Giustizia: il Parlamento si è dimenticato delle carceri?, Pannella in sciopero fame di Valter Vecellio L’Indro, 15 novembre 2013 Lui ama definirsi un lupo d’Abruzzo. Fatto è che Marco Pannella, quando addenta un osso, difficilmente molla la presa. Ha 83 anni suonati, ma non è domo: la battaglia per la “giustizia giusta” è diventata da anni la sua “ossessione” (come diceva Leonardo Sciascia), e non si contano ormai più gli scioperi della fame e della sete finalizzati a questo obiettivo. Guai, però, a parlare di “protesta”. “Io non protesto. Io propongo”, scandisce puntiglioso. Cosa propone Pannella? “Dalla mezzanotte dell’11 novembre ho ripreso lo sciopero totale della fame e della sete con l’obiettivo della fuoriuscita dell’Italia dalla condizione di flagranza di uno Stato tecnicamente criminale sia per le condizioni di “tortura” nelle nostre carceri, sia per lo stato ormai agonizzante della nostra giustizia”. Che fine ha fatto, chiede il leader radicale, il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo il quale tutti gli interventi immaginabili (e ne ha elencati molti) “appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea”. Per questo, ricorda Pannella, il presidente nel suo messaggio alle Camere, ammoniva che occorre intervenire nell’immediato (il termine fissato dalla sentenza “Torreggiani” scadrà il 28 maggio 2014) con il ricorso a “rimedi straordinari”, quali l’amnistia e l’indulto. In concreto Pannella chiede ai Presidenti delle Camere “di convocare i Presidenti dei gruppi parlamentari affinché la questione venga calendarizzata”. E rivolgendosi direttamente al presidente del Consiglio Enrico Letta: “Quale sostegno dà il Governo alle posizioni e parole inequivocabili del Ministro della Giustizia Cancellieri per la quale “L’amnistia è un imperativo categorico morale?”. All’iniziativa di Pannella si sono già aggiunti (in sciopero della fame) la neoeletta segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, numerosi altri dirigenti e militanti radicali, ma soprattutto quasi quattromila tra detenuti e loro familiari. “Espressioni di speranza e di dialogo”, le definisce Pannella. Ma c’è chi non ce la fa, e si lascia “andare”. Come Abdul M., 25 anni, un detenuto algerino nel carcere torinese delle Vallette, ultimo di una lista che, a scorrerla, fa impressione: contiene i nomi e i cognomi di 1.095 detenuti morti tra le sbarre: per suicidio, malattie, overdose, cause mai accertate. Forse perché non ce l’hanno fatta più a sopportare il peso del carcere, il sovraffollamento, la vita dura. Abdul M. algerino, si trovava in carcere per resistenza e lesioni: sarebbe uscito tra sette mesi, il 6 giugno 2014. Ma evidentemente anche una così breve attesa è sembrata intollerabile, meno gravoso il morire che quella detenzione. Così ha costruito un cappio rudimentale con un lenzuolo e l’ha poi agganciato a una grata. Si tratta del quarantatreesimo suicidio, dall’inizio dell’anno, che avviene nelle carceri italiane: il morto numero 139, se si guarda alla classifica assoluta dei decessi dietro le sbarre. Poche ore dopo un altro detenuto ha cercato di uccidersi, ferendosi l’addome con una lametta. Le guardie carcerarie sono però intervenute in tempo e sono riuscite a salvarlo. Non ci sono solo i suicidi, due fino all’altro ieri, quattro l’anno scorso, come l’anno ancora prima. “I gesti estremi sono la punta di un iceberg”, spiega Claudio Sarzotti, giurista dell’Università di Torino, referente piemontese dell’associazione Antigone, “Per capire il disagio che si vive nelle carceri, dove ormai il sovraffollamento non risparmia nessun istituto, basta guardare il numero di gesti di autolesionismo, di tentati suicidi, che sono il termometro della qualità della vita dei detenuti”. Denuncia l’Osapp, uno dei sindacati degli agenti penitenziari: “Inferno, è un vero inferno. Il problema grande è l’inerzia della vita all’interno delle celle, e le risorse che ormai mancano dappertutto: non c’è carta igienica, mancano i detersivi, senza parlare dell’assistenza sanitaria”. Non mancano poi i paradossi. Mesi fa a chi scrive è capitato di visitare il carcere di Capanne vicino Perugia. Un braccio sovraffollato, con i detenuti che vivevano uno sopra l’altro; il braccio accanto vuoto, con le attrezzature nuove che andavano alla malora. Spontaneo chiederne la ragione. La spiegazione è stata che non avendo agenti di polizia penitenziaria sufficienti per assicurare quei criteri minimi di sicurezza che vanno assicurati, erano costretti a tenere stipati come sardine i detenuti da una parte, mentre dall’altra le celle erano vuote. Un paradosso che, ci si augura, nel frattempo si sia superato, anche se è da credere che non sia un caso isolato. A fronte di queste situazioni, i loro “contrari”. Carcere di Avezzano, provincia l’Aquila: 76 detenuti, 54 tra ispettori, agenti e sovrintendenti. A Gela, in provincia di Caltanissetta, 90 detenuti, 61 tra agenti, sovrintendenti e ispettori. A Foggia e Trani, in Puglia, si registra una vistosa carenza di organico; ma nella vicina Lucera 182 detenuti e 105 agenti. A San Severo 88 detenuti per 65 agenti. Siamo insomma a quasi un detenuto “ad personam”. Poi ci sono episodi che è davvero difficile comprendere, come il caso del carcere minorile di Lecce: 22 agenti, 15 impiegati, nessun detenuto. Il centro è vuoto. Ed è vuoto dal 2007, perché c’era bisogno di lavori di ristrutturazione. Sei anni di lavori di ristrutturazione…ai dipendenti, secondo quanto riferiscono articoli di stampa e servizi giornalistici, si pagavano perfino gli straordinari. Interviene il ministero di Giustizia, e viene diffuso un bel comunicato: “Conclusi i lavori di ristrutturazione, si sta lavorando alla verifica delle ipotesi di riattivazione della struttura, da destinare ad interventi rivolti all’area del disagio giovanile”. Quel comunicato era dell’ottobre 2012. Siamo al novembre 2013. Della riattivazione della struttura non si sa nulla. Giustizia: Brunetta (Pdl); che fine hanno fatto amnistia e indulto? Letta provveda La Presse, 15 novembre 2013 “L’amarezza con cui il presidente Napolitano ha costatato davanti al Papa il “clima destabilizzante e avvelenato” che domina l’Italia, ha una sua ragione, anche personale. Capita infatti che per la prima volta nella storia della Repubblica, il partito di maggioranza relativa, il Pd, cestini con manifesto fastidio il messaggio alle Camere del Capo dello Stato. Che ne è stato di quel documento forte e nobile sulle carceri dove tra l’altro si indicavano amnistia e indulto come vie oggi obbligatorie per ridare legalità alla pena?”. Così il capogruppo alla Camera del Pdl, Renato Brunetta. “Il premier Letta - continua Brunetta - nel discorso del 2 ottobre per la fiducia aveva anticipato che quel messaggio sarebbe stato un caposaldo della sua azione di governo. Noi ci sentiamo, come Popolo della Libertà - Forza Italia, nella maggioranza in questo governo, di sostenere quello che con la sua autorevolezza il Capo dello Stato ha consegnato alla responsabilità del presidente Letta”. Il capogruppo alla Camera del Pdl annuncia quindi di porre “in ogni sede competente la questione di urgenza sulla questione”. Leva (Pd): parole Brunetta su Napolitano sono pretestuosa demagogia “Brunetta continua a usare i drammatici problemi della giustizia italiana come pretesto per tentare un tardivo e disperato soccorso al solito noto”. È quanto dichiara Danilo Leva, responsabile Giustizia del Partito Democratico, dopo le affermazioni del capogruppo alla Camera del Pdl nelle quali fa proprie le parole del Capo dello Stato su amnistia e indulto per promuovere la “salvezza” dalla condanna di Silvio Berlusconi. “È chiaro a tutti - puntualizza Leva - che per il centrodestra riformare la giustizia significa soltanto una cosa: garantire l’impunità a una sola persona. E non occuparsi dei tanti nodi che affliggono l’amministrazione della giustizia in Italia”. Non a caso - conclude il responsabile giustizia del Pd - se si eccettua l’ossessiva difesa di Berlusconi, il Pdl non ha, a differenza del Pd, mai elaborato alcuna ipotesi di soluzione ai problemi. Per questo, si decida a formulare delle proposte legislative e a scendere nel merito, abbandonando una volta per tutte le argomentazioni pretestuose e la demagogia”. Giustizia: Vietti (Csm) pubblica libro “Istruzioni per l’uso del sistema giudiziario” Ansa, 15 novembre 2013 Michele Vietti, vice presidente del Csm, oggi a Caltanissetta, affronta i mali della giustizia e indica la strada da intraprendere per risolverli, nel suo libro “Facciamo giustizia. Istruzioni per l’uso del sistema giudiziario”. “Ho provato ad esporre - ha spiegato - qualche ricetta, credo anche a costo zero, per risolvere i tanti problemi che affiggono la nostra giustizia. Il problema principale è la lentezza. Noi rendiamo giustizia in tempi irragionevoli. Questo ci fa oggetto di sanzioni da parte dell’Europa e soprattutto non ci consente di dare ai cittadini quelle risposte in termini di celerità e di prevedibilità che si aspettano e a cui hanno diritto”. Nel civile - ha aggiunto Vietti - bisogna portar fuori dal circuito giudiziario tutta una serie di controversie che possono utilmente essere affidate alle forme di composizione alternative, come le conciliazioni, la mediazione e l’arbitrato”. Anche nel penale “bisogna portare fuori da processo tutta una serie di reati, in parte con un’azione di depenalizzazione e in parte ricorrendo in modo più determinato ai riti alternativi. Per il problema legato invece alle carceri italiani, anche qui bisognerebbe ricorrere a una depenalizzazione. Bisognerebbe prevedere pene alternative a quelle della detenzione carceraria”. Politica abbandoni vittimismo “Occorre una sincera autocritica da parte di tutti sulla giustizia. La politica deve abbandonare atteggiamenti vittimistici in cui speso si rifugia lamentando un assedio del terzo potere e deve fare il proprio mestiere, cioè la legge”. L’ha detto a Palermo il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti. “Se si ritiene che il quadro normativo vigente - ha proseguito, all’interno del quale i magistrati si muovono, non corrisponda a esigenze normative si deve modificarlo. Se le indagini preliminari sono considerate troppo lunghe si riducano i tempi, se ci sono troppo detenuti si ricorra a forme afflittive alternative e se si ritiene che le porte girevoli dei magistratura in politica siano tropo larghe, si restringano”. Giustizia: Mauro Palma; la proposta di legge sul reato di tortura è debole e tardiva Dire, 15 novembre 2013 “La proposta di legge sul reato di tortura è debole e tardiva, ciò detto spero si continui a lavorare perché venga approvata”. A dirlo è Mauro Palma, presidente della Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani, che il 15 novembre interverrà a Bologna per l’incontro “Reato di tortura: una lacuna italiana”, che si svolgerà nella scuola di giurisprudenza in via Zamboni alle 17.30, inserito all’interno della rassegna “Fine Pena: Mai”. “Finalmente se ne parla, anche se l’Italia è in ritardo di 25 anni - continua Palma - Il testo è debole perché prevede il reato in modo generico, senza coinvolgere chi esercita un ruolo di autorità pubblica, mentre dovrebbe riguardare in modo particolare le forze dell’ordine, per far emergere i pochi che si comportano male rispetto ai tanti che si comportano bene”. Finora nel nostro Paese il reato veniva punito grazie all’applicazione di norme che prevedono altri reati, come l’abuso di potere, “con due difetti: le norme non tengono conto della gravità del fatto se esercitato da un poliziotto, per esempio, e i reati sono soggetti a una rapida prescrizione”. Per quanto riguarda il sovraffollamento, “ci vogliono modifiche normative, sulle leggi che hanno prodotto negli ultimi anni molto carcere pieno di persone ai margini della società - spiega Palma - Dovrebbero essere favorite le misure alternative, per i reati di lieve entità, come ad esempio quelli per droga. Si dovrebbe intervenire infatti anche sulla legge Cirielli che ostacola l’adozione di misure alternative per chi è recidivo. Anche qui, se la recidiva riguarda reati di lieve entità, dovremmo applicarle”. Altro auspicio è quello di un diverso modello detentivo in cui il carcerato stia il minor tempo possibile in cella e venga coinvolto in diverse attività. “È vero che c’è anche un problema di personale che non deve essere diminuito ma va utilizzato in modo diverso - spiega - Invece di educatori che ricevono i detenuti in ufficio, dovremmo formare delle equipe lavorative dove tutto lo staff conosca le realtà dei detenuti, suddivisi in gruppi”. E per quanto riguarda la situazione bolognese, Palma rassicura che la Dozza, che ad oggi ospita quasi il doppio di detenuti della capienza regolamentare, “è uno dei primi istituti su cui interverremo perchè offre diversi spazi da riqualificare”. Altro intervento su scala nazionale è quello sul piano edilizio per mettere a nuovo vecchie strutture ormai chiuse da tanti anni. “Stiamo lavorando per diminuire il numero dei detenuti, scesi da 66 mila a 64.300 circa con una media di circa 100 a settimana, ma è troppo poco - conclude Palma - Bisogna intervenire su tutti e tre i contesti”. La rassegna “Fine Pena: Mai” è organizzata dall’associazione Progrè e offrirà uno spaccato sul mondo del carcere dal 15 al 30 novembre, interrogando gli ospiti, tra cui venerdì 29 alle 17 in Sala Borsa, il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, sulla figura del detenuto, della cella, del reinserimento, sulla tortura e sul carcere minorile. Giustizia: viaggio negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, tra storie e futuro incerto di Giuliana Covella Corriere della Sera - Comunicare il Sociale, 15 novembre 2013 “Come si vive in queste strutture che, nell’immaginario collettivo, sono ancora viste come luoghi del dolore e della solitudine?”. Sin da quando si varca la soglia di ingresso si avverte che lì c’è un altro mondo. Un mondo dal quale molti spesso non tornano indietro. È per questo forse che qualcuno lo definisce “ergastolo bianco” nel senso di “fine pena mai”. Sono 6 gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in Italia: Aversa, Napoli, Castiglione delle Stiviere, Barcellona, Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino che dovrebbero scomparire dal primo aprile 2014, come decretato dall’ex Governo Monti. Almeno sulla carta, visto che la legge che dovrebbe abolire gli istituti di pena e sostituirli con strutture territoriali alternative è stata prorogata al prossimo 31 marzo. Se a metà degli anni ‘70 la nascita di questi penitenziari aveva sostituito i manicomi criminali, oggi ne appare più che mai necessaria la dismissione. Senza trascurare il problema del sovraffollamento delle carceri. Eppure un rischio c’è: quello che con l’approvazione del decreto legislativo dal nuovo anno si possano formare due “contenitori” paralleli per l’accoglienza degli ex detenuti degli Opg. Da un lato le strutture sostitutive sanitarie, dall’altro le sezioni psichiatriche in corso di allestimento in molte carceri. A lanciare l’allarme è Mario Barone, presidente dell’associazione Antigone, che spiega: “Premesso che nella nostra regione le strutture sostitutive saranno, su Napoli l’ospedale Gesù e Maria e su Aversa Grazzanise, la nostra preoccupazione nasce dall’allestimento di sezioni psichiatriche a Pozzuoli, Santa Maria Capua Vetere, Secondigliano e Sant’Angelo dei Lombardi. Mi chiedo: se la legge Marino farà chiudere gli Opg, ma consente la creazione di queste sezioni in un carcere, che senso ha la battaglia per la chiusura dei manicomi criminali? Sarebbe un grave passo indietro in termini culturali”. Ma, partendo dall’esperienza di Secondigliano, come si vive in queste strutture che, nell’immaginario collettivo, sono ancora viste come luoghi del dolore e della solitudine? Centodieci internati e non “detenuti”, come spiega Marisa Savaglia, responsabile dell’area psico - pedagogica, che raccoglie tutte le attività per il reinserimento sociale del soggetto: scolastiche, ricreativo - sportive e lavorative; 140 unità del personale, di cui 70 agenti penitenziari. “Siamo qui dal 2008 - spiega il direttore Stefano Martone - da dopo il trasferimento da Sant’Eframo. Queste attività sono fondamentali per il coinvolgimento del malato di mente. Loro frequentano la scuola, fanno teatro, laboratori di musica, corsi di informatica e da quest’anno scrittura creativa. Ciascuno è seguito da un’equipe multidisciplinare. La provenienza è varia: oltre alla Campania, arrivano da Lazio, Basilicata, Puglia, qualcuno anche da Veneto e Lombardia. L’età media è tra i 35 e i 40 anni. Vi sono anche immigrati. Il reato più diffuso? Maltrattamenti in famiglia”. Ma qual è il vero problema? “La maggior parte dei reati sono prosciolti, ma molti restano qui perché ritenuti socialmente pericolosi”. Forse sarebbe il caso che l’iter legislativo desse i suoi frutti? Risate e yoga per integrare e reinserire i cosiddetti “socialmente pericolosi” Guagliò, per non impazzire qui dentro non devi mai dar retta ai muri”. Il ragazzo più piccolo è appena arrivato e chiede consiglio a chi lì dentro ei sta da parecchio. A rompere il silenzio è una fragorosa risata nel teatro dell’Opg di Secondigliano. Una ventina di pazienti dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario accoglie con entusiasmo la prima lezione di “Yoga della risata”. Uno strumento alternativo di integrazione e reinserimento sociale per soggetti che, sulla carta, sono definiti “socialmente pericolosi”. A coinvolgerli con musica e divertimento nelle ore mattutine è lo slogan “ho ho, ha ha” che Rodolfo Matto porta loro quasi tutti ì giorni. Un progetto che si inserisce tra le attività ricreative per i 110 internati della struttura carceraria. Ad accompagnare la lezione, cui partecipano molti degli educatori coordinati da Marisa Savaglia, c’è la musica. Quella che unisce. che ridona un sorriso anche tra queste mura, dove spesso la solitudine ha il sopravvento. Giustizia: il “Banco Editoriale” raccoglie fondi per biblioteche in 6 carceri italiane Dire, 15 novembre 2013 Regalare un libro a chi ne ha bisogno. Dopo il successo della scorsa edizione, torna anche quest’anno il “Banco Editoriale”, l’iniziativa nata grazie alla collaborazione tra le ACLI di Roma e la Feltrinelli, che quest’anno diventa nazionale. Dal 15 al 24 novembre negli store Feltrinelli di sei città (Milano, Verona, Roma, Viterbo, Salerno e Palermo) sarà possibile acquistare un libro e donarlo alle Acli di Roma per la costituzione di nuove biblioteche in sei carceri italiane. L’iniziativa è stata presentata oggi nella capitale, presso la sede delle Acli di Roma e provincia, alla presenza di Cecilia Cecconi, presidente delle Acli di Roma e provincia; Rosario Varriale, capo segreteria garante dei diritti dei detenuti del Lazio; Lorenzo Fazzini, ideatore del ‘Banco Editorialè; Stefano Calogero, responsabile eventi e comunicazione Feltrinelli di Roma. Presente alla conferenza stampa anche il cantautore romano, Luca Barbarossa. “Per regalare un libro a chi ne ha bisogno - spiega Cecconi - è molto semplice: basta recarsi, dal 15 al 24 novembre, in uno dei punti vendita Feltrinelli di tutta Italia, acquistare un libro, e scegliere di donarlo al ‘Banco editorialè. Si può fare anche una dedica personalizzata al detenuto, aiutando così una delle sei carceri italiane coinvolte nell’iniziativa”. Un libro per sentirsi un po’ più libero, insomma, come recita anche la locandina dell’iniziativa. Ma cosa ne pensano davvero i detenuti? “I detenuti che abbiamo coinvolto - dice Varriale - si sono dichiarati entusiasti. I nostri operatori che vanno nelle carceri del Lazio, in particolare in quello di Viterbo e nella Terza casa di Rebibbia, ci dicono che ci sono detenuti attenti alla cultura e alla vita sociale del carcere. Posso dire che nei nostri penitenziari ci sono detenuti relativamente colti i quali, di fronte ad un’ipotesi progettuale di questo genere, si sono dimostrati molto interessati”. La Feltrinelli, per lo sviluppo del progetto, devolverà alle Acli di Roma il 15% del prezzo di copertina dei libri raccolti per la realizzazione degli eventi di consegna alle sei carceri. “Per la prima edizione - spiega Calogero - erano state coinvolte due sole città, Roma e Verona, mentre quest’anno l’iniziativa è stata estesa a tutte le Feltrinelli d’Italia e siamo molto contenti. Voglio ricordare che nel 2012 sono stati venduti oltre 3mila libri, che spaziavano dalla poesia alla narrativa, dalla storia alla saggistica. Un modo, questo, per avvicinare l’acquirente al destinatario di questo libro”. Da sempre impegnato in attività di solidarietà in Italia e all’estero, secondo il cantautore Barbarossa quella della distribuzione dei libri “è una bella mossa - dice - soprattutto perché nei nostri penitenziari ci sono ancora troppe persone che non conoscono bene la lingua italiana, e mi riferisco anche agli immigrati. L’uso dei vocabolari, quindi, comincia a diventare una cosa importante”. Per il cantautore, infine, “l’attenzione alla cultura e all’informazione può essere un momento di ripartenza e di rinascita per una persona che sta attraversando un momento così buio come quello della detenzione”. Giustizia: il Pd si divide sul caso Cancellieri, Renzi punta alle dimissioni La Repubblica, 15 novembre 2013 È arrivato il momento di esercitare la leadership del Pd. In anticipo sull’8 dicembre, la data delle primarie. Matteo Renzi non torna indietro sulle dimissioni di Anna Maria Cancellieri. Ma adesso è pronto a “scaricare” il ministro della Giustizia con un atto politico, non solo con una battuta in tv e guarda a mercoledì prossimo quando alla Camera si voterà la mozione di sfiducia presentata dai 5 stelle. Le novità giudiziarie rivelate da Repubblica - la terza telefonata del Guardasigilli ad Antonino Ligresti, le numerose chiamate del marito - riaprono il caso. Non si può fare finta di niente. Renzi lascerà la prima mossa a Guglielmo Epifani. “Se all’assemblea del gruppo Pd ci sarà una proposta del segretario, noi rispetteremo quella proposta, qualunque essa sia - spiegava ieri un deputato fedelissimo dopo aver parlato con il sindaco - . Ma se Epifani non prende posizione allora i parlamentari più vicini a Matteo chiederanno di votare la sfiducia. 0 proporranno di presentare una nostra mozione”. È una dichiarazione di guerra per il governo. È uno strumento di pressione nei confronti del Partito democratico. È un avviso ai naviganti che potrebbe convincere il Guardasigilli a fare quel passo indietro che ieri a Palazzo Vecchio davano per scontato. Ma che il ministro non ha fatto e forse non farà. Perché significherebbe ammettere delle responsabilità (“è un accanimento”, avrebbe confidato ai suoi collaboratori di Via Arenula) e perché indebolirebbe i già fragili equilibri del governo. Ma questo è l’obiettivo dei renziani. Che dopo una telefonata tra Renzi e Letta ieri mattina, stanno valutando l’affondo in vista dell’assemblea del gruppo Pd a Montecitorio convocato per martedì sera, a poche ore dal voto in aula. La posizione del sindaco risente anche delle dinamiche congressuali. Pippo Civati infatti è saltato sul caso chiedendo al suo partito di votare contro la Cancellieri e sfidando Renzi a dare seguito alle parole durissime pronunciate in televisione a Servizio pubblico. “Il gruppo voti sulla sfiducia. Se Renzi è coerente, con i suoi quasi 200 deputati, questa linea può passare”. Il richiamo a Epifani dunque ha molte ragioni: se i renziani ingoiano la difesa del ministro a chiederlo stavolta dovrà essere ufficialmente il partito e il governo. Con un vincolo che andrà rispettato da tutti. “Seguirò le indicazioni del mio segretario - spiega il renziano Ernesto Carbone che fin dall’inizio ha chiesto le dimissioni del Guardasigilli - Ma in aula dobbiamo farlo tutti”. Compreso Civati al quale non può essere consentito di giocare la partita delle primarie “recitando il ruolo del duro e puro, del dissidente”. L’intero gruppo dei deputati Pd è in ebollizione. Le correnti c’entrano ben poco. È un umore trasversale. Per questo il capogruppo Roberto Speranza ha fissato la riunione di martedì: “Ci confronteremo. Come sempre”. Ma la sua posizione è chiara: “Il Pd non vota la mozione di Grillo. Ci mancherebbe”. Però il nervosismo rimane. A Enrico Letta i segnali sono arrivati forti e chiari. Il voto di fiducia per il Guardasigilli non è in discussione. Ma tanti democratici hanno fatto sapere a Palazzo Chigi di voler disertare il voto. Allora sì, la Cancellieri diventerebbe un ministro dimezzato. Il punto è che si riparte da zero, il chiarimento avvenuto alle Camere il 5 novembre appartiene già al passato. Anzi, si riparte con l’handicap perché Renzi stavolta ha lanciato la sua sfida prima che i giochi siano fatti. “Io rimango al discorso chiarificatore della Cancellieri applaudito in Parlamento convintamente da tutta la maggioranza”, dice il premier. Un messaggio al Pd: non sono accettabili dietrofront. Eppure il caso è esploso di nuovo anche a Palazzo Chigi. Oggi Letta e Cancellieri avranno un incontro a quattr’occhi. La linea difensiva del ministro della Giustizia non cambia e lo spiegherà al premier: “Sono stata sempre corretta. E non ho mentito al Parlamento, la mia ricostruzione dei fatti non cambia”. Resiste, dunque. Il Pd invece dà l’impressione di vacillare. Si chiede a Epifani il sacrificio estremo: immolarsi sull’altare delle larghe intese, salvo poi ritrovarsi sbeffeggiato in un talk show o nelle interviste dei colleghi. La senatrice Laura Puppato tifa per le dimissioni e scomoda persino il Papa: “Noi politici siamo chiamati a essere di esempio. Papa Francesco è l’esempio che cambierà la chiesa. Se non saremo capaci di essere un esempio, è inutile che chiediamo all’ultimo dei cittadini di applicare su di sé la logica della correttezza, dell’onestà, del passo indietro del castigo”. Il clima è questo. Ci sono pochi giorni per risolvere il problema. Giustizia: Giulia Ligresti; i giorni trascorsi in carcere durissimi, ho pensato non farcela Ansa, 15 novembre 2013 “I giorni trascorsi in carcere “sono stati un’esperienza durissima ma umanamente molto forte perché ho conosciuto persone meravigliose, volontari, personale, tra le stesse detenute che mi hanno aiutato a superare momenti difficili”. Lo ha detto Giulia Ligresti a Porta a Porta. Alla domanda se avesse pensato al suicidio, risponde non “concretamente, ma vi assicuro che è una condizione davvero molto molto dura. In alcuni momenti ho pensato di non farcela e anche che non valesse la pena resistere”. In ogni caso, ha aggiunto Giulia Ligresti, “l’esperienza del carcere mi è servita a capire che anche senza andare lontano come già facevo”, ad esempio in Africa, “c’è molto da fare anche qui per aiutare il prossimo e se me ne fosse data la possibilità vorrei occuparmi dei detenuti, avendo oggi una maggiore consapevolezza di cosa vuol dire vivere in carcere rispetto a chi ne parla ma non ha vissuto questa esperienza”. A Vespa che chiedeva cosa pensasse della sua immagine riscontrata sui media Ligresti risponde: “non mi piacerei, non mi sarei simpatica ma la descrizione che fanno di me spesso non corrisponde a quello che sono veramente. I miei figli non mi riconoscono in questa immagine” di donna ricca e viziata. E “sono qui anche perché i miei figli mi hanno chiesto di raccontare com’è davvero la loro mamma”. Toscana: il Garante dei detenuti Corleone; temo per l’Opg ancora ritardi nella chiusura www.gonews.it, 15 novembre 2013 “Temo che per Montelupo Fiorentino avremo ancora dei ritardi nella chiusura, ma mi auguro che la Toscana sia la prima regione a dismettere un Opg e sperimenti delle alternative terapeutiche sul territorio efficaci”. Queste le parole di Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana, in vista oggi, giovedì 14 novembre , a Empoli, prima al liceo “Pontormo”, per un incontro con gli studenti nell’auditorium di via Sanzio, e poi alla casa di custodia attenuata femminile di Pozzale nel pomeriggio. “All’Opg andrò in visita giovedì 21 novembre per verificare di persona - prosegue - e soprattutto bisogna pensare a come utilizzare quella struttura dopo la chiusura. Non dobbiamo creare altri luoghi terapeutici che siano nuovi manicomi”. Su Pozzale: “Penso che un carcere così piccolo, da 20 - 25 persone, sia giustificato da una sperimentazione di una detenzione diversa - commenta - deve essere un luogo di grande accentuazione della responsabilità e che dia possibilità di reinserimento, costruendo una comunità di vita diversa rispetto alle esperienze precedenti”. Durante l’incontro con i ragazzi Corleone ha criticato le scelte di trasformare il carcere femminile in una struttura per transessuali per poi tornare indietro e riprendere, con molte difficoltà, il progetto iniziale. Adesso nella struttura penitenziaria lungo la nuova Valdorme c’è un nuovo direttore dallo scorso marzo, Graziano Pujia, il quale è al lavoro proprio per recuperare lo spirito originale di Pozzale. “C’era stata battuta di arresto dovuta soprattutto alle vicissitudini passate dell’istituto - spiega in merito - Stiamo provando con fatica a reperire risorse dagli enti territoriali, Comune, Asl, Regione Toscana, per cercare di rilanciare tutte le attività e attivarne ulteriori. In questo momento in un’ottica di una sorveglianza nuova vorrei arrivare a un concetto di auto responsabilizzazione delle detenute, per aumentare la propria consapevolezza di sé del passato ma soprattutto del futuro”. Tra gli obiettivi quello di riavviare l’azienda agricola: “Ma i fondi non ci sono - prosegue - per adesso è attiva solo l’apicoltura e ci sono dei corsi finanziati con progetti nazionali. La mia idea è riaprirla tutta, studiando come gestirla: non guardando soltanto al prodotto, che diventa difficile piazzarlo sul mercato, ma cercando soluzioni d’accordo con gli enti territoriali. Si potrebbe ripartire dal frutteto: ho dato disposizioni per catalogare gli alberi che abbiamo e dà lì impostare un certo tipo di discorso”. A Pozzale oggi ci sono 24 detenute per una capienza massima di 30: “Mi posso ritenere fortunato rispetto ad altri colleghi che devono quotidianamente fronteggiare il tema del sovraffollamento - conclude Pujia - per il mondo femminile quella di Empoli è la risposta più evoluta e che tutti si attenderebbero. Mi auguro che rappresenti un modello da seguire, anche se così che com’è risulta costoso seppure vincente e spendibile”. “Abbiamo 18 istituti e differenze notevoli - spiega Franco Corleone - dalle grandi città alle isole, dall’opg alle custodie attenuate come a Empoli. C’è un dato comune: il bisogno di una grande riforma delle leggi, della vita quotidiana, del concepire il carcere come luogo per chi ha compiuto gravi delitti e non destinato a poveri, tossicodipendenti , malati ed emarginati. Il carcere non deve essere né discarica sociale né un lazzaretto. C’è un lavoro enorme da fare e mi auguro che i prossimi mesi segnino un primo ma significativo cambiamento”. “A Lucca e Arezzo ho visto che ci sono istituti con sezioni abbandonate e chiuse - conclude - dove ci sono lavori fermi da tempo e a metà a causa del fallimento delle ditte appaltatrici. Vuol dire aver buttato denaro pubblico. Bisogna fare un censimento della popolazione carceraria perché è intollerabile pensare al fatto che ci siano detenuti come polli da batteria nelle celle e spazi utilizzati. Bisogna recuperare gli ambienti e far sì che le persone possano uscire dal carcere. Nessun tossico dipendente dovrebbe stare in cella e dovrebbero essere arrestati meno consumatori di sostanze stupefacenti per un reato definito in maniera troppo pesante, causato dall’applicazione di una legge come la Fini - Giovanardi”. Sono tanti anzi tante. Sono gli studenti, in prevalenza ragazze, che questa mattina hanno assistito all’incontro - dibattito ‘A scuola di libertà’ nell’Auditorium del liceo scientifico “Il Pontormo”, realizzato nell’ambito del progetto denominato “Oltre i muri”, la scuola che si avvicina ed accorcia le distanze con il carcere. Una giornata di informazione e senilizzazione, un progetto che è stato presentato proprio lo scorso anno. Carlo Pasquinucci, intervenuto dopo i saluti alla mattinata di Silvano Salvadori dirigente scolastico de “Il Pontormo che ha descritto il senso del progetto con tre parole significative: solidarietà, prevenzione e soprattutto responsabilità perché è compito della “scuola - ha detto Salvadori - preparare persone responsabili verso gli altri che non dovrebbero finire in carcere”, ha parlato di responsabilità sociale verso tutti quei giovani che erano lì questa mattina e verso chi si trova a vivere la negazione della libertà dando delle opportunità, come ha fatto da sempre la nostra città anche con il carcere di Empoli e “brave - ha continuato Pasquinucci - sono state le ospiti dell’istituto a lasciarsi coinvolgere e coinvolgere in questo percorso, che si è concluso con lo spettacolo teatrale di luglio che ho visto e che ci ha emozionato profondamente. Concludo dando onore alla nostra Costituzione che almeno a Empoli garantisce i diritti”. Non era presente il provveditore regionale della Toscana Carmelo Cantone, ma al suo posto il contributo di Rossella Giazzi, direttrice dell’ufficio trattamento detenuti della Toscana e reggente dell’ufficio Uepe ( ufficio esecuzione penale esterna) di Lucca e Pisa che ha dato due dati: in Toscana ci sono 4miladuecento detenuti; duemila sono soggetti in trattamento Uepe. “La Toscana - ha detto la Giazzi - ha delle realtà penitenziarie molto variegate, dalle Case Circondariali per pene brevi, alle Case di reclusione per lunghe pene, Istituti sulle isole come case lavoro, Istituti a trattamento di custodia attenuata come il “Mario Gozzini” maschile ed Empoli che è femminile, gli Opg (ospedali psichiatrici) e l’ufficio esecuzione penale esterno. Ecco in tutto questo mondo di carceri, la pena inflitta deve, dovrebbe dare un senso al carcere perché diversamente non restituisce una persona preparata a ritornare in libertà. Il carcere da solo non basta, c’è bisogno della società civile - ha proseguito la Giazzi - per dare quel senso per spendere bene il tempo della pena. Per questo cerchiamo di trovare punti di solidarietà forti ed è piacevole vedere così tanti giovani che si interessano al tema della giustizia”. Una vera e propria full immersion tra tecnici e “batti cuore” di chi era lì seduta e proveniva dal carcere di Empoli o chi c’era stata in quel carcere nel 1997 al momento della apertura ufficiale per le donne. Presente il nuovo direttore della casa Circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli, perché di fatto è tornata ad essere questo, Graziano Pujia che ha spiegato la funzione della pena che deve tendere alla rieducazione del “reo” - ha detto Pujia - , in quanto non possiamo sottrarci a tentare strade alternative al carcere, al delinquere. Siamo persone che amano il proprio lavoro con volontà cercando di fornire un servizio, mirato, personalizzato. Il nostro intervento essendo Empoli un carcere piccolo, per un piccolo numero di detenute, perché le donne commettono meno reati degli uomini, è singolo, personale, perché ognuno di noi è diverso e vale la pena ogni tanto, divulgare le cose belle che accadono in un carcere. Attualmente sono 28 detenute con un residuo pena di massimo cinque anni. Noi interveniamo sulla responsabilizzazione delle singole persone che devono scontare la pena. Un concetto nuovo di sorveglianza che non è più uno a uno, ma si supera con la conoscenza dei bisogni della detenute ed io mi avvalgo della professionalità e del front line della vice commissario Maria Grazia Grassi e della educatrice Lucia Scaramuzzino, insieme ci confrontiamo raggiungendo degli obiettivi. E concludo dicendo che il volontariato è fondamentale. Senza sarebbe impensabile proseguire”. Dal direttore dell’istituto empolese a Michele Passione, avvocato, componente dell’Osservatorio Carcere dell’Ucpi (Unione delle Camere Penali Italiane) che ha parlato di sovraffollamento, di ergastolo, del 42,2% di persone in regime di custodia cautelare preventiva, di abusi e soprusi, di quanto il nostro paese sia fuori legge, fuori dai precetti costituzionali. Poi “L’arte dell’incontro” con Teresa Delogu che ci ha preso per mano e ci ha portato sul palcoscenico del teatro della compagnia Giallo Mare Minimal Teatro di Empoli che da anni porta nelle carceri il progetto regionale “teatro – carcere” finanziato dalla Regione Toscana e che ha ben spiegato il percorso che il gruppo delle detenute di Empoli ha fatto parallelamente a quello delle studentesse del liceo delle scienze umane Il Pontormo “fuori”, conclusosi in un’unica messa in scena, lo spettacolo “Agnese dolce Agnese” di cui è stato proiettato quindici minuti di video. Ma prima, la testimonianza di Magdalena, detenuta di Empoli ed attrici in “Agnese” che ha commosso con il cuore che ha messo nelle sue parole descrivendo l’incontro con le studentesse, quell’incontro che oggi è diventato indimenticabile e come ha detto Magdalena “È valsa la pena!”. Poi loro, le studentesse - attrici di quella piéce che hanno letto le proprie emozioni di un viaggio dall’inverno gelido alla primavera, imparando ad ascoltare e mai a dimenticare. Un lungo plauso che ha abbracciato tutte queste ragazze. La mattinata è proseguita con un’altra storia da accapponare la pelle, quella di Patrizia Tellini, addetta stampa del Comune che ha raccontato come la sua vita fosse entrata in un ‘buco’ nero per poi tornare come un germoglio alla vita quella vera. Dopo di lei, Franco Corleone garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana che ha aperto il suo intervento con una frase significativa, “siamo ancora il paese di Cesare Beccaria? Il carcere deve dare delle opportunità - ha detto Corleone - ed i diamanti come cantava De André possono ancora nascere da questo luogo”. La mattinata si è conclusa con le testimonianze del mondo del volontariato che porta il suo contributo settimanalmente a quelle ragazze con progetti, come le borse della associane L’acqua in gabbia, con Maria Polizzotto oppure si offre come ospitalità durante un permesso premio e non solo, la Misericordia di Empoli da sempre impegnata nel carcere di Empoli e nell’Opg di Montelupo rappresentata da Costanzo Campigli e l’associazione Pantagruel rappresentata da Salvatore Tassinari che ha concluso parlando di negazione del diritto alla affettività, ai sentimenti. È stata lanciata una proposta: un francobollo da ogni studente da mandare alle ragazze di Empoli per poter scrivere ai loro cari. Lucca: il Garante Franco Corleone; un carcere indegno che va migliorato subito di Nadia Davini Il Tirreno, 15 novembre 2013 Confronto in prefettura sui Comics: hanno partecipato, oltre ai membri del comitato per l’ordine pubblico presieduto dal prefetto Giovanna Cagliostro, i responsabili dell’organizzazione, degli enti e delle società di trasporto. Sono stati analizzati i punti critici di una manifestazione comunque considerata ben riuscita: in particolare, preoccupa il flusso dei visitatori in arrivo, visto che la stazione è al limite (quasi 100mila viaggiatori in due giorni, venerdì e sabato). Per questo si pensa all’interscambio fra auto e altri mezzi pubblici, utilizzando varie uscite della autostrade. C’è poi concordia sull’estendere la manifestazione ad altre parti della città: da gennaio si comincerà a pensare all’edizione 2014 e, ogni mese, ci sarà una riunione tecnica. Quattro uomini in una cella da uno. Otto uomini in una cella da quattro. Cento settantasette uomini, contro i centotredici previsti per legge. “Il carcere di Lucca è un carcere patogeno”. Sintetizza così la visita al San Giorgio il garante dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, che ieri è arrivato in città per segnarsi tutto ciò che non va e tutto quello che potrebbe essere fatto nella casa circondariale della provincia, continuando così il suo percorso nelle strutture carcerarie toscane prive di garante. Se da una parte si respira un’aria positiva di collaborazione tra direttore, polizia penitenziaria, educatori e detenuti, dall’altra le strutture e lo scarso numero di agenti (costantemente in sotto organico) non garantiscono una vivibilità decente e dignitosa. Tanto meno una detenzione volta alla riabilitazione e al reinserimento nella società. “Questa struttura non si può tenere così - spiega Corleone - ma non è neppure inserita nel programma di nuovi istituti penitenziari. Quindi resta un’unica soluzione: migliorare l’esistente”. Le proposte sono diverse e riguardano interventi concreti da realizzare nel breve e medio periodo: prevedere un luogo per la semilibertà; ripristinare un ampio passeggio nella prima sezione del carcere, visto che quello attuale “è chiuso con dei gabbiotti e con una grata sulla testa, che non ha nulla da invidiare alle strutture del tempo del terrore”; creare un’area bambini adiacente alla zona colloquio, anche per favorire il dialogo familiare; mettere a norma la sala colloqui, partendo dall’eliminazione del bancone (seguendo così le indicazioni del ministro Cancellieri); favorire il sistema bibliotecario anche con l’esterno, creando uno scambio di libri che esca anche dalle mura carcerarie e ripristinare la quarta sezione dell’istituto. “In questa struttura ci sono persone che non dovrebbero stare in carcere. C’è un numero consistente di tossicodipendenti e di persone con problemi psichiatrici. Gli stranieri sono in maggioranza, ben 104, la maggior parte dei quali si trova in carcere per la violazione della legga sugli stupefacenti, relativamente alla detenzione e non al traffico o al narcotraffico. E questa è la situazione che maggiormente troviamo nelle carceri italiane: ecco perché è arrivato il momento di mettere mano al quinto comma della legge sugli stupefacenti (è quello sui fatti di lieve entità, ndr) e bisogna lavorare per fare in modo che entrino meno persone dentro le strutture carcerarie e che esistano servizi riabilitativi diffusi sul territorio, soprattutto per quanto riguarda i reati considerati minori”. Celle piccolissime, sovraffollate, mancanza di corsi scolastici di base, corsi professionali inadeguati per un carcere, come quello di Lucca, che registra un turn over continuo, non fumatori che condividono gli spazi chiusi con fumatori abituali, agibilità al limite, poche ore a settimana per i colloqui psicologici e ingenti tagli ai mediatori culturali e linguistici. “Bisognerebbe intervenire anche sulla custodia cautelare - spiegano gli avvocati dell’Osservatorio sul carcere della Camera Penale di Lucca, Francesco Spina, il responsabile, con le colleghe Micaela Bosi Picchiotti e Serena Marchetti. Dal canto nostro registriamo un’alta percentuale di mancate risposte per pene alternative”. Napoli: 34enne muore in carcere, “sputava sangue” da 10 giorni e non è stato curato Agenparl, 15 novembre 2013 Federico Perna, 34 anni, originario di Latina e detenuto nel carcere di Poggioreale (Napoli), l’8 novembre muore per “collasso cardiocircolatorio”. Il pm Pasquale Ucci, titolare dell’inchiesta, apre un fascicolo con l’ipotesi di reato di “omicidio colposo” e dispone l’autopsia, che si svolge oggi. Nobila Scafuro, madre del giovane, denuncia: “Mio figlio è morto venerdì scorso, alle 17 di sera. L’ho sentito al telefono l’ultima volta il martedì precedente, mi disse che perdeva sangue dalla bocca quando tossiva. Si trovava nel Padiglione Avellino, nella cella 6, assieme ad altre 11 persone. Federico non doveva restare in carcere, ma essere ricoverato in ospedale: aveva bisogno di un trapianto di fegato ed era stato dichiarato incompatibile con la detenzione da due diversi rapporti clinici, stilati dei Dirigenti Sanitari delle carceri di Viterbo e Napoli Secondigliano. Invece da Secondigliano è stato trasferito a Poggioreale, dove le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate: sputava sangue, letteralmente, e chiedeva il ricovero disperatamente da almeno dieci giorni lamentando dolori lancinanti allo stomaco. Abbiamo appreso della sua morte tramite la lettera di un compagno di cella, con il quale Federico aveva stretto amicizia. Non sappiamo nemmeno dove sia morto, perché le versioni sono diverse: ci dicono che è morto nell’infermeria del carcere di Poggioreale, di attacco cardiaco e senza la possibilità di essere salvato con il defibrillatore... poi ci dicono che è morto in ambulanza... poi ancora che è morto prima di essere caricato in ambulanza... o addirittura in ospedale, e anche su questo ci hanno nominato più di una struttura possibile”. Ieri sera, alle 19.45, la madre di Federico Perna è stata intervistata da Riccardo Arena su Radio Radicale, nel corso della trasmissione “Radio Carcere”. Con la morte di Federico Perna sale a 139 il numero dei detenuti che hanno perso la vita da inizio anno. Su queste tragedie l’informazione da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è inesistente, nonostante quanto previsto dalla Circolare G-Dap - 0397498 - 2011 “Sala Situazioni. Modello Organizzativo e nomina Responsabile”, datata 18 ottobre 2011 e firmata dall’allora Capo del Dap Franco Ionta, che all’art. 5 comma 6 prevede “Per garantire una trasparente e corretta informazione dei fenomeni inseriti nell’applicativo degli eventi critici le principali notizie d’interesse saranno, inoltre trasmesse al Direttore dell’Ufficio Stampa e Relazioni esterne per le attività di informazione e comunicazione agli organi di stampa e la eventuale diffusione mediante i canali di comunicazione di cui dispone ii Dap (rivista istituzionale, newsletter siti istituzionali)”. Siracusa: detenuto tenta suicidio, salvato da un agente, è in coma farmacologico all’ospedale Agi, 15 novembre 2013 Un detenuto ha tentato il suicidio in carcere a Siracusa ed è stato tratto in salvo da un agente della polizia penitenziaria. Adesso si trova in coma. Lo rende noto il segretario generale dell’Osapp, Domenico Nicotra. “Ancora una volta - dice Nicotra - lo scenario è un istituto penitenziario siciliano e nello specifico quello di Siracusa, dove l’estremo gesto autolesionista è stato scongiurato dal pronto intervento della Polizia penitenziaria. Adesso, il detenuto, si trova ricoverato e piantonato presso il reparto di rianimazione dell’ospedale siracusano e per i danni subiti dalla tentata impiccagione è in coma farmacologico”. “È evidente - continua il sindacalista dell’Osapp - che nonostante tutti gli sforzi profusi dal Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria la situazione nelle carceri siciliane è gravissima. È impensabile ed inconcepibile che il capo del Dap e pure il vice capo del Dipartimento, non assumano provvedimenti per risollevare il sistema penitenziario siciliano”. “Infatti, non si capisce - conclude - come si possono gestire efficacemente gli istituti siciliani se i vertici del Dap continuano ad assicurare in alcuni Istituti la presenza di più Dirigenti Penitenziari e funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria mentre in altri non viene assicurato con soluzione di continuità nessun titolare di dirigenza e di comando”. Napoli: fece commuovere Napolitano ma resta in cella, nonostante il tumore Corriere del Mezzogiorno, 15 novembre 2013 La sua storia aveva fatto commuovere anche il Capo dello Stato. Napolitano s’impietosì e gli strinse la mano dalle inferriate della cella, durante la sua visita nel carcere di Poggioreale il 28 settembre scorso. Ma non è bastata a fargli ottenere un gesto di clemenza. Vincenzo, 35 anni, in carcere dal 2009 per un omicidio avvenuto dopo una rissa e ammalato di tumore al midollo spinale, ha infatti perduto circa 60 chili a causa della sua malattia. Per intenderci, ha perso ben 54 chili in più della detenuta eccellente Giulia Ligresti, scarcerata dopo 43 giorni per motivi umanitari (non mangiava e aveva perso sei chili) grazie all’intervento del Guardasigilli Cancellieri. Come se non bastasse ormai la testa gli penzola sul collo e Vincenzo deve indossare un collare per tenerla eretta. Si muove pochissimo, riesce a fare qualche passo solo sorretto dalle stampelle. Eppure resta sempre rinchiuso nel penitenziario più affollato d’Italia. Tutte le istanze di scarcerazione per gravi motivi di salute sono state sino a questo momento rigettate, perché secondo la giustizia, può essere curato in carcere. La sua famiglia è stata costretta a trovare una struttura esterna dotata di piscina per la fisioterapia in acqua: costose cure a pagamento. È stato sottoposto a una decina di trattamenti con molta pena per le sue assolute difficoltà di movimento. Suor Lidia, la religiosa che gli porta conforto nella sua cella, piange ogni giorno per questo ex ragazzone che si sta spegnendo sotto i suoi occhi senza che nessuna autorità giudiziaria sia intervenuta per affidarlo a una struttura sanitaria. Risulta veramente difficile capire perché a Vincenzo, detenuto comune a Poggioreale, non sia stata ancora concessa una chance per vivere in maniera più umana la sua gravissima malattia. “Forse perché - maligna un suo parente - i nostri avvocati non possiedono il numero di cellulare del ministro Cancellieri”. Adriana Tocco, garante regionale dei detenuti, è indignata: “Il caso di Vincenzo è uno dei più drammatici ai quali abbia assistito negli ultimi anni. Personalmente ritengo che non sia accettabile in un Paese civile far rimanere in cella un detenuto nelle sue condizioni di salute. Sono pronta a portare il suo fascicolo all’attenzione del ministro Cancellieri” conclude Tocco. In realtà, spiega, i casi come quello di Vincenzo sono tanti, troppi. Tocco ne elenca qualcun altro. C’è il caso di Giovanni, 37 anni, rinchiuso a Poggioreale fino a qualche mese fa è divenuto paraplegico in carcere dopo un ictus. “Completamente incontinente, biascica poche parole e ha bisogno di essere assistito continuamente per ogni tipo di attività. Eppure - aggiunge Tocco - solo da qualche mese ha ottenuto i domiciliari, dopo una marea di richieste corredata da certificati medici”. È andata peggio ad Antonino, che invece scontava la pena a Melfi. Nell’agosto 2012 gli viene diagnosticato un tumore, ma non ottiene la sospensione della pena, Morirà in ospedale il 3 ottobre scorso. La sua storia è riportata a mo’ di vergognoso monito sul sito internet dell’associazione “Ristretti Orizzonti”. E che dire delle vicissitudini di Francesco? “È un malato mentale - spiega la Tocco - detenuto nel carcere di Parma per reati associativi. È incontinente, depresso e ha perso oltre trenta chili. A causa delle sue condizioni mentali la tutela legale viene esercitata dalla moglie e dal figlio. Prima era ricoverato nell’Opg di Aversa, ma da quando è a Parma la famiglia non può andare a trovarlo perché non può permettersi di affrontare continue spese di viaggio. Così Francesco è solo e la sua patologia mentale peggiora. Abbiamo scritto a tutti, giudici di sorveglianza, Dap (il Dipartimento amministrazione penitenziaria) ma non si riesce a ottenere un avvicinamento alla famiglia. Eppure potrebbe essere rinchiuso in un carcere campano, perché invece ci si ostina a lasciarlo solo in Emilia Romagna?”. Sono centinaia le istanze sulla scrivania di Adriana Tocco. “Si tratta di detenuti comuni, non di camorristi o mafiosi perché le famiglie di questi ultimi non pensano certo a rivolgersi al garante - argomenta la garante. Quindi anche la pericolosità sociale in molti casi è tutta da dimostrare, mentre la precarietà delle condizioni di salute è sempre documentata”. C’è di più, secondo la professoressa Tocco “abbiamo casi di detenuti che restano in cella nonostante le dichiarazioni di incompatibilità certificate dai medici delle strutture”. Insomma, un carcere disumano per i detenuti comuni, mentre le richieste della garante spesso cozzano contro muri di gomma come lei stessa ammette: “Ci rivolgiamo ai giudici di sorveglianza, al Prap (Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria), al Dap, ai magistrati inquirenti nel caso di detenuti in attesa di giudizio. Le risposte? Sempre riluttanti. Serve una legge che regoli con chiarezza e sancisca l’impossibilità che un detenuto gravemente ammalato resti in galera. Come invece avviene ancor oggi troppo spesso”. Roma: Manconi, condizioni Brian Bottigliero incompatibili con la detenzione Adnkronos, 15 novembre 2013 Questa mattina il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Straordinaria per la promozione e la tutela dei diritti umani, si è recato “al centro clinico del carcere romano di Regina Coeli per incontrare Brian Gaetano Bottigliero, il venticinquenne affetto da grave insufficienza renale cronica. Insieme a me - spiega - sono entrati due medici specialisti, il Prof. Gianfranco Turchetti e il Prof. Claudio Di Veroli, che hanno potuto visitare il detenuto. La patologia di Bottigliero, che ha perso oltre 18 chili dalla data del suo ingresso in carcere nel luglio 2011, è di particolare gravità ed è stata accertata anche dagli specialisti entrati insieme a me questa mattina”. “L’insufficienza renale cronica, la perdita cioè della funzionalità dei reni, viene compensata al momento grazie alla dialisi effettuata tre volte la settimana ma data la giovane età l’unico rimedio davvero compensativo è rappresentato dal trapianto. A questo scopo - continua Manconi - sarebbe necessario che il recluso venisse messo nelle condizioni igienico sanitarie, di assistenza e di alimentazione, di tranquillità psicologica le più adeguate al trapianto”. “D’altra parte - aggiunge Manconi - dal momento che la dipendenza dalla macchina della dialisi - necessaria per poter restare in vita - rappresenta di sicuro un appesantimento della sua condizione psicologica, il quadro generale di Brian Gaetano Bottigliero segnala, in maniera inequivocabile, la sua assoluta incompatibilità con la condizione carceraria secondo quanto previsto dall’ordinamento penitenziario. Tale incompatibilità non è stata riconosciuta dal Tribunale che - incredibilmente a mio avviso - ha sostenuto l’impossibilità di concedere la detenzione domiciliare perché sussisterebbero pericolo di fuga e di reiterazione del reato”. Caltanissetta: nel carcere di San Cataldo detenuto aggredisce agenti con lo sgabello Agi, 15 novembre 2013 Un detenuto palermitano si è rifiutato di uscire dalla cella durante una perquisizione e ha colpito uno sgabello cinque agenti della polizia penitenziaria nel carcere di San Cataldo (Caltanissetta). Per i 5 agenti è stata necessaria una medicazione al pronto soccorso. Lo riferisce il Sappe, sindacato autonomo del personale di custodia, il cui segretario generale, Donato Capece afferma: “Nei 206 istituti penitenziari nel primo semestre del 2013 si sono registrati 3.287 atti di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 1.880 colluttazioni e 468 ferimenti: 3.965 sono stati i detenuti protagonisti di sciopero della fame, mentre purtroppo 18 sono i morti per suicidio e 64 per cause naturali”. Capece punta il dito contro il “sovraffollamento che ha raggiunto livelli patologici, con oltre 65mila reclusi per una capienza di 40mila posti”. Spoleto (Pg): la Fns-Cisl denuncia; detenuto colpisce ispettore con pugno al volto Il Messaggero, 15 novembre 2013 Ha aggredito un ispettore di polizia penitenziaria con un pugno al volto che l’ha costretto a ricorrere alle cure dei medici. L’ennesima aggressione in carcere ai danni di un poliziotto è avvenuta a Spoleto, ad opera di un detenuto che già in passato si era reso protagonista di episodi simili. Lo ha reso noto la segreteria regionale della Fns-Cisl, denunciando “l’ennesima vile aggressione da parte dello stesso detenuto, già in passato al centro di numerosi episodi di violenza nei confronti del personale di polizia penitenziaria della Casa di Reclusione di Spoleto”. L’ispettore, in questo caso, sarebbe stato sorpreso alle spalle e colpito con un pugno al volto. Le sue condizioni, fortunatamente, non sono gravi (ha riportato un ematoma allo zigomo, 8 giorni di prognosi) ma il problema resta. L’amarezza del sindacato, che ha anche espresso solidarietà al collega ferito: “Dobbiamo evidenziare che pur trattandosi di un soggetto altamente pericoloso, l’amministrazione centrale non ha ancora adottato alcun provvedimento per allontanare il detenuto ormai ben tristemente noto nell’Istituto di Spoleto”. Da qui la richiesta della Fns-Cisl all’amministrazione centrale di “agevolare le richieste dell’autorità dirigente locale, adottando decisioni tempestive quando si presentano problemi di questo genere”. Genova: servizio socio-sanitario in carcere, bocciato ricorso della Coop. Biscione La Repubblica, 15 novembre 2013 Il “Biscione” chiedeva che nella gara d’appalto venisse riconosciuto il suo lavoro in carcere. Il Tar respinge il ricorso presentato dal “Biscione”, la cooperativa che dentro il carcere di Marassi si occupa del recupero dei tossicodipendenti e che si era rivolta alla giustizia amministrativa per vedersi riconosciuto il merito di avere operato per 15 anni. La sentenza è stata emanata l’altro ieri, ed anche se al momento non si conoscono le motivazioni che saranno depositate nei prossimi giorni, respinge le argomentazione e condanna la Onlus anche al pagamento delle spese processuali. La cooperativa sociale, assistita dall’avvocato Emilio Robotti, aveva presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria contro la Asl Tre Genovese e la Cress (Consorzio Regionale Servizi Sociali) che aveva avuto l’appalto del servizio socio - sanitario, vinto con bando di concorso pubblico. Anche se questi ultimi non si sono costituiti in giudizio. Secondo quanto hanno sostenuto i ricorrenti, la gara sarebbe stata assegnata non per meriti specialistici e professionali, quanto invece per il prezzo al ribasso. Come nelle intenzioni della Asl Tre, nel rispetto della spending review. Il bando di gara si era chiuso il 20 settembre scorso e il successivo ricorso al Tar senza entrare nel merito aveva portato ad una pronuncia di sospensiva della procedura, in un primo momento bloccando l’assegnazione da parte della Asl Tre. Adesso, con la bocciatura gli operatori sociosanitari del “Biscione” escono di scena. Si riparte con l’apertura delle buste, a meno che non sopraggiunga l’appello in secondo grado al Consiglio di Stato. L’assegnazione del servizio è molto atteso tra le Case Rosse di Marassi, un carcere sovraffollato, dove ogni anno sono circa un migliaio i detenuti che necessitano di assistenza psicologica (soprattutto quelli che vi entrano per la prima volta), i tossicodipendenti ed i malati di Hiv affidati alla sezione di custodia attenuata ed inseriti nel centro clinico regionale all’interno della casa circondariale. Massa: oggi sopralluogo di Chincarini (Cd), previsto incontro con il medico Cinquini Adnkronos, 15 novembre 2013 Questa mattina, Maria Luisa Chincarini, capogruppo di Centro Democratico in Consiglio regionale della Toscana e segretario della IV Commissione regionale Sanità e Politiche Sociali, ha effettuato un sopralluogo presso la Casa di Reclusione di Massa. L’obiettivo della visita, che si inserisce in scia ai già numerosi sopralluoghi effettuati negli ultimi anni da Chincarini in tutte le carceri della Toscana, è quello di “verificare, in generale, le condizioni dei detenuti, la situazione d’organico della polizia penitenziaria e lo stato delle infrastrutture del carcere e dei macchinari industriali ad esso annessi”. In particolare, la capogruppo Chincarini, informa una nota, “intende incontrare e capire meglio la situazione del medico di Pietrasanta Fabrizio Cinquini che, secondo quanto riportato da fonti di stampa nei giorni scorsi, avrebbe diritto agli arresti domiciliari ma resta ancora dietro le sbarre in attesa di giudizio, a causa, a quanto si apprende, di un errore burocratico”. Cagliari: Sdr; Poste Italiane negano a detenuto l’uso del libretto rilasciato a Saluzzo Un detenuto del carcere cagliaritano di Buoncammino non può utilizzare il libretto postale al portatore regolarmente rilasciatogli dall’ufficio postale di Saluzzo. I tentativi del segretario di SdR Gianni Massa, delegato dal titolare ad effettuare un prelievo, si sono infranti contro il muro della burocrazia dell’Ente Poste, come peraltro avvenuto altre volte in occasione del ritiro delle pensioni o di altre somme da riscuotere. È questa - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme - l’ulteriore conferma dell’atteggiamento discriminatorio dell’amministrazione postale nei confronti dei cittadini ristretti a Buoncammino. Un’utenza di circa 500 cittadini che meriterebbe maggiore attenzione da un Ente che gestisce un servizio pubblico. Nel caso specifico al segretario dell’associazione - precisa la presidente di SDR - sono state illustrate le modalità di funzionamento del Banco Posta per l’utilizzo del libretto di risparmio: può ritirare fino a 600 euro alla volta solo il titolare presentandosi personalmente nell’ufficio dove è stato sottoscritto il contratto. La delega, sottoscritta ed autenticata dal Direttore del carcere, per essere accettata deve essere compilata nell’apposito modulo dell’amministrazione postale. È quindi impossibile per l’interessato poter avere a disposizione la somma richiesta e da lui regolarmente risparmiata. Una situazione paradossale e inaccettabile che - sottolinea l’ex consigliera regionale socialista - un minimo di buona volontà da parte dei dirigenti provinciali avrebbe consentito di superare. Sarebbe stato infatti sufficiente autorizzare l’impiegato ad effettuare una telefonata all’ufficio postale di Saluzzo per garantire la copertura dell’operazione richiesta e a riconoscere la validità della delega, anche se non compilata nell’apposito modulo, rilasciata dalla Casa Circondariale con la firma del Direttore in carica che, tra l’altro, è un pubblico ufficiale. È indispensabile - conclude la presidente di Socialismo Diritti Riforme - che i vertici dell’Ente Poste intervengano tempestivamente per evitare che i cittadini ristretti possano utilizzare i servizi come gli altri utenti e finiscano di subire anche i pesanti disservizi nella consegna e nella spedizione della corrispondenza. Empoli: “A scuola di libertà”, studenti a confronto coi detenuti sulla vita in carcere di Ylenia Cecchetti La Nazione, 15 novembre 2013 I ragazzi del Pontormo: “Esperienza che fa cambiare, in meglio”. Due universi distanti che si incontrano. Uno significa costrizione, l’altro libertà. La scuola conosce il carcere e lo fa in occasione della giornata nazionale di informazione “A scuola di libertà” promossa dalla conferenza nazionale volontariato giustizia e celebrata ieri all’auditorium del Pontormo. Nella sala, affollata da centinaia di ragazzi silenziosi, c’era tanto da ascoltare e da imparare dai racconti e dalle testimonianze di detenuti ed ex - detenuti, esperti di giustizia e volontari. La mattinata è stata introdotta dal dirigente scolastico Silvano Salvadori: “Solidarietà, prevenzione, responsabilità. Questi i valori principali che la scuola deve trasmettere”. Tra gli ospiti, il vicesindaco con delega al sociale, Carlo Pasquinucci, Franco Corleone, garante regionale dei diritti dei detenuti, Rossella Giazzi dell’ufficio regionale dell’amministrazione penitenziaria e l’avvocato Michele Passione. Tutti d’accordo sul fatto che “il carcere da solo non basta nel percorso di reinserimento nella società. C’è bisogno della rete civile, dei rapporti con la scuola, col territorio, col mondo del lavoro e del volontariato”. Ecco perché si è parlato dell’importanza di fare volontariato in carcere con Costanzo Campigli (Misericordia Empoli) e Maria Polizzotto (“L’acqua in gabbia” di Vinci). Parole e immagini hanno raccontato il progetto “Oltre i muri” portato avanti dalle ragazze del liceo delle scienze umane insieme alle “colleghe” attrici e detenute della casa circondariale di Empoli e curato dal Giallo Mare Minimal Teatro. “Andiamo avanti nonostante le difficoltà e la carenza di risorse - spiega il direttore del carcere Graziano Pujia - Si fanno tante attività. È un’isola felice in un mondo altrimenti difficile”. Tra le studentesse qualche commento sugli ultimi fatti di cronaca. “Lo scandalo delle baby squillo - per Angela Santangelo - è sconvolgente. Così come quello che vede Paolini coinvolto nel reato di induzione alla prostituzione minorile. I ragazzi abusati hanno ammesso di aver accettato non tanto per i soldi, ma per un momento di popolarità. Ma dove sta l’educazione? Le nuove generazioni vogliono trasgredire a tutti i costi e i genitori sono assenti, permissivi”. “È la crisi dei valori - aggiunge Laura Magnani - e poi bisogna stare attenti a navigare su internet. Basta poco per cadere in trappola”. Margherita Malanchi, sostiene: “È giusto che chi sbaglia paghi. Però sono a favore delle attività di rieducazione”. Chiara Melucci invece ricorda con commozione la visita a Sollicciano. “Siamo stati con la scuola a vedere l’Orlando Furioso. Trovarsi di fronte a un carcerato? Un’esperienza che mi ha cambiato. In positivo”. Catanzaro: il reinserimento sociale attraverso percorso formativo organizzato da Csv www.calabrianotizie.it, 15 novembre 2013 Di fronte al dato allarmante del sovraffollamento e della vetustà delle carceri italiane, a cui si ricollega il drastico aumento del numero dei suicidi, i Centri di Servizio per il Volontariato della Calabria hanno inteso organizzare in maniera congiunta un percorso formativo che coinvolge i volontari o aspiranti tali attenti alla realtà carceraria. L’intervento del volontariato mira infatti a conoscere e a sviluppare competenze in grado di promuovere azioni volte al recupero ed al reinserimento sociale dei detenuti, ed a spingere la società civile ad interrogarsi su tali problematiche. L’incontro è fissato per il prossimo 22 novembre, presso il Grand Hotel Lamezia a Lamezia Terme, dalle ore 10 alle ore 17. Per proporre la propria adesione, bisogna compilare la scheda di adesione, scaricabile insieme al programma della giornata dal sito del Csv Catanzaro e inviarla all’indirizzo mail segreteria@csvcatanzaro. Salerno: Banco Editoriale su iniziativa delle Acli, in carcere più liberi grazie ai libri di Mattia A. Carpinelli La Città di Salerno, 15 novembre 2013 La cultura rendi liberi. E i libri, in modo particolare, aiutano ad evadere. In questo caso, però, le parole “libertà” ed “evasione” potrebbero apparire inopportune se accostate ai detenuti. Loro, infatti, la libertà l’hanno momentaneamente persa e l’evasione, intesa come fuga, è illegale. Ma c’è un modo sicuramente legale per sentirsi liberi, almeno per qualche ora, dall’oppressione di vivere in una cella di tre metri per tre, magari divisa con tre, quattro o cinque compagni. Quello offerto dai libri. Lo hanno pensato con convinzione a Verona quando, nel 2011, fu partorito il progetto di donare libri alla casa circondariale scaligera. Un’iniziativa che ha riscosso subito successo ed è stata spostata dalle Acli che da domani al 24 novembre in sei città italiane (oltre a Salerno, Roma, Viterbo, Palermo, Milano e Verona) attiveranno il banco editoriale 2013 che, non a caso, si chiama “Lib(e)ro”. Da oggi, quindi, in tutti i punti Feltrinelli di Salerno e provincia si potranno acquistare dei libri che andranno ad arricchire la biblioteca della casa circondariale di Fuorni. Non un regalo - ha spiegato Gianluca Mastrovito, presidente delle Acli di Salerno - ma un dono. Vogliamo che i lettori donino ad altri potenziali lettori il libro della loro vita, quello che li ha segnati”. E per far entrare ancora di più in contatto questi due mondi, è stata pensata anche una cartolina che gli acquirenti potranno compilare con un messaggio, anche anonimo, da lasciare all’interno del libro. “Oggi si parla molto della condizione delle carceri italiane ma, - ha affermato Daniele Datterino, direttore di Feltrinelli Salerno - nessuno conosce bene cosa c’è al di là delle sbarre di un carcere. Questa iniziativa vuole creare un ponte di comunicazione tra chi è dentro e chi è fuori”. L’iniziativa è stata accolta con Favore anche dal cappellano del carcere di Salerno, don Rosario Petrone. Treviso: “Fuori di gabbia”, dai detenuti-artigiani nasce una linea di nidi artificiali Redattore Sociale, 15 novembre 2013 Sei persone ristrette lavorano insieme a un gruppo di architetti, designer, copywriter, esperti di falegnameria. La linea “Fuori di gabbia” ha anche un sito internet e una pagina Facebook con curiosità sul mondo degli uccelli. I detenuti diventano artigiani e danno vita a una linea di nidi artificiali. Succede a Treviso, all’interno della casa circondariale dove ha preso vita la linea “Fuori di gabbia”, realizzata dalle persone ristrette insieme a un gruppo di architetti, designer, copywriter, esperti di falegnameria. L’obiettivo del progetto, sostenuto dalla Caritas tarvisina e realizzato dalle cooperative “Alternativa” e “Punto Zero”, è di offrire la possibilità di lavoro e di riscatto a quanti si trovano a scontare una pena. “L’idea è semplice - si legge nel sito del progetto, www.fuoridigabbia.it - : dare una speranza a chi l’ha persa, dare una casa a chi non ce l’ha. Anzi, una casetta! Che a realizzarla sia un gruppo di detenuti, lavorando fuori di gabbia, ci pare già un risultato importante. Un’occasione per tornare a spiccare il volo, perché l’esperienza del carcere sia realmente un modo per riabilitarsi e cominciare una vita diversa”. La linea dispone anche di una pagina Facebook (www.facebook.com/FuoriDiGabbia) che raccoglie storie, curiosità, informazioni utili relativamente al mondo degli uccelli. I detenuti - sei quelli coinvolti - curano il processo di realizzazione dall’inizio alla fine: non solo l’opera di falegnameria, ma anche la creazione degli adesivi, l’imballaggio e tutte le fasi di produzione. Si possono trovare nidi di tre tipologie diverse, con caratteristiche apposite per aiutare pipistrelli, merli e cinciallegre che hanno dimensioni e abitudini differenti. Le casette sono facili da montare, da installare e soprattutto semplici da rimuovere e pulire. I nidi si possono acquistare on line oppure nella sede di Alternativa Cooperativa Sociale, a Vascon di Carbonera in via Callegari 32. La casa circondariale trevigiana ospita al momento 300 detenuti, a fronte di una capienza di 127. Di questi, complessivamente una trentina sono impegnati in attività lavorative all’interno dei laboratori. Rimini: “Liberi dentro”, un’iniziativa tra il carcere e la città, i detenuti si raccontano www.riminitoday.it, 15 novembre 2013 Il vicesindaco e assessore al Welfare Gloria Lisi ha spiegato il rapporto tra la realtà del carcere e la città “La realtà dei detenuti, dei cittadini che vivono l’esperienza del carcere, deve essere sempre più presente nelle politiche dell’Amministrazione. Dobbiamo ricordare alla città che esiste questo mondo, sviluppare una sensibilità all’accoglienza per chi dopo un periodo in casa circondariale, tenta il difficile percorso del reinserimento nella società. I detenuti non devono perdere la speranza di un nuovo futuro”. Il vicesindaco e assessore al Welfare Gloria Lisi ha spiegato il rapporto tra la realtà del carcere e la città. Nell’occasione sono state presentate alcune attività e iniziative portate avanti all’interno del carcere, tra cui il giornalino “Liberi dentro”, realizzato dai detenuti con il sostegno di volontari dell’Associazione Madonna della Carità e operatori. “Si tratta di un’iniziativa che è piaciuta molto - spiega il direttore del carcere Palma Mercurio - è uno spazio di riflessione che mette i detenuti a confronto con le regole del giornalismo e che permette loro di riflettere sulla propria condizione, sul proprio passato, e condividerlo con gli altri”. “Un momento - chiosa Mercurio - in cui vivono in maniera diversa l’esperienza del carcere”. In questa direzione va anche il progetto di “umanizzazione della pena”, che “consiste nell’aumento di spazi di libertà del detenuto all’interno delle mura dell’istituto - spiega il direttore - Per 9 ore al giorno i detenuti possono uscire dalle celle per attività, per leggere, per fare dei lavori. È una rivoluzione silenziosa, che riguarda non solo i detenuti, ma anche il modo di relazionarsi degli operatori e degli agenti di polizia penitenziaria che lavorano in carcere”. Firenze: “Sentimenti incollati a mano”, mostra di oggetti di carta realizzati dai detenuti La Repubblica, 15 novembre 2013 “Sentimenti incollati a mano” è una mostra mercato di oggetti (prevalentemente) di cartapesta creati dal gruppo Liberincarta. Il gruppo, nato nell’aprile del 2013 all’interno dell’Istituto penitenziario fiorentino Gozzini raccoglie lo sforzo e l’impegno di alcune persone detenute. Ci sono maschere, piccoli quadretti, immagini e altri oggetti in questa mostra, che costituisce il momento finale e pubblico di un percorso progettuale articolato. Dal 16 al 27 novembre presso la Libreria delle donne (Firenze, via Fiesolana) si potranno acquistare ad offerta i pezzi realizzati a mano. Droghe: reati di canapa... a quale ritmo si ingolfano le carceri? www.agoravox.it, 15 novembre 2013 Quanti detenuti può contenere il sistema carcerario italiano? La risposta più precisa a un quesito ciclicamente finito al centro di dibattiti non può che fornirla il dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) afferente al ministero della Giustizia. Ebbene, la capienza complessiva delle nostre carceri supera di poche unità le 45.500: per l’esattezza i posti totali nei 206 istituti di detenzione presenti sullo stivale sono 45.568. In termini generici siamo a conoscenza anche di essere afflitti da un serio problema di sovraffollamento delle carceri, ma in che misura? Al 31 dicembre 2012 i detenuti in carico a tale sistema penitenziario erano 65.701, quelli ristretti all’applicazione dell’articolo 73 della legge Fini - Giovanardi (detenzione di sostanze stupefacenti) 25.269, pari al 38,46%. In soldoni, poco meno del 40% di detenuti è finito nelle patrie galere a causa di droghe, tutte le droghe. Già, perché la più vistosa anomalia della legge 49 del 2006 è proprio quella di raggruppare tutte le tipologie di sostanze all’interno della tabella 1, equiparando - pur con quantitativi diversi - detenzione di cocaina, eroina e droghe sintetiche a marijuana e hascisc, precedentemente considerate “leggere”. Tale distinzione si tramutava anche in un differente livellamento della pena per gli spacciatori: non più detenzione da 2 a 6 anni per i secondi e da 6 a 20 per gli altri, bensì tutti infilati nel “calderone grosso”. La controprova dell’effetto ingolfante di tale provvedimento si può ottenere confrontando questi numeri con le cifre di detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2006 per il medesimo reato di detenzione: 14.640, poco più della metà. Cifre che aumentano a livelli esponenziali e diventano pantagrueliche se rapportate al numero di ingressi in carcere nel 2012 per violazione dell’art. 74 (associazione finalizzata al traffico): appena 250 detenuti che, uniti a quelli già presenti, neppure arrivano al migliaio - 761 per l’esattezza. Non bastasse l’incostituzionalità della Fini - Giovanardi, la questione - carceri si è riverberata anche su scala europea nei consueti termini sanzionatori, dal momento che a maggio 2014 scade l’ultimatum della Corte di Strasburgo all’Italia sulla violazione dei diritti umani nelle carceri: bisogna garantire a ogni detenuto in cella uno spazio minimo di 4 metri quadrati sufficientemente illuminato e pulito, oltre ad assicurarsi che il detenuto passi un adeguato numero di ore all’esterno della cella tramite attività sociali interne alle strutture. In caso di inadempimento, i quasi 67.000 detenuti facenti parte della popolazione carceraria italiana dovranno essere risarciti, ulteriore beffarda conseguenza per l’erario di una norma da più parti e per le ragioni più disparate additata come scellerata. Per avere un’idea del ritmo con cui il nostro sistema carcerario viene riempito abbiamo ristretto l’attenzione ai primi giorni di novembre: dal 31 ottobre al nove novembre sono stati ben 33 gli arresti legati alla marijuana, dal semplice consumo allo spaccio. Coinvolte con almeno un arresto tredici regioni su venti e diciannove province su 107, quasi il 18%. E si tratta di arresti che colpiscono trasversalmente tutte le fasce d’età: dal ragazzo bolognese arrestato il 2 novembre con 40 chili di marijuana al 42enne casertano o ai bresciani di 39 e 42 anni che arrotondavano il loro lavoro di operai coprendo con lo spaccio un’area di decine di chilometri. E poi un pregiudicato a Cagliari, due coniugi a Ponzano (TV), un cuoco a Verona, un parrucchiere a Cervia (RA). A Palermo un 26enne e un 36enne sono stati processati per direttissima, rimediando una condanna a 14 mesi di carcere e il pagamento di una penale di 20mila euro. Tra tutti questi sono solamente due gli stranieri un 36enne marocchino arrestato a Bari e un albanese anch’egli 36enne, entrambi finiti dentro per spaccio. Tutto ciò, se si esclude l’operazione “Laser” che a Lucca ha portato all’arresto di sei persone e scoperchiato un’intera organizzazioni con ramificazioni anche nel pisano, potrebbe essere già sufficiente per portare alla conclusione che il sistema repressivo voluto dalla 49/2006 - oltre a essere deleterio - punta al basso e a finire in carcere sono consumatori e “pesci piccoli” dello spaccio, senza che mai si scalfiscano i consueti potentati che di tale mercato muovono i fili. Eppure c’è un dato ancor più allarmante che fotografa questo perenne livellamento verso il basso ed è quello che riguarda il totale delle denunce nel 2012: ben il 42,5% sono proprio legate alla cannabis. In crescita anche le segnalazioni al prefetto per il solo consumo personale: dopo una flessione a cavallo fra 2009 e 2010 sono passate dalle 32.575 di quest’ultimo anno alle 35.762 del 2012. Circoscrivendo anche qui il campo alle sostanze cannabinoidi, il rapporto diviene clamoroso: 28.095, vale a dire oltre due terzi del totale, ben il 78,56%. Non meno sanguinoso il discorso inerente le sanzioni amministrative, più che raddoppiate nell’arco 2006/2012 e passate da 7.229 a 16.205. Il contatore di persone segnalate ai prefetti per sanzioni di tale natura dal 1990 al 2012 si avvicina pericolosamente ai sei zeri: 853.004, quasi un milione di cittadini. Visti i numeri è impossibile non cogliere il giro di vite attuato dal legislatore intorno al consumo dello spinello, dal quale ci si attenderebbe quantomeno qualche riflesso deterrente sui soggetti più penalizzati dalla generalizzata severità del provvedimento, gli assuntori di cannabis per l’appunto. E invece uno studio Onu dello stesso 2012 svela che l’Italia è il primo Paese occidentale in assoluto per consumo di cannabis: le persone che ne fanno uso saltuariamente o abitualmente risultano essere il 17,3% della popolazione, ovvero circa 5 milioni. Laddove il buon senso del legislatore latita, forse a volte basterebbe un pizzico di sano pragmatismo, capace di innescare effetti economici virtuosi sia in termini di gettito che di sottrazione di consistenti fette di mercato ai soliti noti del settore, ammesso che si intenda remare in questa direzione. India: l’Unione europea sui marò italiani, caso sia risolto più rapidamente possibile Asca, 15 novembre 2013 L’Unione europea auspica che il caso dei due maro’ detenuti in India sia “risolto il più rapidamente possibile”. Lo ha detto all’Asca uno dei portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, all’indomani dell’audizione in Senato dell’inviato speciale del governo Staffan de Mistura. “L’Ue ha chiesto sia all’Italia che all’India di arrivare a una soluzione in uno spirito amichevole, di cooperazione e nel pieno rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali”, ha aggiunto il portavoce. Il giudizio di Bruxelles giunge dopo il video interrogatorio condotto lunedì dagli agenti della Nia nei confronti degli altri 4 fucilieri di Marina (Renato Voglino, Antonio Fontana, Massimo Andronico e Alessandro Conte), che il 15 febbraio del 2012 erano a bordo della Enrica Lexie insieme a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone al momento dell’incidente. Ora, con l’audizione degli altri 4 fucilieri si è chiusa la fase delle indagini e la sentenza della Corte Suprema indiana, inizialmente attesa per dicembre, potrebbe dunque slittare (di 3 mesi) a marzo 2014. Birmania: 69 detenuti, tra cui diversi prigionieri politici, liberati per “ragioni umanitarie” La Repubblica, 15 novembre 2013 Le autorità birmane hanno liberato altri 69 detenuti, tra cui diversi prigionieri politici, per “ragioni umanitarie”. Lo ha comunicato l’ufficio della presidenza dopo che nello scorso luglio il presidente Thein Sein aveva annunciato che tutti i prigionieri politici detenuti nelle carceri del Paese sarebbero stati scarcerati entro la fine dell’anno. Secondo le associazioni di tutela dei diritti umani sono ancora più di un centinaio i detenuti ancora in carcere. Spagna: liberatati 13 detenuti dell’Eta, dopo verdetto Corte di Strasburgo Asca, 15 novembre 2013 La giustizia spagnola ha deciso oggi di rimettere in libertà tredici terroristi dell’Eta, detenuti nel carcere di La Coruna. Lo ha reso noto una fonte della magistratura iberica ai media locali. La decisione della giustizia spagnola è in linea con il pronunciamento del 20 ottobre scorso della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha consentito il rilascio di 24 militanti del gruppo terrorista basco. Fra i detenuti dell’Eta oggi rimessi in libertà c’è anche un volto storico del gruppo armato, Josè Antonio Lopez Ruiz, detto “Kubati”, arrestato nel 1987 e condannato a 1.210 anni di carcere per l’assassinio nel 1986 di una “pentita” dell’Eta, Dolores Gonzalez Catarain. Stati Uniti: contea Texas adotta misure contro discriminazione gay in carcere La Presse, 15 novembre 2013 Lo sceriffo della contea di Harris, in cui si trova la città texana di Houston, ha adottato delle politiche mirate a proteggere e a garantire trattamenti equi per i detenuti gay, bisessuali o transessuali. L’ufficio dello sceriffo della contea è il primo a mettere in pratica questo tipo di misure in Texas e i suoi provvedimenti sono ritenuti fra i più completi degli Usa. Le nuove misure prevedono, ad esempio, che i transessuali possano scegliere se essere detenuti fra i maschi o le femmine, in base al genere sessuale con cui si identificano. Associated Press è entrata in possesso di una copia delle nuove politiche prima dell’annuncio ufficiale, che verrà dato nelle prossime ore. “Discriminazioni o molestie di qualunque genere gasate sull’orientamento o sull’identità sessuali sono rigidamente vietate”, recitano le nuove norme della contea. Arabia Saudita: arrestati 20 etiopi, manifestavano contro le espulsioni dei clandestini Nova, 15 novembre 2013 Le autorità saudite hanno arrestato questa mattina 20 immigrati etiopi che avevano inscenato una manifestazione nella città portuale di Gedda. Secondo quanto ha annunciato il portavoce della polizia saudita, Nawaf al Buq, all’emittente televisiva “al Arabiya”, questa mattina il gruppo di etiopi aveva inscenato una manifestazione di protesta davanti al centro di detenzione temporanea della città portuale saudita, dove vengono portati gli immigrati irregolari prima di essere espulsi dalle autorità di Riad. Il gruppo di manifestanti voleva chiedere la liberazione degli immigrati illegali detenuti, in buona parte etiopi, pakistani e bengalesi. Nei giorni scorsi, gruppi di immigrati irregolari etiopi hanno provocato scontri con la polizia e si sono registrate vittime in diverse zone dell’Arabia Saudita. Le autorità di Riad hanno avviato una campagna di espulsioni degli immigrati regolari per combattere l’aumento della disoccupazione tra i cittadini sauditi. Russia: Nadezhda Tolokonnikova trasferita in Siberia, ente carceri conferma Tm News, 15 novembre 2013 Le autorità penitenziarie russe hanno ufficializzato il trasferimento in una prigione siberiana di Nadezhda Tolokonnikova, una delle due esponenti del gruppo punk Pussy Riot in carcere per la “preghiera anti - Putin” in una chiesa di Mosca. La vicenda del trasferimento era diventata un vero e proprio giallo tra notizie di partenza dalla colonia penale della Mordovia dove Tolokonnikova si trovava in precedenza e nessuna comunicazione ufficiale alla famiglia sulla nuova destinazione, anche se il marito, Pyotr Verzilov, da settimane sostiene che Nadezhda sarebbe stata mandata in Siberia. Oggi, due righe sul sito del Servizio Penitenziario Federale comunicano l’arrivo di Tolokonnikova sul territorio di Krasnoyarsk. La famiglia è stata informata, conclude il laconico comunicato. Secondo l’ombudsman per i diritti umani, Vladimir Lukin, l’amministrazione penitenziaria sostiene di aver deciso di spostare Tolokonnikova in Siberia, perché questa è la sua regione natale e in una città siberiana - Norilsk - risulta residente. L’idea dell’ente che fa da regia al sistema carcerario russo (Fsin) è che questo servirà alla “risocializzazione” della giovane: il concetto non viene ulteriormente dettagliato. In realtà Tolokonnikova aveva chiesto il trasferimento, denunciando con uno sciopero della fame condizioni insostenibili nella colonia penale in Mordovia e anche minacce di morte da parte della dirigenza del carcere, accusa che non sono mai state verificate dalla magistratura. Per il marito e anche per varie organizzazioni per i diritti, lo spostamento verso un carcere siberiano è in realtà da leggere come una punizione. Messico, sette detenuti evadono da carcere di Reynosa, sono ricercati La Presse, 15 novembre 2013 Sette detenuti sono fuggiti da una prigione della città di Reynosa, in Messico, al confine con il Texas. Lo rende noto il governo dello stato di Tamaulipas. I sette sono scappati poco prima dell’alba e le guardie si sono accorte della fuga soltanto al momento dell’appello mattutino. Sei dei detenuti erano stati condannati per reati federali, mentre uno per crimini di Stato. Le autorità, però, non hanno specificato le singole accuse, anche se si tratterebbe di traffico di droga, possesso di armi e omicidio. Domenica scorsa sei detenuti erano stati uccisi a coltellate nella stessa prigione.