Giustizia: appoggio "pieno" del Pd o dimissioni, il ministro Cancellieri prepara il discorso Il Velino, 19 novembre 2013 È appesa alle decisioni del Partito Democratico e ne è consapevole. Per questo Annamaria Cancellieri prepara il discorso che dovrà pronunciare domani alla Camera lasciando in sospeso la conclusione. La decisione - scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera - è presa: se prima dell'arrivo a Montecitorio non avrà la garanzia di un appoggio pieno da parte del Pd, presenterà le dimissioni. E i motivi li spiegherà proprio nell'aula, sottolineando come "nel caso che mi riguarda non c'è alcuna questione giudiziaria, ma soltanto un accanimento politico che mi ha portato sino a qui". La linea è questa, condivisa con il presidente del Consiglio Enrico Letta e con il capo dello Stato Giorgio Napolitano che continuano a sostenerla e lo faranno fino al dibattito parlamentare. Affrancati dalla scelta della Procura di Torino "che ha mostrato grande correttezza e autonomia". Tanto che in serata proprio dal Quirinale si fa filtrare l'apprezzamento "per la correttezza e il rigore della Procura di Torino", rendendo così esplicite le preoccupazioni che avevano segnato le ultime ore. Comincia presto la giornata del ministro della Giustizia, perché la lettura dei giornali conferma che a breve i titolari dell'inchiesta decideranno se iscrivere il suo nome sul registro degli indagati per il reato di "false dichiarazioni al pm". Più volte negli ultimi giorni la Guardasigilli ha evidenziato di essere stata lei a rivelare - durante l'ormai famoso interrogatorio del 22 agosto scorso - le telefonate con Antonino Ligresti, "dunque non si capisce perché avrei dovuto mentire sul fatto che fossero due o tre visto che i magistrati non ne avevano ancora contezza". Però di questo discutono gli inquirenti e l'inquietudine si scioglie soltanto quando un comunicato diramato dal procuratore Giancarlo Caselli esclude la possibilità di procedere, pur precisando che gli atti saranno inviati a Roma per "eventuali approfondimenti". Il primo contatto è con il Quirinale, arriva la conferma - semmai ce ne fosse stato bisogno - di un appoggio pieno. Poi c'è la telefonata con Angelino Alfano. Il titolare del Viminale le manifesta sostegno incondizionato. Del resto non è un mistero che l'eventuale caduta della Cancellieri metterebbe a rischio la tenuta dell'intero governo e il vicepremier - che ha appena guidato la scissione interna al Pdl scommettendo proprio sulla necessità di andare avanti con questo esecutivo - teme contraccolpi anche rispetto al proprio ruolo e al proprio futuro politico. Molti altri ministri in questi giorni l'hanno invitata a rimanere, ma le pressioni affinché lasci l'incarico continuano a essere forti e arrivano da svariate parti politiche. Ed è proprio questo a rendere ancora impossibile prevedere l'esito del voto sulla mozione di sfiducia presentata dal Movimento cinque Stelle. Soprattutto tenendo conto dell'annuncio di Pippo Civati, candidato alla segreteria Pd, sul deposito di un'analoga richiesta. Ma anche analizzando le dichiarazioni di alcuni esponenti politici che si credeva l'avrebbero sostenuta sino alla fine e invece adesso non danno nulla per scontato. La posizione che maggiormente sembra sorprendere e amareggiare Cancellieri è quella di Mario Monti che la volle nel governo da lui guidato affidandole un incarico di primo livello come il Viminale e adesso non si sbilancia sul voto in Parlamento e ci tiene anzi a sottolineare ‘l'inopportunità di certe telefonate". Si dà invece per scontato che tra gli esponenti di Sel e della Lega non ci sarà alcun appoggio. Dunque si rimane puntati sul Pd. I contatti tra lo staff del ministro e quelli del responsabile dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini sono continui, la linea è sempre aperta proprio per decidere insieme come procedere. E fin dove spingersi. L'ipotesi, ventilata in mattinata, sulla partecipazione di Letta all'assemblea del Pd per sostenere la fiducia al suo ministro, è ancora aperta. Intanto ci si affida però agli altri leader, quindi si mostra apprezzamento per la posizione di Massimo D'Alema che parla di "correttezza del ministro" ed evidenzia "l'inopportunità di rimanere, soltanto se risultasse indagata". In attesa della conta finale ci si concentra sulla stesura del discorso che pronuncerà alla Camera. Secondo le indiscrezioni della vigilia il "caso Ligresti" sarà affrontato soltanto per ribadire "la correttezza del mio operato, perché mai ho travalicato i miei compiti e soprattutto mai ho mentito né ai magistrati né al Parlamento". Il resto riguarderà il programma, le cose da fare in futuro "la necessità di avere tutti come unico obiettivo gli interventi sull'emergenza carceri e su tutti gli altri problemi legati al processo civile e a quello penale". Ma una parte ampia sarà dedicata "alla questione politica, dunque alla necessità di poter rimanere soltanto con la consapevolezza di aver fugato ogni dubbio affinché non si possa in futuro dubitare della mia correttezza e trasparenza". Prima del dibattito parlamentare di due settimane fa Cancellieri aveva dichiarato: "Non sarò mai un ministro dimezzato". Lo ripeterà domani chiedendo "un sostegno pieno e convinto perché il lavoro da fare è tanto e senza la coesione non si può andare avanti". Consapevole che questa storia ha comunque segnato il suo mandato. Giustizia: Manconi; si è mossa anche su altri detenuti, bastavano sue scuse per chiudere il caso di Daria Gorodisky Corriere della Sera, 19 novembre 2013 Lo ha scritto ieri sull'Unità e ripete che Annamaria Cancellieri non si è impegnata soltanto per Giulia Ligresti: "So che il titolare della Giustizia, come Paola Severino che l'ha preceduta, in decine di casi ha dimostrato sollecitudine e ha operato a favore di detenuti anonimi, e non eccellenti". E Luigi Manconi porta a esempio tre detenuti dei quali si è occupato in prima persona nel suo ruolo di senatore del Pd e di presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani di Palazzo Madama, "presentando interrogazioni, sollecitando l'attenzione del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria e informandone il ministero". Anche se, contrariamente a Giulia Ligresti, allo stato nessuno di loro ha ancora potuto beneficiare dei domiciliari: "Appunto. Perché competenza e responsabilità sulle scarcerazioni sono dei Tribunali, non del ministro". Non crede che le telefonate del ministro in merito a Giulia Ligresti comportino comunque un problema di opportunità? "Sì, ma il ministro Cancellieri, nel suo intervento al Senato, si è rammaricata per aver consentito che il sentimento prevalesse sul distacco dovuto. Con queste sue scuse, che erano necessarie e che hanno rappresentato una forma di ammissione pubblica di responsabilità e di sanzione morale, per me il caso è risolto". Sembra che, oltre a quelli dichiarati alla Procura di Torino, ci siano stati altri contatti tra il ministro e la famiglia Ligresti. "Allo stato attuale, nelle sue dichiarazioni non trovo falsità: nulla comunque che possa screditare l'immagine di quella che ritengo sia forse il miglior ministro della Giustizia degli ulti-mi 20 anni. E mi sfugge come un partito di centrosinistra e una corrente che si dichiara di sinistra, cioè quella civatiana, possano definire la propria identità sulla base di un'accusa rivolta a questo ministro". Non è solo Civati: Renzi invoca le dimissioni, Fassina afferma che il rapporto di fiducia con il ministro è "incrinato". Insomma, praticamente tutto il Pd... "Considero la posizione di Renzi sbagliata, ma da uomo di sinistra sono sorpreso soprattutto da chi si proclama fieramente di sinistra e usa argomenti regressivi. E poi credo che la posizione di Fassina sia diversa, a maggior ragione adesso che i pm di Torino hanno fatto sapere che la Guardasigilli non è indagata. In ogni modo, pur appoggiando la candidatura di Cuperlo, posso pensare cose diverse anche da quell'area del partito". Però c'è un fascicolo aperto, sono richiesti "approfondimenti" e le carte sono state inviate a Roma. "La trasmissione degli atti a Roma è un atto dovuto: allo stato, una formalità per competenza territoriale". Non le crea alcun imbarazzo il fatto che sono i berlusconiani a difendere con più forza il ministro della Giustizia? "Da un quarto di secolo ho imparato che il motto "il nemico del mio nemico è mio amico", o viceversa come in questo caso, è una delle cause più rovinose delle sconfitte della sinistra". Giustizia: Istat; in 11 anni diminuiti del 4,8% condannati con sentenza definitiva Adnkronos, 19 novembre 2013 Nel 2011 risultano iscritte al Casellario Giudiziale Centrale circa 342 mila sentenze per delitto o contravvenzione, pari a 569,4 persone per 100.000 abitanti condannate con sentenza irrevocabile. Dal 2000 al 2011 il numero delle persone condannate con sentenza irrevocabile è in calo del 4,8%. I condannati per delitto, cioè per reati per cui sono previste pene come l'ergastolo, la reclusione, la multa, sono stati 238.501, corrispondenti a 397 per 100.000 abitanti, mentre i condannati per contravvenzione, per cui è prevista la pena dell'arresto e/o dell'ammenda, sono stati 103.187, corrispondente a 172 per 100.000 abitanti. Dal 2000 al 2011 diminuisce la quota di quanti hanno riportato condanne definitive per delitti (dall'81,6% al 69,8%) mentre aumenta la quota complementare dei condannati per contravvenzione (dal 18,4% al 30,2%). I condannati sono soprattutto maschi (85%) e di nazionalità italiana (70%), ma aumenta la componente straniera rispetto al 2000. I condannati hanno prevalentemente un'età compresa tra i 25 e i 54 anni. All'inizio del decennio, tra i condannati stranieri nelle prime tre posizioni si collocano i nati in Marocco, Albania e Ex-Jugoslavia. Dal 2003 al 2011, invece, aumentano i condannati di origine romena, fino a divenire i più numerosi negli ultimi due anni. Si registra anche la crescita della quota di condannati nati in Cina. Rispetto al 2000, diminuiscono, sul totale dei reati sentenziati, i furti (dal 16,7% all'11,4%), mentre aumentano le violazioni delle leggi in materia di stupefacenti (dal 5,6% all'11,4%) e il reato di guida sotto influenza di alcool o droghe (dal 16,8% al 36,7%). Il furto, le violazioni delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope e la guida sotto l'effetto di alcool o droghe sono i reati più sentenziati. Tra gli uomini prevalgono proprio i delitti di violazione delle leggi in materia di droga e sostanze psicotrope (12,3% nel 2011) insieme a quelli di furto (10,8%, in netta diminuzione dal 2000). Per le donne, al primo posto i delitti di furto (14,6%), e di omesso versamento di ritenute previdenziali (12,1%). Nel Mezzogiorno sono più diffusi l'omicidio volontario (ma in calo dal 2000, -15,6% nelle regioni del Sud e -27,5% nelle Isole), la truffa (+113,4% dal 2000), il reato di associazione di stampo mafioso, anch'esso in diminuzione, soprattutto nelle Isole (-35,4%). Al Nord è più diffusa la violazione delle norme sull'immigrazione (in forte aumento dal 2000, soprattutto nelle regioni del Nord-est +466,8%) e delle leggi in materia di droga e sostanze psicotrope, in aumento in tutta Italia. Le durate medie di pronunciamento della sentenza dalla data di commesso reato sono maggiori per i reati di associazione di tipo mafioso, omicidio volontario e evasione d'imposta sui redditi e sul valore aggiunto; minori i tempi di condanna per i reati di stalking e quelli relativi all'immigrazione e alla guida sotto l'effetto di alcool o droghe. Le sentenze per omicidio volontario comportano una reclusione superiore ai 10 anni. Per la maggior parte degli altri delitti considerati la durata della reclusione è inferiore a un anno. Giustizia: Dap; quadruplicano in 5 anni posti e detenuti disabili nelle sezioni dedicate di Elisa Manici Redattore Sociale, 19 novembre 2013 I dati del Dap al novembre 2013 sui detenuti con problemi di salute o con disabilità: 131 posti per i disabili, 130 per i minorati fisici, 217 per malati di Hiv e 46 per affetti da Tbc. L'Italia è un Paese che vive sulle emergenze. Così, perché l'attenzione dei media si volgesse, sia pur minimamente, verso le condizioni dei detenuti ammalati o disabili, è stato necessario che la ministra Cancellieri finisse nell'occhio del ciclone per l'ormai arcinoto caso Giulia Ligresti. Nei giorni scorsi sono poi avvenuti due episodi che fino a pochi giorni prima non avrebbero avuto risonanza alcuna: il senatore Luigi Manconi è andato a Rebibbia, in visita a un giovane, Brian Gaetano Bottigliero, affetto da grave insufficienza renale al punto da essere in attesa di trapianto, chiedendone la scarcerazione; un detenuto, a Regina Coeli, ha tentato il suicidio cercando di impiccarsi, ma è stato salvato dal suo compagno di cella che vive in sedia a rotelle. Quanti sono, dunque, i detenuti con disabilità o problemi di salute? È un dato quasi impossibile da ottenere con certezza: l'ultima indagine complessiva dell'Ufficio Servizi sanitari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 2008, basata su dati di fine 2006, riportava che nelle carceri erano presenti complessivamente 483 detenuti con disabilità psichica e fisica. L'ordinamento penitenziario prevede che le persone in condizioni di salute particolarmente gravi possano espiare la pena fuori dal carcere (quando non rimangono più di 4 anni da scontare), ai domiciliari o in strutture sanitarie, ma per provare a inserirsi in questo percorso è necessaria la perizia di un medico, che può essere smentita dal tribunale di sorveglianza. Si calcola quindi che solo una parte dei detenuti con disabilità o malattie importanti risiedano nelle sezioni apposite delle carceri: nell'episodio del detenuto in carrozzina che ha salvato il compagno di cella, riportato dal garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, è evidente che il disabile risieda in una cella standard, e non in una sezione apposita. Le celle, per i disabili, sono una trappola infernale, dato che le carceri, per la loro stessa natura, traboccano di barriere architettoniche, e spesso i disabili sopravvivono in qualche modo grazie alla solidarietà dei compagni di cella. Le cifre fornite dal Dipartimento amministrazione penitenziaria, aggiornate al 15 novembre, mostrano che, almeno per quanto riguarda numero di sezioni e disponibilità di posti nelle sezioni ufficialmente deputate a ospitare detenuti con problemi, le condizioni, rispetto a 5 anni fa, sono nettamente migliorate. A fronte di 64.758 detenuti per una capienza di 47.615 posti (dati aggiornati al 30 settembre), i detenuti che si trovano in sezioni mediche non patiscono il problema del sovraffollamento. Detenuti disabili nelle sezioni dedicate. Per disabilità il Dap intende essenzialmente quella fisica: i disabili mentali fanno un altro percorso, negli ospedali psichiatrici giudiziari, ma quella è tutta un'altra partita. Il numero di posti a disposizione è schizzato dai 32 per 16 presenze effettive del 2008, ai 131 posti odierni, per 67 presenze effettive, divisi tra 24 sezioni attrezzate di altrettanti istituti penitenziari. Il numero dei detenuti disabili nelle sezioni dedicate si è quindi quadruplicato negli ultimi 5 anni. Picco massimo a Messina, con 35 presenze per 22 posti, a seguire Parma con 15 presenze, per un totale che arriva a 67, considerando tutto il Paese. Minorati fisici. Questo nome, antiquato e la cui semantica rimanda a un concetto - ampiamente dismesso - di non piena funzionalità sociale della persona, è stato mantenuto nonostante già nel 2008 il suo abbandono fosse annunciato come prossimo. Nell'organizzazione carceraria, si riferisce ai casi in cui la disabilità motoria è più lieve rispetto alla disabilità tout court. Sostanzialmente invariata la situazione di questa categoria rispetto al 2008: allora c'erano 143 posti in 4 sezioni apposite, per 21 presenze, mentre oggi ci sono tra i 130 e 141 posti (a seconda che si consideri la capienza "regolamentare" o quella "tollerabile") divisi in 5 sezioni, per un totale di 26 presenze, 24 delle quali a Parma e 2 a Turi. Hiv. Ci sono in Italia 10 sezioni attrezzate a ospitare malati di Hiv, per un totale di 217 posti, di cui 190 risultano occupati. Le presenze più alte si riscontrano a Regina Coeli, con 36, seguita da Pisa con 31, da Milano Opera con 27, e da Rebibbia con 24. Tbc. Solo l'isituto di Paliano ha una sezione destinata ai malati di Tbc da 46 posti, di cui al momento 6 occupati. Centri clinici. Sono in totale 17 i centri diagnostici terapeutici presenti nelle carceri italiane, per un totale di 614 posti, di cui occupati 542. Il 96 per cento dei detenuti in Italia sono uomini, e il carcere è costruito soltanto a loro misura. Anche per quanto riguarda le sezioni speciali appena elencate, solo quelle per disabili e i centri clinici prevedono qualche posto femminile: uno soltanto per le detenute disabili, e 9 nei centri clinici, per un totale di 13 presenze (il massimo della capienza "tollerabile"). Nelle altre, nessun posto per le donne, a conferma ulteriore del fatto che molti numeri reali sfuggono a questa rilevazione ufficiale. Giustizia: 10mila volontari in carcere, solo 110 per chi sconta pene fuori dalle celle Redattore Sociale, 19 novembre 2013 I numeri rivelati da Sesta Opera, associazione di volontariato nei penitenziari. Sono 10 mila quelli che lo fanno all'interno degli istituti. Il 23 novembre a Milano convegno "Più sicurezza, più gratuità, meno carcere": l'associazione si chiede come modificare le norme vigenti. Se dietro le sbarre il terzo settore conta più di 10 mila volontari, fuori ce ne sono solo 110 che lavorano con condannati che stanno ai domiciliari o scontano pene alternative. Di questi 110, venti sono a Milano. Sono i numeri impietosi svelati da Sesta opera san Fedele in occasione del convegno "Più sicurezza, più gratuità, meno carcere", in programma il 23 novembre all'auditorium san Fedele alle 9. L'associazione collabora con gli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) dal 2004: "Quando si metteranno le mani in questo settore ci si accorgerà che c'è un deserto", spiega il presidente di Sesta opera Guido Chiaretti. Eppure la collaborazione tra Uepe e terzo settore dovrebbe essere uno dei punti cardine per svuotare le carceri italiani e puntare sulle pene alternative: "Servono nuovi strumenti in un'area che non è il carcere", aggiunge. Ad oggi, però, non ci sono. La situazione attuale è colpa di una legislazione che non aiuta. Anche in questo caso i numeri sono esemplificativi: Sesta opera ha organizzato tre corsi per volontari interessati ad aiutare l'Uepe. Si sono iscritti in 100, ma svolgere questo lavoro oggi sono in 11. "Per ottenere l'autorizzazione dal ministero della giustizia hanno dovuto aspettare anche 14-15 mesi - racconta Chiaretti - in molti hanno desistito e hanno preferito dedicarsi ad altro". La legislazione che norma il volontariato in carcere è vecchia: risale al 1975. E allora fu proprio un convegno di Sesta opera a spingere la politica a votare la legge 354, ancora in vigore, con cui si sono aperte le celle ai volontari. "Ora i tempi sono maturi per vivere una stagione simile ma per dare dignità a chi fa il volontario fuori dai penitenziari", commenta Chiaretti. È così che Sesta opera spera di poter festeggiare i suoi 90 anni, proprio in occasione del convegno di Milano del 23 novembre. Il lavoro è difficile soprattutto dal punto di vista culturale. Il concetto di pena alternativa è fuori dall'immaginario collettivo: il posto non è molto ambito, nemmeno tra chi vuole dedicare il suo tempo a chi deve scontare una pena. "È un volontariato più difficile, perché oltre al condannato spesso si ha a che fare con la famiglia, con cui magari c'è un rapporto conflittuale, e con le difficoltà che si hanno nel ricominciare a vivere", continua Chiaretti. Tutte queste componenti insieme diventano un deterrente per chi vuole impegnarsi in questo settore: "In questo modo noi per primi abbiamo sprecato tre corsi di formazione", conclude il presidente di Sesta Opera. Giustizia: Cassazione; no estradizione in Paesi con condizioni disumane detenzione Agi, 19 novembre 2013 Può essere negata l'estradizione di un detenuto se emerge il rischio che possa finire recluso in un carcere che versa in condizioni drammatiche e dove egli possa essere sottoposto a "trattamenti crudeli, disumani o degradanti". Lo sottolinea la sesta sezione penale della Cassazione, annullando con rinvio la decisione della Corte d'appello di Roma di concedere al Brasile l'estradizione di un cittadino olandese (detenuto in Italia), per l'esecuzione di una pena di 17 anni e mezzo di reclusione per traffico di sostanze stupefacenti. Il detenuto, nel suo ricorso in Cassazione, aveva rilevato la "cronica, costante e generalizzata violazione dei diritti umani sistematicamente perpetrata nelle carceri di quel Paese", dove "spesso viene praticata la tortura" come attestato anche da Amnesty International: vi è, si sottolineava nel ricorso, "una condizione di sovraffollamento spaventoso nell'ambito di edifici fatiscenti e malsani", in cui "non sono assicurate le minime condizioni igieniche e di assistenza sanitaria in un contesto di diffusione di malattie infettive quali tubercolosi, affezioni dermatologiche e aids", con i "detenuti spesso costretti a dormire sul pavimento e privi di aria, luce e servizi igienici" e "frequentemente sottoposti ad atti di violenza fisica fino allo stupro o all'uccisione e derubati dei loro averi da parte di bande criminali interne e perfino di guardie carcerarie diffusivamente corrotte e comunque assolutamente inadeguate numericamente a fare fronte alla pandemica violenza regnante negli istituti". La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso: "la situazione delle carceri brasiliane è da tempo endemicamente caratterizzata dalla pratica della violenza e dalla sopraffazione nei confronti dei detenuti ad opera sia di bande criminali interne - osservano i giudici della Suprema Corte - conosciute e tollerate dalle autorità carcerarie, sia dagli stessi agenti di custodia; il tutto nell'ambito di una condizione strutturale di fatiscenza e inadeguatezza degli edifici carcerari che è causa di vistose condizioni di sovraffollamento e di carenze igieniche sanitarie tali da favorire la propagazione di gravi malattie infettive". Nulla c'entra, secondo i giudici del "Palazzaccio", il "rilievo" della Corte d'appello di Roma che ricordano come "anche l'Italia" sia stata "sanzionata per la situazione in cui si trovano le carceri": la condizione dei penitenziari italiani, rileva la Cassazione, "non sembra sia lontanamente comparabile con quella di grave offesa alla dignità umana che emerge dai rapporti degli organismi internazionali a proposito della situazione del Brasile". La Corte d'appello di Roma, dunque, dovrà riesaminare il caso e "all'esito delle informazioni che vorrà acquisire presso l'autorità brasiliana" tornerà a valutare se sussistano o meno le condizioni per estradare il detenuto, "con specifico riferimento alla prospettiva che egli possa essere sottoposto a trattamenti crudeli, disumani o degradanti". Giustizia: network etico reinserimento minori, premiate 8 aziende meridionali Italpress, 19 novembre 2013 Una vasta rete di 388 tra imprese ed enti no profit del sud Italia per due anni di attività mirate al reinserimento sociale di circa 1.300 minorenni autori di reato. Oltre 200 giovani avviati ad autentiche work experience con borsa lavoro mensile, per una decina di loro anche con successiva assunzione presso le stesse ditte ospitanti. E ancora, applicando i parametri statistici fissati da un recente report ministeriale, 650 ragazzi sottratti al rischio di recidiva in età adulta e al potenziale ingresso nei penitenziari per maggiorenni, a vantaggio del decongestionamento delle carceri e con un risparmio per lo Stato fino a 30 milioni di euro annui, stimabile in base alla spesa media per detenuto. Sono i numeri del progetto Percorsi di legalità, condotto dall'associazione Euro di Palermo d'intesa con il Dipartimento per la Giustizia minorile del Ministero della Giustizia e finanziato dal Ministero dell'Interno con 2 milioni e 650 mila euro del Pon Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno. Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, le quattro regioni dell'Obiettivo convergenza 2007- 2013, hanno messo a sistema, tramite 21 sedi operative dislocate nelle varie province, l'apporto degli organismi istituzionali, del terzo settore e del tessuto imprenditoriale per un'inedita strategia integrata di recupero rivolta a ragazzi dell'area penale, tutti rigorosamente indicati dagli Uffici di servizio sociale per i minorenni (Ussm) che li hanno in carico. Azioni formative, orientamento professionale, training lavorativi sul campo e la consulenza specialistica di professionisti-tutor hanno dato ai partecipanti la possibilità di imparare tecniche e mestieri, di acquisire competenze lavorative e metterle a frutto, oppure di pianificare e poi avviare percorsi di studio coerenti con le aspirazioni personali. Tutti strumenti essenziali per alimentare concretamente una prospettiva di vita in cui realizzarsi, come testimoniano le storie di quanti, grazie al sostegno ricevuto attraverso il progetto, hanno davvero cambiato strada. A suggellare tutto questo, a Villa Riso, a Palermo, sede dell'associazione Euro, l'assegnazione del primo premio Network etico per la giustizia minorile, ufficialmente istituito un mese fa dal Dipartimento per la Giustizia minorile. Si tratta di un riconoscimento alla responsabilità sociale d'impresa, cioè all'impegno attivo degli operatori economici e degli attori del mercato nel concorrere, con le istituzioni e l'universo no profit, alla gestione delle problematiche d'impatto sociale. A questa idea hanno aderito finora 388 tra piccole e medie imprese ed associazioni non lucrative, che hanno manifestato disponibilità ad ospitare in work experience i giovani in conflitto con la legge. Tra quelle poi candidate dai Centri per la giustizia minorile in considerazione delle attività svolte, otto aziende hanno ricevuto la targa di menzione di merito, due per ciascuna regione dell'Obiettivo convergenza. In Sicilia sono l'Ente Scuola Edile di Catania e l'impresa Camillo Alessi di Palermo (frigoriferi industriali), che complessivamente hanno effettuato tre assunzioni. In Calabria, la cooperativa sociale Ciarapanì di Lamezia Terme per l'accompagnamento educativo e il Grand Hotel de la Ville di Villa San Giovanni (Reggio Calabria) per la realizzazione di numerosi stage. In Puglia, SSD New sport management di Bari, per la capacità di accoglienza e supporto ai giovani, e la Scarlino impianti di Taurisano (Lecce) per l'abilità nel trasmettere le tecniche lavorative. In Campania, l'Anima show restaurant di Marcianise (Caserta), che ha assunto un giovane, e la Società nazionale di salvamento, sezione di Salerno, distintasi per avere abilitato professionalmente cinque giovani ai quali ha rilasciato il brevetto di bagnino di salvamento. La selezione, basata sui criteri stabiliti in un apposito regolamento, è stata effettuata da una commissione istituita dal Dipartimento per la Giustizia minorile. Il Ministero ha anche assegnato menzioni speciali al Comando generale del corpo delle Capitanerie di porto, alla Fincantieri, alla Indesit all'associazione Euro. Giustizia: sit-in anti-burqa non autorizzato, chiesto un mese di arresto per Daniela Santanché di Laura Della Pasqua Il Tempo, 19 novembre 2013 Un mese di arresto e una multa di 100 euro: è questa la richiesta di pena formulata dal rappresentante della pubblica accusa nel processo che vede imputata Daniela Santanché per una protesta anti-burqa da lei promossa a Milano nel settembre 2009, alla cerimonia di chiusura del Ramadan. Duemila euro di multa sono stati invece chiesti per Ahmed El Badry, l'egiziano imputato insieme alla Santanché, accusato di lesioni per averla aggredita, sempre in occasione della cerimonia di chiusura della manifestazione. Il rappresentante della pubblica accusa ha chiesto che vengano riconosciute le attenuanti generiche alla Santanché per il suo corretto comportamento processuale, anche perché "si è fatta interrogare", e per il fatto che è incensurata. Poi ha spiegato che per il reato di manifestazione non autorizzata "non è previsto il dolo" ma solo la colpa che, nel caso della parlamentare, sarebbe stata di non chiedere il placet al Questore nelle modalità previste dalla legge. Per quanto riguarda il suo aggressore, El Badry, il magistrato ritiene che vada punito con 2mila euro di multa senza la concessione delle generiche e nemmeno dell'attenuante della provocazione, perché "ha colpito una persona, oltre tutto di sesso femminile, che esprimeva delle opinioni e non c'era motivo di colpirla". La sentenza sarà pronunciata dal giudice monocratico dell'ottava sezione penale Elena Balzarotti il 2 dicembre prossimo. "È una richiesta di condanna assurda ma che rappresenta per me una medaglia al merito. Ero lì per tutelare le donne e vedere se veniva rispettata la legge italiana". Si difende con vigore la parlamentare di Forza Italia Daniela Santanché che ha fatto della difesa delle donne contro la violenza del fondamentalismo, "in qualsiasi modo si manifesti", una delle sue più accese battaglie. La ritiene una sentenza politica? Che sensazione le fa vivere in un Paese dove chi manifesta per la difesa del diritto alla libertà e per il rispetto della legge viene perseguito dalla legge stessa? "Non potevo credere alle mie orecchie mentre mi veniva letta la richiesta di condanna. Ma io non indietreggio. Non solo non mi pento ma lo rifarei e lo rifarò. In quella occasione tante donne mi hanno chiesto aiuto e subito dopo il pronunciamento del giudice, ho ricevuto una valanga di messaggi sul cellulare. E poi osservo una cosa: mentre persone che difendono un diritto, come me, vengono punite dalla legge, i no Tav, nonostante mettano a ferro e fuoco le città, restano impuniti. Io non ho sfasciato nulla". Che iniziative prenderà con il suo avvocato? "Certamente andremo in appello se il 2 dicembre sarà confermata la condanna. Per una come me che non ha mai avuto una condanna penale e non è solita frequentare i tribunali, è stato uno choc. Io peraltro sono parte lesa, ho la diagnosi dell'ospadale Fatebenefratelli. Poi vorrei ricordare che accanto a me c'era quel fondamentalista che si è poi fatto esplodere alla caserma Perrucchetti". Lei dava fastidio... "Certo che ho dato molto fastidio. Ho ricevuto numerose minacce di morte, ho avuto una vera e propria Fatwa. Minacce di morte mi sono arrivate da Londra da parte di fondamentalisti islamici. Sono anni che vivo in questa situazione. Io mi sono battuta e continuerò a battermi affinché nessuna donna vada in giro in Italia col volto coperto. Non ne faccio una questione religiosa perché se fosse tale, mi sarei fatta da parte. Ma non voglio che le donne siano obbligate a sottomettersi al clan maschile della famiglia". Ha ricevuto attestati di solidarietà dopo il pronunciamento del pm? "Ho una valanga di sms sul mio cellulare e tutti le donne mi dicono di non abbandonarle e di andare avanti. Mi spiace molto che l'Italia presa dalla grave crisi economica, sia un pò distratta rispetto alla questione del fondamentalismo islamico. I fondamentalisti stanno portando avanti i loro obiettivi perché non trovano argini nella politica e nell'informazione. La situazione sta peggiorando nell'indifferenza generale. E le donne musulmane stanno sempre peggio, sono sempre meno tutelate. Quel fondamentalista che si è fatto saltare in aria aveva un dossier su di me". Come sta vivendo questo momento? "Se il Paese è questo qui, vado in galera perché per me è una medaglia al merito. Non cambio idea, lo faccio e lo farò sempre. Se vogliamo una emancipazione per le donne, bisogna andare avanti con la lotta a testa alta. Io sono disposta ad andare un mese in carcere e, a fronte di questa palese ingiustizia, lo considero un onore". Vuol dire che farà altre iniziative? "È certo, non mi fermeranno, perché ci credo". Lettere: un appello da tre detenuti in attesa di giudizio Il Manifesto, 19 novembre 2013 Siamo tre detenuti del carcere romano di Rebibbia "Nuovo Complesso". I nostri destini si sono incontrati in questa triste realtà e ci troviamo a combattere ogni giorno contro indifferenza, lungaggini di qualsiasi tipo e menefreghismo. Ascoltando la trasmissione "Matrix" di qualche giorno fa, dove si discuteva del "caso Cancellieri" e del problema carcerario, abbiamo riscontrato alcune "anomalie" nelle parole del presidente del Dap sul nuovo decreto giustizia approvato ad agosto. Abbiamo sentito affermare di diminuzione dell'afflusso detentivo, di celle aperte per otto ore, di facilitazioni lavorative per tutti e di interventi sanitari più rapidi. Vorremmo poter controbattere alle falsità dichiarate ma sappiamo che le nostre verità vissute all'interno della "macchina carceraria" sono state, sono e saranno sempre censurate dagli organi preposti. Proprio dagli interventi sanitari vorremmo iniziare: Come può entrare in carcere un cieco? Persino il Direttore del carcere si è stupito (soprattutto perché non può gestirlo). Come può un giudice convalidare la misura cautelare detentiva a un non vedente senza aver richiesto i dovuti accertamenti? All'ingresso gli è stato tolto anche il bastone ovviamente... da non credere! Non sentirti male tra queste mura...! Siamo al punto che se hai mal di testa o un mal di denti oggi, per problemi burocratici, avrai un analgesico dopo uno o due giorni, quando ormai magari non ne hai più bisogno. E quell'analgesico non puoi tenerlo neanche in previsione di un nuovo malanno, se te lo trovano in una perquisizione ti fanno anche rapporto, perdendo 45 giorni di liberazione anticipata. Le visite specialistiche sono miraggi. Per la radiografia passano mesi, dopodiché, per la stessa visita, si ricomincia l'iter. (...) Per quanto riguarda gli ingressi negli istituti giudiziari ci accorgiamo che si continua a entrare con lo stesso ritmo da agosto a oggi. Sempre secondo il nostro modesto parere la legge Fini-Giovanardi va profondamente modificata. Vorremmo far riflettere le istituzioni sulla dubbia necessità di arrestare ragazzi ventenni perché trovati in possesso di poco più di due "spinelli"; questi ragazzi che dovrebbero essere reinseriti, si trovano a dover affrontare una realtà che non meritano (non è il nostro caso...) e che amplifica quel lato oscuro che ogni essere umano ha in sé. (...) Nella maggior parte dei processi odierni vengono condannati esseri umani a misure cautelari in carcere senza aver raggiunto la prova certa oltre ogni ragionevole dubbio. Senza considerare che una buona percentuale di quelle persone vengono poi assolte... bisogna fare qualcosa, è doveroso! In merito all'"apertura delle celle", le otto ore dichiarate dal Presidente del Dap in realtà sono sei, delle quali quattro all'aria aperta e, nelle rimanenti due è consentito il solo passeggio nel corridoio di reparto senza poter usufruire delle salette ricreative, perché, a causa del sovraffollamento, sono adibite a fatiscenti dormitori che contengono fino a sedici letti, travalicando ogni principio morale e igienico sanitario. Il lavoro in carcere? È solo per pochi "eletti". Anche qui prevalgono le raccomandazioni! L'Italia è uno dei pochi Paesi emancipati dove è consentita una sola telefonata di dieci minuti a settimana e sei ore di colloquio con la famiglia ogni mese. In molti penitenziari è esistente ancora il vecchio bancone divisorio di un metro e mezzo di larghezza da tempo abolito e in alcune sale c'è persino l'orribile vetro divisorio che non consente il contatto con i propri cari, necessario a ogni essere umano. Come si può mantenere un solo rapporto affettivo, magari con i propri figli, in queste condizioni? (...) Invitiamo a sostenere e a portare alla ribalta tali problematiche, mettendo a nudo le verità sottaciute sulle invivibili condizioni carcerarie; ma a che servono le autorità che ogni tanto vengono a farci visita (guidate nei reparti migliori)? Sembrano bambini in gita nei giardini zoologici. Fortunatamente, avendo "visitato" pochissimi altri istituti penitenziari, possiamo garantire che Rebibbia è uno dei migliori carceri ma, per sentito dire, sappiamo che in altri istituti queste realtà negative sono ancor più accentuate. Ci si toglie la vita qui, figuriamoci altrove! Per ovvi motivi di probabili ritorsioni da parte dell'amministrazione penitenziaria chiediamo di non divulgare il nome del mittente, potrebbero risalire a noi e "spedirci" nei posti più remoti della nostra penisola, succede anche questo e, per correttezza, vi informiamo che questa lettera è stata spedita anche ad altri giornali. Lettere: ministro, si adoperi anche per quel dottore in carcere per aver coltivato cannabis di Enzo Brogi La Repubblica, 19 novembre 2013 Signora ministro Cancellieri, sono giorni che ci penso. Voglio chiederle di intervenire affinché anche Fabrizio Cinquini possa essere scarcerato. Questo, sì, che un problema reale. Perché lo sa, signora ministro, che Fabrizio Cinquini, medico di Massa, è ormai in galera da oltre tre mesi per avere coltivato cannabis a scopo terapeutico? Cinquini, signora ministro, io l'ho conosciuto, sa. L'ho incontrato durante una visita al carcere di Massa. Si tratta di un medico che all'estero lavorerebbe alla luce del sole. E, invece, qui da noi per anni ha messo a repentaglio la propria libertà in nome della ricerca per l'utilizzo di farmaci naturali; quando poi ci sono centinaia e centinaia di medici che non rischiano proprio niente, prescrivendo morfina, oppiacei ed altre diavolerie chimiche che possono anche avere dalle gravi controindicazioni e dipendenze certe. Perché il nostro è un Paese buffo, lo sa, signora ministro? Riusciamo perfino a mettere fuorilegge delle piante; piante che potrebbero alleviare sofferenze di tanti malati. Cinquini ha provato a scardinare questo sistema in modo trasparente, coltivava cannabis in casa sua, nel suo giardino, mica si nascondeva. Prima ha sperimentato su di se, poi sui propri pazienti i benefici della cannabis. Allora, signora ministro, visto che lei ha detto che nella sua "azione ha operato da Ministro senza che la conoscenza con la famiglia Ligresti potesse influenzarla" e che si è "adoperata allo stesso modo in altri 100 casi, verificabili" - ci faccia una cortesia, faccia cento uno! Così, oltre a dare una nuova connotazione politica a questo triste numero, aiuterà anche il medico di Massa che, pensi signora ministro, si trova ancora in carcere per un assurdo errore burocratico. Signora ministro, io le credo quando dice di essersi "sempre ispirata al principio dell'umanizzazione del sistema carcerario, così come ha sollecitato Napolitano" e che per lei "è importante prima di tutto e prima di qualsiasi cosa accertarsi delle condizioni critiche di tutti i detenuti, anche della signora Ligresti". A fronte della sue parole le chiedo di intervenire. Si adoperi affinché Cinquini possa tornare da sua moglie e da sua figlia. Ancora una cosa, signora ministro, lei sa che nelle nostre sovraffollate carceri, circa il 40 per cento dei detenuti si trovano lì per problemi di tossicodipendenza, grazie alle conseguenze della Fini-Giovanardi quando, invece, queste persone dovrebbero essere in centri di recupero? Ma certo che lo sa, certo che conosce l'assurdità del nostro sistema carcerario. Lei ha detto che "ogni vita che si spegne in detenzione è una sconfitta per lo Stato e per il sistema carcerario. Io ne sento il peso e per questo ho dedicato parte rilevante del mio impegno al problema carcere". Insomma, davvero signora ministro, interceda, si occupi anche del dottor Cinquini, come ha fatto con Giulia Ligresti e con gli altri cento casi di cui ha detto di essersi interessata. Lo sa, signora ministro, che anche Cinquini per protesta aveva smesso di alimentarsi, proprio come Giulia Ligresti?. Lo ha fatto per protestare contro le condizioni del carcere di Lucca. Lui, però, non l'hanno scarcerato, l'hanno mandato all'ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino e poi trasferito al carcere di Massa, dove almeno qui le condizioni sono buone. Però, signora ministro, magari in questo momento lei ha deciso di dimettersi. Per me sarebbe una buona cosa. In quel caso, scriva comunque a Cinquini. Lo faccia come libera cittadina. Questo sì, che sarebbe un atto umanitario, proprio come dice lei. Puglia: Capece (Sappe) in visita nei penitenziari di Trani, Foggia e Melfi www.traninews.it, 19 novembre 2013 Visita del Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria nelle carceri pugliesi di Trani e Foggia ed in quella lucana di Melfi. Martedì e mercoledì prossimi Donato Capece, leader del Sappe, incontrerà i poliziotti in servizio nelle tre strutture detentive e porterà loro i saluti e la vicinanza del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria. "Un atto doveroso verso chi vive il carcere 24 ore su 24, rappresentando lo Stato e spesso dimenticato dalla stessa Amministrazione penitenziaria, nella prima linea delle sezioni detentive", spiega Capece che sottolinea come "negli ultimi vent'anni anni, dal 1992 al 2012, abbiamo salvato la vita ad oltre 16.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 113mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo". Il segretario generale del Sappe, accompagnato dal segretario nazionale Federico Pilagatti, sarà martedì a Trani e mercoledì a Foggia e Melfi. "I dati al 30 ottobre scorso ci dicono che nel carcere di Trani sono detenute 355 persone per circa 200 posti letto, 575 a Foggia che ha una capienza regolamentare di 370 posti mentre Melfi, per 128 posti, conta invece 219 presenze. È del tutto evidente che questo sovraffollamento incide negativamente sulla vita dei reclusi ma anche e soprattutto sulle condizioni di lavoro dei nostri poliziotti, uomini e donne quotidianamente impegnati con professionalità, abnegazione e senso del dovere nelle carceri. Per questo sarò tra loro, martedì e mercoledì, per ringraziarli a nome del SAPPE per quello che fanno", aggiunge il leader del Sappe. Capece sottolinea una volta di più un'emergenza, quella penitenziaria, ancora purtroppo sottovalutata: "Nei 206 istituti penitenziari nel primo semestre del 2013 si sono registrati 3.287 atti di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 1.880 colluttazioni e 468 ferimenti: 3.965 sono stati i detenuti protagonisti di sciopero della fame, mentre purtroppo 18 sono i morti per suicidio e 64 per cause naturali. Nelle carceri della Puglia, nel primo semestre del 2013, abbiamo contato 191 atti di autolesionismo (23 in Basilicata), 52 tentati suicidi (1 in Lucania), 1 suicidio, 32 ferimenti (8 in Basilicata) e 204 colluttazioni (12 in Lucania). Il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici, con oltre 65mila reclusi per una capienza di 40mila posti letto regolamentari. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno ridotto al lumicino le assunzioni, nonostante l'età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo. La realtà è che l'Amministrazione Penitenziaria guidata da Giovanni Tamburino è incapace di trovare soluzioni efficaci per rendere più sicure e meno stressanti le condizioni di lavoro dei Baschi Azzurri. Quel che serve non sono certo la vigilanza dinamica del Dap (che vuol dire meno sicurezza) o gli sterili, estemporanei ancorché virtuali scioperi della fame di chi cerca solo visibilità personale a margine della tragedia penitenziaria nazionale e regionale. Servono provvedimenti concreti, come un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e meno custodia cautelare in carcere". A Taranto situazione pericolosa per la sicurezza Una "pericolosa situazione si sta delineando presso la Casa Circondariale di Taranto in termini di minore sicurezza". Lo sottolinea in una lettera al prefetto di Taranto, Claudio Sammartino, il segretario nazionale del Sappe (il sindacato autonomo degli agenti della Polizia penitenziaria) Federico Pilagatti. Il Sappe, riferendosi "all'apertura di una nuova sezione detentiva per circa 50 detenuti ed all'inizio dei lavori per la costruzione di un nuovo padiglione con almeno 200 posti che nei fatti renderà il carcere di Taranto un cantiere, con l'ingresso di automezzi, lavoratori e materiale pericoloso", parla di "decisioni che sono state duramente contestate dalle organizzazioni sindacali che rappresentano i poliziotti penitenziari". Il Sappe, prosegue la lettera, "da tempo ha posto al centro dell'attenzione dell'amministrazione centrale e periferica, oltre al sovraffollamento della popolazione detenuta che supera del 100% i posti disponibili, la carenza di personale di Polizia Penitenziaria che ha costretto e costringe i lavoratori a turni di lavoro massacranti in violazione di accordi sindacali e regole contrattuali, con i livelli di sicurezza pressoché inesistenti. A ciò l'amministrazione penitenziaria ha sempre risposto in maniera irresponsabile non tenendo in considerazione il pericolo che tale situazione genera in termini di sicurezza della struttura". Pilagatti denuncia, infine, come non sia "previsto nessun incremento di personale per cui la situazione come peraltro segnalato agli organi superiori dalla direzione del carcere potrebbe diventare molto più pericolosa ed esplosiva". Napoli: Grimaldi (Pd); serve maggior attenzione istituzioni per carcere di Poggioreale Ansa, 19 novembre 2013 "La condizioni nel carcere di Poggioreale sono difficili. Occorrono maggiori risorse nell'immediato. E soprattutto occorre mettere mano in maniera immediata ad una riforma della giustizia che depenalizzi una serie di reati minori e riveda le norme che regolano la carcerazione preventiva". A dichiararlo è Michele Grimaldi, candidato alla segreteria regionale del Pd Campania, che oggi si è recato al carcere napoletano con le deputate Pd Valentina Paris e Laura Coccia. "Abbiamo discusso a lungo, con il livello amministrativo, le guardie penitenziarie, la popolazione carceraria. A fronte di un limite massimo di 1500 unità, oggi quella struttura ospita oltre 2600 detenuti, di cui quasi 1000 in attesa di giudizio. Non sono sufficienti le unità di polizia penitenziaria - aggiunge Grimaldi - e non sono sufficienti i fondi destinati all'azienda sanitaria locale che segue la struttura, non sono sufficienti le risorse destinate all'ordinaria amministrazione". "La sofferenza che si respira fuori e dentro Poggioreale, in qualche caso il degrado, rimangono una delle principali sconfitte di una società che le cui disuguaglianze, sociali ed economiche, continuano ad essere inaccettabili. Rimane, in ogni caso, usciti da quel luogo, un forte senso di smarrimento e di dolore", conclude Grimaldi. Lucca: tentato suicidio in carcere, Bergamini (Fi) scrive al Ministro Cancellieri www.gonews.it, 19 novembre 2013 Intanto i dati dicono che in 18 istituti toscani, a fronte di una capienza prevista di 3.259 detenuti si registrano 4.185 detenuti effettivi. Il 16 ottobre un detenuto del carcere di Lucca ha tentato di impiccarsi e solo l'intervento della Polizia Penitenziaria ha evitato la tragedia. Si tratta del quarto caso di tentato suicidio in soli due mesi. Il sindacato della Polizia Penitenziaria Seppe lamenta l'inadeguatezza della struttura, ennesima dimostrazione di quella che anche in Toscana può essere chiamata "emergenza carceri". I 18 istituti toscani, a fronte di una capienza prevista di 3.259 detenuti registrano 4.185 detenuti effettivi. La maggior parte degli istituti, come il San Giorgio di Lucca, non rispondono agli standard previsti dalle normative vigenti e versano in cronica inadeguatezza per quanto attiene al numero del personale (educatori, assistenti sociali e Polizia Penitenziaria). Deborah Bergamini scrive alla Cancellieri quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per limitare gli episodi di violenza che sempre più frequentemente si verificano nella casa circondariale di Lucca e quali misure intende prendere per tutelare il lavoro delle guardie penitenziarie. Interrogazione a risposta in Commissione Al Ministro della giustizia. Per sapere, premesso che: il 16 ottobre 2013, come ha reso noto il sindacato della Polizia Penitenziaria Sappe, un detenuto di origine straniere recluso nella 3/a sezione del carcere di Lucca, ha tentato di impiccarsi nella propria cella. Solo grazie all'intervento del personale di Polizia Penitenziaria è stato evitato il peggio; negli ultimi due mesi sono ben quattro i reclusi del carcere di Lucca ad aver tentato il suicidio, salvandosi grazie all'estrema professionalità della Polizia Penitenziaria che opera con abnegazione e sacrificio in condizioni di lavoro stressanti e di estremo disagio; dal 5 agosto al 15 ottobre del 2013 si è registrata, presso la casa circondariale di Lucca, una lunga serie di accadimenti negativi che hanno visto protagonisti i detenuti, con aggressioni, violenze, proteste, fino ad atti di autolesionismo anche estremi; la casa circondariale di Lucca è ospitata fin dall'epoca napoleonica all'interno del centro storico in un edificio risalente al XV secolo ed è in condizioni fatiscenti, con spazi inadeguati sia sul piano quantitativo che qualitativo; il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria toscana, presentando lo scorso 15 luglio 2013 in Consiglio regionale il bilancio dell'attività 2012 svolta dal garante toscano dei detenuti, ha avuto modo di rimarcare come la Casa circondariale di Lucca sia una struttura inadeguata; la situazione del carcere San Giorgio non è l'unica: nell'intera regione Toscana c'è un'emergenza carceri, come del resto in tutto il Paese. Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - il 30 settembre ha reso noti i dati relativi ai detenuti presenti e alla capienza regolamentare degli istituti penitenziari. I 18 istituti toscani, a fronte di una capienza prevista di 3.259 detenuti registrano 4.185 detenuti effettivi; la maggior parte degli istituti, come il San Giorgio di Lucca, non rispondono agli standard previsti dalle normative vigenti e versano in cronica inadeguatezza per quanto attiene al numero del personale (educatori, assistenti sociali e Polizia Penitenziaria), strutture sorte secoli fa con altre destinazioni d'uso, come ad esempio a Lucca o Siena, non possono consentire una dignitosa attività di detenzione e recupero senza - quantomeno - una seria opera di ristrutturazione di quelle realtà in grande deficit: quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per limitare gli episodi di violenza che sempre più frequentemente si verificano nella casa circondariale di Lucca, arginate dal personale della Polizia Penitenziaria in condizioni di rischio e di precarietà, così come denunciato più volte dalle organizzazioni sindacali; quali provvedimenti intenda adottare per porre gli agenti delle forze dell'ordine in servizio presso l'istituto di detenzione nelle condizioni di operare in sicurezza, verificando anche la corretta gestione, l'efficienza, l'operatività e la reale rispondenza alle attuali necessità dell'istituto dei vertici della struttura di gestione; quali iniziative intenda prendere al fine di superare definitivamente il degrado e la totale inadeguatezza della struttura lucchese, che non risponde alle esigenze di una popolazione carceraria che vive da tempo in condizioni critiche. Brescia: tenta suicidio in carcere impiccandosi, ma viene stato salvato da altri detenuti Ansa, 19 novembre 2013 Claudio Grigoletto, il pilota di aerei bresciano di 32 anni che a fine agosto a Gambara (Brescia) ha strangolato e ucciso la hostess brasiliana di 29 anni Marilia Rodrigues, sua dipendente e amante e dalla quale aspettava un figlio, ha tentato il suicidio in carcere. L'uomo avrebbe cercato di impiccarsi ed è stato salvato da altri detenuti. Poi condotto in ospedale per una visita ed infine dopo un'ora riportato in cella. Grigoletto, che ha confessato l'omicidio pochi giorni dopo l'arresto, è a Canton Mombello dal 3 settembre, incastrato dalle macchie di sangue ritrovate sul tappetino della sua vettura e dalle impronte sul luogo dell' omicidio, l'ufficio della Alpi Aviation do Brasil a Gambara. Trento: sit-in degli "Amici di Stefano Frapporti" a sostegno madre detenuto morto di Daniele Peretti Il Trentino, 19 novembre 2013 Se mamma Elisabeth deciderà di chiedere l'autopsia per il figlio Vargas, il gruppo roveretano "Amici di Stefano Frapporti", si autotasserà per sostenerne le spese. "Il parallelismo tra i due casi è dato dalla fretta della Procura di archiviare i casi. Solo che per la morte nel carcere di Trento, non è credibile l'arresto cardiaco come causa della morte di Vargas: la situazione può essere chiarita solo con l'autopsia". Per gli anarchici, da qualunque parte lo si veda è omicidio di stato: "Se in un carcere modello, non c'è nessun presidio sanitario per tutta la notte e per i soccorsi bisogna attendere un intervento esterno, questo direttamente o indirettamente, è solo omicidio di stato". Il presidio è sulla pista ciclabile, nell'unico punto dal quale si può interloquire con le celle dei detenuti. Sulla strada, sul traliccio dell'alta tensione, hanno appeso uno striscione "Solidarietà ai detenuti di Spini." La musica ha avuto inizio grazie ad un generatore, interrotta solo dagli interventi dei manifestanti. Momento di tensione alle 14,43 quando sulla ciclabile si presenta una gazzella dei carabinieri. A passo d'uomo taglia in due il presidio, fermandosi dopo pochi metri. La reazione si ferma solo alla contestazione che la ciclabile non è percorribile dalle macchine. E dopo pochi minuti i carabinieri se ne vanno. Dopo un quarto d'ora s'affacciano i detenuti, o meglio si sbracciano come possono. Scambio di saluti, accompagnati da due slogan: "Tutti, tutte liberi" e "Tenete duro raga" Tante le domande senza risposta. Ci si chiede perché la comunicazione della morte di "Doc" sia stata data con dieci giorni di ritardo e perché su tutte le morti nelle quali sono coinvolte le forze dell'ordine, al posto di una spontanea chiarezza, ci sia scarsa ed incompleta informazione. "Molte volte un caso cresce proprio per la mancanza di notizie. Oggi sulla morte di Vargas Zsolt c'è l'interesse di tutta Italia. Meglio così, o chiarire da subito la situazione? "Doc" era sotto trattamento a scalare, col metadone e la voce che arriva dall'interno del carcere dice che a provocarne l'arresto cardiaco possa essere stato un mix sbagliato di farmaci ed in questo caso, ci sarebbero delle precise responsabilità". Romeo era un amico di vecchia data di Stefano Frapporti e per ricordarlo ha aperto un Circolo a Rovereto, proprio dove Stefano fu fermato: "Nel caso di "Doc" mi chiedo come possa un ragazzo di 28 anni stare bene in occasione dell'incontro con la mamma il sabato ed il martedì, essere morto". Perugia: nuove accuse di violenza sessuale per ex vicecomandante di Polizia penitenziaria www.tgcom24.it, 19 novembre 2013 Perugia, dopo le parole dell'americana, un'altra ex detenuta del carcere perugino di Capanne punta il dito contro l'ex vicecomandante della polizia penitenziaria di Perugia, Raffaele Argirò. L'ex vicecomandante della polizia penitenziaria di Perugia, Raffaele Argirò, è accusato di violenza sessuale aggravata e concussione nei confronti di un'ex detenuta del carcere di Capanne. La donna lo ha denunciato dopo aver letto le parole di Amanda Knox. L'americana, assolta in secondo grado per l'omicidio di Meredith Kercher, aveva scritto sui suoi diari, secondo il The Sun, che la sua guardia carceraria "era fissata col sesso". Argirò, che da sempre respinge ogni accusa, comparirà martedì davanti al gip Lidia Bruti. Secondo l'accusa, come riporta Il Messaggero, "nell'assenza temporanea del personale penitenziario in servizio presso il primo piano della sezione detentiva e facendosi in plurime occasioni aprire il cancello della cella, costringeva o comunque induceva la stessa, in stato di soggezione psicologica derivante dallo stato di depressione sofferto a seguito della carcerazione, dall'assunzione di psicofarmaci in dosi rilevanti e anche superiori a quanto prescritto, e dal ruolo rivestito dall'Argirò, a compiere atti sessuali anche ripetendole spesso che "si doveva comportare bene". La donna: "Una decina di rapporti in un mese" - Vigilessa di Milano, la donna che accusa Argirò visse in carcere un breve periodo tra il dicembre del 2006 e il gennaio 2007. Fu poi liberata e assolta da ogni accusa. Dopo aver letto sui giornali le parole di Amanda Knox, ha trovato il coraggio per presentare una denuncia: "Nel 2011 erano usciti articoli su alcune rivelazioni fatte da Amanda Knox la quale però non ha mai detto di aver avuto rapporti sessuali con lui. Così mi sono incavolata, ho pensato "Cavolo non è possibile, lo devo denunciare, adesso c'è un'altra persona che ha parlato". Lo scorso anno, davanti al gup, la vigilessa ha raccontato di "palpeggiamenti, richieste di mostrare parti intime e di una decina di rapporti in un mese" L'uomo si è sempre professato innocente: "Mai sfiorata, a noi non è permesso entrare nel braccio in cui sono detenute le donne, senza essere accompagnati da una collega di sesso femminile". Le accuse di Amanda - Amanda Knox, condannata in primo grado e assolta in Appello per la morte di Meredith Kercher, aveva accusato l'uomo, da sempre parte della sua scorta, di "essere fissato con il sesso". Secondo quanto riportato dal tabloid inglese The Sun, l'americana scrisse nei suoi diari: "Di notte mi convocava al terzo piano in un ufficio vuoto, per una chiacchierata. Quando gli ripetevo che dell'omicidio di Meredith Kercher non ne sapevo nulla cercava di parlarmi di lei o di portarmi verso l'argomento sesso". La difesa: "Mai sfiorata" - Difeso dagli avvocati Daniela Paccoi e Guido Rondoni, Raffaele Argirò ha sempre contestato le accusa mossegli dalla ex detenuta, una vigilessa di Milano finita in carcere e poi assolta: "Non l'ho mai sfiorata neanche con un dito. A me come agli altri agenti uomini, non è permesso entrare nel braccio in cui sono detenute le donne, senza essere accompagnati da una collega di sesso femminile". Messina: "Il sapere del corpo", progetto pilota rivolto a studenti e detenuti sulla bioetica di Giuseppe Allegra www.ilsitodipalermo.it, 19 novembre 2013 Una giornata dedicata agli studenti di giurisprudenza e un laboratorio di 30 ore di etica applicata rivolto a detenuti e guardie penitenziarie del carcere di Gazzi, a Messina. C'è tutto questo ne "Il sapere del corpo", progetto pilota di ricerca e formazione alla bioetica, realizzato nell'ambito di "Cogitazioni". Il progetto sarà presentato martedì 19 novembre, alle 10, in una conferenza stampa, in programma nel Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca, in piazza Unione Europea, a Messina. Saranno presenti l'assessore alle Politiche sociali e alla Salute del Comune di Messina, Antonino Mantineo, Giusi Venuti, responsabile del progetto, filosofa e studiosa di scienze cognitive, la docente di Diritto penale dell'Ateneo di Messina, Lucia Risicato e l'architetto Luciano Marabello. "Il sapere del corpo" prenderà il via giovedì 21 novembre, alle 9.30, all'Università degli Studi di Messina, nell'Aula Salvatore Pugliatti presso la Facoltà di Giurisprudenza (in piazza Pugliatti). Bologna: Cooperativa "Siamo qua"; la Franzoni non è prima detenuta a lavorare con noi Adnkronos, 19 novembre 2013 Quella di Annamaria Franzoni, condannata a 16 anni di carcere per l'omicidio del figlio Samuele nel 2002 a Cogne, è in realtà "una situazione normale". Così Fra Martino, responsabile della cooperativa sociale "Siamo qua", che ha sede nella parrocchia di S. Antonio da Padova a Bologna, definisce all'Adnkronos l'ammissione al lavoro esterno concessa alla Franzoni. "Una situazione normale - ribadisce Fra Martino - non è la prima detenuta che esce dal carcere per lavorare qui nella cooperativa, come qualsiasi altra, e se necessario saremo lieti di accoglierne altre". È dal 7 ottobre scorso che la Franzoni lavora nel laboratorio della cooperativa dove si fanno borse, pochette, astucci e altri accessori. Esce la mattina dal carcere per recarsi alla cooperativa sociale per quattro ore. Terminato il lavoro si ferma a mangiare insieme alle volontarie della Onlus e nel primo pomeriggio torna nel reparto femminile della Dozza dove è rinchiusa dal 21 maggio del 2008. "La Franzoni quindi - spiega Fra Martino - fa parte del progetto ‘Gomito a gomitò, così chiamato perché il carcere della Dozza si trova a Via del Gomito e anche per significare il lavoro gomito a gomito delle detenute al di fuori delle celle, dove invece si vive un ‘gomito a gomitò ben diverso, molto stretto. Il lavoro è il metodo più valido per la formazione e il reinserimento dei detenuti quando poi usciranno. In particolare - evidenzia - per le donne che soffrono molto più degli uomini". Verona: "Nel male e soprattutto nel bene", incontro sulle famiglie delle persone detenute Ristretti Orizzonti, 19 novembre 2013 Sabato 23 novembre alle ore 17,30 nell'auditorium dei Santi Apostoli (vicolo dietro Santi Apostoli, 2) l'Associazione La Fraternità, nel programma di manifestazioni per i 45 anni di attività, propone un incontro pubblico sull'importanza della famiglia e sul ruolo dei legami familiari nelle vicende, nelle scelte, nell'aiuto alle persone in carcere, ma anche prima e dopo il carcere. Fra Beppe Prioli, il fondatore della Fraternità, presenterà le iniziative dell'Associazione nei riguardi delle "seconde vittime" dei reati, le famiglie dei detenuti: in carcere le attività di gruppo sugli affetti e la responsabilità genitoriale e il centro d'ascolto "Domenico" per le famiglie a colloquio, all'esterno l'ascolto, l'accompagnamento e il sostegno alle famiglie e la giornata mensile di incontro e convivialità. Cosimo Rega, condannato all'ergastolo, è anche il protagonista del film Cesare deve morire dei fratelli Taviani, Orso d'oro al festival di Berlino 2012; è attore, autore e regista teatrale; ha pubblicato il libro autobiografico Sumino ‘o falco e un volume di poesie. Verrà a Verona in permesso. Presenterà uno spezzone del film, reciterà qualche brano teatrale e racconterà poi alcuni passaggi significativi della sua vita, negli aspetti che più hanno coinvolto i legami familiari. Sarà aiutato in questo dalle domande di Lara Simeoni, psicologa che ha animato in carcere le riflessioni di gruppi di detenuti sui rapporti affettivi e familiari. Livorno: mercoledì presentazione de "La prima volta", docu-fiction realizzata in carcere Ristretti Orizzonti, 19 novembre 2013 Si terrà mercoledì 20 novembre presso il Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno la presentazione de "La prima volta", docu-fiction girata interamente all'interno della Casa Circondariale di Livorno e ideata nell'ambito di "Sanità Amica", progetto promosso dalla Azienda Sanitaria Livornese. "La prima volta" è stata prodotta da Arci Solidarietà Livorno e realizzata congiuntamente alla Associazione Doc99, in collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale, con il Comune di Livorno e con il Garante delle persone private della libertà personale. "La prima volta" racconta una giornata all'interno della struttura penitenziaria, dall'arrivo all'alba del "nuovo giunto" fino al calare della notte nella cella in cui è recluso insieme ad altri detenuti, attraverso una scansione temporale che tocca i vari momenti della vita in un carcere: il pranzo, la doccia, il colloquio, le visite mediche, la cena. Si tratta del prodotto finale di un percorso che ha coinvolto i detenuti in una riflessione sulle tematiche della salute, degli stili di vita e delle condizioni igienico-sanitarie all'interno del carcere e che si è conclusa con la stesura di una sceneggiatura. Alla sua realizzazione hanno partecipato in veste di attori detenuti, educatori, agenti della polizia penitenziaria e personale medico Asl. L'iniziativa comincerà alle ore 18 con il convegno "Il senso della pena nella società contemporanea", moderato da Marco Solimano, Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Livorno. Dopo il saluto di Alessandro Cosimi, interverranno: Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana e Coordinatore nazionale dei Garanti; Alessio Scandurra, Coordinatore dell'Osservatorio Antigone sulle condizioni di detenzione; Paola Boni, Magistrato di Sorveglianza; Morgana Fantozzi, Comandante della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Livorno; Lucio Coronelli, responsabile dell'Area Trattamentale della Casa Circondariale di Livorno. Seguirà alle ore 20 un buffet. Infine, alle ore 21.30, la proiezione della docu-fiction, preceduta da una introduzione dei registi e di Carlo Fredianelli, responsabile sanitario della Casa Circondariale. Foggia: i detenuti del carcere di San Severo terranno un concerto al Teatro Verdi www.statoquotidiano.it, 19 novembre 2013 In occasione delle prossime festività natalizie, questa Amministrazione Comunale, insieme alla Direzione della Casa Circondariale di San Severo ed alla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, ha pensato di dare voce e visibilità ai detenuti del suddetto istituto. Saranno loro i veri protagonisti, nella storica cornice del Teatro Comunale "Giuseppe Verdi" di San Severo, di uno spettacolo musicale (e non solo…) che si terrà la sera del prossimo sabato 14 dicembre alle ore 19,00. "L'argomento "carcere" - dichiara la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale signora Maria Rosa Lacerenza Solimene - di grande attualità, sarà trattato in maniera diversa ed alternativa in un contesto artistico dove interverranno non solo i detenuti, ma anche personaggi della politica, autorità religiose, uomini dello spettacolo e della cultura, sensibili alle istanze di coloro che sono privati della libertà personale. Saliranno sul palcoscenico coloro che spesso vengono dimenticati dalla realtà circostante, il tutto in un contesto di pubblico e di addetti ai lavori che sarà foriero della creazione di una futura e costruttiva sinergia di intenti". Russia: altri 3 mesi carcere per attivista Greenpeace, analoghe richieste per altri militanti Ansa, 19 novembre 2013 Un tribunale del distretto di San Pietroburgo ha prorogato di tre mesi, su richiesta del comitato investigativo, la detenzione preventiva per uno dei 30 attivisti di Greenpeace in cella dal 19 settembre per il loro blitz contro una piattaforma petrolifera artica di Gazprom. Analoghe richieste sono state avanzate per gli altri militanti. Oggi il tribunale esaminerà le richieste riguardanti altri sei attivisti. Tra loro non c'è Christian D'Alessandro, l'unico militante italiano del gruppo. Il primo a vedersi prolungare la detenzione, sino al 24 febbraio, è l'australiano Colin Russel. La carcerazione preventiva sarebbe scaduta il 24 novembre, ma il comitato investigativo ha chiesto che gli esponenti di Greenpeace, accusati di teppismo, restino in carcere finché sarà completata l'inchiesta. Radio1: a "Start" la madre di Cristian, l'attivista italiano Domani, alle 14,30 (ora di Mosca) il tribunale di San Pietroburgo deciderà la sorte di Cristian D'Alessandro, l'attivista di Greenpeace detenuto in Russia dalla fine di settembre con l'accusa di pirateria. Oggi è toccato all'australiano Colin Russell. Per lui, il primo dei 30 attivisti fermati, è stata confermata la detenzione fino al 24 febbraio e sono state rifiutate sia la richiesta di scarcerazione su cauzione che la concessione degli arresti domiciliari. Ai microfoni di "Start, la notizia non può attendere", la madre del ragazzo Raffaella Ruggiero, in onda su Radio 1 qualche minuto dopo le 10,30. Ma si parlerà anche di vacanze in tempo di crisi economica. Sono molte le iniziative per alimentare il mercato. Tra queste c'è la possibilità di andare in vacanza offrendo in cambio un lavoro di manutenzione come il giardinaggio, lavori di idraulica o di elettricità e così via. Per la parte dedicata allo spettacolo ospite Lena Biolcati, che molti ricorderanno sul palco del teatro Ariston a Sanremo e che tra pochi giorni debutterà a teatro con il suo spettacolo "Sindrome da musical". Rilascio su cauzione per attivista russa Rilascio su cauzione per Ekaterina Zaspa, una dei 30 attivisti di Greenpeace arrestati a settembre in Russia durante un'azione di protesta contro le trivellazioni di Gazprom nell'Artico. La Zaspa, cittadina russa, medico di bordo della Arctic Sun, potrà uscire di prigione dopo il versamento di due milioni di rubli (circa 45mila euro), ha stabilito oggi il tribunale Kalininski di San Pietroburgo, dove si tengono le udienze sulla richiesta di estensione del carcere cautelare per l'equipaggio dell'imbarcazione di Greenpeace. Oggi sono stati convocati i primi sei attivisti e per l'australiano Colin Russel sono stati ordinati altri tre mesi di carcere, come richiesto dalla procura. Domani toccherà anche all'italiano Cristian D'Alessandro. Gli attivisti sono stati trasferiti da Murmansk a San Pietroburgo il 12 novembre. In carcere da oltre due mesi, non è ancora chiaro per quali accuse verranno processati. Il Comitato investigativo russo aveva infatti annunciato che le accuse di pirateria sarebbero state ritirate, mentre venivano formulate nuove accuse per teppismo. Per ora entrambe sono in vigore. Libero su cauzione anche fotografo Arctic Sunrise La Corte distrettuale Kalininsky di San Pietroburgo ha concesso la libertà su cauzione al fotografo Denis Sinyakov, che doveva testimoniare con le sue immagini le proteste contro le esplorazioni petrolifere di Gazprom in Artico, accusato di teppismo e pirateria come gli altri 29 membri dell'equipaggio dell'Arctici Sunrise, la nave di Greenpeace sequestrata dalla guardia costiera russa. Sinyakov sarà libero dietro il versamento di due milioni di rubli, circa 45mila euro, come la dottoressa della nave, Yekaterina Zaspa, anche lei cittadina russa, la cui liberazione è stata decisa stamani. Resta invece in carcere epr altri tre mesi, su decisione del tribunale distrettuale Primorsky, l'australiano Colin Russell. Oggi i due tribunali hanno avviato l'esame delle richieste della procura di prolungare, dopo i primi due mesi, la carcerazione preventiva per i trenta attivisti ambientalisti della Arctic Sunrise. Domani sarà il turno dell'italiano Cristian D'Alessandro. Gli occupanti della nave sono stati trasferiti la settimana scorsa nelle carceri di San Pietroburgo, dopo un primo periodo di detenzione a Murmansk, a seguito del sequestro della nave da parte della guardia costiera russa a settembre. Cile: arrestato l'ex procuratore militare Podlech, accusato di aver ucciso 7 detenuti Corriere della Sera, 19 novembre 2013 Alfonso Podlech, l'ex procuratore militare cileno accusato e assolto a Roma nel luglio 2011 dalle accuse di sequestro e omicidio - durante la dittatura di Pinochet - dell'ex sacerdote italiano Omar Venturelli, è stato arrestato in Cile con una nuova accusa, l'omicidio in quello stesso periodo (l'autunno del 1973, nei giorni successivi al golpe) di sette detenuti dentro il carcere di Temuco, la città del sud cileno in cui Podlech era allora procuratore militare. La Corte di appello di Temuco ha rigettato venerdì il ricorso di estraneità con cui il difensore dell'ex procuratore chiedeva di rimettere in libertà il suo assistito arrestato due giorni prima. Podlech è detenuto nella struttura militare di quello stesso reggimento di Tucapel nel quale era stato portato l'ex sacerdote Omar Venturelli, il "desaparecido" per il quale Podlech era stato arrestato in Italia e deferito alla prima Corte d'assise di Roma che l'aveva poi assolto per insufficienza di prove. Alfonso Podlech dopo l'assoluzione aveva lasciato l'Italia convinto probabilmente di aver messo fine ai suoi guai giudiziari. Nel novembre di quello stesso anno poi era poi perfino "saltato" il ricorso in appello per un vizio di ritardo della richiesta da parte della Procura. Successivamente Podlech dal Cile aveva presentato una richiesta di risarcimento allo Stato italiano per la detenzione subita nel nostro paese, una richiesta di 500 mila euro in relazione agli oltre due anni passati a Rebibbia. Podlech non aveva messo però in conto che in Cile è stata avviata di recente una resa dei conti giudiziaria, ancora limitata a pochi casi, per i crimini commessi durante gli anni della dittatura, in particolare quelli perpetrati nel periodo immediatamente successivo al colpo di stato dell'11 settembre 1973. E così è stato avviato ora il processo per un omicidio plurimo nel carcere di Temuco nel quale nel novembre del 1973 persero la vita sette detenuti comunisti, accusati di un falso attacco mentre erano custoditi in carcere alla polveriera della struttura penitenziaria. Per questa vicenda che segue di pochi giorni la "scomparsa" di Omar Venturelli l'ex procuratore militare Podlech si è trovato ora sotto accusa insieme ad altri 24 ex militari ed è stato di nuovo arrestato. Insieme a lui sono detenuti nel reggimento Tucapel altri nove ufficiali dell'esercito a riposo, mentre tre soldati sono stati portati nel carcere di Temuco, sette sottufficiali nel battaglione di Victoria e un sergente dei Carabineros nella seconda "comisaria". Ad accusare Podlech e gli altri è l'unico sopravvissuto di quella decimazione, il cileno Herman Carrasco, che ha testimoniato anche nel processo romano. Kuwait: insultò Maometto su Twitter, condannato a 5 anni di carcere Aki, 19 novembre 2013 Cinque anni di carcere per aver insultato il Profeta Maometto su Twitter. Questa la pena inflitta da un Tribunale del Kuwait a un utente di Twitter, Musaab Shamsah, arrestato per un post che risale a maggio e nel quale faceva si riferimento ai discendenti di Maometto. L'attivista Nawaf al-Hendal ha annunciato che Shamsah ha intenzione di presentare appello. Il Kuwait non è nuovo a condanne al carcere emesse per posizioni espresse via Twitter. A giugno, ad esempio, è stata emessa la sentenza più alta per casi simili, ovvero undici anni di detenzione per una insegnante accusata di aver insultato l'emiro su Twitter, chiedendo un cambio di regime e scagliandosi contro una setta religiosa. Svizzera: nel Canton Friburgo commissione di esperti valuterà i detenuti pericolosi Corriere del Ticino, 19 novembre 2013 Dal prossimo gennaio, la pericolosità dei detenuti francofoni incarcerati nella Svizzera centrale e nord-occidentale sarà valutata dalla competente commissione del Canton Friburgo. Un accordo in questo senso è stato firmato oggi. Secondo la Direzione della sicurezza e della giustizia di Friburgo, i casi in questione riguardano essenzialmente persone francofone del canton Berna; il loro numero è limitato a poche unità all'anno. L'accordo coinvolge i cantoni membri del concordato della Svizzera centrale e nord-occidentale, ossia Berna, Argovia, Basilea-Campagna, Basilea-Città, Lucerna, Obvaldo, Nidnaldo, Svitto, Soletta, Uri e Zugo. In ottobre, la Conferenza latina dei capi dei dipartimenti di giustizia e polizia ha auspicato una maggiore collaborazione in materia fra i cantoni, ma ha rinunciato ad istituire una commissione comune. A Friburgo, l'attività della commissione consultiva di liberazione condizionata e di valutazione della pericolosità si è intensificata negli ultimi anni: nel 2012 ha trattato 77 casi, contro 61 nel 2011 e 48 nel 2010. Presieduta da un giudice cantonale, essa è composta di esperti dei settori penitenziario e psichiatrico. Gran Bretagna: saranno rimpatriati 200 detenuti albanesi, sconteranno la pena in patria Osservatorio Balcani, 19 novembre 2013 La Gran Bretagna trasferirà in Albania circa 200 prigionieri albanesi condannati per reati gravi, dove sconteranno il resto della loro pena. I detenuti, secondo fonti ufficiali, saranno trasferiti in gruppi separati e, secondo le previsioni, saranno collocati a Kruja, Korca e Peqin. La direzione generale delle carceri, ha informato che il trasferimento è possibile grazie ad un accordo tra l'Albania e il Regno Unito.