Giustizia: ai presidenti di Camera e Senato “se volete, potete... se potete, dovete” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 16 novembre 2013 Al presidente della Camera, on. Laura Boldrini, al presidente del Senato, sen. Pietro Grasso, come dovrebbe esservi noto (o forse no, dal momento che la “notizia” è stata praticamente clandestinizzata), Marco Pannella ha intrapreso dalla mezzanotte dell’11 novembre uno sciopero totale della fame e della sete. L’obiettivo di questa iniziativa nonviolenta di dialogo è “semplice”: la fuoriuscita dell’Italia dalla condizione di flagranza di uno Stato tecnicamente criminale sia per le condizioni di “tortura” nelle nostre carceri, sia per lo stato ormai agonizzante della nostra giustizia. Non è la “solita” esagerazione radicale. Il Vice-presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con delega alle carceri Sandro Gozi definisce “L’Italia delinquente abituale, basti guardare le ripetute condanne ricevute per le stesse problematiche, in primis sovraffollamento delle carceri e lentezza dei processi. Su 47 Paesi del Consiglio d’Europa, noi “produciamo” l’11 per cento delle condanne corte, dietro solamente a Russia (22 per cento), e Turchia (13 per cento)”. I costi di questa realtà sono altissimi: solo per la lentezza dei processi, infatti, dobbiamo alla Corte ancora 500 milioni di euro. Inoltre, se entro maggio 2014 non risolveremo l’emergenza carceri, la ripresa dei processi contro l’Italia ci costerà altre centinaia di milioni di euro, “avremo da pagare 100mila euro ogni 7 detenuti che fanno ricorso, ossia ogni anno dovremo pagare multe per 60-70 milioni”. Pagheranno tutti i contribuenti italiani, obbligati a pagare per l’illegalità dello Stato. Un giornalista abituato da sempre a occuparsi di economia, di conti e cifre, parlo di Enrico Cisnetto, qualche giorno fa ci ha ricordato che il pessimo funzionamento della giustizia italiana è “un grosso ostacolo che allontana gli investitori stranieri dall’Italia”, e che si tratta di una questione “sempre più avvertita dalle imprese, non solo per il carico economico che devono sopportare, ma soprattutto perché il cattivo funzionamento della giustizia costituisce un grosso ostacolo per gli investimenti”. E questo è un primo dato circa i costi - sotto forma di mancati guadagni - che ci procura il pessimo funzionamento della giustizia. Questo il “contesto”. Pannella, con la sua iniziativa, chiede formalmente a tutti noi che fine ha fatto il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il Presidente ha ammonito che tutti gli interventi immaginabili (e ne ha elencati una moltitudine) “appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato (il termine fissato dalla sentenza ‘Torreggiani’ scadrà, come già sottolineato, il 28 maggio 2014) con il ricorso a “rimedi straordinari”. Pertanto, appare ineludibile la questione di un provvedimento di amnistia e di indulto. Di conseguenza, Pannella chiede ai Presidenti delle Camere “di convocare i Presidenti dei gruppi parlamentari affinché la questione venga calendarizzata”. Anche la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, numerosi militanti e dirigenti radicali, e - dato particolarmente significativo - quasi quattromila tra detenuti, familiari e appartenenti alla più vasta comunità penitenziaria - hanno deciso di sostenere l’iniziativa nonviolenta di dialogo e di costruttiva speranza di Pannella. Non credete sia vostro imperativo dovere, istituzionale oltre che umano, intervenire e fare quanto in vostro potere, esercitando tutte le prerogative che la vostra carica consente e prevede? Non credete che si debba corrispondere con sollecitudine alla richiesta di dialogo e di speranza che viene dalle carceri? Se volete, potete. Se potete dovete. Giustizia: sulla riforma delle carceri Cancellieri ottiene il via libera di Napolitano di Matteo Carriero news.supermoney.eu, 16 novembre 2013 Indulto e Amnistia, il ministro Cancellieri sul nodo carceri sostenuta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che approva le ipotesi di cambiamento del ministro e spinge per l’attuazione in tempi rapidi delle stesse. La questione indulto e amnistia dopo un breve periodo di dimenticanza è tornata sotto i riflettori: le misure di indulto e amnistia strettamente dette sono al momento in stand-by ma restano dietro l’angolo. Prima arriverà, se il Parlamento come è probabile le approverà, le misure contro la custodia cautelare. Come spiegato ampiamente in precedenza la Cancellieri sul nodo carceri lavora affinché l’applicazione delle misure di custodia cautelare vengano applicate molto più raramente in futuro: per combattere il sovraffollamento carceri il ministro, che non ha mai celato d’essere personalmente favorevole all’amnistia, ha individuato nel ridimensionamento della custodia cautelare il primo passo di quella che definisce una “riforma a 360 gradi” del sistema carceri italiano. Già negli scorsi giorni la sensazione che questo primo passo potesse realizzarsi in breve tempo era forte per via del relativo accordo delle parti politiche della maggioranza e della mancata ostruzione da parte di Lega Nord e M5S. Ora arrivano le parole di Napolitano. Il presidente, si legge in una nota “ha auspicato l’ulteriore pieno sviluppo dell’azione di governo avviata dal ministro della Giustizia”. Il primo passo per la riforma carceri della Cancellieri arriverà quindi a breve (se ne parlerà probabilmente già la settimana prossima), indulto e amnistia arrivano comunque, in seguito? Al momento non ci si può sbilanciare ma appare decisamente probabile che se ne tornerà quantomeno a parlarne molto presto. Il capo dello Stato: avanti con azione di governo su emergenza (Adnkronos) Il governo vada avanti nell’azione avviata dal ministero della Giustizia per risolvere la questione carceraria, anche alla luce del messaggio alle Camere del Capo dello Stato. è l’auspicio espresso dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo aver ricevuto al Quirinale oggi il Guardasigilli, Anna Maria Cancellieri, accompagnata dal capo di Gabinetto, Renato Finocchi Ghersi, per discutere del seguito che si sta dando al messaggio del Capo dello Stato alle Camere sulla questione carceraria. Il ministro -sottolinea un comunicato del Quirinale- ha riferito sulle iniziative attualmente in corso in stretto contatto con il Parlamento, e con particolare riferimento alla discussione e all’attività istruttoria sviluppatesi nella commissione Giustizia della Camera. Degli impegni adottati o in via di definizione il ministro Cancellieri ha puntualmente dato notizia alle autorità europee registrando un positivo apprezzamento da parte di queste ultime in connessione con la sentenza pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013 (caso Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l’Italia). Il Presidente della Repubblica -conclude la nota- ha auspicato l’ulteriore pieno sviluppo dell’azione di governo avviata dal ministro della Giustizia. Giustizia: Veronesi; stop all’ergastolo, adottare il sistema norvegese di rieducazione Ansa, 16 novembre 2013 “La giustizia non deve essere scambiata con la vendetta”. A dirlo dal palco della conferenza mondiale Science for Peace, Umberto Veronesi, il noto oncologo da tempo impegnato nel sociale per la nascita di una “società non violenta, condizione imprescindibile del progresso scientifico”. Secondo Veronesi, una delle strade che deve iniziare a percorrere l’Italia e l’Ue è quella dell’abolizione dell’ergastolo. Alla base di questa idea dei risultati scientifici, secondo cui “il cervello dell’uomo cambia con gli anni”. “Dopo vent’anni di prigione - ha detto il presidente di Science for Peace - è come se a essere condannato fosse un altro uomo”. Da qui il principio secondo cui le prigioni dovrebbero adottare “il concetto norvegese di carcere come scuola”. “Bisogna ricordare - ha continuato Veronesi - che c’è una differenza tra punire e rieducare”. Dure, infine, le parole sul tema della pena di morte: “Science for Peace - ha concluso l’oncologo - deve continuare a battersi per l’abolizione della pena capitale, un atroce omicidio di Stato, che inconsapevolmente legittima tutti i cittadini a uccidere”. Lettere: i diritti di una madre di Rosaria Vazzana www.mnews.it, 16 novembre 2013 Mi chiamo Rosaria Vazzana e sono la madre di Fabio Giardiniere, detenuto da tre anni. In tutto questo periodo mi sono rivolta alle varie autorità, compreso il Presidente della Repubblica; ho fatto denunce, ho chiesto aiuto. Mio marito è disabile e mia nuora (madre di una bambina di cinque anni) affetta da sclerosi multipla, motivi per i quali siamo impossibilitati a far visita a mio figlio lontano da Reggio e quando si raggiunge ormai una determinata età, la paura di non poter vedere più i propri figli è più forte di ogni altra cosa Nelle mie richieste e denunce non ho fatto altro che chiedere di avere mio la possibilità di poter andare a trovare mio figlio. Durante una mia denuncia mi è stato addirittura detto: “signora, non è obbligatorio che vediate vostro figlio”. Nei giorni scorsi è stato condannato a ventisei anni di reclusione, era detenuto nella casa circondariale di Reggio Calabria, ma purtroppo è stato trasferito a Viterbo. Tra tutti gli imputati del processo “Epilogo” solo lui è stato allontanato ed io mi chiedo se tutto questo non sia la conseguenza delle mie denunce a carico di rappresentanti della giustizia. Se fossi stata omertosa e non avessi cercato di far valere i miei diritti, forse avrei avuto la possibilità di poterlo riabbracciare. Qualche giorno fa il Procuratore, Federico Cafiero De Raho, ha affermato che la gente non denuncia. Mi auguro che si riferisse a tutte le denunce relative ad abusi, sia da parte dei delinquenti, sia da parte di chi approfitta del proprio potere. Se denunciare organi della giustizia farà ottenere i risultati che ho ottenuto io, credo che le denunce saranno sempre meno. Non credo di essere l’unica persona che in Italia subisce lo strapotere della magistratura, ecco perché propongo di scrivere nelle aule di tribunale “La legge non è uguale per tutti”. Lazio: per Giornata Mondiale dell’Infanzia attività nelle ludoteche delle carceri Ristretti Orizzonti, 16 novembre 2013 Il 20 novembre, in occasione della Giornata Mondiale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, la Cecilia Soc. Coop. Sociale Onlus organizza, nelle 8 ludoteche-spazi delle affettività e nelle aree verdi dei carceri di Roma e del Lazio, iniziative di animazione e di sensibilizzazione al problema della genitorialità in carcere. Per occasione nella ludoteca “Le meraviglie di Alice” nel carcere di Regina Coeli alle ore 11,30 sarà presente il Sottosegretario alla Giustizia On. Avv. Giuseppe Beretta, l’assessore ai Servizi Sociali di Roma Capitale Rita Cutini, il Provveditore Lazio Ministero della Giustizia Maria Claudia Di Paolo, Presidente della Consulta Penitenziaria di Roma Capitale responsabile progetto coop. Cecilia Onlus Lillo Di Mauro. La cooperativa Cecilia Onus da oltre 25 anni interviene a sostegno dei minori sottoposti a provvedimenti dall’A.G., della genitorialità in carcere e a tutela dei diritti dei bambini e delle bambine che hanno genitori detenuti per i quali con i fondi della Cassa delle Ammende, di Roma Capitale, e della Regione Lazio ha realizzato 8 ludoteche e spazi delle affettività nei carceri di Roma e del Lazio. Il 20 novembre, in occasione della Giornata Mondiale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che questo anno compie il suo 23° anniversario da quando fu approvata dalle Nazioni Unite la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, i bambini e le bambine saranno coinvolti a dipingere delle superfici di carta utilizzando con le loro dita e i palmi delle mani per imprimere le loro impronte quale messaggio tangibile della loro richiesta di aiuto alle istituzioni. Un’iniziativa quindi che vuole essere anche un momento di riflessione su quelli che sono i diritti di questi bambini e sui problemi che sono costretti a vivere quotidianamente, affinché le istituzioni nazionali e locali vi pongano la giusta attenzione per promuovere un cambiamento radicale anche a livello normativo affinché tali diritti siano effettivi ed esigibili nel quotidiano. Come vivono i bambini e le bambine non istituzionalizzati, “invisibili”, figli di detenuti? Quali sono le condizioni di quelli stranieri che non possono avere l’opportunità nemmeno di recarsi in carcere a far visita al proprio genitore detenuto di cui non conoscono nemmeno il volto e il luogo di detenzione? Per un bambino o una bambina far visita al genitore detenuto significa attese interminabili, umilianti, imbarazzanti; significa traumatizzanti perquisizioni, paure, incontri in ambienti disumani e sotto continuo controllo. I dati forniti dal DAP aggiornati al 30 giugno 2013 di un totale di figli dichiarati all’ingresso in carcere di 25.119 di cui: 7.826 chi ha un solo figlio, 8.621 chi ne ha due, 5.243 chi ne ha tre, 2.066 chi ne ha quattro, 752 chi ne a cinque, 307 chi ne ha sei, 304 chi ha oltre i sei figli. Questi numeri ci parlano di un fenomeno importante che riguarda decine di migliaia di persone, adulti e minori, che quotidianamente si trovano dentro e fuori del carcere ad affrontare problemi insormontabili di carattere sociale, giuridico, culturale, economico. Poche organizzazioni come la nostra si battono da anni in Italia perché le istituzioni e gli enti locali intervengano concretamente. Il figlio di genitori detenuti vive una situazione “deviata” costretto alla totale assenza di un genitore perché recluso e la parziale presenza dell’altro perché chiamato a volgere in ruolo di supplenza anche i compiti del coniuge detenuto. Oggi dobbiamo chiederci quanto, pur se la convenzione internazionale sui diritti del fanciullo stabilisce che l’interesse dello stesso debba essere preminente su ogni decisione sia essa istituzionale che privata, la nostra legislazione, i regolamenti penitenziari rispettano questi diritti. Perché c’è una evidente contraddizione tra il rispetto dei diritti del fanciullo e la sua separazione forzata da un genitore perché detenuto, c’è un’evidente contraddizione quando si costringe il bambino ad entrare in carcere per far visita al genitore detenuto e sottostare a tutte le regole, volte esclusivamente alla sicurezza, che il Dpr 230/2000 all’art. 37 stabilisce. Per informazioni: Lillo Di Mauro 3334881097. Ancona: non riesce a ottenere arresti domiciliari, detenuto 43enne si impicca in cella Il Resto del Carlino, 16 novembre 2013 Michele Riccardi, il 43enne in carcere per estorsione al fratello della presidente della Camera, trovato morto a Montacuto. Suicida in cella l’uomo che aveva tentato di estorcere 3.500 euro al fratello del presidente della Camera Laura Boldrini. È successo ieri pomeriggio all’interno del carcere di Montacuto, dove Michele Riccardi, riminese di 43 anni, si è impiccato alle sbarre con una corda. Il detenuto era in attesa di giudizio da due mesi, dal giorno dell’arresto, avvenuto il 13 settembre scorso da parte della squadra mobile di Ancona e, in questo lasso di tempo, aveva più volte chiesto, attraverso il suo avvocato, di veder commutata la sua custodia cautelare ai domiciliari. Richiesta più volte respinta dal gip. La goccia che ha fatto traboccare il vaso. Lo stato depressivo di Riccardi - operaio metalmeccanico che di recente aveva perso il lavoro - è andato crescendo nelle ultime settimane fino a ieri, quando, attorno alle 15, un agente della penitenziaria, lo ha trovato privo di vita dentro la sua cella. Di fianco al corpo i soccorritori hanno trovato alcuni biglietti in cui l’uomo denunciava la sua situazione, con riferimento alla mancata concessione dei domiciliari. Materiale che adesso sarà valutato dalla procura di Ancona che sulla vicenda ha ovviamente aperto un’inchiesta. L’allarme è subito scattato ieri pomeriggio: sul posto sono arrivati i sanitari del 118, ma ormai per Riccardi non c’era più nulla da fare. Il fatto è accaduto attorno alle 15, il riminese era da solo nella sua cella, gli altri si trovavano a passeggio nell’area concessa dalla direzione carceraria di Montacuto ai detenuti. Ugo Boldrini, fratello della Presidente della Camera, segretario comunale di Monteroberto e San Paolo di Jesi, vittima dell’estorsione, ha rilasciato soltanto una brevissima dichiarazione: “Notizia tremenda, l’ho appena saputo e scelgo di non commentare”, queste le parole di Boldrini. Il fatto aveva destato grande scalpore visto il coinvolgimento indiretto dell’ex portavoce dell’Unhcr: “Sono innocente, non ho minacciato nessuno. Ho solo proposto un affare”. Così si era difeso Riccardi (che per l’estorsione aveva scelto un nome fittizio) dal carcere. In realtà, stando alla denuncia circostanziata avanzata dalla vittima dell’estorsione, agli atti del provvedimento, Riccardi avrebbe utilizzato altri termini: “Paga o presto tutti sapranno di te e di tua sorella. La costringerò a dimettersi”. Il gesto di un disperato. Dopo i primi due contatti telefonici, il 13 settembre a Monteroberto i due hanno fissato l’incontro decisivo per la consegna del denaro. Nel frattempo Boldrini aveva però preso contatti con la squadra mobile che aveva segnato le banconote. Al momento della consegna della mazzetta gli inquirenti sono intervenuti arrestando Riccardi in flagranza di reato. Detenuto in attesa giudizio suicida ad Ancona (Ansa) Detenuto suicida nel carcere di Ancona. Si tratta di Michele Riccardi, l’operaio che aveva tentato di ricattare la famiglia di Laura Boldrini. L’uomo si è ucciso oggi pomeriggio, impiccandosi nel carcere di Montacuto. Il suicidio nel bagno della cella con un lenzuolo. Riccardi aveva 43 anni, originario di Rimini ed era accusato di reati tentata estorsione. L’uomo era stato arrestato a settembre a Monteroberto quando il romagnolo si era presentato da Ugo Boldrini, segretario comunale e fratello del presidente della Camera, chiedendo 3.500 euro per non diffondere un dossier contenente farneticanti invenzioni sulla famiglia Boldrini. Inutili i soccorsi del 118, quando gli operatori sanitario sono arrivato l’uomo era già morto. “Sono 90 i detenuti morti in carcere dall’inizio dell’anno - commenta il segretario del sindacato di polizia penitenziaria Spp Aldo Di Giacomo, 46 i suicidi. Questo è il secondo caso nelle Marche”. Di Giacomo ricorda che l’Italia ha tempo “fino a maggio” per porre rimedio alla situazione di sovraffollamento delle carceri, censurata dalla Ue. “Il problema - osserva - è che questo argomento non interessa i politici e si preferisce risolverlo con provvedimenti di amnistia e indulto che non risolvono la situazione, invece di fare riforme strutturali. Dal 1970 abbiamo avuto 15 tra amnistie e indulti, che ogni volta hanno lasciato le carceri sempre più affollate e i tempio della giustizia sempre più lunghi”. Del suicidio avvenuto nel carcere di Montacuto è già stato avvisato il magistrato di turno, che disporrà l’esame autoptico. La cella è stata posta sotto sequestro, per i rilievi di rito e per cercare eventuali messaggi. Sembra che i legali del quarantatreenne (che probabilmente si trovava nell’istituto di Ancona temporaneamente e non era né in isolamento né sottoposto a misure particolari) avessero chiesto gli arresti domiciliari, ma che la richiesta fosse stata respinta. Messina: boss veri… ma finti matti all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto di Sergio Buonadonna La Repubblica, 16 novembre 2013 “S ‘unn’a finisci ti mannu a Barcellona”. Il detto popolare è perentorio: se non la smetti, ti mando in manicomio. E in Sicilia il manicomio criminale è stato a Barcellona Pozzo di Gotto, quello che dopo la legge Basaglia, la 180 del 1978, eufemisticamente si chiama Ospedale psichiatrico giudiziario, sigla Opg. Ce ne sono altri cinque, ad Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere. Il primo marzo scorso avrebbero dovuto chiudere per far posto ai mini Opg, piccole strutture residenziali per la cura, l’assistenza e la custodia dei detenuti infermi di mente, ma non se n’è fatto niente. Chiusura prorogata al prossimo primo aprile, ma pochi ci credono. La fine dei manicomi criminali è frutto della legge scaturita dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Ignazio Marino, che dappertutto ha trovato situazioni indegne del vivere civile: detenuti o internati (cioè prosciolti, ma “bisognosi di cura”, vite nascoste sottratte per sempre alla società) costretti in letti di contenzione, umiliati nel corpo tra feci e urine, nutriti a pane e acqua, pasta lessa e marmellata. Un “orrore medioevale” l’ha definito Napolitano e qualcuno ha capito. Così a Barcellona la musica è cambiata, ma nel giugno 2010 Marino vi aveva trovato “un uomo nudo legato a un letto di ferro con un buco arrugginito al centro per la caduta degli escrementi e delle orine, uno che sta dentro perché 25 anni prima vestito da donna è andato davanti ad una scuola, e un ragazzo catanese che nel 1992 ha fatto una rapina da settemila lire a un’edicola fingendo di avere una pistola in tasca”. Ma adesso a liberare la Sicilia (e gli altri cinque Opg) arriva Marco Cavallo. Sbarcherà domenica mattina a Palermo, sfilerà per la città, incontrerà Crocetta, Orlando e Laura Borsellino. In sella al grande cavallo ci sarà Peppe Dell’Acqua, storico braccio destro di Basaglia, da cinquant’anni alla testa delle battaglie per la chiusura di ogni manicomio. Lunedì si prosegue per Barcellona, dove dice Dell’Acqua, adesso “c’è un bravo direttore che molto ha migliorato le cose”. Marco Cavallo ovviamente non è un uomo e non è un cavallo vero, ma è l’opera teatrale alta tre metri e di colore azzurro creata nel 1973 da Giuliano Scabia per affiancare a Trieste Basaglia nella lotta di liberazione dai manicomi. Così il cavallo ha simbolicamente infranto le mura dello psichiatrico San Giovanni e portato nella città incredula malati, infermieri e medici. Quarant’anni dopo questo viaggio lungo gli Opg, fino al Parlamento e a Palazzo Chigi, parte simbolicamente per la Sicilia da Quarto. “Come Garibaldi - dice Dell’Acqua - per una spedizione senza massacri, cercando nell’Isola l’aiuto della Regione”. Al Madia, l’edificio tardo-liberty inaugurato nel 1925 da Alfredo Rocco (l’autore del famigerato codice), Marco Cavallo troverà poco più di duecento detenuti, nulla rispetto alla folla dantesca del passato, e soprattutto non troverà più i boss mafiosi che di Barcellona fecero un hotel di lusso grazie alla compiacenza di medici, giudici, infermieri e agenti di custodia. D’altronde chi poteva permettersi serate a base di aragosta e champagne e frequenti visite di familiari, nonché summit con le cosche locali per diffondere ordini di morte, poteva facilmente comprare complicità. Bastava fingersi matti. I casi più clamorosi? Sicuramente quello di Agostino Badalamenti, garzone di macellaio trovato con la 357 magnum fumante dopo un delitto a Palermo. “Voglio la mamma”, urlava il ragazzo davanti alla polizia. Dunque era pazzo e perciò spedito a Barcellona. Badalamenti non parlò mai, e quando nel 1984 uscì per decorrenza dei termini, schivando l’ergastolo, fu promosso capo della famiglia di Porta nuova. Famoso il caso di Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia. Killer fin da ragazzo, messo alla prova dallo zio che gli fece uccidere un cavallo, Vitale parlò molto, ma nessuno gli credette. Dunque pazzo era. Perciò spedito a Barcellona per dieci anni. Gli accusati furono assolti, ma quando Vitale uscì, ad aspettarlo trovò i suoi carnefici. Un “gran cornuto” che spadroneggiava al Madia fu “Asparino” Mutolo, narcotrafficante e maestro di “dama” di Totò Riina. Pentito dopo la strage di Capaci, raccontò che Salvo Lima era stato ucciso per non aver protetto i boss dal maxiprocesso. Che a Barcellona si stesse da pascià lo disse lui stesso a Luciano Violante: “Tutti là volevamo andare. Si stava ancora meglio di Palermo”. Da Barcellona sono passati Buscetta, Frank Coppola, Greco, i Bontate, Giuseppe Di Maggio, Giuseppe Pulvirenti, Pippo Calderone, Nino Santapaola e tanti altri grazie a perizie psichiatriche fatte in fotocopia. Fra tutti si distingue il catanese Guglielmo Ponari che trasformava giocattoli in armi vere ispirandosi alla penna-pistola di James Bond. Le confezionava in “manicomio” e una di queste uccise il giudice Giacomo Ciaccio Montalto. Busto Arsizio: Lara Comi (Pdl): visita il carcere “situazione migliorata ma non basta” www.ilsaronno.it, 16 novembre 2013 “La condizione del carcere di Busto Arsizio è nettamente migliorata e ci sono i pre-requisiti per risolvere il sovraffollamento entro maggio 2014 come ci impone la sentenza della Corte di Strasburgo. Ma se vogliamo uscire da questa situazione dobbiamo intervenire su una delle cause strutturali che creano certe criticità ovvero la carcerazione preventiva. In Italia su 64 mila detenuti ben 24 mila sono in attesa di giudizio. Dal momento che il 40 per cento di loro, secondo i dati, risulterà poi innocente dopo i tre gradi di giudizio, noi stiamo creando una doppio problema, tenendo in carcere degli innocenti. Senza dimenticare che ogni detenuto costa 116 euro al giorno. Tutto questo è assurdo. Nel carcere di Busto ho parlato con un italiano: è in attesa di giudizio da 20 mesi. E il paradosso è che spesso queste attese sono poi più lunghe dell’eventuale condanna”. Lo afferma il coordinatore provinciale del Pdl di Varese ed europarlamentare Lara Comi, saronnese, che oggi ha fatto visita alla casa circondariale di Busto Arsizio, al quale anche Saronno fa riferimento, accompagnato dal direttore Orazio Sorrentini. A causa del sovraffollamento nel gennaio scorso la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante su ricorso presentato da 7 detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza. “Su 64 mila detenuti nelle carceri italiane - sottolinea Comi - 22 mila sono stranieri ovvero uno su tre. A Busto il 60 per cento degli extracomunitari è poi è clandestino. Per ridurre il sovraffollamento occorre allora che i detenuti vengano agevolati a scontare la pena nei luoghi di provenienza, che è poi quello che loro stessi chiedono. Da questo punto di vista è importante che l’Europa si attivi sostenendo questa politica a partire dai detenuti di Paesi comunitari, ma anche extracomunitari attraverso la stipula di accordi bilaterali”. “Ringrazio il direttore Sorrentini per questa mia nuova visita - conclude Comi - Devo dire che ho trovato all’interno del carcere molta umanità e solidarietà tra i detenuti e la stessa polizia penitenziaria. Tutto questo è molto bello”. Trento: Civico (Pd); su morte detenuto nessun elemento per altri accertamenti Ansa, 16 novembre 2013 Una delegazione del Partito democratico, composta dall’onorevole Michele Nicoletti, dal coordinatore forum giustizia Sandro Favi e dal consigliere provinciale Mattia Civico, ha visitato oggi il carcere di Trento, a Spini di Gardolo, per verificare le condizioni di detenzione e per chiedere chiarezza riguardo alla morte, il 29 ottobre scorso, di un giovane detenuto di 28 anni. Circa la morte del giovane, “l’Azienda sanitaria e l’autorità giudiziaria non hanno rilevato nessun elemento che induca a compiere ulteriori accertamenti”, ha affermato Civico dopo la visita. “Abbiamo verificato che il detenuto, sottoposto alle visite mediche di ingresso, era risultato senza patologie specifiche, d’altra parte al momento del fatto, evidentemente imponderabile, c’è stata un’assistenza tempestiva”. “Capisco il dolore della famiglia che potrà eventualmente chiedere l’autopsia a proprie spese”, ha concluso Civico. A proposito delle condizioni generali del carcere, la delegazione del Pd ha rilevato tre problemi: l’attuale mancanza di una direzione stabile, attività rieducative ancora insufficienti (“per 10 mesi i detenuti sono costretti a rimanere in cella 20 ore al giorno”) e attività di accompagnamento negate. Massa: Chincarini (Cd); carcere-modello, di reclusione ma anche di recupero dei detenuti Adnkronos, 16 novembre 2013 Questa mattina Maria Luisa Chincarini, Capogruppo di Centro Democratico in Consiglio regionale e segretario della Commissione Sanità e Politiche Sociali dell’Assemblea toscana, ha visitato la Casa di reclusione di Massa, continuando le visite e le ispezioni effettuate negli ultimi mesi negli istituti della nostra regione. “Il carcere di Massa è un’eccellenza nel panorama regionale e nazionale”, ha commentato Chincarini ai cancelli del penitenziario. “Pur racchiudendo in sé tutte le criticità e, soprattutto, le gravi contraddizioni del sistema carcerario del nostro Paese, come sovraffollamento e carenze di personale, quello del capoluogo apuano è divenuto in pochi anni, grazie al profondo impegno della nuova direzione, un modello non soltanto di reclusione ma anche di reintegro e recupero. Un’intera ala della struttura, infatti, ha le caratteristiche - ha ricordato Chincarini - di una grande azienda: il settore di tessitura e la sartoria, l’officina meccanica e la falegnameria danno impiego ad un gran numero di detenuti, insegnando loro anche un mestiere. In più sono stati avviati una serie di percorsi di reintegro e volontariato che rendono davvero questo carcere integrato con la città”. Chincarini ha poi commentato la situazione del medico di Pietrasanta Fabrizio Cinquini, da luglio in carcere in attesa di giudizio per coltivazione di cannabis, con il quale ha avuto un lungo colloquio riservato. “Cinquini mi ha parlato della sua fede nella scienza e della sua sperimentazione nuova per trovare quei farmaci che con minori effetti collaterali possano dare il massimo dell’efficacia terapeutica, anche riducendo la somministrazione di oppiacei che sono assai più pericolosi”, ha spiegato Chincarini. “Cinquini dovrebbe essere ai domiciliari, se non fosse per una lungaggine burocratica che lo vede ancora recluso. Ho visto il neurochirurgo visibilmente provato per una situazione ingiusta”. “Io sono convinta che la legge debba essere sempre rispettata e non sono in alcun modo favorevole alla liberalizzazione delle droghe leggere”, ha aggiunto Chincarini. “Non dobbiamo però dimenticare che la scienza a volte è fatta anche da visionari e sperimentatori cui talvolta il tempo ha dato ragione, basti pensare al nostro Galileo Galilei, padre della scienza moderna”. “Sia ben chiaro - ha ribadito Chincarini - la legge deve essere uguale per tutti, e la magistratura emetterà il suo giudizio, ma desta preoccupazione, mentre il Paese è scosso dalle telefonate umanitarie del Ministro Cancellieri che in pochi giorni è riuscita a scarcerare la figlia di Ligresti, che un uomo che certo non ha rubato milioni di euro alla collettività e probabilmente ha violato la legge in buona fede sia costretto ad attendere in cella il giudizio della magistratura, quando invece avrebbe diritto agli arresti domiciliari. Spero per questo in un atto non di clemenza, ma certo di buon senso, che consenta al medico di Pietrasanta di attendere il suo giudizio a casa sua, giacché non rappresenta una minaccia per la collettività, anzi, al contrario, tutto quello che ha fatto, a torto o a ragione, l’ha fatto per l’amore dei suoi pazienti alla ricerca di nuove terapie per ridurne la sofferenza”. Latina: carceri e reinserimento detenuti, Di Giorgi firma il protocollo Anci www.latinatoday.it, 16 novembre 2013 Sottoscritto il protocollo d’intesa regionale per il nuovo programma di attività sperimentale per la riabilitazione dei detenuti. Di Giorgi: “Iniziativa che riveste un carattere sociale di particolare importanza”. “Questa iniziativa riveste un carattere sociale di particolare importanza poiché consente di avvicinare i detenuti meritevoli alla vita esterna in vista di un loro reinserimento sociale nel fine pena”. Queste le parole del sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi che questa mattina ha partecipato a Roma alla sottoscrizione del protocollo d’intesa regionale, riguardante il nuovo programma di attività sperimentale per la riabilitazione dei detenuti. L’accordo è stato siglato dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, dal Ministero della Giustizia e dall’Anci ed ha come oggetto la promozione di un programma ad hoc da parte dei detenuti, per lo svolgimento di diverse tipologie di attività lavorative extra murarie, in favore delle comunità locali. Il programma sarà articolato attraverso diversi punti di azione: promozione di accordi di convenzione, tra le amministrazioni comunali e le strutture periferiche dell’amministrazione penitenziaria (Istituti e Uffici di Esecuzione Penale Esterna Uepe) per lo svolgimento di attività lavorativa o di utilità sociale, attraverso l’individuazione da parte dei Comuni, di settori specifici che possano offrire occasioni di inserimento lavorativo e valorizzino le risorse soggettive delle persone in esecuzione di pena; promozione, nell’ambito della programmazione dell’utilizzo dei Fondi strutturali europei e di altre fonti finanziarie nazionali, regionali e locali, di progetti, anche sperimentali, in favore di inserimenti lavorativi di soggetti e gruppi svantaggiati, inclusa l’acquisizione o l’adeguamento di competenze spendibili sul mercato del lavoro; predisposizione di progetti da proporre al cofinanziamento della Cassa delle Ammende; predisposizione di specifici progetti di pubblica utilità in favore della collettività ai sensi del c. 4 dell’art 21 op, da realizzarsi anche mediante attività volontaria da parte dei detenuti, e di un elenco di attività di utilità sociale, che i condannati potranno svolgere durante il periodo di esecuzione della pena presso i Comuni di residenza o nei quali si trova l’istituto penitenziario e/o Uffici Esecuzione Penale Esterna Uepe presso il quale sono ristretti. La spesa relativa alla copertura assicurativa per le prestazioni lavorative ricevute sarà a carico delle amministrazioni comunali. “Il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio - si legge in una nota del Comune di Latina - si è impegnata inoltre a favorire, all’interno degli istituti e Uffici Esecuzione Penale Esterna Uepe, l’individuazione di soggetti in esecuzione penale idonei all’ammissione al lavoro all’esterno o a misure alternative per lo svolgimento delle attività formative e/o lavorative che di volta in volta saranno individuate, e ad assicurare, attraverso le proprie articolazioni territoriali, il coordinamento necessario ad agevolare le deliberazioni della Magistratura di Sorveglianza per l’ammissione al lavoro all’esterno e alle misure alternative alla detenzione dei soggetti interessati ai progetti. Le modalità di inserimento lavorativo e di partecipazione a percorsi di formazione verranno di volta in volta definite in relazione alle opportunità individuate, alle esigenze delle aziende e alle possibilità dei singoli condannati, sulla base dei programmi di trattamento predisposti dalle Direzioni dell’Istituto penitenziario o dell’Ufficio di esecuzione penale esterna e approvati alla Magistratura di Sorveglianza. Il Protocollo ha la durata 3 anni con possibilità di rinnovo”. Presente stamattina alla sottoscrizione del protocollo anche la direttrice del carcere di Latina. Frosinone: squadra rugby detenuti partecipa minuto di silenzio contro violenza sulle donne Asca, 16 novembre 2013 Anche i detenuti della squadra del Frosinone Rugby si uniscono al minuto di silenzio contro la violenza sulle donne. Domenica 17 novembre 2013 alle ore 11,30 la squadra di rugby “Bisonti” formata dai detenuti di massima sicurezza del carcere di Frosinone e militante nel campionato di Serie C in occasione dell’incontro con la Neroniana Anzio Rugby, si unirà all’iniziativa della Federazione Italiana Rugby: “Zonta Says No”. Su tutti i campi di rugby sarà osservato un minuto di silenzio prima dell’inizio delle partite, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui reati di femminicidio nel mondo. La squadra dei Bisonti e la Fir hanno raccolto l’appello dell’Associazione Zonta International di unirsi alla loro campagna. Una delegazione della Zonta sarà anche presente sul campo di rugby della Casa Circondariale di Frosinone per assistere alla partita dei Bisonti, che in questa occasione scenderanno in campo con una fascia rosa al braccio. Lucca: Uil-Pa; mercoledì tappa campagna per informare su reali condizioni prigioni Ansa, 16 novembre 2013 Mercoledì 20, alle 9, una delegazione della Uil-Pa Penitenziari composta dal segretario generale, Eugenio Sarno, dal segretario della Toscana, Mauro Lai, e dal segretario provinciale d Lucca, Lucio Reno, effettuerà una visita al carcere di Lucca per la verifica dello stato dei luoghi di lavoro. La visita, spiega una nota, si inserisce nel contesto dell’iniziativa organizzata dalla segreteria nazionale della Uil-Pa Penitenziari denominata “Lo scatto dentro, perchè la verità venga fuori”. Da alcuni mesi, infatti, delegazioni della Uil-Pa Penitenziari durante le visite effettuano riprese video fotografiche per documentare lo stato dei vari penitenziari d’Italia. Un tour che ha già toccato, tra gli altri, Firenze Sollicciano, Palermo Ucciardone, Bologna, Milano San Vittore, Trento, Venezia, Bolzano, Lecce, Ascoli e molti altri istituti penitenziari. “Noi crediamo alla necessità di informare sulle reali condizioni in cui versano le nostre prigioni - spiega Sarno - e avendone la possibilità intendiamo farlo non solo con le parole ma anche attraverso documentazioni fotografiche. Troppo spesso la cruda realtà penitenziaria viene edulcorata, quando non addirittura taciuta o nascosta”. “Occorre, invece - conclude il sindacalista - alimentare la coscienza sociale sul degrado strutturale, sulle infamanti condizioni di lavoro e sull’inciviltà della detenzione. Ovvero sulle condizioni che hanno portato l’Italia ad essere più volte condannata da parte della Corte Europea per i diritti dell’Uomo”. Busto Arsizio: agenti aggrediti in carcere… caso isolato, la situazione sta migliorando www.varesenews.it, 16 novembre 2013 Due agenti sono stati colpiti da calci e pugni da parte di un detenuto mentre veniva scortato per essere sottoposto ad alcune visite. Nel frattempo la struttura sta affrontando diversi interventi per ridurre l’emergenza del sovraffollamento. “È un caso isolato e fortunatamente non usuale”. Minimizza Orazio Sorrentini, il direttore della casa circondariale di Busto Arsizio, la vicenda che si è registrata la sera tra giovedì e venerdì all’interno della struttura da lui gestita. Un detenuto ha infatti aggredito due agenti, procurando loro alcuni traumi facciali. L’autore del gesto è un ragazzo pakistano con evidenti problemi psichici che, mentre veniva accompagnato in ambulatorio per essere visitato, ha iniziato a dimenarsi contro gli agenti. Colpiti dai suoi calci e i suoi punti sono stati un sovraintendente e un assistente che, medicati al pronto soccorso, sono stati dimessi con una prognosi di due giorni. Il caso, non ancora approfondito nei dettagli dal direttore Sorrentini, è comunque un evento molto particolare. “L’uomo è stato arrestato solo tre giorni fa per tentato omicidio” spiega il direttore ma non era ancora stato sottoposto ad una perizia psichiatrica “poiché si era vistosamente rifiutato”. Nonostante a inizio mese siano stati aggrediti altri agenti nella struttura bustocca “la situazione all’interno della struttura sta lentamente migliorando, anche se il sovraffollamento genera più rischi”, spiega Sorrentini. Il carcere, dalla capienza massima di 167 posti, oggi ospita 385 detenuti “ma la tendenza è positiva”. Quando Orazio Sorrentini ha iniziato a gestire la struttura bustocca “le presenze erano oltre quota 430 mentre in questi mesi siamo arrivati anche sotto le 350”. Dopo la condanna da parte della comunità europea il direttore aveva inoltre auspicato il trasferimento di almeno 100 persone tra la popolazione carceraria e “in questi mesi qualcosa si è mosso”. Sono infatti in corso i lavori di ristrutturazione per rendere unica la sala dei colloqui, in modo da garantire più opportunità di visita ai detenuti. Un progetto che sta per partire riguarda anche la riorganizzazione degli spazi che porterà a “convertire il piano dedicato alle attività trattamentali in un altro spazio per le celle, trasferendo ciò che si faceva lì in un’altra zona”. Cagliari: Sdr; urgente differimento misura per internato a Buoncammino Ristretti Orizzonti, 16 novembre 2013 “Un cittadino sassarese di 42 anni, G.M.P., internato a Isili, è ricoverato nel Centro Diagnostico Terapeutico del carcere di Buoncammino. L’uomo, assolutamente incompatibile con una struttura carceraria anche se dotata di Centro Diagnostico Terapeutico, qualche mese fa ha subito un grave incidente stradale occorsogli durante un permesso di alcuni giorni. Dimesso dall’ospedale, si trova attualmente immobilizzato sul letto di una cella del Cdt. È urgente il differimento della misura cautelare e l’immediato trasferimento dell’uomo in una Residenza Sanitaria”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso della condizione di G.M.P. e dell’impossibilità di essere curato nella struttura sanitaria della Casa Circondariale. “La realtà degli internati, cittadini privati della libertà per motivi cautelari, nonostante abbiano scontato la pena, mostra - sottolinea - un delicatissimo aspetto del sistema detentivo. Si tratta di persone spesso dall’equilibrio particolarmente instabile che seguono terapie farmacologiche. Non devono stare però in una struttura detentiva ma nelle colonie, nelle case di lavoro o in casi molto gravi negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. La vicenda dell’internato sassarese ha assunto dei contorni differenti in seguito all’incidente automobilistico che ha tolto all’uomo l’autonomia. Il ricorso al carcere di Buoncammino è avvenuto solo per la presenza nell’Istituto del Cdt, peraltro sovraffollato, ma occorre trovare al più presto un’alternativa anche perché i medici ne hanno da subito dichiarato l’incompatibilità”. “La vicenda dell’internato sassarese - conclude la presidente di Sdr - richiama l’attenzione sulla necessità di offrire alternative percorribili per gli internati in modo che siano garantiti i diritti e la tranquillità di ciascuno. Non si può del resto pensare di scaricare la responsabilità sui genitori o i familiari, anch’essi impossibilitati a gestire opportunamente persone con problemi di natura psichica”. Milano: gara di ballo per detenuti del carcere di Bollate. La Lega: “sprecati 800 euro” Il Giornale, 16 novembre 2013 Ottocento euro per organizzare uno spettacolo di ballo boggie-woogie e rock and roll all’interno del carcere di Bollate. Un’iniziativa ricreativa per i detenuti, fissata per il 29 novembre, che però si sta trasformando in una bufera politica all’interno della Zona 8. Perché lo show, pagato con soldi pubblici, è stato votato dalla maggioranza del consiglio con l’eccezione della Lega Nord. Che adesso insorge: “In un momento di grave difficoltà economica è discutibile organizzare uno spettacolo aperto ai soli detenuti, e quindi precluso al resto della popolazione - tuona il rappresentante del Carroccio, Enrico Salerani. Sono decine le associazioni della zona che da da mesi chiedono finanziamenti per organizzare le proprie attività e che si sentono rispondere no a causa della crisi economica”. Lo spettacolo sarà messo in scena dall’Associazione nazionale maestri di ballo. I ballerini si esibiranno mentre alcuni ospiti dell’istituto di reclusione formeranno la giuria che decreterà il vincitore della gara. “Non discuto sulla necessità di organizzare momenti di intrattenimento per i carcerati - prosegue Salerani, ma per definizione le attività dei quartieri dovrebbero essere aperte a tutti i cittadini e a costo zero”. E non è neanche detto che sia apprezzato dai suoi spettatori, mette in evidenza il leghista. “Sono stato diverse volte all’interno del carcere di Bollate - afferma -. L’ultima risale a tre anni fa quando, durante un incontro con i detenuti, mi è stato detto che questo genere di spettacoli non è particolarmente amato. C’è chi ritiene un po’ tristi queste iniziative. La maggior parte dei detenuti preferirebbe fossero incentivate attività che aiutino il loro reinserimento nella società e la ricerca di un lavoro”. Intanto però, nonostante le polemiche, la macchina organizzativa va avanti. “Lo spettacolo si farà - conclude Salerani -. Ma non dimentichiamo che anche questa settimana abbiamo dovuto dire no a diverse associazioni di quartiere che ci hanno chiesto aiuto. E questo perché non abbiamo soldi per far fronte alle loro necessità”. Televisione: domani a Telecamere (Rai 3) la situazione carceri e il caso Forti Ansa, 16 novembre 2013 Su una questione, maggioranza e opposizione, sono d'accordo: la situazione delle carceri e lo stato della giustizia rappresentano per il nostro Paese l'emergenza numero 1. Se ne parlerà a "Tele Camere", in onda domani alle 10.45 e alle 24.05, su Rai3. Bastano pochi dati per rendere un quadro della gravità della situazione: nei 206 istituti penitenziari sparsi lungo la penisola sono reclusi 64.323 detenuti a fronte di una capienza totale di 47.668 posti letto. Gli stranieri sono 22.586 mentre i detenuti in attesa di primo giudizio sono 12.145. La conseguenza di questo inaccettabile sovraffollamento è che nelle strutture carcerarie quest'anno si sono registrati 3.287 atti di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 1.880 colluttazioni, 468 ferimenti e 43 suicidi. Dati inquietanti sui quali Anna La Rosa si confronterà con Rita Bernardini, segretario dei Radicali Italiani, e Massimo Bitonci, presidente dei senatori della Lega Nord. Tra gli ospiti della puntata, anche la criminologa Roberta Bruzzone, autrice del volume-inchiesta "Il grande abbaglio", sulla tragica vicenda di Enrico Forti. Condannato all'ergastolo per omicidio, dopo un processo durato 24 giorni, Forti è recluso da oltre 13 anni in un penitenziario di Miami e la sua condanna ha suscitato grandi perplessità nell'opinione pubblica e un vasto movimento che chiede la revisione di una condanna considerata, con fondati motivi, ingiusta. Sullo stato di detenzione e sul morale di Chico Forti, la testimonianza dello zio Gianni Forti. Tra i servizi filmati, il dramma dei bimbi che crescono dietro le sbarre; e una scuola di Librino, un quartiere di Catania, che in mezzo al degrado e all'offensiva della criminalità organizzata è in prima fila per dare una speranza ai suoi alunni. Immigrazione: il Cie di Gradisca d’Isonzo chiuso dopo le rivolte… e non va riaperto di Fabrizio di Genni (Tenda per la Pace e i Diritti) Il Manifesto, 16 novembre 2013 Il Cie di Gradisca è chiuso. Ora i movimenti e le istituzioni locali chiedono che non riapra mai più. Nel territorio isontino sembra quasi che il nastro della storia si sia riavvolto riportandoci alla cronaca che, prima del 2006, quando fu aperto l’allora Cpt di Gradisca, era densa di battaglie perché quella struttura non entrasse in funzione. Di diverso oggi ci sono però sette anni di esperienza e una serie di rivolte e incendi che lo hanno reso inagibile. La costruzione del Cie iniziò di nascosto nel 2003. Poi l’allora ministro Pisanu ne garantì l’interruzione per dar vita ad confronto con gli enti locali coinvolti. In realtà i lavori non si fermarono mai. A svelarlo fu un’azione di disobbedienza civile che ne rallentò il corso. Per tentare di frenare il crescente movimento di opposizione si crearono accuse grottesche, come quella di “divulgazione di segreto di Stato” mossa contro numerosi attivisti dopo la diffusione delle planimetrie del Cpt. Il processo, che coinvolse anche il sindaco di Gradisca, si risolse con il proscioglimento degli imputati. Per sette lunghi anni sapere cosa accadeva nel Cie è stato possibile solo grazie alle telefonate clandestine con i migranti, privati del diritto di comunicare, ai contatti con gli ex operatori, alle poche visite concesse a esponenti politici e ai giornalisti, alle corse, anche durante la notte, per arrivare davanti a quel muro di via Udine o fino all’ospedale di Gorizia. Nel 2007, quando per la prima volta le presenze all’interno del Cpt raggiunsero le 200 persone, iniziò la stagione delle rivolte. A essere detenuti erano gli egiziani dell’allora democratico Mubarak, quasi tutti richiedenti asilo approdati a Lampedusa. I loro tentativi di fuga sono stati fermati a suon di manganellate e lacrimogeni. Quegli stessi gas che, nel settembre dello stesso anno, hanno riempito i polmoni di Betania, bambina eritrea di 9 mesi, ospite con la madre nello spazio che poi fu adibito a Centro per richiedenti asilo, in un’improponibile ed ingiustificabile commistione con il Cie. È lì che nel 2008 ad una donna ghanese fu impedito di rientrare nella struttura perché arrivata dopo le 20. All’ora del cambio turno un operatore del centro l’aveva sentita piangere e l’aveva portata a Gorizia dove era stata accolta, a spese della Caritas, in un albergo. Durante la notte la donna perse il figlio. A causare l’aborto furono lo stress e lo choc subiti. Dal 2010 il trattamento riservato agli egiziani toccò anche ai tunisini fuggiti dalla dittatura di Ben Alì. Ancora detenzione e ancora rivolte fino a quelle di inizio 2011, quando gli incendi resero inagibile gran parte del centro portando la sua capienza da 248 a 68 posti. La chiusura del mostro di Gradisca, invocata da molti e praticata dai reclusi, ci offre oggi una nuova possibilità. “Hanno fatto quello che avremmo dovuto fare noi”, ha affermato recentemente un consigliere regionale. Al Cie di Gradisca, oggi, di immigrati non ce ne sono più. Se davvero vogliamo che non riapra, non è tempo di demandare a qualcun altro questa sfida. Oggi, in occasione della giornata di mobilitazione contro le grandi opere, inizierà questa nuova nuova battaglia, con un corteo che partirà dal centro di Gradisca alle 14.30 per raggiungere il muro di via Udine. Lo dobbiamo a chi è in carcere per aver reso possibile la chiusura del mostro. Immigrazione: per il Cie Torino ampliamento da 14 milioni, ma neppure in carcere si vive così di Gabriele Guccione La Repubblica, 16 novembre 2013 La Prefettura li chiama “trattenuti”, la Croce Rossa che gestisce il centro li definisce “ospiti”. I recinti altissimi, le griglie di metallo, il muro di corso Brunelleschi nascondono 73 uomini e 12 donne che vivono in attesa che il loro paese li riconosca dandogli un documento valido per l’espulsione. “Forse sarebbe meglio dire che sono detenuti”, mormorava ieri all’uscita del Cie il consigliere comunale di Sel, Marco Grimaldi. Che insieme a una decina di colleghi consiglieri della Commissione Salute, presieduta da Lucia Centillo, ha visitato ieri il centro di identificazione ed espulsione torinese. “Mi si è stretto il cuore, nemmeno in carcere l’alienazione tocca questi livelli”, faceva notare Centillo. Presenti 85 persone, vivono in camerate da 7 letti, un televisore e null’altro, nemmeno un armadio: motivi di sicurezza. Di camerate ce ne sono cinque per ogni padiglione, che sono sei in tutto, divisi in aree separate. Il totale è di 210 posti, almeno in teoria. “Ci è stato raccontato che a causa delle rivolte, mediamente due ogni mese, i letti utilizzabili sono soltanto 98, poiché gli altri sono inagibili, devastati o bruciati”, racconta Grimaldi. I momenti di tensione più eclatanti degli ultimi mesi si sono verificati il 30 giugno, il 22 e il 23 luglio, in occasione del Ramadan (da allora un’area intera è stata chiusa), e l’ultimo il 2 novembre. Non si contano gli episodi meno gravi. “È molto peggiorato dalla nostra ultima visita”, sostiene Centillo. È vero che da qualche anno non ci sono più i container, e il campo è stato ingrandito. “L’ampliamento è costato 14 milioni, 78mila euro a posto letto”, fa notare Grimaldi. Che sottolinea: “La detenzione è inutile: nel 2011 il 57 per cento degli stranieri è stato rimpatriato, 650 su 1100 trattenuti”. Il tempo di permanenza, fanno sapere dalla direzione del Cie, varia. Quello medio è di 32 giorni (“a noi hanno detto 6 mesi”, riportano Grimaldi e Centillo), quello massimo toccato finora in un caso è di 6 mesi. Chi è trattenuto riceve una diaria di 3,5 euro al giorno: “Negli altri Cie è di 2,5 euro”, sottolinea la Croce rossa, che gestirà il centro fino ad aprile, quando scadrà la convenzione. Comprano sigarette e ricariche telefoniche, con quei soldi. I “trattenuti” hanno come unico contatto con l’esterno, un cellulare, ma senza fotocamera. “Molti di loro vengono dal carcere”, viene spiegato. Qui possono uscire nei cortili, hanno una mensa comune, dove si mangia e si prega, ricevono visite. Costano allo Stato dai 1400 euro al mese. “Le espulsioni dovrebbero essere più veloci per risparmiare denaro e tempo - dice Fabrizio Ricca della Lega Nord - E si potrebbe cominciare a identificare i clandestini in carcere”. Ricca insieme a Maurizio Marrone criticano, con un reportage su Facebook, i “comfort” di cui secondo loro godono i trattenuti, la mensa e la tv. Secondo Centillo la realtà è diversa: “La pulizia non è buona, e ci sono problemi con il cibo”. “Prima con il catering c’erano stati dei problemi - spiega la direzione. Adesso i cibi arrivano dalle cucine di Settimo: prepariamo 81 diete diverse su 85 ospiti”. Ungheria: al bando i senzatetto in molte zone di Budapest, carcere per i recidivi Ansa, 16 novembre 2013 L’amministrazione municipale di Budapest, sulla base di una legge varata un mese fa, ha stabilito le aree bandite ai senzatetto. I comuni grazie alla nuova legge, hanno ora la facoltà di vietare ai senza fissa dimora di stazionare in alcune zone della capitale, e possono anche smantellare i loro rifugi di fortuna o elevare loro multe se occupano piazze o altri luoghi pubblici vietati. Alcune centinaia di senzatetto hanno protestato davanti al municipio, altri hanno tentato di occupare l’aula per impedire il voto sul decreto di divieto, ma la polizia è intervenuta e ha sgomberato l’aula e trascinato fuori uno ad uno i manifestanti. Il decreto, votato dalla maggioranza del partito di governo Fidesz, ma anche dagli estremisti di destra di Jobbik, stabilisce praticamente un bando per i barboni in tutto il centro, ma anche in stazioni, ponti, sottopassaggi. I recidivi rischiano il carcere. Il Consiglio d’Europa e altre organizzazioni internazionali hanno criticato duramente, più volte, la politica del governo ungherese contro i senzatetto, ma invano. Il sindaco di Budapest ha detto che la capitale nell’ultimo anno ha moltiplicato per loro i ricoveri. “è un problema sociale che non va risolto con la criminalizzazione, ma con mezzi appropriati”, dice invece l’opposizione democratica. Cina: chiusura dei “campi di lavoro” e diminuzione dei crimini puniti con pena di morte Ansa, 16 novembre 2013 Oltre all’abolizione dei campi di lavoro, che la Cina chiama “il sistema della rieducazione attraverso il lavoro”, il Comitato centrale del partito, secondo quanto scrive la Nuova Cina, ha deciso di ridurre il numero dei crimini soggetti alla pena di morte. Secondo l’agenzia di stampa cinese, saranno migliorate le leggi in materia di correzione e punizione, nel senso di aiutare i detenuti a tornare alla società. Il paese si adopererà inoltre per vietare l’estorsione di confessioni con la tortura e maltrattamenti fisici. Ruolo importante sarà dato agli avvocati, nella “tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini e delle imprese, in linea con la normativa di legge”, dice il documento, nel quale si dice che i loro diritti di praticare saranno protetti. Russia: caso Greenpeace, chiesti altri 3 mesi detenzione preventiva per attivisti arrestati Agi, 16 novembre 2013 Il Comitato Investigativo russo ha annunciato che chiederà di estendere di altri tre mesi la carcerazione preventiva per gli Arctic30, gli attivisti di Greenpeace detenuti già da due mesi in Russia a causa di una protesta contro le trivellazioni nell’Artico. Le richieste formali saranno presentate davanti ai giudici a partire dalla prossima settimana. Lo ha reso noto la stessa organizzazione ambientalista in una nota. Al momento le richieste di estensione sono state fatte solo per sei attivisti, presso la Corte Distrettuale di Kalininskiy. C’è la possibilità che ne vengano presentate altre nel corso della giornata e altre nove richieste sono attese per lunedì. I legali di Greenpeace sono già stati informati della richiesta di mantenere i detenuti in carcere per altri tre mesi mentre si concludono le indagini sui loro presunti reati. Adesso la richiesta del Comitato deve essere accolta dalla Corte, altrimenti i 30 dovranno essere rilasciati. “Abbiamo il cuore pesante per i nostri amici e colleghi in carcere e per le loro famiglie. Faremo tutto il possibile per resistere a questo tentativo assurdo di tenerli in prigione per un crimine che non hanno commesso”; ha commentato il direttore esecutivo di Greenpeace International, Kumi Naidoo. “Se la richiesta dovesse essere accolta, ricorreremo in appello non appena sarà possibile. Questa è una farsa, uno scandalo e una presa in giro della giustizia. Gli Arctic30 devono tornare a casa.” Le udienze per accogliere la richiesta del Comitato devono essere completate entro il 24 Novembre. Greenpeace International si opporrà alla richiesta di estendere la detenzione. I legali chiederanno inoltre la libertà su cauzione per i 30 detenuti in attesa della conclusione delle indagini. Se la richiesta di estendere la detenzione sarà accolta, Greenpeace ricorrerà in appello e chiederà nuovamente la libertà su cauzione. “Le autorità russe hanno avuto due mesi per investigare su un reato immaginario, per il quale i cosiddetti “colpevoli” hanno inviato un comunicato stampa spiegando esattamente quello che avrebbero fatto e hanno diffuso un video che mostra quello che è successo. Su che basi le autorità hanno bisogno di altri tre mesi per le indagini? è chiaro che non si tratta di una vera indagine. Queste persone sono in carcere non per quello che hanno fatto, ma per aver esposto i pericoli delle trivellazioni nell’Artico”, ha concluso Kumi Naidoo. Appello Madonna per attivisti in carceri russe Madonna si unisce alla mobilitazione internazionale per i 30 attivisti di Greenpeace imprigionati in Russia dal 18 settembre per l’assalto a una piattaforma petrolifera artica di Gazprom, tra cui figura l’italiano Cristian D’Alessandro. E lo fa lanciando un appello per la loro liberazione in un post pubblicato da Greenpeace su Twitter. “Queste trenta persone - scrive la regina del pop americano - sono in prigione in Russia per aver organizzato una protesta pacifica nell’Artico! Fai sentire la tua voce! Facciamo tornare a casa questa gente!”. L’appello di Madonna arriva dopo poche ore dopo quello di Paul McCartney, che ieri ha inviato una lettera direttamente al presidente russo Vladimir Putin in cui gli ha chiesto di “usare la sua influenza per restituire i detenuti alle loro famiglie in tempo per il Natale”, e di intervenire per “risolvere questo malinteso”. Madonna, come altre star internazionali non è nuova a questo tipo di azioni. La regina del pop si mobilitò insieme a molte altre stelle dello spettacolo anche per la liberazione delle Pussy Riot. Greenpeace ha riportato oggi anche l’appello dell’attrice francese Marion Cotillard ritratta in una foto dietro le sbarre, insieme ad altri attivisti. Martedì scorso i 30 attivisti sono stati trasferiti dalle carceri di Murmansk a quelle di San Pietroburgo. Decaduta l’accusa iniziale di “pirateria”, gli attivisti rischiano fino a 7 anni di prigione per “teppismo” per la loro protesta contro le trivellazioni offshore russe. Filippine: 141 detenuti evasi dopo tifone, autorità li stanno cercando Adnkronos, 16 novembre 2013 Le autorità filippine sono alla ricerca di 141 detenuti che sono riusciti ad evadere da una prigione nella provincia di Leyte, una delle zone più colpite dal tifone Haiyan. Dei 142 detenuti che sono riusciti a fuggire dal carcere della città di Palo, ha dichiarato il segretario agli Interni Mar Roxas, solo uno è stato catturato. Roxas ha riferito di avere già ordinato all'ufficio per la gestione delle carceri di Metro Manila di fornire un profilo dei detenuti, perchè tutti registri della provincia sono andati perduti. "Abbiamo chiesto di cercare il loro profilo. Sono criminali incalliti, borseggiatori, o cosa? Dobbiamo sapere dove concentrare i nostri sforzi per catturarli", ha detto. Alcuni dei saccheggi riportati a Leyte potrebbero essere stati opera proprio dei detenuti evasi.