Seconda lettera di un uomo ombra a Papa Francesco di Carmelo Musumeci www.carmelomusumeci.com, 13 novembre 2013 Papa Francesco, scusa, sono di nuovo io, ti ho già scritto una volta. E lo rifaccio ancora. So che in questi ultimi tempi, da quando hai abolito l’ergastolo in Vaticano, ti stanno scrivendo molti ergastolani per chiederti di fare qualcosa anche per loro. Io invece questa volta se scrivo di nuovo è per raccontarti un episodio della mia infanzia. Papa Francesco, una volta in collegio un prete mi raccontò la storia di un bambino che parlava con Gesù. Si chiamava Marcellino. Era un trovatello. E i frati si erano presi cura di lui. Un giorno Marcellino aveva trovato nel solaio del convento un grande crocefisso con un Gesù inchiodato. Lui iniziò a parlargli. E Gesù a rispondergli. Marcellino iniziò pure a portargli un po’ di pane e vino. E per questo in seguito i frati chiamarono il bambino “Marcellino pane e vino”. La storia finiva bene. Bene per modo di dire, a seconda dei punti di vista: Marcellino si era gravemente ammalato. Ed era morto. E Gesù se l’era portato in cielo. Papa Francesco, anch’io volevo che la mia storia finisse bene. E dopo un paio di giorni che avevo sentito questo racconto ero andato in chiesa di nascosto per parlare con Gesù. Lui stava inchiodato in un grosso crocefisso di legno con la testa inclinata da un lato. Gli parlai guardandolo negli occhi. Gli domandai cosa dovevo fare nella vita. Se c’era differenza fra morire e vivere. E poi piansi davanti a lui per essere nato diverso dagli altri bambini. Piansi per i sogni che avevo diversi dagli altri bambini. Piansi per essere nato grande. Piansi per essere nato senza amore intorno a me. Piansi perché immaginavo che un giorno sarei diventato quello che non avrei voluto. Piansi per la vita che non avrei mai avuto. Piansi perché non riuscivo a smettere di piangere. Papa Francesco, quel giorno chiesi a Dio se faceva morire anche a me. E se mi portava in cielo con lui, come aveva fatto con Marcellino. Una volta montai persino su una sedia per arrivare fino a lui per baciargli la fronte. E per dirgli in un orecchio: “Ti voglio bene”. Un’altra volta cercai di togliergli la corona di spine che aveva in testa. Un giorno piansi per tanto tempo, ma se il cuore di Dio è duro, quello di Gesù lo fu ancora di più, perché continuò a non rispondermi. E un altro giorno vidi persino che Gesù abbassava gli occhi per non guardarmi. Papa Francesco, devi sapere che Gesù non mi rispose mai. Non mi parlò il primo giorno. E neppure tutti gli altri giorni che lo andai a trovare di nascosto. Neppure quando, per arruffianarmelo, gli portai un po’ di pane e un po’ di vino che avevo rubato dalla dispensa dei preti. Si potrebbe dire che il primo furto l’ho fatto per Gesù. E per ringraziamento lui non si degnò mai di scendere neppure un attimo da quella croce. Non mosse mai un muscolo. Neppure quella volta quando lo abbracciai. Quando gli baciai i piedi inchiodati nella croce. E quando lo pregai di farmi morire come aveva fatto con Marcellino pane e vino. Già a quell’età non vedevo nessuna differenza fra vivere e morire. Papa Francesco, a quel tempo qualche preghiera l’avevo imparata, ma le stelle per me non hanno mai brillato. E non c’è stato nulla da fare. Nonostante le mie preghiere Gesù non mi rispose mai. E mentre quel fortunato di Marcellino pane e vino se lo era portato in Cielo, a me aveva lasciato in questo disgraziato di mondo. Papa Francesco, ti ho raccontato questo episodio della mia infanzia perché nella mia prima lettera ti avevo scritto che gli uomini ombra del carcere di Padova ti aspettavano, io per primo. Tu però non sei venuto, non ancora. Lo so che hai tante cose da fare, devi vedere tante persone e non puoi sprecare il tuo tempo per un migliaio e poco più di ergastolani ostativi, né morti né vivi. Io lo sapevo che non saresti potuto venire, non so se neppure Papa Francesco potrebbe osare tanto da andare a trovare gli ultimi dannati della terra, ma il bambino dell’episodio che ti ho raccontato, che è ancora dentro di me, crede ancora ai miracoli. Giustizia: criminalità e condizioni carcerarie non si risolvono con atti di clemenza di Bruno Ferraro (Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione) Libero, 13 novembre 2013 Carcere e carcerazione preventiva costituiscono, a mio avviso, i due aspetti di un equivoco che si perpetua da decenni e che è ben lungi da trovare le necessarie risposte. In questo senso, l’ultima vicenda che ha coinvolto il ministro Cancellieri - la telefonata al Dap ne ha riportato il problema in primo piano. Cominciamo dal carcere, vale a dire dall’esecuzione delle pene detentive. Che ci sia un sovraffollamento è innegabile, ma che si debba ovviare sfrondando - con atti di clemenza individuale o collettiva - l’entità della popolazione carceraria, è tutto da verificare. La pena è la giusta reazione della società offesa e l’unico deterrente atto a dissuadere i malintenzionati: in ciò la definizione della pena come misura a un tempo repressiva e preventiva; in ciò l’impossibilità di rinunziarvi senza mettere in conto l’imbarbarimento dei rapporti umani. Al sovraffollamento si può rimediare recuperando strutture troppo presto abbandonate e introducendo criteri selettivi nei soggetti e negli scopi. Perché tenere in carcere i tossicodipendenti? Perché “ospitare” a nostre spese stranieri e immigrati, di cui dovrebbero (potrebbero) occuparsi i loro Paesi di provenienza dopo l’espulsione ordinata dai giudici italiani? Perché dilatare il numero dei detenuti in attesa di giudizio che, in caso di assoluzione, hanno il diritto di reclamare un risarcimento? Perché non introdurre, per molti reati, la sanzione patrimoniale che ha il pregio di colpire nelle tasche e quindi di risultare più afflittiva di una pena detentiva spesso solo minacciata o di entità ridotta? Perché rinunciare troppo facilmente al diritto di far pagare al detenuto le spese per la sua permanenza in carcere? Se il problema è come ridurre la criminalità e le sue vittime e migliorare la condizione dei reclusi, non servono atti di clemenza ma un ripensamento delle politiche penali e penitenziarie. E qui s’innesca il discorso relativo alla carcerazione preventiva e alle pene generalmente troppo basse per la criminalità cosiddetta minore (furti e reati contro il patrimonio). Per quanto riguarda la prima, essa non serve per estorcere confessioni: tra la concezione machiavellica del giustizialismo degli anni di piombo (il fine giustifica il mezzo) e la concezione di San Tommaso (anche i buoni fini diventano cattivi se perseguiti con metodi cattivi), ho sempre preferito la seconda, che implica impegno, misura, senso di responsabilità. Se questi fossero presenti, non avremmo bisogno di invocare un giudice collegiale per mettere in carcere un indagato: ma siamo sicuri che giudici delle indagini preliminari e pubblici ministeri ne siano sufficientemente dotati? Quanto alla misura delle pene, la magistratura giudicante si mostra in genere sin troppo generosa, sia nel rimandare a casa soggetti arrestati in flagranza di gravi reati (con conseguente indignazione del corpo sociale), sia nel determinare la pena base (quasi sempre al minimo), sia nel concedere attenuanti (quasi sempre con la riduzione massima della pena base) . La gente non capisce e “giudica” con metri radicalmente diversi: però non sarebbe male rispolverare intransigenza, rigore e severità. Se potessi, rivolgerei un caldo appello ai miei colleghi impegnati nel penale: evitiamo i luoghi comuni, i moralismi fini a se stessi, l’indulgenza indiscriminata, l’indifferenza alle aspettative del corpo sociale. Giustizia: con i tagli carcere disumano, i Garanti dei detenuti protestano con i Ministri Affari Italiani, 13 novembre 2013 Guai a tagliare i dirigenti dei penitenziari. I Garanti dei detenuti scrivono ai ministri della Giustizia e dell’Economia, Annamaria Cancellieri e Fabrizio Saccomanni, oltre ai presidenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato, per dare voce e condividere le “forti preoccupazioni manifestate dai sindacati dei dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna, in vista di una nuova spending review che possa ridurre il numero dei dirigenti penitenziari”. Un provvedimento che darebbe un duro colpo al tentativo di rendere le carceri italiane più umane. “Non sarebbe funzionale al progetto che l’amministrazione penitenziaria sta perseguendo- sostengono i Garanti - dandosi una nuova forma di organizzazione ed operando tanto in termini di razionalizzazione del sistema detentivo quanto in termini di umanizzazione della pena”. I Garanti regionali, provinciali e comunali dei detenuti, tra cui Desi Bruno per l’Emilia-Romagna, ricordano che “occorre mettere a norma un sistema penitenziario ripetutamente colpito da valutazioni europee per le condizioni inumane e degradanti che caratterizzano l’espiazione della pena negli istituti di reclusione”. Entro il 28 maggio 2014, infatti, l’Italia è tenuta a conformarsi alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, “adottando azioni in grado di porre rimedio al sovraffollamento. Se entro quel termine l’Italia non avrà sanato la propria posizione, saranno inevitabili ulteriori condanne”. In questo senso, mettono in guardia i Garanti dei detenuti, “eventuali tagli alla dirigenza penitenziaria, in un contesto già segnato da attribuzioni plurime di direzioni, non sarebbe strategica ma disfunzionale”. In altre parole, sarebbe “un fatto assai negativo, perché la presenza quotidiana di un direttore titolare è il perno essenziale attorno al quale ruota l’organizzazione della vita dell’istituto penitenziario, con il rischio concreto che l’assenza di singole titolarità delle direzioni possa comportare una caratterizzazione delle detenzione in termini prevalentemente custodiali”. Giustizia: ennesima “riforma” della custodia cautelare? è la ventesima volta in 25 anni di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2013 La presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti del Pd, annuncia in una lettera al Corriere che “il Parlamento sicuramente discuterà la riforma della custodia cautelare”, invocata da Piero Ostellino, ma anche da Renzi e da altri esponenti democratici, oltreché del Centro e del Pdl. C’è addirittura “un testo base” che potrebbe “approdare in aula a dicembre”. Il dibattito sul tema si è acceso dopo l’assoluzione dell’ex Ad di Fastweb, Silvio Scaglia, finito in carcere per 80 giorni e ai domiciliari per un anno nell’inchiesta su una maxi-frode, e poi assolto in primo grado a Roma; e dopo il messaggio di Napolitano alle Camere sull’amnistia e l’indulto per ridurre il sovraffollamento delle carceri. Un mese fa, su 67.564 detenuti, 24.744 erano “in attesa di giudizio”. Una cifra che spaventa e sconvolge soprattutto chi non conosce le cose di giustizia e parla per sentito dire. Secondo i dati forniti dalla stessa ministra Cancellieri, i detenuti ancora in attesa della prima sentenza sono 12.348, mentre 6.355 sono stati condannati in tribunale e aspettano l’appello, e gli altri 4.387 sono stati condannati in appello e attendono la Cassazione. La somma non fa 24.744, ma poco più di 23 mila. Comunque l’ordine di idee è quello. Ma non si vede quale “riforma” possa ridurlo drasticamente senza mettere in pericolo la sicurezza dei cittadini. Né come si possa evitare di arrestare qualcuno che poi verrà assolto, salvo rimpiazzare i magistrati con degli indovini, o far scrivere le sentenze direttamente ai pm. Checché ne dica Ostellino citando l’Habeas Corpus, Kelsen, il positivismo, Saint Simon, Comte, il nazismo e l’illuminismo (ovviamente scozzese), la custodia cautelare non è “un’autentica vergogna per il nostro Paese” (esiste in tutto il mondo) né “una ruota medievale usata da certi magistrati per strappare una confessione qualsiasi per giustificare il proprio arbitrario giudizio”. È una triste necessità che lo Stato, per evitare che i cittadini si facciano giustizia da soli, è costretto a prevedere come extrema ratio nel periodo che passa fra la scoperta del possibile autore di un delitto e la sentenza definitiva: per evitare che il tizio fugga, o inquini le prove vanificando il processo, o torni a delinquere. Un periodo piuttosto breve nei paesi che non conoscono tre gradi di giudizio automatici, né l’esecutività delle sentenze solo dopo l’ultima sentenza, e che non hanno una giustizia sfasciata dalla classe politica: cioè in quasi tutti, tranne l’Italia. Che infatti ha il record di durata delle custodie cautelari, almeno nelle statistiche. Poi la realtà è molto diversa. In America, per esempio, il condannato presenzia obbligatoriamente al primo processo e, se viene condannato, finisce direttamente a scontare la pena in carcere. E di lì eventualmente presenta appello, ma solo in caso di nuove prove (la nostra “revisione”). I ricorsi alla Corte Suprema che passano il filtro di ammissibilità sono un centinaio all’anno. In Italia 80 mila. Gli appelli dilatori e pretestuosi sono sanzionati duramente, anche perché dappertutto (fuorché da noi) chi ricorre contro la condanna può beccarsi una pena più alta nel grado successivo (reformatio in peius). Dunque, se non è proprio innocente, non gli conviene ricorrere: semmai patteggiare e chiuderla lì. Anche perché la prescrizione si blocca all’inizio del processo, mentre da noi galoppa fino alla sentenza di Cassazione. Dal 1989, quando entrò in vigore il nuovo Codice di procedura penale, il Parlamento ha riformato la custodia cautelare ben 20 volte. Ora accorciando e ora allungando la durata, ora restringendo e ora allargando i requisiti a seconda dell’”emergenza” del momento, per amore di popolarità. Tre anni fa, fu resa obbligatoria per lo stupro (ma non per l’omicidio: così agli stupratori conveniva ammazzare la vittima dopo averla violentata). Poi si tentò di fare altrettanto addirittura per lo stalking. Ora l’arresto in flagranza è divenuto obbligatorio anche per i maltrattamenti e il femminicidio (per il maschicidio invece no). Ora non è ben chiaro cosa stia escogitando il Parlamento, visto che già oggi per arrestare qualcuno prima della condanna occorrono “gravi indizi di colpevolezza”, e solo per reati molto gravi, e solo se le alternative sono insufficienti, e solo in presenza di prove granitiche sul pericolo di fuga, o di inquinamento delle prove, o di reiterazione del reato. E ogni provvedimento è vagliato da un pm, un gip, tre giudici di Riesame e 5 di Cassazione. Dalla controriforma del 1995, poi, per fermare un possibile fuggiasco, non basta più il “concreto pericolo che l’imputato si dia alla fuga”, ma occorre provare che questi “stia per darsi alla fuga”: pericolo “attuale” e “fondato su un fatto espressamente indicato”. Cioè bisogna sperare che il fuggitivo si faccia beccare con la valigia pronta, il cappotto addosso e il biglietto aereo in tasca. E la recidiva non conta più nulla. I partiti vogliono ridurre ancora i termini massimi di custodia (oggi fissati in 6 anni, dalle indagini al terzo grado, per i reati più gravi), senza far nulla per accorciare i processi, che così si chiuderanno tutti a gabbie vuote anche per i mafiosi? O la proibiranno per i reati dei colletti bianchi, visto che sono gli unici detenuti in attesa di giudizio a fare scandalo? In attesa dell’ennesima porcata, ci permettiamo una modesta proposta: lasciate stare i codici e fate una lista di persone che non si devono mai arrestare. Così evitiamo i forconi delle vittime inferocite e facciamo pure prima. Giustizia: Marco Cavallo in marcia per chiusura Ospedali Psichiatrici Giudiziari di Anita Eusebi L’Unità, 13 novembre 2013 Il simbolo della liberazione dei matti torna contro gli Opg. La nuova battaglia per la chiusura degli ospedali psichiatrici è itinerante: da oggi al 25 novembre attraverso 10 regioni e 16 città “Marco Cavallo riparte qui da Trieste per un lungo viaggio attraverso l’Italia per dire basta agli ospedali psichiatrici giudiziari tuttora esistenti, strutture indegne di un paese civile come affermato dallo stesso Presidente della Repubblica Napolitano”. Questo l’inizio della lettera che stamattina la Presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani consegna a Marco Cavallo in Piazza Unità d’Italia, chiedendogli di portare il suo messaggio agli amministratori di tutte le altre regioni. “Un messaggio chiamato cavallo”, direbbe Umberto Eco. Quaranta anni fa il gigante di legno e cartapesta, realizzato allora dal gruppo degli artisti del Laboratorio P sotto la guida di Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia, sfondò il muro di cinta del manicomio San Giovanni di Trieste. “Quando il cavallo azzurro lasciò il ghetto, centinaia di ricoverati lo seguirono. La testimonianza della povertà e della miseria dell’ospedale invase le strade della città portando con sé la speranza di stare insieme agli altri in un aperto scambio sociale, in rapporti liberi tra persone”, scrive Franco Basaglia. Oggi come allora si torna a “invadere le strade”. E nello spirito originale della Legge 180, che nel 1978 restituì dignità e cittadinanza ai “matti” decretando la chiusura dei manicomi, Marco Cavallo è ora protagonista di una nuova battaglia, forte della sua valenza simbolica contro ogni forma di discriminazione ed esclusione sociale. Il viaggio di Marco Cavallo nel mondo di fuori per incontrare gli internati è il nome dell’iniziativa, promossa a livello nazionale dal cartello di istituzioni e associazioni StopOpg e da Collana 180 Archivio Critico della Salute Mentale. Marco Cavallo viaggerà da oggi al 25 novembre attraverso 10 regioni e 16 città, per un totale di 3500 km, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione complessa e drammatica degli Opg, smuovere le coscienze e stimolare una riflessione collettiva. Farà tappa in particolare nelle sedi dei sei Opg esistenti (Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli Secondigliano, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere). Si fermerà anche a Roma, in Parlamento il 21 novembre. L’inferno di questi “non luoghi”, istituzioni totali dove sono internate ancora oggi più di mille persone in condizioni a dir poco disumane, costituisce una pagina vergognosa della nostra Repubblica ed è finito sotto gli occhi di tutti in seguito al rapporto della Commissione d’inchiesta presieduta da Ignazio Marino e ai documentari di denuncia Opg. Dove vive l’uomo e Lo Stato della follia di Francesco Cordio. “Una situazione che rende il nostro Paese indegno della Costituzione, e della stessa 180”, commenta Stefano Cecconi, portavoce nazionale di StopOpg. L’obiettivo principale è la chiusura degli Opg. Ma la soluzione non è certo la paventata traduzione degli internati negli attuali Opg in tanti mini Opg regionali, diversi solo per dimensioni e distribuzione territoriale: avrebbero lo stesso impianto ideologico a fondamento e giustificazione sociale. A questo Marco Cavallo e StopOpg dicono un no chiaro. Resta il bisogno improrogabile di aprire i Centri di Salute Mentale h24 e assicurare ai servizi sul territorio adeguate risorse economiche e umane, affinché possano essere parte integrante del processo di superamento degli Opg, attraverso la presa in carico degli internati con processi riabilitativi e di inclusione sociale. “Marco Cavallo è la storia della libertà riconquistata dagli internati che ancora oggi ci parla di futuro, apre alla possibilità, invita a una scelta di campo”, afferma Peppe Dell’Acqua, già direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, portavoce del Forum Salute Mentale nonché tra i curatori della Collana 180. “E soprattutto è un cavallo che non tollera molto le chiusure...”, scherza Dell’Acqua. L’augurio conclusivo della Serracchiani è che “il viaggio riattivi l’attenzione di tutti, e i servizi di salute mentale costruiscano in ben più forte, organizzata ed efficace misura strumenti per quella vera sicurezza sociale che deriva dalla coesione, dall’inclusione e dal sostegno a tutti i diritti deboli, a garanzia reale di tutti noi”. È dunque tempo per Marco Cavallo di rimettersi in viaggio, e che sia buon viaggio. Serracchiani: buon viaggio a Marco Cavallo “Il mio augurio è che il nuovo viaggio di Marco Cavallo porti alla definitiva chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari tuttora esistenti nel nostro Paese e risvegli l’attenzione di tutti, in particolare degli amministratori regionali ai quali spetta il compito di far sì che i Centri e servizi di territorio, di comunità, di salute mentale, di cooperazione sociale e di inclusione pongano in essere misure, ancor più organizzate ed efficaci, a presidio di quella vera sicurezza sociale che deriva dalla coesione, dall’inclusione e dal sostegno a tutti i soggetti deboli”. Con queste parole, affidate oggi all’assessore regionale del Friuli Venezia Giulia, Francesco Peroni, la presidente della Regione Debora Serracchiani ha voluto salutare la partenza dal capoluogo giuliano di Marco Cavallo, “testimone” di quella chiusura dei manicomi iniziata proprio a Trieste 40 anni fa, per un viaggio che porterà il simbolo della “rivoluzione psichiatrica basagliana” fino al 25 novembre ad attraversare 10 regioni e 16 città italiane, per un totale di ben 3.500 chilometri. L’iniziativa, promossa dal Comitato Stop Opg e da Alphabeta Verlag per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione complessa e drammatica degli ospedali psichiatrici giudiziari/Opg ancora attivi in Italia (Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli Secondigliano, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere) farà tappa anche a Roma e a Napoli. L’obiettivo principale del viaggio - che l’assessore Peroni ha definito come “l’inizio di un percorso di riforma dei servizi ai cittadini” - è la definitiva chiusura degli Opg e il loro superamento attraverso l’apertura sul territorio di centri di salute mentale per una globale presa in carico degli internati, grazie anche a programmi di riabilitazione e di inclusione sociale. Gli organizzatori hanno tra l’altro evidenziato come Franco Basaglia iniziò il proprio lavoro di riforma della psichiatria proprio in Friuli Venezia Giulia. Per il presidente della Provincia di Trieste negli anni ‘70, Michele Zanetti, “il secondo viaggio” di Marco Cavallo rappresenta dunque “una battaglia giusta e bella per il superamento della diversità”. La presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat vede invece l’iniziativa come “segnale per rispettare nel Paese tutti i diritti”. All’incontro sono anche intervenuti il consigliere regionale Franco Rotelli, il sindaco di Muggia Nerio Nesladek e l’assessore comunale di Trieste Antonella Grimm, che ha ricordato come il Comune capoluogo abbia iniziato un percorso educativo, nei ricreatori cittadini, per l’insegnamento ai ragazzi della storia della riforma psichiatrica. Giustizia: Pannella; dai tempi di Tortora le cose sono cambiate... in peggio di Antonio Angeli Il Tempo, 13 novembre 2013 Film escluso dalla kermesse. “Il regime che ha condannato Enzo ha vinto”. Il leader radicale di nuovo in sciopero della fame e della sete per la Giustizia Dai tempi di Tortora la situazione è cambiata in peggio: parola di Marco Pannella, che, in occasione della presentazione del film “Tortora. Una ferita italiana” di Ambrogio Crespi, parla della “flagranza criminale” della Giustizia italiana. E Pannella per “aiutare il potere a rispettare la propria legalità”, ha iniziato ieri lo sciopero della fame e della sete. Marco Pannella, quanto è importante che il pubblico veda “Tortora. Una ferita italiana”? “In questo momento ancora non sarebbe, in realtà, molto importante. Perché siamo oggi un Paese nel quale il dominio del ceto antropologicamente dirigente ha continuato a mandare in putrefazione il tessuto democratico; nonostante la scossa del caso Tortora. Oggi stiamo vivendo i riflessi dell’abolizione delle strutture del funzionamento democratico del Paese. Nonostante quello che, allora, ci riuscì di fare, grazie ad Enzo, accadono oggi quotidianamente proprio quelle stesse cose che accaddero ad Enzo. Quello che si è imparato è che tutti, ma proprio tutti, possono partecipare ai dibattiti, pubblici, che avvengono quotidianamente, tranne i radicali. Tranne un’intervista che mi fece a Parigi Biagi, che non fu mai a favore di Tortora, da allora è continuato tutto come prima: dal debito pubblico a tutto il resto. È quello che da 35 anni chiamo la Peste italiana”. Cosa può capire, oggi, un giovane della vicenda Tortora? “I giovani inconsapevolmente stanno vivendo in quello Stato che segnò la vita di Tortora. Quel regime ha finito per vincere, nonostante la vicenda di Enzo, e ha vinto per trent’anni, in modo incontestato e assoluto. Enzo Tortora diceva che era liberale perché aveva studiato. Ed era radicale perché aveva capito. Oggi noi viviamo in flagranza di reato del diritto positivo teorico. Siamo nelle condizioni dei tedeschi nella prima metà degli anni Trenta. Il ragazzo di oggi vive queste condizioni, dalla parte di coloro che vinsero, anche se, poi avemmo l’assoluzione finale. Rispetto ad oggi le carceri di Tortora erano carceri di lusso, le carceri di oggi sono peggiori di quelle fasciste, nelle quali, negli anni Trenta, furono inaugurati dei luoghi di lavoro, di sanità, di artigianato e di studio. Il processo di Napoli a Tortora fu celebrato in una sala che sarebbe dovuta essere destinata a delle attività di lavoro e che non lo era più, e per questo protestammo”. Come è la posizione dell’Italia rispetto al resto del mondo? “Non solo l’Italia è come la Germania degli anni 30. La realtà è che 180 paesi dell’Onu sono retti da regimi nei quali vige la rivincita della ragion di Stato. I luoghi che hanno resistito al nazismo e al fascismo rossi sono, e sono storicamente, Londra e Washington”. Qual è la prima delle emergenze, in Italia? “Quella per la quale sono, dalla mezzanotte di ieri, di nuovo in sciopero della fame e della sete: l’obiettivo obbligatorio è l’uscita dell’Italia dalla flagranza criminale dei peggiori reati, dei quali è consapevole. Gli strumenti, l’amnistia o l’indulto, possono essere scelti, ma la verità è che su questo, nonostante gli appelli, non c’è mai stato alcun dibattito”. Giustizia: oltre i cancelli delle prigioni, ogni anno decine di suicidi e tanta disperazione di Gabriele Guccione Notizie Radicali, 13 novembre 2013 Abdul non è che l’ultimo di una lista che, a scorrerla, fa impressione: contiene i nomi e i cognomi di mille e 95 detenuti morti tra le sbarre, di suicidio, malattie, overdose, cause mai accertate. Ogni volta che accade un fatto come quello dell’altra notte alle Vallette c’è chi a quell’elenco aggiunge puntualmente un nome, undici anni di morti nelle carceri italiane, 665 solo i suicidi, quelli certi. Non mancano le tredici case di pena piemontesi, che ospitano 4.773 detenuti, quando in teoria potrebbero contenerne 3.843, quasi mille in meno: negli ultimi cinque anni, secondo i dati raccolti dall’osservatorio permanente di “Ristretti”, in quindici hanno deciso di togliersi la vita. Forse perché non ce l’hanno fatta più a sopportare il peso del carcere, il sovraffollamento, la vita dura: “Ormai la carta igienica viene razionata un rotolo alla settimana perché mancano i soldi”. Forse per paura di dover tornare ad affrontare la realtà fuori da quelle mura: “Il problema del “dopo” per i detenuti è gravissimo - racconta Maria Pia Brunato che, oltre ad essere da qualche mese presidente dell’Ufficio Pio, da quasi otto anni è la Garante dei detenuti del Comune di Torino - C’è almeno la metà dei carcerati ai quali fuori dal carcere manca una prospettiva, una famiglia, una casa, un lavoro, e questo incide sul piano umano, non solo sociale”. Non ci sono solo i suicidi, due fino all’altro ieri, quattro l’anno scorso, come l’anno ancora prima. “I gesti estremi sono la punta di un iceberg - spiega Claudio Sarzotti, giurista dell’Università di Torino, referente piemontese dell’associazione Antigone - Per capire il disagio che si vive nelle carceri, dove ormai il sovraffollamento non risparmia nessun istituto, basta guardare il numero di gesti di autolesionismo, di tentati suicidi, che sono il termometro della qualità della vita dei detenuti”. I dati raccolti dal Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria-Sappe parlano per il Piemonte, solo nel primo semestre di quest’anno, di 44 tentativi di suicidio, 232 atti di autolesionismo, 25 ferimenti, 118 colluttazioni, 430 carcerati in sciopero della fame, 1178 che hanno manifestato per l’amnistia. “Inferno, è un vero inferno”, denuncia il sindacato degli agenti penitenziari Osapp. “Tiriamo giù dalla corda chi cerca di impiccarsi - raccontano i sindacalisti - Con questa carenza di personale gli agenti sono un bersaglio continuo”. Ogni carcere, certo, è una storia a sé: solo le Vallette ospitano 500 reclusi in più rispetto ai mille previsti. “Torino non è nemmeno tra le situazioni peggiori - fa notare Brunato - i detenuti stanno in due in una cella angusta. Il problema grande è l’inerzia della vita all’interno delle celle, e le risorse che ormai mancano dappertutto: non c’è carta igienica, mancano i detersivi, senza parlare dell’assistenza sanitaria”. Tutto questo in una regione, il Piemonte, che resta tra quelle che non hanno ancora un garante regionale dei detenuti. C’è una legge regionale che lo prevede, la numero 28 del 2009, ma da più di quattro anni è ignorata. “Ci sono stati anche cinque detenuti di Asti che hanno diffidato il presidente Roberto Cota perché non è mai intervenuto - dichiara il radicale Giulio Manfredi - Palazzo Lascaris alla fine ha pubblicato un bando al quale hanno risposto in dieci candidati, ma la nomina non è mai stata fatta. Dieci volte in Consiglio regionale ci si è provato, ma ogni volta è saltato il numero legale”. Costerebbe troppo, un terzo dello stipendio di un consigliere regionale, è la giustificazione dei contrari. “Questioni ideologiche”, ribatte Manfredi. Il Pdl ha avanzato una proposta alternativa, ma intanto il Piemonte continua ad aspettare un garante per i suoi detenuti. Giustizia: Renzi (Pd); no amnistia, cambieremo la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi Dire, 13 novembre 2013 “Io sono contrario sia all’amnistia che all’indulto”. Lo dice Matteo Renzi, nel corso della diretta twitter. Per affrontare l’emergenza carceraria “bisogna riformare la custodia cautelare, le due leggi principali che portano persone in carcere che sono la Bossi Fini e la Fini Giovanardi. E poi prevedere misure alternative al carcere”. Giustizia: Pannella in sciopero della sete, anche detenuti e loro familiari digiunano Agenzia Radicale, 13 novembre 2013 Dalla mezzanotte dll’11 novembre Marco Pannella ha ripreso lo sciopero totale della fame e della sete con l’obiettivo della fuoriuscita dell’Italia dalla condizione di flagranza di uno Stato tecnicamente criminale sia per le condizioni di “tortura” nelle nostre carceri, sia per lo stato ormai agonizzante della nostra giustizia. Che fine ha fatto il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Napolitano che aveva ammonito che tutti gli interventi immaginabili (e ne ha elencati molti) “appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario - ha scritto - intervenire nell’immediato (il termine fissato dalla sentenza “Torreggiani” scadrà, come già sottolineato, il 28 maggio 2014) con il ricorso a “rimedi straordinari”“, quali l’amnistia e l’indulto? Marco Pannella chiede ai Presidenti delle Camere “di convocare i Presidenti dei gruppi parlamentari affinché la questione venga calendarizzata”. Quale sostegno dà il Governo Letta alle posizioni e parole inequivocabili della Ministra della Giustizia Cancellieri per la quale “L’amnistia è un imperativo categorico morale”? E occorre richiamare, nel Governo, anche quella parte che ha visto Silvio Berlusconi pronunciarsi categoricamente per l’amnistia nel giorno in cui ha pubblicamente sottoscritto i referendum radicali. Intanto, Rita Bernardini (neoeletta segretaria nazionale di Radicali italiani) sostiene l’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella con lo sciopero della fame iniziato dalla mezzanotte di ieri e dà notizia che già 3.800 tra detenuti e loro familiari, coordinati da Alessandra Terragni, entrano anche loro in sciopero della fame. Giustizia: il regista Crespi; il docufilm su Tortora né berlusconiano né sbagliato Adnkronos, 13 novembre 2013 “Il docufilm non è né berlusconiano né tecnicamente sbagliato. Qui si parla di Enzo Tortora e non è pensato per alcun politico. È Tortora il solo protagonista. Il suo caso di malagiustizia deve essere un esempio anche per oggi. E deve dimostrare che, da allora, non è cambiato quasi nulla. Sto cercando, in tutti i modi, di muovere le coscienze e forse qualche risultato l’abbiamo raggiunto, se parlamentari e senatori hanno cercato di farlo vedere. Muller, forse, è stato un pò miope nel non comprendere la profondità del docufilm. Un prodotto che può essere anche strumentalizzato, ma che vuole parlare da solo”. Parola di Ambrogio Crespi che, questa sera a Roma, durante una conferenza stampa, ha presentato il docufilm “Enzo Tortora, una ferita italiana”, di cui ha diretto la regia. Il docufilm, che non verrà proposto al Roma Film Festival, questa sera sarà proiettato alla Camera dei Deputati in una visione riservata ai deputati. Parlando dell’esclusione dalla Kermesse romana, Francesca Scopelliti, compagna del popolare giornalista, ha spiegato: “Suona strana la reazione di Muller che prima ha detto che il docufilm durava 50 minuti, poi che non aveva gli elementi tecnici e, infine, che non aveva novità. C’è una pretestuosità di fondo in queste motivazioni. Noi - ha osservato - non volevamo trovare nuovi elementi per riaprire un caso giudiziario, chiuso con un’assoluzione piena. Ma l’intento del film era quello di ricordare la vicenda di Enzo, perché da questo caso nasca una nuova pagina politica”. È necessario, ha precisato Scopelliti, che “la vicenda di Enzo serva a che nuovi errori giudiziari non si ripetano più. Dalla vicenda di Enzo deve svilupparsi la “legge Tortora”, una riforma capace di cambiare lo stato giuridico che in Italia purtroppo non funziona. Dal 1983 è cambiato poco, troppo poco. Ci sono ancora troppi errori giudiziari e le carceri ospitano oltre 60mila detenuti, a fronte di una capacità di 45mila posti. E degli oltre 60mila detenuti il 40% è in attesa di giudizio”, ha evidenziato Scopelliti. Il docufilm, sarà al centro questa sera di una puntata speciale di ‘Matrix’ di Luca Telese durante la quale ne verranno proiettati alcuni stralci. “Stiamo gestendo - ha fatto sapere Emanuele Floridi, presidente del gruppo Datamedia che ha prodotto il docufilm - una prelazione con Mediaset per la proiezione in prima serata. Non vogliamo lucrare, ma vogliamo solo rientrare sulle spese. Non abbiamo mai avuto contatti con la Rai che, al contrario, ci ha chiesto il pagamento dei diritti su alcune immagini che abbiamo acquisito dalle Teche Rai”. Giustizia: alimentazione forzata per Provenzano, famiglia nega il consenso Ansa, 13 novembre 2013 Il carcere di Parma, in cui è detenuto al 41 bis il boss Bernardo Provenzano, ha chiesto ai familiari del capomafia il consenso scritto per praticargli l’alimentazione forzata mediante un sondino applicato allo stomaco. I parenti del padrino di Corleone sono stati contattati dal commissariato del paese che ha notificato loro la richiesta dell’istituto di pena. “Si sta chiedendo un consenso al posto del paziente che, evidentemente non è in grado di esprimerlo con buona pace dei tribunali di sorveglianza di Roma e Parma per cui è lucido e pericoloso”, ha detto l’avvocato del boss, Rosalba Di Gregorio. “Siccome - ha aggiunto - non abbiamo da settimane alcuna informazione sulle condizioni di salute di Provenzano e sulle ragioni per le quali si chiede questo intervento, non siamo in condizione di esprimere alcuna autorizzazione”. “Contiamo sul sollecito intervento del ministro della Giustizia - aggiunge - perché anche in questo caso siamo nel campo delle problematiche alimentari”. Sicilia: Cgil; psicologi penitenziari, forma contratto porta a discontinuità lavoro Ansa, 13 novembre 2013 Il coordinamento regionale degli psicologi della Fp Cgil di Catania ha chiesto di essere convocato dalla sesta commissione permanente all’Ars per affrontare “i punti critici relativi agli interventi psicologici in ambito penitenziario e socio-sanitario”, chiedendo anche la presenza dell’assessore regionale Lucia Borsellino. “In Italia - afferma una nota consegnata al presidente della Commissione Giuseppe Digiacomo - la sanità penitenziaria si avvale quasi esclusivamente di professionisti psicologi parcellizzati che prestano la loro opera su contratto annuale all’interno della giustizia minorile e quadriennale all’interno del Tribunale ordinario e delle case circondariali. Tale forma contrattuale è responsabile di una discontinuità dell’intervento psicologico e della limitazione della tipologia di prestazioni psicologiche erogate”. Nella nota si sottolinea come all’interno delle strutture penitenziarie “vengono erogate solo prestazioni di tipo clinico in misura non adeguata rispetto al fabbisogno della popolazione carceraria nonostante proprio in quel contesto risulti una maggiore incidenza di malattie psicosomatiche e consumo di psicofarmaci rispetto alla media della popolazione generale. La spesa sanitaria, di fatto cospicua, rivolta alla popolazione carceraria potrebbe essere ridimensionata attraverso l’attuazione di interventi psicologi di tipo preventivo”. Per il Coordinamento è inoltre necessario l’inserimento nell’organico della Sanità Penitenziaria dello psicologo come figura professionale, con un monte ore adeguato. Calabria: Morelli (Ugl); nelle carceri della Regione la situazione è ormai al collasso di Anna De Fazio www.catanzaroinforma.it, 13 novembre 2013 Visita del segretario nazionale dell’Ugl di Polizia Penitenziaria, Moretti alla casa circondariale di località Siano. Nuova emergenza sulle carceri calabresi. Per l’Ugl la situazione nelle case di detenzione della Calabria è ormai al collasso. Più di 2.650 detenuti nei 13 istituti carcerari del territorio calabrese che evidenziano ancora una volta le gravi criticità del sistema penitenziario nazionale e, nello specifico, calabrese. Ecco perché stamani il segretario nazionale dell’Ugl di Polizia Penitenziaria, Moretti, si è recato in visita sui luoghi di lavoro della Casa Circondariale di Siano a Catanzaro, accompagnato anche dal Segretario nazionale aggiunto, Tonino Mancini, dal Delegato nazionale per la giustizia minorile, Walter Campagna, dal Segretario regionale dell’Ugl Penitenziaria della Calabria, Andrea Di Mattia, e dal neo Segretario regionale aggiunto, Elio Palaia. Il fine dell’iniziativa, promossa dalla succitata organizzazione sindacale, è stato quello di evidenziare le problematiche relative alle carenze di mezzi e di personale all’interno dell’istituto catanzarese e i conseguenti effetti che queste determinano sul funzionamento e sulla sicurezza degli agenti e dei detenuti stessi. “Siamo preoccupati - afferma Moretti - per l’impatto che il piano strategico per le carceri, presentato qualche giorno fa dal ministro Cancellieri alla Corte europea di Strasburgo, avrà sull’organizzazione del lavoro del personale di Polizia Penitenziaria. Gli agenti sono esposti a carichi di lavoro sempre più pesanti e non possiamo certo dirci ottimisti rispetto a soluzioni che, anche per difficoltà logistico/strutturali, ad oggi risultano inapplicabili se non a danno della sicurezza operativa del personale. In più occasioni - prosegue Moretti - abbiamo sentito il Guardasigilli dichiarare che entro breve saranno disponibili oltre 4 mila nuovi posti detentivi, che il 79% dei detenuti non sosterà più nelle celle durante il giorno, che si procederà alla presentazione di una norma che affronterà il problema dei reclusi extracomunitari e dei tossicodipendenti, ma non sappiamo ancora nulla delle risorse, umane ed economiche, che serviranno, né tantomeno dove si sta pensando di reperirle. Ribadiamo perciò la necessità di un incontro urgente con le organizzazioni sindacali finalizzato a chiarire i dettagli del progetto illustrato a Strasburgo e a tracciare insieme un percorso di effettiva riqualificazione del sistema penitenziario e del personale che in esso opera, stanco - conclude il sindacalista - di subire inefficienze gestionali da un lato e disattenzioni politiche dall’altro”. Sovraffollamento, celle buie e spesso sfornite dei servizi igienici essenziali, di riscaldamento, gli Istituti di Pena del nostro Paese sono attualmente luoghi di sospensione del diritto, che non contemplano alcuna possibilità di recupero e di reinserimento nel tessuto sociale. Una situazione che attanaglia da tempo l’intero territorio nazionale e che è tutt’ora oggetto di un acceso dibattito tra le diverse componenti politiche e istituzionali italiane. Indulto, amnistia o nuove carceri: questi i temi maggiormente dibattuti ma ancora privi di risolutiva attuazione e legiferazione. Decisioni non più rimandabili vista anche la condanna per l’Italia della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, che obbliga il nostro Paese a risolvere il problema entro maggio del 2014. Sicilia: Nicosia candidato a Garante per i diritti dei detenuti della regione www.teleradiosciacca.it, 13 novembre 2013 In un momento come quello attuale, di difficile situazione vissuta dalle carceri italiane e da quelle siciliane, in modo particolare, la nomina del nuovo garante per i diritti dei detenuti, potrebbe rappresentare una misura d’intervento capace di fornire un valido contributo nella costruzione di una dimensione dignitosa della carcerazione e delle strutture penitenziarie presenti nel territorio regionale. Giuseppe Arnone, ex assessore provinciale con la giunta D’Orsi e presidente di Autonomie per la libertà, il movimento che ha aderito alla raccolta firme a sostegno dei referendum proposti dai radicali, riguardanti la giustizia e la carcerazione preventiva, nel proporre il nome di Antonello Nicosia, fa appello al presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, affinché utilizzi in modo accurato e prezioso la sua autonomia, scegliendo incondizionatamente nell’intento di dare vigore ai ruoli attraverso le persone e la loro competenza. Il garante deve essere esperto di scienze sociali, di diritti umani, delle attività sociali nelle carceri, nei centri di servizio sociale e nei servizi sociali degli enti che si occupano del reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti. Competenze che rispecchiano in pieno la figura del professionista saccense, Antonello Nicosia, pedagogista, esperto di trattamento penitenziario e conoscitore diretto del microcosmo carcerario, anche per l’esperienza vissuta di una detenzione ingiusta che gli ha permesso di sviluppare un approccio diretto con la popolazione carceraria. Compito del garante quello di creare un ponte tra i due mondi: quello della reclusione e quello della libertà e farlo attraverso una voce libera e competente, in grado di promuovere il rispetto dei diritti di chi è privato della libertà personale. Antonello Nicosia si occupa di carcere da oltre dieci anni, visitando e conoscendo da vicino le strutture penitenziarie siciliane, lavorandovi anche come formatore e volontario, scrivendo e pubblicando di carcere con il solo obiettivo di garantire la dignità dei detenuti. La sua nomina sarebbe esclusivamente una scelta di competenza – evidenzia Arnone nella sua missiva la presidente Crocetta – e non l’assegnazione di un posto vacante solo a scopo politico come è stato fatto in passato. La sua esperienza del sistema carcerario gli permetterebbe di lavorare in sintonia con tutte le istituzioni interessate alla problematiche penitenziarie, avendo come fine il reinserimento dei detenuti nella nostra società. Latina: 50enne suicida, era ai domiciliari per stalking, interviene la Camera Penale di Clemente Pistilli www.h24notizie.com, 13 novembre 2013 Gennaro Cardone si è ucciso. Il 50enne di Norma, finito ai domiciliari con l’accusa di aver aggredito, minacciato e molestato la ex moglie, si è tolto la vita impiccandosi nella sua abitazione. La settimana scorsa, nel corso dell’interrogatorio tenuto dal gip Guido Marcelli, l’indagato aveva respinto le accuse, sostenendo di aver solo detto qualche parola fuori posto alla donna, episodi accaduti quando era ubriaco. Il difensore di Cardone, l’avvocato Domenico Oropallo, aveva chiesto di modificare la misura, specificando che il 50enne viveva da solo e in condizioni di disagio, che ogni giorno si recava a mangiare alla mensa della Caritas, a Latina, e che aveva bisogno di farmaci. Il legale aveva sostenuto che chiudere Cardone tra quattro mura equivaleva a privarlo anche di quel minimo di conforto che riusciva ad avere dagli enti caritatevoli e che era pericoloso più per se stesso che per gli altri. L’avvocato Oropallo aveva specificato, come ricordato nel documento stilato dalla Camera penale, che “le condizioni di salute del Cardone, al quale era stata riconosciuta l’invalidità totale, erano incompatibili con la misura di cautela personale applicata, unitamente ad una condizione di grave ed evidente labilità psichica”. Il gip è stato di diverso avviso, ritenendo che l’interrogatorio non aveva mutato il quadro indiziario. Prima che l’avvocato Oropallo potesse chiedere alla Procura di riconsiderare la situazione, il 50enne si è impiccato, togliendosi la vita. La Camera Penale chiede maggiore prudenza sulle misure cautelari Più attenzione e più sensibilità quando si tratta di privare qualcuno della libertà personale. Questa la richiesta fatta dalla Camera penale di Latina ai magistrati dopo la tragedia di lunedì scorso, quando un 50enne di Norma, Gennaro Cardone, messo ai domiciliari con l’accusa di aver molestato la ex moglie, si è tolto la vita. La Camera penale, presieduta dall’avvocato Paolo Censi, sostiene che si continua “a riscontrare il ricorso eccessivo alle misure cautelari più afflittive, senza tenere in considerazione la ratio della norma che, di contro, le consente solo quando sono realmente indispensabili per fronteggiare le esigenze special-preventive”. E ancora: “Raramente si ricorre all’applicazione di misure meno gravose, quali, nel caso di specie, il divieto di avvicinamento che pure era stato richiesto dal pm, sebbene in via subordinata”. La Camera penale ha espresso infine amarezza “per una vicenda che forse poteva essere evitata” e auspicato “una maggiore sensibilità e prudenza nell’utilizzo dello strumento” delle misure cautelari personali, quelle con cui un indagato finisce in carcere o ai domiciliari. Lucca: Garante detenuti della Regione Toscana, Corleone, visita Casa Circondariale Adnkronos, 13 novembre 2013 Oggi, mercoledì 13 novembre, alle ore 10, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Toscana, Franco Corleone, sarà alla casa circondariale di Lucca. “Il carcere di Lucca ha sede in un vecchio convento ed ospita tra 150 e 200 detenuti. Il sovraffollamento - dice Corleone - pesa sulla vivibilità del carcere e l’obbiettivo della visita di domani è quello di verificare l’applicazione delle nuove indicazioni del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sull’affollamento e valutare le prospettive future della struttura, se sia cioè possibile una ristrutturazione o si debba pensare a soluzioni alternative”. Il Garante acquisirà, inoltre, informazioni sui recenti episodi che hanno evidenziato difficili rapporti tra agenti e detenuti. Proseguono i sopralluoghi alle strutture penitenziarie della Toscana, il Garante sarà il 14 novembre ad Empoli e il 21 all’Opg di Montelupo. Latina: una fiaccolata per il detenuto in Guinea. Stasera il caso a Chi l’ha visto www.radioluna.it, 13 novembre 2013 Una fiaccolata a Latina mercoledì prossimo con partenza da Piazza San Marco percorrendo Corso della Repubblica per arrivare sotto la sede della Prefettura. Preparano una manifestazione per coinvolgere la città e tenere alta l’attenzione sul caso, familiari e amici di Roberto Berardi l’imprenditore di Latina detenuto nel carcere di Bata, nella Guinea Equatoriale, che vogliono incontrare il sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi per illustrargli da vicino la situazione. Stasera intanto il caso sarà trattato dalla trasmissione televisiva condotta da Federica Sciarelli “Chi l’ha visto”, contemporaneamente ci sono stati contatti nelle ultime ore con la Farnesina che sta ha promesso il suo interessamento. “Non c’è più tempo”, dice la mamma di Berardi, Silvana Malafronte. Le condizioni di salute dell’uomo che ha cinquant’anni e vive in prigione da nove mesi in condizioni pessime, sono al limite. A riferirlo è stato anche l’ambasciatore del Mali, l’ultimo a vederlo in cella, che poi ha inviato una lettera ai familiari. Dalle notizie pervenute a Latina, Berardi è denutrito, soffre di malaria, è prostrato psicologicamente, e avrebbe subito di recente una nuova incursione in cella. La mamma, anche a nome della moglie e dei figli, chiede che il Governo Italiano ne ottenga la scarcerazione e lo faccia rientrare in patria. I guai per l’imprenditore pontino, che si trova in Africa da vent’anni, sono cominciati quando lui stesso ha denunciato alcuni ammanchi sul conto della società che gestiva con Theodorine Obiang figlio del dittatore locale. Poi l’arresto e la condanna al termine di un processo-farsa. Aosta: il Garante; rischio che il dibattito sulle carceri sia pericolosamente procrastinato www.aostaoggi.it, 13 novembre 2013 La preoccupazione espressa da Formento Dojot in occasione di un incontro con l’Associazione volontariato carcerario. “Da giorni, si nota un grande focus mediatico riguardo alla vicenda Ligresti. Non vorrei che ciò procrastinasse pericolosamente il già faticoso dibattito sul problema principe delle carceri italiane, che è, appunto, il sovraffollamento”. Lo afferma il garante dei diritti dei detenuti della Valle d’Aosta, Enrico Formento Dojot, in occasione di un incontro avuto lunedì scorso con l’Associazione valdostana volontariato carcerario onlus. Erano presenti anche il direttore della casa circondariale di Brissogne e la responsabile dell’Ufficio esecuzione penale esterna. “Si è parlato, tra l’altro, di amnistia e indulto, istituti per loro natura contingenti e quindi non in grado di operare su un problema strutturale, quale il sovraffollamento, ma comunque, se costruiti in modo mirato, idonei ad un risultato di breve-medio periodo, ma su di essi è sceso il silenzio - aggiunge il garante dei detenuti. Il tutto, con la scadenza vicina di maggio 2014, entro cui l’Italia deve porre rimedio all’emergenza carceri”. Ai volontari dell’Associazione volontariato carcerario Formento Dojot ha presentato “la figura e le funzioni del Garante, focalizzando l’intervento sui problemi principali che affliggono le carceri. In primo luogo - riferisce, il sovraffollamento: alla Casa circondariale di Brissogne si riscontra circa il 50 per cento degli ospiti in più rispetto alla capienza. Poi, il taglio dei fondi destinati alla fornitura di materiale per l’igiene personale e per la pulizia delle celle, particolarmente pesante perché attiene alle necessità primarie dei detenuti e alla loro dignità. Infine - spiega -, la situazione sanitaria, che risente pesantemente della mancata traslazione dei fondi dallo Stato alla Regione, a fronte del trasferimento della competenza in materia di sanità penitenziaria, formalizzato già da due anni. In tale contesto, si registra la disillusione dei ristretti, che si erano creati un affidamento sulle misure del decreto "svuota carceri" e sul dibattito in ordine ad amnistia e indulto”. Aosta: sciopero della fame per 50 detenuti che lamentano razioni pasti www.clandestinoweb.com, 13 novembre 2013 Il Coosp, Coordinamento Sindacale Penitenziario, ha dichiarato che sono “beati coloro che mangiano ogni giorno tre volte al dì con colazione, pranzo e cena.” E continua affermando “c’è gente fuori le carceri e per le strade”, che “dormono nelle auto e sotto i ponti, e va alla ricerca del cibo rovistando nei cassonetti dell’immondizia per la crisi economica e le basse pensioni sociali”. Il Coosp segnala “la scarsa attenzione verso i poliziotti penitenziari e dipendenti dell’amministrazione per il discutibile trattamento riservato nelle mense obbligatorie di servizio dove mangiano anche male, anzi se i detenuti scioperano per il dosaggio dei tortellini in brodo, i poliziotti che cosa devono fare se non l’ammutinamento?”. Queste le dichiarazioni del Coosp in merito ad una protesta da parte dei detenuti, circa una cinquantina, nel carcere di Aosta, che hanno indetto uno sciopero lamentando una “ristretta” razione per la cena per le loro esigenze alimentari. Il Coosp ha espresso la sua solidarietà alla “sola polizia penitenziaria” oltre ai “comparti tutti, per le annoverate disfunzioni che subiscono nel silenzio istituzionale per scelte centralizzate che colpiscono il Territorio e l’anello più debole della catena”. Pescia (Pt): quel carcere pronto da trent’anni è stato aperto solo per girare due film di Mauro Lubrani La Nazione, 13 novembre 2013 Le carceri scoppiano e a Pescia ce n’è uno costruito circa trent’anni fa e mai aperto. In realtà, un paio di volte è stato utilizzato, ma solo come set di film. La struttura si trova a Veneri, una delle frazioni della “città dei fiori”. Fu costruito nel 1986. Doveva trattarsi, per le sue caratteristiche, di un carcere di concezioni avanzate, anche se di dimensioni ridotte, considerato quasi di massima sicurezza. Il costo fu di cinque miliardi di lire. Il complesso principale è in cemento armato, con 15 celle e una di isolamento. Accanto si trova una palazzina che doveva essere destinata all’alloggio dei custodi, agli uffici, all’infermeria, nel complesso ulteriori 12 vani cui andavano aggiunti gli spazi per i magazzini, la lavanderia, i servizi, la sala colloqui. Attorno alla costruzione furono previste aree all’aperto molto ampie. Fu indetto pure un bando nazionale per secondini. Tutto pronto quindi, nonostante il disappunto della popolazione di Veneri, che si riteneva ulteriormente penalizzata, dopo aver dovuto accettare la costruzione del depuratore, un impianto per il quale all’epoca gli abitanti si lamentarono ripetutamente per gli odori insopportabili che emanava. Ma nessuno è mai riuscito a conoscere i motivi per cui, da parte del ministero di Grazia e Giustizia, fu deciso di non aprire il carcere: la consolazione fu che la stessa fine toccò a tanti altre strutture simili costruite nella stessa epoca in Italia. Gli amministratori di Pescia più volte hanno cercato di capire se, prima o poi, ci sarebbe stata un’apertura del carcere o se, invece, ci fosse la possibilità di un diverso utilizzo a livello locale per qualche scopo di pubblica utilità. Da quel momento, si è succeduta una ridda di voci sul diverso impiego dell’ambiente, non dopo aver pensato alla possibilità di sistemarci un carcere femminile, che avrebbe comportato costi di gestione più ridotti. Il Comune di Pescia si attivò con il ministero competente per studiare eventuali altre destinazioni. Nel novembre 1995, il sindaco Renzo Giuntoli chiese alla Regione Toscana un finanziamento per la ristrutturazione come Centro sociale rivolto all’infanzia, adolescenti, giovani e famiglie. Il complesso doveva avere una utilizzazione polifunzionale dal punto di vista degli spazi e delle attività. Doveva essere un punto di riferimento per la creazione di servizi educativi di alta qualità a basso costo, in quei Comuni dove, pur esistendo qualsiasi altro livello di scuola, c’era necessità di un servizio alternativo che riempisse il vuoto culturale, educativo e aggregativo che spesso i giovani incontrano. Nel tempo la fantasia si è sbizzarrita per cercare di sfruttare un edificio, che, nonostante siano passati quasi 30 anni dalla sua costruzione, si è mantenuto in buone condizioni. Venne fuori l’idea di realizzarvi un ostello che avrebbe potuto ospitare i giovani diretti a Roma per il Giubileo. L’amministrazione provinciale aveva difficoltà per l’ampliamento dell’attuale caserma dei vigili del fuoco - con il rischio della soppressione del distaccamento - ed ecco che venne proposto l’ex-carcere. Forse l’ambiente era idoneo, ma non certo l’ubicazione. Si parlò addirittura di crearvi un canile, a livello comprensoriale, dove poteva essere costruita anche una clinica veterinaria di eccellenza. Gli anni passano, le idee non mancano, ma il carcere rimane un monumento allo spreco italiano. Ascoli: visitano un parente detenuto e vengono derubati in carcere Il Messaggero, 13 novembre 2013 Vanno in carcere a trovare un parente detenuto, ma mentre sono a colloquio con lui vengono incredibilmente derubati di tutto quello che avevano lasciato nell’armadietto in sala d’attesa. Un bottino ingente: oggetti preziosi, carte di credito, chiavi di casa e auto, telefoni cellulari, iPod, documenti. E’ accaduto a due persone nella casa circondariale di Ascoli Piceno. Autrice del furto sarebbe una donna ascolana che, anche lei in visita a un parente detenuto, con la chiave dell’armadietto dove aveva riposto le sue cose è riuscita ad aprire anche l’altro. Gran parte della refurtiva è stata recuperata, nel giro di poche ore, nel palazzo dove la donna vive ad Ascoli. I preziosi li aveva invece impegnati, in cambio di soldi, in un Compro oro. Tutta la refurtiva è stata restituita ai proprietari, mentre la donna è stata denunciata ed è finita sotto processo davanti al tribunale di Ascoli. Oggi hanno testimoniato un agente di polizia penitenziaria e il poliziotto che ha recuperato la refurtiva: la sentenza è attesa per ottobre 2014. Arezzo: il Commissario straordinario per le carceri incontra On. Mattesini e Donati www.informarezzo.com, 13 novembre 2013 L’incontro è avvenuto oggi presso la Camera dei Deputati. Queste le richieste della sen. Mattesini e l’on. Donati: investire subito i 600mila euro disponibili, trovare risorse aggiuntive e completare i lavori di ristrutturazione del carcere”. I lavori di ristrutturazione sono bloccati da due anni, la struttura ospita solo 14 detenuti e 16 in fase di arresto, il degrado è notevole, come evidenziato nei giorni scorsi dal Garante. “Una situazione - ha detto la senatrice Donella Mattesini al Prefetto Angelo Sinesio - destinata a peggiorare con il blocco dei lavori. 600 mila euro sono disponibili ma questa cifra non è sufficiente a coprire i bisogni e quindi è necessario avere risorse aggiuntive e far riaprire subito il cantiere”. “Lavoriamo nell’interesse generale della città di Arezzo, ha aggiunto l’onorevole Marco Donati. Siamo di fronte ad un problema strutturale che deve essere compiutamente affrontato”. Il commissario del governo si è dichiarato perfettamente al corrente della situazione, ed ha assicurato un intervento in tempi rapidissimi, tanto da garantire la sua presenza ad Arezzo entro la settimana prossima per esaminare dal vivo la situazione. Il Governo, ha assicurato Sinesio, è pronto a proseguire e completare i lavori nel più breve tempo possibile. Mattesini e Donati: soddisfazione per l’esito dell’incontro “Esprimiamo la nostra soddisfazione per l’interessamento alla situazione del carcere di Arezzo da parte del Commissario straordinario del Governo per le strutture carcerarie, il Prefetto Angelo Sinesio. Ora ci aspettiamo impegni concreti per la risoluzione delle problematiche che a più riprese abbiamo sollevato e rimarcato”. La Senatrice Donella Mattesini e il Deputato Marco Donati commentano positivamente l’esito dell’incontro con il Commissario straordinario Sinesio, il quale ha convenuto con i parlamentari aretini, rispetto all’urgenza di ultimare i lavori di adeguamento del carcere di Arezzo, “un impegno preciso preso dalla politica riguardo ai problemi di San Benedetto - sottolineano Mattesini e Donati - che intendiamo perseguire fino in fondo”. Primo importante risultato ottenuto: lunedì 18 novembre p.v. il Commissario Sinesio sarà ad Arezzo per un incontro con la Direzione del Carcere e gli Amministratori locali: Sindaco, assessori provinciali, oltre ai parlamentari aretini. Padova: detenuto tenta il suicidio, chiede da anni il trasferimento in Sardegna La Nuova Sardegna, 13 novembre 2013 Ha tentato di impiccarsi in una cella della casa di reclusione di Padova utilizzando una coperta. Antonio Casu, 57 anni, detenuto di Sassari in carcere per reati di droga, ha provato a farla finita ieri verso le 16.30. Lo scorso anno, nel carcere di Porto Azzurro all’Isola d’Elba, l’uomo aveva iniziato lo sciopero della fame per essere trasferito in un penitenziario in Sardegna. Ed è probabilmente ancora questo il motivo che l’ha spinto a stringersi una coperta intorno al collo nel pomeriggio di ieri. Subito è scattato l’allarme. Il detenuto, in asfissia, è stato soccorso prima dagli agenti della polizia penitenziaria e poi dal personale del Suem 118. In ambulanza è stato trasferito d’urgenza all’ospedale, dove è ricoverato in gravi condizioni in area rossa. Non è in pericolo di vita. Antonio Casu ha iniziato la sua protesta a febbraio dello scorso anno, nel carcere dell’Isola d’Elba. “O mi trasferite in Sardegna o smetto di mangiare”. Per 20 giorni l’uomo ha smesso di nutrirsi iniziando uno sciopero della fame e della sete che ha costretto gli amministratori della casa di detenzione a disporre il suo ricovero all’ospedale di Portoferraio. Un ricovero stabilito per motivi precauzionali. Il motivo della protesta è singolare: non si lamenta per le condizioni della detenzione ma contesta i continui e faticosi trasferimenti in Sardegna, dove è coinvolto in alcuni procedimenti penali. Il suo nome compare infatti nell’elenco di quindici persone coinvolte in un traffico di droga nell’area del Sassarese: un’operazione del 2007 della Squadra mobile. L’uomo, già arrestato nel 1992 per un tentato omicidio, venne sorpreso con tre chili di cocaina nella borsa del mare (nei pressi di Platamona). “Forse si tratta di un gesto solo dimostrativo” commenta Salvatore Pirruccio, direttore del carcere Due Palazzi di Padova, “fortunatamente le sue condizioni non sono gravi”. Dalla direzione del carcere riferiscono di non essere a conoscenza di proteste fatte dal detenuto per ottenere il trasferimento. Non è escluso, però, che anche in questo caso abbia presentato un’istanza al ministero dell’Interno per un trasferimento nella terra d’origine. Nuoro: il Garante Oppo; tra ansiolitici, calcio e teatro, per un carcere più “umano” di Giovanni Bua La Nuova Sardegna, 13 novembre 2013 Trentadue affiliati alla ‘ndrangheta, 29 camorristi e altrettanti mafiosi, 5 appartenenti alla sacra corona unita. Due 41 bis, tra cui il capo dei Casalesi Antonio Iovine. E poi 43 ergastolani, di cui 20 ostativi (non godranno mai di alcuni beneficio), 80 comuni (5 le donne), di cui un quarto in attesa di giudizio, un altro quarto tra appellanti e ricorrenti e solo il 50 per cento definitivi. Questa l’impietosa fotografia del carcere di Badu e Carros scattata ieri pomeriggio in consiglio comunale dal garante dei detenuto Gianfranco Oppo, chiamato dai consiglieri per rendere conto dell’allarme da lui lanciato nelle scorse settimane sulle condizioni di vita della struttura penitenziaria. “Un carcere - spiega Oppo - in cui si incrociano vari profili ed i bisogni più disparati. Ma che, nonostante questo, è gestito da una direttrice a scavalco. Primo di tanti problemi da affrontare e risolvere”. Protagonista di questo tentativo di contatto è proprio il garante dei detenuti comunale. Notoriamente schivo e prudente (“per me il basso profilo è fondamentale - spiega - io devo aiutare i detenuti. E per farlo non c’è bisogno di fanfare ma di fiducia da parte loro ma anche della struttura”). Ma altrettanto risoluto nel difendere i risultati ottenuti. “Primi, importanti passi”. A iniziare dalla salute mentale dei detenuti: “Un problema serio - spiega Oppo - e lo conferma l’elenco dei farmaci più utilizzati che anche a Badu ‘e Carros sono gli ansiolitici, gli antipsicotici e gli stabilizzatori dell’umore”. Problemi che portano agli ancora troppi suicidi: “Nell’ultimo convegno promosso dall’Asl è stato preso l’impegno per porre più attenzione nei confronti di questo enorme rischio, che riguarda soprattutto i nuovi arrivati”. Ma anche il diritto allo studio (“punto davvero dolente, cerchiamo di sottoscrivere dei protocolli con l’università di Cagliari e Sassari”). E all’affettività: “Siamo riusciti, anche all’impegno della nuova direttrice Ciavarella e all’ufficio comando a dare nuovo impulso a un progetto già in cantiere da tanti anni. A partire da dicembre non esisterà più il bancone che separava i parenti dai detenuti”. E proprio i colloqui sono uno dei punti più delicati: “Grazie alla collaborazione fattiva con precedente direttrice Incollu e alla disponibilità dei due comandanti sono riuscito a spostare i colloqui dalla saletta avvocati all’interno delle sezioni. Ciò evita i tempi morti del trasferimento dei detenuti ed ha moltiplicato il numero dei colloqui che da 3 per volta sono diventati 10”. Piccole cose che valgono molto, come “la distribuzione dei detenuti nelle celle separando i fumatori e non fumatori, la riorganizzazione del sistema della richiesta di invalidità civile ed aggravamento, i contatti personali per accelerare le visite ospedaliere esterne”. Ma anche l’istituzione di laboratori teatrali, musicali, e attività sportive, con la società sportiva che utilizza i campi all’interno dell’area della casa circondariale sta con lavoro volontario ristrutturando completamente la casetta che accoglie i parenti in visita”. Salerno: i prof della Monterisi docenti per i detenuti, corsi in sezioni maschile e femminile di Mattia A. Carpinelli La Città di Salerno, 13 novembre 2013 Superare i limiti, anche materiali, che impediscono il completamento di un percorso formativo e d’istruzione. A Salerno, già da qualche anno, è possibile. All’interno della casa circondariale di Fuorni, per i detenuti della sezione maschile sono attivi corsi gratuiti per il conseguimento della licenza media e per l’alfabetizzazione funzionale, oltre che di italiano per stranieri, informatica e inglese. Previste anche attività di laboratorio ed altre specifiche per i detenuti. Un progetto portato avanti dal direttore della struttura di reclusione, Alfredo Stendardo, e che da oggi, grazie ad un protocollo d’intesa con la scuola media statale “Nicola Monterisi” di Salerno, guidata dalla dirigente scolastica, Tina Carrozzo, sarà aperto anche alle ospiti della sezione femminile. Nella prima fase verranno coinvolte nel percorso scolastico e laboratoriale 22 detenute. L’iniziativa è partita dal Centro territoriale permanente (Ctp) annesso alla scuola media salernitana, che già da tempo organizza corsi di questa natura. Il Centro si propone di rispondere ai seguenti bisogni: il completamento del ciclo di studi di base per i minori e gli adulti che non hanno conseguito la licenza media nell’ambito dei percorsi tradizionali; il rientro in formazione di adulti che vogliono acquisire competenze e conoscenze in un’ottica di “lifelong learning”, cioè di apprendimento lungo tutto il corso della vita; l’entrata degli adulti stranieri in un percorso formativo nel Paese che li ospita. Attualmente sono 8 i docenti, specializzati in diverse discipline, che formano il Centro territoriale permanente della scuola media “Nicola Monterisi”, che prestano gratuitamente le proprie competenze, e mettono a disposizione il loro tempo, al servizio di chi non ha avuto la possibilità di studiare o, nel caso di cittadini stranieri, abbia difficoltà con l’apprendimento della lingua italiana. “Si apre quest’anno, per la prima volta, un percorso scolastico laboratoriale a beneficio di 22 detenute ospiti presso la casa circondariale di Fuorni - ha spiegato la dirigente scolastica Carrozzo - che si aggiunge a quello realizzato da anni nella sezione maschile. Un percorso che reputiamo interessante e che sottolinea la positiva collaborazione di questi anni tra la nostra scuola e la casa circondariale”. Dopo i risultati ottenuti con la sezione maschile, portando alla formazione di un coro di detenuti, il Ctp affronta questa nuova sfida rivolta alle donne. “In un momento di particolare attenzione per il pianeta penitenziario - ha evidenziato il direttore del carcere salernitano, Stendardo - è certamente apprezzata la disponibilità dei docenti del Ctp “Monterisi” concretizzatasi nella volontà di attuare un percorso riservato alle ospiti della sezione femminile dell’istituto. L’esperienza, largamente positiva, registrata nell’ambito delle sezioni maschili, di fatto, viene estesa alle donne detenute. Il contributo, di grande significato, non si limiterà alla conoscenza del proprio essere per un successivo esame del proprio vissuto, finalizzato ad una crescita interiore e all’acquisizione di autoconsapevolezza per un graduale reinserimento nel tessuto sociale”. Bologna: “Fuori e dentro”, un altro sguardo sul carcere con gli occhi del volontariato www.iltitolo.it, 13 novembre 2013 Nuove occasioni per riflettere sul tema della detenzione. Bologna, 20 novembre - 01 dicembre 2013. Programma di attività culturali promosse da una rete di Associazioni e partner che intervengono sulle problematiche legate alla detenzione. Il carcere è società, il carcere è comunità. Attorno a queste parole nasce nel 2012 il progetto “Fuori e Dentro. Volontariato e carcere a Bologna” promosso da una rete di Associazioni di Volontariato, finora inedita a Bologna, che con il sostegno di Volabo e insieme a partner istituzionali e di settore, ha scelto di confrontarsi e lavorare insieme sulle problematiche riguardanti la situazione carceraria locale, il corretto funzionamento della “pena riparativa” e la necessità di una cultura civica consapevole e sensibile a queste tematiche. Dopo un anno di intenso confronto, la rete “Fuori e dentro” lancia un’ampia rassegna di eventi e momenti di riflessione che animerà Bologna dal 20 novembre all’1 dicembre 2013. La rassegna si intitola “Fuori e dentro. Un altro sguardo sul carcere” ed è il modo in cui la rete di associazioni ha deciso di aprirsi alla cittadinanza e invitarla ad entrare in contatto con la realtà, spesso discriminata o non conosciuta, dei luoghi e delle persone in detenzione. Il programma si apre con la Compagnia della Fortezza, che sotto la guida del regista Armando Punzo ha cambiato il volto e la storia del carcere di Volterra attraverso il teatro. Il racconto teatrale “Mercuzio ed altre utopie realizzate”, va in scena il 20 novembre all’Oratorio San Filippo Neri e ripercorre i 25 anni di lavoro della compagnia con la presenza sul palco del regista, di Aniello Arena, ergastolano e attore protagonista di “Reality” di Garrone, e di alcuni storici attori detenuti della compagnia. In chiusura - l’1 dicembre alle 19 presso l’Auditorium Enzo Biagi - la delicata e appassionata presenza di Pino Cacucci che legge “Dignità nella prigionia”: reading di brani tratti dai romanzi dello scrittore che da sempre si occupa di storie di reclusione; vicende di personaggi del recente passato accomunati da ribellione, prigionia e dignità, accompagnate dalle musiche dal vivo di un clarinetto e di una fisarmonica. 21-25-27 novembre, tre serate di cinema. Tre registi contemporanei gettano lo sguardo su diverse forme di detenzione: centro di identificazione ed espulsione, carcere adulti e carcere minorile. Giovedì 21 novembre Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale e Franco Pilati, Responsabile del Progetto Sociale interno al CIE di Bologna, introducono “Vol Special”, documentario in cui il regista Fernand Melgar entra nel centro di detenzione di Frambois, in Svizzera. “Il Gemello” di Vincenzo Marra è in programma lunedì 25 novembre al Cinema Odeon. Sarà Domenico Manzi, Ispettore Capo nel carcere di Secondigliano e attore interprete di se stesso nel film, ad introdurre la storia di Raffaele e degli altri carcerati, a spiegarci che un modo più umano per vivere il carcere esiste. Mercoledì 27 al Cinema Europa “L’amore buio” di Antonio Capuano, storia di adolescenza e carcere nella Napoli di oggi, introdotto dalle parole di Rosario D’Uonno, Direttore artistico del Marano Ragazzi Spot Festival e coordinatore per l’USR Campania di progetti nel carcere minorile di Nisida. Il 22, 23 e 24 novembre “Tutti dentro”: il Carcere minorile al Pratello apre le porte ad una serie di iniziative e momenti di socialità. Una cena curata dal laboratorio di cucina e allestimento interno al carcere, tra gli invitati le autorità cittadine e personaggi dello spettacolo. Nel fine settimana invece “Sfide al Pratello”: un torneo di calcetto a sette, uno di biliardino e uno di ping pong. Tra i partecipanti associazioni che lavorano nella carceri bolognesi e personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo. Due tavole rotonde invitano a momenti di riflessione e confronto più strutturati. Insieme a rappresentanti politici, accademici e di settore locali e nazionali, lunedì 25 presso il Salone Marescotti “Il carcere disumano e degradante” si discuterà del problema di sovraffollamento negli Istituti di Pena italiani; mercoledì 27 la Sala delle Armi della Facoltà di Giurisprudenza ospiterà “Minorenne detenuto immigrato” che verte invece sul tema della detenzione minorile. La rassegna vedrà presente anche il Coordinamento Teatro e Carcere Emilia Romagna con lo spettacolo di Paolo Billi e i ragazzi della Compagnia del Pratello e del Teatro dei Venti. Al Teatro dei Laboratori delle Arti il 26 novembre, la proiezione del documentario “Teatri di dialoghi. Adolescenze. Giustizia minorile. Scuola” ripercorre le tappe del progetto teatrale del 2012 “Dialoghi sul caso” da cui nasce l’omonimo spettacolo di Paolo Billi e della Compagnia del Pratello. La proiezione è seguita da un reading dello stesso Billi con tre ragazzi della compagnia. “Senso Comune” del Teatro dei Venti e in programma giovedì 28 novembre al Candilejas, spettacolo finalista al Premio Scenario per Ustica 2012, è una riflessione onirica sui temi della discriminazione e dell’emarginazione che trovano ambientazione perfetta e desolante nel sottoscaladi uno dei grandi palazzi di Scampia. Nel week end di chiusura si anima il cuore della città di Bologna. Le associazioni di “Fuori e Dentro” allestiranno una “Cella in Piazza”, dal 29 novembre fino all’1 dicembre in Piazza Re Enzo: l’iniziativa permetterà ai passanti di entrare nello spazio ristretto di tre metri per quattro in cui i detenuti vivono, a toccare con mano le sbarre che ne limitano lo sguardo, i letti a castello e gli armadietti di metallo che ne costituiscono l’unico arredo. Domenica 1 dicembre gli eventi si spostano in Salaborsa. Alle 15 inizia nell’Auditorium Enzo Biagi la performance della Biblioteca Vivente: una ventina di libri in carne ossa, operatori, volontari, ex detenuti e detenuti in permesso racconteranno al pubblico le loro storie e la loro biografia, spesso attraversata da vicende di discriminazione e di ricostruzione di sé. Tutti gli eventi sono ad ingresso libero ad eccezione della cena e dei tornei in carcere minorile ai quali si accede solamente tramite invito. Isili (Nu): Sindaco ispeziona cimitero della colonia penale “non c’è traccia di Priebke” La Nuova Sardegna, 13 novembre 2013 Nel cimitero della colonia penale di Isili c’è effettivamente la tomba del padre di Evelino Loi, ma non sembra esserci traccia di quella del boia nazista Erich Priebke, l’ufficiale delle Ss condannato all’ergastolo per il massacro delle Fosse Ardeatine nel 1944 e morto a cent’anni l’11 ottobre scorso. “La notizia data dall’ex detenuto di Barisardo è del tutto destituita di fondamento”, ha detto il sindaco di Isili, Orlando Carcangiu, al termine del sopralluogo fatto ieri mattina nel piccolo cimitero dove sino ai primi anni Cinquanta venivano seppelliti i detenuti che morivano durante la detenzione. Il sindaco aveva chiesto di poter verificare di persona dopo le dichiarazioni di Evelino Loi (trent’anni passati nelle carceri italiane, di cui uno proprio a Isili) seguite allo scoop del direttore di “Repubblica” Ezio Mauro sulla sepoltura in gran segreto di Priebke dopo le furibonde polemiche sui funerali e sul trattamento da riservare alla salma. Con Carcangiu c’erano il direttore della casa di reclusione Marco Porcu e il comandante degli agenti della polizia penitenziaria Giuseppe Atzeni. “Non avevo alcun dubbio - dice il primo cittadino del paese del Sarcidano -. Appena ho sentito la notizia l’ho definita una vera e propria bufala che sicuramente è stata architettata da Evelino Loi per risalire agli onori della cronaca”. Carcangiu ieri mattina ha percorso in lungo e in largo il cimitero, ha visionato una per una tutte le tombe e ha ispezionato in modo particolare l’area che confina con la tomba del padre dell’ex detenuto di Barisardo: “ Non ho notato alcun segno di terra smossa, né tantomeno di scavo. Le tombe sono tutte integre. Mi sono sentito in dovere, come sindaco, di chiedere di poter effettuare il sopralluogo solo per una questione di scrupolo”. A Isili nessuno vuole commentare la notizia. “Se fosse stata vera lo avremmo sicuramente scoperto - è il commento più diffuso. La strada che conduce al carcere è frequentata. Eventuali movimenti di persone estranee al nostro territorio sarebbero state notati. Chi parla di movimenti e di traffici strani è in malafede”. Il vecchio cimitero storico della colonia penale agricola di Isili sino allo scorso anno si trovava in uno stato di completo abbandono. Il direttore Marco Porcu per dargli un senso di decoro ha disposto un vero e proprio maquillage. I lavori sono stati eseguiti dagli stessi detenuti. In particolare sono stati sistemati i muretti a secco, sono state ripulite le tombe e le croci, è stata sfalciata l’erba e sono state messe a dimora diverse piantine. “Al termine dei lavori - dice il sindaco Carcangiu - si è svolta una piccola cerimonia alla quale ho partecipato con piacere, C’erano tra gli altri l’arcivescovo metropolita di Oristano monsignor Ignazio Sanna, il procuratore generale della repubblica di Cagliari, il dottor Ettore Angioni, e don Aldo Carcangiu, cappellano della casa circondariale”. Tempio Pausania: penitenziario di Nuchis, social movie con Salvatores di Giuseppe Pulina La Nuova Sardegna, 13 novembre 2013 Attori per un giorno e, quel che più conta, cittadini con l’iniziale maiuscola. Mira anche a questo l’ambizioso e geniale progetto che, sotto la firma di Gabriele Salvatores e lo sforzo consociato di Rai e Indiana Production, farà della casa circondariale di Nuchis una delle location di “Italy in a day”, un film collettivo che assemblerà le infinite storie di chi, aderendo alla proposta, ha deciso di fornire un contributo video che racconti qualcosa di sé in una giornata di fine ottobre. Si tratta di una novità assoluta per l’Italia, e questo rende ancor più eccezionale la scelta del carcere di Nuchis e dei suoi detenuti, ai quali è stata concessa la possibilità di far parte di un film che racconterà l’Italia attraverso le facce, i gesti e le parole di migliaia di semplici cittadini. Non potevano mancare naturalmente i racconti della quotidianità che si vive dentro le mura di un carcere. E così, i vertici del progetto, hanno individuato quattro penitenziari, uno dei quali è proprio quello gallurese, l’unico in Sardegna. Un social movie all’interno di un istituto di pena non è cosa tanto frequente e nemmeno facile da realizzare. Determinante è stata anche la gratuita collaborazione del film-maker Carlo Fenu e di Alessandro Achenza, direttore della compagnia teatrale del carcere in via di formazione. Ai due è toccato il compito di rendere materialmente possibile l’impresa, offrendo microfono e telecamera ai detenuti che si sono lasciati coinvolgere. Per entrare nella parte, si potevano utilizzare alcune domande generali, buone per rompere il ghiaccio e scandagliare in pubblico un tassello della propria intimità. Con una di queste si chiedeva agli intervistati di dire cosa è per loro l’Italia oggi. Per niente scontate, le risposte. Per Fenu e Achenza, che con il carcere di Nuchis intrattengono da mesi dei rapporti di collaborazione finalizzati alla messa in pratica di progetti culturali, quella di “Life in a day” nel reclusorio gallurese è stato senza ombra di dubbio un’esperienza forte. “Difficile, se non impossibile da raccontare - dichiara Achenza - anche per il tipo di rapporto che si è creato con i detenuti e per la sinergia con la direzione, gli educatori e il comandante di polizia penitenziaria”. Il valore documentaristico dell’opera viene sottolineato da Fenu, che molti ricorderanno nelle vesti di direttore del festival dei cortometraggi dedicato a De André. “Quello che ha preso corpo è stato il racconto di una quotidianità diretta, che i detenuti - afferma Fenu - hanno voluto condividere”. “Una livella di vita - aggiunge Achenza, giocando sul noto tema di Totò - in cui tutti hanno e possono avere una parte e in cui tutti possono davvero contare qualcosa”. Teatro: Pisa celebra 25 anni Compagnia della Fortezza e rende omaggio a Punzo Ansa, 13 novembre 2013 Un talk show, meglio una serata-evento al teatro Sant’Andrea di Pisa per celebrare i 25 anni della Compagnia della Fortezza, composta dai detenuti del carcere di Volterra (Pisa). La serata, condotta dal giornalista Massimo Marini, si aprirà alle 21.15 e ripercorrerà le mosse della compagnia diretta da Armando Punzo che ha rivoluzionato il carcere volterrano, trasformandolo da istituto di pena in istituto di cultura. Sarà un avvincente racconto teatrale che attraverserà la storia della Compagnia della Fortezza con la presentazione di estratti dagli spettacoli più importanti realizzati finora, interpretati da Armando Punzo insieme agli attori-detenuti, di video storici, di interventi musicali delle Ceramiche Lineari (Marco Bagnai, Marzio Del Testa, Antonio Chierici), con le suggestioni delle musiche di scena di Andrea Salvadori e le immagini della mostra fotografica “Una radicale bellezza” di Stefano Vaja. Tutto seguendo il fil rouge del libro di Punzo, “È ai vinti che va il suo amore. I primi venticinque anni di autoreclusione con la Compagnia della Fortezza di Volterra” (edizioni Clichy). Svezia: pochi detenuti, criminalità in calo, il governo mette in vendita le carceri di Marina Mastroluca L'Unità, 13 novembre 2013 Un letto con una coperta colorata, le pareti immacolate, la scrivania, gli scaffali con i libri. Non fosse per le sbarre - ma anche quelle non sempre ci sono - sembrerebbe più la stanza di uno studente che una cella. Vuota. La Svezia chiude quattro carceri per assoluta mancanza di detenuti. Due strutture probabilmente verranno messe in vendita, le altre saranno destinate ad usi governativi, ma potrebbero tornare in funzione se dovesse presentarsene la necessità. Eventualità quest’ultima che al momento appare piuttosto remota: dal 2004 la popolazione carceraria svedese è scesa dell’1 per cento all’anno, per precipitare di sei punti percentuali tra il 2011 e il 2012. Non c’è stato nessun bisogno di indulto, né di eterne misure d’emergenza per sfoltire i detenuti. Mentre l’Italia si espone ad una procedura d’infrazione per l’affollamento in cella tale da rasentare la tortura, la Svezia tira le somme di una politica che ha puntato decisamente verso il recupero e il reinserimento sociale, considerato non solo sulla carta il reale obiettivo della pena carceraria. Per questo Nils Öberg, capo delle prigioni svedesi, ha potuto annunciare la chiusura degli istituti di Aby, Haja, Batshagen e Kristianstad: si aspetta che la tendenza rimanga la stessa anche nel prossimo futuro. Ad alleggerire il sistema carcerario svedese non è stato solo l’approccio liberal e l’investimento sui detenuti come persone, che pure rimane la bussola - Öberg è il primo a sottolineare la necessità di non tirare i remi in barca. A rimpicciolire il numero dei detenuti è stata determinante l’indicazione della Corte suprema nel 2011 a favore di sentenze più leggere per reati di droga. La maggiore clemenza dei tribunali si è tradotta in meno 200 detenuti in un solo anno: non poco se rapportato ad una popolazione carceraria che l’anno scorso contava 4852 persone su 9 milioni e mezzo di abitanti. Sempre più spesso le corti svedesi si sono orientate a favore di pene alternative a quelle detentive per reati minori. E così dal 2004 al 2012 il numero di detenuti per furto è sceso del 36% e di quelli per reati connessi alla droga del 25%, mentre si è ridotto (meno 12%) anche il numero dei condannati per crimini violenti. Durerà? Anche se non tirano conclusioni definitive, in Svezia si mostrano piuttosto fiduciosi. Il risultato è di quelli che fanno sgranare gli occhi, specie se confrontato con il dramma di altri Paesi che si trovano a fare i conti con un numero di detenuti esponenziale. In cima alla lista ci sono gli Stati Uniti, che contano oltre 2,2 milioni di detenuti: 716 persone in cella ogni 100.000 abitanti. Un record assoluto anche confrontato a Paesi meno democratici, come la Russia (475 detenuti su 100.000 abitanti) e la Cina (121). È anche una questione di scelte politiche. Gli Stati Uniti hanno messo sul mercato anche le prigioni - per ragioni di cassa molte sono state privatizzate - e quando un detenuto produce una rendita alla società che ha in gestione il carcere è difficile che lo si lasci andare. Dal 1980 ad oggi la popolazione carceraria negli Usa è aumentata del 790 per cento e i conti federali non sono migliorati: ogni anno si spendono 50 milioni di dollari per il sistema detentivo, una grossa fetta va ai privati. Malati mentali, piccoli delinquenti e pezzi da novanta finiscono in unico calderone che non salva nessuno. Anche l’Italia con i suoi 64.323 detenuti strizzati in celle che potrebbero contenerne meno di 50.000 ha i suoi guai e - anche se non considera i detenuti come merce - torna ciclicamente al bivio dell’indulto, specie se Bruxelles incalza. Questione di scelte, anche questa. Ucraina: seduta straordinaria del Parlamento su caso Timoshenko Ansa, 13 novembre 2013 La Verkhovna Rada (il parlamento ucraino) si riunisce oggi in seduta straordinaria per discutere le riforme richieste dall’Ue per poter firmare un accordo di associazione e libero scambio a fine novembre a Vilnius. Tra i temi all’ordine del giorno ci sono anche i ddl per consentire il ricovero all’estero dei detenuti: una possibile soluzione al caso della leader dell’opposizione Iulia Timoshenko, condannata nel 2011 a sette anni di reclusione in un processo che l’Unione europea ritiene di matrice politica. La liberazione dell’ex principessa del gas - ricoverata da un anno e mezzo in un ospedale di Kharkiv per un’ernia del disco - è stata posta da Bruxelles come condizione per la firma dell’accordo, ma finora le forze politiche ucraine non sono riuscite a trovare una soluzione condivisa. L’Ue preme per un ricovero di Timoshenko in una clinica di Berlino, ma il nodo della questione - su cui in Ucraina si continua a litigare - è se consentire all’ex premier di essere ricoverata all’estero da detenuta o da persona libera. Il presidente Viktor Ianukovich sembra disponibile a consentire alla sua acerrima rivale di curarsi in Germania (a patto che il parlamento voti una legge in tal senso), ma non a riabilitarla né a concederle la grazia. Anche perché potrebbe trovarsela contro alle presidenziali del 2015. Marocco: Lega Difesa Diritti dell’Uomo; 19 migranti algerini detenuti arbitrariamente Ansa, 13 novembre 2013 Diciannove migranti algerini, che lo scorso anno sono stati intercettati dai guardacoste marocchini mentre tentavano di raggiungere clandestinamente la Spagna a bordo di una imbarcazione di fortuna, sono detenuti illegalmente dalle autorità del Regno. Lo ha denunciato oggi, con una nota, la Lega algerina per la difesa dei Diritti dell’Uomo, accusando il Marocco di abusi verbali e fisici contro i migranti, secondo quanto riferito dalla famiglia di uno dei detenuti. Secondo la Lega, le condizioni di detenzione si sarebbero inasprite a seguito della tensione diplomatica tra Algeria e Marocco, accentuatasi, peraltro, nelle ultime settimane anche per le dichiarazioni affatto concilianti del presidente Abdelaziz Bouteflika e del re Mohamed VI. Spagna: la Corte Suprema conferma il rilascio di nove detenuti dell’Eta Ansa, 13 novembre 2013 La Corte suprema spagnola ha affermato la legittimità della decisione della Audienca Nacional, che la scorsa settimana aveva disposto il rilascio di nove detenuti dell’Eta a seguito di una sentenza della Corte europea dei diritti umani. Tra i nove rilasciati figurava anche Domingo Troitino, condannato a oltre 1.100 anni di carcere per l'attentato del 1987 in un supermercato di Barcellona nel quale furono uccise 21 persone. Siria: guerra terribile per donne, 3-4mila in carcere vittime sia di regime che di gruppi ribelli Ansa, 13 novembre 2013 La guerra in Siria è stata devastante per la popolazione femminile. È quanto emerge da un rapporto pubblicato dalla Fondazione Thomson Reuters che colloca il Paese del Medio Oriente al 19esimo posto su 22 nella classifica sul trattamento delle donne negli Stati della Lega araba. E le donne sono state prese di mira sia dalle truppe del regime di Damasco che dai gruppi ribelli, in particolari quelli islamico-radicali. Si stima che 3-4 mila vivano rinchiuse nelle carceri governative e sottoposte ad ogni tipo di violenza, dalla tortura agli stupri. “Nessuna di loro era in possesso di armi o combatteva contro le truppe del governo”, ha sostenuto Anwar al-Bunni, un avvocato di Damasco impegnato nella lotta per i diritti umani. Molte sarebbero già morte dietro le sbarre a causa delle botte e delle terribili condizioni in cui vivono. Spesso vengono rinchiuse in celle sotto terra, dove non arriva la luce del sole, e talvolta si devono portare in prigionia anche i figli piccoli. Libia: Croce Rossa; difficoltà estrema per migranti detenuti, centri affollati senza servizi sanitari Ansa, 13 novembre 2013 Migliaia di migranti vivono in condizioni di estrema difficoltà in Libia: è quanto fa sapere il Comitato Internazionale delle Croce Rossa (Cicr) in Libia, secondo cui la maggior parte dei migranti è detenuta in condizioni deplorevoli e senza accesso a servizi sanitari. Molti centri in cui venivano trattenuti nel sud del Paese sono stati chiusi temporaneamente provocando così il sovraffollamento nel centro di Hamra, nella città occidentale di Gharian, diventato punto di accoglienza per i migranti che arrivano soprattutto da Mali, Niger, Eritrea, Somalia. La Croce rossa ha riscontrato, nella stessa struttura, anche casi di scabbia, dovuti alle carenti condizioni igieniche, oltre che dall’affollamento. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) in Libia aveva espresso preoccupazione per il centro di Gharian, controllato da una milizia locale che non dipende dal Dipartimento per la lotta all’immigrazione clandestina. Durante la visita di Unhcrnn nel mese di agosto, più di 1000 persone erano detenute, inclusi minori. Il Cicr inizierà nelle prossime due settimane una campagna igienica nel centro di Hamra e ha inoltre provveduto alla distribuzione di cibo e kit igienici, anche in alti centri del paese. Iraq: nuovi documenti, dettagli sui 7 ostaggi di Ashraf detenuti dalle forze di Maliki www.ncr-iran.org, 13 novembre 2013 La Resistenza Iraniana ha ottenuto nelle ultime settimane ulteriori documenti e informazioni dall’interno del regime iraniano sui sette ostaggi di Ashraf, così che non rimane alcun dubbio sul fatto che essi sono stati rapiti da forze irachene e sono attualmente detenuti da forze speciali di Maliki a Baghdad. Essi si trovano sotto il controllo di Maliki in prigioni e “case di sicurezza” all’aeroporto internazionale di Baghdad, all’aeroporto al-Mothana e nella ‘Green Zone’ di Baghdad. Oltre ai documenti e alle informazioni che possono essere presentati e difesi davanti a qualsiasi autorità internazionale, vi sono numerose persone pronti a testimoniare in qualsiasi tribunale equo in Europa o negli Stati Uniti, se la loro sicurezza è garantita. 1. In una lettera segreta nella seconda metà di ottobre del 2013, il consigliere nazionale per la Sicurezza di Maliki ha impartito ordini sulla detenzione degli ostaggi al generale Faruq al-Àraji, capo di stato maggiore del comandante in capo delle forze armate irachene. 2. In un’altra lettera segreta, Maliki ha ordinato: “Gli individui arrestati membri dell’organizzazione Khalq devono essere immediatamente trasferiti al quartier generale della Divisione Aurea entro le prossime 24 ore e si dovranno condurre indagini sull’uso della forza da parte loro contro le forze irachene”! 3. Prima di questo, come rivela un altro documento segreto, in una riunione con i comandanti del suo apparato di sicurezza Maliki aveva emesso ordini personalmente sulla detenzione dei 7 ostaggi di Ashraf. Tale documento stabilisce: “Le guardie che hanno arrestato e che detengono attualmente i 7 membri dell’Ompi devono essere sottoposte a rotazione e i membri dell’Ompi arrestati e le loro guardie devono essere trasferiti alla prigione dell’aeroporto sotto completa protezione”. 4. Molti dignitari e politici iracheni a livello nazionale e locale hanno affermato privatamente che l’attacco del 1° settembre da parte delle forze irachene è stato un atto organizzato e che gli ostaggi sono detenuti dalle forze irachene stesse. 5. Secondo rapporti ottenuti dall’interno del regime dei mullah, nella prima settimana dopo la cattura degli ostaggi Maliki ha usato la propria influenza sull’apparato giudiziario iracheno e si è servito di giudici che sono suoi agenti per fabbricare misure contro i 7 ostaggi per poterli consegnare al regime iraniano. Tuttavia, la vasta campagna della Resistenza per il loro rilascio ha indotto Maliki a non attuare questo piano criminale. 6. Uno dei luoghi in cui sono detenuti gli ostaggi è la base della Divisione “Aurea” (o “Sporca”) di Maliki all’aeroporto internazionale di Baghdad. Tale prigione è gestita dall’apparato di intelligence del Primo Ministro ed è situata tra i quartieri Rezvaniya e Abu Ghoreib nella parte occidentale di Baghdad. Un rapporto consegnato recentemente dalla “Forza Quds” all’ufficio della “Guida Suprema” del regime iraniano Khamenei e al Ministero dell’Intelligence (Mois) dei mullah afferma che i sette ostaggi sono stati tenuti nella base della Divisione “Aurea” all’aeroporto di Baghdad fino al 22 settembre. 7. Nella ‘Green Zone’ di Baghdad si trovano varie prigioni e “case di sicurezza” che appartengono al Servizio di Intelligence, all’Intelligence dell’Ufficio del Primo Ministro, alla Sicurezza Nazionale e ad altri apparati repressivi iracheni. Alcune di queste prigioni sono note agli americani e altre sono strutture adibite a tale uso in anni recenti, e quindi sono loro sconosciute. Pertanto, alcuni degli ostaggi si trovano in queste nuove “case di sicurezza”. 8. Secondo un rapporto dell’ambasciata del regime iraniano a Baghdad, un gruppo di sgherri di Maliki e numerosi torturatori delle “Forza Quds” sono incaricati di interrogare gli ostaggi. Uno di questi inquisitori è il generale di brigata Adnan Auda. Secondo recenti rapporti, gli ostaggi vengono tuttora interrogati. Gli inquisitori sono iracheni e a volte sono accompagnati da membri della “Forza Quds” e del MOIS dei mullah. I verbali dei loro interrogatori sono analizzati dagli “esperti di Monafeqin” della “Forza Quds” e del Mois (il termine “Monafeqin”, ovvero “ipocriti”, è usato dal regime dei mullah con riferimento all’Ompi). I risultati di queste indagini sono tenuti in un luogo speciale. 9. Il 19 settembre, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea Catherine Ashton ha scritto ai membri del Parlamento Europeo: “Abbiamo ragione di credere che fino a sette residenti del campo sono tenuti in stato di detenzione presso Baghdad, e c’è un significativo rischio che essi possano essere mandati in Iran”. Prima di questo, l’ambasciatore dell’Unione Europea a Baghdad ha informato numerosi parlamentari europei di avere raggiunto la conclusione che gli ostaggi erano a Baghdad. 10. Kamel Amin, portavoce del Ministero per i Diritti Umani iracheno, ha annunciato il 12 settembre: “Le forze di sicurezza hanno arrestato questi individui [i sette ostaggi] perché questi le avevano attaccate” (Radio Free Iraq - 12 settembre 2013). Il canale televisivo Biladi, appartenente alla coalizione al potere in Iraq, ha annunciato il 13 settembre: “le forze di sicurezza irachene stanno interrogando alcuni membri dell’Ompi accusati di essere coinvolti in attività terroristiche. Una fonte di grado elevato delle forze di sicurezza ha detto che le autorità hanno arrestato sette membri di questa organizzazione per ragioni giudiziarie”. 11. L’Acnur ha annunciato in una dichiarazione del 13 settembre: “Secondo rapporti pervenuti all’Acnur”, i sette individui “sono detenuti in qualche luogo in Iraq e possono trovarsi a rischio di essere trasferiti involontariamente in Iran. Questi sette sono tutti noti all’Acnur come chiedenti-asilo”. 12. Il 19 settembre, Tahar Boumedra, già responsabile per i diritti umani dell’Unami e consigliere sulla questione di Ashraf (2009-2012), ha testimoniato nella sede Onu di Ginevra e ha dichiarato che nessuno sarebbe potuto entrare ad Ashraf senza la cooperazione attiva delle forze irachene, aggiungendo: “Non c’è alcun modo per l’Unami di non sapere. Non c’è alcun modo per l’ambasciata americana di non sapere dove essi si trovano... Quando 36 residenti nel 2009 vennero prelevati da Al Khalis essi sparirono ma io riuscii a seguirli. Erano a Baghdad nella Green Zone, a 50 metri dalla sede dell’Unami e anche a 50 metri dalla Presidenza dell’Iraq, in un edificio con la targa “Consiglio Superiore dell’Educazione Nazionale”, e l’Educazione Nazionale era usata come una prigione segreta. Li tenevano lì. Andai a visitarli alla presenza di ufficiali della sicurezza irachena. Dissi loro “Ora siete miei vicini e verrò a visitarvi ogni giorno”. Il giorno dopo quando andai a visitarli furono trasferiti altrove”. Mentre le prove e le informazioni su riferite non lasciano dubbi sul ruolo delle forze e del governo iracheni nell’attacco del 1° settembre e nella detenzione degli ostaggi, qualsiasi tentativo di sminuire il ruolo del governo iracheno è solo un incentivo per esso e per il regime iraniano a compiere ulteriori attacchi, specialmente dato che i numerosi appelli della Resistenza per un’indagine indipendente, trasparente e completa da parte dell’Onu sono stati lasciati inascoltati. La Resistenza Iraniana, ricordando i loro ripetuti impegni per la protezione e la sicurezza dei residenti, chiede al governo degli Stati Uniti, al Presidente Obama, all’Onu e al suo Segretario Generale Ban Ki-moon di intraprendere un’azione urgente per il rilascio degli ostaggi. Il governo iracheno, approfittando del silenzio e dell’inazione della comunità internazionale, particolarmente degli USA e dell’Onu, sta intanto continuando i propri crimini contro i rifugiati iraniani. Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran