Giustizia: Pd; più misure alternative e meno custodia cautelare, rigore contro corruzione 9Colonne, 8 marzo 2013 “Noi diciamo che la legislatura deve basarsi su un programma eccezionale di cambiamenti. Noi invieremo questa prima piattaforma ai milioni di partecipanti alle primarie, ai nostri iscritti e alle mille associazioni che ci sostengono, e via via le dettaglieremo. Vogliamo mettere un riflettore sulla giustizia e sulla questione della corruzione, del falso in bilancio e della moralizzazione della vita pubblica, sapendo che si tratta non solo di civismo ma anche di economia. Non esiste che un paese come il nostro possa figurare al settantaduesimo posto per legalità, non si dica che con l’onestà non si mangia, con l’onestà si mangia e si beve”. Con queste parole il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha introdotto, ieri pomeriggio durante una conferenza nella sede nazionale del partito, il primo degli otto punti per il cambiamento approvati ieri, su corruzione e falso in bilancio. L’ex magistrato Pietro Grasso ha presentato una proposta per un disegno di legge “con disposizioni in materia di concussione, corruzione, traffico di influenze illecito, falso in bilancio e auto riciclaggio”. “Sulla corruzione è stata recentemente emanata una legge che ha introdotto nuove figure di reato che però non rendono soddisfacente la repressione da un lato, e dall’altro neanche il concetto di maggiore trasparenza per la prevenzione della corruzione - ha spiegato Grasso, rivisitando l’ultima legge si è venuti nella determinazione di effettuare alcune modifiche”. La proposta di legge prevede, tra le altre cose, l’equiparazione tra pubblico ufficiale e incaricato di servizio pubblico, l’irrogazione di una pena specifica per l’auto riciclaggio da considerare un illecito autonomo, una disciplina più rigorosa del falso in bilancio, l’eliminazione della punibilità del provato concusso e la soppressione della necessità della querela per la punizione della corruzione tra privati. In proposito Grasso ha spiegato che “potrebbe essere preso in considerazione un aumento della pena per abuso d’ufficio, che potrebbe essere portata a cinque anni, e una attenuante speciale per chi collabora, in modo da aiutare gli inquirenti. Una attuante che prevede una riduzione della pena da un terzo alla metà. Il corruttore e il corrotto - ha proseguito Grasso, vengono oggi puniti con la stessa la pena e quindi c’è una sorta di accordo che finisce con l’impedire le denunce”. L’ex magistrato ha parlato anche di prescrizione. “Il problema vero rimane quello della prescrizione, non si può continuare ad agire sui singoli reati cercando di allungare dove si può la pena per evitare la prescrizione - ha spiegato Grasso. Occorre una rivisitazione completa dell’istituzione della prescrizione, che possa consentire che il processo penale non venga rallentato per il fatto di arrivare a questo risultato, cioè che il reato anche se provato venga estinto per prescrizione”. Grasso ha inoltre parlato dell’emergenza carceri affermando “che insieme alla legge elettorale è una delle cose che non possiamo trascurare”, e che sono già pronte alcune misure - dal rilancio delle pene alternative all’utilizzo della custodia cautelare con i domiciliari, dall’introduzione dell’istituto della messa alla prova fino alla depenalizzazione - per risolvere il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari. La proposta di legge intende anche “modificare la disciplina vigente e anticipare al momento delle sentenze di condanna, anche non definitiva, il regime di incandidabilità”. Ai cronisti che gli hanno fatto notare che con questa modifica Berlusconi sarebbe incandidabile Grasso ha risposto: “Si tratta di una norma che riguarda i principi di onorabilità che deve avere un candidato, e che è molto più avanzata del codice etico del Partito Democratico che prevede il rinvio a giudizio, questo prevede la condanna in primo grado o in secondo grado”. A margine della conferenza un giornalista ha dunque chiesto all’ex magistrato se questo non fosse un modo per strizzare l’occhio a Grillo. “Questa - è stata la risposta di Grasso - è una sua interpretazione”. Giustizia: nelle carceri continuano le “morti silenziose”, sei suicidi dall’inizio dell’anno di Michele Minorita Notizie Radicali, 8 marzo 2013 Lo avevano arrestato con l’accusa di aver preso parte a una rapina ai danni di un commerciante di preziosi, avvenuta nel giugno scorso. P.M, 27 anni di Cotronei, arrestato appena ventiquattr’ore prima, e rinchiuso nel carcere di Crotone, ricava da un lenzuolo una corda; e con questa si toglie la vita impiccandosi. È il sesto detenuto che si toglie la vita dall’inizio dell’anno, annota Eugenio Sarno, segretario della UIL-Penitenziaria. Morti “silenziose”, che non fanno quasi più notizia. Suicidi a parte, nel solo mese di febbraio, e nel solo carcere napoletano di Poggioreale, sono morti, per cause da appurare, tre detenuti. Poggioreale, giova ricordarlo, è il carcere nel quale sono reclusi circa 2.781 persone su una capienza di 1.679 posti. Racconta Mario Barone, presidente dell’associazione Antigone-Campania: “Il 1 febbraio 2013 C.D., già ricoverato al centro clinico interno al carcere di Poggioreale, è deceduto dopo un ricovero urgente al Loreto Mare. F.M. è morto il 6 febbraio 2013 in ospedale, dove era stato ricoverato dal 26 gennaio 2013. R.F. è deceduto a seguito di un malore in istituto il 16 febbraio 2013: il 118 ne ha constatato il decesso”. Nonostante siano passati cinque anni dal passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della giustizia alla competenza delle Asl, continua Barone “non abbiamo dati affidabili e certi sui quali effettuare un monitoraggio. Secondo le nostre stime oltre il 60 per cento dei detenuti presenta una patologia cronica. La tutela della salute in carcere rimane una zona grigia dei diritti fondamentali del detenuto”. Quello della tutela della salute all’interno degli istituti di pena è un problema enorme. Caso emblematico la situazione del carcere romano di Rebibbia. Il G14 di Rebibbia N.C. è uno dei quattro reparti in Italia dedicato ai detenuti affetti da Hiv, e quindi reparto di interesse nazionale; era il fiore all’occhiello del carcere: pensato per ovviare all’isolamento sanitario dei malati di Hiv ha un’infermeria, una cucina, un laboratorio informatico, una cappella e una biblioteca. Le celle sono sempre aperte e i detenuti partecipano a progetti che facilitano la socializzazione e il lavoro, parte integrante del trattamento come la terapia clinica. Da qualche tempo, però, la situazione è peggiorata al punto da spingere il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni a denunciare “un clima potenzialmente esplosivo che, fino ad oggi, non è deflagrato per il lavoro svolto dal nostro ufficio, dai volontari, dai sanitari e dagli agenti di polizia penitenziaria”. Al G14 ci sono 22 persone, tutte malate di Hiv; l’età media è fra i 45 e i 50 anni. Oltre all’Hiv, i presenti hanno patologie psichiatriche, l’epatite, cardiopatie e dermatiti. Buona parte dei detenuti è di difficile gestione - negli ultimi 10 giorni si sono registrati tre casi di autolesionismo - sei sono casi psichiatrici conclamati. In tre sono in sciopero della fame e rifiutano i farmaci per motivi di giustizia (attesa liberazione anticipata, permessi premio, ricoveri in ospedale). “Molti”, dice il Garante, “sono, per le loro condizioni, incompatibili con il carcere. Il fisico di ognuno è segnato dalle malattie e dalle dipendenze. Ma a costringerli in una cella sono le posizioni giuridiche, le misure alternative revocate, i cumuli di pena, i nuovi reati o, più semplicemente, il fatto di non avere una dimora. Il vissuto determina l’assenza delle famiglie e i problemi economici, con molti detenuti che dipendono dai nostri operatori, dai volontari anche per le più piccole necessità”. Su questa situazione si è abbattuto il taglio indiscriminato della spesa: per la prima volta, nel 2013 non saranno finanziate le attività per i tossicodipendenti, rimaste senza copertura economica. Il carcere non ha più fondi né per la mediazione culturale, né per i progetti del G14, né per quelli delle comunità terapeutiche che operano in carcere. “La somma di queste criticità”, conclude Marroni, “ha fatto salire la tensione alle stelle e creato una situazione di emergenza. Di fatto la gestione del reparto è affidata alla polizia penitenziaria, agli infermieri ed agli operatori del trattamento. Ciò che si percepisce è un clima di esasperazione dove è sempre più netta la sensazione di essere stati abbandonati dalle istituzioni, con concreti rischi di recrudescenza e di inasprimento delle condizioni di detenzione. Per evitare l’irreparabile occorre che ciascuna componenti torni a fare il proprio lavoro: gli educatori ed il personale sanitario e di sicurezza devono essere messi in condizione di poter lavorare; la magistratura deve tornare a scegliere ciò che è meglio per ciascun detenuto; occorre che vengano riattivati, anche con l’aiuto delle politiche regionali, percorsi alternativi al carcere; occorre che il territorio e la società civile tornino ad aprirsi”. E a proposito di assistenza. Ormai ci siamo, il 31 marzo incombe. Fra pochi giorni, il 31 appunto, per legge dovranno essere chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari esistenti. I due-tremila pazienti che si sono macchiati di reati (anche molto gravi), e per la loro condizione mentale non sono equiparati ai detenuti “normali”, dovranno essere collocati altrove. Claudio Mencacci, presidente degli psichiatri italiani, scuote la testa dubbioso; ipotizza una proroga, forse fino a giugno; ma, aggiunge, “per sostituire gli Opg serve più tempo. Presidi psichiatrici in carcere, nuovi mezzi per intensificare i servizi sui territori, anche con l’aiuto insostituibile del volontariato”. Ma gli Opg dovranno essere chiusi a fine marzo? “Non sarà così. Le Regioni hanno già chiesto una proroga al 30 giugno e si sta già pensando di arrivare fino a fine 2013. Molti interventi di conversione delle strutture non saranno pronte fino al 2015. Serve una gradualità maggiore per dare modo al territorio di cambiare il modo di operare”. Mencacci suggerisce di procedere con gradualità, senza drastici tratti di penna: “Va pensato, ad esempio, quel 10 per cento di internati autori di reati, per cui dovrà essere prevista una struttura sanitaria con vigilanza esterna. Va valutato caso per caso quel 30 per cento di persone che si sono ammalate nelle carceri, poi spedite negli Opg, restituibili al territorio. Servono nuovi reparti di osservazioni e occorre potenziare l’assistenza psichiatrica nelle carceri per poter intervenire tempestivamente con chi manifesta problemi mentali. Poi ancora, i Dsm vanno adeguatamente rinforzati, di uomini e risorse, per permettergli di costruire percorsi di riabilitazione individualizzati”. E allarga il tiro: “Il compito dello psichiatra è la cura. Non accettiamo qualsiasi posizione di custodia e vigilanza, come in certi casi ci viene chiesto. Vorremmo entrare nelle carceri dove l’assistenza psichiatrica è modesta, con dei presidi organizzati. Basta pensare che dal 1 aprile nessuno entrerà più negli Opg, le persone con un’infermità mentale dove andranno? In carcere. E lì cosa trovano per curarsi? Niente”. Il Governo, dice Stefano Cecconi, presidente del Comitato “Stop Opg”, “sta lavorando per prorogare la chiusura prevista al 31 marzo. Nel frattempo la Conferenza Stato-Regioni sta discutendo come affrontare la fase transitoria, con un atto che tenti di superare gli Opg senza abolire quelle parti del codice penale che ne sovrintendono all’esistenza. Ma il problema è che questo Paese sembra non sia nemmeno in grado di organizzare la presa in carico di un migliaio di persone”. La situazione è a macchia di leopardo: “In alcune regioni sono già pronte, ma hanno il problema di regolare i loro rapporti con la sanità privata e con il Dap”, spiega il magistrato Francesco Maisto, giudice di sorveglianza del Tribunale di Bologna. “La Lombardia, per esempio, ha il caso di Castiglione delle Stiviere: in questo Opg ci sono 28 cittadini emiliani, di cui 17 sono in programmi trattamentali esterni. A sua volta, l’Opg di Reggio Emilia ospita 36 residenti in Veneto e 30 internati lombardi. In altre parole, si dovrebbe regionalizzare una legge dello Stato”. Il garante dei detenuti di Milano Alessandra Naldi non nasconde il timore che “il problema degli Opg venga delegato al mondo penitenziario. Il carcere però non è un luogo dove la gente si cura, ma dove la gente si ammala. Bisognerebbe smetterla di pensare al carcere come a un posto dove mettere i problemi che la società non riesce ad affrontare”. Avremo modo di riparlarne. Giustizia: Calisto Tanzi (Parmalat) ha ottenuto la detenzione domiciliare in ospedale Ansa, 8 marzo 2013 È questa la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna a cui l’ex patron della Parmalat aveva avanzato una richiesta di detenzione domiciliare. La notizia l’ha raggiunto proprio al Maggiore di Parma, dove, viste le sue precarie condizioni di salute, è ricoverato, detenuto ma alloggiato in una stanza singola e con la moglie che ha il permesso di assisterlo. Una condizione concessa dal 18 febbraio ma che scadeva proprio due giorni fa. “Un sollievo enorme”, è stata la reazione dell’ex cavaliere del Lavoro. Tanzi, 75 anni, è da tempo in condizioni tali che la sua difesa ha più volte chiesto di scontare in detenzione domiciliare la pena che gli rimane per la condanna inflitta a Milano, richiesta più volte però respinta. L’anno scorso la figlia Laura aveva scritto anche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parlando del padre come di “un uomo che sta morendo”. Nell’ultima udienza, martedì, la procura generale aveva dato parere positivo alla detenzione domiciliare in ospedale, concessa effettivamente oggi. Tanzi si era presentato in aula arrivando da Parma in ambulanza. Era pallido e magrissimo. Uno dei suoi legali - gli avvocati Franco Magnani e Mariano Rossetti - aveva spiegato che pesa appena 44 chili. La decisione del Tribunale (presidente Francesco Maisto, giudice relatore Nadia Buttelli) tiene conto delle condizioni di salute di una persona che deve scontare una pena inferiore a quattro anni. Era infatti in carcere per la condanna, diventata definitiva, inflitta a Milano di otto anni e un mese per aggiotaggio, della quale, in conseguenza anche dell’indulto, Tanzi, detenuto dal 5 maggio 2011, deve scontarne poco più di tre. Una eventuale nuova condanna definitiva (ad esempio per il crac Parmalat, 17 anni e 10 mesi in appello) potrebbe cambiare ancora le cose. In ogni caso l’ordinanza indica che Tanzi potrà ricevere visite ed individua una cerchia di persone che potranno farlo. Dispone la scarcerazione e non ha un termine. In caso di uno spostamento di luogo, ad esempio se i medici riterranno che potrà essere dimesso dall’ospedale, questo andrà comunicato a un giudice che valuterà di volta in volta se consentirlo. “La prossima settimana - ha detto l’avvocato Magnani - avrà un’operazione. Prima ci piacerebbe portarlo a casa un paio di giorni”. Lombardia: “Quel giorno sono diventato grande”, concorso letterario per i detenuti www.varesenews.it, 8 marzo 2013 “Quel giorno sono diventato grande”. Torna il Concorso letterario/artistico per detenuti indetto tra gli Istituti Penitenziari della Lombardia. L’iniziativa è giunta alla sua terza edizione. La premiazione è in programma per martedì 12 marzo alle ore 17.00 nella sede della Provincia di Varese Villa Recalcati. È una prassi ormai consolidata all’interno delle carceri quella di tenere laboratori artistici tra le attività tese a costruire un percorso personale della persona detenuta e favorire un possibile reintegro nella società: la possibilità di esprimersi si inserisce nel percorso intrapreso per l’elaborazione del vissuto personale. Quest’anno sono diverse le novità in programma. Innanzitutto si sono aggiunti due premi: oltre ai primi tre classificati nelle due sezioni, proponiamo le menzioni speciali dedicate a due personalità, che purtroppo non sono più tra noi, espressive della cultura varesina e non solo. “Inoltre, - spiega Maria Mongiello, Responsabile Area Trattamentale della Casa Circondariale di Varese - le precedenti edizioni, realizzate dalla consolidata rete delle istituzioni pubbliche e del privato sociale, hanno suscitato l’interesse anche da parte del Provveditorato Regionale Lombardia (Prap) che quest’anno ha seguito tutte le tappe organizzative e sostenuto l’iniziativa, entrando a far parte a tutti gli effetti della rete dei partner. Il primo risultato sensibile è il maggiore coinvolgimento degli Istituti Penitenziari, quest’anno ne partecipano 11 su 17, e l’incremento della realizzazione di elaborati artistici: tra l’altro, è da considerare che esistono diversi laboratori di scrittura e lettura attivi da tempo all’interno degli Istituti Penitenziari”. La novità sta anche nell’argomento sempre nuovo di anno in anno: partiti dal tema dell’immigrazione e del viaggio per gli stranieri, si è proseguito sul delicato tema degli affetti ristretti in carcere. Quest’anno proponiamo il tema del crescere e del diventare adulti, che diventa un’occasione per raccontare e quindi inevitabilmente riflettere su un giorno, un episodio e anche quell’istante in cui, per necessità o per scelta, si è entrati nel mondo degli adulti, forse senza bussare a nessuna porta. Si torna a parlare di carcere, dunque, ma con un taglio diverso da quello proposto dalle ultime vicende di cronaca. “In un momento in cui tutto è incerto, la costanza ci sta pagando - ci dice Sabrina Gaiera, Agente di Rete del Concorso Sol.Co. Varese - l’idea di base è di andare controcorrente: in un’epoca in cui sembra che tutto debba essere sempre grandioso ed estemporaneo, innovativo, noi proponiamo un appuntamento annuale, che premia la volontà di seminare piccoli granelli che, di volta in volta, si rafforzano e diventano mattoncini per tentare visioni diverse. Il percorso è fatto di azioni che contribuiscono a portare avanti la difficile quotidianità all’interno degli Istituti”. Per la serata è prevista la presenza di diverse autorità pubbliche: oltre ai padroni di casa la Provincia di Varese, saranno presenti il Direttore del Carcere, il Comune di Varese e ASL, operatori del settore e anche persone che scontano la loro pena in misura alternativa sul territorio e persone in permesso premio. La terza edizione del concorso artistico/letterario è stata realizzata da: Ministero di Giustizia - Provveditorato Regionale Lombardia; Ministero di Giustizia - Casa Circondariale di Varese; Consorzio Sol.Co. Varese; Auser Varese; Associazione Assistenti Carcerari di San Vittore Martire. Ha il patrocinio di: Provincia di Varese; Comune di Varese; Confcooperative Varese; Cesvov. Ente finanziatore: Regione Lombardia - Famiglia e Solidarietà Sociale - e ASL Varese, in qualità di finanziatori del progetto “Stabili Sistemi”, un progetto avviato nel 2012 in continuità con precedenti interventi, tra cui il noto Agenti di Rete. Gli organizzatori ringraziano per il contributo economico: BCC - Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate; Banca Popolare Etica; Cooperativa Sociale Lotta Contro L’Emarginazione; Cooperativa Valle Olona; Associazione Ywca - Ucdg; Associazione Uisp Sport per Tutti; Cooperativa di Biumo e Belforte; Ser.Coop. Cooperativa Servizi; Universauser; Associazione Assistenti Carcerari di San Vittore Martire; Coop Lombardia; Enaip Lombardia. Napoli: il Senatore Radicale Perduca in visita a Poggioreale “da qui si esce delinquenti” Tm News, 8 marzo 2013 Chiedono l’amnistia i radicali per fare tabula rasa dell’emergenza nelle carceri. E nella loro battaglia per far valere i diritti costituzionali dei detenuti sono andati a Poggioreale, il penitenziario di Napoli. “A Poggioreale ci sono 2813 detenuti su 1100 che ce ne dovrebbero stare. È una delle più alte sovrappopolazioni d’Italia”. Il senatore uscente Marco Perduca, dopo la visita ispettiva, ha tracciato un quadro drammatico delle condizioni dei detenuti in questa “struttura fatiscente”. “Abbiamo visitato le celle - racconta - dove nella migliore delle ipotesi ci sono due persone dove dovrebbe starcene una. Si vive rinchiusi 21 ore in una cella in cui spesso il rubinetto non funziona e il gabinetto esonda”.Il resoconto del senatore si può applicare a molte realtà carcerarie italiane in una situazione che vede presenti 66mila detenuti su una capienza generale delle strutture di 40mila. Secondo Perduca è il caso di parlare di diritti calpestati. “La nostra costituzione - conclude - prevede che la pena serva al recupero sociale del reo. In queste condizioni si creano soltanto delinquenti” Intervista al senatore Marco Perduca, di Fabrizio Ferrante (www.epressonline.net) Nella giornata di oggi, 7 marzo 2013, una delegazione radicale guidata dal senatore uscente, Marco Perduca, si è recata in visita ispettiva presso i penitenziari di Poggioreale e di Pozzuoli, quest’ultimo un carcere femminile. Assieme a Perduca, presenti i militanti dell’associazione radicale Per la grande Napoli che all’esterno delle due strutture hanno ancora una volta manifestato la propria presenza, più che mai attiva nonostante il non entusiasmante esito elettorale, alla comunità penitenziaria. Al termine della giornata, che ha visto i Radicali di mattina a Poggioreale e di pomeriggio a Pozzuoli, abbiamo raccolto le impressioni di Marco Perduca. Marco Perduca, come si è svolta e che spunti ha evidenziato la visita odierna a Poggioreale? “Abbiamo visitato il padiglione Roma, quello che ha la popolazione prevalentemente in carico al Sert, i transessuali e i colpevoli di reati di riprovazione sociale. Detenuti che necessitano di un tipo di sorveglianza particolare e che non devono vivere tra i detenuti comuni. Si tratta di una sezione che ha parte massiccia dei 600 detenuti che hanno rapporti col Sert, tra cui detenuti in terapia con metadone o Subotex. Sono per la stragrande maggioranza a scalare e i casi più complessi in regime di mantenimento delle terapie. La struttura è stata inaugurata, per come l’abbiamo vista oggi, nel 1993 e in 20 anni non ha subito alcun intervento volto a migliorarla. Mancano i soldi per l’amministrazione ordinaria e tutto si fa in economia, quel poco che viene fatto si concentra sulla manutenzione delle docce, ovvero delle parti più sollecitate, dato che c’è una sovrappopolazione del 150% sui numeri reali. L’altro poco che si riesce a fare, parlando coi detenuti e che neanche a loro dire si riesce a fare appieno, riguarda la manutenzione delle celle che è svolta in modo incompleto e precario. Dove dovrebbero contenere una persona ne hanno tre, dove dovrebbero essercene due ce ne sono quattro e dove dovrebbero essercene quattro o cinque, si arriva fino a nove. I bagni a volte hanno porte che li separano dalla zona letto, ma nella zona dei servizi non ci sono divisioni fra la tazza e la parte adibita a cucina. Molto spesso si verificano perdite e in taluni casi per evitare allagamenti dovuti allo scarico è necessario chiudere l’apposita manopola” Problemi evidenti di ordine sanitario, quindi, come quelli che sembrano alla base del decesso di tre detenuti a Poggioreale in pochi giorni... “La magistratura sta indagando in particolare sull’ultimo caso. Si tratta di una persona che ha avuto un problema non grave, al quale sono stati somministrati degli antibiotici senza capire che la persona, forse per incuria o distrazione dello stesso detenuto, ha manifestato un’allergia per la quale è morta pochi giorni dopo all’ospedale. Il problema è che il polo clinico non può sopperire a tutte le richieste e quindi si verificano dei ritardi talvolta gravi nel ricovero dei detenuti in strutture esterne. I tre detenuti sono tutti morti in ospedale e alcuni avevano patologie tumorali o cardiache, mentre l’ultimo caso è più sospetto e la magistratura sta indagando”. Com’è andata l’ultima tornata elettorale in rapporto alla partecipazione dei detenuti che avevano diritto a votare? “Rispetto agli anni scorsi hanno votato il triplo dei detenuti che solitamente votava. Questo rimane un 20%- 25% degli aventi diritto a livello nazionale. C’è un concorso di colpa fra l’impossibilità della macchina organizzativa a raggiungere tutti e del detenuto che spesso non ha contezza di cosa dover fare per usufruire del diritto di voto. Questo capita soprattutto per chi è in carcere da poco. Concorso di colpa, dunque, fra ministero della Giustizia, anagrafe e in parte degli stessi detenuti. C’è stato un miglioramento nel godimento di questo specifico diritto civile e politico in capo ai detenuti, ma i numeri non sono ancora sufficienti dal momento che andava garantita una maggior informazione. In molti casi ci assicurano che i detenuti sono stati informati a tempo debito, come fatto presente anche nei penitenziari che abbiamo visitato oggi ma evidentemente non è bastato a determinare cifre più alte di partecipazione al voto” La visita a Pozzuoli invece? In che stato versa questo carcere femminile? “Per quanto riguarda Pozzuoli, rispetto a sei mesi fa c’è un incremento di 30 unità. Siamo a 224 persone, 227 stamattina ma tre sono state scarcerate durante la giornata, nel frattempo in autunno era stato ritinteggiato l’istituto ma le infiltrazioni sono riprese dopo più di un mese in tutti e tre i piani. Ricordiamo che l’istituto sarebbe progettato per 82 persone, ne abbiamo quasi il triplo. Una delle zone dedicata alla socialità, che nient’altro è che una stanza stretta e lunga dove giocare a carte, a calcetto o a ping pong, è stata trasformata in un reparto di alta sicurezza con 19 persone ristrette. Non c’è spazio fra i corridoi di letti a castelli. È solo un concorso fra fortuna e solidarietà che si crea sia fra le detenute che con le agenti e gli agenti penitenziari, che non si verificano situazioni di follia, di violenza o di scontri all’interno di strutture vecchie e sovraffollate. Devo anzi dire che la struttura, se una volta rinnovata continuasse ad avere gli stessi problemi, sarebbe da sottrarre a questo tipo di funzione perché inadeguata. Fortunatamente due sono le cose migliorate. La prima è la riapertura della torrefazione per il caffè (nella foto a destra, il prodotto finito. NdR) dove lavorano però solo tre detenute, la seconda è la presenza del magistrato di sorveglianza e di figure come educatori, psichiatri - è stato aperto un reparto psichiatrico in vista della prossima chiusura degli Opg. NdR - e psicologi in misura costante al fianco delle detenute. Quanto al magistrato di sorveglianza, se una volta veniva qui solo ogni mese, mese e mezzo, adesso sembra di capire - anche se la cosa andrà verificata - che abbia raddoppiato le presenze. Ultimo dato positivo riguarda il fatto che i nuovi magistrati di sorveglianza hanno un tirocinio per cui passano due settimane a stretto contatto con l’amministrazione penitenziaria. Si spera che questo favorisca un modo migliore con cui applicare le leggi. Non si tratta di graziare qualcuno ma di conoscere le disponibilità e quindi, essendoci molte persone in attesa di giudizio, incentivare l’uso dei domiciliari fino alla sentenza e, per chi è già definitivo, misure alternative. In modo che anche chi resta in cella possa farlo nel rispetto delle norme nazionali, comunitarie e dei diritti umani. Certo che però, in una situazione di tale illegalità di Stato, laddove si chiedesse ai responsabili di risponderne, la posizione dei ladri di polli non è equiparabile con quella dei garanti della Costituzione che hanno determinato questo stato di cose”. Napoli: sequestrato l’impianto di raccolta differenziata rifiuti nel carcere di Secondigliano Agi, 8 marzo 2013 È finito sotto sequestro giudiziario l’impianto di raccolta differenziata attivo presso il carcere di Napoli Secondigliano. Ad eseguire il provvedimento, scaturito a seguito di un controllo per gravi negligenze sulla gestione dell’impianto e violazioni in materia di inquinamento ambientale, è stata ieri la polizia provinciale, in collaborazione con la polizia di Stato. L’impianto in questione è considerato il fiore all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria, ove lavorano attualmente circa 30 detenuti. Varese: il carcere Miogni da chiudere, probabile spostamento dei detenuti a Busto Arsizio Il Giorno, 8 marzo 2013 Il carcere Miogni è da chiudere. Questo quanto sostiene il provveditore regionale Aldo Fabozzi, del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di Milano, il quale ha affermato che la struttura carceraria varesina è totalmente inidonea e non rispetta i parametri di vivibilità, sia per i reclusi ma anche per i dipendenti. La proposta più accreditata inoltre non è quella della costruzione di un’altra struttura penitenziaria sempre nei confini varesini, ma lo spostamento dei detenuti e di parte del personale nella struttura bustocca, che andrebbe chiaramente ampliata, dato che ad oggi risulta una tra le carceri più affollate d’Italia. Appena si è prospettata l’ipotesi della chiusura del Miogni, si sono subito mossi i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, i vertici dell’amministrazione varesina, che hanno manifestato la loro contrarietà all’ipotesi della chiusura del carcere e negli uffici del tribunale è in corso una raccolta firma per impedirne la chiusura. Oristano: il Sappe chiede una verifica ministeriale sulla gestione del carcere di Massama La Nuova Sardegna, 8 marzo 2013 Nulla è cambiato. Il nuovo carcere oristanese di Massama perpetua le condizioni di malessere che derivano da un’organizzazione tutt’altro che adeguata alle esigenze di una struttura che, “almeno nelle intenzioni”, avrebbe dovuto dare, nel Distretto della Sardegna, “uno slancio all’innovazione dell’intero sistema, mentre figure vecchie e nuove sono impegnate a conservare lo status quo”. Una situazione di sofferenza che riguarda soprattutto il personale di vigilanza e che viene attribuita senza mezzi termini alla direzione locale, nei confronti della quale il Sappe chiede una verifica sulle modalità di gestione. Una denuncia pesante quella che la segreteria regionale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria ha inviato al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e, perché ne abbiano conoscenza, al ministero della Giustizia e all’ufficio relazioni sindacali del Dipartimento nazionale dell’amministrazione penitenziaria. Il documento è stato messo a punto dalla segretaria provinciale del Sappe di Oristano. Una relazione circostanziata che a 4 mesi dall’apertura delinea criticità operative e gestionali. “Dopo innumerevoli tentativi di dialogo con la direzione della Casa circondariale sulle problematiche dell’istituto”, il Sappe ha voluto segnalare “le modalità con cui la Direzione locale, oltre a disattendere ogni norma relativa ai rapporti sindacali, gestisce autonomamente il personale mettendo così a rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori”. Il primo “strappo” avviene sul piano sperimentale di utilizzo di 3 unità operative, che ha suscitato perplessità dalla stessa parte di operatori che lo hanno condiviso (ci sono stati anche tre voti contrari). Il Sappe torna sui ritardi nell’apertura della Casa circondariale, e ricorda “che nulla si è fatto” per pianificare la struttura organizzativa del personale né sulle modalità di conduzione dell’istituto”. La Direzione procede invece “imponendo” e “arbitrariamente applicando” le modalità organizzative che nella destinazione dei servizi favoriscono alcuni e penalizzano altri, senza tenere in conto “il notevole valore aggiunto di professionalità ed esperienza” portato dalle ottanta unità arrivate lo scorso autunno. Nel documento, oltre a segnalare che arrivano le proteste da parte degli ospiti detenuti, si parla di personale “mandato allo sbaraglio” e si dice che si è fatto fronte “alle falle” organizzative solo grazie al senso del dovere del personale. Da qui la richiest avanzata dal sindacato: che Provveditore e ministero “possano effettuare l’attività di controllo necessaria affinché la modalità di gestione della direzione locale sia conforme alle normative, rispetti la dignità del personale nei rispettivi ruoli, le pari opportunità e non metta a rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori”. Venezia: lettera-appello dai detenuti di Santa Maria Maggiore… situazione al limite Venezia Today, 8 marzo 2013 In una lettera aperta inviata al Gazzettino i carcerati chiedono aiuto alle istituzioni per alleviare il sovraffollamento: “Chiediamo anche la nomina di un nostro Garante a Venezia”. Sovraffollamento, problemi igienico-sanitari. I detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore hanno preso carta e penna e hanno scritto una lettera aperta al Gazzettino chiedendo che qualcuno si occupi di loro. Il penitenziario, infatti, secondo quanto raccontano sarebbe vicino al collasso. I mittenti chiedo l’attenzione del Comune, del presidente del tribunale di Sorveglianza, Giovanni Maria Pavarin e del giudice Barbara Della Longa. Il gruppo di detenuti, come riporta il quotidiano veneziano, prende a esempio le parole di Marcello Bortolato, magistrato di sorveglianza di Padova, che ha chiesto alle istituzioni di trovare delle soluzioni, anche a costo di interpellare la Corte Costituzionale. I detenuti, quindi, chiedono che anche Venezia si unisca a Padova nell’appello. “Siamo al limite della sopportazione - spiegano nella lettera - la nostra situazione è a dir poco drammatica. Tutto ciò che sta accadendo non si può senz’altro definire civilmente democratico”. Nella missiva si torna a chiedere l’istituzione del Garante dei detenuti, che, pur approvata dal Consiglio comunale, finora non è stato nominato. Livorno: la Cgil attiva due Caf nelle carceri delle Sughere e di Gorgona di Rosanna Harper Il Tirreno, 8 marzo 2013 Offrire consulenza lavorativa, fiscale, ma anche informativa e di rappresentanza. Questo è ciò che la Cgil si propone di attuare con l’apertura di due Caf all’interno della casa circondariale di Livorno e in quella di reclusione dell’isola di Gorgona. Il protocollo d’intesa, che sancisce l’effettiva collaborazione tra il sindacato e le due carceri, è stato siglato dalla firma di Marco Solimano, garante dei detenuti, Santina Savoca direttrice de Le Sughere, Maria Grazia Giampiccolo direttrice del carcere di Gorgona, Franca Taddei, componente della segreteria provinciale di Cgil e dall’assessore Mario Tredici, in rappresentanza del sindaco (impegnato in consiglio comunale). “La presenza del Caf - afferma Marco Solimano - si afferma come punto d’incontro tra la realtà carceraria e la società civile. L’adesione della Cgil, e la sua presa di responsabilità nei confronti di questo progetto, è il segno che un pezzettino di buona democrazia si sta attuando sul nostro territorio”. Secondo l’assessore Tredici il progetto costituisce un passo in avanti nell’affermazione dei diritti fondamentali del detenuto: “Occorre - spiega Tredici - consentire alle persone che vivono in regime di reclusione lo svolgimento di attività lavorative. Queste attività potrebbero rafforzare la situazione carceraria, sempre più indebolita da problemi quali il sovraffollamento primo fra tutti, e favorirebbero il reinserimento del detenuto nella società civile, una volta scontata la pena”. Alle parole di Tredici fanno eco quelle di Maria Grazia Giampiccolo: “Un protocollo come questo - sottolinea la direttrice - è un’affermazione di libertà. Se vogliamo uscire dal gap in cui la situazione carceraria si trova, occorre la partecipazione di tutte le istituzioni e della cittadinanza”. Al momento, tutti i detenuti di Gorgona sono coinvolti in attività lavorative, esterne al carcere, come la produzione e la trasformazione di olio, vino, ma anche il pescato. Questo anche grazie alla collaborazione di imprenditori e aziende che hanno trovato nei detenuti un’importante collaborazione. Ben diversa è la situazione del carcere livornese dove i detenuti, che attualmente sono circa 160, non svolgono vere e proprie lavorazioni, ma solo attività interne di tipo domestico. “La maggior parte dei detenuti - ci dice la direttrice Savoca - non ha i requisiti per svolgere lavori. In pochi, infatti, hanno una condanna definitiva, mentre molti sono quelli che si trovano in stato di imputazione. Con l’apertura del Caf ci auguriamo di portare risposte alle domande dei detenuti e di trovare soluzioni ai loro problemi”. Cagliari: Sdr; in carcere bimba 14 mesi con mamma Dire, 8 marzo 2013 Amara sorpresa per la delegazione di donne, in rappresentanza di associazioni e istituzioni, che stamattina si è recata nella Casa Circondariale di Cagliari. Insieme alla mamma 27/enne, infatti, c’era anche una bimba di 14 mesi. Mamma e figlia hanno partecipato, con le altre 12 detenute, alla manifestazione “Un sorriso oltre le sbarre”, l’iniziativa di solidarietà promossa dall’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, in collaborazione con la sezione cagliaritana della Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari, con il patrocinio della Provincia di Cagliari. “Trovare una neonata in una cella nella Giornata Internazionale della Donna - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR - è un paradosso, oltre che un evidente segnale di debolezza dello Stato e delle Istituzioni incapaci di trovare alternative dignitose quando si tratta di bambini in così tenera età. La donna, peraltro, era ai domiciliari dai primi di febbraio e non è mai venuta meno alle prescrizioni di legge. La presenza della piccolina in carcere ripropone la necessità di disporre di una casa, a custodia attenuata, per evitare che bimbi innocenti varchino il portone dei Penitenziari. Indispensabile comunque un immediato intervento del Magistrato di Sorveglianza”. Nell’ormai tradizionale incontro con le detenute e le Agenti di Polizia Penitenziaria, sono state affrontate le emergenze, ma è stata anche l’occasione per apprezzare alcuni lavori artigianali realizzati dalle donne private della libertà. All’appuntamento sono intervenute con Paola Melis, presidente della Fidapa e Maria Grazia Caligaris, la presidente della Provincia Angela Quaquero e la vice Sindaco di Cagliari Paola Piras. Ad accogliere le delegazioni il direttore Gianfranco Pala, la Comandante Michela Cangiano, la vice Barbara Caria e il responsabile dell’area educativa Claudio Massa. In occasione della manifestazione sono stati distribuiti dei pacchi con prodotti per la cura personale, una pianta per la sezione femminile, e dei dolci. “Questa iniziativa - ha detto Paola Melis - costituisce un appuntamento annuale a cui aderiamo con entusiasmo perché riteniamo che l’8 marzo si identifichi proprio con la solidarietà verso chi è più debole”. “L’iniziativa - ha sottolineato Angela Quaquero - rappresenta quel costante tentativo di non dividere chi è dentro dal resto della società. Gettare ponti di comunicazione è indispensabile per ripristinare un equilibrio sociale”. La vice Sindaco di Cagliari ha evidenziato il forte legame che lega l’Istituto Penitenziario con la città esprimendo l’attenzione dell’amministrazione verso i cittadini privati della libertà e i diversi operatori. Apprezzamento per l’iniziativa è stata espressa dalla Direzione dell’Istituto e dalla Comandante che hanno evidenziato l’importanza dell’attenzione da parte della società per favorire il reintegro del detenuto”. Perugia: oggi la presidente della Regione Catiuscia Marini ha incontrato le detenute 9Colonne, 8 marzo 2013 “È ancora molto forte in tutte noi il dolore e lo sgomento per la barbara uccisione di Margherita e Daniela. Per questo abbiamo voluto cancellare ogni celebrazione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, ma non abbiamo voluto rinunciare a essere qui con voi, in questo luogo dove è particolarmente difficile la condizione della donna, ma dove è forte il sentimento della fiducia e della speranza per il futuro”. Queste le parole della presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, rivolte alle detenute del carcere perugino di Capanne, che la presidente ha voluto incontrare assieme alla vicepresidente della Giunta, Carla Casciari, e all’assessore regionale all’Agricoltura, Fernanda Cecchini. Accolte dalla direttrice della casa circondariale, Bernardina Di Mario, e dal comandante degli agenti di custodia, la presidente Marini e gli assessori Casciari e Cecchini hanno consegnato alle circa settanta detenute prodotti per la cura e la pulizia della persona. “Abbiamo voluto essere oggi con voi - ha detto la presidente - per testimoniarvi della grande attenzione che noi personalmente e come istituzione regionale rivolgiamo alla difficile condizione di detenzione, in particolar modo per le donne. Abbiamo voluto anche utilizzare questa circostanza in una giornata molto difficile per noi, proprio per condividere il valore della speranza per una nuova opportunità di vita, quando un giorno sarete fuori dal carcere”. Per la vicepresidente Casciari, che è anche competente per le Politiche sociali in seno alla Giunta regionale, la visita al carcere di Capanne è stata l’occasione per rinnovare un impegno: “Sono stata qui altre volte e ci sono tornata volentieri per riconfermarvi l’impegno della Regione, pur in tempi di gravi difficoltà per la finanza pubblica, per il mantenimento di tutte le attività e azioni sociali che possano per un verso alleviare la vostra condizione di detenute, e per l’altro verso offrirvi l’opportunità di acquisire esperienza e conoscenze che, sono certa, vi saranno molti utili nel vostro percorso di reinserimento sociale”. Anche l’assessore Cecchini, che fra le sue competenze ha anche quella alla Sicurezza, ha fatto riferimento, nel suo saluto alle detenute, alla difficile condizione che vive la donna in regime di detenzione: “Venendo qui alcuni mesi fa, in occasione delle festività natalizie, ho compreso quanto la vostra condizione di donne detenute abbia caratteri particolari che meritano attenzione”. “Per questo - ha aggiunto l’assessore Cecchini - come assessorato all’Agricoltura ho assicurato la massima collaborazione alla collega Casciari affinché si potesse insieme offrire il massimo impegno possibile per lo svolgimento di iniziative sociali e formative all’interno del penitenziario. Ritengo, infatti, che si debba sempre garantire ad ogni persona detenuta il diritto a poter ripartire con la propria vita”. “Vi ringraziamo di vero cuore - ha detto una delle detenute parlando a nome di tutte - per questa visita e per ciò che ci avete donato. Vogliamo prima di tutto manifestare a voi il nostro sincero cordoglio per la morte delle due dipendenti regionali. Un evento tragico che ci ha particolarmente colpite. Qui abbiamo bisogno di tutto, perché la crisi della finanza pubblica la tocchiamo con mano, in quanto la direzione carceraria non è più in grado di garantire nemmeno le cose primarie. E ancora più importanti sono per noi le attività sociali, culturali e formative che possiamo svolgere grazie al sostegno della Regione Umbria. Questo ci consente di dare un senso alla nostra detenzione e di poter guardare al nostro futuro con un pò piò di fiducia, anche se sappiamo che, appunto per le conseguenze della crisi economica, per noi sarà ancor più difficile il reinserimento una volta uscite dal carcere”. Palermo: firmata un’intesa tra Prap e Comune, i detenuti puliranno le strade e le spiagge La Repubblica, 8 marzo 2013 I detenuti delle carceri Ucciardone e Pagliarelli saranno impiegati in lavori di pubblica utilità, del tipo pulizia strade, spiagge, giardini, affidati loro dal Comune. L’intesa è stata siglata ieri dal provveditore siciliano delle carceri Maurizio Veneziano e dal sindaco Leoluca Orlando. “L’onere sarà a carico dell’amministrazione penitenziaria - spiega Veneziano. Al progetto parteciperanno detenuti in carcere per reati minori. Potranno riabilitarsi lavorando per la collettività, in previsione di un loro reinserimento, che eviti il ritorno tra le fila della criminalità”. Adesso il Comune predisporrà in giunta la convenzione. Trento: il Tar respinge il ricorso della direttrice contro trasferimento al Prap di Padova L’Adige, 8 marzo 2013 Da fuori appariva solo come penitenziario modello, dentro però per mesi si è consumata una sorta di “guerra” tra la direttrice (poi distaccata a Padova) Antonella Forgione e parte rilevante del personale. È il quadro che si ricava leggendo la sentenza con cui il Tar ha respinto la richiesta di annullare il provvedimento con cui l’amministrazione penitenziaria per il Triveneto nel settembre scorso aveva respinto la richiesta della direttrice di tornare alla guida del carcere di Trento. Forgione dunque rimane a Padova. Inutile in questa sede analizzare le complesse ragioni giuridiche che hanno convinto il Tar a respingere il ricorso. Diciamo che da un punto di vista amministrativo il comportamento del Provveditorato è stato ritenuto pienamente legittimo e volto a tutelare gli interessi dell’amministrazione in un caso molto “spinoso”. Anzi i giudici definiscono “ingiusta ed ingrata” oltre che “infondata” l’accusa di scarsa trasparenza e lealtà mossa da Forgione al Provveditorato. “Il Provveditorato di Padova - si legge in sentenza - si è mosso con prudenza e gradualità assumendo un atteggiamento inizialmente di protezione dell’operato della ricorrente, seguito da una costante opera di mediazione accompagnata da scrupolosa attività istruttoria e ispettiva all’interno del carcere e solo a fronte di un permanente stato di tensione si è risolto nel concordato distacco”. La situazione interna al carcere, quando al comando sedeva Antonella Forgione, era infatti di fortissimo contrasto tanto che la stessa dirigente per lo stress accumulato chiese nel maggio del 2012 un distacco a Padova. Secondo la ricorrente, il motivo di tanti conflitti era l’aver riportato il personale al rispetto delle regole, gestione interpretata come “autoritaria” dal personale abituato ad una presunta gestione precedente a “tarallucci e vino”. Il fatto che il clima a Spini di Gardolo fosse insostenibile lo riconosce anche il Tar che parla di “obiettivi, gravi e cronici dissapori”. In particolare si fa riferimento ad un “conflitto tra due schieramenti di opposte fazioni, costituite dal personale di provenienza roveretana e da quello di provenienza trentina”. Secondo alcuni, infatti, la direttrice favoriva l’ala di Rovereto. Contrasti erano maturati non solo con i sindacati della polizia penitenziaria, ma anche con figure professionali di rilievo all’interno del carcere. I dissidi con il titolare dell’Area trattamento “sono stati di violenza tale da approdare innanzi ai giudici ordinari trentini” (il Tar fa riferimento ad un “atto di citazione per mobbing” e a “denunce innanzi all’autorità giudiziaria penale”). Inoltre con il responsabile sanitario “si è instaurata da parte della direttrice una situazione di intollerabile incompatibilità e conflittualità”. Il coordinatore del Nucleo traduzioni si era affidato ad un legale per le difficoltà di rapporto con la direttrice. Il Tar rileva che “non interessa sapere se si sia trattato di un vasto e orchestrato processo di reazione di una parte del personale” contro una gestione più efficiente. E neppure rileva se la dipartita della ricorrente “abbia lasciato irrisolti tutti i problemi emersi”. Neppure rilevano gli addebiti mossi da varie parti alla direttrice Forgione “in ordine ad una sua gestione personalistica, accentratrice, familiaristica, autoritaria, prepotente e scortese”. Sono tutti aspetti che competono all’amministrazione penitenziaria. “Quel che unicamente conta - scrive il Tar - è la semplice, obiettiva e documentatissima constatazione di una irrisolta situazione di non armoniosa collaborazione professionale”. Situazione che andava risolta. Padova: l’addio a Lorenzo Contri, fu il primo volontario in carcere di Stefano Volpe Il Mattino di Padova, 8 marzo 2013 La chiesa di Sant’Antonino ieri mattina era gremita per un funerale. Metà dei presenti erano ex detenuti, addirittura vecchi brigatisti. L’equazione è facile: si celebreranno le esequie di un grande boss o di un terrorista, magari un guru della lotta armata. Nulla di più sbagliato. È morto sabato scorso a 91 anni il professor Lorenzo Contri, Emerito nell’Università di Padova, ma soprattutto un uomo che ha scritto la storia. Una pagina affascinante di storia, che per troppo tempo è rimasta sommersa nell’oscurità. Lo stesso muro di oscurità che il professor Contri ha cercato di abbattere con l’arma più potente a disposizione di un essere umano: la cultura. Lorenzo Contri è stato il primo volontario a entrare nelle carceri italiane, alla fine degli anni 50, per cercare di portare sollievo e svago ai detenuti. Una missione condotta per quasi 50 anni e continuata tuttora dal professor Giorgio Ronconi e da Emanuela Colbeltardo, e che ha aperto la strada alle associazioni di volontariato che oggi collaborano con le carceri italiane. Un’attività nata quasi per caso. Siamo nel primo dopoguerra, il dottor Denes è un medico istriano che collabora con gli istituti penitenziari per motivi di comunicazione. Molti reclusi sono di origine slava, serve qualcuno che conosca la lingua. Denes conosce anche il giovane Lorenzo Contri, nato a Vittorio Veneto ma cresciuto a Padova, e gli parla della sua idea: aiutare i detenuti attraverso lo studio. Il professore rimane colpito e inizia a collaborare, continuando la carriera universitaria che lo porterà nel 1967 a essere nominato professore straordinario della Facoltà di Ingegneria di Padova. “Alla fine degli anni Sessanta”, raccontò Contri in una delle sue ultime uscite pubbliche, “si manifestò un problema insolito: un gruppetto di detenuti del carcere di Alessandria, diplomati geometri, espresse il desiderio di laurearsi in Ingegneria. Spostati a Padova, divennero matricole alla facoltà di Ingegneria civile e io ebbi il compito di seguirli. Ho in mente uno di loro, dentro per un brutto reato: si dedicava allo studio della matematica quasi con fanatismo. E questo gli permise di sgombrare la mente dai pensieri ossessivi a cui l’inattività in carcere porta. Oggi è fuori, si è sposato e vive una vita normale”. Contri fonda il Gruppo Operatori Carcerari Volontari, la sua attività diventa incessante. Aiuta a raggiungere il diploma e in alcuni casi anche la laurea a centinaia di detenuti. Ma per Contri l’importante è il sostegno morale che riesce a portare nelle carceri. Nel 1986, subito dopo l’approvazione della legge Gozzini sulla funzione rieducativa della pena, il professore si impegna in prima persona con i giudici, firmando l’autorizzazione a far uscire in permesso alcuni detenuti. Li preleva dal carcere e li porta a pranzo a casa, seduti al tavolo con la moglie Teresa e i cinque figli. “È stata l’esperienza più toccante della mia vita”, ricorda Vincenzo Contri, oggi 50enne. “Papà era una persona molto rigorosa, dalla grande fede cristiana. Ci ha sempre insegnato la distinzione tra bene e male. Ma allo stesso tempo un suo caposaldo era il rispetto di tutti gli individui”. Ad aiutarlo all’inizio della sua avventura fu anche il magistrato Giovanni Tamburino, oggi capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria. A ricordare il professore anche Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Giotto, da anni attivo in opere di volontariato al Due Palazzi: “Per me il professor Contri è stato un esempio da seguire. Non ha mai perso tempo a dire che cosa bisognava fare: ha fatto, ha testimoniato facendo, vivendo in prima persona quello in cui credeva. Il volontariato, è stato per lui, dal primo giorno fino all’ultimo, un semplice gesto di carità, di gratuità verso il prossimo più bisognoso”. Avellino: poliziotta picchiata in penitenziario, intervenuta per sedare una lite Adnkronos, 8 marzo 2013 “Nel giorno della festa della donna una poliziotta è stata violentemente picchiata in carcere”. A denunciarlo è il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che legge con preoccupazione questo episodio, “ennesimo sintomo di criticità del penitenziario campano”. “Nella sezione femminile della Casa Circondariale di Avellino - spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe - ospitante tra l’altro l’unico asilo nido per bambini inferiori ai tre anni del Sud Italia per detenute madri, nel tentativo di sedare una lite tra due detenute, una Agente del Corpo della polizia penitenziaria, poco più che ventenne, è stata colpita violentemente allo zigomo sinistro”. “La giovane collega - prosegue Capece - assegnata da poco dalla Scuola di formazione all’istituto irpino, è stata trasportata d’urgenza al pronto soccorso, ove le è stato diagnosticato il distacco della retina dell’occhio. Ormai le condizioni di vita del personale, dal punto di vista operativo, sono sempre più precarie e critiche anche se da poco il reparto femminile di Avellino è stato incrementato”, sottolinea il leader dei baschi azzurri del Sappe. “La situazione penitenziaria resta allarmante - rimarca il Sappe - e le risposte dell’Amministrazione penitenziaria a questa emergenza sono favole, come quella della fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica, che accorpa ed abolisce posti di servizio dei Baschi Azzurri mantenendo però in capo alla Polizia penitenziaria il reato penale della colpa del custode. “Queste frequenti - conclude Capece - e violente aggressioni mettono drammaticamente in evidenza le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari”. Roma : la ministra Severino visita sezione femminile del carcere di Rebibbia Dire, 8 marzo 2013 Un momento di riflessione sull’importanza e il valore del lavoro delle donne impegnate nel settore delle carceri e del sociale. È questo il senso della visita che il ministro della Giustizia Paola Severino fa oggi alle ore 15.30 alla casa circondariale femminile di Rebibbia in occasione delle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Donna. Accompagnata dal vice capo del Dap Simonetta Matone, dal provveditore regionale Maria Claudia Di Paolo e dalla direttrice Lucia Zainaghi, la guardasigilli assiste, presso il teatro del carcere, a uno spettacolo musicale col coinvolgimento di alcune detenute. Il ministro incontra anche le agenti di polizia penitenziaria e le donne che lavorano a vario titolo nel carcere romano e negli istituti e nei servizi penitenziari del Lazio. Come aveva fatto anche alla Vigilia dello scorso Natale, il ministro si sofferma anche con le detenute madri presenti nell’istituto romano, che alla data attuale sono 18, con 18 figli al seguito. Per l’occasione, vengono esposti manufatti e prodotti realizzati dalle donne ristrette nel carcere romano. Lecce: “Libri per la libertà” gruppo politico Casa Pound lancia raccolta testi per i detenuti www.lecceprima.it, 8 marzo 2013 Il gruppo politico promuove la raccolta, anche a domicilio, di volumi da donare agli uomini e alle donne che scontano la pena, o che sono in attesa di giudizio, presso il carcere di Borgo San Nicola: “Non è retorica di facciata”. Il sovraffollamento delle carceri, oramai, è un problema avvertito senza distinzioni di appartenenza politica. Lo testimonia Casa Pound, formazione politica nuova nel panorama nazionale ma con chiari riferimenti alla galassia della destra italiana, che ha lanciato un’iniziativa di solidarietà per i detenuti di Borgo San Nicola, dal nome “Libri per la libertà”. “La raccolta libri sarà la prima di una serie di iniziative in favore dei detenuti del carcere di Borgo San Nicola - spiega Emanuele Spedicato, responsabile provinciale di Casa Pound - cercheremo, infatti, di adoperarci il più possibile per promuovere iniziative concrete, andando oltre la solidarietà di facciata, retorica e sterile”. Giulio Quarta, responsabile regionale di Cpi, ritiene quella di Lecce un’iniziativa sperimentale che, in caso di successo, sarà replicata in tutta la regione. “Le carceri italiane sono al collasso - spiega Quarta - e la situazione dei detenuti diviene di anno in anno sempre più insostenibile. Per questo motivo riteniamo nostro dovere renderci promotori di attività e iniziative atte a colmare, almeno parzialmente, le falle del sistema penitenziario, sopperendo alle mancanze dello stato italiano: lo facciamo per strada con i cittadini liberi, lo faremo in carcere per chi la libertà l’ha persa”. Catania: al carcere di Piazza Lanza due giorni di spettacolo per le recluse La Sicilia, 8 marzo 2013 Anche le detenute della sezione “Etna” della casa circondariale di piazza Lanza celebreranno la Giornata internazionale della donna. Oggi e domani, infatti, secondo quanto voluto dal direttore reggente Elisabetta Zito, le recluse saranno spettatrici e, al tempo stesso, protagoniste di due eventi di natura artistica, momento significativo attraverso il quale sviluppare riflessioni e propositi alternativi. Oggi, grazie all’impegno degli animatori del Centro sperimentale Kerè - Elena Rosa, Benedetto Caldarella, Samantha Intelisano e Luana Amadore - si terrà uno spettacolo di danze popolari in cui un gruppo di detenute si esibirà con l’insegnante Deborah Rizzuto in una coreografia di balli folkloristici. Domani, invece, esibizione di ballerini professionisti di tango argentino - Angelo Grasso, Elena Gloria Ragaglia e Donatella Grasso - cui seguirà un concerto canoro offerto da alcuni artisti del Teatro Massimo Bellini: Aurora Bernava, Loretta Nicolosi, Francesca Paola Selvaggio e Giovanni Fodale. “Nell’ambito della interazione fra tutte le attività che vengono svolte all’interno della struttura penitenziaria - ha poi aggiunto il direttore Zito - il corso professionale maschile per addetto alla produzione di prodotti da forno senza glutine omaggerà tutti i presenti con un piccolo rinfresco a base di dolci”. È prevista la partecipazione a questa due giorni di operatori penitenziari, del corpo docente della scuola elementare e media, nonché con assistenti e volontari che, a vario titolo, collaborano con la direzione della casa circondariale di piazza Lanza. Immigrazione: “Prigionieri nell’inferno libico”, appello dei profughi eritrei di Paolo Lambruschi Avvenire, 8 marzo 2013 Catturati a Tripoli da milizie governative, sono 130 i detenuti nel famigerato impianto di Sebha: “Siamo quasi senza cibo né acqua e non possiamo lavarci Siamo trattati come animali”. Le denuncia di don Zerai: rischiano la deportazione nel deserto. L’esecutivo ha vietato all’Acnur di visitare i campi. Da giorni non vediamo la luce, soffriamo fame e sete. Siamo trattati come subumani. L’sms arriva alle sette del mattino direttamente dall’inferno, che è alle porte del grande deserto libico, nella regione meridionale del Fezzan. Lo manda Haile, nome di fantasia, eritreo giunto in Libia l’anno scorso e imprigionato a Sebha, uno dei famigerati centri di detenzione per migranti finanziati lo scorso decennio dall’Ue (compresa l’Italia). Il giovane è riuscito a conservare un cellulare, che è l’unica finestra sul mondo di un gruppo di profughi in un Paese che non riconosce ancora i rifugiati politici. Haile fa parte di un gruppo di 130 eritrei catturati a Tripoli durante la “caccia al nero” scatenata a metà febbraio da militari e milizie del governo post rivoluzionario per “prevenire disordini” in vista del secondo anniversario dell’insurrezione contro il rais. Trasportati a Sebha, nel sud della Libia, da giorni rischiano di venire deportati nel Sahara e intanto vivono ammassati in uno stanzone sporco di 170 metri quadri. Tre di loro sono morti di stenti martedì scorso. Alle spalle hanno storie di immigrazione e disperazione, molti vengono dal campo profughi di Shegarab, nel Sudan, dove chi non viene rapito dai nomadi Rashaida per venire rivenduto ai predoni beduini del Sinai, punta sulla Libia sulla vecchia rotta riattivata dai trafficanti di uomini che da Khartum attraversa il Sahara. Poi, una volta a Tripoli, si tenta la traversata verso Lampedusa. “In tutto i sub sahariani in catene nel sud della Libia al momento sono 1200 - spiega don Mosè Zerai, cappellano della comunità eritrea in Svizzera e angelo custode dei migranti del Corno d’Africa nel Mediterraneo - e metà di questi avrebbero diritto a chiedere a-silo in quanto eritrei, somali ed etiopi”. Del caso se ne sta occupando l’Acnur che, nella caotica e violenta Tripoli post rivoluzionaria, ha aperto un ufficio e deve muoversi con cautela perché non è ancora stata riconosciuta dal governo. Il ministero dell’Interno libico avrebbe garantito all’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati che almeno la metà dei sub sahariani detenuti, ovvero chi ha un tesserino da profugo dell’Acnur o ha titolo per richiederlo, non verrà rimpatriata a forza. Ma non ha concesso all’Acnur l’autorizzazione a visitare i dannati di Sebha. Le trattative sono in corso. “Il rischio della deportazione nel deserto per me rimane ancora - prosegue don Zerai - come succedeva spesso prima dell’accordo italo-libico del 2009”. Intanto Haile ci ha avvisati che 32 eritrei e 30 somali sono stati trasferiti dai militari a Sebha due giorni fa e nessuno ha saputo più nulla di loro. Una buona fetta dei 1200 prigionieri è detenuta a Birak, un’oasi che dista una settantina di chilometri. I maltrattamenti sono all’ordine del giorno, le condizioni detentive inumane. “Mangiamo e beviamo poco - scrive Haile in un altro sms che descrive un autentico girone infernale - da quando siamo stati catturati non abbiamo potuto lavarci, non ci siamo cambiati, siamo pieni di pidocchi e qualcuno comincia ad accusare disturbi mentali. Le guardie ci insultano chiamandoci scimmie, asini, e ci trattano come animali”. Un’ultima frase di Haile conferma quanto sta accadendo in Libia: “in carcere siamo tutti cristiani”. “Negli ultimi mesi - continua don Zerai - abbiamo ricevuto numerose testimonianze da parte di cristiani aggrediti soltanto perché portavano un segno della loro fede. Nei centri di detenzione la discriminazione è costante, si rischiano le botte se si viene sorpresi con una Bibbia o una croce”. Chi può fare qualcosa per i detenuti, oltre all’Acnur, è l’Unione Europea che su questa emergenza umanitaria si sta comportando con la solita ipocrisia. “Tace anche se ha premuto su Tripoli - conclude don Mosè - perché chiudesse le frontiere e fermasse i flussi. L’Europa, premio Nobel per la pace, ha la coscienza sporca”. Almeno tolga dall’inferno Haile e i suoi compagni ormai senza voce.