La biblioteca “diffusa” della Casa di Reclusione di Padova Il Mattino di Padova, 11 novembre 2013 La biblioteca “Tommaso Campanella” della Casa di reclusione è una biblioteca in divenire. Un tempo era una stanza buia e angusta, lontana dai detenuti e dal mondo esterno. Ora è un locale luminoso ampio e “ospitale”, discretamente fornito in qualità e quantità, frequentato dai detenuti, collegato al territorio attraverso il prestito interbibliotecario. Ma continua a evolvere, a ramificarsi nelle diverse sezioni. Passo dopo passo, con un lavoro certosino che non appare ma costruisce caparbiamente, poco a poco. E si sforza di diffondere la democrazia e abbattere gli steccati: oggi la biblioteca è frequentata anche da detenuti appartenenti a sezioni separate perché relative a specifiche tipologie di reati (Alta sicurezza, Protetti). E se ora i detenuti possono scendere in biblioteca, al contempo la biblioteca “sale” ai piani attraverso una rete di rappresentanti di sezione che periodicamente si riuniscono con operatori della cooperativa AltraCittà e con rappresentanti dell’ufficio educatori per raccogliere suggerimenti ed elaborare proposte. Anche la sezione semiliberi è raggiunta dal prestito. I referenti di sezione gestiscono il catalogo cartaceo e diffondono nelle sezioni le notizie e le iniziative culturali della biblioteca. Se funzione e struttura delle biblioteche stanno rapidamente evolvendo nell’era digitale, nella biblioteca del carcere modernità e conservazione si intrecciano: il libro “di carta” è solidamente padrone del campo, ma la biblioteca non è solo libri, è luogo amato e desiderato perché spazio un po’ meno di galera, luogo di socializzazione e condivisione della cultura, di proposta, di elaborazione e formazione. Rossella, Marina, Valentina, Agnese, Margherita, Maria Stella (Cooperativa AltraCittà) Un appello Sono gradite le donazioni di PC, anche vecchiotti purché funzionanti, per portare il catalogo informatico della biblioteca in ogni piano e in ogni sezione. Orgoglio di bibliotecari I rapporti con i ragazzi che scendono in biblioteca ogni giorno sono più che buoni ma c’è un aspetto che vorremmo sottolineare e che spicca su tutti gli altri. Quando un detenuto ci fa una richiesta specifica che esula dalla norma, allora inizia una sorta di sfida con le nostre capacità, il riuscire a trovare il libro adatto alle esigenze particolari accresce sempre il nostro bagaglio di conoscenze nell’ambito della biblioteca, e quando consegniamo il libro a chi ne ha fatto richiesta ci sentiamo soddisfatti, ma anche migliorati nelle competenze personali. Un’altra cosa che ci ha dato soddisfazione, e che sottolinea la qualità del lavoro svolto in questi anni da noi bibliotecari, dalle volontarie e operatrici della Cooperativa AltraCittà e da tutti coloro che hanno donato libri alla nostra biblioteca, è stato sentire un detenuto appena giunto da un altro istituto che, sceso in biblioteca per prendere alcuni libri, ha detto che non pensava che fossimo così organizzati e completi. Ecco, questo è forse il miglior complimento che si possa fare alla biblioteca “Tommaso Campanella”, perché vuol dire che gli obiettivi sono stati raggiunti e possono fare da punto di partenza per nuove e più ambiziose mete da raggiungere. Stefano e Andriano, bibliotecari della Biblioteca “Tommaso Campanella” della Casa di Reclusione di Padova Il sapere non ha età Si sa che, al risveglio, il primo desiderio delle persone è quello di prendersi un buon caffè; invece al mio risveglio, mi piace odorare i libri e stare con loro tutto il giorno: mi mettono quella sobrietà che mi accompagna nel mio quotidiano con serenità e tranquillità. La cultura di un autodidatta all’interno del carcere è qualcosa a dir poco difficile da descrivere. Io ho fatto un percorso di studio con dei professori eccellenti, che hanno saputo estrarre qualcosa che era interrato dentro di me: questa mia dedizione per lo studio la devo a loro. In verità, ero una persona che non aveva tanta dimestichezza o confidenza con i libri, avendo avuto alle spalle solo una quarta elementare. Oggi, dopo anni di studio qui, sono quasi in possesso della laurea in filosofia. Sono un referente della biblioteca all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, biblioteca che io considero esemplare. Mi capita spesso di meditare sulle cose che vengono a verificarsi nell’arco del mio quotidiano e mi sembra quasi impossibile che anche in questi posti, che io definisco devastanti, si possano incontrare persone che fanno sì che ciascuno di noi sia impegnato in qualcosa di costruttivo ed eviti di stare in ozio tutto il giorno. Ma il punto fondamentale in questione è la vasta offerta di libri di ogni genere che ci viene data, affinché ogni persona possa farsi un bagaglio di cultura autonoma per poi dare un senso alla propria vita. Per questo, coloro che apprezzano il valore della vita e soprattutto hanno la conoscenza delle persone che vivono all’interno di questo mondo, possono capire che noi non siamo delle persone negative o prive di sentimenti genuini. Auspico che questa mia riflessione raggiunga lo scopo di far capire che noi non siamo, come si suole troppo spesso dire, dei mostri ma persone che possono trasmettere qualcosa di positivo Diceva Cicerone: nessuno può capire cos’è la libertà se prima per un istante non l’ha perduta. Mi auguro che un giorno non tanto lontano qualcuno ci darà la possibilità di estendere virtù o valori che abbiamo acquisito attraverso questo itinerario rieducativo a quel mondo esterno che spesso ha dei pregiudizi negativi. Ciro Ferrara (referente della biblioteca della sezione Alta sicurezza, sezione “lontana” e isolata rispetto ai detenuti “comuni”, che da pochissimo tempo ha avuto accesso alla biblioteca) Carcere e lettura: un salvavita psicologico Sono un detenuto della 3° sezione della Casa di Reclusione di Padova, referente per la biblioteca. L’approccio alla lettura per noi è una cosa che va coltivata, stimolata e incoraggiata, perché per quanto io abbia avuto modo di osservare, chi legge ha molti benefici, come elasticità mentale, capacità di concentrazione, proprietà di linguaggio (quindi ad esempio anche i detenuti stranieri, se interessati, possono parlare meglio l’italiano leggendolo) e non ultimo lo stato di “evasione mentale” in cui fondamentalmente si trova chi fa una lettura interessante. Sono anche consapevole che le pressioni psicologiche e altri numerosi fattori esterni possono a volte compromettere la voglia e la concentrazione dei detenuti a voler leggere, ma sono certo di una cosa, che quando tutto sembra buio e tetro, una buona lettura è come una mano tesa da afferrare per non cadere. Leggere è anche un buon metodo per fare una buona analisi di se stessi perché si riflette e riflettendo ci si mette in discussione. Francesco Pulselli Oasi d’evasione C’è in carcere un luogo che è unico, particolare, sicuramente un’oasi di evasione: si va in mondi lontani, dai quali non si vorrebbe mai ritornare, nuovi mondi, nuova gente, dove non esistono muri né limitazioni, dove si spazia liberamente con la nostra mente. Un luogo pervaso da un odore unico, di carta, di libri: è la biblioteca del carcere Due Palazzi di Padova, dove una volta c’era un deposito pieno di polvere e cose inservibili, adesso è un luogo di evasione mentale. Le persone esterne hanno portato libri e con impegno sono riuscite ad arricchirla e adesso è diventata una piacevole realtà, sotto gli occhi di tutti, e si cerca di sensibilizzare la popolazione detenuta perché tutti possano beneficiare di questa opportunità di evasione. Attualmente c’è un bibliotecario titolare e per aiutarlo ci sono dei referenti volontari, uno per ogni sezione, i quali cercano di divulgare le proposte letterarie, corsi di poesia e altre attività collegate alla biblioteca. Quando, ogni due mesi circa, ci riuniamo, tutti assieme cerchiamo di affrontare i vari problemi. Tutto questo viene svolto da noi con grande soddisfazione, perché così diamo un aiuto concreto per migliorare il servizio offerto dalla struttura a tutti i nostri compagni detenuti. Enrico Milan Giustizia: la rivoluzione culturale di Cancellieri www.cadoinpiedi.it, 11 novembre 2013 In Italia 18 mila detenuti in più rispetto ai posti disponibili. In cella condizioni salutari difficili per i detenuti. Il piano del ministro della Giustizia per riscrivere le regole. Ed evitare la condanna della Corte di Strasburgo. Il piano carceri del ministro Anna Maria cancellieri punta a essere innanzitutto una rivoluzione culturale. Indispensabile all’Italia per sfuggire alla condanna della Corte di Strasburgo, ristabilendo in concreto il principio della funzione riabilitativa della pena, sancito in Costituzione ma spesso dimenticato anche a causa della scarsa informazione sulle condizioni carcerarie italiane. Non tutti sanno per esempio che i detenuti pagano la loro permanenza in carcere: 56 euro al mese, da saldare una volta usciti, che si sommano ai 116 euro al giorno spesi dallo Stato per ogni singolo detenuto. E attenzione, “carcere” è una generalizzazione: il sistema italiano è decisamente complesso, anche per quel che riguarda le strutture preposte ad accogliere i detenuti. Ci sono gli istituti di custodia preventiva, che assicurano la custodia degli imputati e dei fermati o arrestati dalla polizia. I detenuti che invece hanno ricevuto una sentenza di condanna passata in giudicato si trovano negli istituti di esecuzione della pena, le case di reclusione, che si dividono a loro volta in carceri di massima sicurezza e istituti a custodia attenuata per detenuti comuni. Esistono poi gli istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza: colonie agricole (per gli internati sottoposti alla misura di sicurezza relativa); case di lavoro (dove si svolgono attività artigianali o industriali); case di cura e custodia (gli internati sono sottoposti a tecniche psichiatriche); ospedali psichiatrici - giudiziari (riservati agli internati dichiarati seminfermi o infermi totali di mente). In realtà il 17 gennaio 2012 la Commissione giustizia del Senato aveva approvato all’unanimità la chiusura definitiva di questi ultimi entro il 31 marzo 2013, ma poi la chiusura è stata prorogata al primo aprile 2014. Buona parte dei detenuti italiani passa tra le 20 e le 22 ore al giorno chiuso in cella. Troppo per gli standard europei. Ecco perché il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, nel suo piano carceri, ha proposto che siano almeno otto le ore passate all’aperto dai detenuti. Non basta: spesso il sole in cella non entra. E anche questo va cambiato. Sono tante infatti le celle che ancora oggi hanno le bocche di lupo, finestre oscurate per buona parte della loro altezza da un muretto esterno, che impedisce la visuale e frena la circolazione dell’aria. I detenuti in Italia sono 65.891, 18.851 in più rispetto ai circa 47.040 posti disponibili secondo le fonti ufficiali, quasi 29 mila in più rispetto alle stime sulla capienza dell’associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei detenuti. Non sono certo più incoraggianti i numeri che indicano le condizioni di salute dei detenuti. Il 25% circa della popolazione carceraria ha problemi di droga, ma solo uno su sei riesce ad accedere a percorsi di recupero. Soltanto nel 2012, sono stati 1.308 i tentativi di suicidio, 56 quelli riusciti, 97 le morti per cause naturali. Da luglio a ottobre 2013, le vittime della detenzione sono state 30. Nello stesso anno sono stati contati 7.317 atti di autolesionismo e 4.651 colluttazioni con 1.023 ferimenti. E che dire del regime di detenzione speciale riservato agli affiliati alla criminalità organizzata che prevede, tra le altre cose, il fine pena mai, l’ergastolo. Bocciato da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo secondo cui il carcere a vita è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo se e solo se per il recluso risulta prevista almeno una possibilità di liberazione o di revisione. Giustizia: indulto e amnistia, fiasco del decreto-carceri e problemi sanitari di Matteo Carriero www.supermoney.eu, 11 novembre 2013 Indulto e amnistia 2013, ultime notizie: il decreto carceri al momento non sembra aver apportato alcun miglioramento nelle carceri della Liguria. I dati diffusi di recente dal segretario del Sappe Liguria Roberto Martinelli la dicono lunga sulla scarsa efficacia del decreto carceri: a ottobre si contano 1775 carcerati contro i 1770 del mese precedente. Da agosto a fine ottobre la riduzione è stata di solo 17 persone. Martinelli precisa di non avere informazioni su quanti hanno evitato il carcere per via dello svuota carceri, quindi i dati vanno presi con le pinze, ma confermano quanto si è sempre saputo: lo svuota carceri non è una misura in grado di risolvere alcun problema. Per questo si parla di indulto e amnistia nel 2013, con notizie che dimostrano il forte interesse della politica sul tema in questo momento. Il ministro Cancellieri ha sempre chiarito che il decreto svuota carceri non avrebbe risolto il problema, dichiarandosi favorevole a indulto e amnistia, soprattutto amnistia. Eppure c’è chi considera tali soluzioni parimenti non risolutive del problema sovraffollamento: il rischio è che dopo un anno o due si torni alla situazione di partenza (come accaduto per il precedente indulto). Tuttavia, qualcosa per la situazione delle carceri deve essere fatto, come testimoniato peraltro e di recente dal garante dei detenuti del Lazio Marroni, che sottolinea problemi sanitari negli istituti e più nello specifico la drammatica carenza di personale medico a Rebibbia. Le ultime notizie su indulto e amnistia 2013 hanno riguardato, negli scorsi giorni, la relazione della Cancellieri contro la custodia cautelare: qualcosa si muove, ma vedremo mai una soluzione del problema? La sensazione è che oltre a misure di amnistia e/o indulto, sia necessaria una riforma delle leggi, vero nucleo del problema. Ma per vederla al momento non sembra ci siano molte speranze. Si attendono per il momento sviluppi della proposta contro la custodia cautelare del ministro Cancellieri. Giustizia: Marco Pannella annuncia nuovo sciopero fame e sete per amnistia Ansa, 11 novembre 2013 Da Matera - dove ieri e oggi ha partecipato, insieme agli altri leader radicali, a iniziative elettorali in vista delle regionali in programma in Basilicata il 17 e 18 novembre - Marco Pannella ha annunciato un nuovo sciopero della fame e della sete sulla situazione delle carceri italiane. “Da domani - ha spiegato Pannella stamani in una conferenza stampa - comincio un nuovo sciopero della fame e della sete con l’obiettivo della fuoriuscita dell’Italia dalla sua condizione di flagranza, di uno Stato tecnicamente criminale. Gli argomenti - ha aggiunto - riguardano l’abolizione dell’ergastolo e l’inserimento della tortura come reato”. Facendo riferimenti ai “continui messaggi” inviati anche dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Pannella chiede ai Presidenti delle Camere “di convocare i Presidenti dei gruppi parlamentari affinché la questione venga calendarizzata”. La situazione delle carceri e l’impegno dei Radicali sono stati affrontati anche dal neo segretario radicale, Rita Bernardini, in Basilicata, in questo fine settimana, insieme al Ministro degli Esteri, Emma Bonino, a sostegno della candidatura alla carica di governatore della Basilicata dell’ex deputata Elisabetta Zamparutti e di quella a consigliere regionale del segretario lucano, Maurizio Bolognetti. Giustizia: efficace, rigoroso, essenziale: ecco il docu-film su Tortora rifiutato di Alessandro Gnocchi Il Giornale, 11 novembre 2013 Abbiamo visto in anteprima il documentario di Ambrogio Crespi sulla tragedia del presentatore. Escluso da Müller perché troppo "televisivo", è un buon lavoro. Il Festival internazionale del cinema di Roma, appena iniziato, ha perso una bella occasione rifiutando il documentario Enzo Tortora. Una ferita italiana di Ambrogio Crespi. I selezionatori, appunto, selezionano chi pare a loro e qualsiasi interferenza sarebbe inaccettabile. Inoltre, come abbiamo scritto centinaia di volte, il valore di un’opera non si misura dal suo impegno civile. Quanta robaccia abbiamo dovuto inghiottire, esaltata dalla critica perché organica a una parte politica? In questo caso però i conti non tornano lo stesso. Nessuna censura, a nostro parere, ?solo? disattenzione e snobismo. Marco Müller ha motivato la bocciatura del film con due argomenti: Enzo Tortora. Una ferita italiana sarebbe troppo “televisivo”, nello stile di una puntata di Report. Inoltre non porterebbe alcuna novità alla vicenda. Il documentario, visto in anteprima, non ha pretese artistiche, non è Sacro Gra, vincitore della Mostra di Venezia, ma è interessante, senza sbavature, per niente strumentale, fondato su interviste di valore. Sono quasi sessanta minuti che producono indignazione, sconforto, commozione. Crespi raggiunge appieno l’obiettivo di qualsiasi prodotto di questo tipo: ricostruire, informare, consentire allo spettatore di formarsi un’opinione. Insomma, perché escluderlo? Perché le inquadrature sono troppo semplici? L’assenza di fronzoli è la giusta forma di rispetto per la storia drammatica di Enzo Tortora. Sarebbe stato fastidioso il contrario. Qualcuno a Roma, lontano da registratori indiscreti, ha pure speculato sui guai giudiziari del regista, 200 giorni di carcerazione preventiva alle spalle (per concorso esterno in associazione mafiosa all’interno di un’inchiesta traballante). Si dimostra così la necessità di rievocare una volta di più il calvario al quale fu sottoposto il conduttore di Portobello. Il 17 giugno 1983, Enzo Tortora è arrestato alle quattro di mattina all’Hotel Plaza di Roma. Il conduttore sarebbe un camorrista e uno spacciatore. Le accuse, mosse dalla Procura di Napoli, sono basate sulle dichiarazioni di pentiti come Giovanni Pandico, Giovanni Melluso e Pasquale Barra cui si aggiungeranno altri testimoni, alcuni grotteschi. Al centro c’è un’agendina trovata nell’abitazione di un criminale in cui sembra leggersi il nome “Tortora” accanto a un numero telefonico. Peccato ci sia scritto “Tortona” e che l’utenza non sia riconducibile a Enzo. Il presentatore passa sette mesi in carcere e cinque mesi ai domiciliari in attesa di processo. Nel 1984 è eletto parlamentare europeo nel Partito radicale. Nel 1985 è condannato a dieci anni di reclusione. Si dimette dal Parlamento europeo. Torna ai domiciliari. Nel settembre 1986 la Corte d’Appello di Napoli smonta il processo precedente. Tortora non ha commesso il fatto. Nel 1988, gravemente malato, dà mandato ai suoi legali di richiedere il risarcimento dallo Stato. Come monito e come esempio: anche i magistrati devono pagare i loro errori. È l’ultima battaglia di Enzo Tortora, che muore il mese seguente, il 18 maggio 1988. Questi sono i nudi fatti, che Crespi affida a scioccanti immagini di repertorio. Tortora appare con le manette ai polsi ed è esibito come un trofeo di caccia a uso dei fotografi. I titoli dei giornali, tutti quanti colpevolisti. Gli avvocati della difesa, Alberto Dall’Ora e Raffaele Della Valle, certi in partenza di aver perso, parlano di “istruttoria inesistente” con voce spezzata. I pentiti sorridono nell’aula di tribunale. Uno di loro, alla lettura della sentenza di condanna, grida: “Ha vinto lo Stato! Ha vinto la giustizia! Hanno vinto i carabinieri!”. Tortora malato e quasi soffocato dalla tosse riferisce alla stampa di essere stato indicato come consumatore abituale di cocaina. Lascia il Parlamento europeo, nonostante il Parlamento sia contrario. Marco Pannella (un gigante) si pronuncia contro i giudici del primo grado. Della Valle ascolta in lacrime la lettura della tardiva assoluzione. Se non bastassero queste scene, che lasciano il segno anche alla milionesima visione, Crespi ha raccolto una serie d’interviste bellissime. Francesca Scopelliti legge le lettere inviatele dal carcere dal conduttore. Sono testimonianze della statura morale di Tortora, spezzano il cuore soprattutto quando descrivono la (non) vita in cella. Tra gli altri parlano gli avvocati Raffaelle Della Valle e Mauro Mellini. Il giudice Corrado Carnevale. I giornalisti Francobaldo Chiocci e Vittorio Feltri, che furono i primi cronisti a capire l’innocenza di Tortora. Mentre Vittorio Pezzuto, autore della biografia di Tortora Applausi e sputi (Sperling & Kupfer), ricorda la fortunata carriera delle toghe che distrussero l’esistenza del presentatore. Tutti assieme tracciano un quadro delle storture della giustizia italiana da cui si capisce che poco è cambiato. I problemi sono gli stessi: la carcerazione preventiva come “lebbra del processo penale” (Tortora), la contiguità tra inquirenti e parte della stampa, la mancata responsabilità dei giudici, la condizione disumana delle carceri, lo scontro tra magistratura e politica. Su questo punto, Tortora disse di trovare indecoroso che un parlamentare potesse farsi scudo dell’immunità per difendersi dai processi. Crespi mette in risalto questa posizione, fatto che impedisce di servirsi strumentalmente del film, rovesciandolo troppo sull’attualità di questi giorni, caso mai qualcuno si fosse fatto strane idee. Domani Enzo Tortora. Una ferita italiana sarà presentato alla Camera. In serata alcune scene saranno trasmesse su Canale 5 a Matrix. Il film non è andato a Roma? Il problema è tutto del Festival che tra l’altro non si è dimostrato all’altezza del suo snobismo inaugurando con la solita commediola all’italiana. Alla faccia del Festival ?Internazionale? Giustizia: ex detenuto Evelino Loi; Erich Priebke è sepolto nel cimitero di Isili Adnkronos, 11 novembre 2013 “Erich Priebke è in Sardegna, nel piccolo cimitero della colonia penale di Isili. Lo so bene, perché è sepolto a qualche metro da mio padre. E questa cosa mi fa veramente impazzire dalla rabbia”. Lo sostiene, in una intervista a La Nuova Sardegna, l’ex detenuto Evelino Loi, 68enne di Barisardo, che ha passato 30 anni in carcere, di cui uno nella colonia penale di Isili. “Ci ho fatto dentro un anno, nel 1976 - spiega - ma soprattutto ci è sepolto mio padre, Eugenio. Che è morto mentre era detenuto a Isili nel 1947. Ho anche fatto una foto sulla sua tomba. E l’ho curata praticamente tutti i giorni durante la mia detenzione. Il posto è quello, io non ho dubbi. E ho anche avuto conferme da amici. A Isili sono successe cose strane una notte di questo fine ottobre. E da allora i secondini sono misteriosamente aumentati”. Loi sostiene di essere “pieno di amici carcerati. E anche di guardie”. E, da quando è arrivata la notizia “sulla sepoltura di Priebke in un cimitero di un carcere misterioso, hanno iniziato ad arrivarmi voci, tante. Poi ho vito le foto, e allora non ho più avuto dubbi”. “Quel boia ha ucciso tutta quella gente senza mai chieder scusa - aggiunge - Non l’hanno voluto nemmeno i preti, che dovrebbero accogliere tutti. E deve finire in Sardegna, vicino a un pover’uomo come mio padre, morto in galera per aver rubato un pezzo d’asino. Io questa cosa non la sopporto proprio. E, sono sicuro, non sarò il solo”. Carcere Isili: non è sepolto qui “Non è assolutamente vero, non è sepolto qui”. Dal carcere di Isili negano all’Adnkronos che l’ex capitano delle SS Erich Priebke sia sepolto nel cimitero della colonia penale sarda. A sostenere che la tomba di Priebke si troverebbe lì è stato l’ex detenuto Evelino Loi. Lettera: giustizie e ingiustizie… sulla recente morte del giovane detenuto a Trento di Mario Iannucci (Psichiatra Casa Circondariale Sollicciano) Ristretti Orizzonti, 11 novembre 2013 Nell’Antico Testamento si legge che il massimo peccato è quello del Giudice Ingiusto. Per questo debbo dire che resto sempre un po’ meravigliato quando sono in pochi a segnalare decisioni dei Magistrati sulle quali aleggia una spessa aria di probabile ingiustizia. Una di queste decisioni mi pare che possa essere quella presa dalla Procura di Trento nel caso del detenuto ventottenne morto pochi giorni or sono presso il carcere di Spini di Gardolo. Gabriella Trenci, medico-legale, nella sua recente lettera a Ristretti Orizzonti ha spiegato in maniera chiara e sintetica molteplici ragioni mediche per le quali il riscontro autoptico sulla salma del giovane lo si sarebbe, secondo lei, dovuto disporre. Non c’è bisogno di una particolare competenza giuridica o medico-legale per capire che il richiedere quel riscontro autoptico era forse un atto debito da parte del Magistrato di turno. Quando vi è una morte improvvisa e inspiegabile, in particolare di una persona giovane, anche fuori delle mura del carcere, il riscontro autoptico viene disposto dal Magistrato di turno. Questo riscontro tutela i familiari del giovane deceduto, tutela i suoi compagni del carcere, tutela gli operatori penitenziari e la società civile nel suo insieme. Il Magistrato di turno quindi, secondo me, avrebbe fatto bene a richiedere una autopsia giudiziaria. L’autopsia non è invece stata richiesta, nonostante i familiari abbiano fatto istanza in tal senso: la morte improvvisa, secondo quanto apprendo dagli organi di stampa, sarebbe attribuibile a “cause naturali”. Non sta certo a me dire se la Procura abbia agito correttamente da un punto di vista tecnico-giuridico, procedurale e quindi legale lato sensu. Da un punto di vista “morale” però, vista la richiesta dei familiari, la decisione di non disporre una autopsia in questo caso non mi sento di condividerla. Eppure, come dice il proverbio, un peccato non ne giustifica due. Perché il peccato maggiore, a mio modestissimo parere, l’hanno commesso i Colleghi medici che hanno constatato il decesso. Al di là del luogo e delle circostanze in cui esso è avvenuto (luogo e circostanze che dovrebbero in ogni caso far nascere qualche generica perplessità sull’evento), per le morti improvvise e inspiegabili il medico che interviene e che constata il decesso ha l’obbligo di disporre quello che viene chiamato il riscontro diagnostico. Altrimenti, in caso di incertezza sulle cause di morte, non potrà essere rilasciato il nulla osta alla sepoltura. Non conosco le circostanze in cui il decesso è avvenuto se non per quello che è stato riportato su Il Trentino l’8 novembre scorso. Ho letto che a Spini di Gardolo non c’è un Medico di guardia durante le ore notturne e che gli Operatori del 118 sono intervenuti prontamente ma dall’esterno. Qualora il decesso fosse avvenuto senza “assistenza medica” (qualora cioè i medici del 118 fossero arrivati dal paziente mentre egli era già in stato di incoscienza o addirittura di “arresto cardiaco”) le cause della morte non potrebbero essere certe in alcun modo. Qualora invece il decesso fosse avvenuto alla presenza di uno o più medici, i quali abbiano soccorso il paziente in occasione della malattia che lo ha quindi portato alla morte, questi medici dovrebbero specificare dettagliatamente la natura di questa malattia (infarto miocardico acuto? altro?) o dire altrimenti che non sono in grado di farlo. In quest’ultimo caso sono del parere che sia debito, da parte loro, chiedere un riscontro diagnostico. Reputo che il riscontro diagnostico e/o l’autopsia giudiziaria sarebbero stati in questo caso molto più che opportuni. Forse sarebbero stati debiti, tanto più che i familiari del giovane deceduto il riscontro diagnostico l’hanno richiesto. Conoscere con certezza le cause della morte, garantirebbe trasparenza e onorabilità a tutti gli Operatori Penitenziari e Sanitari, restituirebbe chiarezza ai familiari del ragazzo defunto. Familiari ai quali indirizzo in ogni caso il mio sentito cordoglio. Liguria: Martinelli (Sappe); il decreto-carceri non decolla, situazione resta difficile www.cittadigenova.com, 11 novembre 2013 Stenta a decollare in Liguria il decreto del Governo definito “svuota carceri”, convertito in legge lo scorso agosto dal Parlamento, almeno nella parte che ipotizzava l’uscita pressoché “certa e immediata” dai penitenziari italiani di migliaia di detenuti. Ad affermarlo è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri. “La rilevazione mensile sull’affollamento delle carceri liguri contava 1.775 persone detenute lo scorso 31 ottobre, rispetto ai poco meno di mille posti letto regolamentari. Addirittura 5 in più rispetto alle presenze di un mese prima, il 30 settembre 2013, quando i detenuti in carcere erano 1.770. E da fine agosto a fine ottobre i detenuti in Liguria sono calati per un numero complessivo di sole 17 unità, un dato assolutamente insignificante confrontato ai drammatici numeri del sovraffollamento attuale, che vede in Italia più di 26mila persone in cella rispetto ai posti letto regolamentari a tutto discapito delle condizioni lavorative dei poliziotti penitenziari”, spiega il segretario generale aggiunto del Sappe Roberto Martinelli. “Non abbiamo i dati di quanti non sono entrati in carcere per effetto del decreto legge, che pure prevede che il magistrato possa disporre il ricorso ai domiciliari anziché la custodia cautelare in carcere per coloro che commettono reati con una pena prevista fino ai 4 anni, ma le uscite sono state assolutamente minime. Quasi il 60% dei detenuti in Liguria è in attesa di un giudizio definitivo mentre quasi mille sono gli stranieri. I dati delle varie sedi penitenziarie liguri ci dicono molto: a Chiavari c’erano 74 detenuti a fine ottobre rispetto ai 69 presenti a fine settembre ed alla capienza regolamentare di 49 posti letto; a Pontedecimo oggi ci sono 171 ristretti, un mese fa erano 168 mentre i posti letto sono 96; a Imperia 104 presenti, 101 un mese fa per 69 posti letto; La Spezia conta 246 ristretti, che erano 1 di più un mese fa mentre 144 i posti; Savona sono 65, uno in meno ce n’era a fine settembre mentre i posti sono 36. Sanremo aveva 329 detenuti a fine settembre, oggi sono 323 per 209 posti letto mentre Marassi vede, oggi come un mese fa, 792 presenze per 450 posti letto”. Il Sappe, che pure è scettico sulle possibilità che in Parlamento si possa varare un provvedimento di clemenza, sottolinea una volta di più come “la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose e con 400 Agenti in meno in Liguria. Amnistia e indulto da soli non bastano: serve una riforma strutturale dell’esecuzione della pena, come pure ha sottolineato il Capo dello Stato Giorgio Napolitano nella sua lettera ai parlamentari di Camera e Senato lo scorso 8 ottobre sulla grave situazione penitenziaria del Paese”. E sul progetto della vigilanza dinamica nelle carceri, Martinelli dice: “Al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e la maggiore apertura per i detenuti come prevede una disposizione del Dap deve associarsi alla necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza. Oggi tutto questo non c’è”. Torino: detenuto si uccide in cella, emergenza senza fine nelle carceri Ansa, 11 novembre 2013 Un algerino si è tolto la vita impiccandosi. Sarebbe stato libero nel giugno 2014. È il 43° caso in Italia. La denuncia dei sindacati degli agenti: “È un inferno”. Quantatreesimo suicidio nelle carceri italiane. A Torino s’è impiccato un detenuto algerino condannato per resistenza e lesioni: sarebbe stato liberato nel giugno 2014. Si tratta di Abdul Mourat, di 25 anni. Per uccidersi ha usato un lenzuolo appeso a una grata. Un altro detenuto italiano ha tentato il suicidio nelle stese ore squarciandosi il ventre con una lametta. L’uomo e stato salvato dalla polizia penitenziaria, che denuncia la situazione: “È un inferno - dice il segretario nazionale Osapp Leo Beneduci - che unisce le sorti di detenuti e agenti. Ci sono 21 mila detenuti in più e 8 mila agenti di meno. Sono 139 le morti legate alle disfunzioni del sistema carcerario italiano”. Trento: detenuto morto in cella, parlamentari in visita al carcere di Spini di Giuliano Lott Il Trentino, 11 novembre 2013 Dopo la tragica fine del giovane detenuto, trovato agonizzante all’alba dai compagni di cella e poi spirato - secondo i medici per cause naturali - si muove la politica. Tra qualche giorno infatti una delegazione di tre deputati del Pd, farà visita alla casa circondariale di Spini di Gardolo per prendere contezza dello stato della struttura carceraria. L’iniziativa è del Dipartimento giustizia del Pd e fa seguito all’interrogazione che il senatore Luigi Manconi ha sottoposto al ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri in merito alle recenti morti in carcere: oltre al caso di Trento c’è infatti quello di Regina Coeli a Roma, dove un carcerato di 31 anni è deceduto in seguito a una polmonite non diagnosticata dal servizio sanitario della struttura penitenziaria. Non ci sarà, nella delegazione, il senatore Manconi, poiché impegnato all’estero, e nemmeno il senatore altoatesino Francesco Palermo, membro della Commissione tutela diritti umani, il quale aveva però visitato il carcere di Spini solo un mese fa. “Nella mia esperienza - racconta Palermo - ho visto di tutto e posso assicurare che in Italia ci sono carceri molto peggiori, come quello di Bolzano, che versa in una situazione addirittura subumana. Tuttavia anche quello di Trento, che è un carcere moderno, soffre di carenze importanti”. La principale mancanza di Spini è legata, spiega il senatore altoatesino, proprio alla sua stessa natura di carcere “tecnologico”. “Mancano le risorse per garantire il funzionamento e la manutenzione delle dotazioni tecnologiche e delle strumentazioni che servono al personale di sorveglianza. Inoltre sta peggiorando la situazione del lavoro: nonostante l’impegno delle cooperative che svolgono a Spini dei programmi di avviamento al lavoro, insegnando un mestiere ai detenuti, è sempre più difficile portare avanti queste iniziative. Il problema è far entrare il lavoro in carcere, tanto più in una struttura inserita in un’area produttiva come quella di Spini. Fino a poco tempo fa, i detenuti svolgevano compiti di assemblaggio per la Whirlpool, ma oggi l’azienda, che ha avviato un percorso di abbandono del territorio, ha interrotto questo importante rapporto con il carcere”. Il lavoro svolge un ruolo determinante nella vita dei detenuti, spiega ancora Palermo. “Quello di Trento è un carcere circondariale, dove si scontano periodi di detenzione breve, o provvisori, per cui molti detenuti non sono né interessati né incoraggiati al lavoro. Ma il problema vero è che, mancando un’opportunità di imparare un mestiere e di cambiare vita, i detenuti rischiano di uscire, una volta scontata la pena, e ripiombare in un contesto dove il crimine rappresenta la normalità. I carcerati escono, per così dire, peggiori di come sono entrati. Altro che reinserimento in società”. Bolzano: Franco Corleone “necessaria una verifica sui casi a rischio dentro al carcere” Alto Adige, 11 novembre 2013 “Nel carcere di via Dante non ci sono spazi né per attività ricreative né, tantomeno, per il recupero e il futuro reinserimento dei detenuti. Quello nuovo però sorgerà vicino all’aeroporto, a Bolzano sud, fuori dal mondo. Io approfitterei del “caso Ligresti” per verificare se serve davvero costruire un nuovo carcere per 200 persone”. Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana e coordinatore a livello nazionale dei garanti, propone di fare un’analisi della composizione della popolazione carceraria di Bolzano. Attualmente, nella casa circondariale di via Dante ci sono 114 detenuti, di questi 55 hanno problemi di dipendenza dall’alcol o dalle droghe e vengono seguiti dall’unità operativa per le tossicodipendenze che fa capo al Sert. “Suggerisco di approfittare in chiave positiva del caso Ligresti - dice Corleone -. A mio avviso la detenuta aveva tutti i requisiti per essere messa agli arresti domiciliari, il fatto è che ci sono molti altri carcerati in situazioni analoghe, solo che non escono perché non c’è nessuno che si occupi di loro. E allora verifichiamo i singoli casi e vediamo se proprio tutti devono stare in carcere oppure se c’è la possibilità di concedere misure alternative. A quel punto andrebbe rivista anche la capienza del nuovo carcere”. La struttura sorgerà a Bolzano sud, a fianco dell’aeroporto, e sarà operativa nel giugno 2016: costerà 63 milioni di euro, cui sono da aggiungere i 14 milioni già spesi dalla Provincia per espropriare i terreni. Potrà ospitare 200 detenuti più altri venti in semilibertà. Il nuovo istituto penitenziario disporrà di teatro-auditorium, sala di culto, campi da basket, campo da calcio regolamentare oltre al giardinetto per i colloqui dei detenuti con i familiari. Ma la vera novità è un’altra: tolta ovviamente la parte sicurezza, di competenza statale, l’intera struttura, oltre ad essere progettata e realizzata da chi vincerà la gara d’appalto europea partita a luglio, dovrà pure essere gestita direttamente per vent’anni. Non solo la mensa e i servizi per così dire alberghieri, ma anche le attività di recupero dei detenuti, le lezioni di lingue o per imparare un mestiere, nonché eventuali laboratori di produzione artigianale. I detenuti potranno anche essere utilizzati dal gestore ad esempio per la cucina e le pulizie, ovviamente dietro la corresponsione di un compenso. Oristano: nel carcere di Massama altri 33 detenuti “speciali”, trasferimento completato di Elia Sanna La Nuova Sardegna, 11 novembre 2013 È stato completato il loro trasferimento dal Nord Italia. Sono tutti ex affiliati alla criminalità organizzata e si aggiungono ai primi 44. Interrogazioni parlamentari e proteste sono cadute ancora una volta nel vuoto. Del resto, tutto è già deciso da tempo. Ieri pomeriggio, senza tanto clamore e in assoluta riservatezza sono arrivati nel carcere di Massama altri trentatré detenuti classificati tra coloro che stanno scontando la pena in regime di Alta Sicurezza. Tra di loro ci sono diversi pezzi da novanta della ‘ndrangheta, della Camorra e della Sacra Corona Unita. Vanno ad aggiungersi ai quarantatré detenuti trasferiti quindici giorni fa dalle carceri di Milano e Torino e arrivati ad Elmas con un volo della Blue Panorama organizzato dal ministero della Giustizia. Secondo indiscrezioni i nuovi trentatré detenuti prenderanno il posto di altrettanti detenuti locali trasferiti, forse ieri mattina, nelle carceri di Tempio e Sassari. Il nuovo carico di detenuti, classificati tutti come Alta sicurezza, è arrivato alle tre del pomeriggio in punto nel nuovo carcere di Massama. Il convoglio, composto da due autobus, due cellulari e scortato da tre auto della polizia penitenziaria, ha lasciato la 131 qualche minuto prima in direzione del nuovo carcere. Le auto staffetta della polizia penitenziaria hanno bloccato quelle poche auto in circolazione sulla 292 per permettere al convoglio di arrivare senza alcun problema alla meta stabilita. Tutti gli automezzi hanno quindi superato il ponticello che scavalca il rio Tanui e in fila indiana sono entrati all’interno della Casa circondariale. Ad attenderli c’erano decine di agenti, con tutto l’equipaggiamento che l’occasione richiede, e sottoposti nei mesi scorsi a corsi di perfezionamento indispensabili per sorvegliare determinati detenuti sottoposti a particolari misure di sorveglianza. I trentatré detenuti sono stati quindi immatricolati e rinchiusi al primo piano del carcere, recentemente sottoposto a restauro. Saranno sistemati quindi nella stessa zona dove si trovano gli altri carcerati legati ad alte pericolose cosche della ‘ndrangheta e della camorra. Il nuovo arrivo di detenuti, peraltro ampiamente preannunciato all’inizio dell’anno dal direttore generale del Dap, nel corso dell’ultima visita in Sardegna, conferma la decisione del Ministero della giustizia di sistemare nel ad Oristano tutti i detenuti dell’Alta Sicurezza. Una struttura ritenuta quindi idonea ad ospitarli in base a un piano studiato da tempo dal Ministero. Con gli arrivi di ieri il loro numero sale così a 77. Difficile sapere se nei prossimi mesi verrà ampliato, ma è certo che nuove polemiche sono in arrivo. Alcuni parlamentari sardi avevano presentato delle interrogazioni contestando questi trasferimenti per la preoccupazione di infiltrazioni della criminalità di tipo mafioso anche nell’Oristanese. Novara: Giovani Democratici in visita al carcere, incontro con la direttrice Marino di Monica Curino www.corrieredinovara.it, 11 novembre 2013 Una delegazione dei Giovani Democratici di Novara (composta dal segretario provinciale Gabriele Cerfeda, dalla responsabile Diritti civili Gd, Francesca Canavesi, dal segretario cittadino Alessandro Pirisi, da Mariangela Milione, del Circolo Gd di Borgomanero e da Saduni Hewa arachchige del Circolo di Trecate), accompagnati dall’onorevole Franca Biondelli, dalla senatrice Elena Ferrara e dall’avvocato Fabio Fazio, responsabile giustizia Pd, ha visitato sabato mattina 9 novembre il carcere di Novara. L’onorevole Ferrara, in qualità di membro della Commissione Diritti umani, si è interfacciata con la Direttrice Rosalia Marino per organizzare l’incontro. “Un’esperienza entusiasmante - ha spiegato Cerfeda - che ci ha fatto toccare da vicino la realtà carceraria e valutare dal vivo le ricadute positive della politica di reinserimento messa in atto dalla direttrice da Rosalia Marino”, da due anni in servizio alla Casa Circondariale di Novara. “Le carceri devono riacquisire il loro spazio nella società, sono parte della comunità, il recupero dei detenuti è fondamentale. Fare qualcosa per i carcerati - spiega Canavesi - è un segno di civiltà: insegnare loro un lavoro, per favorire il reinserimento e attraverso la cultura, il teatro, lo studio, consentire loro di trovare la propria strada per ritrovare se stessi”. Teatro, tipografia, la possibilità di poter lavorare esternamente, fuori dal carcere (art. 21), corso di genitorialità assieme alla possibilità di fruire di una tensostruttura per le attività culturali, sono solo alcune delle eccellenze della Casa Circondariale novarese. “Un’eccezione rispetto al quadro nazionale, dove invece il sovraffollamento produce conseguenze e costi sociali che non possiamo sottovalutare”; commenta la senatrice Ferrara, che in Commissione Diritti umani porterà l’appello raccolto dalla direttrice Marino sugli strumenti legislativi da attuare nell’interesse dei detenuti e “ soprattutto a tutela del personale carcerario, troppo poco ascoltato dalla politica”. Entro il maggio del 2014 l’Italia dovrà rispondere alle sollecitazioni dell’Europa per adeguare le condizioni dei detenuti alle normative vigenti. “Il problema delle strutture - sottolinea Biondelli - riguarda anche il nostro carcere; l’infermeria, ad esempio, si trova al piano superiore, costringendo il personale a trasportare a braccio o in barella coloro che richiedessero assistenza sanitaria”. Belluno: D’Incà e Cappelletti (M5S) a Baldenich “carcere migliore di altri” Corriere delle Alpi, 11 novembre 2013 Baldenich? Un carcere dove la lingua ufficiale non è l’italiano (più dell’80% dei detenuti, percentuale ben al di sopra del rilievo nazionale, è di origine straniera), dove la prima causa di detenzione (nello specifico 45 persone) sono i reati connessi alla droga e dove il sovrappopolamento è una realtà, con 107 detenuti presenti a fronte di una capienza di 100 posti, anche se “la situazione a Belluno, in questo senso, è meno drammatica rispetto ad altre case circondariali italiane” A firmare la “pagella” del carcere bellunese sono il deputato Federico D’Incà e il senatore Enrico Cappelletti del Movimento 5 Stelle, che ieri mattina hanno effettuato un sopralluogo nella struttura, nell’ambito del monitoraggio che i parlamentari M5S hanno avviato sulle carceri venete. “Quello di Baldenich”, esordisce D’Incà, “è sicuramente un carcere vecchio, una realtà molto piccola e particolare, ma con diverse ed evidenti criticità, anche se le recenti ristrutturazioni, compresa quella in atto nella vecchia ala inutilizzata e destinata ad attività lavorative (potrebbe essere inaugurata già a fine anno, ndr), qualche miglioramento lo hanno portato. A Belluno convivono nella stessa cella quattro o cinque detenuti: lo spazio è davvero angusto, fa impressione, ma è vero anche che in celle analoghe a Padova e a Venezia si vive anche in nove. Stiamo parlando, però, solo delle sezioni oggetto di ristrutturazione: la situazione riscontrata nelle vecchie celle è diversa e non certo soddisfacente”. Non soddisfacente anche il percorso di reinserimento dei detenuti. “Un miglioramento dell’attività rieducativa è necessario”, precisa il senatore Cappelletti, “perché se è vero che in Italia la percentuale della recidività carceraria, ovvero le persone che tornano in carcere per aver commesso nuovi reati, è dell’82%, è vero anche che per i detenuti che in carcere svolgono un lavoro la percentuale scende drasticamente al 15%”. In questo anche Belluno deve migliorare, perché secondo Cappelletti non basta avere “il 30% della popolazione carceraria impegnata in un’attività lavorativa, prevalentemente assemblando materiale portato da aziende locali. Sono percentuali troppo basse”. Dopo aver visitato “cucine, aree ricreative, biblioteca, lavanderia, locali esterni per le attività ricreative”, D’Incà e Cappelletti, parlando di soluzioni alle criticità del sistema carcerario, insistono anche sulla necessità di “applicare gli accordi internazionali che consentono di far scontare la pena nei paesi di provenienza e non in quelli dove è stato commesso il reato” Aosta: Osapp; vitto scadente, i detenuti per protesta scelgono il digiuno La Presse, 11 novembre 2013 “Com’è il rancio?, si usava chiedere nelle mense delle caserma e dei refettori e la risposta, pressoché scontata, era: Ottimo e abbondante!”. Ma non è il caso delle carceri italiane, tant’è che ad Aosta ieri un’intera sezione del carcere, la A2, ha rifiutato il vitto perché in un po’ di brodo galleggiavano, al massimo, 6 tortellini per ciascun ristretto”. È quanto si legge in una nota dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) a firma del segretario generale Leo Beneduci. Secondo il sindacato “casi del genere si verificano quotidianamente su tutto il territorio nazionale e quello del vitto scadente è uno dei più evidenti segnali della disorganizzazione e del malgoverno del sistema penitenziario, che accomuna, guarda caso e come altri disagi degli attuali penitenziari italiani, detenuti e poliziotti penitenziari, mentre la scarsamente attenta e consapevole amministrazione centrale non si rende conto di quanto anche la qualità dei pasti somministrati ai ristretti contribuisca a rendere criminogeno il sistema, atteso che le migliaia di affiliati alla criminalità organizzata presenti negli istituti di pena, con i soldi che ricevono dall’esterno, non consumano il pasto del carcere e possono acquistare i generi che vogliono, e perfino offrirli ai compagni di detenzione (a riprova della raggiunta agiatezza economica)”. “Altro - prosegue Beneduci - che la tanto decantata umanizzazione della pena, questo sistema continua ad agevolare i più forti e i più ricchi che in cella sono quasi sempre i peggiori, e per rendersene conto basta andare a guardare la fatiscenza delle caserme in cui il personale è costretto a permanere perché, con contratti e concorsi per l’avanzamento bloccati da anni, non guadagna abbastanza per affittare un alloggio all’esterno del carcere. Non vorrei - conclude il leader dell’Osapp - che i prossimi risarcimenti milionari disposti dalla Corte europea per i diritti dell’uomo in danno dell’Italia, riguardino anche il pessimo e quanto mai scarso cibo che si somministra in carcere”. Milano: da comune 600mila euro per chi investe nel lavoro in carcere Adnkronos, 11 novembre 2013 Favorire la nascita di nuove imprese e attrarre investimenti produttivi all’interno delle case circondariali milanesi di Opera, Bollate, Istituto Cesare Beccaria e San Vittore. Questo l’obiettivo del provvedimento adottato dalla Giunta di Milano che mette a disposizione 600mila euro per le micro imprese e piccole imprese che decidono di nascere o investire sul lavoro e sull’impegno dei detenuti contribuendo al loro reinserimento sociale. Risorse che rientrano nei fondi ministeriali vincolati da riassegnare entro la fine dell’anno. Le risorse complessive messe a disposizione del bando pari a 600mila euro, sono così ripartite: 333mila euro destinati al finanziamento a rimborso del 25% dell’investimento sostenuto e 25% di finanziamento a fondo perduto fino ad un tetto massimo di 45mila euro; i restanti 266mila euro andranno a attivare un fondo di garanzia per il rilascio di finanziamenti bancari alle imprese che necessitano di sostegno per il restante 50% dell’investimento. Ad accedere al finanziamento sono ammesse tutte le imprese ‘ristrettè già costituite all’interno delle case circondariali milanesi oltre alle micro e piccole realtà regolarmente iscritte al Registro delle Imprese. Pavia: ex detenuti nelle corsie del reparto di pediatria di Susanna Casubolo www.italia24ore.it, 11 novembre 2013 Un progetto innovativo volto al reinserimento sociale dei detenuti per aiutare i piccoli ricoverati del Policlinico San Matteo a Pavia. È raccolta in un libro l’esperienza di Pavia che ha fatto avvicinare due mondi lontanissimi come quello dei detenuti della casa circondariale di Torre del Gallo e dei bambini del reparto di Chirurgia Pediatrica del Policlinico San Matteo. Si chiama “Oltre la cura... oltre le mura” ed è firmato da Gloria Pelizzo, chirurgo pediatra e direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Pediatrica presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, e Valeria Calcaterra, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Pavia e dirigente medico presso la Fondazione IRCSS Policlinico San Matteo. Il progetto, promosso dalla Direzione della Casa Circondariale Torre del Gallo e dall’equipe medico-infermieristica del reparto di Chirurgia Pediatrica del Policlinico, grazie all’impegno di molti ha saputo trasformare una condizione di disagio, sofferenza e isolamento forzato in un momento di incontro capace di generare la speranza. I detenuti grazie a questa iniziativa volta a favorire il loro reinserimento sociale, si sono improvvisati cuochi, imbianchini, pittori e poeti per aiutare i piccoli ricoverati a migliorare la loro degenza in ospedale. “Questa è stata per noi un’esperienza toccante dal punto di vista umano - ha sottolineato Gloria Pelizzo - che ci ha riportato al nostro ruolo di medici: il poter guardare al bambino malato con un progetto di Cura globale e non solo di terapia”. Il libro ospita i contributi speciali di: Aldo, Giovanni e Giacomo, Pupi Avati, Rita Borsellino, Francesco Agnoli, Mario Melazzini, Carlo Rossella, Pierre Martens, don Giovanni d’Ercole. “Dentro la diversa e uguale sofferenza del bambino malato e del detenuto in carcere - sottolinea Alessandro Moneta, presidente della Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia - c’è sempre una speranza. È questo il messaggio del libro”. Il ricavato ottenuto dalle vendite delle singole copie sarà devoluto al Comitato di Volontariato Oltre la Cura per il Bambino Operato che collabora con il reparto di Chirurgia Pediatrica, presso la Fondazione Ircss Policlinico San Matteo e che sta realizzando progetti di ricerca, assistenziali e di sensibilizzazione alla cura del bambino. Pistoia: il garante dei detenuti scrive alla Cancellieri, chiede sezione per semiliberi Il Tirreno, 11 novembre 2013 Una sezione distaccata per i semiliberi: il garante dei diritti dei detenuti, Antonio Sammartino, ha scritto al ministro della giustizia Annamaria Cancellieri perché la disponibilità ad ospitare la sezione distaccata dei semiliberi nel convento dei frati cappuccini è bloccata dalla mancata autorizzazione del Ministero. Sammartino ricorda come anche a Pistoia il carcere abbia un problema irrisolto di sovraffollamento. “Vanno riconosciuti - afferma il garante - gli sforzi del provveditore regionale e del direttore del carcere, che hanno parzialmente migliorato una situazione purtroppo tuttora preoccupante: 120 detenuti su una capienza regolamentare di 64 persone, con celle di 7 metri quadri dove sono ristrette per gran parte della giornata tre persone”. Il garante chiede l’intervento diretto della Cancellieri: “Più di un anno fa, a fronte della grave situazione del carcere di Santa Caterina, ci adoperammo insieme al presidente dell’ordine degli avvocati, Giuseppe Alibrandi, per la ricerca di un ambiente esterno al carcere da adibire come sezione distaccata per i semiliberi, i detenuti che durante la giornata lavorano e la sera rientrano in carcere. È una possibilità prevista dall’ordinamento penitenziario e consentirebbe di rispondere al problema del sovraffollamento. Questa soluzione permetterebbe inoltre di realizzare un nuovo spazio interno al carcere per la biblioteca”. “Dopo vari incontri - ricorda Sammartino - abbiamo ricevuto la disponibilità ad ospitare i detenuti in semilibertà nel convento dei frati cappuccini in via degli Armeni, che i frati stessi concederebbero a titolo gratuito. È stato stilato un progetto esecutivo per alcuni lavori, finanziati dalla Fondazione Caripit. Ma ad oggi, inspiegabilmente, nonostante i ripetuti solleciti, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non ha ancora inviato l’autorizzazione per l’inizio dei lavori”. Un “colpevole ritardo”, a cui Sammartino chiede che Cancellieri ponga rimedio. Volterra (Pi): Aniello e la Compagnia della Fortezza “la mia storia leggetela ai ragazzi” di Manolo Morandini Il Tirreno, 11 novembre 2013 La Compagnia della Fortezza di Volterra torna in Europa con Picp. L’acronimo sta per “The prison, from penal institute to cultural place” ovvero “Il carcere, da istituto penale a luogo culturale”, il nuovo progetto europeo che vede l’associazione Carte Blanche e la Compagnia diretta da Armando Punzo capofila assieme ad altri partner da Italia, Francia, Germania e Inghilterra. Il partenariato punta all’identificazione e alla selezione delle buone prassi che emergono dalle esperienze di teatro in carcere al fine di sviluppare un “modello” trasferibile in altri contesti. Il progetto prevede 5 meeting, il primo il 18 e 19 novembre sarà ospitato dalla Fondazione Michelucci a Fiesole. Due vite in un’autobiografia. Prima scugnizzo che si fa camorrista a Barra, quartiere degradato di Napoli. Poi le resurrezioni. Da carcerato a star del cinema. E ora scrittore per dare voce alla speranza. “Nel carcere di Volterra ho sotterrato l’ergastolano. Il teatro mi ha regalato un cervello. E quando cambi non torni più indietro”. Attore impeccabile, lodato, Aniello Arena, 45 anni, ha trovato nel teatro di Armando Punzo, che dirige la Compagnia della Fortezza di detenuti-attori, un mezzo di riscatto, un modo per coltivare la sua intelligenza, per diventare forte. “Per salvarsi”, come dice lui. Il tutto raccontato nell’autobiografia “L’aria è ottima”, scritta a 4 mani con Maria Cristina Olati, che uscirà in libreria mercoledì per i tipi Rizzoli, nella collana Controtempo. Arena ha una certezza. È scritta nero su bianco nelle pagine del suo libro d’esordio. “Non è vero che siamo tutti uguali e a tutti vengono date uguali possibilità. Ci sono luoghi in cui il sole non batte e tu ci impieghi una vita di sbagli a trovarlo”. Lui, il suo “sole” lo ha trovato dopo una vita al buio, a Volterra. Dopo una spirale d’errori, che si chiude con l’ergastolo per omicidio: era l’8 gennaio del ‘91, il giovane camorrista napoletano, aveva 23 anni e fu coinvolto nella strage di piazza Crocelle a Barra. Morirono tre persone. “Quando mi è stato proposto di scrivere della mia vita non mi andava di mettermi in piazza”, dice. “In testa però era un susseguirsi d’immagini. Vedevo il libro nelle mani degli operatori che lavorano nelle periferie di Napoli. Li vedevo spiegare a dei ragazzini alcuni passaggi della mia vita: era un ragazzo come voi. Vedete dove è finito scippando. Ha avuto un ergastolo. Non guardate che ora ha scritto un libro e che lavora al cinema. Pensate a quello che ha sofferto”. Il buio si fa luce. “È un modo per parlare del carcere, dove le persone si devono salvare ma possono farlo solo dando loro un’altra possibilità. Altrimenti è un rimedio peggiore del male che dovrebbe curare”. Come inizia la storia? “C’è un ragazzino, come ce ne sono tanti giù. In genere si perdono e alla fine si ritrovano in carcere o al cimitero. A meno che uno se ne vada. Io crescevo affascinato dai malavitosi, senza saperne il marcio. Dopo la quinta elementare ho smesso la scuola e mi sono perso. A diciotto anni e mezzo sono entrato a Poggio Reale. Un carcere che non ha niente di rieducativo, genera mostri. Sei messo nella condizione di provare odio verso le istituzioni. Stai chiuso 22 ore in una cella con due sole ore d’aria. Otto persone in quattro metri quadrati”. La vita di Aniello è lontano da Napoli, ma il suo libro guarda al meridione. “È una realtà diversa dal nord. E non è una giustificazione. Nelle carceri trovi 90 meridionali e 10 del nord. Non solo del Sud Italia ma del sud del mondo. Non tutti hanno pari possibilità. Al nord il modello per un ragazzino può essere un calciatore e per una ragazza la velina. A Napoli sembra che sia il camorrista e per la ragazze diventarne la moglie. Quanti Maradona possono nascere se non sono seguiti e si perdono? Al sud su 10 bambini 8 si perdono e due si recuperano. Al nord le cifre s’invertono”. Oggi, grazie all’articolo 21 del Codice di procedura penale, Arena è in regime di semilibertà: lavora dirimpetto al carcere a Carte Blanche, l’associazione della Compagnia della Fortezza. Qui 10 anni fa ha iniziato a recitare. E la sua vita mutilata è diventata un’altra cosa. “Ai ragazzi che rischiano di perdersi dico di andare a scuola, di avvicinarsi all’arte. Io sono nato due volte. Il teatro e il cinema mi hanno partorito di nuovo”. Milano: “Storia di un attimo”, il cortometraggio interpretato dai ragazzi detenuti ad Airola Ansa, 11 novembre 2013 C’è anche stato qualche magistrato di Sorveglianza che si è commosso ieri sera, nel teatro del carcere minorile di Airola (Benevento) per la prima di “Storia di un attimo”, interpretato dai ragazzi detenuti nello stesso carcere. È Antonella d’Agostino, moglie di Renato Vallanzasca, a farsi interprete dei sentimenti della serata alla quale ha partecipato anche l’attore Vincenzo Soriano, protagonista ne “La nuova Squadra 3” e interprete in “Con tutto l’amore che ho”, dove recita al fianco di Barbara De Rossi e Cristel Carrisi, e da anni fortemente impegnato nel sociale. È stato infatti l’attore con la cantautrice D’Aria (che ha scritto la colonna sonora del corto) tra i promotori dell’iniziativa, prodotta dall’associazione Orfani della Vita, che vuole raccontare la vita dei ragazzi detenuti e la storia di quell’attimo che ha cambiato loro la vita. “È stato meglio del Festival di Venezia”, ha commentato Antonella D’Agostino, sceneggiatrice di “Storia di un attimo” che pure a Venezia era stata per presentare il film di Michele Placido sulla vita di Vallanzasca, mentre è toccato al co-sceneggiatore, Nevio Russo, spiegare la genesi dell’idea del “corto”. Da parte dei ragazzi di Airola, interpreti e non, un particolare ‘regalò a Soriano che ieri compiva gli anni: una torta gigante. Russia: caso Greenpeace, lettera aperta ai governi perché prendano posizione Adnkronos, 11 novembre 2013 Aristide D’Alessandro scrive una lettera aperta per chiedere ai governi dei 18 Paesi coinvolti di prendere una posizione: “Si assumano la responsabilità di dichiarare se l’operato della Russia è legittimo”. La Guardia costiera russa ha sequestrato la nave dell’associazione ambientalista in seguito ad un’azione contro una piattaforma petrolifera artica di Gazprom. Sono detenuti in Russia da 52 giorni gli attivisti di Greenpeace, tra cui l’italiano Cristian D’Alessandro, arrestati in seguito ad un’azione contro una piattaforma petrolifera artica di Gazprom. Un video inedito pubblicato sul sito dell’associazione ambientalista, mostra l’abbordaggio delle Forze speciali russe all’Arctic Sunrise avvenuto il 19 settembre. Il padre dell’attivista italiano Cristian D’Alessandro ha scritto una lettera aperta per chiedere ai governi dei 18 Paesi coinvolti di prendere una posizione nei confronti della Russia e per denunciare le condizioni detentive degli Arctic 30: “Io chiedo che i 18 governi interessati si assumano la responsabilità di dichiarare pubblicamente se l’operato della Russia è legittimo o illegittimo. Se viene ritenuto legittimo, è giusto attendere gli sviluppi processuali, ma dovranno anche dichiarare che qualunque paese può, liberamente, invadere con le armi un altro paese, senza che alcuno possa interferire. Se, invece, viene ritenuto illegittimo, i governanti dovranno imporre alla Russia un comportamento che faccia rientrare i diritti nell’alveo naturale delle cose”. “Si specula sui ragazzi per biechi fini economici e commerciali - continua nella lettera Aristide D’Alessandro - e attorno a loro si è erto un monolite di silenzio dei governi, cui appartengono i meravigliosi 30”. “Eminenti esperti del diritto hanno dichiarato che la Russia non poteva sequestrare la nave Arctic Sunrise in acque internazionali ed hanno confermato che non potevano abbordare, armi in pugno, la nave, in quanto territorio olandese. Conseguentemente anche gli arresti erano illegittimi. È stato, altresì affermato che la detenzione e le condizioni della stessa violano i diritti umani. L’arresto - prosegue Aristide D’Alessandro - è stato notificato ben oltre le 48 ore dal fermo ed è, pertanto, illegale per la stessa legge russa”. “Mi ha fatto male leggere sulla rassegna stampa di Confindustria - continua il padre dell’attivista italiano nella lettera aperta - la dichiarazione di un nostro esponente diplomatico in occasione dell’incontro previsto con la Russia a Trieste per l’inaugurazione dell’anno incrociato del Turismo: “Il clima delle relazioni fra i due paesi è sempre più caldo”. Il clima dovrebbe essere gelido, di ghiaccio, altro che caldo”. “Questi 30 ragazzi, innocenti, pacifisti fin nel midollo, votati all’opera di costruire un mondo migliore e più sicuro nell’interesse di tutti, patiscono ingiustamente per fini incomprensibili, o tristemente comprensibili. Hanno già dato il loro contributo di sofferenza. Ora basta! Si faccia qualcosa di veramente efficace per riportarli a casa”, conclude. Russia: trasferiti gli attivisti Greenpeace, forse in carcere di San Pietroburgo Ansa, 11 novembre 2013 Le autorità russe hanno trasferito l’equipaggio di Greenpeace che nelle scorse settimane si è reso protagonista di una clamorosa protesta nell’Artico a bordo della rompighiaccio Artic Sunrise: gli attivisti, che sono tutti accusati di teppismo, sono stati caricati su un treno che ha lasciato il porto di Murmansk dove erano detenuti in stato d’arresto. Lo ha reso noto l’organizzazione ambientalista. I 28 attivisti e due reporter, arrestati nel mese di settembre per la protesta contro una piattaforma petrolifera nel mare di Pechora, hanno lasciato il centro di detenzione intorno alle 5 di mattina (in piena notte italiana) e ora sono su un treno, ha spiegato la portavoce Dannielle Taaffe. Secondo voci persistenti in ambienti diplomatici, ha aggiunto, gli uomini di Greenpeace -tra i quali l’italiano Cristian D’Alessandro- saranno trasferito a San Pietroburgo.