Giustizia: sul Garante nazionale dei diritti dei detenuti Letta batta un colpo di Patrizio Gonnella (Presidente Antigone) Il Manifesto, 14 novembre 2013 L’Italia deve rispondere all’Europa e all’Onu. Le proposte sono in parlamento. Dopo il messaggio del Capo dello Stato alle Camere dello scorso 8 ottobre, dopo le polemiche sulle telefonate Cancellieri- Ligresti, che ne è rimasto del grande problema delle carceri fuori legge? Nei giorni scorsi abbiamo avuto la sensazione triste che il tema della dignità umana violata nelle prigioni italiane fosse anch’esso prigioniero di Berlusconi. Amnistia, indulto, riforme, detenuti morti in carcere sono stati tutti argomenti usati per sostenere strumentalmente una o l’altra delle posizioni in campo. Le inchieste giornalistiche sulla salute negata nelle carceri italiana o il racconto di storie di detenuti anoressici in stato di abbandono terapeutico sono stati utilizzati non per svelare autenticamente l’ingiustizia e la disumanità del sistema ma solo per fini politici. Abbiamo sentito convinti giustizialisti indignarsi perché non tutti sono trattati allo stesso modo, ovvero male. Abbiamo subito l’onta di prediche moralistiche provenienti dai settori più xenofobi della scena politica italiana. In questi giorni, quando il tema carcerario è tornato pericolosamente nell’oblio della grande informazione, si sono levate le voci di sempre per cercare di illuminare il cono d’ombra penitenziario. Marco Pannella ha ricominciato lo sciopero della sete e della fame. Noi, con tutte le organizzazioni impegnate nella campagna per le tre leggi di iniziativa popolare sulla giustizia, abbiamo affidato a un gruppo di parlamentari quelle proposte che costituiscono un programma per una nuova giustizia penale e penitenziaria. Gli onorevoli Scalfarotto, Raciti e Coccia del Pd e Migliore e Farina di Sel sono i primi firmatari di una serie di progetti di legge che, se approvati, rivoluzionerebbero in senso democratico la nostra giustizia penale iniqua e asfittica, restituendo dignità alla parola “garantismo” che la destra berlusconiana ha deturpato. Le proposte prevedono: un cambio radicale e liberale della legislazione sulle sostanze stupefacenti; politiche di decongestionamento delle carceri a partire dall’abrogazione della Cirielli sulla recidiva, da un minore uso della custodia cautelare e dalla depenalizzazione di tutto ciò che riguarda l’immigrazione; l’introduzione del delitto di tortura nel codice penale; l’istituzione di un organismo di controllo di tutti i luoghi di privazione della libertà. Mi soffermo su quest’ultima proposta. L’Italia entro aprile 2014 deve dare vita obbligatoriamente a un organismo di questo tipo: si è impegnata in tal senso con le Nazioni Unite, ratificando il protocollo opzionale alla convenzione Onu contro la tortura. Gli internazionalisti lo chiamano Npm, National Preventive Mechanism. Francia, Inghilterra, Germania, i Paesi del nord Europa l’hanno istituito. L’Italia non ancora. È dal 1997 che Antigone ha portato questo tema nel dibattito politico e parlamentare italiano, finora senza successo. Il garante dei diritti delle persone private della libertà non è una figura giurisdizionale. Deve visitare i luoghi di detenzione, dare indicazioni, prevenire gli abusi, occuparsi dei casi singoli. Oggi, in mancanza di una figura di garanzia che nulla toglie alle funzioni importanti della magistratura di sorveglianza, i detenuti si rivolgono a chi capita per vedere tutelati i propri diritti. Molti ad esempio si rivolgono al difensore civico di Antigone. La vicenda Cancellieri-Ligresti evidenzia come il sistema sia strutturalmente carente di organismi indipendenti di garanzia. Nella carenza sistemica ognuno si arrangia come può. Ci appelliamo a tutte le forze politiche non xenofobe e illiberali affinché approvino in tempi rapidi la proposta di legge, la cui discussione da poco è iniziata in Senato. Ci appelliamo al Governo Letta perché dica una parola a riguardo, così rispondendo a tutte le accuse di una giustizia che funziona a varie velocità. L’Italia deve rispondere di questo all’Europa e all’Onu. Lo faccia bene con riforme che durino nel tempo. Giustizia: Governo e Parlamento al lavoro per ridurre la custodia cautelare di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 14 novembre 2013 Custodia cautelare, si cambia. Di nuovo sull’onda di un’emergenza, stavolta il carcere; di nuovo dopo un caso eclatante, stavolta l’assoluzione in primo grado dell’ex ad di Fastweb Silvio Scaglia finito in carcere per 80 giorni e ai domiciliari per un anno nell’ambito di un’inchiesta per una maxi frode. È la ventesima modifica in 24 anni e, c’è da giurarci, non sarà l’unica. Governo e Parlamento, stavolta, cercano di ridurre il ricorso alla custodia cautelare in carcere, più volte stigmatizzato anche dai vertici della magistratura in occasione delle cerimonie di apertura dell’anno giudiziario, nonché dal presidente della Repubblica, da ultimo nel messaggio alle Camere sull’emergenza carcere. Il ddl di riforma all’esame della commissione giustizia Alla Camera, in commissione Giustizia, dalla prossima settimana si votano gli emendamenti al ddl di riforma già calendarizzato per l’Aula a dicembre; e sempre la prossima settimana, il governo dovrebbe approvare in consiglio dei ministri il “pacchetto carcere”, anche se le norme per ridurre la custodia cautelare in carcere potrebbero essere stralciate e trasformate in emendamenti al ddl all’esame della Camera. “Vogliamo che la custodia cautelare in carcere diventi l’extrema ratio, costruendo però un percorso equilibrato tra esigenze di sicurezza e tutela della libertà personale” spiega Donatella Ferranti (Pd), presidente della commissione Giustizia della Camera e firmataria del ddl 631 adottato come testo base. Gli emendamenti presentati, una sessantina, sono in linea con la filosofia della riforma: le manette scattano solo se esiste un pericolo “concreto e attuale” e solo se il giudice ritiene che non siano evitabili ricorrendo (fino a 12 mesi, prorogabili di altri 6) anche al “cumulo” di misure interdittive (sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, di una professione, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ecc) e coercitive (obbligo di firma, di dimora, divieto di espatrio, divieto di frequentare la casa familiare, domiciliari ecc.). Emendamenti garantisti Alla luce di una serie di audizioni, anche con i presidenti delle commissioni ministeriali che hanno approfondito il tema, i due relatori, Carlo Sarro (Pdl) e Anna Rossomando (Pd) hanno presentato emendamenti in chiave garantista, come quello, ad esempio, secondo cui il Tribunale del riesame può annullare il provvedimento restrittivo del Gip se privo di un’autonoma valutazione degli indizi o degli elementi a difesa (quindi nei casi di “copia e incolla” rispetto alle richieste del Pm) e deve depositare l’ordinanza (anche in appello) entro 30 giorni. Quanto ai gruppi, né i 5 Stelle né la Lega hanno presentato proposte ostruzionistiche o in controtendenza, il che fa sperare in un iter spedito e costruttivo. Unica “stranezza” due emendamenti del Pdl che possono prestare il fianco a una lettura dietrologica poiché tipizzano fortemente il ricorso al carcere preventivo, poiché ne limitano il ricorso, se c’è il pericolo di reiterazione del reato, ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza o quando il giudice non può concedere i domiciliari per mancanza di “un’idonea privata dimora” (concetto più stretto di quello di domicilio, che rischia di penalizzare solo la marginalità sociale). Bozza del governo in via di definizione Le misure del governo, invece, sono parzialmente simili per quanto riguarda il cumulo di misure interdittive e coercitive come ipotesi alternativa e prioritaria rispetto al carcere. Ma nella bozza del ministero (peraltro più volte modificata e ancora in via di modifiche) l’applicabilità della custodia cautelare in carcere viene legata alla pena prevista per il reato, riportata da 5 a 6 anni, salvo, per i reati puniti da 4 a 6 anni, l’obbligo di una motivazione “rinforzata” del giudice sulle esigenze cautelari in carcere. La bozza prevede anche che a decidere sia il giudice collegiale ma è molto probabile che questa previsione salti e che le altre, eventualmente, si trasformino in emendamenti al ddl 631. Cancellieri: detenuti in attesa di giudizio diminuiti del 25% Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri - nella sua recente visita a Strasburgo al Consiglio d’Europa per dimostrare che l’Italia non sta con le mani in mano dopo la condanna per “trattamenti inumani e degradanti” dei detenuti costretti a vivere nel cronico sovraffollamento carcerario - ha ricordato che i detenuti in attesa di giudizio sono diminuiti del 25% rispetto al 2009: allora erano 30549, ora sono 24744, di cui 12348 in attesa della sentenza di primo grado. Tanti, sicuramente troppi, anche se il problema non è solo numerico ma soprattutto della “qualità” del carcere. Il che rende più stringente la domanda se la perdita della libertà, anche per esigenze cautelari, debba coincidere sempre e comunque con la detenzione in carcere, cioè con quel surplus di afflittività (non prevista da nessuna legge e anzi vietata dalla legge) che i detenuti, in attesa di giudizio e definitivi, sono costretti a subire nelle patrie galere, da cui spesso entrano sani ed escono - se escono vivi - malati. Svolta culturale necessaria Di qui la necessità di una svolta culturale, prima che normativa, nonché di una volontà politica ferrea di voltare pagina e di non cavalcare più demagogia e populismo che impediscono una riforma efficace e duratura. Di qui anche la necessità di non fermarsi alla custodia cautelare, ma di procedere a un intervento a 360 gradi che consenta di dare al carcere un volto umano e dignitoso, non disumano e degradante, rendendolo sensato per i detenuti, per la giustizia e per la sicurezza collettiva. Perciò Cancellieri, sebbene ancora convalescente per il recente intervento chirurgico alla spalla, sta insistendo per portare al più presto il suo pacchetto di misure - di cui il cuore è un decreto legge - al Consiglio dei ministri. Voleva farlo già per venerdì, ma si è deciso di rinviare alla prossima settimana, visto che la maggioranza - per i dissidi nel Pdl - rischia di vacillare. Giustizia: Antigone; depositate alla Camera le Tre leggi per la giustizia e i diritti Ristretti Orizzonti, 14 novembre 2013 Ieri 12 novembre 2013 sono stati depositati alla camera dei Deputati i testi delle proposte di legge di iniziativa popolare della Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe a firma degli Onorevoli Laura Coccia (Pd - Giovani democratici), Gennaro Migliore (Sel), Fausto Raciti (Pd - Giovani Democratici) e Ivan Scalfarotto (Pd). Vista l’urgenza dei temi trattati, su richiesta del Comitato promotore della Campagna e in attesa della verifica della regolarità formale delle firme raccolte nelle centinaia di banchetti organizzati nei mesi passati, si è deciso di anticiparne la presentazione. Nello specifico l’On.le Coccia ha presentato la proposta riguardante L’introduzione del garante nazionale dei detenuti e norme per la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti; l’On. Migliore quella riguardante Norme contro il sovraffollamento carcerario e per la legalità negli istituti di pena, l’On.le Raciti quella riguardante l’Introduzione del reato di tortura, l’On.le Scalfarotto, infine, quella recante Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope recanti la depenalizzazione del consumo e la riduzione dell’impatto penale. I testi completi sono disponibili sul sito 3leggi.it e presto anche in quello della Camera dei Deputati. Tutte le proposte hanno l’obiettivo di ripristinare la legalità nella carceri e di contrastare in modo sistemico il sovraffollamento agendo anche su quelle leggi che producono carcerazione senza produrre sicurezza. La proposta per L’introduzione del garante nazionale dei detenuti e norme per la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti si muove nella direzione dell’istituzione della figura del Garante nazionale delle persone private della libertà da intendersi come organo di garanzia, autorità autonoma e indipendente, con funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. In Europa una figura analoga esiste già negli ordinamenti di Austria, Ungheria, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Spagna, Portogallo, Inghilterra e Francia. Il disegno Norme contro il sovraffollamento carcerario e per la legalità negli istituti di pena vuole intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Nella proposta è presente anche la richiesta di abrogazione del reato di clandestinità. Con la proposta dell’Introduzione del reato di tortura nel codice penale, si vuole sopperire ad una lacuna normativa grave mancando in Italia il crimine di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite. La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico. L’ultimo disegno di legge Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope recanti la depenalizzazione del consumo e la riduzione dell’impatto penale propone la modifica dell’attuale legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese: chiedendo il superamento del paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi, la depenalizzazione dei consumi, la diversificazione del destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti, diminuendo le pene e restituendo centralità ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. La Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe è stata promossa da: A Buon diritto, Acat Italia, L’Altro Diritto, Associazione 21 luglio, Associazione difensori di Ufficio, A Roma, insieme - Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Saman, Bin Italia, Consiglio italiano per i rifugiati - Cir, Cgil, Cgil - Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Fondazione Franca e Franco Basaglia, Fondazione Giovanni Michelucci, Forum Droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Giustizia per i Diritti di Cittadinanzattiva Onlus, Gruppo Abele, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Itaca, Libertà e Giustizia, Lila Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, Medici contro la tortura, Naga, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Rete della Conoscenza, Società della Ragione, Società italiana di Psicologia penitenziaria, Unione Camere penali italiane, Vic - Volontari in carcere. Giustizia: Dap, la mappa delle strutture penitenziarie dismesse o mantenute Italpress, 14 novembre 2013 “A scadenze fisse vengono reiterate dagli organi di informazione affermazioni del tutto errate circa presunte strutture penitenziarie inutilizzate, stigmatizzando tali situazioni a fronte del problema del sovraffollamento delle carceri italiane. L’Amministrazione Penitenziaria ha più volte smentito tali notizie, ma se ancora permane l’equivoco sull’argomento, è opportuno offrire tutti i dettagli al riguardo per fugare definitivamente, si spera, qualunque dubbio o illazione”. Lo afferma in una nota il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “Le errate notizie si riferiscono, per lo più, ai complessi immobiliari che, prima della riforma dell’ordinamento giudiziario con la quale sono stati aboliti i mandamenti pretorili, venivano costruiti dai Comuni per essere destinati a Case Mandamentali, strutture di modesta dimensione e capienza, di 15-50 posti al massimo, utilizzate per ospitare detenuti arrestati o condannati all’arresto, di pertinenza delle Preture e sorvegliati da custodi, dipendenti Comunali - spiega il Dap. Sessantacinque di queste strutture già furono soppresse e restituite ai Comuni proprietari circa quindici anni fa, nel 1999, in applicazione dell’art. 34 della legge 265, mentre rimasero nella disponibilità dell’ Amministrazione Penitenziaria venticinque immobili che furono in seguito ancor più ridotti. Di scarsissimo rilievo sarebbe il loro contributo in relazione alla problematica del sovraffollamento per il ridottissimo numero di posti disponibili, per la dispersiva dislocazione sul territorio, per l’onere economico, assolutamente sproporzionato da affrontare a cagione dei necessari adeguamenti alle norme vigenti, per il rilevante ed incongruo impiego del personale che sarebbe necessario, indipendentemente dalle dimensioni delle strutture e dal numero dei detenuti ristretti”. “Basti solo considerare che una struttura da 50 posti, quale sono nel migliore dei casi le ex Case Mandamentali, necessita di 35/40 unità di Polizia Penitenziaria, suddivisi per tre turni, e almeno altri 5 funzionari della Amministrazione, mentre un contingente del genere garantisce ormai, in via ordinaria, la gestione di un moderno padiglione da 200 posti inserito all’interno di un istituto penitenziario”, prosegue il Dipartimento, che poi elenca le strutture dismesse, mantenute o ristrutturate: in Sicilia, sono stati mantenuti i complessi di Piazza Armerina, Castelvetrano e Gela. In Calabria viene mantenuta come casa di reclusione la struttura di Laureana di Borrello trasformata, grazie a una fattiva collaborazione con la società esterna, a istituto sperimentale a custodia attenuata. Viceversa, anche per la vicinanza della più moderna Casa Circondariale di Vibo Valentia, non sono state prese in carico le strutture di Mileto (VV), Squillace e Cropani (CZ). In Puglia si sono mantenuti i complessi di Altamura (BA) mentre sono stati dismessi quelli di Maglie (LE) Spinazzola (BA), Casamassima (BA), Trinitapoli (FG) e Rodi Garganico (FG) Bovino (FG) e Castelnuovo della Daunia (FG). Nelle Marche è stato aperto l’Istituto a custodia attenuata di Macerata Feltria (PS). In Toscana si è mantenuto il complesso di Massa Marittima (GR), per sopperire alle carenze della vetusta sede della Casa Circondariale di Grosseto; l’Istituto di Pontremoli (MS) è stato destinato a sede di Istituto per la Giustizia Minorile, mentre è stato dismesso quello di Pitigliano (GR). In Sardegna è stato conservato l’Istituto di Senorbì (CA), che sarà trasformato in ICAM Nel resto del territorio nazionale, si è proceduto alla dismissione di una serie di complessi: Pisticci e Irsina (MT) e Viggiano (PZ) in Basilicata, Cicciano (NA) e Morcone (BN) in Campania, San Valentino Citeriore (PE) in Abruzzo, Pontecorvo (FR) nel Lazio, Codigoro (FE) in Emilia Romagna, Revere (MN) in Lombardia, Bressanone e Merano (BZ) in Trentino Alto Adige. Giustizia: Sottosegretario Fadda; proroga chiusura Opg, più collaborazione con Regioni Ansa, 14 novembre 2013 “Il Governo ha riconosciuto la necessità di presentare un’ulteriore proroga per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari”, ma quello che serve è anche un “capovolgimento di sistema”, perché “fino ad oggi si è deciso senza le Regioni, ora bisogna “far in modo che che siano più coinvolte e, contemporaneamente, abbiano l’obbligo, con strumenti da individuare, di realizzare i programmi presentati”. È quanto dichiara il sottosegretario alla Salute Paolo Fadda in merito alla chiusura degli Opg, tema sul quale ha risposto oggi in Commissione Affari sociali della Camera, nel corso di un’interrogazione a risposta immediata dell’on. Vanna Iori (Pd). Sei, attualmente in Italia, le strutture che accolgono i malati mentali che compiono reati e che saranno sostituite da strutture che potranno ospitare 20 degenti ciascuna. Per la realizzazione di questo progetto, però, verrà annunciato ufficialmente a breve anche un secondo slittamento dei tempi di chiusura. “Presenteremo entro il 30 novembre al Parlamento la relazione in cui spigheremo quali le difficoltà incontrate e di quali strumenti ci stiamo dotando”. Non sarà però “solo una relazione del Governo”, ma “anche delle Regioni”, spiega Fadda, “insieme stabiliremo i protocolli entro i quali definire tempi e azioni da mettere in atto, perché questa battaglia di civiltà si vince solo con la collaborazione di tutti”. Giustizia: mozione di sfiducia del M5S al ministro Cancellieri, si vota il 21 novembre Corriere della Sera, 14 novembre 2013 Da un lato i partiti della maggioranza, che volevano prima approvare i decreti in scadenza. Dall’altro quelli di opposizione, Cinque Stelle in testa, decisi a stringere sui tempi. Alla fine la Camera voterà il 21 novembre, alle 16, la mozione di sfiducia presentata dai pentastellati contro il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri dopo il caso Ligresti. Lo ha deciso ieri la conferenza dei capigruppo, al termine di un’intensa discussione sui tempi del voto. Nel corso della riunione di ieri, Pd e Pdl hanno sottolineato la necessità di dare priorità al lavoro delle Camere sui decreti del governo che scadranno a breve. I gruppi di opposizione hanno ribattuto che non si può far trascorrere ancora troppo tempo rispetto al momento in cui il Guardasigilli è venuta a riferire alla Camera sulla vicenda Fonsai. Di qui la decisione di calendarizzare il voto per il 21 novembre. Ma non è esclusa la possibilità di un rinvio: potrebbe deciderlo una nuova riunione della capigruppo, nel caso il voto sul ministro si sovrapponesse con l’esame dei decreti che devono essere convertiti in legge, determinandone un rallentamento. I parlamentari pentastellati hanno criticato la decisione: “Il Pd - si legge sul profilo Twitter del M5S Montecitorio - tenta i soliti rinvii”. Sono stati i Cinque Stelle a proporre la mozione di sfiducia, dopo che il nome del Guardasigilli, lo scorso 31 ottobre, era spuntato nelle intercettazioni sul caso Fonsai. Il ministro, che non è indagato, si interessò alla salute di Giulia Ligresti, che in carcere si rifiutava di mangiare. Ne nacque un caso politico. Lo scorso 5 novembre, comunque, Cancellieri si è difesa in Parlamento, nell’aula del Senato: “Umana vicinanza alla famiglia Ligresti, ma nessuna pressione”. La fiducia espressa dai partiti che appoggiano il governo guidato da Letta è stata palese e sembra averla messa al riparo dalle dimissioni. Giustizia: giudici di pace; pena domiciliare per piccoli spacciatori di droga 9Colonne, 14 novembre 2013 Una delegazione della Confederazione Giudici di Pace ha avuto un incontro con il vice capo del Dap Francesco Cascini, su incarico del ministro della Giustizia. I rappresentanti della delegazione - il presidente Trincanato, il vice presidente Massimo Libri ed il segretario generale Franco Antonio Pinardi - hanno esposto le proposte della Confederazione finalizzate alla riduzione della popolazione carceraria e alla realizzazione una più efficiente azione dello Stato nella repressione dei reati minori, proponendo che si applichino ad essi la pena della permanenza domiciliare continuativa invece di quella detentiva. È stato proposto, in particolare, il trasferimento della competenza al Giudice di Pace dei reati di piccolo spaccio di droga, in cui il più delle volte l’autore è anche un tossicodipendente. “Tale tipologia di reati interessa quasi il 40% dei detenuti in carcere” ricorda una nota della Confederazione che, per affrontare il sovraffollamento carcerario, caldeggia anche l’utilizzo della sanzione della permanenza domiciliare applicata dal Giudice di Pace per realizzare, inoltre, “quel modello delle Drug Courts americane, che si sta diffondendo nel Nord Europa e che ha determinato una risposta efficace al fenomeno del consumo di sostanze stupefacenti ed alla repressione dello spaccio”. Cascini si è detto interessato delle proposte, condividendole in linea di principio ed ha confermato che avrebbe riferito al ministro i progetti della Confederazione. La Confederazione ricorda che “il Giudice di Pace può avvalersi di un rito più rapido di quello del Tribunale, nel pieno rispetto dei principi dell’articolo 111 della Costituzione, rito che, inoltre dà una effettiva risposta di giustizia, non applicandosi alle sentenze di questo magistrato la sospensione condizionale della pena”. Giustizia: Riina; “pm Di Matteo deve morire”, nel mirino anche altri 3 magistrati Ansa, 14 novembre 2013 Dal carcere milanese di Opera il boss corleonese Totò Riina si sarebbe lasciato andare a uno sfogo con un detenuto, gridando ad alta voce - dopo aver seguito in video l’ultima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, che si svolge a Palermo - “Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire”. Le parole di Riina sono state ascoltate, secondo quanto scrive “Repubblica”, da un agente della polizia penitenziaria. “Quelli lì devono morire, fosse l’ultima cosa che faccio”, avrebbe aggiunto il boss, minacciando così tutti i rappresentanti dell’accusa al processo: oltre a Di Matteo, l’aggiunto Vittorio Teresi e i pm Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Lunedì scorso, scrive il quotidiano, si è riunito il Comitato per l’ordine e la sicurezza, presieduto dal prefetto Francesca Cannizzo, e ha valutato la possibilità di trasferire Di Matteo e la sua famiglia in un’altra località; ma al momento ha deciso di chiedere al ministero dell’Interno un rafforzamento delle misure di sicurezza, con la possibilità di dotare la scorta di Di Matteo del dispositivo Jammer in grado di bloccare i segnali radio dei telecomandi in un raggio di duecento metri. Riina avrebbe parlato anche di “uno che era a Caltanissetta e adesso è a Palermo, uno che si dà un gran da fare”. Probabilmente si riferiva all’attuale procuratore di Palermo Roberto Scarpinato. Aosta: tenta di impiccarsi in carcere, salvato dagli agenti di polizia penitenziaria di Cristian Pellissier La Stampa, 14 novembre 2013 Un detenuto egiziano di 40 anni ha tentato di suicidarsi nel carcere di Brissogne ieri verso le 22,30. L’uomo, in carcere per reati legati allo spaccio di stupefacenti, si trovava in isolamento. “Il suo - spiega il direttore del carcere Domenico Minervini - non è stato un gesto dimostrativo, ha rischiato di morire. Lo abbiamo salvato solo grazie al tempestivo intervento dei nostri agenti”. L’uomo ha utilizzato come cappio un lenzuolo che ha legato alle sbarre della cella. Minervini spiega: “Era stato trasferito in isolamento perché nei giorni precedenti aveva avuto dei problemi con gli altri detenuti, ma stavamo valutando di rimetterlo in un’ala comune. Proprio ieri mattina era stato visitato dal nostro medico, e nulla lasciava presagire questo gesto”. Il quarantenne è stato portato al Pronto soccorso dell’ospedale ed è stato dimesso già nella notte. “Lo psichiatra che lo ha visitato non ha ritenuto necessario tenerlo in ospedale” aggiunge Minervini. Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, evidenzia come “questo episodio dimostri come, nonostante i tagli del ministro Cancellieri la professionalità della polizia penitenziaria riesca a salvare delle vite umane”. Il detenuto è ritornato in carcere: “Lo abbiamo di nuovo messo in isolamento - chiude Minervini - per tutelarlo. Ora c’è una sorveglianza più attenta nei suoi confronti. I motivi del gesto non ci sono chiari, le sue versioni sono contrastanti”. Genova: Marco Cavallo e la Cgil, campagna contro Ospedali Psichiatrici Giudiziari Ansa, 14 novembre 2013 Il 14 e il 15 novembre Marco Cavallo farà tappa a Genova. Si tratta del grande cavallo azzurro di cartapesta alto quasi 4 metri che nel 1973 a Trieste ruppe i muri del manicomio di San Giovanni dando il via all’ inarrestabile processo di cambiamento della Legge 180. Oggi è il simbolo della libertà e della possibilità che le persone hanno di realizzare i propri desideri. Marco Cavallo riprende il suo viaggio per sostenere la campagna “Stop Opg”, che chiede la chiusura immediata degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in tutta Italia. Marco Cavallo partirà domani da Trieste, toccherà Torino e arriverà a Genova giovedì 14. Nel corso della sua permanenza in città, Marco Cavallo prenderà parte ad una serie di iniziative organizzate dal Coordinamento “Stop Opg” in collaborazione con la Cgil. Un viaggio suggestivo che costituirà l’occasione per parlare a 360 gradi di salute mentale, affrontando i temi della continuità assistenziale in campo psichiatrico e delle modalità di cura, ma anche delle pari opportunità e dell’integrazione. L’appuntamento a Genova è fissato per giovedì 14 novembre alle ore 18 dall’ingresso di Palazzo Ducale. Marco Cavallo sarà prima al Salone dell’Orientamento alla Fiera del mare e dopo farà visita all’ex OP di Quarto. Lucca. il Garante dei detenuti Corleone in vista al carcere “c’è sovraffollamento…” Ansa, 14 novembre 2013 Il Garante della Regione Toscana delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Franco Corleone, ha visitato la casa circondariale di Lucca. “Il carcere di Lucca - ha detto ai giornalisti - è sovraffollato, ci sono troppi detenuti rispetto alla capienza della struttura, occorrono dei lavori a mio parere non impossibili da realizzare per utilizzare una sezione che adesso è chiusa per dare uno spazio nuovo a un passeggio che oggi è insostenibile e per far sì che la pratica delle celle aperte sia riempita di contenuti culturali di reinserimento, di corsi di formazione di studio e di lavoro. Molte cose si fanno perché c’è un volontariato molto impegnato. A Lucca - ha proseguito - mi pare che gli educatori, la direzione, il personale di polizia penitenziaria lavorino in perfetta sintonia, c’è quindi un progetto che va realizzato in tempi brevi a partire dal fatto che è anche auspicabile che cambino anche alcune leggi che provocano questo affollamento: su 177 detenuti ben 75 sono per violazione della legge sugli stupefacenti relativamente alla detenzione e non al traffico o al narcotraffico”. Quella di Lucca - ha spiegato Corleone - “è la terza visita di un giro che toccherà tutte le carceri toscane per verificare lo stato della vivibilità, le condizioni dovute al sovraffollamento che ha portato alla condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti umani e per fare delle ipotesi sui cambiamenti strutturali e di vita quotidiana che sono necessari”. Sulmona: il Tribunale del malato denuncia “cure negate nel supercarcere” Il Centro, 14 novembre 2013 Sono una decina i detenuti che hanno scritto al Tribunale per i diritti del malato lamentando cure sanitarie negate e mancata assistenza medica all’interno del supercarcere di via Lamaccio. Episodi che accadrebbero nell’ultimo anno. Edoardo Facchini, responsabile regionale deirassociazione di volontari, e l’avvocato Catia Puglielli sono pronti a sottoporre i casi alla Procura per andare a fondo della questione. “Le lettere iniziano a essere troppe” spiega Facchini “ma anche se ne avessimo ricevuta solo una, il nostro interesse sarebbe stato lo stesso perché i diritti dei detenuti-pazienti vanno tutelati come quelli di tutti gli altri. Qualcuno ci deve delle risposte”. Fra i casi segnalati ci sarebbero detenuti con problemi cardiovascolari e con particolari patologie. “A questo punto siamo nella situazione di dover agire” aggiunge Puglielli “per questo avevo anche pensato di coinvolgere i colleghi della Camera penale, visto che si tratta di una questione molto delicata, col diritto alla privacy che va mantenuto e il dovere da parte nostra di intervenire”. Per questo i responsabili dell’associazione lanciano un appello alla direzione del supercarcere e al personale medico per trovare una soluzione e garantire il diritto alla salute e alle cure a tutti. In merito alla criticata chiusura del Reparto di Diabetologia in occasione dell’ultimo ponte di Ognissanti, Facchini aggiunge che “gli interessati erano stati avvertiti, ma noi chiediamo che non si ripetano più situazioni del genere e che la Asl disponga un piano ferie per tempo”. Salerno: Salzano (Radicali) da ieri in sciopero della fame e della sete per l’amnistia La Città di Salerno, 14 novembre 2013 Da ieri sera anche Donato Salzano, esponente dei Radicali salernitani, aderisce allo sciopero totale della fame e della sete iniziato dalla mezzanotte dell’11 novembre da Marco Pannella. Con lui, oltre quattromila persone in tutta Italia e diverse famiglie di detenuti salernitani per dire stop ai continui maltrattamenti che vengono subìti da chi si trova nelle carceri italiane. Che fine ha fatto il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Napolitano che aveva ammonito che tutti gli interventi immaginabili “appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea”? Il termine fissato dalla sentenza Torreggiani scadrà il 28 maggio 2014, dunque non vi è molto tempo per discutere fattivamente del ricorso a rimedi straordinari, quali l’amnistia e l’indulto. Livorno: detenuto tunisino evade dall’ospedale, catturato dopo poche ore di fuga La Nazione, 14 novembre 2013 In questi giorni di evasioni (ma dai domiciliari) a Livorno ne abbiamo viste parecchie, ma quella di oggi pomeriggio è davvero clamorosa. Un detenuto del carcere delle Sughere è infatti evaso dal pronto soccorso dell’ospedale dove era stato portato poco prima per aver ingerito una pila in cella. Dopo il controllo, non avendo le manette ai polsi e in quel momento, il detenuto ha approfittato di un istante di distrazione degli agenti di polizia penitenziaria che stavano ricevendo le consegne dei medici ed è fuggito. L’uomo è stato inseguito fuori dall’ospedale, in via Gramsci, direzione viale Marconi. La polizia penitenziaria ha allertato la polizia. Gli agenti hanno fatto anche irruzione in un bar della zona pistole in pugno. Attualmente è in corso la ricerca dell’evaso. Era nel boschetto fuori da una villa L’uomo, un tunisino, era stato portato al pronto soccorso dopo che aveva ingoiato una pila. Avrebbe approfittato di una distrazione degli agenti. È stato ritrovato dalla stessa polizia penitenziaria il tunisino di 22 anni scappato nel pomeriggio dall’ospedale. Era nascosto in un boschetto fuori dalle villette nuove in via Gramsci, lato stresso, a pochi metri dal semaforo all’incrocio con viale Marconi. Aveva approfittato della distrazione degli agenti che dovevano controllarlo, per scappare ed evadere dal pronto soccorso fuggendo per le strade del centro. Una caccia all’uomo che ha coinvolto decine di agenti. Dalle 18 era così iniziata una caccia all’uomo nelle vie intorno all’ospedale. Polizia e carabinieri hanno setacciato tutte le strade e i negozi, soprattutto i bar della zona, nel tentativo di bloccarlo. Il giovane, 22 anni, si trova ora dalle Sughere (dove era già detenuto). È stato arrestato per evasione. Milano: tenta di strangolare il compagno di cella, “sentivo delle voci” ha detto agli agenti di Simone Bianchin La Repubblica, 14 novembre 2013 Continua a sentire le voci. Lui, che si è definito “il creatore del mondo”, ritiene siano divine, peccato che gli dicano sempre la stessa cosa, di uccidere. Adam Kabobo, il ghanese che l’11 maggio uccise col piccone tre passanti a Milano (e ne ferì altre tre), rinchiuso nel carcere di San Vittore, qualche giorno fa ha tentato di strangolare il compagno di cella, un detenuto che da alcune settimane condivideva la prigione fianco a fianco con lui. I fatti risalgono alla settimana scorsa: Kabobo ha messo le mani al collo del suo compagno di cella tentando di strangolarlo. E avrebbero fatto giusto in tempo a fermarlo alcuni agenti di polizia penitenziaria: il compagno di Kabobo non ha riportato ferite gravi. Riportato alla calma, di nuovo - secondo quanto raccontato - il ghanese avrebbe detto di aver sentito delle voci, che gli chiedevano di uccidere il detenuto che gli era capitato in cella. Diversa la ricostruzione ufficiale dei fatti fornita dalla direttrice del carcere di San Vittore, Gloria Manzelli: “Kabobo ha solo reagito a un comportamento del compagno che evidentemente non lo soddisfaceva. Lui è da sempre in compagnia di quel detenuto e ci sono piccoli conflitti che accadono, in quel reparto. Stiamo parlando del reparto psichiatrico, che è costantemente presidiato”. “Noi non siamo stati informati da alcuno di quanto è accaduto “ spiega l’avvocato Benedetto Ciccarone, che con il legale Francesca Colasuonno difende Kabobo, rinviato a giudizio per triplice omicidio e in attesa di processo in corte d’Assise il 28 gennaio. Sarà giudicato con rito immediato data la prova “evidente” della sua colpevolezza per le uccisioni di Ermanno Masini (che aveva 64 anni), Alessandro Carolè (40), e Daniele Carella (21). I legali intenderebbero però chiedere il rito abbreviato. “Mi aveva raccontato - prosegue l’avvocato - che stava condividendo la cella con un altro detenuto, è una cosa molto strana e grave che uno come lui, con seri problemi psichiatrici e che sta seguendo delle terapie, venga messo nella stessa cella con un’altra persona”. Continua a prendere i farmaci che gli sono stati prescritti, antipsicotici: una perizia aveva determinato la sua “capacità di intendere” nei momenti dei tre omicidi come “grandemente scemata ma non totalmente assente”, mentre la “capacità di volere” era “sufficientemente conservata”. Elementi decisivi, per il giudice Andrea Ghinetti, che dispose il processo per l’imputato. Kabobo potrebbe essere condannato, ma il giudice dovrà valutare se sussista o meno l’attenuante della seminfermità mentale che potrebbe aprirgli le porte dell’ospedale psichiatrico giudiziario una volta scontata la pena detentiva. “Riguardo le sue capacità di intendere - riferiva un mese fa la criminologa Isabella Merzagora, che l’ha valutato - è possibile che abbia una scarsa dotazione intellettiva”. Nonostante soffra di “psicosi schizofrenica “, la perizia disposta dal giudice ha accertato che Kabobo è “capace di partecipare coscientemente al procedimento giudiziario”, vale a dire al processo. Questo evita - almeno - la possibilità di un’assoluzione per incapacità di intendere e di volere. Verona: detenuti telefonano dal carcere alle famiglie con tessere prepagate Ansa, 14 novembre 2013 La Casa Circondariale di Montorio a Verona è tra i pochi istituti italiani a disporre di una piattaforma per la gestione e il controllo delle chiamate telefoniche uscenti da parte dei detenuti, tramite scheda telefonica. È in funzione da qualche mese, il tempo di sperimentare e attivare tutte le necessarie procedure, un sistema ‘Fastweb’ che consente alla persona detenuta, grazie a una tessera prepagata avente un codice di identificazione univoco e un numero o più numeri ammessi, di effettuare chiamate verso quei numeri telefonici in modo automatico, limitando l’impiego dell’operatore. Inoltre, in funzione delle limitazioni previste all’interno di ogni singola sentenza, il sistema consente la gestione di tipologie di tessera con diritti diversi di chiamata. L’iniziativa è stata finanziata dalla Fondazione Biondani Ravetta. “Questa Fondazione veronese - spiega il Garante dei diritti dei detenuti Margherita Forestan - ha scelto fin dalla nascita di seguire i bisogni del mondo della pena, con particolare attenzione verso il mondo dei bambini e delle famiglie, coinvolti loro malgrado. Un grazie alla Fondazione Biondani Ravetta quindi per la speciale sensibilità dimostrata verso chi, quasi sempre, paga in silenzio il prezzo della pena del congiunto detenuto, e per aver contribuito concretamente a migliorare i rapporti familiari delle persone detenute”. Roma: Sabatini (Pdl) a Rebibbia; progetto “Ricuciamo” importante iniziativa del Gruppo Idee www.clandestinoweb.com, 14 novembre 2013 Oggi il consigliere del Popolo della Libertà alla Regione Lazio, Daniele Sabatini, si è recato in visita al carcere di Rebibbia. “Mi sono recato in visita presso il carcere di Rebibbia, in particolare ho avuto modo di approfondire il progetto avviato dall’associazione “Gruppo idee”. Infatti, grazie all’associazione è iniziato il corso professionale “Ricuciamo”, rivolto alle detenute donne del carcere romano”, spiega Sabatini. E continua il consigliere, “intendo rivolgere il mio ringraziamento alla direttrice della casa circondariale di Rebibbia femminile Ida Del Grosso, all’associazione Gruppo Idee e in particolare alla responsabile del progetto “Ricuciamo” Germana De Angelis, al dottor Luca Della Giovanpaola che mi hanno consentito di toccare con mano la validità dell’iniziativa sia dal punto di vista sociale che della formazione”. Infine Sabatini lancia un monito, quasi una speranza affermando: “Auspico che il progetto “Ricuciamo”, in scadenza entro la fine di quest’anno, possa proseguire la sua attività. Voglio in tal senso ribadire il mio pieno sostegno, nell’ambito delle mie competenze, affinché esperienze di questo tipo possano continuare ed essere ripetute anche in futuro”. Roma: S. Egidio, 300 anziani per uno spettacolo ideato dai detenuti del carcere di Rebibbia Agenparl, 14 novembre 2013 Trecento anziani della Comunità di Sant’Egidio assisteranno il 15 novembre nel carcere di Rebibbia (ore 15.30) allo spettacolo teatrale “La Festa” ideato a diretto da Laura Andreini Salerno e Valentina Esposito e messo in scena dalla Compagnia del reparto G8 del carcere insieme a venti allievi dell’Accademia Internazionale d’Arte Drammatica, col coordinamento di Fabio Cavalli. La pièce ricostruisce l’attesa per la festa dei 18 anni della giovane figlia di un armatore che aveva partecipato, bambina, alla traversata atlantica di un grande piroscafo. Quasi reclusi nelle cucine di bordo, i cuochi attendono invano che la bambina, fattasi donna, ricompaia nella loro vita riportando alla luce la freschezza, la serenità e gli affetti della prima traversata: una metafora della reclusione ma anche dei rapporti intergenerazionali. Gli anziani provengono da molti quartieri del centro e della periferia e da vari istituti di Roma e provincia. Molti intrattengono da anni rapporti epistolari e di amicizia con persone detenute, preparano loro capi di abbigliamento e cibi, e periodicamente li incontrano. La Comunità di Sant’Egidio è presente in 17 carceri italiane, dove svolge attività di assistenza, orientamento, animazione culturale e sociale, monitoraggio dopo l’uscita dal carcere. In questa circostanza saranno i detenuti ad offrire lo spettacolo in occasione dei 40 anni dell’amicizia della Comunità di Sant’Egidio con gli anziani. Bolzano: "Lo spazio e il corpo nella pena", al Teatro Cristallo la mostra della Caritas Alto Adige, 14 novembre 2013 Da domani foyer del Teatro Cristallo, in via Dalmazia 30 a Bolzano, viene presentata la mostra, organizzata dal Servizio Caritas Odòs: "Lo spazio e il corpo nella pena". L'allestimento, che è stato esposto quest'estate presso il Comune di Bolzano e che ha riscosso molto successo, ha come obiettivo la sensibilizzazione delle popolazione sulle condizioni di vita, spesso ai limiti della tollerabilità, delle persone recluse in carcere. "L'esposizione di oggi vuole essere un contributo per diffondere la conoscenza delle problematiche legate al tema della pena: di come essa dovrebbe essere svolta e di come lo è effettivamente", hanno affermato i direttori di Caritas, Pio Fontana e Heiner Schweigkofler, presentando una mostra che mai come in questo momento si mostra di stringente attualità, soprattutto in un posto come Bolzano. La mostra rimarrà esposta nel foyer del Teatro Cristallo da venerdì 15 novembre fino a domenica 24 novembre. La scelta di presentare la mostra è in particolare dovuta alla concomitanza con la prima giornata nazionale dedicata al tema carcere e scuola, "A scuola di libertà". La Caritas, attraverso il servizio Odòs, offre quindi agli studenti la possibilità di approfondire ulteriormente la loro conoscenza entrando in questo mondo apparentemente così lontano. Il 15 novembre in provincia di Bolzano hanno aderito all'iniziativa 11 istituti scolastici e oltre 400 studenti coinvolti. Teramo: detenuti e studenti portano in scena la tragedia di Eschilo “Le Eumenidi” Il Centro, 14 novembre 2013 Detenuti e studenti insieme portano in scena la tragedia greca di Eschilo “Le Eumenidi” sulla nascita del tribunale e della giustizia. Martedì 26 novembre alle 10.30 la rappresentazione teatrale si terrà nella casa circondariale di Castrogno. Il progetto ricorda la storia raccontata nel 2012 dai fratelli Taviani nel film “Cesare deve morire”, ovvero la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare da parte dei detenuti di Rebibbia. L’iniziativa del liceo classico Delfico, in collaborazione con il carcere cittadino, ha tuttavia un merito in più: quello di mettere in contatto due mondi, i giovani e chi si trova recluso per scontare una pena. Molteplici dunque i benefici dell’evento: una finalità di prevenzione e di condivisione di responsabilità tra gli studenti, una speranza di nuove possibilità tra i reclusi. Ed è proprio in un’ottica di avvicinamento alla società civile che il direttore della struttura penitenziaria Stefano Liberatore ha accolto l’iniziativa, che coinvolgerà 13 detenuti, come ha spiegato ieri insieme al comandante commissario Osvaldo Vaddinelli. La rappresentazione teatrale nel carcere, diretta dal regista Giuseppe Pizzogno, costituirà l’ultima fase del progetto “Di-ke giustizia sei?”, a cura della docente Gabriella Liberatore, avviato lo scorso anno nel liceo Delfico indirizzo comunicazione: la riflessione sul tema della legalità è stata portata avanti non solo con la lettura dei classici, ma anche attraverso incontri con magistrati (i ragazzi si sono confrontati con Aldo Manfredi, consigliere della corte d’Appello dell’Aquila, e con l’ex giudice antimafia Giuseppe Ayala) e con la messa in scena, prima a Siracusa e poi in città, al teatro romano, della tragedia di Eschilo. Tra gli attori ci sarà anche l’assessore comunale alle politiche sociali Giorgio D’Ignazio nel ruolo di Agamennone, che ha annunciato: “Qualora ci fossero tutte le condizioni necessarie per replicare lo spettacolo al di fuori del carcere, l’amministrazione di Teramo metterà a disposizione gratuitamente il teatro comunale”. Infine la preside dell’istituto Loredana Di Giampaolo ha reso nota un’ulteriore iniziativa realizzata insieme al carcere: gli studenti del liceo artistico Montauti dipingeranno pannelli per rendere più accoglienti i luoghi di incontro tra le detenute e i propri figli. Milano: la mostra “Recupero”, il design che dà voce ai detenuti www.bloglive.it, 14 novembre 2013 Al Triennale Design Museum una selezione di progetti sul tema del recupero. Una volta tanto si parla di carceri e di recupero, rieducazione: l’occasione è una mostra alla Triennale di Milano dal titolo Recupero. Un progetto nato dall’incontro tra l’associazione culturale Artwo con i detenuti della Casa Circondariale di Rebibbia - Nuovo Complesso a Roma. Artwo produce oggetti in edizione limitata ideati da artisti e designer contemporanei utilizzando solo materiali di recupero e ha avviato all’interno del carcere un laboratorio per i detenuti. Silvana Annichiarico, direttore del Triennale Design Museum e Luca Modugno, fondatore di Artwo hanno scelto i progettisti da coinvolgere nel laboratorio tra coloro i quali si erano già occupati di materiali di scarto e progettazione sociale perché quell’appuntamento fosse un momento di rieducazione vero. Loro il compito di rompere la diffidenza che i condannati avevano nei confronti di questa iniziativa. “Ci sono voluti anni perché iniziassero a fidarsi di una persona esterna e a capire che avrebbero avuto dei vantaggi, quali il reinserimento lavorativo, aderendo al laboratorio”, racconta Valia Barriello, curatrice dell’evento, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti dal 29 ottobre. L’aspetto sociale del design si annusa negli oggetti che parlano e raccontano un pezzetto delle storie di chi dietro le sbarre è costretto a starci, anche quando si tratta di una scritta come “finepenamai” (cioè ergastolo, in gergo). In mostra oggetti comuni, dismessi e reinventati dentro le strutture di detenzione, dove il senso dell’arte sta nei materiali che parlano per loro stessi e per chi non ha voce, perché l’ha persa e paga lo sconto in prigione, con l’obiettivo di recuperare il proprio errore. In scena i progetti di Massimiliano Adami, Ivan Barlafante, Stefano Canto, Riccardo Dalisi, Fabio Della Ratta, Carlo De Meo, Francesco Faccin, Sara Ferrari, Duilio Forte, Michele Giangrande, Andrea Gianni, Francesco Graci, Alessandro Guerriero, Yonel Hidalgo, Lanzavecchia + Wai, Alessandro Mendini, Paolo Ulian, fino al 15 dicembre 2013, ingresso gratuito. Augusta (Sr): avvicinare i detenuti alla lettura, partito il progetto “Read and Fly” www.siracusanews.it, 14 novembre 2013 Ha preso avvio ieri presso la casa reclusione Augusta il corso di lettura Read and Fly, a cui parteciperanno 15 i detenuti. Il corso prevede due appuntamenti al mese di due ore per avvicinare i detenuti alla lettura. Già dal titolo Read and Fly se ne comprende il contenuto, letteralmente Leggi e vola. La Lettura è quello strumento che ti permette di sognare se lo vuoi, senza limiti di tempo né di spazio. A finanziare l’acquisto dei libri per l’intero corso la Libreria Mondadori di Augusta. Grazia Salvo, titolare della libreria, si è detta felice di poter contribuire ad un progetto che promuove un’attività così mirabile come la lettura. Gli incontri vedranno una fase propedeutica in cui si introdurrà autore e trama, nella fase successiva si leggeranno alcuni brani e in quella conclusiva si dibatterà su quanto appreso. I libri scelti avranno sempre un proposito pedagogico. Tra i titoli selezionati: Lo strano caso del dr. Jekyll e di Mr. Hyde di Stevenson, Uno, nessuno e centomila di Pirandello, Il grande Gatsby di Fitzgerald, I racconti del terrore di Poe, l’Amelto di Shakespeare, Amleto e Le notti di Bianche di Dostojevski. Il corso sarà tenuto dalla dottoressa Michela Italia che lo dedica così ad una amica - “Mariagrazia Castrovinci, cara amica non più tra noi, mi ha ispirato questo progetto. Sua è la splendida frase “Conosco solo due modi per viaggiare, chiudere uno zaino e aprire un libro”. Questo è quello che faremo, nulla di più”. I detenuti attentissimi e presi dalla lettura hanno apprezzato l’iniziativa e, alla fine del primo incontro dopo aver applaudito la performance della Dottoressa Italia, che li ha tenuti incollati all’ascolto per più di due ore, sono andati via, con il primo libro (Il dottor Jekill e Mister Hyde) sottobraccio e si preparano già al prossimo appuntamento. Cagliari: “Arcipelaghi”, la violenza la vendetta e la giustizia, i detenuti si raccontano di Walter Porcedda La Nuova Sardegna, 14 novembre 2013 L’uccisione barbara di un figlio, la vendetta della madre per mano di un altro figlio. Violenza, vendetta, giustizia. Il turbinio di tutte le sfumature del nero accompagnano la discesa all’inferno disperata di “Arcipelaghi”. Una verosimile e tragica storia di Sardegna, che, dalle pagine della scrittrice Maria Giacobbe (trasposte tempo fa in immagini nel bellissimo film di Michele Columbu) è diventato il cuore di un dramma teatrale, innervato di rimandi e significati ammiccanti il quotidiano nell’originale messa in scena curata da Pierpaolo Piludu e Sandro Maxia di Cada Die dentro le mura austere e possenti del vecchio carcere di Buoncammino. Un allestimento che, presentato ieri mattina davanti a un pubblico ristretto nei locali della biblioteca, è stato costruito in mezzo a un mare di difficoltà – con il contributo della direzione carceraria e Sardegna solidale – con un laboratorio che ha coinvolto dodici detenuti della sezione di alta Sicurezza e si spera possa trasformarsi un domani in compagnia. Un lavoro delicato e giocato sul filo del tempo che ha coinvolto i detenuti-attori in una lettura a più livelli e voci dell’opera letteraria. Che è stata analizzata, sezionata e fatta propria da ciascuno dei protagonisti. Una storia, dieci storie. Così come accade da sempre nella scena, le passioni raccontate si mescolano con il vissuto, i ricordi e i sogni impastano le emozioni e queste diventano intensa poesia. Indescrivibile ma capace di comunicare e suggerire altri intrecci, illuminare coscienze e raccontare verità sepolte, spesso sconosciute. Nascoste o cacciate nel profondo vengono a galla fino a diventare urlo liberatorio, passione di vivere e amare. È così un coro da tragedia greca che raccoglie su di sè il fardello della intera vicenda letteraria. Uno nessuno e centomila. Un coro quasi fosse un solo attore. Eppure specchio e palcoscenico di tante micro drammi intimi e individuali. Così come accade in modo mirabile in “Cesare non deve morire”, film capolavoro shakespeariano dei fratelli Taviani realizzato con i detenuti di Rebibbia (e la regia teatrale di Fabio Cavalli)succede anche qui, in questo angusto spazio, tra i libri ben ordinati negli scaffali, i pavimenti grigi e le volte a botte del soffitto. D’incanto le mura non esistono più e c’è solo la vita, la poesia del teatro. Tre sardi, un calabrese, un siciliano, un nigeriano (e un altro ripreso in video perchè nel frattempo trasferito altrove). Gennaro Briganti, Clemente Caliendo, Renato Garau, Giuseppe Mauro, Efisio Mereu, Piergiorgio Mura, Alexander Opharah e un’insegnante, Alba Demurtas, per un’ora circa diventano i protagonisti del dramma. Carnefici e vittime. Colpevoli e innocenti. Pubblico ministero e avvocato. Ripercorrono come in un terribile “conto de foghile” i tempi dell’odio e della vendetta. Giosuè, il pastorello ucciso per aver rivelato la via di fuga dei tre banditi, il Falco, Barore e Bachisio, che avevano rubato la mandria di Antonio Flores. Il delitto, nel cuore della notte nell’ovile è come un barbaro rito sacrificale. Sconvolgente, senza senso alcuno e scellerato. E sarà in un’altra notte, quella di San Giovanni, che si compirà la vendetta di Oreste l’altro figlio di donna Solinas. Mentre danzano alte le fiamme dei fuochi e il crepitio si mescola alle voci dei giocatori di morra il bambino sparerà al cuore di Falco. Arezzo: lo sport entra nel carcere, ma ci sono anche corsi di danza www.arezzonotizie.it, 14 novembre 2013 Venerdì 8 novembre presso la Casa Circondariale di Arezzo, il Direttore del carcere Paolo Basco e il Presidente del Comitato Territoriale Uisp di Arezzo Antonio Leti, hanno firmato un significativo protocollo d’intesa, con lo scopo di collaborare alla realizzazione di attività motorio-sportiva e di formazione in favore dei soggetti in esecuzione di pena detentiva. Interventi mirati all’acquisizione di una cultura sportiva fondata sui valori della continuità di pratica, dell’autodisciplina e dell’aggregazione. In conseguenza a tale protocollo è stato sviluppato un progetto dal titolo “Rieducare attraverso lo sport”, per la promozione di stili di vita attivi nella quotidianità carceraria, con ampliamento delle offerte di attività di tipo fisico e sportivo intra ed extra murarie e attività di formazione, anche professionale, nello specifico settore, al fine di fornire occasioni di reinserimento sociale, una volta scontata la pena. Il progetto visto la strutturazione della casa circondariale e le diverse tipologie di detenuti ivi presenti, prevede due tipologie di percorsi sportivi rieducati, nelle due diverse sezioni. Entrambi i percorsi sportivi prevedono corsi di Attività Fisica Adattata, attrezzistica e pesistica e corsi di avviamento a sport di squadra e individuali. Nella sezione Chimera sono previsti inoltre corsi di danza e di formazione per giudici sportivi e operatori BLSD. L’intero progetto sarà seguito dalle dottoresse Fabiola Papi e Silvia Marzoli rispettivamente per la Casa Circondariale e per l’Uisp di Arezzo. I due firmatari esprimono piena soddisfazione per il progetto. Antonio Leti tiene a precisare che: “ancora una volta l’Uisp sostiene il valore educativo e sociale dello sport in questo caso si potrebbe dire “rieducativo”. Usare lo sport all’interno del carcere come strumento per agevolare dinamiche relazionali positive, l’aggregazione e l’incontro tra detenuti e operatori. Qui lo sport torna ad essere quello che è, un divertimento attraverso il quale apprendere l’autodisciplina, il rispetto degli altri, la valorizzazione delle cose importanti. Il recupero di un detenuto è un guadagno per lui stesso, ma anche per tutta la società”. Il Direttore Paolo Basco con riferimento alle attuali condizioni del carcere, tiene a puntualizzare la distinzione tra un carcere attivo e vivo che ospita circa 30 detenuti e un’altra parte che non può essere definita carcere ma un cantiere dove occorre riprendere i lavori per una definitiva ristrutturazione. “Nella parte “viva” dove le condizioni di vita sono migliori rispetto ad altre strutture carcerarie, sono diverse le attività promosse in favore dei detenuti, ultime tra queste è la firma del protocollo d’intesa con un Ente di Promozione Sportiva quale è la UISP. Le attività sportive sono una componente essenziale e fondamentale del percorso rieducativo e di reinserimento dei detenuti, così come recita l’art. 27 della Costituzione. Ed è grazie alla sensibilità di associazioni come la UISP che si apre la speranza per un effettivo e concreto reinserimento, oltre a garantire la dignità umana di chi deve scontare una pena nelle carceri”. Torino: la Drola Rugby… una squadra di detenuti, contro il femminicidio Corriere dello Sport, 14 novembre 2013 La squadra del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino aderisce alle iniziative promosse in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne: domenica 17 novembre sarà osservato un minuto di silenzio prima del fischio d’inizio di tutte le partite dei campionati di rugby che si disputano in Piemonte. Parte in Piemonte dal carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino la campagna di sensibilizzazione contro ogni forma di violenza sulle donne: il 17 novembre, prima del fischio d’inizio della settima giornata di campionato di serie C regionale che vede opposte La Drola (composta da soli detenuti) e l’Ivrea, i giocatori osserveranno un minuto di silenzio e riflessione sul femminicidio e indosseranno la pettorina di adesione alla campagna. In contemporanea, all’interno dei penitenziari del Piemonte e della Valle d’Aosta e su tutti i campi di rugby italiani sarà osservato il minuto di silenzio e saranno adottate iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica verso un fenomeno pericolosamente dilagante nella società, che deve essere fermato con l’aiuto di tutti, uomini e donne. Tali iniziative contribuiscono al programma promosso da Avon Cosmetics con la Cooperativa Cerchi d’acqua e patrocinato dalla Federazione Italiana Rugby. Zonta International, l’organizzazione mondiale che ha come obiettivo il miglioramento della condizione femminile nel mondo, interviene a sostegno di questa causa con la propria campagna “Zonta says no” e collaborando con l’amministrazione penitenziaria nel promuovere tra i detenuti momenti di riflessione su un tema drammatico come quello della violenza sulle donne: pensieri, idee e proposte da trasformare in un contributo attivo da fornire ai tanti che gridano il proprio “no”. Tappa finale di questo percorso la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, data nella quale si ripeterà cerimonia del minuto di silenzio in tutti i penitenziari italiani. India: caso marò, De Mistura; indagini nebulose, ma anche l’India ha fretta di chiudere 9Colonne, 14 novembre 2013 Ci sono delle nebulosità, nella vicenda giudiziaria relativa ai due marò attualmente detenuti in India, “ma non certo da parte italiana (“Secondo la polizia indiana la prova balistica fatta nel Kerala e secondo la Nia (la National Investigation Agency indiana, ndr) non fa coincidere le pallottole con quelle di Girone e Latorre. Non rivelo un segreto, lo dice la stampa indiana”, spiega il Commissario straordinario del Governo per la trattazione della questione dei due marò Staffan De Mistura, in audizione congiunta alle commissioni Difesa di Camera e Senato: “In questo vedo una certa nebulosità, che dovrà sciogliersi durante il processo”. Ad ogni modo però da parte del governo di New Dehli, assicura l’ex viceministro agli Esteri, “l’attitudine a voler chiudere questa faccenda nella maniera più rapida possibile, perché anche da loro la vicenda sta diventando ingombrante. Detto questo, la giustizia indiana ha i suoi tempi”. Così come da parte del governo Letta “c’è una forte costante determinazione a portare i nostri marò a casa, la loro condizione sanitaria è monitorata costantemente”. Attualmente Salvatore Girone e Massimiliano Latorre stanno bene. “Per quanto riguarda la condizione morale, dobbiamo dire che sono marò, tra i più addestrati: gli indiani stessi sono stupiti dalla costante dignità che hanno sempre dimostrato. Certo non è casa loro, e quindi non dobbiamo mollare”. Stati Uniti: 3.000 persone condannate al carcere a vita per reati non violenti TmNews, 14 novembre 2013 Sono passati circa 17 anni da quando Timothy Jackson fu sorpreso a rubare un cappotto dal valore di 159 dollari nel centro commerciale Maison Blanche, a New Orleans. Da quel giorno, il 2 gennaio del 1996, Jackson è detenuto in un penitenziario statale della Louisiana - un carcere conosciuto anche come Angola o Alcatraz del Sud, il più grande negli Stati Uniti in termini di massima sicurezza - e dovrà restarci per il resto della sua vita. Come racconta il Guardian, un’indagine dell’Unione americana per i diritti civili (Aclu) ha rilevato che Jackson è solo uno dei 3.281 prigionieri in America condannati all’ergastolo per reati non violenti, senza possibilità di appello, e che il fenomeno non coinvolge solo Angola ma diverse altre prigioni, soprattutto negli Stati del Sud del Paese. La maggior parte di essi ha rubato: c’è chi è condannato a morire in carcere per aver sottratto la benzina da un camion, chi per aver rubato attrezzi da un deposito, un altro, Ronald Washington, anche lui detenuto ad Angola, per il furto di due divise di basket dal valore complessivo di 90 dollari. Le dichiarazioni di Washington, rilasciate all’Aclu - che si sta battendo per i diritti di questi carcerati - sono drammatiche: “Mi sento come se qualcuno avesse tirato via la mia vita dal mio corpo”. L’organizzazione ha invitato il Congresso Statunitense, l’amministrazione Obama e lo Stato della Louisiana a porre fine alla condanna all’ergastolo senza possibilità di appello per reati non violenti e ha richiesto nuove udienze per tutti quelli già costretti a passare il resto della loro vita in carcere. Un altro punto per cui si batte l’organizzazione è anche il costo che i detenuti rappresentano per i contribuenti: secondo alcune stime, infatti, circa 2000 condannati si trovano nelle prigioni federali e questo ha un peso di 1,8 miliardi di dollari sulle casse del Paese. Stati Uniti: pane e acqua a detenuti che non rispettano la bandiera americana 9Colonne, 14 novembre 2013 La più antica minaccia di “pane e acqua” per i detenuti non è mai stata attuale come oggi. Joe Arpaio, l’81enne sceriffo più conosciuto dell’Arizona, ha infatti deciso di punire con questo stretto regime alimentare tutti i carcerati che non rispetteranno e vandalizzeranno la bandiera statunitense. Come ha dichiarato lo stesso Arpaio, attualmente 10 detenuti della contea di Maricopa sarebbero a pane e acqua per questo reato. La decisione dello sceriffo è estesa agli 8.500 prigionieri delle sette carceri dello Stato sotto il controllo di Arpaio. Russia: gli attivisti di Greenpeace, in cella a San Pietroburgo in attesa di giudizio di Matteo Tacconi Il Manifesto, 14 novembre 2013 Uno, quattro, cinque. Sono, dovrebbero essere, i numeri delle tre celle del carcere di San Pietroburgo dove sono stati trasferiti, martedì, i 28 attivisti di Greenpeace in attesa di giudizio. Tra loro c’è anche l’italiano Cristian D’Alessandro. Sono arrivati in treno da Murmansk, al termine di un viaggio durato più di venti ore. Insieme a loro sono stati portati a San Pietroburgo anche i due giornalisti che erano a bordo della Arctic Sunrise il 19 settembre, giorno in cui la guardia costiera russa ha posto fine senza troppi complimenti alla protesta ingaggiata da Greenpeace contro una piattaforma petrolifera operata da Gazprom nel Mar di Barents, nel più ampio contesto di una campagna contro lo sfruttamento dei fondali artici. L’imbarcazione è stata sequestrata e i membri dell’equipaggio sono stati condotti nella città portuale di Murmansk, dove la magistratura ha prima emesso dei provvedimenti di custodia cautelare e poi formulato l’accusa di pirateria, che prevede fino a un massimo di 15 anni. Nei giorni scorsi sarebbe stata stralciata. Quelli della Arctic Sunrise, ha fatto sapere Mosca, verranno processato sulla base del reato di hooliganismo, molto più tenue. Starebbe qui il motivo del trasferimento a San Pietroburgo. Il tribunale di Murmansk non ha la competenza sulla fattispecie. Greenpeace tuttavia ha riferito che ufficialmente l’accusa di pirateria non è ancora decaduta. Sempre a livello legale c’è da segnalare che il 6 novembre s’è tenuta un’udienza della Corte internazionale del diritto del Mare, organo dell’Onu con sede ad Amburgo. L’ha sollecitata l’Olanda (la Arctic Sunrise batte bandiera olandese), invocando la scarcerazione degli attivisti e argomentando che le autorità russe, sequestrando la nave e arrestandone l’equipaggio, hanno violato il diritto internazionale marittimo. Mosca non ha preso parte alla seduta. Al di là delle vertenze giudiziarie, della piega che prenderanno prossimamente e delle loro possibili implicazioni politiche (Mosca potrebbe usare il caso come ricatto negoziale a livello internazionale), questa vicenda va anche letta in virtù della molla che ha fatto scattare tutto: la partita energetica dell’Artico. Lì sotto c’è un enorme quantità di petrolio e gas. Novanta miliardi di barili di “oro nero”, mille e più miliardi di metri cubi di “oro azzurro”; il 13% delle riserve globali del primo e il 30% di quelle del secondo. Così si stima. Tutto questo alla Russia fa gola, visto che i giacimenti storici, quelli situati in Siberia, tenderebbero a prosciugarsi progressivamente. Senza contare che il Cremlino, a oggi, non è ancora riuscito a sviluppare un’impalcatura economica capace di svincolarsi dalla dittatura dell’export energetico, voce egemone del Pil. La corsa all’Artico, vista da Mosca, è dunque priorità. Il momento fondante è stata l’iniziativa che ha portato l’esploratore Artur Chilingarov - correva l’anno 2007 - a inabissarsi a bordo di un sottomarino e a infilare la bandiera russa nella faglia artica, che secondo la Russia non è che il proseguimento del suo territorio. Quella mossa servì anche a contenere gli appetiti degli altri stati rivieraschi: Canada, Stati Uniti, Norvegia, Danimarca. Comunque sia la Russia, finora, è l’unica che ha investito. I colossi nazionali dell’energia, Gazprom e Rosneft, hanno esplorato e iniziato in alcuni casi a trivellare. È questo che Greenpeace contesta, proponendo il bando alle attività energetiche. È questo il motivo che ha portato la Arctic Sunrise, il 19 settembre, a incrociare al largo del Mar di Barents. Sembra però che i russi abbiano delle difficoltà. Tirare fuori greggio dall’Artico è un’operazione economicamente onerosissima. L’estrazione di un barile costa tra i 200 e i 300 dollari. Si ritiene che sia sostenibile solo se questa somma diminuisse di almeno la metà, se non di più. Tanto che Mosca, recentemente, ha coinvolto alcune grosse compagnie straniere nelle attività nell’Artico. L’obiettivo è avere una tecnologia migliore, che abbassi le spese. C’è anche Eni. Russia: Corte Suprema ribadisce, Khodorkovsky resta in carcere Agi, 14 novembre 2013 La Corte Suprema russa ha respinto il ricorso dei legali dell’ex oligarca Mikhail Khodorkovsky e del suo socio Platon Lebedev, che chiedevano la revisione della sentenza di colpevolezza emessa dai giudici, al termine del secondo processo contro i due imprenditori. La notizia, pubblicata sul loro sito Internet, è stata ripresa dalle principali agenzie di stampa. Un tempo uomo più ricco del Paese e a capo della ormai defunta compagnia petrolifera “Yukos”, nel 2010 Khodorkovsky fu condannato insieme a Lebedev per riciclaggio di denaro e furto di petrolio. Gli avvocati difensori definirono la sentenza “illegale e infondata”, e chiesero il suo annullamento e la scarcerazione dei due detenuti. La Corte Suprema aveva già riesaminato il cosiddetto “secondo caso Yukos” e ad agosto aveva confermato il verdetto, pur concedendo un lieve ‘sconto’ di due mesi sulla pena. La difesa aveva subito annunciato ricorso contro tale decisione. L’ex magnate con aspirazioni politiche, diventato nemico numero uno di Vladimir Putin nei primi anni della sua presidenza, è in carcere dal 2003, e per i difensori dei diritti umani è diventato da subito un prigioniero politico. Un primo processo, nel 2005, lo aveva visto condannare a otto anni di reclusione per truffa e frode fiscale. Con il secondo, la pena carceraria era aumentata a quattordici anni, poi ridotti di due in sede d’appello. L’ex petroliere potrà uscire di prigione nell’agosto 2014, mentre per il socio la scarcerazione è prevista nel maggio prossimo. Russia: una Ong conferma, la Pussy Riot Nadezhda Tolokonnikova è in carcere in Siberia L’Unità, 14 novembre 2013 Dopo settimane di attesa e tante voci arriva la certezza sulla sorte di Nadezhda Tolokonnikova, componente della band Pussy Riot di cui si erano perse le tracce da ottobre. Il servizio penitenziario russo ha confermato che Nadia si trova ora in quarantena in un carcere del territorio di Krasnoyarsk, in Siberia. È riuscito a saperlo l’ombudsman per i diritti umani russo Vladimir Lukin: “Mi ostato detto che è in infermeria nel penitenziario del territorio di Krasnoyarsk, in quarantena. Non appena la quarantena sarà terminata, i legali e i familiari di Nadezhda Tolokonnikova saranno informati, nel giro di due o tre giorni, su dove si trova”. Lukin ha detto di aver dovuto chiedere alla sede centrale del Servizio penitenziario, dato che l’ufficio di Krasnoyarsk aveva continuato a smentire che la ragazza si trovasse in un carcere della zona. Tre settimane fa Tolokonnikova aveva ottenuto il trasferimento dal carcere della Mordovia in cui si trovava a seguito di un lungo sciopero della fame, che l’aveva portata in ospedale, e della denuncia della minacce ricevute in cella. Ma di lei nel corso del trasferimento si erano perse le tracce. Tolokonnikova sconta come un’altra delle tre componenti del gruppo punk una condanna a due anni di carcere per una preghiera punkanti-Putin cantata a febbraio 2012 nella cattedrale di Cristo salvatore a Mosca. “Essenzialmente - aveva denunciato il marito Pyotr Verzilov - è stata trasferita a 4.500 chilometri dalla Russia centrale, nel cuore della Siberia, come punizione per l’eco che ha avuto la sua lettera”, in cui denunciava i soprusi nella colonia penale. Ucraina: il Parlamento non decide, la Tymoshenko resta in carcere di Maria Serena Natale Corriere della Sera, 14 novembre 2013 A rischio l’accordo di associazione con la Ue, la liberazione dell’oppositrice è una delle condizioni poste da Bruxelles per la firma dell’intesa. Si va ai supplementari. Maggioranza e opposizione non hanno trovato l’accordo sulla legge che avrebbe dovuto spianare la strada al patto di associazione e libero scambio tra Ucraina e Unione Europea autorizzando il trasferimento all’estero dell’ex premier Yulia Tymoshenko, condannata nel 2011 a sette anni di carcere per abuso di potere e ricoverata dal maggio 2012 in ospedale in stato di detenzione. Negli ultimi mesi, in vista del decisivo vertice Ue di Vilnius del 28-29 novembre, il governo aveva accentuato una inusuale retorica europeista per facilitare le trattative, condizionate alla revisione di quella “giustizia selettiva” della quale il caso Tymoshenko è ormai il simbolo. Ora Kiev rallenta, con un colpo che rischia di compromettere l’intera partita a un passo dalla fine. È il primo ministro Mykola Azarov a chiarire: “La priorità è normalizzare le relazioni commerciali con Mosca”, che con i recenti blocchi alle importazioni e gli avvertimenti sui rischi per le forniture di gas ha intensificato il pressing per fermare l’avvicinamento di Kiev a Bruxelles. Non è un dettaglio che sabato scorso il presidente Viktor Yanukovich abbia incontrato per la seconda volta in due settimane l’omologo russo Vladimir Putin, deciso ad attrarre l’Ucraina nell’unione doganale con Bielorussia e Kazakistan considerata il nucleo del suo progetto di espansione neo-zarista. Nei giorni scorsi la stessa unione degli industriali, vicini a Yanukovich e agli ampi settori filo-russi che si riconoscono nella sua presidenza, ha chiesto di posticipare la firma con la Ue di almeno un anno. Una finalizzazione dell’accordo comporterebbe un impegno per la stabilizzazione democratica e la lotta alla corruzione che Kiev non potrebbe più rinviare. n cambio di passo era stato anticipato lunedì dall’apertura di un’inchiesta penale a carico di un legale della Tymoshenko, Serhiy Vlasenko, accusato di aver maltrattato la ex moglie: nuovo giro di vite, aveva denunciato l’opposizione. Dal canto suo la leader del fronte anti-Yanukovich rischia di diventare il perfetto capro espiatorio in caso di fallimento dei negoziati. Legando a doppio filo il destino di Yulia all’Accordo, l’Europa ha affermato il principio della tutela delle libertà fondamentali e della promozione dello Stato di diritto, ma l’operazione si sta rivelando più delicata del previsto. Ieri la Tymoshenko ha lanciato un appello affinché “si agisca d’urgenza e si faccia tutto il necessario” per chiudere la trattativa. La sessione parlamentare straordinaria era l’ultima scadenza prima del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue di lunedì prossimo e del successivo summit di Vilnius. Estremo escamotage per aggirare la grazia non contemplata dal presidente, il via libera alla scarcerazione per ragioni mediche era incluso in un pacchetto di riforme che dovrà essere riesaminato martedì, poi toccherà all’Europa. Egitto: 17 anni di carcere a 12 studenti pro morsi di al-Azhar Aki, 14 novembre 2013 Un Tribunale egiziano ha condannato a 17 anni di carcere 12 sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi che avevano preso parte alle manifestanti studentesche durante le quali è stata attaccata l’Università di Al-Azhar legata alla massima istituzione dell'Islam sunnita. Lo riferisce l'agenzia di stampa ufficiale Mena, mentre sul sito dei Fratelli Musulmani si legge che tutte le persone condannate sono studenti dell'ateneo di al-Azhar. Sono più di mille, la maggior parte sostenitori di Morsi, le persone uccise in scontri con la polizia dopo la deposizione del presidente a luglio. Migliaia sono stati arrestati, molti dei quali processati. Lo stesso Morsi è sotto processo con l'accusa di incitamento alla violenza e all'omicidio di manifestanti che lo contestavano davanti al Palazzo presidenziale. Russia: Corte Suprema ribadisce, Khodorkovsky resta in carcere Agi, 14 novembre 2013 La Corte Suprema russa ha respinto il ricorso dei legali dell'ex oligarca Mikhail Khodorkovsky e del suo socio Platon Lebedev, che chiedevano la revisione della sentenza di colpevolezza emessa dai giudici, al termine del secondo processo contro i due imprenditori. La notizia, pubblicata sul loro sito Internet, è stata ripresa dalle principali agenzie di stampa. Un tempo uomo più ricco del Paese e a capo della ormai defunta compagnia petrolifera Yukos, nel 2010 Khodorkovsky fu condannato insieme a Lebedev per riciclaggio di denaro e furto di petrolio. Gli avvocati difensori definirono la sentenza "illegale e infondata", e chiesero il suo annullamento e la scarcerazione dei due detenuti. La Corte Suprema aveva gia' riesaminato il cosiddetto “secondo caso Yukos” e ad agosto aveva confermato il verdetto, pur concedendo un lieve sconto di due mesi sulla pena. La difesa aveva subito annunciato ricorso contro tale decisione. L'ex magnate con aspirazioni politiche, diventato nemico numero uno di Vladimir Putin nei primi anni della sua presidenza, è in carcere dal 2003, e per i difensori dei diritti umani è diventato da subito un prigioniero politico. Un primo processo, nel 2005, lo aveva visto condannare a otto anni di reclusione per truffa e frode fiscale. Con il secondo, la pena carceraria era aumentata a quattordici anni, poi ridotti di due in sede d'appello. L'ex petroliere potrà uscire di prigione nell'agosto 2014, mentre per il socio la scarcerazione è prevista nel maggio prossimo. Egitto: 17 anni di carcere a 12 studenti pro Morsi dell’Università di Al-Azhar Adnkronos, 14 novembre 2013 Un tribunale egiziano ha condannato a 17 anni di carcere 12 sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi che avevano preso parte alle manifestanti studentesche durante le quali è stata attaccata l’Università di Al-Azhar legata alla massima istituzione dell’Islam sunnita. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale Mena, mentre sul sito dei Fratelli Musulmani si legge che tutte le persone condannate sono studenti dell’ateneo di al-Azhar. Sono più di mille, la maggior parte sostenitori di Morsi, le persone uccise in scontri con la polizia dopo la deposizione del presidente a luglio. Migliaia sono stati arrestati, molti dei quali processati. Lo stesso Morsi è sotto processo con l’accusa di incitamento alla violenza e all’omicidio di manifestanti che lo contestavano davanti al Palazzo presidenziale. Gran Bretagna: detenuti-chef, ultima frontiera del talent scout Ramsay di Chiara Daina Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2013 Il cibo in tv esce dalle orecchie: è una sinestesia per dire che nella discarica indifferenziata digitale si salva un reality show di padelle e fornelli che potrebbe fare la differenza. Finalmente. Ramsay: chef dietro le sbarre, su Real Time Tv, mette alla prova 12 detenuti nella cucina del carcere di Brixton, a sud di Londra. Qui dentro il cuoco scozzese con 13 stelline Michelin è sceso dal piedistallo (orgoglio inseparabile in Cucine da incubo o Masterc hef ), si è dato una calmata e si è munito di santa e seria pazienza per insegnare a rapinatori, aggressori e tossicodipendenti come si fa a usare i coltelli per affettare le torte e non la faccia di un uomo o scassare una serratura. Risultato: la cooperativa Bad boys’ bakery che confeziona leccornie da vendere ai liberi cittadini delle periferia londinese. Un’impresa durata sei mesi e sintetizzata in quattro puntate in onda dal 22 ottobre sui nostri schermi. Morale: tutto in galera diventa un lusso. Per raggiungere la cucina ci vuole come minimo mezz’ora, tra cancelli da varcare e controlli da subire. I coltelli sono serrati in vetrine e qualsiasi altro oggetto contundente o che potrebbe trasformarsi in un’arma per commettere gesti di autolesionismo o di violenza verso altri è sotto il controllo di Ramsay, fornito solo se strettamente necessario. Mescolare, impastare, infornare sono azioni a doppio taglio: da un lato aiutano il detenuto a imparare un mestiere, magari da spendere all’esterno finita la condanna; dall’altro, aizzano tensione e rabbia. Un semplice errore di dosi, un cucchiaio sbattuto male, un uovo rotto senza intenzione diventano micce tra chi da anni cova rancori letali. E così volano parolacce, si danno spintoni e Ramsay veste i panni del vigile tra imperfetti equilibristi in un negozio di cristalli. La moglie lo ha costretto a seguire un corso di autodifesa prima di girare gli episodi. Una seconda stagione del reality non è in programma. Troppa fatica rieducare i delinquenti, anche attraverso lo spettacolo. È scalfito nella pratica di tutti gli Stati del mondo che la pena deve consistere in oppressione e passività per espellere dalle celle mine più esplosive di prima. Comunque il cibo è riscatto anche nella realtà. Un esempio: la pasticceria Giotto del carcere di Padova e le bancherella di frutta e verdura della cooperativa Trasgressione. net, un gruppo di liberi cittadini e detenuti delle tre carceri di Milano.