2.481 posti, “sono rinchiusi - scrivono i 5 stelle - 2684 detenuti dei quali 345 sono stranieri; tra di essi 1330 sono imputati mentre i condannati definitivi sono 1353”. Quelli usciti dall’entrata in vigore della legge Svuota carceri del 2010 fino al 30 settembre di quest’anno “risultano essere solo 344, dei quali 13 donne e 40 stranieri”. Tra le situazioni più critiche c’è quella della “casa circondariale di Catanzaro Siano Ugo Cariddi dove, a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti, vi sono ristretti 590 detenuti, 330 dei quali appartenenti al circuito dell’alta sicurezza”. Sull’aumento “ingiustificato” della capienza del carcere di Catanzaro da 354 a 617, disposto dal Dap del ministero della Giustizia “senza che siano intervenuti mutamenti strutturali di rilievo”, si sono interessati “sia i radicali calabresi che il Sindacato autonomo della polizia penitenziaria”. Anche il carcere di Paola, riporta l’interrogazione, soffre di un sovraffollamento eccessivo con 247 detenuti a fronte dei 161 posti disponibili. In totale risulta infatti “che i posti disponibili negli istituti calabresi siano 1789 e non, come indicato dal dipartimento, 2.481 - continuano i 5 stelle - cosa che porta la percentuale di sovraffollamento al 161,3%, attestato che il valore nazionale è del 140%”. Nelle carceri di Vibo Valentia, Castrovillari, Locri, Paola, Catanzaro, Locri, Palmi, Lamezia Terme, Reggio Calabria e Rossano la situazione non permette inoltre ai detenuti, secondo quanto riportato nell’interrogazione, “una quotidianità rispettosa della dignità umana”. La situazione all’interno delle celle, secondo quanto riferisce il M5s, è gravissima. A Catanzaro, per esempio, sono state applicate “alle finestre delle celle delle schermature metalliche a maglie strette che impediscono di fare entrare all’interno delle stesse aria e luce naturale”. Secondo gli interroganti, inoltre, nel carcere del capoluogo calabrese “le camere detentive destinate ad ospitare normalmente un detenuto sono sistematicamente occupate, per 20 ore al giorno, da tre reclusi”, a Paola “da due”. E poi succede spesso che nelle celle “non sia assicurata la separazione dei condannati dagli imputati e - continua il M5s - non paiono esservi celle destinate ad ospitare detenuti non fumatori”. Inoltre “la condizione dei materassini di gommapiuma su cui sono costretti a dormire i detenuti risulta essere pessima” e a Paola “vi è una illecita attività di controllo notturno del personale di polizia penitenziaria che deve accendere la luce interna alle celle, provocando il risveglio dei detenuti, a causa della inadeguatezza dell’impianto di illuminazione”. Per gli stranieri la situazione sembra essere “particolarmente disagiata”, per mancanza di mediatori culturali e sussidi agli indigenti; inoltre, secondo quanto riportano i 5 stelle, “non vengono accordati colloqui telefonici” al cellulare per chi non può chiamare sui fissi. E ancora: molti non conoscono “la propria posizione processuale, in considerazione delle oggettive difficoltà linguistiche”, e a chi vorrebbe essere espulso dall’Italia come pena alternativa al carcere, “per scontare pene inferiori ai due anni nel proprio Paese, non è stata fornita alcuna risposta”. Di tutto questo il Movimento 5 stelle chiede conto al governo. In settimana si attende la risposta. Siracusa: esposto in Procura sul tentato suicidio di un detenuto www.informaresicilia.it, 23 novembre 2013 Lotta tra la vita e la morte Francesco Guarneri il 35enne siracusano, che ha tentato di togliersi la vita qualche giorno fa nella cella del carcere di Cavadonna dove si trova per scontare una condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione per il danneggiamento con il fuoco ad un panificio di Siracusa. L’uomo si trova tuttora ricoverato al reparto di rianimazione dell’ospedale “Umberto primo” di Siracusa con la prognosi riservata sulla vita a causa delle lesioni riportate al collo. Ieri mattina, intanto, il fratello Giovanni, accompagnato dall’avvocato Angelo De Melio, si è recato alla Procura della Repubblica di Siracusa per depositare un esposto con il quale chiedere ai magistrati quali siano state le ragioni che avrebbero indotto il congiunto a compiere l’insano gesto, per fortuna fallito per l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria, i quali si sono accorti appena in tempo di quanto stava accadendo nella cella in cui il detenuto si trovava rinchiuso da solo. “Il fratello della vittima si chiede perché mai nessuno lo abbia avvertito di quanto accaduto al congiunto - spiega l’avvocato De Melio - Ha saputo del tentativo di suicidio del fratello soltanto in maniera del tutto casuale quando sarebbe stato opportuno, essendo l’unico parente del Guarneri, ad essere informato dell’accaduto”. Ai magistrati, insomma, il compito di comprendere che cosa sia realmente accaduto da spingere il Guarneri a tentare di togliersi la vita, atteso che si trovava detenuto ormai da poco più di un anno e che dovrà uscire dal carcere nel giugno del prossimo anno se non qualche mese prima in virtù della buona condotta che ha dimostrato durante la sua detenzione. Viene chiesto anche di verificare se vi siano responsabilità anche nella vigilanza nella casa circondariale. Francesco Guarneri era stato arrestato la notte del 11 agosto dello scorso anno quando voleva a tutti i costi fare la “spesa” ma soprattutto fare incetta di bottiglie di birra al Panificio “Le Palme” sito in Piazza Marconi a Siracusa. Erano le quattro circa e mentre i dipendenti del panificio siracusano stavano lavorando, un soggetto fece irruzione nel locale, minacciando i presenti per ottenere illecitamente varie vivande nonché vari prodotti appena sfornati. Alla risposta negativa, il soggetto alzò la voce inveendo contro i gestori fino a decidere di allontanarsi. Ma la speranza che tutto fosse concluso durò ben poco. Trascorsi pochi istanti il soggetto è tornato, più convinto di prima di ottenere quanto richiesto: non si era allontanato, infatti, desistendo dal suo proposito criminale, ma per andare in un vicino distributore di benzina e, dopo aver manomesso una pompa automatica, raccogliere in una bottiglia del liquido infiammabile e tornare al panificio. L’uomo, incurante della presenza dei lavoratori, iniziò a cospargere di benzina l’ingresso e i muri del locale, appiccando le fiamme per poi irrompere all’interno e sottrarre dal frigo varie bottiglie di birra. Stupiti ma soprattutto spaventati, i dipendenti sono riusciti quindi a chiedere aiuto al 112: dopo pochi minuti si sono materializzate sul posto due gazzelle del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Siracusa. Mentre una delle due aiutava i gestori del panificio a spegnere le fiamme, l’altra perlustrava il quartiere alla ricerca dell’uomo che, nel frattempo, si era allontanato di poco. I militari dell’Arma lo hanno individuato ed ammanettato. Asti: nel carcere ancora un caso di torture impunite? di Susanna Marietti Il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2013 All’inizio del 2012 la città di Asti fu teatro di una sentenza memorabile che riguardò il carcere locale. Il processo aveva visto sotto accusa alcuni agenti di polizia penitenziaria per selvagge violenze nei confronti di due detenuti avvenute in anni precedenti. Il giudice non condannò nessuno. Nelle sue ottanta pagine spiegò però molto accuratamente il perché. Raccontò un sistema di brutalità - detenuti appesi a cardini per i lacci delle scarpe, detenuti cui viene fatto lo scalpo, detenuti privati del sonno e del cibo, detenuti picchiati ripetutamente nel sonno - che è emerso dal dibattimento “al di là di ogni ragionevole dubbio”. I fatti in questione, scrisse nero su bianco, sono qualificabili come tortura secondo la definizione che di essa danno le Nazioni Unite. Nel codice penale italiano manca tuttavia un tale reato, nonostante lo scenario internazionale ci imporrebbe la sua introduzione. Con i reati a disposizione, tra prescrizione e altro, quel giudice spiegò di non essere in grado di punire nessuno degli imputati. E ciò nonostante il sistema di violenze e intimidazioni fosse, appunto, sistematico, strutturato, organizzato, tollerato. Non singole mele marce bensì, come leggiamo dalla penna del giudice, “era possibile per gli agenti porre in essere tali comportamenti poiché si era creato un sistema di connivenza con molti agenti della Polizia Penitenziaria ed anche con molti dirigenti”. Mai era stato detto così chiaramente: se in una istituzione chiusa quale è un carcere si usa sistematicamente la violenza - e in varie carceri la si usa - le responsabilità non possono essere individuali, poiché il sistema non reggerebbe senza l’omertà anche di chi non vi partecipa direttamente. A distanza di quasi due anni da quella sentenza, esce fuori la denuncia di Mohammed Carlos Gola, che racconta - come riportato anche oggi dalle edizioni locali de La Stampa - di essere stato percosso e umiliato nel carcere astigiano a seguito della sua conversione alla regione islamica. Vediamo cosa dirà il processo e se lo scenario di torture e razzismo denunciato dal giovane sarà o meno confermato. In ogni caso, l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, oltre alla sua concreta valenza processuale, è un segnale culturale del quale troppo si sente la mancanza. Gorizia: carceri invivibili protesta dei Radicali in via Barzellini Messaggero Veneto, 23 novembre 2013 Una stoica delegazione dei Radicali di Gorizia ha protestato ieri mattina, davanti al carcere di via Barzellini, contro le precarie condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari italiani nei quali persiste il problema del sovraffollamento. Sfidando la pioggia, i referenti del partito hanno esposto una serie di cartelloni, chiedendo l’amnistia e sostenendo l’appello lanciato nelle scorse settimane alle Camere dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che chiedeva un intervento tempestivo per migliorare la vivibilità delle carceri. “Noi riteniamo che l’accorato appello del Capo dello Stato vada ascoltato e rispettato - ha spiegato Lorenzo Cenni, senza dimenticare che tra meno di sei mesi l’Italia dovrà pagare all’Unione europea una grossa multa per il mancato rispetto delle direttive sulla detenzione nelle case circondariali: in molte carceri i detenuti sono sottoposti a condizioni di vita che rasentano la tortura, con meno di tre metri quadri a disposizione per ciascuno”. Intanto domani mattina, alle 9.45, nella nuova struttura della Comunità Arcobaleno a Farra, si terrà un momento di confronto e di discussione organizzato dal Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza del Fvg per approfondire l’attuale situazione carceraria. Genova: sovraffollamento carceri, oggi un presidio dei Radicali a Marassi www.cittadigenova.com, 23 novembre 2013 È ormai trascorso più di un mese dal messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla questione carceraria, pronunciato in seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che condanna l’Italia a pesanti sanzioni a causa del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano. Nel messaggio il Presidente ha rilevato ciò per cui da anni lottano Marco Pannella e i Radicali, ossia come i tanti interventi immaginabili per risolvere la situazione inumana delle carceri, e la situazione della giustizia a essa collegata, “appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato (il termine fissato dalla sentenza Torreggiani scadrà, come già sottolineato, il 28 maggio 2014) con il ricorso a rimedi straordinari”. “Che fine ha fatto l’indicazione contenuta nel messaggio di inizio ottobre? Che fine hanno fatto i “rimedi straordinari” di amnistia e indulto? In Italia - scrivono i Radicali di Genova in una nota - la giustizia è insensatamente lenta e senza alcun rispetto dei diritti umani fondamentali, tanto per l’irragionevole durata dei processi (violazione art.6 della Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo) quanto per i trattamenti inumani e degradanti (violazione art. 3 della stessa Convenzione) a cui sottopone i suoi cittadini detenuti. Per ricordare alla politica il messaggio di Napolitano e per dare forza al Ministro Annamaria Cancellieri che ha definito l’amnistia un “imperativo categorico morale”, sono previsti sit-in di militanti insieme ai familiari dei detenuti, attivati e coordinati da Alessandra e Francesca Terragni, giovedì 21 novembre davanti alle carceri di molte città italiane”. L’Associazione “Radicali Genova”, insieme ai parenti dei detenuti, aderisce all’iniziativa e organizza un sit-in davanti al carcere di Marassi: domani, giovedì 21 novembre, alle ore 9. Ancona: Lodolini (Pd); necessario aumento di educatori e Polizia Penitenziaria www.vivereancona.it, 23 novembre 2013 L’On. Lodolini, venerdì 22 novembre, si è recato in visita presso la Casa Circondariale di Montacuto accompagnato dal responsabile nazionale del Pd sulle carceri Sandro Favi, dal Consigliere Regionale Gianluca Busilacchi e dalla Segretaria Provinciale del PD Eliana Maiolini. La delegazione ha visitato diverse sezioni dell’istituto e si è trattenuta a colloquio, sia con i detenuti, che col personale penitenziario. Attualmente una parte dell’istituto è interessata da una ristrutturazione che dovrebbe concludersi in 6-8 mesi che consegnerà nuovi e più vivibili spazi detentivi: le nuove celle non avranno più i letti a castello e saranno dotate di servizi igienici e doccia. Comunque ci sono e rimarranno celle con gravi problematiche dal punto di vista strutturale. Dal 1º novembre 2013 è in atto la cosiddetta “sorveglianza dinamica” presso una sezione a custodia attenuata, che consente ai detenuti libero movimento all’interno della sezione in tutta la giornata, in questo modo si ampliano i momenti di socializzazione e la possibilità di dar vita in quegli spazi ad attività di recupero. È assolutamente necessario che vengano aumentati gli educatori e le altre figure dell’area socio-ricreativa, poiché i tre operatori ed uno psicologo non possono adeguatamente far fronte ai 250 detenuti presenti. Anche per la Polizia Penitenziaria c’è bisogno di un incremento e chiederemo con un’interrogazione parlamentare il perché le 18 unità assegnate ad Ancona Montacuto non siano ancora arrivate. Brescia: progetto del nuovo carcere, bocciata la sede nell’ex caserma Papa Corriere della Sera, 23 novembre 2013 La volontà resta: “Risolveremo il problema Brescia”. Ma la soluzione per il nuovo carcere non è ancora ben chiara. Sotto il profilo “tecnico” è in corso un ballottaggio tra le caserme “Papa”, in città, e “Serini”, a Montichiari. Entrambe sono ritenute “soluzioni valide”. Ma entrambe mostrano qualche criticità. Tanto che a Roma non escludono di prendere in considerazione l’ipotesi di “espropriare un’area e costruire una struttura nuova”. E a quel punto l’opzione Verziano potrebbe anche riprendere quota. Per ora però si resta alle caserme. L’ultima rimodulazione del Piano Carceri punta sul recupero dei beni demaniali per realizzare nuovi istituti di pena. Brescia è rientrata nel Piano grazie a questa impostazione e ora il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri indica il superamento di Canton Mombello come una “priorità”. “Nelle scorse settimane - racconta il prefetto Angelo Sinesio, commissario straordinario del Governo per l’edilizia penitenziaria - abbiamo effettuato i sopralluoghi nelle strutture che ritenevamo potenzialmente idonee”. Ovvero le caserme Papa, Goito-San Gaetano e Serini. La Goito è stata subito bocciata. “Parere negativo” conferma Sinesio. La Papa, che sembrava quella più adatta, ha mostrato qualche criticità di troppo. “La struttura è stata ritenuta idonea, ma per un istituto di pena da 400 posti servono 5 ettari. L’area della caserma di via Oberdan è di 3,9”. Il problema non è tanto lo spazio per le celle, ma quello per le strutture “trattamentali”, i capannoni per l’attività lavorativa (per i quali il presidente di Aib Marco Bonometti si è detto pronto a contribuire), i padiglioni per la pratica sportiva, gli spazi all’aria aperta. “Si tratta di funzioni sulle quali puntiamo molto - spiega Sinesio - Con queste attività la recidiva di un detenuto scende al 13%; senza si sale all’80%”. Alla Papa bisognerebbe rinunciare a gran parte di queste funzioni; oppure ridurre la capienza dell’istituto, ma così non si risolverebbe il problema Canton Mombello. Ha così ripreso quota l’ipotesi “Serini”. Lì lo spazio c’è e gli ettari interessati dall’operazione sarebbero 6,2. Ma è a 15 km dalla città, e il costo lieviterebbe un po’. “Dovremmo demolire parte degli edifici, smaltire il materiale e ricostruire” spiega il commissario. Senza contare le possibili interferenze con la Tav o lo sviluppo (se mai avverrà) dell’aeroporto. Dal punto di vista della procedura tecnica, spiega Sinesio, “gli elementi per decidere ci sono tutti. A inizio dicembre faremo una riunione con il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Dovremo decidere tra la Papa e la Serini. A meno di non costruire un nuovo istituto”. Se Papa e Serini si mostrassero strade impraticabili, l’opzione potrebbe tornare alla ribalta. Ora come ora è la caserma di Montichiari ad avere più chances. Ma il costo per demolizioni e smaltimento potrebbe rivelarsi più alto rispetto all’esproprio di un’area dove costruire un carcere ex novo. Per esempio Verziano. Sinesio ribadisce che quell’ipotesi, finora, non è mai esistita. Vero è, però, che nell’attuale Pgt l’istituto di pena è inserito proprio lì, a nord del carcere femminile. Un’area da 120mila mq, 12 ettari. Ora è privata. Al tempo l’amministrazione Paroli immaginava di entrarne in possesso concedendo diritti edificatori agli attuali proprietari. Il commissario parla più direttamente di “aree da espropriare”. In fondo anche Emilio Del Bono non ha mai contestato quella location in quanto tale, ma il modo con il quale se ne entrava in possesso. Si vedrà. Per ora il rebus carcere resta aperto. Sperando si trovi una soluzione. Firenze: slitta ancora chiusura Opg; diventerà carcere a custodia attenuata? www.gonews.it, 23 novembre 2013 Verso un rinvio. L’ennesimo che assomiglia a una beffa. Ancora non ci sono dichiarazioni ufficiali ma tutti danno ormai quasi per scontato che l’Opg non sia chiuso neppure a marzo 2014 come previsto. Si prospetta un nuovo rinvio forse di un anno. Oppure due. Le strutture regionali che dovranno accogliere gli internati non sono pronte. E di conseguenza l’Opg continuerà nella sua funzione tenendo ancora in carcere malati con scarsa assistenza sanitaria. Al momento gli internati a Montelupo sono 105 e di questi 40 sono toscani. Con la chiusura degli Opg, i malati che vengono da altre regioni dovranno essere riportati nei luoghi d’origine. Ieri all’Opg è andato Franco Corleone, il garante per i diritti dei detenuti. “ L’auspicio - ha detto - è quello che la Toscana faccia da apripista rispetto ad altre regioni, che la chiusura dell’ospedale psichiatrico sia fatta nei tempi previsti e senza proroghe. La Toscana deve proporsi per dare un futuro diverso agli internati”. Da subito. In sostanza Corleone pensa che si debba lavorare per soluzioni intermedie. Senza aspettare le altre regioni. Intanto il 20 dicembre tornerà all’Opg di Montelupo per proporre alcune soluzioni in vista della chiusura della struttura. E il 31 marzo organizzerà un convegno con la Fondazione Michelucci per parlare anche di recupero della struttura dal punto di vista architettonico. “La villa medicea dell’Ambrogiana grida vendetta - dice - deve essere inserita nel patrimonio dell’Unesco”. Oggi arriva, infine, Marco Cavallo, l’equino di cartapesta simbolo della lotta contro gli Opg. E di fronte all’Ambrogiana ci sarà una manifestazione. “In attesa dei fondi del Ministero per il superamento dell’Opg di Montelupo, la Regione rifletta sull’opportunità di realizzare nella villa dell’Ambrogiana un regime di carcere attenuato per i detenuti in attesa di giudizio, che solo a Firenze superano quota 300, in pratica un terzo degli internati nel carcere di Sollicciano che, a fronte di una capienza di 1.000 detenuti, ne ospita 1.200. Una struttura di carcere attenuato dove trasferire quei detenuti che non hanno ancora ricevuto una condanna in via definitiva e che quindi sono innocenti fino a sentenza di condanna passata in giudicato, permetterebbe di migliorare la situazione delle carceri toscane”. È la proposta del consigliere regionale del Nuovo Centrodestra di Alfano e membro della IV commissione Sanità, Gian Luca Lazzeri, che rilancia la proposta per il dopo Opg. “Gli 11.587.351 di euro stanziati da Roma per il superamento dell’Opg di Montelupo restano ancora nei capitoli di bilancio del Ministero, in attesa di essere impiegati per finanziare il progetto che ci auguriamo possa arrivare a compimento nei tempi previsti. Nel frattempo però la situazione delle carceri toscane è diventata esplosiva, a maggio vi erano 4.163 detenuti con un sovraffollamento pari al 127,2% con punte a Firenze del 180% e a Pistoia del 189%. In questa fase la Regione dovrebbe iniziare a riflettere sul dopo Opg. La decisione sulla sua destinazione sarà assunta dalla Regione insieme al Ministero di Grazia e Giustizia. Ma, a causa della delibera regionale 175, la Giunta, “in virtù dell’ubicazione e del carattere storico dell’edificio”, definirà la futura destinazione della Villa dell’Ambrogiana coinvolgendo anche il Comune di Montelupo. Soggetto quest’ultimo che, in virtù della portata storica della villa, chiede una sua destinazione ad uso civile. Intanto l’emergenza carceri della nostra regione ci parla di condizioni di vita disumane per i detenuti. Solo nel carcere fiorentino infatti a fronte di un capienza di 520 persone sono rinchiusi poco meno di 1000 detenuti di cui più un terzo in attesa di giudizio. La realizzazione di un carcere attenuato nell’Opg rappresenta l’unico spiraglio per alleviare il dramma dei penitenziari toscani visto che per la nostra regione non sono previsti nuovi istituti. Sarebbe auspicabile dunque che la Regione premesse per la realizzazione nell’Opg di una casa circondariale dove trasferire almeno parte dei detenuti in attesa di giudizio, si tratterebbe di un segno di civiltà e di una boccata di ossigeno per il carcere fiorentino e a quelli toscani”. Viterbo: M5S; situazione del carcere di Mammagialla difficile per detenuti e per agenti www.ontuscia.it, 23 novembre 2013 “La situazione generale alla casa circondariale Mammagialla è difficile sia per i detenuti che per gli agenti, come è stato possibile appurare nella recente visita effettuata dal consigliere comunale del M5S De Dominicis e dal deputato Bernini. Condizione dovuta alla cronica carenza di organico (di agenti, di medici, di psichiatri), alla povertà dei fondi per l’ampliamento ed il rinnovo delle strutture ed alle lungaggini dell’iter giuridico. Molti detenuti infatti risultano in attesa di giudizio oppure versano in uno stato di salute che non ne dovrebbe permettere la detenzione (e riducendone il numero si allevierebbe il sovraffollamento del carcere). Mentre il deputato Bernini elaborerà e porterà in sede parlamentare azioni mirate al miglioramento della situazione carceraria nazionale, l’M5s in comune ha aggiunto i propri emendamenti all’ordine del giorno della scorsa seduta consigliare, tutti approvati. In particolare, dato l’ottimo livello dei lavori svolti dai carcerati in particolare nei settori falegnameria e sartoria, l’amministrazione locale può promuovere una loro commercializzazione, con evidenti benefici psicologici e pratici per l’artigiano detenuto in via di formazione professionale e di reintegro nella società. Inoltre offriamo la possibilità ai detenuti di proporre le opere elaborate durante i corsi d’arte interni, che seguono con passione e efficacia. Andranno identificati i contesti, le manifestazioni e gli eventi pubblici dove favorirne l’esposizione. Anche in questo caso l’iniziativa mira a rafforzare l’autostima dell’individuo ed a ritagliare uno spazio di comunicazione con l’esterno in vista del reintegro. In ultimo, abbiamo indicato la possibilità per l’amministrazione di incentivare e pubblicizzare il reperimento di materiale sportivo (attrezzatura da palestra ecc.), didattico (libri di testo e materiale di cancelleria) e ludico (romanzi) da destinare alla casa circondariale. Con queste iniziative cerchiamo di avviare un rapporto tra la città di Viterbo e la popolazione di una struttura che viene giustamente denominata un quartiere di Viterbo”. Pesaro: detenuto marocchino tenta suicidio e poi aggredisce agenti penitenziari Adnkronos, 23 novembre 2013 A Pesaro un detenuto marocchino si è inferto volontariamente ferite talmente gravi da rendere necessario un ricovero in ospedale. Lungo la strada, però, ha dato in escandescenze, forse in un tentativo di evasione, ed è stato bloccato dai tre agenti penitenziari di scorta, rimasti feriti nella colluttazione e refertati con 7 giorni ciascuno. A riferire l’episodio, avvenuto nei giorni scorsi, è Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Spp. “È l’ennesimo caso che mostra quanto la situazione delle carceri sia ad oggi assolutamente invivibile, per i detenuti come per gli agenti - spiega Di Giacomo all’Adnkronos - Una situazione di emergenza ignorata da un mondo della politica distante, che non sa far altro che ingannare il cittadino alimentando l’illusione che il carcere rappresenti una soluzione ai problemi di sicurezza. Entro gennaio il nostro paese dovrà dare una risposta all’Europa, e forse a Natale, o a gennaio, si tornerà a parlare di indulto e amnistia. Noi non condividiamo questa soluzione, che però rimarrà l’extrema ratio visto che il Parlamento avrebbe potuto fare riforme strutturali, a cominciare dalle depenalizzazioni, ma non l’ha fatto”. Di Giacomo pone l’accento sulle condizioni drammatiche in cui sono costretti a vivere i detenuti e di riflesso anche gli agenti penitenziari, facendo riferimento a un tragico allarme suicidi che riguarda non solo i carcerati: “Dal 2000 a oggi la polizia penitenziaria ha avuto oltre 100 morti: ci sono 5 agenti all’anno suicidi nelle carceri. Nell’ultimo anno e mezzo ne abbiamo avuti 8 con quello di Modena. Ma ancora non c’è un organo deputato a vigilare sulle condizioni in cui la polizia penitenziaria è costretta ad operare. È aberrante”. Paola (Rc): denunciate in Parlamento le condizioni disumane del penitenziario www.laprimapagina.it, 23 novembre 2013 “Il grado di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri. Quelle italiane sono pessime e, quelle calabresi, sono ancora peggio”. Lo sostiene l’ecologista radicale Emilio Quintieri annunciando la presentazione di una durissima Interrogazione alla Camera dei Deputati sulla situazione penitenziaria della Calabria con particolare riferimento agli Istituti di Catanzaro Siano e Paola. Quest’ultimo, il cetrarese, lo conosce molto bene, essendoci stato recluso per circa sei mesi, in custodia cautelare. Quando venne arrestato era candidato a Montecitorio con la Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà” promossa da Marco Pannella ed Emma Bonino. E non appena mise piede all’interno del Carcere non perse tempo per denunciare le illegali condizioni di detenzione. Nei giorni scorsi, infatti, proprio su sua sollecitazione, gli Onorevoli Vittorio Ferraresi, Dalila Nesci, Federica Dieni, Sebastiano Barbanti, Paolo Parentela, Donatella Agostinelli, Alfonso Bonafede, Salvatore Micillo, Tancredi Turco, Giulia Sarti, Andrea Colletti e Francesca Businarolo, tutti del Gruppo Parlamentare Movimento Cinque Stelle, hanno rivolto una circostanziata Interrogazione ai Ministri della Giustizia e della Salute Annamaria Cancellieri e Beatrice Lorenzin chiedendo di avere precise risposte durante le prossime sedute della Commissione Giustizia (Interrogazione nr. 5-01535 del 21.11.2013) In particolare, in merito all’Istituto Penitenziario tirrenico, è stato denunciato il sovraffollamento; infatti, a fronte di una capienza regolamentare di 161 posti vi sono rinchiuse circa 300 persone, tutti appartenenti al circuito della Media Sicurezza e molti dei detenuti sono condannati in via definitiva anche a lunghe pene detentive. “In questo Istituto, è completamente assente qualsivoglia attività trattamentale- denunciano i radicali - sia per gli imputati che per i condannati, poiché la biblioteca, con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità, sono chiuse e non funzionanti. Solo nello scorso mese di maggio, dopo tanti anni, è stato riaperto il Campo Sportivo a cui i detenuti possono accedere una volta alla settimana per Sezione. Gli spazi destinati alla ricreazione all’aperto sono angusti e privi di aria in quanto chiusi tra più fabbricati adiacenti e l’unica forma di lavoro presente all’interno della Casa Circondariale di Paola, purtroppo insufficiente, è quella alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria. Inoltre, nonostante sia esistente una lavanderia, non è data la possibilità ai detenuti di usufruirne e tantomeno esiste una convenzione con una ditta esterna che garantisca ai detenuti, come previsto dalle norme vigenti, di poter lavare gli indumenti personali, con grave disagio, particolarmente per coloro che non hanno la possibilità di effettuare i colloqui familiari. Riguardo a questi ultimi, è stato segnalato, che si svolgono - dopo estenuanti attese - in delle sale che, oltre ad essere fatiscenti ed in condizioni indecorose, non sono conformi alle prescrizioni di Legge in quanto poiché vi è un muro divisorio in cemento armato e piccoli sedili in cemento. Tale situazione, ad avviso dei Deputati, appare gravemente lesiva dei legittimi diritti dei detenuti che non possono mantenere rapporti umani con le proprie famiglie e, soprattutto, con i bambini in tenera età. Pessime sarebbero anche le condizioni di manutenzione delle salette destinate ai colloqui con gli avvocati con finestre rotte ed infiltrazioni in caso di precipitazioni atmosferiche. I detenuti sono allocati in delle celle piccolissime, alcune sfornite addirittura di un pavimento decoroso, e costretti a rimanerci per ben 20 ore al giorno su 24. In molti casi, nella stessa cella, sono reclusi detenuti che scontano una condanna definitiva e detenuti in attesa di giudizio, senza che sia assicurata la separazione del condannati dagli imputati e non esistono neanche delle celle riservate ad ospitare detenuti non fumatori”. È stata anche denunciata “l’illecita attività di controllo notturno effettuata dalla Polizia Penitenziaria nelle celle dei detenuti” già censurata dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza su reclamo di Quintieri. Una ulteriore questione sollevata è la mancata approvazione del Regolamento di Istituto da parte del Ministero della Giustizia. Particolarmente disagiata sarebbe, anche, la condizione dei detenuti stranieri. “Non esistono mediatori culturali, non vengono concessi sussidi agli indigenti, non vengono accordati colloqui telefonici sulle utenze mobili a coloro che non hanno utenze fisse e molti di questi detenuti non conoscerebbero nemmeno la loro posizione processuale, in considerazione delle oggettive difficoltà linguistiche. Diversi detenuti stranieri avrebbero chiesto al Magistrato di Sorveglianza di ottenere l’espulsione come misura alternativa alla detenzione avendo da espiare una pena residua non superiore a due anni ma, a tali istanze, non sarebbe stata fornita alcuna risposta”. Evidenziata, infine, “una criticità nella effettiva funzione svolta dall’Ufficio di Sorveglianza che parrebbe non riuscire nell’applicazione piena e puntuale dei compiti che la Legge Penitenziaria gli affida”. Sulla base di tali premesse, i Deputati pentastellati, hanno chiesto “se e di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti rappresentati e se questi corrispondano al vero; quali siano i dati aggiornati del sovraffollamento facendo riferimento alla capienza regolamentare ed alle singole posizioni giuridiche dei detenuti; quanti siano i detenuti tossicodipendenti presenti e quanti quelli affetti da gravi disturbi mentali o altre gravi patologie di fatto incompatibili con lo stato di detenzione inframuraria; se sia noto quanti siano i detenuti che hanno usufruito della cosiddetta legge “Svuota Carceri” e quante siano le istanze in tal senso giacenti presso l’Ufficio di Sorveglianza ed allo stato non ancora evase e a cosa sia dovuto l’eventuale ritardo nel disbrigo degli atti; se sia noto quanti siano i detenuti stranieri che abbiano formulato istanza di espulsione come misura alternativa alla detenzione e quanti di questi siano stati effettivamente espulsi ed a quanti di loro sia stata invece negata la richiesta e per quali motivi; quale sia la cifra destinata ogni anno, negli ultimi cinque anni, alla manutenzione ordinaria e straordinaria della struttura; per quale motivo la biblioteca con annessa sala lettura, il teatro, la palestra e le salette interne ai reparti per la socialità siano chiuse e non funzionanti; se il Governo non ritenga di dover disporre con urgenza, il completo rifacimento delle sale destinate ai colloqui e se non ritenga di dover intervenire per assicurare la mediazione culturale per i detenuti stranieri; se sia stata data esecuzione alla “sorveglianza dinamica” e se la struttura sia stata ispezionata dalle Autorità Sanitarie Locali ed in caso affermativo a quando risalgano le visite e cosa sia emerso nelle loro relazioni ; con quale frequenza il Magistrato di Sorveglianza visiti i locali dove si trovano i detenuti ; quale sia l’organico ed il carico di lavoro dell’Ufficio di Sorveglianza di Cosenza e quali siano le ragioni di una inadeguata e carente attività dell’Ufficio Giudiziario; se siano giunte al Governo segnalazioni in merito alle condizioni in cui versa l’Istituto Penitenziario e sulla cronica carenza di personale di Polizia Penitenziaria ; quanti siano i detenuti che abbiano presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo contro lo Stato; se i Ministri interrogati ritengano o meno che vi siano state o vi siano in corso violazioni nei confronti dei diritti legittimi dei cittadini detenuti in contrasto con quanto previsto dalla Costituzione e se non ritengano doveroso ed opportuno disporre con urgenza delle mirate visite ispettive presso la Casa Circondariale di Paola al fin di avere un quadro più chiaro possibile della situazione esistente ed intervenire in maniera appropriata, tenendo in considerazione quanto segnalato”. “In breve tempo - conclude l’ecologista radicale Quintieri - il Guardasigilli Cancellieri - per conto del Governo - fornirà la risposta in Commissione Giustizia a Montecitorio in merito a tutto quanto richiesto”. Seguirà replica da parte dell’Onorevole Ferraresi anche a nome degli altri Deputati che hanno sottoscritto l’atto di Sindacato Ispettivo. Viterbo: detenuto al 41bis in attesa del giudizio tenta il suicidio, salvato dagli agenti di Pietro Comito Quotidiano della Calabria, 23 novembre 2013 Leone Soriano ha tentato di uccidersi impiccandosi con delle lenzuola attorcigliate nel carcere di Viterbo dove è detenuto sotto regime di 41bis in attesa del giudizio in corso presso il tribunale di Vibo Valentia. Soriano è considerato il capo di una delle cosche più attive e feroci del vibonese. Un cappio al collo con le lenzuola attorcigliate. Appigliato alle sbarre della cella, s’è lasciato cadere. Un suicidio sventato grazie al tempestivo intervento della Polizia penitenziaria. Leone Soriano, presunto boss dell’omonimo clan egemone a Pizzini di Filandari, ha tentato di togliersi la vita nella notte tra l’8 e il 9 novembre. In regime di custodia preventiva da due anni, è sottoposto al 41bis, nel supercarcere di Viterbo, sin dal gennaio del 2012. È imputato, con l’accusa di essere il presunto promotore di una delle consorterie ‘ndranghetiste più spavalde dell’entroterra vibonese, nel processo denominato “Ragno” il cui dibattimento viaggia spedito davanti al Tribunale di Vibo Valentia. Una relazione sul tentativo di suicidio è stata trasmessa dall’amministrazione penitenziaria al Tribunale di Vibo Valentia. Gli avvocati Diego Brancia e Salvatore Staiano - difensori di Leone Soriano, che avevano già inoltrato al ministro dell’Interno Angelino Alfano istanza di revoca della misura che sottopone l’imputato al carcere duro - informati dell’accaduto dal loro assistito hanno depositato la richiesta al collegio giudicante affinché venga nominato un consulente medico-legale chiamato pronunciarsi sulla compatibilità delle sue condizioni di salute con la detenzione. Tale richiesta, depositata nei giorni successivi al tentativo di suicidio, è stata corredata con alcune perizie - sia di parte, sia redatte da consulenti nominati da autorità giudiziarie diverse dal Tribunale di Vibo - dalle quali, rileva la difesa, si evince l’aggravio delle condizioni di salute del superdetenuto che sarebbe affetto da una grave forma di depressione. Leone Soriano, secondo le ulteriori contestazioni mosse a suo carico nel processo “Ragno”, sarebbe il mandante di una serie impressionante di estorsioni, consumate e tentate, attentati, danneggiamenti, violenze, intimidazioni e minacce. Verona: da detenuto a steward, col Progetto Esodo si può L’Arena, 23 novembre 2013 A Verona sono stati attivati 293 percorsi di inclusione lavorativa Fanno gli accompagnatori nei musei e a volte anche in Arena. Alessandro è felice: “Non avevo mai avuto un’opportunità simile”. Da qualche tempo, svolge un tirocinio all’Ulss 20. Ha un piccolo ufficio, una scrivania, e un computer in cui inserire un sacco di dati. Poi ci sono Domenico e Paolo. Fanno gli steward nei musei, a volte anche in Arena, con la casacca arancione del servizio al pubblico. Sentirsi dire dai visitatori “Scusi, un’informazione?” è strano, ma dà soddisfazione, perché per la prima volta la gente si affida a loro. Alessandro, Domenico, Paolo sono nomi di fantasia, ma persone vere di Verona. Magari è pure capitato di incontrarli e di parlarci, senza sapere ciò che realmente sono: carcerati. E ce ne sono altri. Fanno il pane e i pasticcini. Saldano il ferro. Montano le custodie per gli occhiali. Insomma lavorano, invece di passare l’intera giornata in ozio, in celle sovraffollate. Ciò è possibile grazie al Progetto Esodo, che dal 2011, negli istituti penitenziari di Verona, Vicenza e Belluno, promuove i “percorsi giudiziari di inclusione socio-lavorativa per detenuti, ex detenuti e persone in esecuzione penale esterna”. Ieri, al teatro Ristori, sono stati illustrati i risultati del primo triennio. La soddisfazione per l’esperienza è tale che partirà subito una seconda tranche. Nel Progetto sono stati investiti 5,4 milioni di euro, di cui 4,8 messi a disposizione della Fondazione Cariverona, con inoltre il sostegno delle Caritas diocesane delle città coinvolte e del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto. A Verona, dove 850 persone sono detenute nel carcere di Montorio, sono stati attivati 293 percorsi di inclusione lavorativa. E in particolare: 171 azioni di orientamento; un inserimento in laboratori occupazionali; 110 tirocini con durata media di 4-5 mesi e 11 contratti a tempo determinato di otto mesi. Si è insistito anche sulla formazione, con 30 corsi riconosciuti dalla Regione frequentati da 374 detenuti. Alla presentazione dei risultati sono intervenuti Giovanni Sala, vice presidente della Fondazione Cariverona; Giovanni Tamburino, capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria; Pietro Buffa, provveditore reggente per l’Amministrazione penitenziaria del Triveneto; Giovanni Maria Pavarin, presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia; e Franco Balzi, coordinatore interprovinciale del Progetto. “Chi ha in carico la gestione delle carceri d’Italia si trova purtroppo a dover fare i conti con i numeri. Numeri, soprattutto, che parlano di grave sovraffollamento, di 64mila detenuti sui 48mila posti disponibili”, ha spiegato Tamburino. “Il Progetto Esodo ha un’importanza decisiva perché si misura invece con le persone. Il lavoro è considerato, ormai in modo unanime, una delle misure migliori per ovviare alla pena detentiva standard, che andrebbe applicata solo per i reati più gravi”. Buffa ha aggiunto: “Far uscire i detenuti dalle celle per lavorare, ovviamente con le dovute precauzioni, è possibile. Smettiamo di credere che il carcere, così come lo conosciamo, sia una realtà immodificabile. Per l’imprenditore stesso, affittare uno spazio dentro l’istituto penitenziario e impiegare detenuti, significa avere minori costi di produzione e un ritorno in immagine sociale”. Si può sempre migliorare, ma la strada è quella giusta”, ha concluso Sala. “Per creare i laboratori occorre modificare le strutture del carcere, e spesso non è semplice. Tanto più occorre ringraziare l’amministrazione per il sostegno”. Salerno: la commissione Politiche sociali sposa la battaglia per i detenuti di Gaetano de Stefano La Città di Salerno, 23 novembre 2013 “Mio marito sta scontando un residuo di pena. Deve restare in carcere per altri 8 mesi, nonostante abbia una grave insufficienza respiratoria e sia costretto ad utilizzare l’ossigeno per sopravvivere”. La denuncia è di Michelina Marino, una dei tanti familiari di detenuti che, ieri mattina, hanno manifestato pacificamente di fronte all’ingresso del carcere di Fuorni. E la storia di suo marito, Luigi Sorrentino, è emblematica, in quanto descrive i paradossi di un sistema, come quello degli istituti carcerari italiani, che è sull’orlo del collasso. Perché il suo congiunto è recluso, per pagare il suo debito con la giustizia, a causa di una vecchia condanna e, a dispetto delle patologie invalidanti, non gli viene concesso, almeno fino ad ora, il beneficio dei domiciliari. E di “Sorrentino” nel carcere di Fuorni ce ne sono tanti altri, come evidenzia Donato Salzano, rappresentate salernitano dei Radicali, che ha organizzato il sit-in dinanzi all’istituto penitenziario. Una iniziativa che ha coinvolto parecchie persone, in particolar modo i parenti dei detenuti, che hanno firmato una sorta d’impegnativa per prendere parte allo sciopero della fame e chiedere l’amnistia e l’indulto. E, tra loro, anche Luciano Provenza, presidente della Commissione consiliare comunale per le Politiche sociali: “Stiamo cercando di tracciare una mappa del disagio, in base alle condizioni di salute dei detenuti all’interno del carcere, basandoci sulle testimonianze dei parenti”, ha commentato. Del resto la situazione del carcere di Fuorni è tra le più drammatiche, come sostiene Salzano. “Tra i reclusi - precisa il rappresentante radicale - la metà è in attesa di giudizio e la percentuale è tra le più alte d’Italia. All’interno della struttura sono ospitati più di 500 detenuti, a fronte di una capienza di 280 posti. Così capita che in una cella di 20 metri quadrati siano rinchiuse anche 10 persone”. Da questi presupposti parte la protesta, che ha carattere nazionale, che vuole anche impedire che l’Italia disattenda le prescrizioni della Corte di giustizia europea, che ha dato tempo fino al 28 maggio, per eliminare i trattamenti inumani nelle carceri. Rieti: spedizione punitiva in carcere, esplode una rissa tra i detenuti Il Messaggero, 23 novembre 2013 Non fu neppure necessario portarli in carcere, tanto si trovavano già ospiti del Nuovo Complesso di Vazia dove erano finiti per altri reati. Così, almeno per le procedure di arresto, fu possibile risparmiare tempo e personale. Ma prima, gli agenti penitenziari faticarono, e non poco, per riportare la calma tra quei detenuti che si lanciavano sgabelli, scambiandosi colpi proibiti e inseguendosi. Ieri mattina, dei dieci protagonisti della maxi rissa scoppiata all’interno della casa circondariale dopo una spedizione punitiva che fece finire all’ospedale due stranieri, in aula si sono presentati solo tre protagonisti (quelli che hanno sulle spalle periodi di detenzione più lunghi da scontare), mentre altri furono trasferiti e qualcuno, nel frattempo, è stato rimesso in libertà. Per tutti, però, è rimasta l’imputazione di rissa e al termine del processo, chi era stato scarcerato, rischia di tornare in carcere in caso di condanna. Per il momento non correrà questo rischio, visto che il dibattimento non è stato possibile neppure incardinarlo: i difensori di fiducia dei vari imputati non si sono presentati e così il giudice monocratico Enrica Ciocca si è vista costretta a nominare quelli di ufficio. Insufficienti quelli già presenti in aula per altri processi, è stato necessario rintracciarne alcuni e alla fine, composto il collegio difensivo con Antonella Aguzzi, Angela Boncompagni, Costanzo Truini, Luigi Gianfelice, Federico Fioravanti, Italo Carotti e Maria Rosa Sorrentino, c’è stato solo il tempo per fissare il rinvio a maggio 2014. Solo allora, si saprà (forse) perché italiani e stranieri se le diedero di santa ragione. Ma tutti sono pronti a scommettere, viste le regole che esistono in carcere, che tutti e dieci i detenuti hanno perso la memoria. Opera (Mi): mamma di Fabrizio Corona; mo figlio sta malissimo ma cerca di reagire La Presse, 23 novembre 2013 “Fabrizio sta veramente male. Soffre di una forma di depressione già diagnosticata prima dell’esperienza carceraria e confermata anche adesso da alcuni specialisti”. Queste le parole di Gabriella, madre di Fabrizio Corona, parlando dello stato di salute di suo figlio, detenuto da mesi nel carcere di Opera. Nell’intervista, esclusiva, rilasciata a Verissimo e in onda domani, 23 novembre, Gabriella racconta: “Fabrizio continua a sorprendermi. A volte lo vedo smarrito, ma subito dopo, riesce a tirare fuori una grande forza interiore. Di natura è un vincente, cerca di reagire. Ora ha scritto un libro di grande valore, che sarà pubblicato in gennaio. Nel libro, scritto sotto forma di lettere alle persone care, Fabrizio cerca di fare autoanalisi e racconta di come vorrebbe reinventarsi una volta uscito di prigione”. Qualche giorno fa Fabrizio Corona ha scritto una lettera alla redazione di Verissimo, in cui racconta il suo stato d’animo e le sue preoccupazioni. A Silvia Toffanin che le chiede di commentare quello che Fabrizio ha scritto, Gabriella risponde: “Il carcere non è il posto adatto dove uno come Fabrizio possa espiare le sue colpe. È una persona che ha commesso dei reati a causa di questa patologia di cui soffre e che non è stata curata adeguatamente, anche per un suo rifiuto. Dovrebbe scontare la sua pena in modo alternativo al carcere, perché il carcere non lo può salvare”. E sullo stato delle carceri italiane, dichiara: “Un paese democratico come l’Italia dovrebbe assolutamente provvedere affinché ci sia decoro nelle carceri. I diritti dell’uomo non possono mai essere violati, anche se si sono commessi reati gravi. In carcere i detenuti, come Fabrizio, non hanno la possibilità di recuperare, perché non ci sono i mezzi. Vivono in condizioni precarie e in uno stato di grave sovraffollamento, tema sul quale si è espresso anche il presidente della Repubblica. Infine, Gabriella racconta dell’incontro avvenuto tra Fabrizio Corona e suo figlio Carlos, che per la prima volta è potuto andare a trovare suo padre: “È stato un incontro bellissimo, Carlos saltava dalla gioia. Padre e figlio si sono manifestati a vicenda il loro infinito affetto. All’incontro era presente anche Nina Moric e Fabrizio è stato molto affettuoso anche con lei”. Busto Arsizio: al “fresco” per cinque minuti, la cella è in centro città www.varesenews.it, 23 novembre 2013 Inaugurata l’installazione che sarà a Palazzo Marliani Cicogna fino all’1 dicembre. Ad accompagnare i visitatori ci saranno studenti del Liceo Crespi e boy scout. Sono diversi gli aspetti positivi del progetto messo in piedi a Busto Arsizio sul carcere, ma uno di quello più evidenti è sicuramente questo: tutto è nato dai ragazzi. Sono stati infatti gli studenti del Liceo Crespi a iniziare l’anno scorso un percorso di educazione alla legalità che li ha portati prima a fare degli incontri a scuola, poi una visita in carcere e infine a partecipare all’installazione di una cella finta in centro città. Saranno proprio loro, insieme ai quattro gruppo di boy scout, ad accompagnare i visitatori e “chiuderli” per cinque minuti in una cella di dimensioni reali: pochi metri quadrati, due letti a castello, un piccolissimo bagno utilizzato anche come “cucina”. Con loro ci saranno anche un ex detenuto di Varese Roberto Cusumano e un detenuto di Busto Cabral Compasso che potrà partecipare grazie ai permessi. Sarà possibile visitarla fino all’1 dicembre in piazza Vittorio Emanuele. L’iniziativa fa parte del percorso conclusivo del progetto “Non solo accoglienza” iniziato tre anni fa da Enaip Lombardia, Associazione Vol.Gi.Ter, Cooperativa Intrecci, Fondazione Exodus e realizzato grazie al finanziamento di Fondazione Cariplo. “L’idea è nata per sensibilizzare e informare diversamente sul tema del carcere - spiega Sergio Preite di Enaip e Agente di rete -. Tutto questo non é frutto di un’anima sola, ma delle tante che compongono il mondo del carcere”. All’inaugurazione hanno partecipato infatti anche il sindaco di Busto Gigi Farioli, il presidente della commissione servizi sociali Mario Cislaghi, il direttore del carcere bustocco Orazio Sorrentini, la comandante degli agenti di Polizia penitenziaria Rossella Panaro, la presidente di Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna), la direttrice del Crespi Cristina Boracchi, i rappresentanti di tutti gli enti coinvolti nel progetto, volontari del carcere e della Caritas. “Troppo spesso -spiegano Ilenia Clasadonte e Caterina Scannapieco, studentesse del liceo - il carcere viene visto come qualcosa di estraneo e lontano. Il percorso fatto e soprattutto la visita all’istituto per noi sono stati illuminanti e per questo abbiamo deciso di trasmettere esperienza alla comunità di Busto Arsizio”. Lo stesso spirito anima i ragazzi dei gruppi Agesci di Busto (Busto 1, Busto 3; Busto 5; Legnano 9). ““Lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato” per noi non sono solo parole - spiega Carlo Maria Cattaneo -. Partecipare a questa iniziativa è un modo di sentirci parte di questa città”. I visitatori dovranno prima passare dalla “matricola”, farsi fotografare e lasciare i propri effetti personali. Poi saranno condotti nella cella e “chiusi dentro” per 5 minuti. “Pensiamo possa essere un’esperienza positiva - commentano Cusumano e Compasso fra una visita e l’altra - perché le persone all’esterno non si rendono conto di cosa voglia dire sopravvivere in carcere”. Intanto da oggi nascerà probabilmente un’altra iniziativa: Cislaghi proporrà infatti una seduta della commissione aperta a tutto il Consiglio comunale e i cittadini in cui verrà presentata anche la tesi di laura di Eleonora Turri dedicata alla sezione tossicodipendenti della casa circondariale di Busto. Un mondo, quello del carcere, con cui l’amministrazione sta già collaborando: un detenuto ha infatti lavorato per sei mesi in Comune e un altro inizierà al lavorarci grazie a un accordo con l’associazione Sol.Co. L’installazione delle cella è solo uno dei due eventi organizzati per la conclusione del progetto. Venerdì mattina si è infatti svolto un convegno sul ruolo della partner nel percorso rieducativo delle persone detenute. In allegato il video realizzato da Mauro Colombo nella realtà bustocca. Orari per visitare l’installazione: da venerdì 22 novembre a domenica 1 dicembre. Lu-Ve 9.30/16.30. Sa-Do: 10.30/17.30. Torino: sofferenza, speranze e voglia di riscatto, la vita del carcere raccontata online di Mauro Pianta La Stampa, 23 novembre 2013 Errori e passi giusti. Sofferenza, voglia di riscatto, storie di donne e di uomini nei quali ci si potrebbe specchiare. Vi siete mai chiesti quanta vita continui a pulsare dentro un carcere? Da qualche giorno è on line il nuovo sito (www.carceretorino.it) della Casa circondariale torinese “Lorusso e Cutugno” che qui tutti chiamano “Le Vallette”. Un sito che quella vita prova a raccontarla: in modo trasparente, senza scivolare nel buonismo, cercando di favorire il dialogo e l’incontro con il mondo oltre le sbarre. Perché come si legge nell’editoriale che presenta l’iniziativa firmato dall’ex direttore Pietro Buffa, dall’attuale direttore Giuseppe Forte e dalla vicedirettrice Francesca Daquino, il carcere è “una città dentro grande città, non la discarica umana di ciò che non va, da lasciare lì e dimenticare”. Il sito, realizzato con il contributo di Regione Piemonte (20mila euro), Compagnia di San Paolo (10mila euro), Politecnico di Torino e l’agenzia Sharp Consulting Comunicazione, è in realtà il restyling delle pagine web nate nel 2002. Pagine e grafica che adesso figurano completamente rinnovate. Nei giorni scorsi, presentando l’iniziativa durante una conferenza stampa, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Enrico Sbriglia, ha detto: “Questo è un mondo che deve essere visto da tutti. Non abbiamo bisogno di finzioni che sono solo un modo per rimuovere i problemi. Ben venga, quindi, uno strumento come questo che favorisce la contaminazione tra il dentro e il fuori”. Strumento, dunque, completamente rinnovato rispetto alla versione “statica” del 2002 e che verrà gestito da una task-force di educatori interni. Navigando si possono così scoprire notizie, curiosità, testimonianze, progetti, attività, presenze dei volontari, informazioni di servizio per familiari e avvocati. Tra le novità, le fotografie di Luigi Gariglio: “Ho chiesto ai detenuti - racconta - di lasciarsi immortalare così come avrebbero voluto essere visti, senza censure. Ognuno di loro doveva “regalarmi” solo tre parole che aiutassero a descrivere la loro esistenza e i loro desideri. Ne è venuta fuori una galleria di immagini particolarmente suggestiva”. E poi un altro grande regalo: un video girato dal regista Davide Ferrario. Il film-maker racconta la storia di Rodolfo Gottardo, detto Rudy. Un detenuto che gli è rimasto nel cuore dopo la sua partecipazione al film “Tutta colpa di Giuda”. E infine, le sezioni dedicate all’esperienza del lavoro in carcere. “Spesso - osserva ancora Sbriglia - le aziende non conoscono le opportunità e gli incentivi fiscali per chi investe in questo tipo di attività che naturalmente non significa, ci mancherebbe, sfruttare i detenuti. La scelta eticamente responsabile di un’impresa che decide di iniziare un’attività all’interno di un carcere, o di avviare al lavoro esterno un detenuto, ha importanti e positivi risvolti in vista del fine pena e del reinserimento sociale dei detenuti. Il suo prioritario valore aggiunto è la ricaduta positiva in termini di risposta al bisogno di sicurezza sociale, all’interno degli Istituti di Pena e, soprattutto, nel mondo libero. Difficilmente chi ha lavorato al’interno del carcere ed è aiutato a inserirsi nel mondo del lavoro una volta fuori di qui, tornerà ad essere ospite di un penitenziario”. Milano: al Teatro Menotti “Mercuzio non vuole morire”, con i detenuti-attori Asca, 23 novembre 2013 Torna in scena la Compagnia della Fortezza la più antica e celebre compagnia di detenuti-attori d’Italia. Sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre la Compagnia della Fortezza torna al Teatro Menotti di Milano con lo spettacolo evento “Mercuzio non vuole morire”. Nata all’interno del Carcere di Volterra la Fortezza è la più antica e celebre compagnia di detenuti-attori d’Italia. Conosciuta nel mondo per la forza e l’originalità di spettacoli di grande impatto emotivo, ne fanno parte attori che sono ormai celebrità, tra tutti Aniello Arena, il pluripremiato protagonista di “Reality” di Matteo Garrone. Quasi 50 attori in scena per portare sul palco, ribaltandolo e tradendolo, il classico dei classici: “Romeo e Giulietta” di Shakespeare. Al centro della vicenda per questa volta non ci saranno i due innamorati, ma Mercuzio, che sfuggendo alla trama della tragedia si rifiuta di morire, si rifiuta di smettere di sognare. L’opera, però, si propone anche come uno spettacolo interattivo nel quale il pubblico sarà coinvolto in prima persona. Agli spettatori, infatti, viene richiesto di portare due semplici oggetti che serviranno alla realizzazione di alcune scene collettive: un libro (che abbia un valore simbolico e rappresenti qualcosa di importante per la propria vita), un guanto rosso (di cotone, di lana o anche di gomma). Brasile: “Metodologia Apac”, il carcere senza guardie, così si recuperano i detenuti di Monica Ricci Sargentini Corriere della Sera, 23 novembre 2013 In Brasile ci sono tremila detenuti che vivono nelle carceri senza guardie penitenziarie e con le chiavi della cella in mano. Il sistema, inventato da un gruppo di magistrati brasiliani, cerca di evitare che la prigione diventi un’”università del crimine”, in cui il detenuto impara a commettere reati ancora più gravi. Questi centri di recupero sono gestiti dalle Apac (Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati) e l’effetto è sorprendente: il tasso di recidiva scende dall’85% fino al 10%, i costi si abbassano di due terzi, oltre a garantire ai “recuperandi” condizioni di vita dignitose e un più semplice reinserimento in società. Nel carcere tutti i lavorano e in giro ci sono posate, coltelli, martelli, strumenti musicali e altre cose che i detenuti del sistema ordinario non si possono nemmeno sognare. E del personale amministrativo fanno parte uomini e donne che nessuna barriera separa dai detenuti dei regimi aperto e semi-aperto. In questo video realizzato dall’Avsi, l’associazione volontari per il servizio internazionale, parlano i detenuti. I capisaldi del metodo Apac sono amore, fiducia e disciplina. I detenuti sono trattati come persone, ma sono anche responsabilizzati per quello che avviene all’interno della struttura. In caso di infrazioni gravi, come la fuga o l’introduzione di droga o alcolici o telefoni cellulari individuali, aggressioni e furti, a pagare sono tutti i detenuti del regime in cui avviene l’illecito, che si vedono negare privilegi relativi alle telefonate, alle visite familiari e ad altro. Il singolo colpevole viene rispedito per sempre nel sistema comune. La tesi è che per recuperare il detenuto occorre far riemergere l’umano che è in lui, sepolto sotto tante cose delle quali il delitto per cui è stato condannato è la più pesante. Schiacciato dalla colpa, un uomo non si redime e non si recupera. Se si comincia togliendo quel peso, tutto diventa possibile. Perfino accettare di convivere con quelli che nelle altre prigioni sono gli unici detenuti segregati per non finire linciati: i condannati per stupro e per pedofilia. Ora Brasile e Italia hanno deciso di collaborare attraverso il Programma europeo Euro Social per migliorare i propri sistemi penitenziari e mettere in comune le proprie eccellenze. Da una parte il modello delle cooperative sociali che valorizzano il lavoro dignitoso e produttivo nelle unità carcerarie dall’altra l’esperienza Apac. A questo scopo venerdì prossimo, il 29 novembre, Avsi che da anni sostiene in Brasile l’esperienza Apac, la Cooperativa Giotto, esempio in Europa in tema di lavoro nel carcere, promuovono un incontro in Senato il 29 novembre con i rappresentanti delle istituzioni e i fautori della “Metodologia Apac”. Obiettivo: mettere a punto dispositivi per una detenzione efficace anche in Italia, da inserire nel nuovo “piano carceri” sul modello delle Apac e aprire un confronto sui temi di efficacia e dignità delle pene. Potrà essere questa un’alternativa al sovraffollamento delle carceri? È praticabile? La domanda merita una risposta. Corea Nord: arresto cittadino Usa 85enne; veterano guerra, era nel Paese con gruppo turisti Ansa, 23 novembre 2013 La Corea del Nord, tramite dei funzionari del governo svedese, ha confermato di aver arrestato un cittadino statunitense di 85 anni, ex veterano della guerra di Corea. Lo afferma il Dipartimento di Stato Usa, spiegando come l’ambasciata svedese a Pyongyang ha richiesto alle autorità locali di poter vedere il detenuto. L’uomo fermato si chiama Merrill Newman, pensionato californiano, e si trovava in Corea del Nord insieme alla sua famiglia con un normale visto turistico. È stato prelevato dall’aereo a bordo del quale stava tornando negli Stati Uniti.