Giustizia: carceri italiane, i numeri di un dramma www.direttanews.it, 21 novembre 2013 Nel dibattito in aula sulla mozione di sfiducia al ministro Anna Maria Cancellieri, pochissimi sono stati i riferimenti al vero oggetto della questione, vale a dire il dramma umanitario che attraversa le carceri italiane e che non sembra trovare via d'uscita. Secondo i numeri del Dap, infatti, il numero complessivo di detenuti è pari a 64.323 unità, a fronte di una capienza di 47.668 posti letto. Di diverso avviso il Sappe, secondo il quale la capienza è di circa 10mila unità inferiore. La questione più preoccupante riguarda però l'elevato numero di detenuti in attesa di primo giudizio, appellanti e ricorrenti, equivalente al 37,85% del totale della popolazione carceraria complessiva. Questo dato sfiora il 44% se si considera la sola popolazione straniera detenuta. Diverse sono le criticità che si riscontrano di fronte a detenuti stranieri, in particolare l'incapacità di esprimersi correttamente in lingua italiana, che comporta come conseguenza diretta quella di non comprendere nel migliore dei modi la propria posizione amministrativa. Va anche considerato che in tantissimi casi, il detenuto straniero non ha una rete familiare in Italia, bensì all'estero. Per finire, complesso risulta essere l'iter burocratico per l'accertamento delle utenze da parte dei consolati. Altra preoccupazione è quella del numero di tossicodipendenti in carcere, come ha sostenuto di recente Felice Nava, responsabile della sanità penitenziaria di Padova e dirigente di Federserd: "L'Italia è uno tra i paesi al mondo che ha la percentuale più alta di consumatori di sostanze in carcere. Attualmente circa il 30% dei 66 mila detenuti sono consumatori di sostanze stupefacenti, percentuale che raggiunge il 50% tra i 27 mila detenuti in attesa di giudizio. Portando queste persone fuori dai penitenziari e nelle comunità, quindi, si risolverebbe il problema del sovraffollamento e si risparmierebbe". Il fenomeno della tossicodipendenza nelle carceri italiane è tornato alla ribalta anche a causa di recenti decessi, a Trento e a Napoli, di due detenuti, i cui casi sono stati denunciati a gran voce dai familiari. Vi è infine la questione delle tante patologie cliniche diffuse nelle carceri, come evidenziato dal presidente della Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria), Roberto Monarca: "Il carcere è un concentratore di patologie perché raccoglie e mette insieme popolazioni che arrivano da zone a elevato rischio di patologie infettive, con altri soggetti sani. Ci sono situazioni cliniche che non sono compatibili con il regime di detenzione: ad esempio la dialisi, le patologie oncologiche, i trapiantati, ma anche i disturbi alimentari. E il magistrato, dopo aver visionato la valutazione del medico, decide in base alla pericolosità del soggetto le possibili alternative: arresti domiciliati, reparti ospedalieri detentivi o il ricovero in centri specializzati". Giustizia: sia rispettato il principio di uguaglianza e la tutela della salute dei carcerati www.tellusfolio.it, 21 novembre 2013 Pieno sostegno all'iniziativa del senatore Luigi Manconi e della senatrice a vita Elena Cattaneo che stamane, insieme con il professor Giuseppe Remuzzi, presidente della Società mondiale di nefrologia, si sono recati in visita al centro clinico del carcere romano di Regina Coeli per incontrare Brian Gaetano Bottigliero, il detenuto affetto da grave insufficienza renale e sottoposto a dialisi tre volte a settimana. Dal suo ingresso in carcere, avvenuto nel luglio 2011, il ragazzo di 24 anni ha perso oltre 18 chili. Il ricorso al Tribunale della libertà è stato rigettato, con la motivazione di pericolo di reiterazione del reato. Motivazione che deve trovare fondamento preciso e deve essere rapportata alla situazione grave di salute del detenuto. Come ha sottolineato il professor Remuzzi: il detenuto "ha una malattia che compromette il sistema immune e al ragazzo non giova affatto stare nelle stessa stanza con altri malati, in condizioni igieniche precarie, e assumere cibo inadeguato per le sue condizioni. Tecnicamente la detenzione non è incompatibile con un dializzato; ma Brian Gaetano Bottigliero è in attesa di trapianto, dunque non può rimanere in carcere". Lo stato tecnicamente illegale della realtà carceraria italiana è noto: detenuti ben oltre il numero massimo ospitabile; agenti di custodia sott'organico; medici, psicologi e operatori sanitari in numero irrisorio; l'emergenza è divenuta tragedia quotidiana. Lo ha ribadito il Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere lo scorso 8 ottobre dichiarando che "La rieducazione dei condannati - cui deve, per espressa previsione costituzionale, tendere l'esecuzione della pena - necessita di alcune precondizioni (quali la non lontananza tra il luogo di espiazione e la residenza dei familiari; la distinzione tra persone in attesa di giudizio e condannati; la adeguata tutela del diritto alla salute; dignitose condizioni di detenzione; differenziazione dei modelli di intervento) che possono realizzarsi solo se si eliminerà il sovraffollamento carcerario". Il trasferimento delle competenze sanitarie dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale e ai Servizi sanitari regionali infatti, anche se è stato definito con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'1 aprile 2008, ad oggi ancora non è attuato pienamente, a discapito dei detenuti. Ci aspettiamo una immediata risoluzione della vicenda perché il diritto alla salute non venga meno dietro le sbarre: è un diritto fondamentale che deve essere sempre garantito; ignorarlo vuol dire violare i diritti umani. Soprattutto in questa vicenda lo Stato e la magistratura non possono rendersi complici del peggioramento del quadro clinico del detenuto. Ci auguriamo dunque che al più presto al detenuto, e a tutti i detenuti nelle sue medesime condizioni, vengano concessi i domiciliari o sia trasferito in una struttura sanitaria adeguata al trattamento della sua patologia. Giustizia: tre storie "esemplari"… e l'Europa condanna nuovamente l'Italia di Valter Vecellio Notizie Radicali, 21 novembre 2013 Tre storie esemplari. Gaetano Bottigliero, 25 anni, condannato in primo grado a nove anni di reclusione, è detenuto nel carcere romano di Regina Coeli. Nel gennaio scorso gli viene diagnosticata un'insufficienza renale cronica. In attesa di un trapianto di rene, è sottoposto a dialisi tre volte alla settimana. Le richieste di termine o quantomeno di attenuazione delle misure cautelari, sono state rigettate dal magistrato competente perché sussisterebbe a suo carico un "pericolo di fuga". Vincenzo Di Sarno, 35 anni, condannato in via definitiva, detenuto nel carcere napoletano di Poggioreale, è affetto da un tumore al midollo spinale. Gli è stata rigettata l'istanza di scarcerazione per incompatibilità con lo stato detentivo. Vito Manciaracina, 78 anni, condannato in via definitiva all'ergastolo, detenuto presso il Centro clinico del carcere di Bari, affetto da paralisi degli arti inferiori, epilessia e demenza senile. Il 7 novembre scorso, la Procura della Repubblica ha chiesto il rigetto dell'istanza di sospensione della pena. Tre storie di sofferenza e di agonia. Importa poco sapere di cosa si siano resi colpevoli Bottigliero, Di Sarno e Manciaracina. L'articolo 27 della Costituzione sancisce che "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte". Uno Stato che viola per primo la sua legge suprema, come può chiedere e pretendere che i suoi cittadini la rispettino? In Italia troppo spesso accade che persone fermate dalle forze dell'ordine o incarcerate subiscano maltrattamenti e che le indagini su questi episodi, quando condotte, finiscano senza l'individuazione di precise responsabilità. Questa, in sintesi, la denuncia contenuta nei due rapporti pubblicati dal Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d'Europa sulla situazione in Italia. Nei rapporti, redatti sulla base di visite condotte nel nostro Paese tra il 2010 e il 2012, oltre che sui maltrattamenti, il Cpt torna sulla questione del sovraffollamento dei penitenziari, definito nel caso della prigione di Bari "inaccettabile"; e sul regime del 41bis, che va rivisto. Ma è sui maltrattamenti subiti da persone arrestate o incarcerate e sulle misure che l'Italia deve adottare per individuare, indagare e condannare questi casi che i due rapporti si concentrano. Per dimostrare che le autorità non stanno facendo tutto ciò che dovrebbero contro i maltrattamenti il Cpt elenca nei due rapporti una serie di casi. Dalle denunce ricevute soprattutto da persone straniere percosse nella maggior parte dei casi dalle forze dell'ordine nella zona di Milano, a quelle ricevute nella prigione di Vicenza sui maltrattamenti inflitti dalle guardie penitenziarie, o quella di un tunisino picchiato perché, per non essere rimpatriato, aveva ingoiato delle pile. Nel rapporto 2010, pur non facendo i nomi (a cui però si può risalire facilmente in base ai particolari riportati) ma riferendosi solo al "caso A" e "caso B", il Cpt analizza nel dettaglio anche le vicende di Stefano Cucchi e Mario Gugliotta, oltre a quella, indicata come "caso C", di un detenuto maltrattato nella prigione di Castrogno (Teramo); e si sottolinea che l'inchiesta è stata chiusa nonostante ci fosse una registrazione che provava i maltrattamenti. Il penitenziario abruzzese viene così descritto: "con una capacità ufficiale per 231 detenuti, la struttura che si trova alla periferia della città, costruita nel 1986 comprende una piccola sezione per un massimo di 21 donne e quattro blocchi di detenzione per gli uomini. Al momento della visita era sovraffollato: ospitava 29 donne e 360 uomini". Attraverso tutti questi esempi il Comitato mette in luce il fatto che spesso i maltrattamenti passano inosservati. E anche quando sono oggetto di indagine, queste raramente portano a delle condanne. Il Cpt punta poi il dito sulla mancata apertura di un'inchiesta nonostante che nel 2012, nell'arco di due mesi, al carcere di San Vittore vennero redatti ben 18 referti medici su altrettante persone che quasi certamente erano state maltrattate prima di arrivare lì. Infine il Comitato, nel rapporto 2010, critica in modo esplicito il processo sulla vicenda di Bolzaneto e della Diaz durante il G8 di Genova. Secondo il Comitato "il risultato del processo mette in dubbio l'efficacia del sistema che deve determinare le responsabilità delle forze dell'ordine e del personale penitenziario per i maltrattamenti". Giustizia: indulto o amnistia, vale la pena di riflettere di Alessandro Crini (Sostituto Procuratore Generale di Firenze) La Repubblica, 21 novembre 2013 La riflessione recentemente avviata sul tema dell'amnistia e dell'indulto suggerisce alcune precisazioni di tipo tecnico; ad esse, io credo, non ci si può sottrarre quando ci si occupa di istituti giuridici che, nonostante le loro forti implicazioni sociali, non possono comunque essere esaminati al di fuori del perimetro imposto dal processo penale e dalle sue regole e principi. Ora, è un dato non dubitabile, e peraltro congenito, che le carceri italiane siano drammaticamente sovraffollate. C'è chi sostiene che ciò dipenda dall'eccessivo ricorso dei giudici alla carcerazione preventiva, ma non è detto che non possano esistere anche carenze strutturali, rispetto alle necessità connesse, anzi tutto, alla presenza sul territorio di una criminalità organizzata endemica e particolarmente agguerrita. In questa complessa realtà, può incidere positivamente, in termini deflattivi, come si usa dire, un provvedimento d'amnistia e indulto? Certo che sì. La questione è semmai quella di vedere quanto e come. Consideriamo l'amnistia. Essa elimina la procedibilità per alcuni reati, estinguendoli; si tratta, comprensibilmente, dei reati ritenuti meno gravi: per lo più puniti con pena massima fino a quattro anni, con l'aggiunta di furti, resistenze a pubblici ufficiali ed altro. Non sarebbe certo pensabile amnistiare, che so, una rapina. Per questi reati la carcerazione non è, in effetti, molto frequente, salvo che nei confronti dei recidivi, cioè degli incalliti. E comunque, almeno di regola, è piuttosto breve. Per cui l'amnistia certamente può incidere sulle detenzioni, ma in modo un po' occasionale, diciamo; favorendo coloro che, per loro fortuna, vengono a trovarsi in tale stato, per quelle tipologie di reati, più lievi, al momento in cui giunge il beneficio. L'amnistia, quindi, ha senza dubbio un effetto molto significativo sull'attività degli uffici giudiziari. Più che altro, però, perché libera gli armadi da tutte quelle pratiche che, magari impropriamente, consideriamo minori; le quali, nella normalità dei casi, sono trattate, come si dice in gergo, a piede libero. E l'indulto? Qui il ragionamento è quasi inverso. L'indulto, infatti, interviene sulla pena, una volta che essa sia irrogata con la sentenza. E riguarda tutte le pene, con l'eccezione di quelle relative ad un certo numero di reati particolarmente gravi e di particolare allarme sociale. Quindi, ad esempio, sono condannato a quattro anni di reclusione per traffico di stupefacenti e me ne vedo "abbonati", di norma, tre, per effetto dell'indulto. Certamente qui i riflessi sulla detenzione sono molto più consistenti, come è facile capire. Proprio perché il beneficio incide anche su pene che possono essere piuttosto elevate, a fronte di fatti particolarmente gravi. Ecco, è qui che può levarsi la critica da parte di chi ritiene l'indulto un beneficio troppo consistente (tre anni "secchi" su pene anche maggiori), per soggetti che possono essersi resi responsabili di reati anche molto seri. Ma si può obiettare che, se lo scopo del trattamento è quello di ridurre la popolazione carceraria, allora, di sicuro, l'indulto è la medicina più necessaria. Non è semplice, in verità, orientarsi in questa alternativa. Un'indicazione, tuttavia, è il caso di fornirla: la maggior parte delle volte, salvo che per reati gravissimi, la pena, anche severa, si rende applicabile dopo che il condannato, posto inizialmente agli arresti con un provvedimento di cattura, recupera in seguito la propria libertà, in quanto i giudici ritengono che le cosiddette esigenze cautelari siano venute meno. Accade così che quando egli si ritroverà, al termine della sua vicenda processuale, a dover infine scontare l'eventuale condanna, facendo rientro in carcere, sarà buona norma, per lui, avviare tutti quei variegati percorsi che, partendo da una revisione critica del suo passato delinquenziale, lo potranno portare a beneficiare di una delle diverse tipologie di pene alternative, ben lontano dal carcere, Ora, è un fatto che applicare l'indulto a queste persone, le quali, nella pratica, ne sono tra i beneficiari principali, significa anche azzerare del tutto questa preziosa fase di riabilitazione; che, tra l'altro, nello spirito della Costituzione, dovrebbe essere la funzione principale della pena. Insomma, val la pena di continuare a riflettere, mi pare. Giustizia: Marazziti (Sc), amnistia sarebbe sacrosanta, ascoltare appello di Don Balducchi Europa, 21 novembre 2013 "L'allarme lanciato dall'ispettore generale dei cappellani del carcere italiani, don Virgilio Balducchi, circa la debolezza del Parlamento italiano su un provvedimento necessario e importante come l'amnistia è sacrosanto. Condivido le sue parole a proposito della resa delle forze politiche e del ‘Parlamento che non avendo la forza e i numeri per proporre un'amnistia fa cadere l'appello di Napolitano, almeno per ora, nel vuoto". Lo dichiara in una nota il deputato di Scelta Civica Mario Marazziti. "Il carcere di oggi è illegale e produce illegalità" - sottolinea Marazziti -, aggiunge la disumanità di condizioni di vita non previste nelle sentenze da scontare. E, soprattutto, produce recidiva in due casi su tre, per la scarsità di risorse per i percorsi di reinserimento sociale e la resistenza di troppi a pene alternative. Ho sostenuto da tempo la necessità dell'amnistia, fin dalla scorsa legislatura, assieme ai provvedimenti che con chiarezza il presidente Napolitano ha indicato come passi indispensabili per restituire al carcere la sua funzione di sanzione e riabilitazione, e non una vergogna nazionale, come invece è", aggiunge Marazziti. "Ho presentato il progetto di legge per l'abolizione dell'ergastolo, che ancora coinvolge 1200 detenuti in una detenzione senza fine, in Italia, senza che il Paese ne sia consapevole. Purtroppo, una ossessione carcero-centrica, il dibattito bloccato sulle questioni della giustizia e sulle questioni giudiziarie del sen. Berlusconi, assieme a tentazioni gregarie verso i tanti populismi e le tante semplificazioni del momento bloccano, sul tema dell'amnistia, anche forze illuminate. Spero che anche nella leadership dei nostri alleati della maggioranza si affermi un coraggio maggiore, prendendo esempio dal Presidente della Repubblica. Con altri colleghi - conclude Marazziti - lavoreremo perché ciò accada presto". Giustizia: la Cancellieri si salva e rilancia la sua agenda… ora tocca all'amnistia? di Francesco Maesano Europa, 21 novembre 2013 La Cancellieri incassa la fiducia e prova a rilanciare l'azione del ministero a partire dalla sua agenda. In cima potrebbe esserci proprio il provvedimento svuota-carceri auspicato da Napolitano. Il giorno più lungo di Anna Maria Cancellieri. È lei stessa ad ammetterlo alla buvette della camera dopo che l'intervento di Guglielmo Epifani ha sancito il fischio finale della partita per la sfiducia contro di lei. "Avevamo pensato ad un numero verde", ha spiegato il Guardasigilli, commentando l'ipotesi lanciata dal segretario Pd. "Non è una cattiva idea". Dal toto-avvicendamento a una rinnovata, larghissima fiducia. Il manuale Cencelli è tornato nello scaffale, si è abbassato il vento che fino a martedì pomeriggio faceva muovere una girandola di nomi con in pole quello del vice-presidente del Csm, Michele Vietti. Ora, confermata nel suo incarico, la ministra della giustizia può tornare a occuparsi dei temi che la attendono sulla scrivania di via Arenula, primo fra tutti l'emergenza legata al sovraffollamento delle carceri. Un ministero dimezzato dalle spaccature interne al Pd e dall'imprevedibile tasso di litigiosità tra le due anime del centrodestra (che pure hanno votato compatte in suo favore)? Tutt'altro. Almeno a giudicare dall'agenda che si è data Cancellieri. A dicembre arriverà in aula a Montecitorio la riforma della custodia cautelare. Il progetto prevede che il pericolo di fuga, presupposto necessario per la carcerazione preventiva, dovrà essere "attuale". Un modo per evitare che venga emesso a grande distanza dalla commissione del fatto e, incidentalmente, un provvedimento "svuota-carceri". Ma la novità più rilevante potrebbe avere tempi ancora più stretti. Nel breve volgere di ore la questione indulto e amnistia sarebbe tornata al centro delle riflessioni nel trilatero via Arenula, palazzo Chigi, Quirinale. Fino a poche settimane fa un vero provvedimento svuota-carceri sembrava dietro l'angolo. Poi il quadro politico s'è fatto più complesso e le misure sono finite in stand-by, ma sempre in campo. Si pensava però che ad essere affrontata per prima sarebbe stata la riforma della custodia cautelare. Potremmo invece assistere a uno switch. Sull'onda della fiducia acciuffata all'ultimo respiro, Cancellieri potrebbe rilanciare l'azione del suo ministero partendo proprio da quel punto. La pressione sul tema sta salendo. Oggi i Radicali terranno sit-in a partire dalle 9 di fronte ai più grandi istituti di pena del paese. Fonti interne alla maggioranza giurano che "importanti novità sulle carceri" arriveranno già nel corso della prossima settimana. Sull'argomento la ministra e il presidente della repubblica condividono un'identità di vedute ripetuta in più occasioni a partire da quell'invocazione ad adottare "rimedi straordinari" lanciata da Giorgio Napolitano all'inizio di ottobre. Giustizia: un ministro che pensa a tutti i detenuti www.europaquotidiano.it, 21 novembre 2013 La ministra ha dimostrato di non essere disposta a girare la testa dall'altra parte di fronte a un fatto completamente rimosso dal potere italico: la condizione delle carceri La domanda, fino ad oggi utilizzata contro Anna Maria Cancellieri, è stata: "E gli altri detenuti?". Sarebbe fondamentale per la salvezza di questa malconcia repubblica, che tale domanda non smettesse di essere posta, ma che riecheggiasse ogni giorno, come una ossessione, da oggi in poi: "E gli altri detenuti?". Anna Maria Cancellieri è stata la prima ministra della giustizia a sostenere la necessità di un provvedimento di amnistia per legalizzare la giustizia e le carceri italiane. La ministra ha dunque dimostrato di non essere disposta a girare la testa dall'altra parte di fronte a un fatto completamente rimosso dal potere italico: la condizione strutturale di tortura e trattamenti disumani e degradanti nelle carceri italiane e l'irragionevole durata dei processi, ripetutamente accertate dalla Corte europea dei diritti umani. Proprio l'azione della Corte, e le scadenze poste al nostro paese per interrompere la condizione criminale delle carceri, sono al centro del messaggio alle camere del presidente della repubblica sul tema. Anna Maria Cancellieri ha abusato del proprio potere a favore di un detenuto? I fatti dicono di no. La disinvoltura della ministra nel trattare un caso a lei personalmente legato e la poco rassicurante vicinanza con taluni ambienti di potere non rappresentano un abuso di potere. Vedremo se emergerà dell'altro. Ma, per chiedere le dimissioni di un ministro, non serve (o non basta) un reato, e nemmeno un avviso di garanzia, a meno di voler attribuire a ciascun pubblico ministero il potere di disfare i governi. Basta la politica. Cancellieri avrebbe dovuto dimettersi o essere sfiduciata se si fosse attivata - anche legittimamente - per un detenuto e si fosse al contempo disinteressata - come continuano a fare i vertici di Pd, Pdl, Sel, 5 stelle, Sc, Lega - dell'urgenza di impedire allo stato italiano di continuare a torturare decine di migliaia di persone nelle nostre carceri. Ma Cancellieri non è caduta in questa contraddizione. Sono, invece, i vertici di quei partiti, insieme ai baldanzosi aspiranti leader, ad essersi appassionati sul "caso Cancellieri", rimanendo essi stessi co-responsabili (quantomeno per omissione) di crimini della massima gravità quotidianamente ripetuti in ordini di grandezza degni di uno stato totalitario. La cosa più importante è che quella domanda, agitata a favor di telecamera, non smetta d'ora in poi di essere posta dentro e fuori dall'aula: "E gli altri detenuti?". Cari pentastellati assetati di giustizia?! "E gli altri detenuti?". Cari Democratici affamati di legalità?! "E gli altri detenuti?". Cari berlusconiani, che divenite antiberlusconiani solo quando il capo parla di amnistia e referendum invece che dei propri processi?! Mentre (non) cercate risposta, gli "altri detenuti" e i loro parenti hanno provato, a decine di migliaia, a far sentire la propria voce, con la nonviolenza, in compagnia di Bernardini e Pannella. Non li avete ascoltati per anni, cari capipartito indignati della domenica e cari tenutari dei salotti televisivi. Non li state ascoltando oggi e non avete intenzione di ascoltarli domani. Sareste voi a dovervi dimettere. Giustizia: la Camera respinge mozione sfiducia al Ministro, ma il caso Ligresti si riapre 9Colonne, 21 novembre 2013 Non è finita. Il caso Cancellieri - Fonsai non si chiude con la bocciatura della mozione di sfiducia (405 no contro 154 sì) presentata dai Cinque Stelle alla Camera. Pochi minuti dopo il voto, la pubblicazione di dichiarazioni rese da Salvatore Ligresti al pm di Milano Luigi Orsi rigirano il coltello nella piaga. L'ex patron della galassia Fonsai dichiara di essersi fatto latore del desiderio dell'allora prefetto di essere confermato nella sede di Parma e di aver trasmesso la sua esigenza all'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "In quel caso - afferma Ligresti - la segnalazione ebbe successo". Il Guardasigilli parla di dichiarazioni "destituite di ogni fondamento", tanto più che di Parma è stata, in due occasioni diverse, commissario straordinario, e non prefetto, prima di essere chiamata a ricoprire l'incarico di prefetto di Vicenza la prima volta e di ministro dell'Interno del governo Monti la seconda. "È surreale pensare - sottolinea una nota di via Arenula - che, in entrambi i casi, abbia potuto chiedere un interessamento per rimanere a Parma, potendo ricoprire incarichi più impegnativi e qualificanti". E dire che in aula il ministro aveva difeso l'amicizia della sua famiglia con Antonino Ligresti, da cui le era arrivata la segnalazione sulle condizioni di salute della nipote Giulia ma che non ha nessun rapporto d'affari con il fratello Salvatore. Ripercorrendo, come già aveva fatto lo scorso 5 novembre nella stessa sede, la scansione temporale delle telefonate sulla situazione carceraria di Giulia Ligresti, il ministro ha negato che dalla sua amicizia con Antonino Ligresti siano derivati favoritismi per quella detenuta: "Non vi è stato nessun inconsueto zelo, né una anomala tempestività, meno che mai generata da un mio intervento, come adombrato da qualcuno, ma un'ordinaria attività di prevenzione, che si è sviluppata in maniera assolutamente autonoma". "Respingo, quindi, con assoluta fermezza - ha proseguito il ministro - il sospetto che l'esito della vicenda processuale di Giulia Ligresti sia la conferma dell'esistenza di un'odiosa giustizia di classe, che distingue tra detenuti di serie A e di serie B, tra quelli ricchi e quelli poveri". Nessuna bugia, ha proseguito al ministro, è stata raccontata da parte sua a Parlamento e magistratura "su alcun elemento di fatto che poteva essere utile a chiarire ogni aspetto della vicenda". "Tutto quello che mi viene contestato - ha concluso il Guardasigilli ringraziando il premier Enrico Letta per non aver mai fatto mancare il sostegno suo e del governo - è smentito dai fatti e dalla magistratura che se ne è occupata, nella quale ho sempre riposto la massima fiducia". In aula, prima del voto, è successo di tutto. I deputati del Movimento Cinque Stelle hanno mostrato cartelloni con la scritta "Cancellieri a casa" e fatto squillare i cellulari in segno di protesta contro il ministro, il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta, così come gli stessi grillini e la Lega Nord, ha picchiato duro contro il Pd, reo a suo dire di aver trasformato il Parlamento nella sala giochi di "renziani", "cuperliani", "civatiani" e "lettiani". "Oggi qui - ha aggiunto Brunetta - usando il fazzoletto pieno di lacrime di coccodrillo della fiducia, i deputati del Partito democratico praticheranno una danza macabra attorno al presidente Letta e al suo governo". A replicargli ci ha pensato direttamente Guglielmo Epifani in aula: "Bisogna sempre parlare con rispetto delle discussioni che riguardano altre forze politiche, perché viene sempre, poi, il dubbio che si parli degli altri per non parlare mai di sé". Il segretario del Pd, pur criticando la telefonata pro Ligresti, ha confermato la fiducia del partito al Guardasigilli, salvo poi ammettere fuori dall'aula: "Da oggi il governo è più debole". Giustizia: Renzi (Pd); "caso Cancellieri", si è data l’idea che la legge non è uguale per tutti Ansa, 21 novembre 2013 “Nel momento in cui il ministro rimane in carica la speranza è che faccia le cose che deve fare. Mi auguro che la Cancellieri, che è una persona seria, una persona seria che ha sbagliato, abbia conservato il prestigio e l’autorevolezza per affrontare le cose che interessano agli italiani, non i giochini interni che agli italiani non interessano. Io spero che sia così; ma intanto ha scritto una brutta pagina, in cui si è data l’idea che la legge non è uguale per tutti”. Lo ha detto il sindaco di Firenze Matteo Renzi, intervistato da Uno Mattina. “Agli italiani - ha spiegato il sindaco - interessa riformare la giustizia civile per dare tempi certi a chi si rivolge a un tribunale, interessa sapere se si eliminano questi benedetti Tar, visto che la giustizia amministrativa oggi è un ulteriore impedimento rispetto alle procedure che si devono seguire. Poi c’è il tema della custodia cautelare con il 39% dei 67mila detenuti italiani in carcere per custodia cautelare. Avere la possibilità di fare queste cose è fondamentale”. Giustizia: dopo lezione del "caso Cancellieri" istituiamo il Garante nazionale dei detenuti di Luigi Manconi (Presidente di "A Buon Diritto") www.huffingtonpost.it, 21 novembre 2013 La conclusione della discussione parlamentare del cosiddetto "caso Cancellieri", con la bocciatura della mozione di sfiducia individuale presentata dal partito di 5 stelle, consente di ripartire per una urgente azione politica per la riforma radicale del nostro sistema penitenziario e per la tutela dei diritti umani delle persone che vi sono recluse. È questo uno dei punti qualificanti su cui può spendersi il Pd nel governo di larghe intese. Il Ministro Cancellieri sta facendo la sua parte, rappresentando efficacemente il nostro Governo nel confronto con l'Europa che, giustamente, ci chiede di fare, fare bene e fare subito. Ora tocca al Parlamento impegnarsi da subito, a partire da una risposta di merito al tema e agli argomenti posti dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere. A Montecitorio è iniziata la discussione della modifica della legislazione sulla droga e della custodia cautelare. In Senato sono all'ordine del giorno le proposte per la messa alla prova, la depenalizzazione di molti reati e per l'istituzione del Garante dei detenuti nazionale. Obiettivo fondamentale per chiunque abbia a cuore la tutela degli standard di civiltà del nostro sistema penitenziario. Questi provvedimenti ordinari e un generale, mirato ed efficace provvedimento straordinario di clemenza possono ridare all'Italia l'onore perduto in Europa. Speriamo che in ogni componente politica possano prevalere queste priorità e che si possa finalmente accantonare questa triste pagina di uso strumentale (interno ed esterno ai partiti) della condizione e della sorte dei detenuti. Per fare un primo e piccolo passo avanti propongo la creazione da subito di un ufficio, nella sede del ministero della Giustizia, destinato a gestire un numero verde, una casella di posta elettronica e cartacea per le segnalazioni e i reclami dei detenuti e delle famiglie. Non ancora il Garante (che dovrà essere istituito e nominato dal Parlamento), ma un "difensore civico" ministeriale che si può fare e si giustifica politicamente e amministrativamente. Ma - va detto - è il Garante nazionale dei detenuti che può costituire un autentico punto di svolta. Salviamo detenuto in dialisi a Regina Coeli Salvare Brian Gaetano Bottigliero, il detenuto venticinquenne, ristretto a Regina Coeli, affetto da una insufficienza renale cronica e costretto a sottoporsi a dialisi tre volte la settimana. È l'appello lanciato da Luigi Manconi, presidente della Commissione Straordinaria per la promozione e la tutela dei diritti umani, che questa mattina è tornato nel centro clinico del carcere romano di Regina Coeli per visitare il detenuto, assieme alla senatrice a vita Elena Cattaneo e il professor Giuseppe Remuzzi, presidente della Società internazionale di Nefrologia. "Il professore - racconta Manconi dopo la conferenza stampa che si è svolta in sala Nassiria al Senato - ha sostenuto l'incompatibilità con il regime detentivo per tutti quei pazienti sottoposti a dialisi. La procedura medica è fisicamente, e psicologicamente, molto gravosa perché costringe a stare attaccati a una macchina quattro ore al giorno, tre o quattro giorni la settimana per tutte le settimane dell'anno. Il supporto alla funzionalità dei reni attraverso la macchina per la dialisi è intervento temporaneo e la guarigione si può ottenere solo tramite trapianto, per effettuare il quale, però, è necessario che sussistano tutte le migliori condizioni fisiche e psicologiche". Manconi ricorda che Bottigliero, dal suo ingresso in carcere nel luglio 2011, ha perso 18 chili di peso. La senatrice Cattaneo, riferisce ancora Manconi, "è intervenuta riguardo alle condizioni strutturali del centro clinico, che paiono non essere adeguate ad accogliere persone affette da gravi patologie. A tale proposito, nel corso della visita ci è stata consegnata una lettera in cui i ricoverati del centro clinico comunicano l'intenzione di astenersi dal vitto fornito dall'amministrazione fino a che non verrà accolta la loro richiesta di istituzione di un tavolo negoziale per affrontare i molti problemi della struttura. Se la richiesta non verrà accolta - affermano gli estensori della lettera - il passo successivo sarà il rifiuto delle terapie mediche". Sciopero fame detenuti clinica Regina Coeli "Quando sono entrato stamani nel carcere di Regina Coeli, un detenuto mi ha consegnato una lettera che, ha sottolineato, risponde alla volontà di tutti coloro che si trovano nel centro clinico. I detenuti, si legge, stanno facendo lo sciopero della fame perché lamentano un deficit igienico - sanitario del centro e una non adeguata alimentazione rispetto alle loro patologie. Se inascoltati, sono pronti a interrompere la terapia farmacologica". Lo ha detto Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani di Palazzo Madama, che stamani si è recato nel carcere di Regina Coeli per Brian Gaetano Bottigliero, dializzato in carcere, per il quale ha chiesto i domiciliari. "I detenuti - ha aggiunto Manconi - chiedono un tavolo negoziale con diverse autorità per trovare una soluzione a una situazione non più sopportabile. Approfondirò questa vicenda". A Manconi ha fatto eco la biologa e senatrice a vita Elena Cattaneo, presente alla visita in carcere: "Abbiamo constatato che i medici - ha spiegato - si trovano a lavorare con risorse e mezzi limitati. In ogni stanza ci sono 4 o 5 detenuti con differenti patologie, e un diabetico mi ha detto che gli danno da mangiare spesso riso e patate, cosa assolutamente incompatibile con la sua malattia". Manconi, livello basso ma chi ha risorse può salvarsi "Chi entra in carcere, sia una persona ricca sia una povera, ha diritti e garanzie ridotti al minimo. È per tutti un livellamento verso il basso. Poi è ovvio che chi ha più risorse ha più possibilità di salvarsi". Lo ha detto Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani di Palazzo Madama, che ha sottoposto alla stampa il caso del detenuto Brian Gaetano Bottigliero, sottoposto a dialisi in carcere, per il quale ha chiesto i domiciliari. "A dimostrazione di questo - ha aggiunto - c'è qui oggi Melania Rizzoli, moglie del noto imprenditore Angelo Rizzoli malato di sclerosi multipla che, prima di ottenere gli arresti domiciliari, ha dovuto aspettare quattro mesi e mezzo. Le persone note e quelle non conosciute - ha concluso Manconi - sono unificate perché patiscono tutte una condizione pesantissima di sofferenza nel nostro sistema penitenziario". Giustizia: Sottosegretario Berretta; impegno immediato per casi segnalati da Manconi Agi, 21 novembre 2013 "Impegno immediato per verificare i casi dei detenuti in difficoltà segnalati dal senatore Luigi Manconi". Ad assicurarlo è il sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Berretta. "Relativamente ai casi dei detenuti con gravi problemi di salute Brian Gaetano Bottigliero, Vincenzo Di Sarno e Vito Manciaracina, segnalati dal senatore Luigi Manconi - afferma il sottosegretario con una nota - garantisco un mio immediato impegno ad attivarmi, così come peraltro fatto in altre occasioni. Ha ragione Manconi quando afferma che la pretesa battaglia egualitaria contro i privilegi di Giulia Ligresti nasconde una pulsione diversa, cioè l'idea di un livellamento verso l'azzeramento delle garanzie e dei diritti dei detenuti. Invece dovremmo rimettere al centro del nostro dibattito il tema delle garanzie, della funzione rieducativa della pena, di una giustizia penale che non può essere - conclude il sottosegretario - ulteriore elemento di disparità? sociale in un Paese che di disuguaglianze ne vive già troppe". Giustizia: Tamburino (Dap); sì a numero verde per segnalare difficoltà, gestito call-center detenuti Adnkronos, 21 novembre 2013 "La proposta di istituire un numero verde troverebbe piena accoglienza da parte del Dap". Lo assicura il capo del dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, interpellato dall'Adnkronos sull'ipotesi di un sistema per raccogliere le segnalazioni sui detenuti in difficoltà. "Non è una cattiva idea", ha detto oggi il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, rispondendo alla sollecitazione del segretario del Pd, Guglielmo Epifani. "Sarebbe un'iniziativa sperimentale - spiega Tamburino - e dovremmo valutarla con attenzione per verificare tutte le condizioni. Una volta accertato che vengano evitati eccessi e segnalazioni strumentali o non fondate, anche lo strumento del numero verde può essere sicuramente un valido aiuto per la conoscenza della realtà. Ma mi preme precisare - rimarca - che il Dap questi interventi li fa sempre e comunque". "Già in un incontro una decina di giorni fa a Regina Coeli - sottolinea il capo del Dap - con le associazioni che si interessano di volontariato e carcere, avevo lanciato l'idea di un numero verde nazionale. Anzi - aggiunge Tamburino - potrebbe essere gestito dai call center nei quali lavorano assai bene i detenuti. Un call center è presente a Bollate, ma ce ne sono altri a Rebibbia e Padova, e alcune di queste realtà che sono anche un modello di buone pratiche, svolge attività delicate come quella di prendere appuntamenti per visite ospedaliere. I risultati sono straordinari". Giustizia: Balducchi (Cappellani); in Parlamento è resa su amnistia, appello Napolitano nel vuoto Adnkronos, 21 novembre 2013 "C'è una specie di resa delle forze politiche: il Parlamento non ha la forza e i numeri per proporre un'amnistia. Così l'appello di Napolitano, almeno per ora, è caduto nel vuoto". Don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane non fa mistero di sentirsi "molto dubbioso" sui provvedimenti di clemenza per fronteggiare l'emergenza sovraffollamento nelle prigioni. "Le Camere - aggiunge - si stanno occupando di altro, e questo tema è sparito dall'agenda politica. Guardando i pronunciamenti dei partiti, sia a destra sia a sinistra, non ci sono i numeri sufficienti e il coraggio per rendere proponibile questa soluzione. E intanto l'Europa sollecita interventi". Il Presidente della Repubblica, fa notare, "ha fatto tutto ciò che era possibile, ma il suo appello è rimasto per ora inascoltato". "Nel frattempo - rimarca don Balducchi - in carcere l'attesa dei detenuti resta viva. Ma dietro le sbarre comincia a serpeggiare anche una sorta di rassegnazione. Si spera si realizzino almeno altre misure alternative che portino a deflazionare le presenze, come la semilibertà, la detenzione domiciliare e la minor custodia cautelare". "I detenuti - conclude il capo dei cappellani delle carceri - avvertono l'esigenza di sentire che si stia facendo qualcosa di concreto. Non so a cosa potrebbe portare la loro delusione, ma i cappellani vedono tanti volti tristi. In prigione ci sono migliaia di persone che soffrono, aspettano un segno che non arriva". Giustizia: Bernardini (Radicali); messaggio di Napolitano non cadrà nel vuoto, forza Balducchi! Prima Pagina News, 21 novembre 2013 "No, il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non cadrà nel vuoto: io sono, noi siamo più che mai determinati a proseguire la nostra iniziativa nonviolenta di dialogo, indirizzata ai Presidenti di Senato e Camera perché diano seguito con adeguate iniziative alle parole inequivocabili che l'8 ottobre scorso la massima carica dello Stato ha rivolto al Parlamento, utilizzando per la prima volta lo strumento istituzionalmente previsto dal 2° comma dell'art. 87 della Costituzione". Questa la dichiarazione di Rita Bernardini, Segretaria nazionale di Radicali italiani. Annuncia Bernardini, "domani, giovedì 21 novembre, dalle 9 di mattina, davanti a numerose carceri italiane si terranno sit-in per sostenere la ripresa dello sciopero della sete di Marco Pannella rivolto sia ai Presidenti della Camere - che purtroppo, almeno fino ad oggi, hanno lasciato cadere nel vuoto il messaggio presidenziale - sia al Governo perché dia sostegno e seguito alla volontà della Ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri, la quale ha definito l'amnistia "un imperativo categorico morale" e , fra mille attacchi e difficoltà ma con grande determinazione e umanità, si adopera per far rientrare il nostro Stato nella legalità costituzionale. Personalmente, assieme all'ex deputato radicale Marco Beltrandi e alla militante radicale pugliese Annarita Di Giorgio, mi trovo al nono giorno di sciopero della fame, mentre migliaia di detenuti e loro familiari accompagnano attivamente questa mobilitazione nonviolenta. Forte di questa solidarietà, desidero incoraggiare il capo dei cappellani penitenziari, Don Virgilio Balducchi, affinché prosegua nell'opera umana, sociale e civile che lo ha sempre contraddistinto, anche se comprendo le parole di sconforto che ha usato oggi. Ce la faremo. Forza, padre Balducchi!". Informa infine la Segretaria nazionale di Radicali italiani, i sit-in si terranno giovedì 21 Novembre a partire dalle ore 9.00 nelle seguenti città: Agrigento: presso il carcere di Sciacca Caserta: presso la nuova casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere (dalle ore 7.00 alle 12.00) Catania: presso il carcere Piazza Lanza Firenze: presso l'Istituto Penitenziario Minorile "Meucci" (dalle 09.30) Genova: presso il carcere Marassi Napoli: presso il carcere Poggioreale Padova: presso il carcere Due Palazzi (il sit in si terrà sabato 23 novembre), Roma: presso il carcere Rebibbia e presso il carcere Regina Coeli Salerno: presso il carcere di Fuorni Teramo: presso il carcere di Castrogno dove, a partire dalle ore 14.00, ci saranno anche Marco Pannella e Rita Bernardini per una visita assieme al Consigliere Regionale Ricardo Chiavaroli e il radicale teramano Ariberto Grifoni Verona: presso il carcere di Montorio Vicenza: presso il carcere San Pio X Gorizia: davanti all'Istituto Penitenziario sito in via Barzellini. Giustizia: è scontro tra Consiglio d'Europa e Questura di Milano sui maltrattamenti ai detenuti di Massimo Pisa La Repubblica, 21 novembre 2013 Calci, pugni, bastonate. Insulti e frasi razziste. Durante gli arresti o la detenzione nelle camere di sicurezza di questura e comando provinciale dei carabinieri. Sono accuse specifiche, anche se non circostanziale, quelle lanciate da un rapporto ufficiale del Cpt, il Comitato per la prevenzione di torture e trattamenti o punizioni inumani o degradanti del Consiglio d'Europa. I fatti - una dozzina quelli riguardanti Milano, anche se i commissari visitarono tutta Italia - risalgono al periodo tra il 13 e il 25 maggio 2012. Strasburgo punta il dito soprattutto contro Milano, evidenziando in neretto il passaggio nel documento: "La maggior parte delle denunce è stata ricevuta da parte di stranieri, e più specificatamente, da stranieri arrestati da polizia e carabinieri nell'area di Milano". C'è di più: "Il Cpt si raccomanda che venga recapitato un messaggio formale da parte delle autorità a tutte le forze dell'ordine dell'area di Milano, ricordando loro di essere rispettosi dei diritti delle persone in loro custodia e che i maltrattamenti fisici, al momento dell'arresto o successivamente, saranno oggetto di severe sanzioni". Respinge al mittente le accuse il questore Luigi Savina: "Resto perplesso. Non solo non mi risulta, perché sono fatti che non fanno parte del nostro Dna, ma questi casi implicherebbero un'omissione da parte dell'autorità giudiziaria. Sono frasi doppiamente offensive". Il colonnello Maurizio Stefanizzi puntualizza: "Sulle nostre camere di sicurezza l'Unione europea ha avuto da ridire in passato, alcune erano inagibili e sono stati già adottati i correttivi necessari. Ma non ci risultano, in quel periodo preso in esame dal Comitato, denunce ai carabinieri per maltrattamenti: in quel caso l'autorità giudiziaria avrebbe agito severamente". Giustizia: Campagna per chiusura Opg; oggi il viaggio di Marco Cavallo ha fatto tappa al Senato Adnkronos, 21 novembre 2013 Il viaggio di Marco Cavallo - il grande cavallo azzurro di cartapesta diventato un simbolo da quando, nel 1973 a Trieste, ruppe i muri del manicomio di San Giovanni dando il via al processo di cambiamento della Legge 180 - ha fatto tappa al Senato per sostenere la battaglia per l’abolizione degli Ospedali psichiatrici. Nella sala Nassiria di Palazzo Madama questa mattina il presidente Pietro Grasso ha salutato l’iniziativa e ha portato la sua testimonianza in favore del riordino della regole sugli ospedali: “Ho maturato un’esperienza diretta da giovane procuratore, quando a portarmi all’interno di alcune strutture psichiatriche erano le inchieste su irregolarità o addirittura decessi. Sento vicino questo problema per averlo conosciuto in prima persona”. Oltre 17 le tappe che il viaggio ha in programma fino al 25 novembre, “ovunque stiano costruendo i ‘nuovi manicomi Opg”, dicono i rappresentanti di Stop Opg che rappresenta le associazioni e le organizzazioni attive sul territorio in difesa dei diritti umani. “Per chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari, per no ai mini Opg/manicomi regionali e per aprire i Centri di salute Mentale h24” in sintesi la battaglia che stanno portando avanti le organizzazioni. Un problema che oggi riguarda oltre 1.000 persone rinchiuse in luoghi che, il presidente della Repubblica ha definito “indegni per un Paese appena civile”. Un viaggio di denuncia quello di Marco Cavallo, iniziato nel 1973 da Trieste che vuole lanciare un allarme: “Al posto degli Opg si stanno progettando delle strutture speciali in ogni regione (i mini Opg), in cui trasferire e rinchiudere di nuovo gli internati. Con il rischio che si aprano, al posto dei vecchi manicomi giudiziari, nuovi piccoli manicomi regionali”. Grasso: pazienti non possono pagare per difficoltà e lentezza istituzioni “Il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari, disciplinato per la prima volta da una legge del 1904, è ancora oggi previsto dal Codice penale come misura di sicurezza. Tuttavia, le condizioni di degrado, le carenze delle strutture, nonché le pessime condizioni di vita dei malati al loro interno, attestate anche da un’indagine parlamentare, hanno fatto sì che iniziasse un processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”. Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, nel corso dell’incontro con una delegazione di Stop Opg, in Sala Caduti di Nassiria, in occasione anche della tappa, nei pressi di palazzo Madama, di ‘Marco Cavallò, nel suo viaggio in tutta Italia organizzato da Stop OPG per chiedere la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Grasso sottolinea poi che “la chiusura delle strutture, decisa nel 2011, è a oggi fissata al 1 aprile 2014. Eppure, il traguardo è ancora lontano. Resta ancora molto da fare perché la sicurezza e la salute delle persone coinvolte siano tutelate in maniera concreta ed effettiva. È necessario un diverso approccio alla malattia mentale, che sposti gli obiettivi dell’intervento pubblico dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali di assistenza”. Per completare l’iter, aggiunge, “è necessaria una riforma legislativa, ma serve anche un previo, approfondito confronto con Governo, Regioni, Enti Locali e mondo del volontariato. È questo il percorso più corretto per definire le misure alternative alla detenzione e i percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale delle persone oggi ancora presenti negli OPG, stabilendo quali strutture specializzate, nell’ambito dei servizi di salute mentale, dovranno accoglierle e curarle. Non possono i pazienti continuare a pagare per le difficoltà e le lentezze delle Istituzioni”. “Il viaggio di Marco Cavallo - conclude Grasso - è un’occasione importante per parlare di questo, per evitare che la terribile condizione in cui si trovano i malati si protragga ancora nel tempo. Grazie, dunque, a Stop OPG e a tutti i miei colleghi che hanno sostenuto questa iniziativa”. Fedeli: Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono vergogna per tutti “L’arrivo di Marco Cavallo - il cavallo azzurro che nel 1973 ruppe i muri del manicomio di Trieste, diventando simbolo di libertà - non è un buon segno. Significa infatti che dopo 40 anni ancora c’è bisogno di lottare per quei valori che Franco Basaglia difese e affermò portando alla chiusura dei manicomi”. Lo ha detto Valeria Fedeli, vice presidente del Senato, aprendo nella sala Nassiria di palazzo Madama la conferenza “Stop Opg” sulla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari. “Il tema della salute mentale rappresenta - ha affermato - un punto ancora critico della sanità pubblica del nostro Paese e in questo scenario gli Opg sono una vera ferita nel tessuto civile del paese: una vergogna per tutti noi. Il lavoro compiuto nella scorsa legislatura dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale ha evidenziato - con tanto di immagini e filmati che le documentano - condizioni di vita indecenti, tra degrado, abbandono e degenerazione di ogni solidarietà e rispetto umano”. Fedeli ha ricordato che “uno dei principali risultati del lavoro della Commissione è l’obbligo di chiusura definitiva degli Opg dal 1º aprile 2014 (previsto dal dl 24 - 2013 in materia sanitaria, che ha prorogato una precedente scadenza fissata per il 31 marzo 2013). A tale obbligo si accompagna quello, a carico delle Regioni, di individuare strutture di residenza sociosanitarie alternative, con programmi terapeutico - riabilitativi”. “La situazione - ha proseguito Valeria Fedeli - non si è però ancora sbloccata e tante persone sono ancora reclusi e costretti a vivere in condizioni non umane, condizioni che il Presidente Napolitano ha definito “indegne per un Paese appena civile”. “Ora bisogna - ha sottolineato - che tutte le istituzioni agiscano, insieme alle associazioni, per vigilare sul rispetto degli obblighi di chiusura e per evitare che le nuove strutture si configurino come mini Opg, senza garantire quelle condizioni di vita rispettose del valore stesso della vita umana”. “Occorre invece tornare - ha concluso la vice presidente del Senato - allo spirito originale delle battaglie di Basaglia e della L.180, che restituì dignità e cittadinanza alle persone malate di mente e chiudere definitivamente gli Opg. Ne va della vita di chi vive in quelle strutture - talvolta da 30 e più anni, magari solo per aver rubato 7mila lire fingendo di avere una pistola in tasca - e ne va del grado di civiltà e democrazia dell’Italia tutta”. Giustizia: Sottosegretario Ferri; Giornata Infanzia, non dimenticare bimbi in carcere con madri Ansa, 21 novembre 2013 "Nella giornata dedicata all'infanzia non possiamo dimenticare tutti i bambini che ancora vivono in carcere con le madri detenute. Sono ancora pochi nel nostro Paese gli istituti di custodia attenuata in grado di ospitare le detenute con figli. Dobbiamo trovare le risorse per percorrere questa strada. Le colpe degli adulti non possono ricadere sui figli". Lo ha detto il sottosegretario Cosimo Maria Ferri in occasione della Giornata internazionale dell'infanzia. "Solo investendo in strutture di questo tipo, dove si crea un ambiente familiare che non ricordi il carcere, i bambini possono essere realmente tutelati. Non dimentichiamo che le statistiche rivelano che il 30% cento delle persone detenute è a sua volta figlio di detenuti. La speranza di una vita diversa per un bambino che sta vivendo una realtà drammatica fuori dalla sua comprensione - ha concluso - passa anche da condizioni di vita più dignitose in un carcere". Cutini (Campidoglio): i bambini non devono vivere in carcere In occasione della giornata internazionale dell' infanzia e dell' adolescenza, l'assessore capitolino al Sostegno Sociale e Sussidiarietà, Rita Cutini, ha visitato la ludoteca "Le meraviglie di Alice" nel carcere di Regina Coeli. "Non è un caso che in una giornata così particolare per i diritti dell'infanzia io abbia voluto essere qui", ha dichiarato Cutini, che aggiunge "la presenza dei bambini in carcere è un problema grave su cui dobbiamo riflettere ed agire in tempi rapidi. In questi mesi ho incontrato le associazioni che seguono la situazione dei penitenziari e tutte mi hanno messo al primo punto nelle priorità di intervento quella della tutela dei bambini. I piccoli non possono vivere in carcere ma in ambienti idonei alla loro crescita e al loro futuro, come le case famiglie, con le loro madri. Stiamo già dialogando con l'amministrazione penitenziaria per collaborare e risolvere presto questo problema - conclude l'assessore al Sostegno Sociale e Sussidiarietà - e dare un primo segnale verso un processo di umanizzazione delle carceri, partendo dai bambini che non hanno alcuna colpa". Lettere: il vero dramma è situazione delle carceri, non il caso Cancellieri-Ligresti di Paolo Piffer Il Giorno, 21 novembre 2013 Negli ultimi giorni si è parlato molto del Caso Cancellieri - Ligresti. Considerata la mia esperienza lavorativa nel Carcere di Monza mi è stato chiesto cosa ne penso. Sono molto arrabbiato, ecco cosa ne penso. Non è accettabile che in Italia si parli di Carcere solo quando c'è una qualche possibile strumentalizzazione Politica pro o contro qualcuno. Persone che si scoprono solidali o ipergiustizialisti a seconda della parte politica coinvolta. Ci sono migliaia di Uomini e Donne nei nostri Carceri che vivono in condizioni pietose, ogni giorno, ad ogni ora, anche quando avrete finito di leggere queste righe e sarete tornati alla vostra vita e alle vostre distrazioni. E non mi riferisco solo ai Detenuti, ma anche agli Agenti e agli Operatori che quotidianamente condividono spazi e odori con loro. Affrontare seriamente questo Dramma non ha niente a che fare con l'essere "buono" o "cattivo", di "sinistra" o di "destra", vuol dire primo rispettare l'art. 27 della Costituzione, perché lo Stato non può non garantire dignità alle persone, qualsiasi atto criminoso abbiano commesso, altrimenti si comporta da criminale anche lui, secondo, investire sulle Carceri perché è il modo più efficace per affrontare il tema della sicurezza nel Paese, questione molto sentita e che spesso si prova goffamente a risolvere con qualche volante in più per le strade. Un Detenuto rieducato diventa un Uomo che ha qualcosa da perdere, e che quindi non ci pensa proprio a delinquere. Ma la Cancellieri? Il Ministro ha fatto una segnalazione. Quello che dovrebbe fare ogni volta ce ne siano le condizioni. Non lo ha mai fatto prima? Male, è un cattivo Ministro. Chi decide è il Magistrato, sempre. Il Magistrato ha preso una decisione contraria alle proprie convinzioni solo perché sollecitato da un Ministro? Male, è un cattivo Magistrato. Il Direttore del Carcere e la Asl sono tenuti a conoscere gli stati di salute di ogni Detenuto, decidere di conseguenza e comunicarlo al Magistrato. Prestano maggiore attenzione a qualche Detenuto e meno ad altri? Male, non è un buon Carcere. Questi sono i dati. Questo è quello che avviene nelle Carceri. Il patrimonio economico o le amicizie personali non dovrebbero in alcun modo interferire sul trattamento delle persone recluse. Io non mi scandalizzo quando a qualcuno viene garantito un diritto solo perché è ricco o perché ha il numero di cellulare del Ministro, io mi incazzo quando non viene garantito un diritto a qualcuno solo perché è povero e non conosce nessuno. Se lo stato di salute della Ligresti non era compatibile con l'ambiente carcerario, il Magistrato ha preso la decisone giusta. Del suo conto in banca o della sua rubrica mi interessa poco. Ora mi aspetto la stessa attenzione per ognuno dei Detenuti. Se ancora adesso state pensando che la priorità sia capire se il Ministro si debba dimettere o no: o siete un politico, o non sopportate questo Governo, o entrambi. Questo è quello che penso. Lettere: l'ipotesi di ricorrere alle carceri private, fra consensi e controversie di Ettore Bucciero Corriere della Sera, 21 novembre 2013 La necessità di provvedimenti di clemenza (esclusa la grazia) viene prospettata unicamente per la circostanza che il sovraffollamento delle carceri è talmente eccessivo da rasentare la tortura e da violare la Costituzione il cui art. 27 stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"! Ma è nota la profonda avversione della maggioranza degli italiani ai provvedimenti di clemenza per la negativa esperienza delle amnistie e degli indulti. Che fare quindi? La soluzione potrebbe essere la privatizzazione delle carceri. Affidare ai privati la costruzione di un carcere modello (su progetto standard finalizzato alla rieducazione) e la gestione dello stesso, viene ostacolata da chi forse teme eventuali speculazioni e connesso sfruttamento del lavoratore /carcerato. Eppure sappiamo quanto ci costa una "giornata" di un detenuto: questa somma potremmo girarla al privato il quale in tal modo si può gestire l'organizzazione del carcere (e cioè del detenuto) con le proprie guardie, il lavoro dei detenuti, il vitto, ecc.! Ma tutto sotto il controllo dello Stato attraverso ispettori, medici, psicologi, ispettori Inps ecc. ecc.! E ovviamente sotto il controllo dei parlamentari così come fece il sottoscritto e i suoi Colleghi sotto la Presidenza della Commissione Giustizia affidata al sen. avv. Antonino Caruso. E per agevolare il privato costruttore / gestore lo Stato potrebbe "girargli" il ricavato della vendita o della permuta di vecchie carceri (alcune dell'800, una addirittura del 1500) ormai nel pieno centro delle città!! Basti pensare al carcere del Buon Cammino a Cagliari situato in pieno centro, a picco sul mare, ambito da chi sarebbe lieto di fame un albergo a 6 stelle! O al carcere di Bari di grande estensione a 1,5 km dal centro città. E così via… per tante altre. Risponde Sergio Romano Caro Bucciero, nella storia dei sistemi carcerari il capitolo delle prigioni private è il più controverso. Una delle prime sperimentazioni europee in epoca recente è quella della Gran Bretagna, dove un carcere venne appaltato nel 1992. Nel sistema inglese il capitolato d'appalto è molto particolareggiato, impone parecchi obblighi al gestore privato e riserva allo Stato molti diritti. La situazione non è altrettanto chiara negli Stati Uniti dove i contratti possono variare considerevolmente da uno Stato all'altro della federazione e molte società private hanno gestito le carceri con grande spregiudicatezza suscitando accuse per incuria, cattiva alimentazione, mediocre assistenza sanitaria, punizioni eccessive, soprusi, stupri, tentati suicidi. La formula ha registrato consensi nei Paesi di lingua inglese, più tradizionalmente inclini alle privatizzazioni. Israele ha adottato il sistema per un paio d'anni, ma una sentenza della Corte suprema lo ha dichiarato incostituzionale. Aggiungo, caro Bucciero, che la sicurezza, nelle carceri private, verrebbe necessariamente affidata a un personale di custodia armato e addestrato. Non mi piacevano le ronde quando la Lega sosteneva che avrebbero garantito la sicurezza dei cittadini nel territorio della "Padania". E non mi piacerebbe che l'Italia, oltre alle sue numerose polizie, avesse anche un corpo privato di miliziani carcerari, destinati ad avere, prima 0 dopo, un album professionale. Lei ha ragione quando osserva che un nuovo provvedimento di clemenza non sarebbe gradito a una parte considerevole della pubblica opinione. Potrebbe essere accettabile, tuttavia, se accompagnato da un piano per la depenalizzazione di parecchi reati, provvedimenti più liberali in materia di custodia cautelare e una giustizia più efficiente. Gli aspetti più inquietanti del sistema giudiziario italiano sono i detenuti in attesa di processo e il numero di coloro che vengono riconosciuti innocenti alla fine di un percorso lungo e tortuoso. Toscana: emergenza carceri, incontro tra Provveditore Dap e Garanti dei detenuti www.toscanatv.com, 21 novembre 2013 Migliorare la situazione delle carceri toscane, questo l'obiettivo di un incontro tra il provveditore dell'amministrazione penitenziaria e i garanti dei detenuti della regione. Individuare azioni, a partire dalla legislazione vigente, per contrastare il sovraffollamento nelle carceri e per migliorare la vita dei detenuti. Questo l'obiettivo dell'incontro tra il provveditore dell'amministrazione penitenziaria della Toscana e i garanti dei detenuti. Due i provvedimenti finora partiti: quello delle celle aperte otto ore al giorno, ore da riempire con attività di recupero e reinserimento, e facilitazioni nelle comunicazioni telefoniche per i carcerati. Sicuramente drammatici i dati sul sovraffollamento, con una media tra le 4200 e 4500 presenze a fronte di una capienza ottimale di circa 3000 posti letto. Situazione nei confronti della quale, è stato sottolineato, non è sufficiente, anche se auspicabile, una misura come l'indulto, alla quale andrebbe sicuramente affiancata una riforma strutturale anche degli edifici carcerari. L'obiettivo è quello di farsi trovare pronti per quando ci sarà la sentenza della corte dei diritti umani sulla situazione delle carceri italiane, per allora la Toscana potrebbe essere un modello. Teramo: oggi sit-in di Pannella al carcere di Castrogno per invocare l'amnistia www.newsabruzzo.it, 21 novembre 2013 Marco Pannella e la neo segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini in Abruzzo, dalle ore 14 in visita al carcere. La mattina, dalle ore 9 sempre alla casa circondariale sit-in e volantinaggio per i familiari in visita ai loro congiunti detenuti. Da oggi Marco Pannella è nuovamente in lotta con l'arma della nonviolenza: uno sciopero totale della fame e della sete. La sua iniziativa politica è rivolta sia ai Presidenti del Senato (seconda carica dello Stato) e della Camera dei deputati (terza carica dello Stato) perché convochino i Presidenti dei gruppi parlamentari per calendarizzare la questione giustizia posta dal messaggio del Presidente della Repubblica (prima carica dello Stato), sia al Governo perché agisca fattivamente e si prenda le sue responsabilità. Una lotta che, ancora una volta come in passato, vuole arrivare al cuore dello Stato: attraverso il proprio indebolimento fisico, Marco Pannella vuole trasmettere energia e forza, ispirando le istituzioni a far ciò che si deve per rispettare le leggi, gli annunci dei propri rappresentanti e le loro dichiarazioni. Per raccogliere ulteriori adesioni alla lotta radicale, per ricordare alla politica il messaggio di Napolitano e per dare forza al Ministro Annamaria Cancellieri che ha definito l'amnistia un "imperativo categorico morale", a Teramo come in tutt'Italia, è previsto un sit-in con volantinaggio, domani giovedì 21 novembre dalle ore 9 all'ingresso del carcere di Castrogno dove familiari innocenti sostano, prima di poter incontrare per un colloquio il proprio congiunto detenuto. Nel pomeriggio per constatare le condizioni di detenzione nella casa circondariale, è prevista, dalle ore 14 una visita ispettiva alla quale parteciperanno: Marco Pannella, Rita Bernardini, il consigliere regionale Ricardo Chiavaroli, il componente della nuova Giunta esecutiva di Radicali Italiani, Vincenzo di Nanna, nonché i militanti radicali Rosa Quasibene e Ariberto Grifoni. Genova: stamattina sit-in con i parenti dei detenuti all'ingresso del carcere di Marassi Notizie Radicali, 21 novembre 2013 È ormai trascorso più di un mese dal messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla questione carceraria, pronunciato in seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che condanna l'Italia a pesanti sanzioni a causa del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano. Nel messaggio il Presidente ha rilevato ciò per cui da anni lottano Marco Pannella e i Radicali, ossia come i tanti interventi immaginabili per risolvere la situazione inumana delle carceri, e la situazione della giustizia a essa collegata, "appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell'immediato (il termine fissato dalla sentenza Torreggiani scadrà, come già sottolineato, il 28 maggio 2014) con il ricorso a rimedi straordinari". Che fine ha fatto l'indicazione contenuta nel messaggio di inizio ottobre? Che fine hanno fatto i "rimedi straordinari" di amnistia e indulto? In Italia la giustizia è insensatamente lenta e senza alcun rispetto dei diritti umani fondamentali, tanto per l'irragionevole durata dei processi (violazione art.6 della Convenzione Europea sui diritti dell'Uomo) quanto per i trattamenti inumani e degradanti (violazione art. 3 della stessa Convenzione) a cui sottopone i suoi cittadini detenuti. Per ricordare alla politica il messaggio di Napolitano e per dare forza al Ministro Annamaria Cancellieri che ha definito l'amnistia un "imperativo categorico morale", sono previsti sit-in di militanti insieme ai familiari dei detenuti, attivati e coordinati da Alessandra e Francesca Terragni, giovedì 21 novembre davanti alle carceri di molte città italiane. L'Associazione "Radicali Genova", insieme ai parenti dei detenuti, aderisce all'iniziativa e organizza un sit-in davanti al carcere di Marassi: diamo appuntamento ai cittadini e alla stampa giovedì 21 novembre alle ore 9. Ragusa: il carcere "vergogna"… neanche i cani vivono così www.laspia.it, 21 novembre 2013 Un carcere vecchio, una struttura fatiscente e pericolosa che, senza tanti giri di parole, ha condizioni davvero disumane e degradanti. Insomma lo specchio della vergogna, tutta italiana, degli istituti penitenziari. Una situazione ben oltre l'accettabile che dovrebbe scandalizzare ed invece viene accettata con atteggiamenti che sfiorano "l'indifferenza", da una classe politica sempre più disattenta e dall'opinione pubblica, che è giusto sappia. Stiamo parlando del Carcere di Ragusa, costruito negli anni ‘30, quando il regime fascista (con il regolamento Rocco) prevedeva "l'isolamento dei detenuti all'interno". La prima cosa che balza agli occhi, quando le porte dell'esterno si chiudono alle tue spalle, è proprio la "rigida divisione, fra esterno ed interno". Un istituto tremendamente sovraffollato: 166 detenuti ospiti (dato aggiornato alla giornata di ieri), a fronte di una capienza regolamentare di 93 e tollerabile di 103. Insomma, ben 73 ospiti in più rispetto a quelli accettati "per regolamento". Condizioni "fuori dalla grazia di Dio", quelle che balzano agli occhi quando si entra nella sezione "giudiziaria". 42 celle, divise su tre piani. La grandezza varia da quelle di circa otto metri - chiamate cubicoli -, che sono la maggior parte, a quelle di poco più di venti metri - chiamate cameroncini -. Sono celle molto piccole e buie, che da un punto di vista regolamentare dovrebbero ospitare un solo detenuto, ma generalmente sono ristretti in tre. Nel cubicolo in cui entriamo (la cui grandezza non supererà 1,70 di larghezza, per poco più di 3 di lunghezza) "vivono" tre ospiti, uno sopra l'altro in tre letti a castello, attaccata alla spalliera del letto, una tendina di plastica separa il wc "a vista" ed il lavabo, nel quale i detenuti lavano sé stessi e le proprie cose, per la mancanza della doccia, situata in comune con tutti gli ospiti. Si, proprio quello che state immaginando, così come ci riferisce uno degli ospiti che abbiamo intervistato, "quando andiamo in bagno, non abbiamo neanche un po' di privacy. E se andiamo di corpo, l'aria diventa invivibile". Dinanzi al wc, in questo spazio strettissimo, c'è il lavandino (con acqua rigorosamente fredda). "Nel lavandino siamo costretti a lavare di tutto - commenta il detenuto: la faccia la mattina, il nostro fondoschiena e le cose da mangiare". Immaginate un po', dove stia l'igiene e quali siano le condizioni (da rabbrividire) igienico - sanitarie delle celle. E fra letto a castello, wc, lavabo e piccole sedie, si deve trovare anche il posto per la dispensa, dove conservare i prodotti alimentari. Insomma, per le 20 ore che i detenuti passano all'interno della cella (ancora qui il "regime aperto" non esiste), si deve fare a turni per stare in piedi, perché più di uno alla volta non si può (siamo davvero troppo lontani dai 3 metri quadrati prescritti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, per ciascun detenuto). Le finestre, oltre alle sbarre, hanno reti metalliche a "maglia stretta", un muretto che le copre per metà e le "bocche di lupo" applicate nella rimanente metà. Non migliore la situazione delle celle più grandi, perché a starvi dentro sono, addirittura, in sei; sempre con bagno in condizioni fatiscenti. Per di più l'acqua, dalle 20 di sera, fino a mezzanotte, viene interrotta. Quindi se si va in bagno in quel periodo di tempo, il wc rimane sporco ed ulteriormente maleodorante. Anche il "passeggio", piuttosto che la zona d'aria per i detenuti "protetti", riscontra molteplici pericolosità. "Le pietre si staccano - ci racconta un detenuto -, potremmo prenderle e usarle". Cosa gravissima, a nostro giudizio, è lo stato del pavimento, nel quale durante l'ora d'aria, i detenuti giocano: particolarmente pericoloso poiché, in diverse zone, è caratterizzato dalla presenza di umidità, che favorisce le cadute. Davvero troppo poco possono fare, sotto questi aspetti, il direttore Santo Mortillaro, il commissario, la Polizia Penitenziaria ed i molti volontari. Seppur tutto il personale della struttura ragusana vada particolarmente lodato, perché opera in condizioni tutt'altro che facili, con impegno e dedizione, per cercare di alleviare - il più possibile - i disagi alla comunità che vive all'interno. E' certamente questa la nota positiva del carcere ragusano, cioè la grande umanità e professionalità di tutto il personale: conoscono bene i detenuti, i loro problemi e le loro esigenze. Dietro l'umanità e la professionalità ci sono, però, ulteriori grandi problemi. A causa della ridotta pianta organica, ci sono soltanto 68 unità di Polizia Giudiziaria, a fronte delle oltre 100 che dovrebbero essere presenti. "L'essere fortemente sotto organico - dichiara Salvatore Margani, responsabile della UGL -, ci penalizza moltissimo. Siamo costretti a turni massacranti di oltre otto ore (quando ci va bene) e non sempre sono garantiti i riposi. La struttura è fatiscente e con ciò, aggravato con le oltre 8 ore di lavoro, non può che risentirne la sicurezza. Torniamo a casa stanchissimi, certamente non siamo lucidi come vorremmo e dovremmo". Ennesimo dato allarmante è proprio la vigilanza, di notte è stata alleggerita, con soltanto 6 agenti a vigilare su circa 170 detenuti. La disponibilità dell'ispettore Margani, così come quella del collega del sindacato "Sap", Francesco Accardi è massima. Per loro sarà difficilmente applicabile la sentenza "Torreggiani", con il cosiddetto "carcere aperto". "Il personale non è in grado di garantire la sicurezza per colpa della struttura fatiscente del carcere di Ragusa - commenta Margani -. Sono responsabilità che non ci possiamo prendere. Siamo molto scettici rispetto all'applicazione della Torreggiani". Nell'Istituto (ed anche questa non è una novità) manca l'ufficio Sentinelle, così come molte altre misure di sicurezza. In conclusione, mi preme sottolineare come il carcere sia un argomento che spesso crea ripulso al pubblico, viene immaginato come un qualcosa che deve ingabbiare, togliere di mezzo i criminali e fare pulizia sociale. "Chiudilo dentro e butta via la chiave" dice un detto popolare. Poi, una volta dentro amen. Come se fosse una realtà a parte, come se chi sta dentro non è un cittadino al pari degli altri, come se fosse un luogo di serie B, come se i carcerati non avessero diritto a delle condizioni di vita dignitose. Se è vero, come è vero, che "Il grado di civiltà di un Paese, si misura dalle condizioni delle sue carceri", questa ragusana rappresenta una autentica vergogna. Un carcere che dovrebbe essere bocciato senza appello e che è strutturalmente inaccettabile, in quanto andrebbe rimodernato in tutto e per tutto. Per tale ragione, essendo molto scettici sulla possibilità di attuare il cosiddetto "regime aperto", chiediamo già da ora la possibilità di verificare le condizioni nel 2014. Il parere del direttore, Santo Mortillaro direttore carcere Ragusa, Santo Mortillaro "Il Ministero sa molto bene le criticità strutturali del nostro Istituto. Crediamo molto nella possibilità del cosiddetto "regime aperto", per tale ragione procederemo all'applicazione in due step. Entro il 31 dicembre dell'anno in corso - dichiara Santo Mortillaro -, 50 detenuti dovranno essere aperti, potendo circolare per almeno otto ore. Il secondo step, entro il 30 aprile del 2014, ci permetterà di aprire le porte delle celle degli altri detenuti". Il direttore Mortillaro, che ci ha accolto con attenzione e disponibilità, tiene a precisare il grande apporto dei volontari. "Qui dentro si cerca di fare molto, nelle ristrettezze dell'organico della Polizia Penitenziaria. Grande importanza rivestono i volontari, che ci fanno dono del loro tempo e non solo. Spesso, questi ultimi, mettono mano anche alle proprie tasche, per aiutarci". Diversi i progetti in "cantiere", per favorire il reintegro nella società dei detenuti. "Abbiamo cinque progetti in cantiere, che partiranno a breve. Mi piace sottolineare - racconta Santo Mortillaro - l'ottimo rapporto di proficua collaborazione con il consorzio "La città solidale", con la cooperativa onlus "Sprigioniamo sapori". Proprio in questo contesto si inserisce l'insediamento di un'impresa esterna che gestisce, assumendo detenuti, le cucine e due laboratori: la pasticceria e la falegnameria. Questi due laboratori sono il fiore all'occhiello, perché venderanno all'esterno i prodotti realizzati all'interno delle mura carcerarie". Le interviste agli ospiti: Raffaele Cirnigliaro, 52 anni "Si vive male, perché siamo troppo stretti. Siamo in sei all'interno della nostra cella e per il bagno, se dobbiamo fare atti grandi, sono davvero problemi perché finisce la nostra dignità. Tutti sentono e vedono ed è umiliante. Partecipo ai corsi, questo è il modo per far passare il tempo. Il rapporto con il personale è ottimo, hanno tutti una enorme disponibilità. Giovanni Giordano, 43 anni "Una delle cose più brutte, qui dentro, è che siamo mischiati fra definitivi e giudicabili. Abbiamo un ottimo rapporto con la direzione e la Polizia Giudiziaria. Proprio gli agenti, spesso, ci aiutano anche psicologicamente. Il sovraffollamento, però, è qualcosa di inaccettabile. Stiamo chiusi per 20 ore, in spazi strettissimi come i cubicoli. Neanche i cani vivono così. Viviamo di speranze e i corsi che ci sono ci aiutano, almeno questo". Marlin Antonio Castillo Garcia, 32 anni "Sono qui da un anno e mezzo ed è la mia prima detenzione. Tenerci così chiusi è sbagliato, siamo tre in stanza, in un ambiente piccolissimo. Posso solo dire che, se la cella non fa schifo, è perché la puliamo spesso, per il resto è vergognosa". Sassari: detenuto suicida in cella poco dopo l'arresto, citato in causa il ministero di Luca Fiori La Nuova Sardegna, 21 novembre 2013 L'uomo si era tolto la vita in una cella di San Sebastiano poco dopo l'arresto. Lo Stato pagherà un risarcimento ai familiari in caso di condanna dell'agente. Il ministero della Giustizia dovrà risarcire i parenti di un detenuto morto suicida tre anni fa nella sua cella di San Sebastiano, in caso di condanna dell'agente della polizia penitenziaria imputato di omesso controllo e omicidio colposo. Lo ha stabilito ieri mattina il giudice Teresa Castagna che ha accolto la richiesta del legale della famiglia del detenuto, l'avvocato Nicola Lucchi. Il legale si era rivolto al tribunale perché disponesse la citazione del Ministero come responsabile civile. Sotto accusa per omicidio colposo c'è l'agente di polizia penitenziaria, Mario Usai, sassarese di 48 anni, difeso dagli avvocati Sergio Milia e Maria Claudia Pinna. Il poliziotto era di turno il 17 luglio del 2010, il giorno in cui il detenuto si era tolto la vita in cella, con i lacci delle scarpe. La vittima era un artigiano arrestato quattro giorni prima per sospetti abusi sulla figlia. Secondo le indagini della Procura l'estremo gesto che aveva portato alla morte era stato possibile per la "negligenza" di chi avrebbe dovuto controllare, e secondo l'accusa non lo fece. Prima ancora di capire quali fossero le prove a suo carico, il detenuto era stato assalito dalla disperazione. "È un'infamia", continuava a dire nell'interrogatorio di garanzia. In carcere, il medico che lo aveva visitato aveva definito "altissimo" il rischio che potesse togliersi la vita, tanto che la mattina del 17 luglio il comandante della polizia penitenziaria aveva firmato un provvedimento per segnalare ai sottoposti il pericolo. Ma non c'era stato nemmeno il tempo di rispettare quell'ordine. Poche ore dopo, l'artigiano aveva rifiutato di recarsi all'ora d'aria ed era rimasto in cella da solo ed aveva usato i lacci come cappio. La tragedia era avvenuta nella cella 14 del terzo braccio "promiscui". L'agente, secondo la Procura, non avrebbe tenuto conto della disposizione del comandante che chiedeva "grandissima sorveglianza del detenuto, da svilupparsi attraverso un costante controllo, in particolar modo nei momenti in cui il detenuto si viene a trovare da solo al fine di prevenire qualsiasi gesto di autolesionismo, auto soppressivo e comunque dannoso per la sua incolumità personale". Quando l'agente era entrato nella cella numero 14 il detenuto non c'era più niente da fare. Inizialmente erano finiti sotto inchiesta anche il comandante, il preposto e il direttore del carcere. Poi le indagini avevano rivelato la loro estraneità e il pm Maria Grazia Genoese aveva chiesto per loro l'archiviazione. I familiari del detenuto si erano costituiti parte civile con i legali Nicola Lucchi e Daniela Perinu. Il processo è stato rinviato al prossimo 4 marzo. In quell'occasione il ministero di Giustizia entrerà nel processo e sarà rappresentato dall'avvocatura dello Stato. Torino: "Cicatrici e guarigioni", con progetto di teatro sul palco detenuti e vittime di reati Ansa, 21 novembre 2013 Il carcere va a teatro per portare al pubblico i suoi temi come la possibilità di perdonare, capire, da parte della vittima, il perché di un reato. Succederà il 29 novembre alle Fonderie Limone di Moncalieri(Torino) con Cicatrici e Guarigioni, "non uno spettacolo - ha spiegato il regista Claudio Montagna - ma un momento di verità per riflettere insieme, che vedrà sul palco un detenuto per rapina e una vittima di un reato analogo raccontarsi reciprocamente le proprie storie". Tra il pubblico, selezionato tra coloro che chiederanno di partecipare alla serata, vi saranno anche altri 8 detenuti (scortati nel modo meno vistoso possibile da 20 agenti penitenziari), che hanno aderito al progetto Cicatrici e Guarigioni promosso dallo stesso carcere, dalla Città di Torino, da Teatro e società e Compagnia di San Paolo. Lo spettacolo segue 8 serate analoghe (ognuna ha visto sul palco un esecutore di reato e una vittima che non si conoscevano prima di quel momento) che si sono tenute nei mesi scorsi all'interno del carcere Lo Russo e Cutugno di Torino. Il successo, l'interesse del pubblico e il coinvolgimento dei detenuti ha portato Città e carcere a decidere di portare l'esperienza fuori dalla casa circondariale. "Un modo per riflettere insieme su temi che ci riguardano da vicino - ha spiegato l'assessore alla Cultura del Comune - anche se tendiamo tutti a sentirli lontani. Come le stesse vittime dei reati, i quali, una volta elaborato il danno e il dolore subito, tendono a rimuovere il tema della giustizia e del carcere". "Invece, chi compie un reato e la sua vittima sono in primo luogo due persone - ha aggiunto il direttore del carcere di Torino, Giuseppe Forte - e per la società pensare di recuperare un detenuto, che prima o poi uscirà, dovrebbe essere un dovere oltre che una cosa utile". Il regista Montagna ha ancora sottolineato come "il pubblico abbia ascoltato cosa succedeva sul palco in un silenzio incredibile e pieno di tensione emotiva. E alla fine, quando gli spettatori uscivano, non dicevano mi è piaciuto, ma ci penserò su, che è quello che volevamo". Busto Arsizio: una cella in centro città... voi come ne uscirete? www.varesenews.it, 21 novembre 2013 Si tratta di uno dei due eventi conclusivi del progetto "Non solo accoglienza". L'installazione dal 22 novembre all'1 dicembre. Venerdì 22 novembre alle 9.30 ai Molini Marzoli il convegno dedicato al ruolo della partner per i detenuti. Tre persone, otto metri quadrati, tre letti uno sopra l'altro. No, non è un gioco di gruppo, ma la vita quotidiana dei detenuti in Italia. A questa "regola" non sfuggono neanche le oltre 400 persone della Casa Circondariale di Busto Arsizio. E voi, sareste in grado resistere in quella condizione per cinque minuti? È questa la "sfida", se così possiamo chiamarla, che i cittadini potranno affrontare dal 22 novembre all'1 dicembre a Palazzo Marliani Cicogna (piazza Vittorio Emanuele) a Busto Arsizio grazie al progetto Extrema Ratio. Qui sarà infatti riprodotta fedelmente una cella di 8 metri quadri: si tratta dell'installazione creata nel carcere di Bollate e di proprietà della Caritas Ambrosiana. Ad accogliere i visitatori ci saranno giovani studenti del Liceo Crespi di Busto e dei gruppi Agesci di Busto (Busto 1, Busto 3; Busto 5; Legnano 9). Con loro ci saranno un operatore e un ex-detenuto, mentre la Protezione Civile di Busto Arsizio offrirà un supporto logistico. L'iniziativa è organizzata Enaip Lombardia insieme ad Associazione Vol.Gi.Ter, Cooperativa Intrecci, Fondazione Exodus e Fondazione Cariplo. "La nostra intenzione - spiegano - è quella di "chiudere" la gente in una cella per alcuni minuti dando l'occasione di fermarsi e riflettere sulla condizione carceraria nazionale. Vogliamo suggerire e approfondire la possibilità di una diversa concezione della pena, denunciando il sovraffollamento nelle carceri e sostenendo percorsi di umanizzazione e di sostegno ad attività rieducative che tengano al centro la dignità della persona". Extrema Ratio fa parte degli eventi conclusivi del progetto "Non solo accoglienza" organizzato grazie al contributo di Cariplo. Nella mattina di venerdì 22 novembre ci sarà anche un convegno organizzato dagli stessi partner ai Molini Marzoli. Tema dell'incontro sarà l'affettività e in particolare "L'anello invisibile. Il ruolo della partner a sostegno del percorso di reinserimento del detenuto". "La donna fuori dalle mura - spiegano gli organizzatori - è l'anello invisibile di una catena che regge il carico affettivo e sociale di una storia famigliare e spesso risulta determinate sull'esito del percorso di reinserimento. In questo convegno ci domanderemo se e come il nostro operare può essere orientato al sostegno di questo caregiver di difficile ingaggio". Il convegno è in programma venerdì 22 novembre dalle 9.30 alle 13 alla Sala Tramogge, Molini Marzoli via Molino, 2 (angolo via Cadorna). I due eventi sono organizzati con il supporto del Comune di Busto Arsizio, del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria per la Lombardia, della Direzione della Casa Circondariale di Busto Arsizio e della Direzione Ufficio Esecuzione Penale Esterna sede di Varese. Il programma del convegno di venerdì 22 novembre, ore 9.30: Moderatore: Carlo Catania, Istituto Italiano di Valutazione Apertura lavori: Orazio Sorrentini, Direttore - Casa Circondariale di Busto Arsizio Saluti a nome della cittadinanza: Gianluigi Farioli, Sindaco Busto Arsizio Cortometraggio "Sei ore al mese": Mauro Colombo, Regista - Cooperativa sociale Totem Varese Esperienze sui bisogni e i desideri delle partner: Sabrina Gaiera, Agente di Rete - Consorzio Solco di Varese La detenzione come evento traumatico nella relazione: Laura Testa, Psicoterapeuta - Practitioner Emdr La costruzione dello stigma: Massimo Conte, Ricercatore sociale - Codici agenzia di ricerca sociale Il ruolo della partner: Adima Salaris, Provveditorato - Amministrazione penitenziaria della Lombardia Vecchi e nuovi target nelle progettazioni a favore del reinserimento: Gino Rigoldi, Fondazione Cariplo - Commissione centrale di beneficenza. Dibattito e conclusioni. Orari per visitare l'installazione: Da venerdì 22 novembre a domenica 1 dicembre. Lu-Ve 9.30/16.30. Sa-Do: 10.30/17.30 Enna: concorso "Quel fresco profumo di libertà", menzione speciale a film "Di là dal muro" www.startnews.it, 21 novembre 2013 Gli è stata attribuita nel concorso "Quel fresco profumo di libertà". Realizzato grazie alla disponibilità di Letizia Bellelli, direttore del carcere. Menzione particolare di merito, nell'ambito del concorso "Quel fresco profumo della libertà", promosso dal Ministero dell'Istruzione in collaborazione con il Centro Studi Paolo Borsellino per il cortometraggio made in carcere, protagonisti i detenuti, firmato dalla regista Tilde Di Dio "Di là dal muro". Il film è stato realizzato all"interno del Carcere di Enna e redatto dal Centro Territoriale per l'educazione Permanente, con sede presso il nuovo I. C. "E. De Amicis". Alla cerimonia di premiazione, il prossimo 4 dicembre a Bruxelles, presso il Parlamento Europeo, parteciperà il dirigente scolastico Filippo Gervasi accompagnato dalle insegnati che hanno curato il lavoro, Ida Ardica e Rossella Bonfissuto e dalla regista. "Di là dal muro" è già stato proiettato nel cortile del Quirinale nell'ambito della cerimonia di inaugurazione dello scorso anno scolastico a Roma. Il film, realizzato grazie alla disponibilità di Letizia Bellelli, direttore del carcere, da sempre aperta ad iniziative culturali che coinvolgono i detenuti, racconta brandelli di storie di detenuti, tra cui molti immigrati, le loro ansie, le loro speranze ma anche i dolori di carcerazioni spesso figlie solo della miseria. Un'occasione di incontro tra il mondo di chi è recluso e il mondo esterno, per conoscere e capire, per tentare di diminuire il senso di isolamento ed esclusione ed affermare il "diritto di far sentire la propria voce" rivendicando il senso di una liberta che sia libertà di "vivere" con dignità ogni momento e condizione. Nel cortometraggio i detenuti sono nella veste di narratori, attori, sceneggiatori, ma anche collaboratori e tecnici. "La scuola carceraria è un laboratorio di idee che produce sempre grandi prodotti - dice il dirigente Gervasi - Siamo contenti di questa menzione speciale nell'ambito di un concorso che premia l'alta qualità le caratteristiche innovative insieme alle esperienze dirette sul campo, perché crediamo nel valore di una scuola nuova che, specie nel caso dei detenuti, passa non solo da nozioni didattiche ma da esperienze che ridanno fiducia nel valore delle istituzioni, per un personale percorso di riabilitazione che crei i presupposti per un'efficace processo di reinserimento ed integrazione nella società". Caserta: detenuti in scena, anche l'agente Spaccarotella diventa attore per un giorno Il Mattino, 21 novembre 2013 Luigi Spaccarotella, l'agente della polizia stradale che l'11 novembre del 2007 uccise a colpi di pistola il tifoso della Lazio Gabriele Sandri, in un'area di servizio sull'autostrada A1, nei pressi di Arezzo, diventa attore teatrale per un giorno, nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, dov'è detenuto. Domani, infatti, gli internati porteranno in scena "Napul'è", rappresentazione teatrale che parla di integrazione tra Nord e Sud. A vestire i panni dell'uomo del Nord sarà proprio l'ex agente della Stradale. La rappresentazione teatrale, sul significato dell'essere napoletani e sulle difficoltà di integrazione tra Nord e Sud, sarà portata in scena alle ore 15 nella sala interna della struttura, con 60 posti a sedere, che ospita il cinema e il teatro. Gli attori saranno in tutto una quindicina. Le scene, arricchite da poesie napoletane, saranno accompagnate da musiche dal vivo suonate dai detenuti che partecipano al laboratorio musicale; canzoni come Malafemmina e ‘O Sole Mio, ma anche quelle rese note dall'Orchestra Italiana di Renzo Arbore. Ad assistere alla rappresentazione ci sarà anche l'assessore alle Politiche giovanili del Comune di Napoli Alessandra Clemente in rappresentanza del sindaco Luigi De Magistris, il sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro, le autorità militari e civili del Casertano. È prevista inoltre la presenza del generale dello Stato Maggiore Mauro De Vincentis, delegato alla Sicurezza Nazionale dell'Esercito. Turchia: premier Erdogan nega progetto amnistia in quadro processo di pace Kurdistan Ansa, 21 novembre 2013 Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha negato di preparare una amnistia generale nel quadro del processo di pace per il Kurdistan turco avviato con il Pkk, ma fermo da settembre, riferisce la stampa di Ankara. La stampa aveva interpretato come una indicazione in questo senso una frase del premier durante la storica visita del presidente della regione autonoma curda del Nord Iraq Massud Barzani sabato e domenica a Diyarbakir: "Vedremo una nuova Turchia, dove coloro che sono nelle montagne scenderanno (le basi arretrate del Pkk si trovano nelle montagne del Nord Iraq, ndr) e le prigioni si svuoteranno". Il premier ha però poi precisato, riferisce Sabah, di avere parlato "dei miei sogni": i giornalisti, ha aggiunto, "hanno interpretato amnistia generale". "Questo non fa parte assolutamente della mia agenda", ha affermato Erdogan. L'ipotesi di una amnistia ha suscitato forti critiche dell'opposizione nazionalista. La questione è sensibile a pochi mesi dalle amministrative di marzo, che precederanno di poco le presidenziali e le politiche. Il Pkk, che in dicembre ha avviato una trattativa con Erdogan per una soluzione politica del conflitto del Kurdistan, chiede fra l'altro la liberazione di migliaia di attivisti curdi arrestati negli ultimi anni grazie alle contestate leggi anti - terrorismo. Secondo il quotidiano Taraf però Erdogan potrebbe presentare un pacchetto di riforme, con fra l'altro una modifica della legge sul terrorismo, che consentirebbe di liberare molti detenuti politici curdi. Myanmar: Commissione Onu chiede di rilasciare tutti i detenuti politici nelle carceri birmane Radio Vaticana, 21 novembre 2013 La Commissione per i diritti umani dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite lancia un appello al governo birmano, chiedendo il rispetto delle promesse fatte e la conseguente liberazione di tutti i prigionieri politici "entro la fine dell'anno". Pur apprezzando le riforme - politiche ed economiche - compiute sinora da Naypyidaw, che hanno fatto emergere il Paese dopo decenni di dittatura militare, l'Onu manifesta "preoccupazione" per i nuovi casi di arresti di attivisti. Al contempo destano preoccupazione le violenze interconfessionali nello Stato occidentale di Rakhine, fra birmani buddisti e musulmani Rohingya, una minoranza alla quale vanno garantiti "pari diritti" di cittadinanza e la fine delle violenze. La Commissione Onu - riporta l'agenzia AsiaNews - ha approvato ieri la risoluzione annuale, con il consenso dei 193 Stati membri; essa presenta un tono più morbido rispetto al passato, quando il Myanmar risultava fra i Paesi con le statistiche peggiori in tema di diritti umani. Basti pensare alla prolungata detenzione della leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, che ha trascorso 15 degli ultimi 22 anni ai domiciliari. Fondamentali i cambiamenti impressi dal governo guidato dal presidente riformista Thein Sein, anch'egli un ex generale dell'esercito. Tuttavia, restano ancora problemi irrisolti come la detenzione di decine di attivisti e le violenze di natura settaria contro la minoranza musulmana Rohingya. Le Nazioni Unite auspicano il rispetto delle promesse e "il rilascio [degli attivisti] entro la fine del 2013, assicurando al contempo la piena reintroduzione dei diritti e delle libertà individuali". La scorsa settimana l'esecutivo ha ordinato la liberazione di 69 detenuti politici, ma altri ancora ne restano in prigione e tuttora le autorità compiono fermi e arresti per reati di opinione. Vi sono poi continui casi, avverte la Commissione per i diritti umani Onu, di "espropri forzati, confische dei terreni, stupri e altre forme di violenza sessuale, torture, crudeltà e trattamenti disumani". Destano particolare preoccupazione le violenze contro i Rohingya che, negli ultimi 18 mesi, hanno causato oltre 240 morti e 240mila sfollati. In tema di prigionieri politici interviene anche il movimento attivista Assistance Association for Political Prisoners (Burma), pubblicando il rapporto - aggiornato a fine ottobre - degli attivisti in cella. Secondo quanto emerge nel documento, nel mese di ottobre sono stati incriminati 34 attivisti politici, due dei quali sono difensori dei diritti umani che ancora oggi sono rinchiusi in cella per il loro lavoro. Cinque persone sono state condannate e tre hanno ricevuto pene detentive a vario titolo. Pur "apprezzando" il rilascio di 56 detenuti, i responsabili di Aapp sottolineano però i vincoli e le restrizioni cui sono sottoposti, che ne limitano la libertà di opera e movimento. "In netto contrasto con i passi in direzione progressista e di cambiamento presi in apparenza dal governo - avvertono i membri di Aapp - vi è l'uso continuativo di arresti arbitrari e la limitazione di "libertà civili e politiche". Inoltre, i continui arresti rendono estremamente improbabile il mantenimento della promessa fatta dal presidente Thein Sein, secondo cui tutti i prigionieri politici saranno liberati entro fine anno". Messico: è allarme per autogoverni nelle carceri, in mano ai "cartelli" della droga www.atlasweb.it, 21 novembre 2013 Sono i detenuti a governare la maggior parte delle carceri messicane, secondo un rapporto della Commissione Nazionale per i Diritti Umani del Messico (Cndh). Inoltre, è "notevolmente" aumentata la violenza sotto forma di ammutinamenti, risse, fughe e omicidi. Il documento segnala che in 65 delle 101 strutture penitenziarie visitate esiste l' autogoverno, un aumento del 4,3 per cento rispetto al 2011. Aggiunge che in queste prigioni sono stati registrati 73 fatti violenti con un saldo di 154 detenuti morti, 103 feriti e 261 fuggitivi. Infine, le carceri più colpite dai cosiddetti "autogoverni" si trovano negli stati di León, Tamaulipas, Sinaloa e Zacatecas, luoghi in cui la violenza è molto comune a causa della presenza dei cartelli della droga. Russia: scarcerati due attivisti locali di Greenpeace Agi, 21 novembre 2013 Sono usciti dal carcere numero 1 di San Pietroburgo e sono tornati così in libertà due dei trenta attivisti di Greenpeace, da settembre in custodia cautelare in Russia con l'accusa di vandalismo per la protesta contro le trivellazioni petrolifere nell'Artico. Come comunicato dall'organizzazione ambientalista via Twitter, si tratta dei russi Denis Sinyakov, fotografo free-lance, e Andrey Allakhverdov, portavoce di Greenpeace Russia.