Giustizia: le riforme per superare la burrasca politica, si parte dal piano carceri di Sara Menafra Il Messaggero, 22 novembre 2013 La burrasca non è finita, visto che i Cinque stelle hanno presentato la mozione di sfiducia anche al Senato, Renzi continua ad attaccare e si parla di nuovi documenti giudiziari sulle telefonate tra Antonino Ligresti e suo marito. Ma per uscire dall'angolo il ministro Annamaria Cancellieri prova a puntare sul merito dei provvedimenti che ha messo in cantiere per i prossimi mesi. Progetti che intende chiudere il prima possibile, dando due segnali tutti politici: il primo al Partito democratico, visto che il segretario Guglielmo Epifani nel suo intervento ha chiesto un segnale nel "merito" delle politiche sulla giustizia. E il secondo per dare un significato al suo mandato, che le permetta in qualunque momento di decidere sul da farsi senza avere la sensazione di lasciare il lavoro a metà. Il processo civile Come prima cosa ieri ha deciso di provare a spegnere i riflettori da un mese costantemente accesi su di lei. Nessun appuntamento pubblico e annullata, all'ultimo, anche la partecipazione ad una presentazione di un libro prevista nella sede della biblioteca del Senato. Poi c'è l'agenda delle cose da fare in tempi rapidi. Già nel collegato alla legge di stabilità, il primo segnale del ministro Cancellieri potrebbe arrivare sul processo civile, con alcuni interventi relativi all'esecuzione forzata e al miglioramento del rito sommario, nell'ottica della velocizzazione dei procedimenti. Entro due o tre settimane, dovrebbe essere pronto il Piano carceri. Un progetto complesso, che tocca argomenti diversi. L'idea è di intervenire sull'affidamento in prova e sull'aumento dei domiciliari, ma in modo da non sovrapporsi ai testi già in discussione alla Camera. Poi la modifica alla Bossi Fini che dovrebbe ridurre drasticamente il numero degli ospiti dei Cie stabilendo che gli immigrati in carcere siano identificati durante la detenzione e non dopo, come avviene attualmente, quando i detenuti passano di fatto un nuovo periodo di carcerazione solo per essere identificati ed espulsi. Quindi, una modifica della legge Fini- Giovanardi, in modo da incidere sulle aggravanti previste per il piccolo spaccio e quindi, ma con un intervento sui regolamenti, l'idea di tenere le celle aperte per un numero maggiore di ore di quello attuale. Il Garante dei detenuti Infine, anche alla luce del caso che ha portato ad una così lunga polemica sul suo nome, il Guardasigilli vorrebbe lavorare all'istituzione di un Garante nazionale per i detenuti. Se un ente del genere fosse esistito, la segnalazione che ha ricevuto a proposito delle gravi condizioni di salute in cui si trovava Giulia Ligresti sarebbe dovuta passare attraverso le mani del Garante. E non ci sarebbe stato nessun sospetto. Giustizia: pronto un nuovo decreto contro il sovraffollamento carcerario di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 22 novembre 2013 Riottenuta la fiducia della Camera - la seconda in quindici giorni, questa volta formale, ma non è certo un segnale di forza - Annamaria Cancellieri si sforza di mostrarsi ottimista: "Dimostreremo con i fatti di meritare l'esito di questo voto". Poi però, appena uscita da Montecitorio, arrivano le notizie sul verbale milanese di Salvatore Ligresti che sostiene di averla segnalata a suo tempo a Berlusconi, quand'era ancora prefetto, perché non fosse trasferita dalla sede di Parma. Una stilla di veleno costruita su una "inutile millanteria", si ribella il ministro della Giustizia. Che attacca: "È una follia, mi chiedo chi c'è dietro una simile strategia". Evitate le dimissioni grazie al Partito democratico che s'è adeguato alla richiesta del presidente del Consiglio Letta di salvaguardare il ministro (e il governo) dalla mozione grillina, la Guardasigilli si trova immediatamente di fronte a un altro attacco. Ancora una volta fa vedere di non voler indietreggiare: "Io vado avanti per la mia strada - dice - ma mi domando a chi giovano queste manovre, e dove vogliono arrivare". La dietrologia, però, non trova risposte, e così non le resta che proseguire col suo lavoro. Del resto è ciò che ha chiesto ai deputati, e ciò che le è stato concesso. Anche se quella strada è accidentata. Più di prima. La stessa Cancellieri ne è consapevole. Per via del Pd che non ha smesso di tenerla sotto osservazione, anzi; il segretario Epifani le ha chiesto di "dimostrare con i fatti" che nel "caso Ligresti" non ci sono stati favoritismi, e che qualunque "senza voce" sia messo in condizione di "farle una telefonata". Per tutta risposta, al bar di Montecitorio il ministro ricorda che l'ipotesi di istituire un "numero verde" a disposizione di chi voglia denunciare situazioni critiche di detenuti o altre vittime del cattivo funzionamento della giustizia "è una buona idea, alla quale stavamo già pensando". I suoi collaboratori annuiscono, ma pure loro sanno che soluzioni immediate e generali non esistono. Non c'è nessuna bacchetta magica che possa far superare all'improvviso l'emergenza; non a caso il presidente Napolitano aveva ipotizzato il ricorso straordinario ad amnistia e indulto. Inoltre il nodo posto dai democratici è politico, e quando arriverà Matteo Renzi alla segreteria potrebbe riproporsi con maggiore insistenza. Col braccio destro al collo ancora dolorante dall'ultima operazione, Cancellieri ha provato a sfoggiare determinazione e fermezza. Guardava in faccia i deputati dei Cinque Stelle che volevano "mandarla a casa", quando respingeva "con assoluta fermezza i sospetti di un'odiosa giustizia di classe" dietro la scarcerazione di Giulia Ligresti; o mentre denunciava "congetture inaccettabili" su alcune frasi della telefonata con la compagna di Salvatore Ligresti. Ma non è servito a granché. Un deputato grillino torna ad apostrofarla come "il ministro che fa scarcerare gli amici", e lei allarga sconsolato il braccio che può muovere liberamente. Come dire che ogni altra spiegazione sarebbe inutile. Meglio allora, per dare un senso a quel che sta accadendo, tornare ai decreti e ai disegni di legge che la responsabile della Giustizia intende presentare fin dal prossimo consiglio dei ministri. Oggi chiederà al governo di approvare le direttive sulle traduzioni degli atti processuali e l'uso degli interpreti per gli imputati stranieri, nonché in materia di pedo pornografia e tratta degli esseri umani, necessarie ad adeguarsi alla normativa europea. Servono a evitare le procedure di infrazione che possono tramutarsi in condanne e sanzioni. La prossima settimana, invece, dovrebbe essere la volta di un decreto-legge utile ad alleggerire il sovraffollamento carcerario. Le misure con effetto immediato saranno l'allungamento da tre a quattro mesi di liberazione anticipata per ogni anno di detenzione scontato e la reiterazione - facendola diventare definitiva - della legge che consente di trascorrere agli arresti domiciliari l'ultimo anno e mezzo di pena. A chi è detenuto a casa sua per una pena fino a 4 anni, sarà data la possibilità di accedere all'affidamento in prova ai servizi sociali, al fine di incentivare il rispetto delle prescrizioni. Infine, il decreto modificherà la legge Fini-Giovanardi sulla droga al quinto comma dell'articolo 73. La norma che regola le pene per la produzione, il traffico e la detenzione di stupefacenti diventerà autonoma, con un abbassamento della pena massima da 6 a 5 anni di prigione, in modo da rendere effettive le attenuanti e resti la possibilità di limitare o evitare l'ingresso in carcere. Infine il ministero ha pronto un disegno di legge che dovrebbe facilitare l'accesso ai riti alternativi (patteggiamento e abbreviato), riducendo la possibilità dei ricorsi in Cassazione e accelerando i tempi dell'udienza preliminare. Questo nell'ottica di affrontare la "durata irragionevole dei processi" denunciata anche ieri dalla Cancellieri, mentre sulla riforma della carcerazione preventiva il governo interverrà con propri emendamenti nella discussione della riforma già in corso alla Camera. Anche con queste misure - che non sono un toccasana, ma si spera che abbiano effetto nel breve e medio termine - la Guardasigilli "rifiduciata" proverà a dimostrare che il voto incassato ieri può servire a qualcosa. Giustizia: dopo i tabulati telefonici... la politica discuterà anche del piano-carceri? di Antonio Polito Corriere della Sera, 22 novembre 2013 Bisognerà mettersi d'accordo sugli standard di moralità pubblica, se vogliamo uscire dall'incubo di questo ventennio. Gli italiani non ne possono più dei livelli record di corruzione, favoritismo e nepotismo; ma il mondo politico è diviso sulle sanzioni. A un estremo ci sono quelli che perdonerebbero tutti per condonare se stessi; all'altro i Torquemada che condannerebbero chiunque pur di guadagnarsi il favore popolare. In mezzo c'è il Pd. Come dimostra il caso Cancellieri, la linea di frontiera passa di lì. E non è solo frutto di tatticismo, Renzi che vuole fare le scarpe a Letta, Cuperlo che vuole farle a Renzi, più una pletora di personaggi minori in cerca di fama. C'è qualcosa di più profondo. Una deputata democratica confessava qualche giorno fa il suo imbarazzo: "Mia madre mi ha detto che se salviamo la Cancellieri non ci voterà mai più. Mio marito mi ha detto che non ci voterà più se l'abbandoniamo". È questa incertezza sui principi a spiegare perché il Pd assomigli sempre più a un'agorà e sempre meno a un partito, una piazza dove tutti votano a piacere e molti obbediscono a impulsi esterni. In quale altro partito il segretario avrebbe rinunciato a presentarsi con una sua proposta all'assemblea che doveva decidere sulla sfiducia? C'è dovuto andare il presidente del Consiglio, per ricordare a tutti che se un partito al governo vota con l'opposizione contro il governo, non c'è più il governo. Civati l'ha definito un "ricatto", ma è l'Abc della politica. Bisogna dunque cercare criteri per giudizi rigorosi ma equanimi, sottratti alla faziosità di quella lotta politica che, anche in assenza di atti giudiziari, non esita a sfruttare brogliacci di polizia, fughe di notizie, voci. La prima regola è che i fatti contano più delle parole. Dopo quella telefonata - durante la quale il ministro non ha parlato come un ministro - la Cancellieri compì atti contrari ai propri doveri d'ufficio? Secondo la Procura, secondo i vertici del sistema penitenziario, e da ieri secondo il Parlamento, non li ha compiuti. Si fanno spesso paragoni con Paesi più virtuosi ed esigenti, dove i ministri si dimettono per non aver regolarizzato una colf o per aver copiato a un esame. Ma in Paesi con telefoni meno intercettati, la sanzione politica riguarda pur sempre atti effettivi, accertati, gli unici su cui può giudicare l'opinione pubblica. Sui peccati compiuti con pensieri e parole si risponde solo in confessionale, o alla propria coscienza. Anche nel diritto penale le intercettazioni sono considerate uno strumento di ricerca della prova, non la prova. Seconda regola aurea: l'indignazione non può essere a corrente alternata. Faceva ieri un certo effetto vedere Montecitorio che si dilaniava sulle telefonate della Cancellieri e non sulle responsabilità della tragedia in Sardegna. Nei famosi "Paesi civili" sempre invocati, ci si dimette per una mancata prevenzione o un tardivo soccorso. Da noi ormai si accetta un disastro ambientale all'anno come una fatalità. Non è anche questo uno standard inaccettabile di moralità pubblica? Coloro che imputano alla Cancellieri di aver trascurato gli altri detenuti per favorirne una, sono gli stessi che (Grillo e Renzi in testa) si opposero all'amnistia proposta dal ministro per alleviare la scandalosa condizione di tutti i detenuti italiani. Quando avrà finito con i tabulati telefonici, la politica discuterà con la stessa passione del piano-carceri? Giustizia: polemiche su diritti dei detenuti sia opportunità revisione intero sistema di Laura Coccia, Valentina Paris, Fausto Raciti Il Velino, 22 novembre 2013 "Chiediamo al Governo di verificare, attraverso accurate indagini, se il trattamento sanitario riservato nelle carceri interpreti le leggi previste dallo Stato e i dettami della Costituzione". "Dopo giorni di discussione sui diritti umani nelle carceri e sulla legittimità dell'intervento della Cancellieri nel caso Giulia Ligresti, vogliamo segnalare una serie di casi drammatici, tra i quali alcuni osservati durante recenti visite a Poggioreale e a Rebibbia, che esigono interventi immediati". Lo hanno dichiarato i deputati Pd Laura Coccia, Fausto Raciti e Valentina Paris in un'interrogazione dove sottolineano "le terribili condizioni di salute di alcuni detenuti nei confronti dei quali nessuno ha sentito il dovere e l' urgenza di intervenire con atti di umanità e chiedono al Governo di verificare, attraverso accurate indagini, se il trattamento sanitario riservato nelle carceri interpreti le leggi previste dallo Stato e i dettami della Costituzione". "Chiediamo alla Cancellieri - continuano i deputati Pd - di verificare se anche per i casi a lei segnalati sia opportuno un suo immediato intervento presso il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. La vicenda incresciosa legata alle sorti di Giulia Ligresti - concludono - sia almeno utile ad accendere un faro sulla situazione carceraria, a un'attenzione maggiore verso chi soffre a causa dello stato di salute. Impediamo le attuali disparità di trattamento, la vergognosa condizione di alcune delle nostre carceri impone una revisione dell'intero sistema". Il testo dell'interrogazione Interrogazione a risposta scritta al Ministro della Giustizia, per sapere, premesso che: l'articolo 27 della nostra Costituzione stabilisce che: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità; la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha inflitto all'Italia una condanna stabilendo che il nostro Paese viola sistematicamente i diritti dei detenuti; questa, come ha affermato il Presidente Napolitano, rappresenta "una mortificante conferma della incapacità del nostro Stato di garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena". l'Italia era stata già condannata quattro volte a causa delle cattive condizioni di detenzione accusata per aver violato l'articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani che sancisce che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e, secondo la Corte, il nostro Paese è venuto meno ai suoi obblighi "per inerzia e mancanza di diligenza"; tra le richieste europee inviate all'Italia vi è anche quella di dotarsi di un sistema di ricorso interno che dia modo ai detenuti di rivolgersi ai tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di vita nelle prigioni e avere un risarcimento per la violazione dei loro diritti.. Le nostre carceri, infatti, non rispettano alcuno dei parametri previsti dalla Corte costituzionale italiana, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea; gli istituti di pena, inoltre, mostrano preoccupanti e inaccettabili carenze dal punto di vista strutturale: mancanza di spazi vitali, fatiscenza degli edifici, inammissibili condizioni igienico-sanitarie; il Parlamento Europeo, già nel 2011, con la Risoluzione 15 dicembre, n. 2897 sollecitò gli Stati membri ad adottare urgenti misure per garantire il rispetto e la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, in particolare i diritti delle persone vulnerabili; tra le priorità indicate si segnala, in particolare, garantire che siano rispettati i diritti fondamentali dei detenuti, compreso il diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti; in tale sconfortante quadro il diritto alla salute delle persone detenute rischia fortemente vuoti di tutela; molti, infatti, sono i casi di persone ristrette in carcere che versano in condizioni di salute estremamente gravi; nel IX rapporto di Antigone sulla condizione di detenzione nelle nostre carceri viene ampiamente e dettagliatamente descritta la situazione di sofferenza in cui vivono i reclusi; in particolare vi sono alcuni casi che meriterebbero il massimo dell'attenzione; si segnalano i casi di Vito Manciaracina, 78 anni, condannato in via definitiva all'ergastolo, detenuto presso il Centro Clinico del carcere di Bari è affetto da paralisi degli arti inferiori, epilessia e demenza senile; sul sito www.repubblica.it, in data 10 aprile 2012, è stata riportata la notizia riguardante le sue drammatiche condizioni di salute; secondo Alberto Custodero, autore dell'articolo, si tratta del "carcerato in peggiori condizioni di salute di cui si abbia notizia in Italia"; ad evidenziare le disumane condizioni di detenzione di Manciaracina, si legge nell'articolo, è "una consulenza medico legale, al di sopra di ogni sospetto in quanto disposta dal tribunale di Sorveglianza di Bari. Tuttavia, nonostante quella perizia descriva un quadro clinico drammatico, i magistrati continuano a trattenerlo in cella, negandogli, inspiegabilmente, i domiciliari. E lasciandolo, di fatto, in uno stato di detenzione ai limiti della dignità umana: immobilizzato a letto con il pannolone, in stato confusionale, in preda a crisi epilettiche, in condizioni igieniche precarie." il 7 novembre scorso, la Procura della Repubblica ha chiesto il rigetto dell'istanza di sospensione della pena o di trasferimento in un'idonea struttura sanitaria; Brian Gaetano Bottigliero, 25 anni, condannato in primo grado a nove anni di reclusione, detenuto nel carcere romano di Regina Coeli soffre di un'insufficienza renale cronica; in due anni di detenzione il peso del condannato è sceso dagli 83 ai 63 chili; in attesa di un trapianto di rene, è sottoposto a dialisi tre volte alla settimana; le richieste di termine o quantomeno di attenuazione delle misure cautelari, sono state rigettate dal magistrato competente perché sussisterebbe a suo carico un pericolo di fuga; Vincenzo Di Sarno, 35 anni, condannato in via definitiva, detenuto nel carcere napoletano di Poggioreale è affetto da un tumore al midollo spinale. Gli è stata rigettata l'istanza di scarcerazione per incompatibilità con lo stato detentivo; inoltre, l'8 novembre scorso è morto nel carcere di Poggioreale il detenuto Federico Perna di 34 anni. Era recluso nonostante avesse bisogno di un trapianto di fegato e le sue condizioni di salute fossero state dichiarate incompatibili con la vita carceraria; su tale vicenda è stata aperta un'inchiesta con l'ipotesi di omicidio colposo; negli ultimi mesi è deceduto nel carcere di Regina Coeli Danilo Orlandi, di 31 anni, i risultati dell'autopsia sul suo corpo indicano come causa della morte sia stata una polmonite non diagnosticata che sarebbe stata curata con una semplice aspirina ed, inoltre, come ha riferito il senatore Luigi Manconi presidente della Commissione a tutela dei diritti umani, "gli esami tossicologici hanno evidenziato una presenza non spiegata di benzodiazepine". questi sopradescritti rappresentano solo alcuni dei gravissimi episodi che si verificano nelle nostre carceri in cui si manifesta una stridente e crudele incompatibilità tra condizione patologica e reclusione in cella; essi, indicano, altresì una grave disparità di trattamento tra detenuti, alla luce degli ultimi fatti di cronaca che hanno coinvolto il Ministro interrogato in merito al caso della scarcerazione di Giulia Ligresti; tali fatti, inoltre descrivono la drammatica situazione dell'assistenza sanitaria in carcere; se sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa; se non ritenga di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario riservato ai detenuti in questione abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione; quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di garantire ai detenuti in questione il proprio fondamentale diritto alla salute. Giustizia: Grasso (Senato); chiusura degli Opg nel 2014, un traguardo ancora lontano Redattore Sociale , 22 novembre 2013 Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, nel corso dell'incontro con una delegazione di "Stop Opg", in Sala Caduti di Nassiria. "Il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari è ancora oggi previsto dal Codice penale. Resta ancora molto da fare perché la sicurezza e la salute delle persone coinvolte siano tutelate in maniera concreta ed effettiva". "Il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari, disciplinato per la prima volta da una legge del 1904, è ancora oggi previsto dal Codice penale come misura di sicurezza. Tuttavia, le condizioni di degrado, le carenze delle strutture, nonché le pessime condizioni di vita dei malati al loro interno, attestate anche da un'indagine parlamentare, hanno fatto sì che iniziasse un processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari". Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, nel corso dell'incontro con una delegazione di "Stop Opg", in Sala Caduti di Nassirya, in occasione anche della tappa, nei pressi di palazzo Madama, di "Marco Cavallo", nel suo viaggio in tutta Italia organizzato da Stop OPG per chiedere la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Grasso sottolinea poi che "la chiusura delle strutture, decisa nel 2011, è a oggi fissata al 1 aprile 2014. Eppure, il traguardo è ancora lontano. Resta ancora molto da fare perché la sicurezza e la salute delle persone coinvolte siano tutelate in maniera concreta ed effettiva. È necessario un diverso approccio alla malattia mentale, che sposti gli obiettivi dell'intervento pubblico dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali di assistenza". Per completare l'iter, aggiunge, "è necessaria una riforma legislativa, ma serve anche un previo, approfondito confronto con Governo, Regioni, Enti Locali e mondo del volontariato. È questo il percorso più corretto per definire le misure alternative alla detenzione e i percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale delle persone oggi ancora presenti negli Opg, stabilendo quali strutture specializzate, nell'ambito dei servizi di salute mentale, dovranno accoglierle e curarle. Non possono i pazienti continuare a pagare per le difficoltà e le lentezze delle Istituzioni". "Il viaggio di Marco Cavallo- conclude Grasso - è un'occasione importante per parlare di questo, per evitare che la terribile condizione in cui si trovano i malati si protragga ancora nel tempo. Grazie, dunque, a Stop Opg e a tutti i miei colleghi che hanno sostenuto questa iniziativa". Giustizia: Marco Cavallo al Parlamento, si accende dibattito sulla chiusura degli Opg Ansa, 22 novembre 2013 "Non è detto che il ritardo nella chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sia una cosa negativa, perché ci obbliga a riflettere se quella trovata, sia la soluzione migliore". È quanto sostiene, in merito alle proroghe intervenute a posticipare la chiusura delle strutture in cui sono internati malati psichiatrici che hanno commesso reati, Peppe Dell'Acqua dell'associazione Stop Opg, promotrice del viaggio per l'Italia di Marco Cavallo, il grande cavallo di cartapesta azzurra diventato simbolo della chiusura dei manicomi. "Nei sei Opg presenti in Italia - ha detto Dell'Acqua, psichiatra già allievo di Franco Basaglia, durante l'incontro di oggi a Palazzo Madama con il Presidente del Senato Pietro Grasso e con i senatori della Commissione Sanità - si è passati da 1400 pazienti del 2010 ai circa 1000 attualmente presenti. Dove sono finiti gli altri 400? Dentro progetti con cooperative e associazioni". Questo vuol dire, ha aggiunto, "che è possibile ridurne il numero anche senza costruire necessariamente nuove strutture", come prevede oggi la legge. E a poter già uscire sarebbero già quasi il 40% delle persone internate. Tanti sono quelli "in proroga di misure di sicurezza, ovvero dichiarati non più pericolosi socialmente e pronti ad andar via, ma condannati a restare dentro in attesa che qualche struttura possa prendersene carico". Ad auspicare la presa in carico da parte di servizi di salute mentale presenti sul territorio, al posto di strutture specificamente destinate, sono anche i famigliari degli internati. "La 180 è la legge della dignità e non va toccata. Per questo non vogliamo mini-Opg ma l'inclusione sociale", ha detto la presidente dell'Aresam, Associazione Regionale Salute Mentale Anna Maria De Angelis. "Non vogliamo che gli Opg vengano sostituiti da strutture belle e accoglienti, ma che corrispondano a cliniche. Vorrebbe dire ancora una volta espulsione e condanna all'isolamento. Ma per far questo - conclude De Angelis - bisogna superare lo stigma e il pregiudizio". Cecconi (Cgil). mancano percorsi cura ex manicomi giudiziari "Gli Ospedali psichiatrici giudiziari vanno chiusi e aboliti perché sono una risposta sbagliata e incivile, come lo erano i manicomi". A chiederlo è il responsabile Salute della Cgil Nazionale e membro del Comitato Stop Opg, Stefano Cecconi, intervenuto oggi, al Senato, all'incontro organizzato in occasione della tappa romana del viaggio di Marco Cavallo, il cavallo in cartapesta che quaranta anni fa sfondò il muro di cinta del manicomio di Trieste, diventando simbolo della rivoluzione basagliana. Mancano però, afferma, percorsi di cura alternativi. "Il viaggio di Marco Cavallo lancia una allarme, sul fatto che non si stanno organizzando percorsi di cura individuale per gli internati, ma solo costruendo strutture che dovrebbero internare cittadini invece che inserirli in servizi sul territorio", ha aggiunto a margine Cecconi in riferimento a quelli che il comitato chiama mini-Opg o manicomi regionali, la cui realizzazione, secondo quanto disposto dalla legge che prevede la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, è in capo alle Regioni. Partito da Trieste, e passato per Torino, Genova, Quarto, Livorno, Palermo, Barcellona Pozzo di Gotto, Napoli e Aversa, il cavallo azzurro riparte oggi verso l'Aquila. Seguiranno tappe a Montelupo, Firenze, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Limbiate e Milano. Concluderà il suo viaggio tornando a Roma, prima della relazione annuale sul processo di superamento degli Opg, che il Ministero della Salute è tenuto a presentare al Parlamento entro il prossimo 30 novembre. D'Ambrosio Lettieri (Pdl): serve monitoraggio su attività Regioni "Il processo di progressivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è stato stabilito nella precedente legislatura con la legge 17 febbraio 2012, n. 9. A quella legge siamo arrivati dopo un laborioso lavoro svolto dalla Commissione d'inchiesta sul sistema sanitario nazionale che visitò, attraverso la grande responsabilità dei suoi componenti, le sedi dei manicomi criminali e le fotografie che furono scattate in quelle sedi rappresentano una delle più profonde ferite che si siano registrate nella storia della nostra democrazia e della stessa nostra civiltà. Una vergogna, insieme al sovraffollamento carcerario". Lo afferma Luigi D'Ambrosio Lettieri, capogruppo Pdl-Fi nella Commissione Igiene e Sanità del Senato, a margine dell'incontro organizzato stamane nella sala Caduti di Nassiria a Palazzo Madama dall'associazione "Stop Opg". "Per questo mi auguro che la data di chiusura degli Opg, spostata al 1 aprile del 2014 e individuata come termine ultimo per gli adempimenti necessari non venga ulteriormente differita e si effettui, da parte del Ministero, un particolare monitoraggio sulle attività che svolgeranno le Regioni in merito agli aspetti di propria competenza, soprattutto in relazione a quali strutture specializzate alternative ai manicomi accoglieranno i pazienti, ai programmi per la cura ed al loro reinserimento sociale - prosegue. La Corte costituzionale ha affermato che mai le esigenze di tutela della salute della collettività avrebbero dovuto o potuto giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute dei pazienti. Sulla base di questa considerazione e, soprattutto, sulla base del lavoro svolto dalla Commissione, il Presidente della Repubblica, nel messaggio di augurio di fine anno 2012, ricordò che "i manicomi criminali sono un autentico orrore, indegno di un Paese appena civile". La malattia mentale che in determinati casi può rappresentare un elemento di elevata pericolosità per la sicurezza delle altre persone e della comunità non può giustificare in alcun modo pratiche disumane. E in generale, così come ci ha insegnato il grande Franco Basaglia, la malattia mentale deve trovare strumenti di cura e percorsi di recupero nel pieno rispetto della persona - conclude D'Ambrosio Lettieri. Per arrivare ad un risultato concreto, però, è necessario che davvero ognuno faccia la propria parte e che si mantengano accesi i riflettori su questo problema, così come contribuisce a fare il simbolico, coraggioso e fortemente significativo viaggio di Marco Cavallo in tutta Italia. Il nostro obiettivo è che questa scultura di cartapesta azzurra diventi il simbolo di una guerra vinta. Definitivamente". Dirindin (Pd): Regioni poco attente a ex manicomi giudiziari "Le Regioni appaiono purtroppo piuttosto disattente rispetto al problema della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Capisco che debbano confrontarsi con grandi problemi economici, ma è proprio programmando un percorso degli internati nelle strutture di salute mentale presenti sul territorio che si potrebbero risparmiare soldi oltre che offrire a queste persone una migliore qualità di vita". È quanto ha detto la senatrice del Pd Nerina Dirindin, membro della commissione Igiene e Sanità del Senato, a margine dell'incontro organizzato presso la sala dei Caduti di Nassiria a Palazzo Madama dall'associazione Stop Opg. "Ovviamente non è un percorso rapido ma va almeno intrapreso. Vogliamo pensare che il viaggio di Marco Cavallo attraverso l'Italia - ha concluso Dirindin, riferendosi alla scultura di cartapesta azzurra, diventata simbolo della chiusura dei manicomi, e in questi giorni in tour per riportare l'attenzione sul tema della chiusura della salute mentale - renda più consapevoli gli enti locali, le istituzioni, le aziende sanitarie e la magistratura, della necessità di rispettare le persone internate, costrette a vivere in condizioni disumane". De Biasi (Pd): linee guida ministero su ex manicomi giudiziari Un appello "alle Regioni, affinché collaborino di più fra di loro" e uno "al ministero che ne coordini l'operato con precise linee guida", che indichino la via per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. È quello che arriva dalla presidente della commissione Igiene e Sanità del Senato, Maria Grazia De Biasi (Pd), intervenuta stamani all'incontro con l'associazione ‘Stop Opg' presso la sala Caduti di Nassiriya di Palazzo Madama. "Confido nel fatto che il ministero della Salute emani al più presto linee di indirizzo più chiare dal punto di vista dell'organizzazione dei servizi, su come attuare questo percorso" perché "le Regioni non possono essere 21 staterelli diversi". "Queste ultime, d'altro canto, dovrebbero attivarsi maggiormente e coordinarsi fra loro", ma anche, aggiunge, accettare quanto prima l'invito della commissione XII a confrontarsi sul tema degli Opg. "Audiremo l'associazione Stop Opg in commissione XII" ha spiegato De Biasi. Quindi una riflessione su quella che dovrebbe essere l'alternativa agli Opg: "Non un problema da consegnare alla reclusione ma da superare grazie all'inclusione nel tessuto sociale". Il rapporto dei pazienti con il territorio - ha concluso - è fondamentale, altrimenti si rischia di elevare di nuovo muri abbattuti dalla legge 180". Marco Cavallo a Montecitorio, Boldrini contro Opg È arrivato davanti a Montecitorio il viaggio di Marco Cavallo, il cavallo azzurro in cartapesta che quarant'anni fa sfondò il muro di cinta del manicomio di Trieste, diventando il simbolo della rivoluzione di Franco Basaglia e della legge 180 sulla chiusura dei manicomi. Ieri sera è arrivato per una due giorni nella Capitale: alle 18 era davanti alla sede della Cgil di corso d'Italia, stamattina davanti al Senato e poi a Montecitorio per chiedere che gli Ospedali psichiatrici giudiziari siano chiusi come è stato per i manicomi. La richiesta è stata rilanciata dal responsabile Salute della Cgil Nazionale e componente del Comitato Stop Opg, Stefano Cecconi: "Quello di Marco Cavallo è un viaggio di denuncia perché gli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani sono ancora in funzione, con oltre mille persone internate". I promotori del tour di Marco cavallo incassano il sostegno della presidente della Camera Laura Boldrini che su Twitter sottolinea la "importante battaglia per chiusura Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Il 28 novembre incontrerò promotori campagna alla Camera". Granaiola (Pd): da Opg a servizi salute mentale locali "Il viaggio di Marco Cavallo ha fatto tappa a Roma, ieri davanti alla CGIL nazionale, oggi in piazza 5 Lune vicino al Senato. Incontrarlo insieme ai suoi costruttori morali e materiali è stata una grande emozione ed un grande insegnamento. Questo cavallo azzurro che rompe i muri del manicomio di San Giovanni a Trieste nel 1973 e da allora non si è mai fermato, ci ha raccontato attraverso gli splendidi attori del Teatro Valle cose straordinarie che sono accadute e che hanno restituito la speranza a milioni di persone che vivono l'esperienza del disturbo mentale", così la Senatrice del Pd Manuela Granaiola commenta l'incontro con Marco cavallo, il cavallo azzurro simbolo delle iniziative contro i manicomi giudiziari in favore di un "forte servizio di salute mentale territoriale (h24) che dia un'adeguata e pronta assistenza al malato fuori dal sistema di detenzione". "Personalmente - afferma la senatrice Granaiola - lavorerò all'interno della Commissione sanità affinché le risorse stanziate non siano destinate al finanziamento di nuovi manicomi, nell'ottica di una strenua difesa della legge 180 che ha ridato dignità e cittadinanza a tutte le persone e nella consapevolezza di avere al mio fianco molti dei miei colleghi", conclude Granaiola. Piazzoni (Sel): chiarezza sull'applicazione della legge che impone chiusura Opg Ho incontrato oggi, in occasione della tappa romana del "Viaggio di Marco Cavallo", il grande cavallo azzurro simbolo della riforma psichiatrica del'78, i rappresentanti del Comitato Stop Opg, per ribadire la mia vicinanza e quella di tutto il gruppo parlamentare di Sinistra Ecologia e Libertà alla battaglia condotta a lungo con passione e tenacia per la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari. Ho raccolto ancora una volta la preoccupazione che il Comitato ha espresso sullo stato di attuazione della legge 57/2013, preoccupazione e allarme che ho più volte manifestato al Ministro Lorenzin. Il dettato della norma prevedeva chiaramente che, alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, non dovesse far seguito una riproduzione su scala regionale di questi ultimi, essendo finalità primaria della legge il reinserimento sociale dei pazienti mediante programmi terapeutico-riabilitativi individuali e misure alternative all'internamento, attraverso la necessaria presa in carico dei servizi di salute mentale territoriali. Si è verificata invece la creazione di mini Opg regionali, per circa mille posti letto, ovvero pari al numero complessivo degli attuali internati, senza avere chiare indicazioni da parte delle Regioni sulle modalità di realizzazione dei programmi riabilitativi individuali e sulla riqualificazione e il potenziamento dei servizi dei Dsm. Ho già sollevato queste perplessità con una interrogazione al Ministro Lorenzin, dalla quale attendiamo risposte precise, e chiederò con forza che la Commissione Affari Sociali ascolti al più presto, con una apposita audizione, le ragioni del Comitato Stop Opg. È evidente il rischio che gli Opg non vengano superati, ma semplicemente "regionalizzati", tradendo lo spirito della legge che ne ha imposto la chiusura e della legge Basaglia. Sinistra Ecologia e Libertà si batterà in tutte le sedi istituzionali affinché ciò non avvenga, e si possa definitivamente chiudere la pagina di autentico orrore, indegna di un paese civile, rappresentata dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Caserta: sit-in Radicali… con Marco Pannella per l'amnistia, basta stato fuorilegge! www.campanianotizie.com, 22 novembre 2013 Nella mattinata di giovedì 21 novembre 2013, davanti a molti carceri italiani si sono tenuti dei sit-in nonviolenti promossi dalle varie associazioni riconducibili a Radicali Italiani. L'Associazione "Legalità & Trasparenza"- Radicali Caserta, ha promosso l'iniziativa "Con Marco Pannella per l'Amnistia! Basta stato fuorilegge!" con un sit-in davanti La Nuova Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, dove i militanti e i dirigenti dei Radicali Caserta, hanno raccolte diverse adesioni dei parenti dei detenuti, al sostegno dello sciopero della fame e della sete di Marco Pannella. "È da diverso tempo, ormai, che organizziamo sit.in davanti al carcere di Santa Maria Capua Vetere e ringraziamo i parenti dei detenuti che hanno sostenuto la nostra iniziativa". A dichiararlo è Luca Bove, Segretario dei Radicali Caserta che continua." Nella Nuova casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, come nella maggior parte dei penitenziari italiani, è presente un numero considerevole di detenuti in attesa di sentenza definitiva e sottoposti a provvedimenti di custodia cautelare, è questa una delle tante crudeltà della giustizia italiana, è contro ogni principio, incarcerare un cittadino che ancora non ha avuto una sentenza definitiva e per cui secondo la nostra costituzione è da considerare innocente. Di custodia cautelare se ne parla poco e male e capita solo quando viene applicata al politico di turno ma spesso e volentieri, questo provvedimento viene applicato a cittadini comuni che non hanno le possibilità di difendersi legalmente". Bove conclude:" Nelle prossime settimane organizzeremo altri sit-in davanti a questa struttura e cercheremo di promuovere, insieme ai parenti dei detenuti, un'iniziativa per la mattinata del prossimo 24 dicembre, dove inviteremo tutte le forze politiche ad intervenire". Presente al sit-in dei Radicali era presente anche il militante e iscritto a Radicali Italiani, Domenico Letizia, che dichiara "Siamo a fianco delle decine e decine di parenti che quasi ogni giorno sono fuori le mura del carcere di Santa Maria Capua Vetere, in pessime condizioni, per poter parlare con i propri cari. Stamane abbiamo anche ribadito la nostra posizione per l'abolizione dell'ergastolo che riteniamo una simbiosi della pena di morte con l'aggravante che è allungata e crudelmente vissuta nel corso di tutta l'esistenza. Chiediamo semplicemente il rispetto della dignità umana e di qualsiasi individuo". Lucca: Uil-Pa Penitenziari fotografa il degrado "è il peggior carcere d'Italia" www.loschermo.it, 22 novembre 2013 "Senza alcuna remora penso che il carcere di Lucca possa, a buon titolo, essere annoverato tra le peggiori realtà penitenziarie italiane tanto da poter essere considerato in posizione da podio". Questo il giudizio del segretario generale della Uil-pa penitenziari (organizzazione sindacale del pubblico impiego) Eugenio Sarno, che nelle scorse ore ha effettuato una visita al San Giorgio. Sarno si è pure messo a fotografare. "In quaranta scatti - dice il segretario - stiamo documentando la realtà penitenziaria italiana troppo spesso edulcorata o addirittura taciuta e che invece si connota quasi sempre per degrado, inciviltà e illegalità. Abbiamo documentato una delle peggiori realtà carcerarie d'Italia. Abbiamo documentato, con la forza delle immagini, il degrado e l'insalubrità della struttura e l'indegnità delle postazioni di lavoro della polizia penitenziaria. Negli ultimi anni non è cambiato nulla. Lucca resta un carcere sporco, sovraffollato, degradato al netto dell'impegno che riconosciamo al Comandante di reparto e al direttore per mantenere in piedi la baracca. Non comprendiamo come mai, nel passato, si siano spesi soldi per rifare il tetto a una sezione dismessa e per uno scanner a raggi x (controllo effetti in entrata) che non ha mai funzionato. Ma nessuno ha voluto approfondire questi sprechi di danaro pubblico nonostante le nostre denunce". A sostegno della sua tesi, Sarno porta in risalto i numeri. Stamani a Lucca erano detenute 170 persone (69 italiani e 101 stranieri) a fronte di una disponibilità regolamentare di 76 posti. I detenuti in attesa di primo giudizio sono 52, 46 gli appellanti, 10 i ricorrenti e 62 i condannati in via definitiva. "Il contingente di polizia penitenziaria decretato per legge - dice il segretario - sarebbe di 130 unità, ma ne sono presenti solo 106, di cui 5 distaccate in altre sedi, 5 impiegate al nucleo traduzioni e 16 impiegati in compiti di ufficio e amministrativi". Il problema, per Lucca come per tutte (o quasi) le altre carceri italiane, non è solo e soltanto la fatiscenza delle strutture o la ristrettezza degli spazi. La questione è più complessivo e riguarda l'intero sistema. Spesso capita che di veder strumentalizzate le proteste, i tentativi di suicidio, la ristrettezza d'organico, le aggressioni. Se non si è capaci di riformare, di investire sulle pene alternative e di depenalizzare certi reati, difficilmente sarà possibile trovare una soluzione. E la prima vera vittima, come sempre, sarà la società. Firenze: deputato del M5S Bonafede legge alla Camera lettera detenuti di Sollicciano La Repubblica, 22 novembre 2013 Il deputato dei 5 Stelle Alfonso Bonafede si fa portavoce dei detenuti di Sollicciano. Giorni fa il parlamentare fiorentino è stato in visita al carcere, per testare di persona il problema del sovraffollamento. E dopo aver preso atto delle condizioni di vita dei detenuti e della loro "consapevolezza circa il dibattito sulle carceri" ha deciso di farsi latore della lettera che gli stessi detenuti hanno scritto. Una lettera, amara e cupa, inviata al parlamento che Bonafede ha letto oggi in aula. Ecco il testo letto alla Camera dal deputati. "Constatiamo purtroppo che ogni incontro, discussione, articolo, che hanno per tema carcere e giustizia, per quanto possano essere interessanti e propositivi, tutto alla fine sistematicamente si riduce a qualcosa di sterile e incompiuto. È triste realizzarlo, è triste vedere come tutti, politici di destra e sinistra, giornalisti, sgomitino per dare il loro apporto alla discussione per poi, quando si tratta di passare ai fatti concreti, a informazioni serie, non demagogiche, dimenticarsi del dramma in corso e rimandare la questione a data da definirsi, che non si definirà mai, nemmeno con le peggiori valutazioni della Comunità europea, nemmeno di fronte a degli imbarazzanti ed eloquenti ultimatum. La soluzione ideale sarebbe che scomparissimo tutti ma, ahimè, non scompariamo, non scompare la vergogna e non scompare la Costituzione italiana. Se una volta tanto per cambiare, spiazzando il mondo intero, i governanti italiani fossero più attenti a trovare soluzioni che alle logiche elettorali, se la politica non si limitasse a sterili proclami televisivi e inutili provvedimenti tampone, forse si potrebbe almeno iniziare una riforma necessaria e seria. Il sistema carcere è collassato da tempo e non servono assolutamente a niente piccoli decreti che puntualmente vengono definiti svuota carceri che svuotano solo il significato della parola "pazienza", oltreché "intelligenza" e soprattutto "giustizia"; si parla di costruire nuovi istituti e della funzione di questi. Ebbene forse non è chiaro che non c'è un centesimo, che negli ultimi anni sono stati ridotti all'osso gli agenti di polizia penitenziaria, gli operatori che ci dovrebbero seguire (educatori, medici, assistenti sociali); i prodotti per garantire un minimo di igiene; materiali per la manutenzione, cosicché non funzionano docce, cucine, tutto. Manca l'acqua calda e in alcuni istituti il riscaldamento, il tutto nell'indifferenza o nell'impotenza generale. Il progetto del Ministro Cancellieri di basare i programmi trattamentali sul lavoro sarebbe obiettivamente perfetto se non che le attività lavorative interne sono state tagliate di più del 50 per cento mentre quelle rivolte all'esterno richiedono tempo e impegno. Ma qui non c'è più tempo, non c'è più margine di discussione. Ci sentiamo trattati come e peggio di animali, continuamente presi in giro. Ed è un po' difficile da trovare la funzione rieducativa in queste condizioni. Ma mettiamo da parte concetti astratti come giustizia, dignità, Costituzione, diritto. Prendiamo in considerazione i cittadini italiani come se noi non fossimo cittadini dando delle informazioni corrette, dal momento che le carceri vengono pagati da loro e dovrebbe essere nel loro interesse pretendere un servizio adeguato, utile; dovrebbero interessarsi delle condizioni in cui detenuti verranno reinseriti nella società perché prima o poi, indulto meno, succederà. Dovrebbero sapere che il sistema carceri è un business per molti e che negli istituti per detenuti comuni ci sono persone con problemi psichiatrici e di tossicodipendenza che il carcere può solo peggiorare e che nascondendo il problema non si risolve. Nemmeno più speranzosi, solo delusi e arrabbiati. Firenze: Garante detenuti Toscana visita l'Opg di Montelupo, ancora 105 gli internati Ansa, 22 novembre 2013 "Gli internati presenti a oggi nell'opg di Montelupo Fiorentino sono 105, di cui 40 sono originari della Toscana. Questo dato conferma che se fossero presi provvedimenti per tenere nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo solo le persone toscane sarebbe facile trovare soluzioni alternative. I numeri sono gestibili". Lo ha spiegato oggi il garante dei detenuti della Toscana Franco Corleone al termine della sua visita nell'ospedale psichiatrico giudiziario, ospitato nella Villa Medicea dell'Ambrogiana di Montelupo. Per Corleone "è possibile quindi pensare a una destinazione dei detenuti a basso livello di pericolosità che preveda un reinserimento sociale legato al territorio e ad attività extra struttura. Chiedo per questo alla Regione Toscana che mantenga l'impegno e rispetti la data di chiusura fissata per gli opg al prossimo 31 marzo. Forse potrebbe esserci una nuova proroga attraverso un decreto, ma la Regione dovrebbe chiuderlo perché ci sono tutte le opportunità per farlo". Firenze: 51 persone "svantaggiate" trovano lavoro grazie alla Cooperativa Samarcanda Redattore Sociale, 22 novembre 2013 Si tratta di ex carcerati, disabili, ex tossicodipendenti, tutti impiegati nel corso del 2012 grazie alla cooperativa fiorentina Samarcanda. Cinquantuno persone svantaggiate hanno trovato lavoro nel 2012 grazie alla cooperativa fiorentina Samarcanda. Persone che lottano contro la tossicodipendenza, detenuti o ex carcerati, disabili. Samarcanda ha 172 addetti in totale di cui 113 soci, un fatturato annuo di 6,02 milioni di euro che cresce quasi del 6% (ammontava a 5,7 milioni l'anno precedente). Nel dettaglio, delle cinquantuno persone accolte durante il 2012, 26 sono state assunte in carico dai Sert, 12 dai servizi di salute mentale, 6 dal settore dell'ambito della giustizia, una dalla Società della salute, sei dai servizi per il disagio sociale. In 10 stanno ancora svolgendo il progetto lavorativo in Samarcanda. Quattro, invece, hanno visto sfociare la loro esperienza in un'assunzione in cooperativa, mentre in altri nove casi c'è stata una proroga del progetto socio - lavorativo. Lucera (Fg): il pestaggio avvenuto nel carcere finisce nuovamente in parlamento www.luceraweb.it, 22 novembre 2013 Caso Rotundo, 17 Deputati Cinque Stelle interrogano il Ministro della giustizia Cancellieri. Tratti a giudizio tre agenti della Polizia penitenziaria. L'anno scorso erano stati i Senatori della Repubblica Salvo Fleres, Donatella Poretti e Marco Perduca, su sollecitazione di Emilio Quintieri, Ecologista radicale calabrese ad interrogare il Ministro della Giustizia Paola Severino mentre, questa volta, sono diciassette i Parlamentari del Movimento Cinque Stelle capeggiati dal Deputato modenese Vittorio Ferraresi, membro della Commissione Giustizia di Montecitorio ad interrogare il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in merito al pestaggio subito dal detenuto Giuseppe Rotundo all'interno della Casa Circondariale di Lucera nel gennaio 2011 e per il quale sono stati tratti a giudizio innanzi al Tribunale di Lucera tre appartenenti alla Polizia Penitenziaria, il Sovrintendente Pasquale De Gennaro e gli Assistenti Capo Francesco Benincaso e Vincenzo Leone, tutti in servizio - all'epoca dei fatti - presso il suddetto Istituto Penitenziario. Sono tutti accusati dal Pubblico Ministero Pasquale De Luca di aver, in concorso tra di loro, maltrattato il detenuto Rotundo, affidato loro per ragioni di custodia, sottoponendolo a misure di rigore non consentite dalla Legge e cagionandogli lesioni personali. Nello specifico i tre Agenti avrebbero dapprima portato in una cella di isolamento il Rotundo e dopo averlo costretto a spogliarsi lo avrebbero più volte percosso con pugni in faccia ed alla nuca e calci in varie parti del corpo, facendolo cadere a terra in uno stato di incoscienza, con lesioni riscontrate (ematoma avambraccio destro, emitorace sinistro con graffi, vistoso ematoma ginocchio, gamba e caviglia destra, ematoma regione periorbitale bilaterale, emorragia oculare e orbitale bilaterale, tumefazione regione frontale destra, ematoma regione mandibolare sinistra, eccetera) guaribili in 40 giorni. Sarebbero numerose le prove a sostegno dell'ipotesi accusatoria. Tra le tante, anche le testimonianze rese durante le Indagini Preliminari da due coraggiose donne, le Dott.sse Roberta Natale e Giovanna Vinciguerra, rispettivamente Psicologa e Assistente Sociale in servizio presso la Casa Circondariale di Lucera. Inoltre, su esplicita richiesta della Procura della Repubblica di Lecce, competente in quanto il Rotundo, subito dopo il pestaggio venne trasferito nella Casa Circondariale di Foggia, vennero svolti anche degli accertamenti specialistici da parte del personale di Polizia Scientifica della Questura di Foggia che confermarono le percosse patite dal detenuto salentino. In particolare, i rilievi fotografici eseguiti sulla persona del Rotundo, evidenziarono leggere tracce di ematoma in via di dissoluzione ad entrambe le regioni periorbitali, leggere tracce di emorragia oculare destra, leggerissime tracce di emorragia oculare sinistra, residui di leggera tumefazione nella regione frontale destra, ematoma all'avambraccio destro nella regione interna ed esterna e gomito, leggera tumefazione sul dorso della mano destra, alcuni graffi all'emitorace sinistro, ematomi sul ginocchio e sulla gamba destra, ematoma sulla caviglia, sul collo del piede e nella regione plantare dorsale del piede destro e leggeri graffi alla gamba sinistra superiormente al polpaccio. Attualmente il processo è in corso presso il Tribunale di Lucera ed oltre al detenuto Rotundo, assistito dall'Avvocato Elvia Belmonte del Foro di Lecce, si è costituita ed ammessa come parte civile anche Antigone Onlus, l'Associazione per i Diritti e le Garanzie nel Sistema Penale presieduta a livello nazionale da Patrizio Gonnella. Il Sodalizio è rappresentato e difeso dagli Avvocati Simona Filippi ed Alessandro De Federicis. Il detenuto Rotundo, comunque, essendo stato querelato dagli Agenti di Polizia Penitenziaria è stato tratto a giudizio per rispondere dei reati di resistenza e lesioni a Pubblici Ufficiali. Le Guardie Carcerarie, che si sono costituite pure parte civile nel processo, accusano il Rotundo di aver inveito contro di loro con parole offensive e minacciose e di essersi scagliato contro di loro colpendoli anche con pugni e calci e cagionandogli lesioni personali. Gli Onorevoli Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Bonafede, Sarti, Tancredi, Micillo, Di Maio, Colletti, Barbanti, Nesci, Dieni, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Fraccaro e Parentela, su sollecitazione del radicale Quintieri, nell'Interrogazione a risposta scritta nr. 4-02590 presentata mercoledì 20 novembre, durante la 122esima seduta della Camera dei Deputati, al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, hanno chiesto di sapere se e di quali informazioni disponga il Ministro in relazione ai fatti descritti nell'atto ispettivo, se intenda, appurata la fondatezza delle notizie, verificare se vi siano ulteriori precise responsabilità di singoli agenti o funzionari dell'Amministrazione penitenziaria, oltre a quelle sino ad ora rilevate dalla competente autorità giudiziaria, con particolare riferimento a coloro i quali abbiano autorizzato o tollerato la conduzione con la forza, ed il relativo eventuale pestaggio, del detenuto presso una cella di isolamento in spregio a quanto prescrive l'ordinamento vigente e, se del caso, quali provvedimenti disciplinari intenda adottare nei confronti dei responsabili; cosa il Ministro interrogato intenda fare per riportare urgentemente la popolazione detenuta ai livelli di ricettività legali e per rimuovere le strutturali non conformità alla legge della casa circondariale di Lucera, in considerazione del fatto che queste ultime possano mettere in pericolo l'incolumità personale dei detenuti e del personale penitenziario operante ed a quando risalga e cosa sia scritto nell'ultima relazione della competente azienda sanitaria locale in merito alle condizioni strutturali della casa circondariale di Lucera, anche sotto il profilo igienico-sanitario e di sicurezza sui luoghi di lavoro. Intanto, la prossima Udienza del processo che vede imputati i Poliziotti Penitenziari ed il detenuto Rotundo si terrà il 21 febbraio 2014. Emilio Quintieri, ecologista radicale calabrese, nel ringraziare la deputazione pentastellata ed in modo particolare l'Onorevole Ferraresi per la preziosa collaborazione, auspica che il processo presso il Tribunale di Lucera prosegua rapidamente e si arrivi ad accertare le responsabilità in modo che gli autori dei reati siano severamente puniti e nelle Carceri non accadano mai più questi episodi di pestaggio praticati dal personale di Polizia Penitenziaria in danno di cittadini, innocenti o colpevoli che siano, sottoposti alla loro vigilanza a custodia. Attendiamo - conclude Quintieri - di conoscere le determinazioni del Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in ordine ai gravissimi fatti evidenziatigli con l'Interrogazione Parlamentare. Novara: Biondelli (Pd) presenta un'interrogazione al ministro sulla situazione del carcere di Monica Curino Corriere di Novara, 22 novembre 2013 A seguito della visita alla casa circondariale di Novara, organizzata nelle scorse settimane dai Giovani Democratici novaresi, l'onorevole novarese del Pd, Franca Biondelli, ha presentato un'interrogazione parlamentare al Ministro della giustizia, relativa all'eccessiva presenza di detenuti all'interno delle strutture italiane e sulla complessa situazione relativa ai contratti di categoria della dirigenza penitenziaria. "È questa - spiega in una nota stampa la parlamentare del Borgomanerese - l'occasione per porre in evidenza come il Governo attualmente in carica abbia iniziato un percorso diretto ad alleviare lo stato di sovraffollamento che oggi registriamo". Questo il testo dell'interrogazione "Al ministro della giustizia per sapere, premesso che tutti conosciamo la situazione delle carceri nel nostro Paese: da troppi anni in esse si vivono gravi problematiche, prima fra tutte quella del sovraffollamento, che determina condizioni di vita disagiate e spesso ai limiti della sopportazione umana; dopo Serbia e Grecia è l'Italia il paese del Consiglio d'Europa con il maggior sovraffollamento nelle carceri, dove per ogni 100 posti ci sono 147 detenuti ed è anche al terzo posto per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio, dopo Ucraina e Turchia; il problema del sovraffollamento dei penitenziari italiani tocca tutta la popolazione carceraria: 64.323 i detenuti reclusi (compresi nel totale dei detenuti anche quelli in semilibertà) nei 205 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 47.668 posti, poco meno di un terzo, ossia 22.770 sono i detenuti non italiani (che rappresentano il 35,1% della popolazione carceraria). Minima è la componente femminile, il 4,3% del totale dei detenuti ovvero 2.821 donne (di cui 1.102 straniere). Al 30 giugno 2013, sono 52 i bambini sotto i 3 anni che vivono in carcere con le madri (51 detenute); al problema del sovraffollamento carcerario è strettamente collegato quello della cronica carenza di personale e di conseguenza della negazione di fatto di alcuni diritti fondamentali dei detenuti, primo tra tutti quello sancito dall'articolo 27 della nostra Costituzione che prevede la rieducazione del condannato; secondo la stesso Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla data del 30 settembre 2012 la carenza di personale riguardava il personale dirigenziale (previste 534 unità in forza 416), i funzionari con professionalità giuridico-pedagogica (previsti 1376 in forza 1002) i funzionari con professionalità in ambito del servizio sociale (previsti 1630 unità in forza 1058) ed infine il personale di polizia penitenziaria (previsti 41281 unità in forza 37590)". Come si evince da questi dati, "la carenza di dirigenti è pari al 22,1%, non a caso molti istituti non hanno proprio il direttore, quella degli ex educatori, oggi funzionari giuridico-pedagogici, è pari al 27,2%, quella di assistenti sociali addirittura del 35,1%, mentre la carenza del personale di polizia penitenziaria, da tempo segnalata come uno degli elementi di maggior criticità del nostro sistema penitenziario, è pari all'8,9%: al D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 63 "Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della L. 27 luglio 2005, n. 154 che sancisce i diritti della dirigenza penitenziaria, doveva poi seguire la stipula de primo contratto di categoria; tale stipula non è mai avvenuta e, per effetto di questa omissione i dirigenti penitenziari restano ancora privati di quei riconoscimenti economici che gli competono e, al di fuori della dirigenza generale, si trovano appiattiti su un unico livello retributivo, quello di base, poiché non si è dato corso al riconoscimento degli incarichi superiori e non è stata definita la parte variabile della retribuzione in relazione agli incarichi attribuiti ed ai risultati raggiunti. Altro effetto di questa omissione - si legge nell'interrogazione - è che i dirigenti penitenziari sono del tutto privi di uno status". Esaminato tutto questo Biondelli domanda al ministro, "quali misure urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di rendere effettivo il diritto sancito dall'articolo 27 della nostra Costituzione predisponendo un numero adeguato di personale in particolar modo di quello dirigenziale, di quello giuridico pedagogico e sociale; quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare per addivenire in tempi rapidi alla stipula del primo contratto di categoria della dirigenza penitenziaria". Firenze: presidio dei Radicali davanti all'Ipm, per chiedere amnistia e indulto www.gonews.it, 22 novembre 2013 I radicali fiorentini dell'associazione "Andrea Tamburi" questa mattina hanno organizzato un presidio nonviolento all'esterno dell' Istituto Penale Minorile "Meucci" di Firenze per chiedere amnistia e indulto ma anche l'abolizione dell'ergastolo e l'introduzione del reato di tortura. L'iniziativa è avvenuta in contemporanea davanti ad altre carceri italiane. "Riteniamo gravissimo - hanno dichiarato il segretario e tesoriere dell'associazione "A.Tamburi", Maurizio Buzzegoli ed Emanuele Baciocchi - che le proposte del Presidente Napolitano siano cadute nel "dimenticatoio parlamentare" in nome di qualche populismo e demagogia. E, nonostante la quasi quotidiana condanna dalle corti europee, paradossalmente, i tribunali italiani continuano ad emanare sentenze che prevedono di far scontare le pene in luoghi fuorilegge, trasformando la stessa pena in tortura di Stato". I due radicali concludono precisando l' obiettivo della lotta: "La nostra proposta di una giustizia giusta, che vede Marco Pannella impegnato in uno sciopero totale della fame e della sete, riguarda tutti i cittadini, non solo quelli inquisiti perchè l'amnistia e l'indulto sono le pietre angolari per la ripresa del Paese, per il ripristino della legalità costituzionale ed europea e dello Stato di Diritto". Salerno: la metà delle persone detenute nel carcere di Fuorni è in attesa di giudizio di Barbara Cangiano La Città di Salerno, 22 novembre 2013 Dedicare la sezione tossicodipendenti del carcere di Fuorni all'ex sindaco socialista Vincenzo Giordano, che nella casa circondariale trascorse ingiustamente trentatré giorni di detenzione, prima di essere dichiarato innocente. La proposta arriva dall'associazione dei Radicali salernitani Maurizio Provenza. "Non ci interessano strade o piazze. L'esperienza drammatica vissuta da Giordano merita che gli venga intestato un luogo simbolico", ha sottolineato Donato Salzano che chiarisce perchè la scelta sia ricaduta sulla sezione tossicodipendenti: "Giordano amava ripetere che era entrato in carcere da proibizionista e che ne era uscito da anti proibizionista, perchè in cella aveva trovato più umanità e solidarietà da parte di detenuti che avevano avuto problemi di droga, che non da altre persone per così dire "pulite". Un punto sul quale tornava spesso a battere". E che ovviamente ha sfondato una porta aperta in quella che storicamente è una delle più "antiche" battaglie dei Radicali. La metà delle persone detenute nel carcere di Fuorni è in attesa di giudizio. Un numero impressionante, che supera la media nazionale del 42 per cento, contro la quale la Corte di giustizia europea ha più volte puntato l'indice, perchè è pari al doppio degli standard europei. A questo si aggiunge l'allarme del sovraffollamento, con una casa circondariale che, a fronte dei 280 posti legali previsti, il 14 agosto scorso "accoglieva" a matricola circa 500 persone, "un numero incredibile che ci espone a due violazioni condannate dalla Corte di Giustizia Europea, i trattamenti inumani e degradanti subìti molto spesso dai detenuti e la lunghezza del processo". Donato Salzano, con l'associazione dei Radicali salernitani Maurizio Provenza e la Camera penale, conosce bene le condizioni drammatiche di chi si trova recluso a Fuorni. Questa mattina alle 9 sarà protagonista di un sit in a sostegno dell'iniziativa intrapresa da Marco Pannella (attraverso uno sciopero della fame e della sete) per una riforma della giustizia che passi attraverso provvedimenti di amnistia e indulto, introduzione del reato di tortura e abolizione dell'ergastolo, depenalizzazioni e decarcerizzazioni. Nel frattempo sono già una decina i ricorsi spediti oltre i confini nazionali, per restituire dignità e giustizia a quanti "oltre ad essere costretti a restare per ventidue ore al giorno in otto in una micro cella, potendo fare al massimo una doccia a settimana, hanno vissuto sulla loro pelle situazioni indecorose". Ecco perchè nei giorni scorsi, un pool di avvocati e di attivisti ha inviato una nota al nuovo presidente del Tribunale di sorveglianza, Maria Antonia Vertaldi, chiedendo un incontro "sui tempi di risposta delle istanze dei detenuti e la condizione del trattamento e dell'esecuzione penale dei ristretti". Nel documento si auspica "un accordo in sede di conferenza di servizi tale per cui si possano ridurre drasticamente i tempi di attesa, in particolare per l'arretrato delle istanze prodotte sulle varie "svuota carceri", per le quali da tempo molte non hanno ancora ricevuto una risposta". Tra la presentazione di una istanza e la risposta dei giudici, può infatti passare anche un anno, "un tempo biblico per chi vive in pochi metri, senza avere l'opportunità di pensare a null'altro", ha stigmatizzato Salzano invitando il nuovo presidente ad effettuare ispezioni periodiche non solo a Fuorni, ma anche a Sala Consilina, Vallo della Lucania ed Eboli, per "trovare insieme margini di collaborazione affinché si possa ridurre la sofferenza nelle carceri e le condizioni detentive che rasentano la tortura e la violazione dei diritti umani". Secondo l'esponente dei Radicali, "il fatto che a Fuorni la metà dei detenuti sia in attesa di giudizio, rappresenta un primato negativo di carattere nazionale, perchè la legge sancisce chiaramente l'eccezionalità dell'istituto della custodia cautelare". Ma c'è chi sta peggio: è il caso di Poggioreale, dove Salzano ha effettuato una visita insieme al radicale Luigi Mazzotta ed al consigliere regionale Dario Barbirotti. I tre hanno chiesto al presidente del Tribunale di Sorveglianza napoletano di consentire a circa trecento detenuti (per i quali sussistono tutte le condizioni di idoneità) di essere trasferiti al padiglione San Paolo, "dove potrebbero avere una adeguata assistenza sanitaria, andando a liberare da un sovraffollamento terrificante le altre aree della struttura, nelle quali sono stipate 2900 persone a fronte dei 1.300 posti legali". Novara: Cgil Funzione Pubblica denuncia "agente di custodia ferito da detenuto camorrista" Corriere di Novara, 22 novembre 2013 Un agente di custodia in servizio al supercarcere di Novara è rimasto ferito al collo in seguito all'aggressione subita da parte di un detenuto. Secondo quanto segnalato dalla Cgil-funzione pubblica, l'agguato è avvenuto nella sezione di massima sicurezza, dove si trovano i carcerati sottoposti al regime del 41 bis e l'aggressore è un esponente di un clan camorrista. Sempre secondo le informazioni fornite, il detenuto si è scagliato contro il secondino e l'ha colpito al collo con una lametta, procurandogli una profonda ferita. L'agente è riuscito a liberarsi e l'aggressore è stato bloccato. La Cgil sostiene che "non è la prima volta che tali aggressioni vengono perpetrate dallo stesso detenuto. I poliziotti - si legge in un comunicato - ogni giorno continuano a subire aggressioni, minacce, nell'intento di svolgere con dignità il proprio compito istituzionale. Il tutto nella totale indifferenza della politica che invece ripaga tanta abnegazione con il blocco degli stipendi e continui tagli di risorse all'intero comparto sicurezza". Milano: a Bookcity una giornata dedicata al carcere, per ricordare Cesare Beccaria Ansa, 22 novembre 2013 Nella giornata di inaugurazione BookCity ha anticipato la celebrazione del 250/esimo anniversario della pubblicazione di ‘Dei delitti e delle penè (1764) di Cesare Beccaria con un convegno all'Università Statale nel quale, oltre ai temi della sicurezza e delle politiche per contrastare la cosiddetta criminalità di strada, è stato dato spazio a tre gruppi di detenuti delle carceri milanesi (San Vittore, Bollate e Opera) che frequentano corsi di poesia e di scrittura creativa. Adolfo Ceretti e Roberto Cornelli, autori del libro "Oltre la paura" (Feltrinelli) hanno discusso con il magistrato Armando Spataro e con l'ex ministro dell'Interno ed ex vicepresidente del Csm Virginio Rognoni dei temi relativi la sicurezza. Entrambi, d'accordo con gli autori, che si sono detti contrari ai vari "pacchetti" adottati in questi anni con l'istituzione delle ronde, del reato di clandestinità e con l'impiego dell'esercito: "Misure - ha spiegato Spataro - che non sono servite e che non servono a niente se non ad alimentare la paura tra i cittadini e a creare consenso in termini elettorali". Nel libro gli autori spiegano come "A guidare le scelte degli italiani negli ultimi 20 anni non sono più le idee, ma la paura; non si cerca più il benessere o il miglioramento della propria situazione, ma la sicurezza". Eppure la società italiana è una delle più sicure con un tasso di omicidi, utilizzato generalmente come parametro di riferimento per quantificare la sicurezza, tra i più bassi del mondo (al 47¸ posto) e tra gli stati membri dell'Unione (al 19¸ posto), e che si trova inoltre da anni nel suo minimo storico. "I pacchetti sicurezza - ha detto Cornelli - sono stati l'apoteosi della politica simbolica. Sono serviti ad alimentare la paura, a creare consenso elettorale e non a risolvere i problemi". Il libro affronta cinque grandi temi: pena e criminalità, violenza urbana, odio razziale, controllo del territorio, carcere e salute mentale. "La conclusione - ha aggiunto - è dedicata alle prospettive democratiche per una politica della sicurezza. La politica deve pensare non ad alimentare la paura ma il senso di fraternità e di condivisione tra i cittadini". Cesare Beccaria scrisse nel suo capolavoro che "Ã evidente che il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso (…) Il fine non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuoverne gli altri dal farne uguali…" e proprio in questa direzione sono orientati i laboratori di poesia e di scrittura creativa che vengono organizzati da diversi anni a San Vittore, a Bollate e a Opera. Laboratori gestiti da volontari come le poetesse Maddalena Capalbi e a Anna Maria Carpi che, a Bollate, ogni sabato mattina riuniscono una ventina di detenuti, uomini e donne (molti gli stranieri) per parlare di poesia e per scrivere poesie. Al convegno è stato presentato il libro "Quell'azzurro che non comprendo", antologia di poesie del laboratorio dello scorso anno. Nell'Aula Magna dell'Università sono intervenuti alcuni detenuti che hanno letto i loro versi, dopo aver confessato, non senza timidezza, la loro iniziale curiosità e poi il loro totale coinvolgimento in una dimensione per loro sconosciuta. Bologna. "Tutti dentro", il Pratello invita la città, cena realizzata dai minori dell'Ipm Dire, 22 novembre 2013 Piatti principali, impegno e confronto. Sarà a base di queste pietanze il menu principale di "Tutti dentro", la cena che si svolgerà all'interno delle mura dell'istituto penitenziario minorile del Pratello e che si inserisce all'interno della manifestazione culturale organizzata da 14 associazioni bolognesi, sotto la guida di Volabo, "Fuori e dentro. Un altro sguardo sul carcere". "Un modo di aprire le porte del carcere e far incontrare alle persone che non hanno familiarità con il carcere un luogo pieno di persone, in questo caso minori, con la loro dignità - dice Filippo Maltese, presidente dell'associazione Uva Passa (Unione volontari al Pratello associazione d'aiuto) che ha curato l'evento- lo scopo è anche quello di smuovere la coscienza dei bolognesi e far sì che questi giovani non vengano più chiamati detenuti ma ragazzi". "Tutti dentro" quindi nel vero senso della parola anche se, per motivi burocratici, a intervenire, venerdì sera, saranno 40 ospiti delle 14 associazioni bolognesi che hanno collaborato alla realizzazione delle kermesse di eventi che ha preso il via il 20 novembre. A loro è riservata una cena pensata, cucinata e servita proprio da tutti i giovani del Pratello, "la maggior parte stranieri, provenienti dal Nord Africa o dall'Europa dell'Est", sottolinea Maltese. Ai fornelli dunque tutti i minori che si vedranno impegnati nella preparazione di lasagne alla bolognese, conchiglie alle verdure e gnocchi gorgonzola e noci. Per secondo sarà servito un involtino di pollo alle erbette aromatiche e sesamo con contorno di insalata e, per non farsi mancare niente e coronare una deliziosa cena, bavarese al limone, torta al cioccolato e macedonia. Milano: Valentina va… a San Vittore, i disegni di Crepax in mostra dietro le sbarre Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2013 "Il sogno tra le sbarre", ovvero memorabilia delle ultime esposizioni dedicate a Guido Crepax per una mostra-vendita nel Quarto Raggio di San Vittore. L'iniziativa della Sartoria San Vittore in collaborazione con la Direzione del carcere, con il Provveditorato Regionale e con Archivio Crepax porterà alla devoluzione di metà degli incassi proprio a sostegno delle attività della sartoria. Non solo le grandi cornici con le copie autenticate delle tavole originali recentemente esposte a Milano in occasione della mostra "Guido Crepax: ritratto di un artista", ma anche le sagome a grandezza naturale di Valentina e degli altri personaggi di Crepax e tanti pannelli illustrati di diversi formati che anno costituito la scenografia della mostra "Valentina Movie". Esemplari unici che torneranno in scena interpretando il sentire del disegnatore, per altro sempre vissuto non molto distante dal carcere. Organizzata in uno dei bracci del carcere milanese ora dismesso e in attesa di ristrutturazione, la mostra-vendita sarà aperta al pubblico per una serie di visite guidate così programmate: in novembre, giovedì 21, martedì 26 e giovedì 28, per proseguire in dicembre martedì 3 e giovedì 5, con la possibilità di aggiungerne altre in gennaio dopo la pausa natalizia. Ogni visita avrà regole precise: coinvolgerà un massimo di 30 di persone e comincerà rigorosamente alle 18 per concludersi alle 19.30, partendo dalla portineria della Casa Circondariale fino al Quarto raggio promosso per l'occasione a sede museale. A far da guida sarà un detenuto formato dall'Archivio Crepax insieme con uno dei 3 figli del fumettista. Le riproduzioni dei lavori di Crepax potranno essere acquistate al termine di ogni visita. Un volontario controllerà gli accrediti precedentemente rilasciati dalla Direzione di San Vittore e terrà in custodia eventuali borse, cellulari, I-pad o tablet e pc portatili, chiavette Usb. Materiale che per ragioni di sicurezza non può entrare in un carcere e per questo vi consigliamo di lasciare in macchina o a casa. Ecco infine un piccolo vademecum per partecipare all'iniziativa: ci vuole un'autorizzazione per entrare: per questo, entro e non oltre la data ultima di adesione, dovrete inviare i dati anagrafici così come compaiono sul documento d'identità e la scansione del documento stesso; lo stesso vale per tutti coloro che verranno insieme a voi, tenendo ben presente che ai minorenni è vietato in ogni caso l'ingresso in carcere; data l'inevitabile presenza di barriere architettoniche lungo il percorso, purtroppo non è consentito l'ingresso ai disabili; portate con voi un documento di identità valido da presentare all'ingresso del carcere; se possibile lasciate in auto cellulare, macchina fotografica, I-pad o tablet, pc portatili, chiavette Usb e medicinali, in quanto non è consentito introdurli all'interno del carcere; nel caso ve ne dimenticaste, dovrete lasciarli in custodia all'ingresso presso il meeting point. Per ulteriori informazioni scrivere a: alessia.egidi@studiolegalelm.it. Enna: nel film "Di là dal muro" le storie dei detenuti, tra loro molti immigrati di Tiziana Tavella La Sicilia, 22 novembre 2013 Storie di detenuti, tra loro molti immigrati. Storie di speranze, di ansie, di carcerazioni nate per miseria, raccontate attraverso una telecamera, guidata dalla regista ennese Tilde Di Dio. Telecamera che non è punto di osservazione, ma di incontro. Una possibilità per ricominciare quando si potrà guardare il sole senza il filtro delle sbarre. Le immagini di Di là dal muro, cortometraggio interamente realizzato all'interno del carcere di Enna con protagonisti alcuni detenuti ha avuto la menzione di merito al concorso "Quel fresco profumo della libertà" promosso dal Ministero dell'Istruzione in collaborazione con il Centro Studi Paolo Borsellino. Il film realizzato all'interno del carcere di Enna è stato redatto dal centro territoriale per l'educazione Permanente, con sede presso il nuovo I. C. "E. De Amicis". La premiazione avverrà a Bruxelles il prossimo 4 dicembre dove saranno presenti il dirigente scolastico Filippo Gervasi accompagnato dalle insegnati che hanno curato il lavoro, Ida Ardica e Rossella Bonfissuto e la regista Tilde Di Dio. Di là dal muro è già stato proiettato nel cortile del Quirinale nell'ambito della cerimonia di inaugurazione dello scorso anno scolastico a Roma. "Il progetto è del 2011 ed ha avuto una realizzazione complessiva di 3 mesi - racconta la regista Tilde Di Dio - È stata un'esperienza molto forte che ha cambiato veramente il mio modo di pensare. Conosciamo ben poco di quella che è la realtà delle carceri e solo per sentito dire. La prima volta che sono andata in carcere, mentre percorrevo il corridoio pensavo a quali parole usare per spiegare quello che avremmo fatto a come fare. Quando mi sono trovata nell'aula di fronte a loro ho parlato con spontaneità dell'idea di raccontare una loro giornata. Magari attraverso una lettera ad una persona a loro cara. Ho chiesto di scrivere i loro pensieri, di raccontare la loro storia. La loro risposta è stata piena di entusiasmo e hanno raccontato di loro in modo così autentico e sincero da fare di questo corto quasi un documentario". "A telecamera spenta raccontavano ancora di loro con fiducia, mi hanno regalato le loro emozioni, rendendo questa esperienza unica e creando un profondo scambio tra loro, gli insegnanti, l'operatore e me". "Di là dal muro" è un'occasione di incontro tra il mondo di chi è recluso e il mondo esterno. Cosa cambia dopo averlo visto? "Cambia il punto di vista di chi guarda. Non sono semplici detenuti, sono esseri umani, con le loro fragilità e semplicità disarmante. Dopo questa esperienza penso che se qualcuno da loro qualcosa in loro nasce in loro la speranza che qualcosa di buono possa realizzarsi". La recitazione può avere un ruolo nel percorso di recupero dei detenuti? "Ho realizzato lo scorso anno anche un laboratorio teatrale vero e proprio dedicato proprio ai detenuti. La maggior parte dei partecipanti era fatta da stranieri, che hanno imparato piano piano le parole, come esprimersi hanno mostrato un grande senso di gratitudine per il sentirsi presi realmente in considerazione per le loro potenzialità". Bologna: assolti due volte ma non basta 15 anni senza vedere i figli di Edoardo Cavadini Libero, 22 novembre 2013 In Italia 15 anni non bastano per sapere se sei un pedofilo o no. In Italia 15 anni non sono sufficienti per stabilire se hai violentato i tuoi figli, li hai portati di notte nei cimiteri per partecipare a orge sataniche col parroco del paese e hai taciuto un numero imprecisato di omicidi e torture su minori. In Italia 15 anni sono troppo pochi per pretendere che una sentenza "in nome del popolo italiano" metta la parola fine al calvario di una famiglia smembrata da sospetti, testimoni poco attendibili e da un marchio di infamia che ti rimane attaccato come una colla molesta. Ma in questo Paese 15 anni sono stati sufficienti a Delfino Covezzi e Lorena Morselli, ceramista lui insegnate d'asilo lei, sposi inseparabili a Massa Finalese (Modena) , per passare dalla damnatio memoria e alla riabilitazione una prima volta, e poi un'altra, con la terribile prospettiva - solo per Lorena, Delfino è mancato la scorsa estate - di un terzo giro su quella giostra dell'orrore che può essere la nostra giustizia. Partiamo dalla fine. Ieri il procuratore generale della Corte d'Appello di Bologna ha impugnato la sentenza di assoluzione in Appello (a maggio di quest'anno) nei confronti dei coniugi Covezzi, accusati di abusi sessuali ai danni dei loro quattro figli: ora la palla è nelle mani del -la Cassazione. Un orribile déjà vu. Quel pronunciamento ("assolti perché il fatto non sussiste") era arrivato proprio dopo l'impugnazione da parte dei medesimi pm di una prima assoluzione, sempre firmata dalla corte d'Appello bolognese e sempre per lo stesso reato, che risaliva invece al 2010. Ma questa nuova mazzata, come detto, il signor Covezzi non potrà caricarla sulle sue spalle da rugbista: se l'è portato via un infarto lo scorso agosto, durante una delle visite a Lorena, scappata in Francia da un decennio per dare alla luce il quinto figlio senza timore che glielo portassero via. L'incredibile gioco a rimpiattino tra le toghe e la coppia modenese inizia nel tardo autunno 1998, quando i carabinieri irrompono nella loro abitazione e strappano ai propri letti quattro bambini terrorizzati. Delfino e Lorena non li rivedranno mai più, assegnati a famiglie affidatane differenti, senza possibilità di comunicare tra di loro. Non sono ritenuti genitori all'altezza perché - questa è l'accusa all'origine - non hanno vigilato sui piccini consentendo, con la propria negligenza, che venissero sottratti nottetempo per subire ripetute e inenarrabili torture sessuali da parte di una rete di pedofili messa in piedi da don Giorgio Govoni (altra vittima, ma non l'unica - si contano un paio di suicidi e un infarto tra gli adulti "unti" dai sospetti e dalle voci di paese -, di questa trappola kafkiana: indicato da un'assistente sociale come il capo della setta di satanisti-pedofili, morirà di crepacuore nell'ufficio del proprio avvocato alla vigilia del processo di primo grado. In Appello la rete di violentatori si rivelerà una colossale menzogna. Ora i suoi parrocchiani spingono per la sua beatificazione). Ma torniamo ai Covezzi. Sono mesi di angoscia, senza notizie dei propri figli e con il muro di gomma del Tribunale dei minori che rimbalza ogni istanza. Interviene persino il Guardasigilli di allora, il comunista italiano Diliberto, interpellato - è il 1999 -dal vicepresidente della Camera Carlo Giovanardi (oggi senatore del Nuovo Centrodestra e tra i più strenui difensori della buona fede dei coniugi): il ministro chiede sette giorni per esaminare il caso. E proprio in quel lasso di tempo una delle figlie della coppia riferisce a una psicologa il catalogo di violenze che le avrebbe inflitto suo papà con il placet della mamma, sconvolgendo così il quadro accusatorio. Intanto i giornali alimentano la psicosi: bambini rapiti dalle scuole, stuprati nei cimiteri, sodomizzati da parenti e preti, crocifissi, appesi ai muri con dei ganci da macellaio, i corpi senza vita gettati nelle acque del Panaro. Peccato che questa montagna di melma - frutto dei colloqui di psicologi, assistenti sociali e periti dell'accusa con minori senza che sia rimasta traccia au -dio delle testimonianze - si scioglierà a contatto con i risultati delle successive indagini giudiziarie: nessun corpo trovato nel fiume, incogruenze marchiane nei racconti dei piccoli (chi diceva di essere stato rapito da scuola era contraddetto dalle testimonianze degli insegnanti; bambine violentate risultavano vergini durante le visite ginecologiche e tanto altro). Intanto i due, da genitori assenti, in quel 1999 diventano orchi e per questo processati. È l'inizio del tunnel: nel 2002 condannati a 12 anni in primo grado. Otto anni dopo assolti in secondo. Prima impugnazione della procura nel 2011. Nuova assoluzione in corte d'Appello nel maggio di quest'anno. Seconda impugnazione della Procura ieri. Di tutta questa incredibile vicenda, un aspetto colpisce più di tutti: la pervicacia dell'accusa che scolora quasi nell'accanimento. Come definire altrimenti l'atteggiamento di una toga che non si arrende di fronte a due sentenze di assoluzione piena? E allora perseverare, mai come in questo caso, diventa pericolosamente diabolico. Opera (Mi): Fabrizio Corona "in carcere ho capito i miei errori, ora so chi sono" www.tgcom24.it, 22 novembre 2013 Dopo l'agognato incontro con il figlio Carlos, che vorrebbe di nuovo poter stare con suo papà, Fabrizio Corona dal carcere di Opera, Milano, scrive a Verissimo: "Qui ho avuto tempo di riflettere sui miei errori e finalmente capire chi sono". L'ex fotografo, condannato a 14 mesi per corruzione, afferma nella lettera pubblicata da Libero: "Continuo a combattere come ho fatto dal primo giorno che sono entrato in questo nuovo mondo, con questa nuova vita, per dimostrare che nei momenti di difficoltà si deve niente affatto ripiegare le ali". La lettera alla redazione di Verissimo. "A chiunque incontro e mi chiede come sto, rispondo sempre la stessa cosa: "Sto bene, molto bene". Ma risponderei così anche dopo 30 coltellate, sanguinante, in fin di vita. Ho sempre risposto così, a tutti. Penso che dopo la scoperta di una grave malattia, il carcere sia la cosa più brutta che possa accadere ad un uomo. È la realtà dell'inferno in terra, dove colpevoli e innocenti sono costretti a vivere in condizioni vergognose e disumane nell'indifferenza istituzionale. Io però, in questo momento, non provo più rabbia, né rancore per chi mi ha condannato e inflitto questa pena così eccessiva e così assurda, ma anzi lo ringrazio perché mi ha dato la possibilità di capire tante cose, mi ha aiutato a riconoscere i tanti sbagli, ad ammettere gli errori, a guardarmi dentro, nel profondo della mia anima e a capire finalmente, a quasi quarant'anni, chi sono e cosa voglio veramente. Il mio avvocato mi dice sempre: "Sii forte del fatto che ciò che è giusto alla fine vince", e io continuo a combattere come ho fatto dal primo giorno che sono entrato in questo nuovo mondo, con questa nuova vita, per dimostrare che nei momenti di difficoltà si deve niente affatto ripiegare le ali, abbassare il tiro, ma anzi, tentare di rilanciarsi lavorando sui propri margini di miglioramento e sulla riscoperta dei valori veri e dei sentimenti come l'orgoglio e il coraggio, perché alla fine, quello che conta veramente (nothing else matter) è il carattere e il cuore che metti nella tua vita. Bisogna saper rispondere alla disperazione con un sorriso di sfida e il dito medio alzato. E questo, oggi, deve essere d'esempio e di aiuto ai molti che pensano di non farcela e decidono di lasciarsi andare… Io non l'ho fatto e mai lo farò! Stare in prigione in questo paese è come morire lentamente, ma io continuo a vivere lo stesso, di notte, nei miei sogni, anche attraverso i ricordi di quella che è stata la mia incredibile vita: le tante emozioni provate, il grande amore dato e quello ricevuto, convinto, ancora oggi, che i sogni, se li desideri veramente e fai di tutto per raggiungerli, prima o poi diventano realtà. Oggi, chiuso dentro la mia cella, la numero 1 del primo reparto del carcere di massima sicurezza di Opera, guardandovi seduto dal mio sgabello di legno mezzo rotto, attraverso un minuscolo televisore degli anni Settanta, voglio vedere mia madre sorridere: ha già pianto e sofferto troppo. Un bacio e un ringraziamento speciale a te, Silvia. Con affetto". Russia: l'attivista italiano di Greenpeace Cristian D'Alessandro è uscito dal carcere Asca, 22 novembre 2013 L'attivista italiano di Greenpeace, Cristian D'Alessandro "è uscito dal carcere di San Pietroburgo". Lo ha reso noto Greenpeace Russia in un comunicato, precisando che "non si sa ancora se potrà essere rimpatriato o dovrà rimanere in Russia". D'Alessandro è uno degli otto attivisti di Greenpeace tornati liberi nelle ultime ore, dopo due mesi trascorsi nel carcere di Murmansk, nella Russia settentrionale. La libertà su cauzione a D'Alessandro è stata concessa dal tribunale di San Pietroburgo, e il rilascio è avvenuto dopo il deposito della cauzione di 2 milioni di rubli, pari a 50 mila euro, versata da Greenpeace Russia. Sono già otto gli attivisti di Greenpeace rilasciati tra ieri e oggi, dopo più di 60 giorni di prigione. La proroga del carcere cautelare fino al 24 febbraio è stata notificata solo all'attivista australiano Colin Russel, motivo per cui l'ambasciatore australiano a Mosca ieri ha chiesto "spiegazioni" al ministero degli Esteri russo. Gli altri attivisti di Greenpeace detenuti sono in attesa delle udienze del tribunale di San Pietroburgo, che deve decidere tra il rilascio su cauzione e la proroga del carcere cautelare fino al 24 febbraio. Il padre di Christian: l'ho sentito "Sto assaporando la libertà". Sono le prime parole dette al padre Aristide da Cristian D'Alessandro, l'attivista di Greenpeace detenuto in Russia per il blitz a una piattaforma petrolifera e appena scarcerato. È lo stesso papà a riferirlo, spiegando che "dopo la sofferenza degli ultimi due mesi c'è finalmente gioia, anche se sarà completa solo quando ci sarà l'assoluzione definitiva". Aristide ricorda infatti che i 30 attivisti "sono ancora accusati di teppismo e quindi il Comitato investigativo dovrà completare le indagini e decidere se assolverli o se rinviarli a giudizio". Il padre di Cristian si dice comunque moderatamente ottimista in questo senso, cogliendo dei "segnali di disgelo" in una vicenda "partita malissimo. Ora - aggiunge - speriamo che la Russia rinsavisca e che si renda conto che questi ragazzi sono innocenti". Somalia: giornalista denuncia stupro, arrestata con collega che ha raccolto testimonianza Adnkronos, 22 novembre 2013 Arrestata per aver denunciato di essere stata stuprata. È accaduto alla giornalista somala Fatuma Abdulkadir Hassan, finita in manette insieme al collega che ne ha raccolto la testimonianza in un video pubblicato sul sito di Radio Shabelle. Hassan, che ha 19 anni e lavora per la ‘Voce delle Donnè, una radio di Mogadiscio, ha spiegato nel video di essere stata stuprata sotto la minaccia delle armi da due giornalisti della radio di Stato. La ragazza ha raccontato di essere stata contattata da uno dei giornalisti e attirata con una scusa in una casa, dove ad attenderla c'erano i suoi due colleghi. "Uno degli uomini mi ha minacciato con una pistola e mi ha costretto ad andare nella stanza da letto", ha detto la Hassan. Come riporta l'emittente Bbc, la ragazza è stata arrestata insieme al giornalista che ha girato il video, Mohamed Bashir Hashi, e al responsabile di Radio Shabelle. Quest'ultimo è stato poi rilasciato su cauzione, mentre i due giornalisti rimangono in carcere e i due presunti stupratori sono liberi. Commentando l'episodio, il portavoce del governo somalo, Abdirahman Omar Osman, ha negato che l'arresto dei giornalisti sia un attacco ai media. "I giornalisti svolgono un ruolo fondamentale e vogliamo che possano svolgere il loro lavoro senza paura", ha affermato, aggiungendo: "La libertà di stampa è il cuore di ogni democrazia ed è garantita dalla nostra Costituzione". A inizio anno si era verificato in Somalia un caso analogo. Una donna che aveva denunciato uno stupro e il reporter al quale aveva rilasciato un'intervista erano stati condannati a un anno di carcere per "offesa alle istituzioni dello Stato". Entrambi erano poi stati scarcerati in appello. Ucraina: la Timoshenko resta in cella, Kiev volta le spalle all'Unione Europea L'Unità, 22 novembre 2013 Nel "giovedì nero" dell'Ucraina Kiev chiude la porta all'Europa e alla democrazia. L'accordo di associazione con la Ue non si farà. Ha perso l'ex premier e leader della "rivoluzione arancione" Yulia Timoshenko, che resta detenuta in una clinica del Paese. Ha vinto il presidente russo Vladimir Putin, che a suon di minacce e incentivi, è riuscito a mantenere l'ex satellite sovietico nell'orbita di Mosca. Il casus belli della rottura finale del negoziato con Bruxelles è stata proprio la mancata liberazione di Timoshenko, il simbolo di quella ventata di democrazia e modernità che ha attraversato il Paese di 46 milioni di abitanti dal 2004 al 2008. L'ex premier è stata arrestata nel 2011 e poi condannata a sette anni carcere con l'accusa di aver esercitato pressioni su un accordo per la fornitura di gas russo. Lo scorso aprile la Corte europea per i diritti dell'uomo ha dichiarato "illegale" la sua detenzione. Per l'Unione europea la firma dell'accordo di associazione con l'Ucraina era condizionata alla liberazione di Yulia Timoshenko, o almeno alla possibilità di curare la sua ernia del disco in una clinica tedesca invece che a Kiev. Dopo molte polemiche e diversi segnali contraddittori ieri è arrivato il "no" definitivo. La Rada, il Parlamento ucraino, ha bocciato le sei proposte di legge che avrebbero consentito di liberare Timoshenko. I deputati dell'opposizione hanno urlato "vergogna" e hanno chiesto la destituzione del presidente Viktor Yanukovich, l'uomo forte di Kiev che è stato sempre vicino a Mosca. Lui ha assicurato che l'Ucraina vuole continuare a lavorare in direzione di una maggiore integrazione con l'Unione europea, ma è stato il suo partito, insieme ai comunisti, a far mancare i voti necessari per far passare le proposte di legge. Il segnale sulla scelta geopolitica del governo è chiarissimo ed è stato confermato dalla sospensione del negoziato per l'accordo di associazione con l'Ue, che avrebbe dovuto essere firmato il 28 e 29 novembre a Vilnius. Ricevuta la notizia il commissario Ue per l'Allargamento, Stefan Fule, ha annullato il viaggio a Kiev previsto per la serata, ma non ha rilasciato dichiarazioni. È stato l'inviato Ue in Ucraina, Aleksander Kwasniewski, a confermare che al vertice di Vilnius non ci sarà nessun accordo. "La nostra missione è finita ed è un peccato che non si sia conclusa con la firma - ha detto - ma è una decisione dell'Ucraina, non dell'Europa". Il quotidiano di opposizione Ukrainskaya Pravda ha definito la giornata il "giovedì nero" del Paese. Nei giorni scorsi la presidente della Lituania, Dalia Grybauskaite, aveva ammonito che "la pausa nelle relazioni tra Ue e Ucraina potrebbe durare a lungo". Secondo alcuni osservatori però i tentennamenti del presidente Yanukovich sono un modo per strappare condizioni più favorevoli a Mosca in cambio dell'adesione al progetto di unione economica tra i Paesi dell'ex-Urss. Il consigliere economico di Putin, Serguei Glaziev, ha messo sul piatto l'ipotesi di una cooperazione economica del valore di decine di miliardi di dollari. Voltare le spalle alla Russia invece sarebbe costato caro, hanno fatto sapere da Mosca. Qualche settimana fa il Cremlino ha bloccato le esportazioni di gas all'Ucraina chiedendo di regolare il pagamento di 1,3 miliardi di dollari. I rubinetti del gas sono stati riaperti solo lo scorso 15 novembre, dopo che una delegazione ucraina si è recata a Mosca per siglare un accordo. Con l'inverno ucraino alla porte, i politici di Kiev sono stati convinti che i principi del libero scambio e della democrazia forse belli, ma non sono sufficienti a scaldarsi. Cina: al bando le confessioni estorte con la tortura La Stampa, 22 novembre 2013 "Utilizzare il freddo, la fame, esporre lungamente al sole, ustionare, estenuare e altri metodi illegali per ottenere le confessioni devono essere eliminati". Lo dice un documento pubblicato ieri dalla Corte Suprema cinese, che condanna l'utilizzo della tortura, ancora molto esteso in Cina. Le confessioni così ottenute, aggiunge, "devono essere e saranno considerate nulle dai tribunali". Il documento è stato accolto dalle organizzazioni per i diritti umani come "un passo nella giusta direzione", per quanto facciano notare che la tortura non era legale nemmeno prima, anche se largamente utilizzata. "Molto importante in questo documento - spiega Nicholas Bequelin, di Human Rìghts Watch - è il linguaggio semplice e accurato, senza ambiguità, che dettaglia che cosa sia la tortura utilizzata finora, dichiarandola inaccettabile. È il linguaggio di una direttiva". Il documento arriva dopo diversi annunci per la riforma del sistema legale usciti dal Terzo Plenum del Partito Comunista, conclusosi 10 giorni fa, fra cui quello di abolire i Campi di Rieducazione tramite il lavoro, e di arginare l'utilizzo della pena di morte, diminuendo il numero di crimini punibili con essa. Russia: l'estremismo fa proseliti anche nelle carceri, l'allarme del Servizio Penitenziario di Luca Pistone www.atlasweb.it, 22 novembre 2013 Il numero di detenuti nelle carceri russe che diffondono idee estremiste è aumento del 40 per cento rispetto allo scorso anno. Circa 426 prigionieri sono sospettati di promuovere ideologie estremiste da dietro le sbarre, ha detto Valery Trofimov, direttore del Dipartimento per l'Educazione del Servizio Penitenziario Federale russo, all'agenzia di notizie russa Ria Novosti. Questo dato lo si deve ad un incremento del numero totale di persone condannate per attività legate ad ogni sorta di estremismo. Dall'inizio dell'anno sono state arrestate 1.199 persone, contro i 1.056 nel 2012. Questi individui, assicura Trofimov, vengono seguiti da personale "più esperto". Marocco: giovani a processo per bacio postato su Facebook, Anonymous in campo Aki, 22 novembre 2013 Sono accusati di attentato contro la morale pubblica e di offesa ai valori dell'Islam i tre adolescenti marocchini che oggi saranno processati da un tribunale di Rabat per aver pubblicato una fotografia di un loro bacio su Facebook. Gli imputati sono una ragazza di 14 anni, Raja, un ragazzo di 15 Mouhsin e un terzo ragazzo, Oussama di 16, che ha scattato la fotografia. I tre sono stati arrestati il 3 ottobre a Nador, nel nord est del Marocco, e detenuti in un carcere minorile fino alla scarcerazione su cauzione disposta il 7 ottobre. Rischiano fino a due anni di prigione. In vista del processo, alla campagna di difesa dei giovani lanciata sui social network da migliaia di persone, che hanno postato loro foto mentre si baciavano, si è unito il gruppo di Anonymous. Creando una Tweet storm in supporto ai due ragazzi al grido di #nadorkiss, la rete internazionale di hacker ha dato vita a un'azione coordinata di diversi utenti per inviare contemporaneamente gli stessi messaggi in difesa dei giovani marocchini.