Giustizia: Ospedali psichiatrici giudiziari, gli ultimi lager di Oreste Pivetta L’Unità, 6 marzo 2013 Dovrebbero venir chiusi il 31 marzo. Ma mancano le nuove strutture. Un saggio pubblicato in Brasile racconta come superare la realtà degli Opg: giudicare l’imputato e rivedere il concetto di pericolosità. In Italia, alla vigilia della chiusura, siamo ancora indietro Non era questione nei programmi elettorali, perché una legge c’è. Ma potrebbe essere questione per il prossimo governo, un prova a proposito di diritti, democrazia, rispetto della costituzione, civiltà. Il tempo a disposizione è breve. Sembra un paradosso la fretta che entra in una istituzione immobile, chiusa attorno a persone che hanno perso ogni diritto, anche quello di contare, cioè misurare, il proprio tempo. Peggio di un ergastolo: esseri umani a disposizione di un ordine superiore, il magistrato e lo psichiatra, per una attesa che troppe volte si chiude con la morte, naturale o violenta, per suicidio (quarantaquattro suicidi negli ultimi dieci anni) o per sfinimento, talvolta solo per la consapevolezza di essere gli ultimi tra gli ultimi, più a fondo di tutti nel pozzo dei derelitti. Il 31 marzo scade il termine: come prevede la legge 9/2012 (firmatari Ignazio Marino, Daniele Bosone, Michele Saccomanno), gli Opg, cioè gli ospedali psichiatrici giudiziari, dovranno chiudere, liberare la varia umanità dolente che imprigionano, la varia umanità che dovrebbe trovare altre strade per vivere, cambiare, progredire. Quali strade ancora non si sa. Una volta gli Opg erano soltanto “manicomi criminali”. Il nuovo nome è una maschera d’ambiguità e d’ipocrisia: “ospedali” fa pensare a una organizzazione sanitaria, “psichiatrici” dovrebbe indicare qualcosa che riguarda malattia e cura, “giudiziario” lascia cedere a una tribunale, a un codice, alle norme. L’unico tribunale è quello che ha sottratto al “folle reo” anche la possibilità di essere giudicato come ogni altra persona, colpevole o innocente; la psichiatria è debole di per sé e per la debolezza delle strutture e pronta a cedere, per pigrizia o per insipienza, di fronte alla gravità della colpa, all’idea che quella condizione di segregazione sia ineluttabile e tutto sommato la più comoda per la società; l’ospedale è materialmente peggio di un carcere e le sbarre e i chiavistelli semplicemente “custodiscono” l’abbandono. Sarebbero bastate le poche immagini diffuse dalla televisione, dopo la visita nei nostri manicomi criminali della commissione d’inchiesta guidata da Ignazio Marino, per muovere lo sdegno, suscitare lo scandalo. Dopo la prima riprovazione sembra che tutto si sia spento. Prevale il senso comune di un Paese di poca cultura, che s’indigna a momenti, di fronte a uomini aggrappati alle inferriate di una prigione o stesi legati ad un letto di contenzione, ed è pronto a dimenticare la propria indignazione, quando una diversità qualsiasi minaccia la tranquillità, un paese che sempre considera il matto “delinquente” doppiamente pericoloso, perché è matto e perché delinque. Pazienza se il reato è un nonnulla, una reazione eccessiva, una collera, un pugno, magari soltanto “ubriachezza molesta”... Il giudizio di infermità mentale, di incapacità ad intendere e volere sottrae il “folle reo” al diritto di un processo, alla considerazione delle responsabilità e delle attenuanti e lo condanna al rischio di “fine pena mai”, a un destino da dimenticati (dalla stessa famiglia). Succede che uno qualsiasi uccida qualcuno, succede che venga giudicato, che debba scontare una pena, ma che possa godere di patteggiamenti e di sconti di pena e dopo dieci anni possa ritrovare la libertà. Così non accade a un matto, la cui “pericolosità sociale” è un’ipoteca sul futuro, una croce che nessun altro si porta addosso, una sanzione preventiva, una mostruosità. Un bel saggio, di un criminologo brasiliano, Virgilio de Mattos, analizza con grande chiarezza questi temi (presentandoci anche un’esperienza di superamento del manicomio criminale, nello stato di Minas Gerais). Scrive de Mattos: “In primo luogo deve essere assicurato il diritto alla responsabilità dell’imputato, essendo inaccettabile ritenere che un soggetto affetto da disagio psichiatrico non debba rispondere dei suoi atti. Non vi deve essere correlazione alcuna tra il disturbo mentale e il reato commesso. In secondo luogo occorre comprendere che il concetto di pericolosità non possiede alcun fondamento scientifico, essendo frutto più di un pregiudizio che di una situazione concreta riferito al futuro comportamento del paziente”. Una via d’uscita, questo il titolo del libro, pubblicato da Edizioni Alphabeta Verlag nell’Archivio critico della salute mentale, è una storia brasiliana (e molto italiana: basti pensare ai rapporti tra Franco Basaglia e il Brasile, documentati in uno splendido libro, Conferenze brasiliane), che rappresenta una condizione diffusa, universale e realtà diverse, in alcuni casi più crude che in altri, che racconta infine una stessa croce imposta in tutti i manicomi giudiziari del mondo: l’esclusione fino alla sparizione dietro le sbarre, materiali e metaforiche, di chi non riuscirà mai a liberarsi dallo stigma di matto e criminale. Per de Mattos tutti i cittadini devono essere considerati imputabili e penalmente giudicabili, mantenendo tutte le previste garanzie: un processo cioè che permetta di ricostruire i fatti, la possibilità di un contradditorio e di un’ampia difesa legale. A tutti deve essere inflitta, in caso di responsabilità accertata, una pena secondo i limiti fissati dalla legge, con la possibilità di patteggiamenti, di cambiamento di regime, di libertà condizionata. Se sussiste il disturbo mentale e se si accerta la relazione tra la patologia e il reato, si potranno considerare attenuanti. Si dovrà soprattutto considerare un percorso di cura e poi, scontata la pena, un modo per tornare alla società. “La magia del diritto penale scrive de Mattos è molto semplice: se c’è una compromissione psichica non esiste reato. Ma ci può essere una sanzione anche se non c’è reato. Basta che la sanzione si travesta da misura di sicurezza. Lo farà per difendere la società e l’autore stesso del reato, affetto dall’incapacità di intendere e di volere”. In Brasile, come racconta il libro, un’esperienza diversa si è provata. Qui si chiamano in causa sensibilità nuove, attenzione e disponibilità: seguire il malato, accompagnare il folle reo, contro la scappatoia della segregazione. “I dati sono eloquenti: oltre mille malati di mente autori di reato sono stati seguiti in poco più di cinque anni ... e la percentuale di recidive è stata prossima allo zero, principalmente per i reati contro la persona”. Con costi, aggiunge il criminologo brasiliano, decisamente inferiore a quelli conseguenti all’internamento. Alla scadenza del 31 marzo i sei ospedali psichiatrici giudiziari in Italia (Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Barcellona Pozzo di Gotto) non dovrebbero esistere più. I loro millecinquecento ospiti dovrebbero essere trasferiti in parte in sezioni carcerarie in parte in speciali case di cura (da venti posti letto ciascuna), affidate alle Asl. La legge subirà probabilmente un rinvio: vi sono incertezze nell’interpretazione e le strutture non sono pronte. Ma soprattutto, nella fretta di allestire camerate e infermerie, un’altra volta ci si è dimenticati del “soggetto”, cioè del malato, di quel “pazzo criminale”, tanto pazzo e tanto criminale, che non lo si punisce neppure per il reato che ha commesso, lo si seppellisce per la sua futura pericolosità, per la sua imprevedibilità, per la sua insuperabile cronicità. La sanzione è l’esclusione. Con l’obbligo della cura. Quale cura? Dentro stanzoni lerci, freddi, in condizioni igieniche penose, tra muri cadenti e marci per la muffa, tra poche suppellettili consunte dall’uso e dalla sporcizia, gente solitaria, mai raggiunta da un piano terapeutico o riabilitativo. Per ora, se va bene, cadranno le mura di Aversa o di Barcellona Pozzo di Gotto o di Montelupo Fiorentino. C’è il rischio che altre mura si alzino, fresche d’intonaci e vernici, senza niente attorno, senza cure e senza diritti per chi è destinato, senza condanne, a viverci dentro. Giustizia: Stop Opg; Italia nemmeno in grado prendere in carico un migliaio di persone Redattore Sociale, 6 marzo 2013 Maisto: “La legge prevede che le persone uscite dagli Opg siano portate in apposite strutture: in alcune regioni sono pronte, ma hanno il problema dei rapporti con sanità privata e Dap. E le stesse regioni non sono pronte ad accogliere i propri cittadini”. “Il Governo sta lavorando per prorogare la chiusura degli Opg, prevista al 31 marzo secondo la legge 9/2012, al gennaio 2014”. Lo ha detto Stefano Cecconi, presidente del Comitato Stop Opg, durante un convegno organizzato alla Cgil di Milano a partire dal libro “Una via d’uscita”, del giurista brasiliano Virgilio De Mattos (Alphabeta edizioni). “Nel frattempo - continua Cecconi - la Conferenza Stato-Regioni sta discutendo come affrontare la fase transitoria, con un atto che tenti di superare gli Opg senza abolire quelle parti del codice penale che ne sovrintendono all’esistenza. Ma il problema è che questo Paese sembra non sia nemmeno in grado di organizzare la presa in carico di un migliaio di persone”. Nel frattempo i problemi relativi agli Opg e alle persone che vi sono internate vengono soltanto prorogati di qualche mese, ma restano tutti sul tappeto. La legge 9 prevede che le persone uscite dagli Opg vengano portate in apposite strutture territoriali, ma la situazione è a macchia di leopardo: “In alcune regioni sono già pronte, ma hanno il problema di regolare i loro rapporti con la sanità privata e con il Dap - dice il magistrato Francesco Maisto, giudice di sorveglianza del Tribunale di Bologna. La Lombardia, per esempio, ha il caso di Castiglione delle Stiviere: in questo Opg ci sono 28 cittadini emiliani, di cui 17 sono in programmi trattamentali esterni. A sua volta, l’Opg di Reggio Emilia ospita 36 residenti in Veneto e 30 internati lombardi. In altre parole, si dovrebbe regionalizzare una legge dello Stato”. “Ma le regioni dicono di non essere pronte ad accogliere i loro cittadini -dice Valerio Canzian, presidente dell’Urasam-Unione regionale associazioni salute mentale della Lombardia. Solo alcune si stanno organizzando e sono andate a modificare i primi progetti, presentati un paio di mesi fa, che prevedevano “mini Opg” in cui comunque le persone sarebbero state recluse: rispetto a questa proposta, regioni come Toscana, Emilia, Marche, Puglia hanno fatto marcia indietro, puntando a valorizzare le attività sul territorio. Se in questi mesi c’è la proroga della chiusura, gli assessori devono provare ad andare in questa direzione, cambiando l’approccio che ha dominato negli ultimi anni, cioè che l’esclusione funziona più dell’inclusione. Ora bisogna insistere sul funzionamento dei servizi di salute mentale”. “Io, invece, temo che il problema degli Opg venga delegato al mondo penitenziario - dice Alessandra Naldi, garante dei detenuti di Milano: il carcere però non è un luogo dove la gente si cura, ma dove la gente si ammala. Bisognerebbe smetterla di pensare al carcere come a un posto dove mettere i problemi che la società non riesce ad affrontare”. Come spesso accade, però, dove lo Stato non arriva ci mette una pezza il terzo settore: come ha fatto Andrea Materzanini, direttore del Dipartimento di salute mentale di Iseo (Bs), tra i fondatori di Cascina Clarabella: un agriturismo e casa di produzione di vini biologici nel cuore della Franciacorta, che dà lavoro a 64 persone affette da schizofrenia, tra cui alcune uscite dagli Opg, che grazie al lavoro hanno intrapreso un felice percorso di recupero. Giustizia: per gli ex-internati in Opg nessuna struttura pronta fino al 2015 di Alessia Guerrieri Avvenire, 6 marzo 2013 Claudio Mencacci, presidente degli psichiatri italiani: forse proroga a giugno, ma per sostituire gli Opg serve più tempo. Presidi psichiatrici in carcere, nuovi mezzi per intensificare i servizi sui territori, anche con l’aiuto “insostituibile del volontariato”. Non ci sta ad avallare la logica dell’urgenza nella chiusura degli ospedali psichiatrici il presidente della Società Italiana di psichiatri Claudio Mencacci; non si può - dice - caricare di nuovi compiti i dipartimenti di salute mentale “già soggetti ai tagli lineari”. Ma gli Opg dovranno essere chiusi a fine marzo? Non sarà così. Le Regioni hanno già chiesto una proroga al 30 giugno e si sta già pensando di arrivare fino a fine 2013. Molti interventi di conversione delle strutture non saranno pronte fino al 2015. Serve una gradualità maggiore per dare modo al territorio di cambiare il modo di operare. Come si dovrebbe procedere secondo lei? Va pensato, ad esempio, a quel 10% di internati autori di reati, per cui dovrà essere prevista una struttura sanitaria con vigilanza esterna. Va valutato caso per caso quel 30% di persone che si sono ammalate nelle carceri, poi spedite negli Opg, restituibili al territorio. Servono nuovi reparti di osservazioni e occorre potenziare l’assistenza psichiatrica nelle carceri per poter intervenire tempestivamente con chi manifesta problemi mentali. Poi ancora, i Dsm vanno adeguatamente rinforzati, di uomini e risorse, per permettergli di costruire percorsi di riabilitazione individualizzati. E gli psichiatri che ruolo avrebbero? Il compito dello psichiatra è la cura. Non accettiamo qualsiasi posizione di custodia e vigilanza, come in certi casi ci viene chiesto di fare. Vorremmo anche entrare nelle carceri dove l’assistenza psichiatrica è modesta, con dei presidi organizzati. Basta pensare che dal primo aprile nessuno entrerà più negli Opg, le persone con un’infermità mentale dove andranno? In carcere. E lì cosa trovano per curarsi? Niente. Non c’è anche un problema di formazione specializzata di voi operatori? È chiaro che nelle strutture o in carcere occorre una formazione differenziata e personale esperto. La questione però è un’altra. In un momento di crisi il livello di disagio mentale aumenta e questo va ad aggiungersi alla cura degli internati. Si devono potenziare i servizi, dando più soldi. Altrimenti è solo una dichiarazione d’intenti. Il nocciolo delle questione è come reinserire gli ultimi tra gli ultimi. Belle parole. Ma nella pratica? I percorsi territoriali sono possibili solo dove c’è un lavoro di rete con i familiari e associazioni di volontariato. È il terzo settore che dà la risposta più positiva e costruttiva, smuove le montagne anche senza soldi, ma capiamo che non resisterà a lungo. Ci vuole tempo e un territorio recettivo, questo lo costruisci in anni, anche con l’aiuto di un volontariato aperto e generoso. Giustizia: Fondazione Sud destina 5 mln euro a progetti innovativi per disabili psichici Ansa, 6 marzo 2013 Tredici progetti “innovativi” nelle sei regioni del Mezzogiorno, per creare nuove strutture che forniscano servizi volti a favorire l’integrazione dei disabili psichici e per creare attività che permettano il loro inserimento lavorativo: la Fondazione con il Sud ha stanziato 5 milioni di euro e con un bando del 2012 ha selezionato le iniziative più innovative proposte dal terzo settore e dalle organizzazioni di volontariato. I progetti, presentati oggi a Roma, coinvolgono complessivamente oltre 140 organizzazioni e oltre 360 cittadini beneficiari diretti; ogni iniziativa è stata finanziata in media con oltre 380 mila euro. La necessità di intervenire per garantire l’assistenza sanitaria ai disabili psichici è avvertita in modo particolare dalle fasce più deboli della popolazione, e il tema è tornato di grande attualità dopo il varo della legge del 2012 che prevede la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari - in Italia sono sei, tre al Sud - entro il prossimo 31 marzo e l’affidamento dei detenuti a specifiche strutture sanitarie predisposte dalle Regioni. Il ritardo nello stanziamento delle risorse però, avverte la Fondazione, rischia di lasciare di fatto gli oltre mille disabili psichici negli Opg, più di 500 negli istituti meridionali, privi di adeguata assistenza. Tra i progetti finanziati, spiccano un’iniziativa ad Andria, in Puglia, per l’impiego di queste persone nel settore della produzione di snack e prodotti da forno pugliesi, una a Termini Imerese (Palermo) per realizzare una fattoria sociale per giovani disabili e un network commerciale ortofrutticolo in Basilicata e Campania. “È necessario - ha detto il presidente della Fondazione, Carlo Borgomeo - ribaltare il paradigma per cui il sociale è qualcosa che viene dopo lo sviluppo; al contrario, terzo settore, famiglie e istituzioni insieme possono proporre un modo innovativo di fare welfare”. Ciò non toglie, ha aggiunto, che le istituzioni debbano avere un “ruolo più forte” nell’ambito socio-sanitario. “O si ricomincia dalla coesione sociale o di sviluppo del Mezzogiorno facciamo solo finta di parlare” ha concluso. Giustizia: Ucpi; negli “8 punti” di Bersani solo repressione, nessuna riforma per carceri Public Policy, 6 marzo 2013 “Notiamo con viva sorpresa che tra gli otto punti irrinunciabili di un futuro programma di Governo in tema di giustizia, il segretario del Pd ha incluso tutto l’armamentario repressivo e nulla di quello che gli stessi esponenti del suo partito avevano indicato come essenziale: tipo la riforma del sistema sanzionatorio, la riforma dell’ordinamento penitenziario, la riforma della custodia cautelare, la depenalizzazione e, soprattutto, la scandalosa e illegale situazione delle carceri”. Questo il commento dell’Unione camere penali italiane, diffuso in una nota, sulle proposte rilanciate oggi dal segretario Pd, Pier Luigi Bersani, durante la direzione nazionale del partito. “Siamo alle solite - si legge - pur di ramazzare consensi sulla giustizia si solletica sempre la pancia dell’elettorato, a danno del raziocinio e della difesa dei diritti inalienabili. Peraltro, dimostrando un cattivo concetto delle forze politiche cui evidentemente ci si rivolge, che non possono non comprendere come l’allungamento della prescrizione (e quindi dei processi) sia in contrasto con l’idea di efficienza della pubblica amministrazione”. “Sulle sponde opposte non va meglio - concludono - se è vero che il Pdl si appresta a manifestazioni di piazza chiaramente strumentali a specifiche vicende processuali e non alla soluzione dei problemi generali. La giustizia ha bisogno di interventi strutturali, ma purtroppo resta sempre vittima della demagogia”. Giustizia: Pd; nostro programma è quello elettorale, in prossime ore proposte su carceri Tm News, 6 marzo 2013 Il Pd replica alle critiche degli avvocati penalisti sulle riforme in materia di giustizia. “L’Unione delle Camere Penali - osserva il presidente del forum Giustizia del partito, Andrea Orlando - fa bene a svolgere il suo lavoro di stimolo nei confronti delle forze politiche incalzandolo sui temi della riforma della giustizia. Tuttavia con il Pd non si coglie nel segno: il nostro programma resta quello presentato in campagna elettorale che prevede un’azione di depenalizzazione e il rilancio delle pene alternative al carcere”. “Questo non confligge - dice ancora Orlando - con l’obiettivo di completare la normativa sulla corruzione, un fenomeno che colpisce gravemente il nostro paese e al quale il governo del cambiamento che oggi proponiamo deve dare un colpo significativo. Nelle prossime ore rilanceremo le proposte per affrontare un’altra grave emergenza: le condizioni delle carceri italiane”. Giustizia: Nitto Palma (Pdl); il nuovo Guardasigilli dovrà ripristinare lo Stato di diritto Il Velino, 6 marzo 2013 “Il caso Cosentino, e non solo, impone una vera, attenta e seria riflessione sul tema della custodia cautelare. Il presidente della Repubblica, del tutto inascoltato, ha ripetutamente affermato che vi è un uso distorto ed eccessivo della custodia cautelare e che i magistrati non sono nè vendicatori sociali né custodi dell’etica”. Lo afferma in una nota il senatore del Pdl e coordinatore regionale della Campania, Francesco Nitto Palma, che prosegue: “Davvero è un Paese civile quello in cui un imputato, chiunque esso sia, non possa essere processato a piede libero, specie se incensurato e non pericoloso, in virtù di presunte esigenze cautelari motivate in modo generico e fumoso, senza ancoraggio alcuno ad oggettivi elementi di fatto? Davvero è un Paese civile quello in cui un indagato venga ristretto in carcere e, senza che esistano realmente le esigenze cautelari, vi venga lasciato marcire al solo fine di costringerlo a rendere le dichiarazioni utili alla costruzione dell’ipotesi accusatoria? O che addirittura venga a ciò pubblicamente sollecitato da chi quel passo ha già compiuto? Davvero non c’è bastato quello che accadde nel 92/94 e che così bene venne descritto dall’Ingegner Cagliari nella lettera lasciata prima di suicidarsi? Ma nella nostra Costituzione non vengono garantiti il diritto di difesa, il diritto al silenzio e la presunzione di non colpevolezza? E Carnelutti non ricordava che il codice di procedura penale era, e tuttora dovrebbe essere, il Codice di Garanzia posto a tutela delle ragioni del più debole? Credo davvero - conclude Palma - che il nuovo ministro della Giustizia, Grillino o no, avrà un bel da fare per ricondurre a Costituzione prassi deviate e per restaurare nel nostro Paese lo stato di Diritto”. Esposito (Pdl): evitare detenzioni inutili, bene Palma su custodia cautelare “La prima cosa da fare per ridurre il sovraffollamento delle carceri è evitare l’eccesso di custodie cautelari, anche quando non vi siano realmente le esigenze. Purtroppo sono ancora tanti i casi di indagati tenuti in carcere per mesi aspettando confessioni o collaborazioni. Comportamenti che davvero non sono esempio di uno Stato di diritto. Condivido quanto affermato dall’ex ministro Francesco Nitto Palma su quello che dovrà fare il nuovo ministro della Giustizia”. Lo afferma il senatore Giuseppe Esposito del Popolo della Libertà, vicepresidente del Copasir. Sisto (Pdl): lo Stato non funziona a colpi di misure carcerarie “Il richiamo ai princìpi ed alle garanzie costituzionali è la rotta sicura da seguire quando il mare delle istituzioni è in burrasca: questo il saggio monito che Nitto Palma, Ministro non per caso del governo Berlusconi, affida al futuro Guardasigilli. Il massacro delle regole che consentono, eccezionalmente, di privare un cittadino della libertà personale è epidemia italica che, ormai, non conosce profilassi e terapia efficaci; solo il nuovo responsabile del dicastero della Giustizia potrà , in nome della Carta Costituzionale, restituire all’Italia la normalità, ripristinando con fermezza la regola del processo da liberi. Chiunque scambia il carcere cautelare con un segno di funzionamento della Giustizia penale deve essere interdetto dalla democrazia, e non solo”. È quanto dichiara il deputato del Pdl, Francesco Paolo Sisto. Giustizia: Meloni (Clemenza e Dignità): nuovo Parlamento sia speranza per le carceri www.clandestinoweb.com, 6 marzo 2013 L’elezione di un nuovo Parlamento sia un momento di svolta e di rinnovata iniziativa per risolvere, o iniziare a risolvere, il problema delle carceri italiane; in questo quadro che si configura come un’incognita, si muove Giuseppe Maria Meloni, responsabile del movimento Clemenza e dignità che in una nota ha sottolineato come il nuovo esecutivo “costituisce una incognita ma anche, naturalmente, una speranza”. “Sono state elette - prosegue - delle persone nuove, che potrebbero manifestare una non comune sensibilità verso l’argomento, e sono state elette persone già protagoniste nella vita pubblica e politica, che potrebbero, invece, essersi persuase della necessità di affrontare con maggiore convinzione questa annosa problematica” dunque, si inizia tutto da capo “tra grandi aspettative di riforma da soddisfare ed aspettative di provvedimenti clemenziali, ora da approfondirsi nuovamente, alla luce della nuova composizione parlamentare”. “Questa associazione, - conclude - desidera, quindi, formulare i più sentiti auguri di buon lavoro ad ogni singolo parlamentare eletto, così come desidera formulare l’auspicio che proprio in questa legislatura, il problema delle carceri possa trovare finalmente quelle soluzioni che si addicono ad un grande Paese civile come è l’Italia.” Crotone: 27enne arrestato per rapina si impicca in cella dopo un giorno di carcere Agi, 6 marzo 2013 Un detenuto si è impiccato questo pomeriggio nella casa circondariale di Crotone. Si tratta di Pasquale Maccarrone, 27enne di Cotronei, che era stato arrestato solo nella mattinata di ieri dalla Polizia di Stato con l’accusa di aver preso parte ad una rapina ai danni di un commerciante di preziosi di Crotone avvenuta nel giugno dello scorso anno. Maccarrone si è impiccato al letto a castello della cella nella quale era rinchiuso da solo, utilizzando un lenzuolo. Sarno (Uil-Pa Penitenziari): detenuto suicida a Crotone (Il Velino) “Un giovane detenuto calabrese, arrestato ieri per rapina, si è suicidato, nel primo pomeriggio, in una cella del carcere di Crotone. Il giovane in mattinata aveva sostenuto l’interrogatorio di garanzia. Rientrato in cella in tarda mattinata ho posto in essere l’insano gesto impiccandosi alla branda del letto, pare con strisce di stoffa ricavate dalle lenzuola”. A darne notizia è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari. “Non ci abitueremo mai - continua - alla drammaticità di certe notizie. Purtroppo il fenomeno dei suicidi in cella è una delle tante priorità da risolvere nel magma delle criticità che attengono al nostro sistema penitenziario. Questa morte, purtroppo, infrange un trend al ribasso di auto soppressioni che è doveroso rilevare nell’anno in corso (l’ultimo suicidio risale al 4 febbraio). Trattasi del sesto suicidio in cella del 2013. Evidentemente occorre continuare a lavorare per garantire vivibilità e dignità alle persone detenute. Ciò può affermarsi anche attraverso quel nuovo modello organizzativo di sorveglianza che il Dap sta cercando di mettere in piedi tra notevoli difficoltà e qualche strumentale diffidenza. Noi non possiamo non auspicare che il nuovo Parlamento ed il nuovo governo (quando si formerà) inseriscano nelle loro agende una percorso di attenzione e soluzioni concrete rispetto alle notevoli difficoltà del sistema penitenziario. Difficoltà, è bene ricordarlo, che non solo determinano le condanne della Cedu per trattamenti disumani ma determinano anche condizioni di lavoro ai limiti dell’insostenibilità per il personale della polizia penitenziaria. Ragione aggiuntiva per sostenere l’intelligente e coraggioso progetto del Dap, ovvero quella che è stata definita la rivoluzione normale”. Monza: detenuto di 48 anni ritrovato morto in cella, da chiarire i motivi del decesso di Mary Sottile La Sicilia, 6 marzo 2013 Giovanni Uccellatore, 48 anni, muore in carcere a Monza. Oggi l’autopsia sulla salma, per accertare le cause del decesso. Capire se verrà confermata la prima ipotesi, quella dell’infarto, o se vi sia dell’altro. All’esame autoptico, dunque, l’ultima parola per accertare cosa ha stroncato la vita di Giovanni Uccellatore, 48 anni, paternese, ritenuto uomo di punta del clan Rapisarda-Morabito, riferimento del clan catanese dei Laudani. Rinchiuso nel carcere di Monza, Uccellatore doveva scontare ancora 14 anni di reclusione inflittigli con l’operazione “Baraonda”, condotta a Paternò dai carabinieri della locale Compagnia nel 2010. E proprio ieri Uccellatore era atteso a Catania, in Tribunale, dove si sta celebrando il processo d’appello per l’operazione “Baraonda”. Lui, uno dei pezzi storici del clan Rapisarda, già da dieci anni dietro le sbarre, in seguito a una prima sentenza di condanna arrivata dopo l’operazione “Rocca Normanna”. Un lungo passato maturato nell’ambito della criminalità locale, con condanne per associazione mafiosa, estorsioni, e tutta una serie di altri reati. Secondo la ricostruzione dei fatti, raccontata al legale di Uccellatore, l’avvocato Luigi Cuscunà, l’uomo, sarebbe morto per un infarto. Uccellatore sembra soffrisse di ipertensione grave, tanto che l’avvocato Cuscunà più volte aveva avanzato richiesta di scarcerazione, sempre negata. Per Uccellatore la morte è arrivata domenica notte. Pare che i primi sintomi siano arrivati intorno all’1 circa. Poi l’aggravarsi della situazione alle 3,30, quando è spirato. Uccellatore è sempre rimasto in carcere, i medici hanno solo avviato contatti con l’ospedale senza mai trasferire concretamente l’uomo. Intanto, come detto, oggi l’autopsia, solo dopo si saprà quando la salma verrà trasferita a Paternò, dove verranno celebrati i funerali. Intanto, i familiari dell’uomo sono partiti alla volta di Monza. Sul caso è stato aperto un fascicolo. Ascoltato a testimonianza di quanto accaduto quella notte in ospedale anche il detenuto che condivideva la cella con Uccellatore. “Verificheremo se ci sono responsabilità - evidenzia l’avvocato Luigi Cuscunà, se vi sono state negligenze nel trattare il caso, a salvaguardia della salute del detenuto”. Roma: Garante detenuti Lazio; situazione critica nel reparto malati di Hiv di Rebibbia Il Velino, 6 marzo 2013 Uno dei quattro reparti in Italia, dedicato ai detenuti affetti da Hiv, e quindi reparto di interesse nazionale, G14 di Rebibbia N.C., era il fiore all’occhiello del carcere. Pensato per ovviare all’isolamento sanitario dei malati di Hiv ha un’infermeria, una cucina, un laboratorio informatico, una cappella e una biblioteca. Le celle sono sempre aperte e i detenuti partecipano a progetti che facilitano la socializzazione e il lavoro, parte integrante del trattamento come la terapia clinica. Da qualche tempo, però, la situazione è peggiorata al punto da spingere il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni a denunciare “un clima potenzialmente esplosivo che, fino ad oggi, non è deflagrato per il lavoro svolto dal nostro ufficio, dai volontari, dai sanitari e dagli agenti di polizia penitenziaria”. Attualmente nel G14 ci sono 22 persone, tutte malate di Hiv. L’età media è fra i 45 e i 50 anni. Oltre all’Hiv, i presenti hanno patologie psichiatriche, l’epatite, cardiopatie e dermatiti. Buona parte dei detenuti è di difficile gestione - negli ultimi 10 giorni si sono registrati tre casi di autolesionismo - sei sono casi psichiatrici conclamati. In tre sono in sciopero della fame e rifiutano i farmaci per motivi di giustizia (attesa liberazione anticipata, permessi premio, ricoveri in ospedale). “Molti - ha detto il Garante - sono, per le loro condizioni, incompatibili con il carcere. Il fisico di ognuno è segnato dalle malattie e dalle dipendenze. Ma a costringerli in una cella sono le posizioni giuridiche, le misure alternative revocate, i cumuli di pena, i nuovi reati o, più semplicemente, il fatto di non avere una dimora. Il vissuto determina l’assenza delle famiglie e i problemi economici, con molti detenuti che dipendono dai nostri operatori, dai volontari anche per le più piccole necessità”. Su questa situazione si è abbattuto il taglio indiscriminato della spesa. Per la prima volta, nel 2013 non saranno finanziate le attività per i tossicodipendenti, rimaste senza copertura economica. Il carcere non ha più fondi né per la mediazione culturale, né per i progetti del G14, né per quelli delle comunità terapeutiche che operano in carcere. A ciò si aggiunga che la storica direttrice del reparto è stata trasferita al Prap ed è stata sostituita da un’altra persone che, in contemporanea, deve occuparsi anche della struttura protetta dell’ospedale Pertini e del nucleo traduzioni. “La somma di queste criticità - ha concluso il Garante - ha fatto salire la tensione alle stelle e creato una situazione di emergenza. Di fatto la gestione del reparto è affidata alla polizia penitenziaria, agli infermieri ed agli operatori del trattamento. Ciò che si percepisce è un clima di esasperazione dove è sempre più netta la sensazione di essere stati abbandonati dalle istituzioni, con concreti rischi di recrudescenza e di inasprimento delle condizioni di detenzione. Per evitare l’irreparabile occorre che ciascuna componenti torni a fare il proprio lavoro: gli educatori ed il personale sanitario e di sicurezza devono essere messi in condizione di poter lavorare; la magistratura deve tornare a scegliere ciò che è meglio per ciascun detenuto; occorre che vengano riattivati, anche con l’aiuto delle politiche regionali, percorsi alternativi al carcere; occorre che il territorio e la società civile tornino ad aprirsi. Occorre in sostanza, lavorare tutti insieme per far tornare il reparto il fiore all’occhiello che era”. L’Aquila: Sappe; vigilanza attenuata in sezioni a massima sicurezza per detenuti 41bis Comunicato Sappe, 6 marzo 2013 “È semplicemente allarmante constatare che nella Casa Circondariale di L’Aquila viene attuata la “vigilanza dinamica” anche nei confronti dei 120 detenuti sottoposti al regime dell’articolo 41 bis O.P.. L’Amministrazione Penitenziaria ha disposto, in sostanza, una vigilanza ridotta che allenta drammaticamente i livelli di sicurezza e persegue questa pericolosa soluzione nell’idea di rendere più confortevoli le carceri italiane per i responsabili dei peggiori crimini. Là dove dovrebbero essere almeno 2 gli agenti fissi, ora ve n’è uno solo per più detenuti. Non solo: anche in occasione delle videoconferenze, dove deve essere presente un agente con un Ispettore nella apposita sala dove si svolgono le fasi del procedimento la vigilanza è ridotta ad una unità sempre in virtù delle medesime direttive, sicché la sicurezza è completamente inesistente. Una vera e propria resa dello Stato alla criminalità organizzata che è inaccettabile. Mi appello alla Ministro della Giustizia Paola Severino: non si può più perdere tempo. Bisogna dare nuovi vertici all’Amministrazione Penitenziaria visto che quelli attuali, Giovanni Tamburino e Luigi Pagano, sono incapaci di risolvere i problemi ed anzi perseguono soluzioni pericolose”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Nonostante le chiacchiere di Tamburino e Pagano, che pontificano sugli effetti salvifici di questa soluzione, la vigilanza dinamica dei penitenziari voluta dall’Amministrazione Penitenziaria per alleggerire l’emergenza carceraria è una resa dello Stato alla criminalità. Pensare a un regime penitenziario aperto; a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della “colpa del custode”; ebbene, tutto questo è fumo negli occhi. Ed è ancora più grave sapere che ciò avviene anche nelle sezioni detentive a massima sicurezza per i detenuti 41bis. La realtà penitenziaria è la Polizia penitenziaria ha settemila agenti in meno, che i Baschi Azzurri non fanno formazione ed aggiornamento professionale perché l’Amministrazione evidentemente ha altro a cui pensare, come anche per le conseguenze di quell’effetto burnout dei poliziotti determinato dall’invivibilità di lavorare in sezioni detentive sistematicamente caratterizzate da eventi critici - suicidi, tentati suicidi, aggressioni, risse, atti di autolesionismo, colluttazioni. Non ha fatto niente il Dap, su tutto questo. Proprio per questo torneremo, a distanza di poche settimane da una nostra analoga protesta pubblica, a manifestare il 4 aprile davanti al Dap: per chiedere l’allontanamento del Capo Dipartimento Tamburino e del Vice Capo Pagano, primi responsabili di tutto ciò. E continueremo a farlo fino a quando non saranno avvicendati dalla guida del Dap”. L’Aquila: Dap; nessun rischio per la sicurezza del carcere, soltanto strumentalizzazioni Comunicato Dap, 6 marzo 2013 Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria denuncia come prive di alcun fondamento e assolutamente false le notizie affidate alle agenzie di stampa, in data odierna, dal Segretario del Sappe Donato Capece in merito a un presunto allarme per il sistema di sicurezza del carcere dell’Aquila che ospita 130 detenuti in regime di 41 bis. “Parole sconcertanti e irresponsabili che, fondate su di un dato falso, non solo creano allarme, ma, in primo luogo, offendono la Polizia Penitenziaria che opera all’interno del carcere abruzzese con professionalità e competenza, assicurando gli standard di alta sicurezza propri del circuito 41 bis” - afferma Luigi Pagano vice capo del Dap. “Strumentalizzare il concetto di vigilanza dinamica, sostenendo che esso sia stato applicato nel circuito 41bis del carcere dell’Aquila, è fuori di ogni logica e del corretto confronto dialettico, frutto di una esasperata e pregiudiziale critica a una soluzione gestionale che il Dap sta realizzando, con la leale collaborazione dei Provveditori regionali e di tutto il personale degli Istituti Penitenziari interessati, unicamente all’interno delle sole strutture definite a custodia attenuata e che ospitano detenuti a basso indice di pericolosità. Il Dipartimento - conclude Pagano - sta valutando se informare l’Autorità Giudiziaria per verificare se le dichiarazioni possano essere foriere di procurato allarme sociale”. Rimini: dossier sulla Casa Circondariale “Casetti”, un carcere diviso tra estate e inverno di Stefano Rossini www.newsrimini.it, 6 marzo 2013 “La situazione è gravissima, in gioco c’è l’onore dell’Italia”, queste le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all’indomani della visita al carcere milanese di San Vittore, pochi giorni fa. A rimarcare la gravità della situazione si aggiunge (anzi la precede) anche una recente sentenza dell’8 gennaio 2013 della Corte Europea dei Diritti Umani che impone alle autorità italiane l’assunzione di un piano - entro un anno - per le riforme in ambito penale e penitenziario nel nome della protezione della dignità umana. E in effetti, di fronte al collasso del sistema penitenziario, più che l’onore del paese, viene in mente la dignità calpestata di decine di migliaia di persone. Qual è la situazione nel carcere di Rimini? In questo momento vi sono 22 mila detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari. In Italia si registra il tasso di affollamento carcerario più alto dell’Unione Europea. Il sistema è oltre il limite del collasso, con decine di detenuti stipati in celle di pochi metri quadri, costretti, a volte, a stare in piedi a turno per mancanza di spazi. Nessuna attività di laboratorio. Ad oggi la pena è tutto tranne che rieducativa. All’interno di questo panorama desolante, come si pone il carcere di Rimini? In questa prima puntata del dossier dedicato alla situazione penitenziaria riminese, abbiamo fatto il punto con Elia de Caro dell’Associazione Antigone “per i diritti e le garanzie nel sistema penale” che mantiene un Osservatorio sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane con controlli periodici alle singole case circondariali. La casa circondariale di Rimini “Casetti”, è stata costruita negli anni ‘70 nelle prime colline di Rimini, in via Santa Cristina. Dispone di 177 posti e di due reparti a custodia attenuata. Il primo Andromeda, si trova in una struttura distaccata dal corpo principale. Ed è composto da 3 stanze per 4 persone con cucina e spazio comune. Il reparto Cassiopea, invece, fa parte della struttura principale ed è composto da 3 celle per 3 detenuti ciascuna. Nella struttura principale ci sono alcune celle larghe - rispetto agli standard nazionali - di 12-15 metri quadrati, alcune anche 18. In generale qual è il giudizio sul carcere riminese? “La casa circondariale di Rimini - ci risponde Elia de Caro - è un istituto particolare che vive profonde differenze tra il periodo invernale e quello estivo. Le condizioni in inverno sono buone e migliori degli altri istituti della Regione. L’estate, invece, la struttura soffre di gravi problemi di sovraffollamento, alta percentuale di tossicodipendenti e altissimo tasso di turnover. Il numero dei detenuti aumenta vertiginosamente a partire dall’inizio della stagione estiva, soprattutto per reati di spaccio e prostituzione. Alcuni hanno anche problemi di abiti e vestiario, perché vengono arrestati d’estate e non hanno una completa vestizione. Nelle stesse celle di 12-18 metri quadrati, ad esempio, in inverno possono esserci fino a 7 persone, numero alto ma ancora sostenibile, ma in estate possono superare le 10 con grandi problemi di convivenza e gestione”. Il problema dell’aumento cronico di carcerati per metà dell’anno ha anche altre ricadute. “In questi ultimi anni - continua Elia de Caro - a causa della diminuzione dei fondi si è riscontrata una continua diminuzione delle attività laboratoriali. Inoltre le attività sono rivolte ai condannati in via definitiva, quindi molti detenuti, soprattutto in estate, non fanno attività. Un altro elemento tipico del carcere riminese, infatti, è la bassa presenza di definitivi rispetto ai giudicati. A fine del 2010 - ultimo dato censito - su quasi 250 detenuti, solo 60 erano definitivi e 180 no, ed è probabile che ad oggi le proporzioni non siano cambiate”. La maggior parte dei detenuti è in carcere per reati connessi alla tossicodipendenza e alla prostituzione. Il 50% dei detenuti è di origine straniera. Nel carcere è presente un reparto per omo e transessuali, ma non c’è lavoro extra murario. “La mancanza di lavoro extra murario è un gap, una mancanza, ed è collegata alla scarsità dei fondi - continua de Caro - ma funziona molto bene la custodia attenuata nelle due strutture Andromeda e Cassiopea. Questa è il vero fiore all’occhiello della struttura. L’iter prevede il passaggio dal sistema ordinario a Cassiopea - il reparto interno, legato al corpo principale del carcere - e da qui ad Andromeda, che invece si trova in un edificio separato. L’unica critica che noi come associazione abbiamo sollevato è che per realizzarli sono stati utilizzati i fondi sulla legge sugli stupefacenti - da utilizzare in teoria in attività preventive - e non del dipartimento amministrativo penitenziale, ma nonostante questo è stato fatto un ottimo lavoro. Da sottolineare la tenacia della direttrice nel mantenere questo reparto”. Il problema dei fondi è sicuramente il primo e principale, ed è l’elemento che costringe e guida la maggior parte delle scelte del carcere, dato che, volenti o nolenti, in condizioni del genere viene privilegiata la spesa legata alla sicurezza e al mantenimento amministrativo. Sulla scia di questa penuria sono diminuiti anche i corsi scolastici, ma è ancora attiva la collaborazione con l’Enaip per i corsi professionali di ceramica, giornalismo e altri, e col Liceo, il laboratorio di falegnameria e, nonostante una forte contrazione di tutti i corsi, è ancora attiva la collaborazione con l’università di San Marino. “Quest’anno - conclude Elia de Caro - torneremo a visitare il carcere di Rimini. Nel frattempo riteniamo che non sia più rimandabile la riforma del sistema e gli interventi chiesti a gran voce dalla Corte di Giustizia Internazionale secondo cui uno spazio inferiore ai 3 metri quadri per persona è inumano ed è contrario al principio di riabilitazione. È una ferita che il nostro paese può e deve risanare al più presto”. Fossombrone (Pu): scambio querele tra detenuto e Commissario della Casa di reclusione di Silvia Pasqualotto Corriere Adriatico, 6 marzo 2013 Guerra a colpi di carte bollate al tribunale di Urbino tra un detenuto e il Commissario della Casa di reclusione. Ad iniziare è stato Vincenzo Stanzione, 55 anni, originario di Napoli. Nel 2011, periodo in cui scontava la sua pena a Fossombrone, Stanzione inviò alla procura di Pesaro, a quella di Urbino, al ministro della Giustizia e ad altri rappresentanti istituzionali una serie di lettere in cui accusava il comandante e gli altri agenti in servizio di “abusi e percosse fisiche” e denunciava di essere “soggetto a rappresaglie e minacce da parte del corpo di polizia”. Le lettere, scritte a mano dal detenuto, parlavano inoltre dell’esistenza di un “potere occulto e perverso”. La denuncia riguardava il personale del carcere, tutti gli agenti e anche il comandante Andrea Tosoni, 48 anni, di Deruta (Pg), che decise di querelare per diffamazione Vincenzo Stanzione a causa delle frasi offensive e diffamatorie per la sua persona e per le persone che, come comandante del carcere, rappresentava. Alla querela di Tosoni seguirono altre lettere di Stanzione in cui diceva di essere vittima “di denuncia di querela ma sono io la parte lesa”. Andrea Tosoni è stato sentito oggi come teste di fronte al giudice di pace del tribunale di Urbino ha riferito che Stazione, nell’anno e mezzo passato a Fossombrone, “ne ha combinate di tutti i colori, finendo più volte anche in tribunale”. L’ex comandante ha descritto il pregiudicato come un “soggetto molto problematico, aveva fobie, manie, era grafomane e si sentiva un perseguitato”. Stanzione, scarcerato il 28 febbraio 2013 dalla casa circondariale di Agrigento per fine pena, non si è presentato all’udienza di conciliazione e nemmeno il suo avvocato Massimo Amoriello. Il giudice Morosi e il vice procuratore onorario hanno tuttavia rilevato un difetto di competenza perché se il reato di diffamazione - del quale è accusato Stanzione - riguarda un pubblico ufficiale, scatta l’aggravante. Il processo deve quindi svolgersi davanti al tribunale. Milano: l’8 marzo non solo mimose, per detenute San Vittore anche stendini biancheria Redattore Sociale, 6 marzo 2013 La Garante dei detenuti ha presentato alla Provincia di Milano la richiesta di 21 stendibiancheria destinati alle 101 recluse. Dopo una colletta tra consiglieri, la consegna avverrà l’8 marzo. “La dignità si garantisce anche dalle piccole cose”. “Per la Festa della donna non basta regalare delle mimose, c’è bisogno di un gesto concreto”. Per questo Fabrizia Berneschi, Garante per le persone limitate nella libertà personale, ha presentato alla Provincia di Milano la richiesta di 21 stendibiancheria destinati alle 101 detenute del carcere di San Vittore. I Consiglieri provinciali hanno quindi deciso di fare una “colletta” e di consegnarli proprio venerdì 8 marzo. “Credo che la dignità di una donna si garantisca a partire dalle piccole cose -afferma la Berneschi, che dopo essere stata eletta nell’aprile del 2012, ha girato tutte le carceri della Provincia. Perciò ho sottoposto questa problematica quotidiana alla Commissione Pari Opportunità e sono stata contenta di suscitare l’interesse delle consigliere, ma anche dei consiglieri”. Queste donne, infatti, sono costrette a lavare nelle celle i propri indumenti e poi a stenderli su armadi e brande, contendendosi il poco spazio libero. “Purtroppo, per problemi tecnici e di sicurezza, non siamo riusciti ad ottenere anche le lavatrici che le detenute mi avevano chiesto durante i nostri incontri”, continua la Garante. A consegnare uno stendino simbolico, in una piccola cerimonia organizzata il giorno della Festa della Donna nella biblioteca di San Vittore, sarà proprio una delegazione di Consiglieri bipartisan, tra i quali il Presidente Bruno Dapei e Agnese Tacchini, a capo della Commissione Pari Opportunità. Questo gesto si inserisce all’interno di una attenzione più generale della Provincia di Milano nei confronti delle donne detenute, iniziata nel 2006 con la creazione dell’Icam, recentemente ristrutturato grazie ad un progetto finanziato dell’azienda Leroy Merlin. L’istituto a custodia attenuata è situato in viale Piceno 60 a Milano e attualmente ospita nove madri (la massima capienza è di 12), tutte straniere, con bambini più piccoli di tre anni. Un luogo “speciale” dove gli agenti di Polizia Penitenziaria non indossano la divisa e un gruppo di volontari del Comune accompagna tutti i giorni i bambini all’asilo. Siena: Sappe; agente penitenziario aggredito da detenuto nel carcere di San Gimignano Adnkronos, 6 marzo 2013 “Ancora tensione nel carcere toscano di San Gimignano. Un detenuto bosniaco di 24 anni ha aggredito questa mattina un poliziotto dopo aver saputo che alla visita specialistica esterna alla quale doveva essere sottoposto non sarebbe stato accompagnato da un’ambulanza ma dalla scorta e dai mezzi della Polizia Penitenziaria”. Lo sottolinea in una nota il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, manifestando preoccupazione questo episodio, ennesimo sintomo di criticità del penitenziario toscano. “È la ciliegina sulla torta di una situazione ben oltre il limite della tolleranza” commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Il nostro agente, al quale va la nostra solidarietà e la nostra vicinanza, è stato colpito con estrema violenza dal detenuto, con calci, pugni e graffi. La prognosi è di dieci giorni ma tutto questo non è accettabile e tollerabile. Bisogna contrastare con fermezza questa ingiustificata violenza in danno dei rappresentati dello Stato in carcere e punire con pene esemplari, anche sotto il profilo disciplinare, i detenuti che la commettono per evitare sul nascere pericolosi effetti emulativi. Pensiamo ad esempio ad un maggiore ricorso all’isolamento giudiziario fino a fine pena con esclusione delle attività in comune ai detenuti che aggrediscono gli agenti”. “La situazione penitenziaria - prosegue - resta e rimane allarmante e le risposte dell’amministrazione penitenziaria a questa emergenza sono favole, come quella della fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica, che accorpa ed abolisce posti di servizio dei Baschi Azzurri mantenendo però in capo alla Polizia penitenziaria il reato penale della colpa del custode (articolo 387 del Codice penale)”. Salerno: progetto con gli studenti; s’inizia tra i banchi di scuola a combattere l’illegalità La Città di Salerno, 6 marzo 2013 Tutti i giovani d’oggi sono disinteressati e passivi: questo il mito che la consulta provinciale degli studenti vuole sfatare. Ad affollare il Salone dei Marmi di Palazzo di Città, ieri mattina, non a caso, numerose delegazioni di alunni, tra cui quelli dei licei De Sanctis, Regina Margherita, dell’istituto Virtuoso, dell’Alfano I e di altre scuole che hanno preso parte al dibattito su “Lo smarrimento dei giovani. Il senso della legalità”. Moderato dal referente provinciale della consulta, Ketty Volpe del Miur, l’incontro ha suscitato notevole attenzione grazie alla testimonianza di Francesco, detenuto presso la casa circondariale di Fuorni, agli interventi del direttore del carcere Alfredo Stendardo e dell’antropologo Paolo Apolito. “Quando si parla di legalità, spesso, si fa riferimento solo alla lotta contro la criminalità organizzata, mentre bisogna partire dalla dispersione scolastica, dalla ricerca del soldo facile in tempi di crisi - ha osservato il presidente della consulta provinciale, Simone Buonomo. La nostra generazione, nonostante le incertezze, crede nel cambiamento”. “Il 26 marzo presso la casa circondariale di Fuorni vedremo un film a tema e terremo un dibattito con i detenuti”, incalza il giovane Francesco Lepore. Un’ondata di “calore” nel salone, come notato da Apolito, quando ha preso la parola Francesco, detenuto per rapina e droga: “Se potessi tornare indietro non butterei cinque o sei anni della mia vita: pensavo solo al facile guadagno”, ha raccontato l’uomo che sta per diplomarsi come geometra. Stendardo, infine, ha sottolineato quanto importante sia che i giovani scelgano di “essere l’oggi, senza attendere il domani”, mentre Apolito si è soffermato sulla bellezza delle relazioni umane, dominate da “quel ritmo” tipico degli innamorati che va sempre ricercato. Immigrazione: Garante comunale; temporanea chiusura Cie atto inevitabile e necessario Ristretti Orizzonti, 6 marzo 2013 La temporanea chiusura del Centro di Identificazione ed Espulsione di Bologna da parte della Prefettura è stato un atto inevitabile e necessario date le condizioni del Centro, che evidenziavano un drammatico stato di fatiscenza ed incompatibilità con condizioni di vita rispettose dei diritti umani. Ieri Elisabetta Laganà, Garante per i diritti delle Persone private della libertà personale del Comune di Bologna, è andata in visita al Cie per verificare le condizioni delle persone trattenute che a seguito della chiusura saranno trasferite in altri Centri. In particolare, era pervenuta all’Ufficio una segnalazione relativa a due trattenuti, un uomo e una donna, che da sabato avevano messo in atto una protesta cucendosi la bocca come estremo tentativo di provocare l’attenzione di tutti sulla drammatica condizione determinata dal lungo trattenimento. Per le due persone è stato chiesto un immediato intervento sanitario. È stata richiesta una particolare attenzione per le donne trattenute attualmente 27, soprattutto per quelle affette da Hiv per le quali un trasferimento o un rimpatrio significherebbe venire meno all’accesso alle cure. Il profondo degrado che ha caratterizzato la struttura soprattutto negli ultimi mesi è la chiara risultante di gare effettuate al ribasso su questi centri, per i quali è inevitabile rivedere complessivamente la legislazione. Elisabetta Laganà, Garante per i Diritti delle Persone private della Libertà personale del Comune di Bologna Immigrazione: la Garante regionale su trasferimento persone trattenute in Cie Bologna Redattore Sociale, 6 marzo 2013 “Si sta concludendo in queste ore il trasferimento dal Cie di Bologna delle trattenute e dei trattenuti. Risulterebbe, infatti, che gli uomini sarebbero già stati inviati in altri Centri, mentre le donne verranno ricevute da altre strutture analoghe nel corso della giornata, conseguenza della decisione della Prefettura di chiudere il Centro per compiere lavori di manutenzione straordinaria e ordinaria. Tra coloro che sono in corso di trasferimento, vi è anche il cittadino straniero che da sabato, cucendosi la bocca con strumenti di fortuna, ha iniziato uno sciopero della fame per potere essere liberato, mentre la donna giunta a scegliere questo percorso di protesta, sembra abbia avuto un peggioramento delle condizioni generali proprio questa mattina”. A parlare è la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, in merito alla situazione che si sta determinando in seguito alla provvisoria chiusura del Centro di identificazione e di espulsione per immigrati di via Mattei, a Bologna. “Esprimo preoccupazione - prosegue - per la situazione di una trattenuta per la quale come Garante ho cercato, al momento senza esito, la possibilità di un ricovero in una struttura per consentire di portare avanti cure delicate e importanti, in ragione delle quali si ha notizia che fosse stata fissata una visita di controllo la prossima settimana”. La cittadina straniera vista ieri dal referente lo sportello info giuridico era in attesa di un luogo in grado di ospitarla, per permettere l’inoltro della richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari e il rilascio dal Cie. Per questo, la Garante, che segue da vicino l’evolversi della vicenda, sta valutando la situazione anche per comprendere se sono state assunte tutte le misure necessarie, affinché “l’invio in altre strutture non rechi alle persone trattenute disagi maggiori di quelli dovuti al semplice spostamento, e che siano fatte tutte le comunicazioni necessarie in riferimento alle condizioni di salute delle persone trasferite”. Israele: Unicef; ogni anno 700 minori palestinesi sono arrestati, interrogati e detenuti La Presse, 6 marzo 2013 Il “maltrattamento” di minori palestinesi nelle carceri militari israeliane è “diffuso, sistematico e istituzionalizzato”. Lo rivela un rapporto dell’Unicef. “In nessun altro Paese i bambini vengono regolarmente processati da tribunali militari per minori”, spiega il rapporto, secondo il quale “ogni anno circa 700 bambini fra i 12 e i 17 anni, per lo più maschi, vengono arrestati, interrogati e detenuti dalle forze di sicurezza israeliane”. Si tratta di una vera e propria violazione della legislazione internazionale, secondo il rapporto Unicef. Nel documento si parla di alcuni casi che dimostrano “trattamenti crudeli, disumani e degradanti o di punizioni”. Alla stesura del rapporto ha collaborato anche il portavoce del ministro degli Esteri israeliano, Yigal Palmor, con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei minori israeliani detenuti. Israele: “Collaboreremo con l’Unicef” - “Israele esaminerà le conclusioni e lavorerà per applicarle attraverso la collaborazione con l’Unicef, il cui lavoro stimiamo e rispettiamo”, ha detto Palmor. Il ministero degli Esteri ha anche ricordato che Israele ha partecipato “all’elaborazione del materiale, servito per stendere il rapporto, con il team dell’Unicef. Rappresentanze dell’esercito e del ministero degli Affari esteri hanno tenuto sessioni di lavoro con l’Unicef, con il comune obiettivo di migliorare le questioni materia del rapporto stesso”. “È importante notare - dicono poi al ministero - che l’Unicef ha bene accolto le migliorie verificatesi nel corso degli anni nel trattamento dei minori palestinesi, sia in detenzione sia nei processi legali nel sistema giudiziario militare israeliano”. Unicef: esaminati 400 casi dal 2009 - Secondo il rapporto, i maltrattamenti nei confronti dei minori israeliani cominciano già al momento dell’arresto e spesso continuano durante la detenzione, fino alla sentenza del processo. Il documento dice che tra i maltrattamenti c’è l’abitudine di bendare i bambini e di legare loro le mani, e ancora ci sono abusi fisici e verbali durante i trasferimenti per gli interrogatori”. Per quasi tutti i minori arrestati l’imputazione è legata al lancio delle pietre e durante gli interrogatori i ragazzini vengono sottoposti a violenza fisica e minacce, costretti a confessare senza avere la possibilità di contattare un avvocato o la famiglia. Il rapporto dell’Unicef è stato redatto sulla base dell’esame di 400 casi dal 2009 e di documenti legali, realizzati da gruppi governativi e non governativi, e tramite colloqui con bambini palestinesi e con funzionari e legali israeliani e palestinesi. Il testo riconosce comunque che Israele ha fatto importanti cambiamenti negli anni recenti, migliorando il trattamento dei bambini. In particolare, dal 2010 la polizia israeliana è tenuta a notificare ai genitori l’arresto dei loro figli e a informare i bambini del loro diritto a consultare un avvocato. Arabia Saudita: scarcerati 100 manifestanti sciiti arrestati nell’est del paese Nova, 6 marzo 2013 Le autorità saudite hanno rilasciato 100 manifestanti sciiti fermati nell’est del paese per aver partecipato alle manifestazioni di protesta di una settimana fa nella regione di al Qassim. I dimostranti chiedevano il rilascio dei loro congiunti detenuti senza regolare processo. Dall’inizio del mese 161 persone, tra cui 15 donne, sono state arrestate in Arabia Saudita per legami con i gruppi sciiti. Le autorità hanno per affermato che altri 62 manifestanti sono tuttora in carcere per essere sottoposti a interrogatori. Afghanistan: Karzai; sabato carcere Bagram agli afgani, libereremo detenuti innocenti Tm News, 6 marzo 2013 Il presidente afgano Hamid Karzai ha annunciato oggi che il trasferimento completo della prigione di Bagram dagli americani alle legittime autorità afgane avrà luogo sabato prossimo, quando sarà messa fine a una lunga disputa con gli Stati Uniti che ne controllano ancora una parte. “I nostri sforzi per trasferire questa prigione creata dagli Stati Uniti, dopo anni di discussioni, sono stati ripagati. Questo trasferimento si svolgerà sabato”, ha dichiarato il capo dello Stato. “Sappiamo che ci sono anche persone innocenti in questa prigione. Ordinerà che vengano subito liberate, e poco importano le critiche che arriveranno”, ha aggiunto Karzai. Gli Stati Uniti hanno ritardato la consegna definitiva di questa prigione - la più grande del paese e nota per le denunce di molte organizzazioni per i diritti umani sull’uso di torture - alle autorità afgane, temendo che i detenuti eventualmente liberati possano unirsi ai combattenti islamici locali. Stati Uniti: esecuzione in Ohio, 50esima vittima dal 1999 un condannato di 48 anni Ansa, 6 marzo 2013 La mano del boia è entrata nuovamente in azione questa mattina in Ohio, Stati Uniti. Frederick Treesh, 48 anni, è stato giustiziato per iniezione letale alle 10,37 ora locale. Treesh era colpevole dell’uccisione di una guardia di una libreria avvenuta nel 1994. L’uomo è il cinquantesimo detenuto ad essere mandato a morte dopo che il ‘Buckeye Statè ha rimesso in vigore la pena di morte nel 1999. Libia: difesa Mahmudi; ex premier è detenuto in condizioni di salute critiche Ansa, 6 marzo 2013 Le condizioni di salute dell’ex premier Baghdadi el Mahmudi, detenuto in un carcere libico, restano critiche. Lo ha detto oggi, in una nota, il collegio di difesa dell’ex primo ministro di Gheddafi, detenuto in Libia dopo l’estradizione dalla Tunisia nel giugno dello scorso anno. I difensori di Mahmudi hanno colto l’occasione per reiterare le accuse alla Tunisia che, sostengono, ha accolto la richiesta di estradizione delle autorità libiche senza avere la garanzia che l’ex primo ministro fosse sottoposto ad un processo equo. Nelle scorse settimane uno dei difensori, l’avvocato tunisino Mabrouk Kourchid aveva denunciato che il suo assistito (primo ministro dal 2006 sino a poche giorni prima della caduta ufficiale del governo a causa della rivolta) era in uno stato critico a causa delle torture alle quali sarebbe stato sottoposto sin dal suo arrivo a Tripoli dalla Tunisia.