Giustizia: in Italia la chiusura Opg è prossima… da conoscere l’esperienza brasiliana Vita, 5 marzo 2013 A fine mese chiudono i 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari d’Italia. Da domani sarà in Italia Virgilio De Mattos, autore di un libro sull’esperienza brasiliana. Il 31 marzo chiuderanno i sei ospedali psichiatrici giudiziari esistenti in Italia. Lo prevede la legge 9/2012, ma a meno di un mese dalla data fissata non c’è alcuna certezza. Una situazione incredibile, che Vita racconta nel numero in edicola da venerdì, in un reportage dall’opg di Castiglione delle Stiviere. Dopo il 31 marzo nessun giudice potrà più autorizzare le misure di sicurezza negli attuali Opg, ma nessuno sa dire dove dovranno andare nuovi e vecchi imputati. In Italia sono fra le 1000 e le 1500 le persone internate in Opg, e ad oggi non esiste nessuna delle nuove strutture da 20 posti che la legge prevede siano realizzate in sostituzione degli Opg (le risorse sono state destinate alle Regioni solo il 7 febbraio scorso). Per accompagnare questo storico e delicatissimo passaggio, arriva in Italia Virgilio De Mattos, docente all’Università di Belo Horizonte, nello stato del Minas Gerais, in Brasile. In Minas Gerais c’è l’esperienza del Pai-Pj-Tjmg, “Programma di attenzione integrale”, che De Mattos ha raccontato in un suo libro, di fresca pubblicazione in Italia in una collana a cura di Peppe Dell’Acqua, già direttore del Dsm di Trieste. Il libro di intitola Una via d’uscita (edizioni alphabeta). Il libro sarà presentato a Roma, Milano e Bologna tra il 5 e il 7 marzo. “I dati sono eloquenti: oltre mille malati di mente autori di reato sono stati seguiti in poco più di 5 anni di funzionamento e, la cosa più impressionante, la percentuale di recidive è stata prossima a zero, principalmente per i reati contro la persona. Al di là di ogni fredda analisi numerica, abbiamo, relativamente al paradigma della cura, la dimostrazione di un vero e proprio cambiamento, in grado di prevenire prima ancora che trattare. Tale prevenzione è basata innanzitutto sulla responsabilizzazione dei pazienti i quali, aiutati dai familiari e da personale specializzato, affrontano il proprio caso e ne indicano possibili soluzioni. Il Pai-Pj unisce i tre angoli di un ipotetico triangolo assistenziale, nel quale trovano simultaneo sviluppo tre azioni: quella giuridica, quella sociale e quella clinica”. I malati di mente autori di reato lì vengono riconosciuti responsabili del reato, ma a differenza dagli Stati Uniti, dove lo psicopatico viene isolato in carcere, in contesti ancora più duri, qui le persone possono liberamente circolare, poiché “è nelle situazioni di libertà che si devono trovare le risorse per affrontare gli ostacoli. Se il paziente rimane chiuso in un contenitore e poi si apre la porta perché possa uscire, si troverà dinanzi agli stessi problemi di prima. Il paziente invece deve essere accompagnato, man mano che affronta i problemi”. Questo è il punto 22 dell’elenco di 22 punti che De Mattos mette in chiusura del libro: “tutti i cittadini devono essere considerati imputabili, per poter avere un giudizio penale con tutte le garanzie previste. Devono aver diritto al processo per poter ricostruire gli eventi che in esso sono culminati; diritto al contraddittorio e alla difesa legale. Nel caso di una condanna ci deve essere l’imposizione di una pena con dei limiti fissati, deve essere possibile la detrazione, la progressione del regime di detenzione, la libertà condizionata, e al caso la transazione penale, la sospensione condizionata del processo e l’estinzione della punibilità, per prescrizione”. Giustizia: il diritto alla vita e alla salute calpestato nelle carceri italiane www.avis.org, 5 marzo 2013 Certe morti silenziose non fanno quasi più notizia, eppure è nostro dovere porvi l’attenzione. In questa convulsa fase politica, in cui le forze politiche cercano un accordo di governo su alcuni punti comuni da sviluppare nei prossimi mesi, i primi temi da mettere sul tavolo dovrebbero essere quelli dei diritti civili. Invece si preferisce stare su altre questioni, come si dice più vicine “alla pancia” dei cittadini, come il taglio dei costi della politica, ecc. Cose importanti, per carità, ma intanto nelle carceri italiane si continua a vivere in condizioni di sovraffollamento ed emergenze sanitarie. Oppure si muore, come racconta la notizia che pubblichiamo qui di seguito. Alle ultime elezioni hanno partecipato 3.426 detenuti, pari a circa il 5,2 per cento (dato calcolato sull’intera popolazione carceraria, mentre manca quello sugli aventi diritto). Segno che per la stragrande maggioranza di queste persone il carcere sta fallendo il suo obiettivo, che dovrebbe essere quello del recupero, oltre che della punizione. Nel solo mese di febbraio sono morti, per cause da appurare, tre detenuti nel carcere di Poggioreale, nel quale sono reclusi circa 2.781 persone su una capienza di 1.679 posti. Lo rende noto Mario Barone, presidente dell’associazione Antigone-Campania. “Il 1 febbraio 2013 C.D., già ricoverato al centro clinico interno al carcere di Poggioreale, è deceduto dopo un ricovero urgente al Loreto Mare. F.M. è morto il 6 febbraio 2013 in ospedale, dove era stato ricoverato dal 26 gennaio 2013. R.F. è deceduto a seguito di un malore in istituto il 16 febbraio 2013: il 118 ne ha constatato il decesso”. Questa la drammatica sequenza di morti secondo il portavoce dell’associazione. “È davvero un dato preoccupante - ha detto Barone - la sequenza di tre decessi per ragioni legate alla salute. Nei primi due casi, il ricovero in una struttura ospedaliera extra - muraria, avvenuta solo pochi giorni prima del decesso, solleva non pochi interrogativi sugli standard delle prestazioni sanitarie rese all’interno del carcere. Per quanto riguarda l’ultima morte improvvisa, ci chiediamo quali siano le procedure previste nei casi di emergenza e quali interventi di pronto soccorso si attivino in attesa dell’arrivo dei sanitari del 118”. “Nonostante siano passati cinque anni dal passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della giustizia alla competenza delle Asl - continua Barone - a oggi, non abbiamo dati affidabili e certi sui quali effettuare un monitoraggio. Secondo le nostre stime oltre il 60 per cento dei detenuti presenta una patologia cronica. La tutela della salute in carcere rimane una zona grigia dei diritti fondamentali del detenuto”. “Il nuovo Parlamento - ha concluso il presidente campano di Antigone - dovrà occuparsi, non solo delle drammatiche condizioni di sovraffollamento carcerario che hanno portato l’Italia a essere condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche della tutela del diritto universale alla salute all’interno degli istituti di pena. Noi da subito segnaleremo questi decessi al garante campano dei diritti dei detenuti e al presidente della Commissione sanità e sicurezza sociale del Consiglio regionale perché se ne approfondiscano le cause e le dinamiche”. Giustizia: Uil-Pa Penitenziari; nel 2012 spesi 40-45 mln di euro per traduzione detenuti Agi, 5 marzo 2013 “Nel 2012 la polizia penitenziaria ha effettuato 176.836 servizi di traduzione per un totale di 358.304 detenuti tradotti per un costo complessivo che si può prefigurare tra i 40 e i 45 milioni di euro”. A renderlo noto è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, secondo cui i detenuti tradotti per motivi di giustizia sono stati 214.980, per motivi sanitari 82.422, per assegnazione di sede 56.307, per permessi con scorta 4.595. Le traduzioni effettuate in ambito extraregionale sono state 22.309, in ambito regionale 57.024, in ambito locale 97.773. Nello stesso periodo, le traduzioni con autoveicoli sono state 169.308 , quelle per via aerea 4.166, per via mare 444, pedonali 2.919. I detenuti tradotti classificati comuni o a media sicurezza sono stati 272.839, quelli classificati ad alta sicurezza 76.644, i detenuti tradotti e sottoposti al 41bis sono stati 1.293, i collaboratori di giustizia o loro familiari 3.647, gli internati 3.876 . Dal confronto dei dati, spiega Sarno, “emergono aspetti particolarmente inquietanti, sia in relazione alla sicurezza sia in relazione ai costi di gestione. A regolamento vigente quei circa 360mila detenuti tradotti avrebbero dovuto prevedere un impiego di non meno di 800mila unità di polizia penitenziaria. Una media di 2,2 unità per ogni detenuto tradotto. Invece le unità di polizia penitenziaria impiegate in servizi di scorta sono state 554.354 con una media di 1,5 unità per detenuto tradotto. E tale media (già penalizzante) si riduce notevolmente in alcune realtà territoriali: 1,2 in Campania, 1,3 nel Lazio, 1,4 in Calabria”. Per il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, “un’adeguata politica di investimenti e di gestione potrebbe abbattere considerevolmente i costi, a partire da un piano carceri che consegua l’obiettivo di abbattere le traduzioni a lungo percorso e di cui, purtroppo, abbiamo perso ogni traccia, anche perché inopinatamente assegnato ad un commissario straordinario esterno all’amministrazione penitenziaria”. Non solo: “considerato che circa il 60% delle traduzioni viene effettuato per motivi di giustizia sarebbe opportuno prevedere l’implementazione dei servizi di videoconferenza, oggi previsti solo per i 41 - bis (ma non sempre funzionali ed attivi)”. Un capitolo a sé è quello rappresentato dall’”esorbitante numero di detenuti tradotti per motivi sanitari. Se è vero - osserva Sarno - che circa 71mila sono stati movimentati per visite ambulatoriali e che in moltissime realtà penitenziarie gli ambulatori sono stati chiusi, forse sarebbe il caso di rivedere tali decisioni ed affermare un modello per cui è lo specialista a recarsi in carcere e non il detenuto a recarsi in strutture esterne replicanti i laboratori già presenti in istituto”. In questo quadro “desolante” ed “allarmante”. Sarno ricorda infine che “circa l’85% degli automezzi della polizia penitenziaria destinati alle traduzioni è da considerarsi illegale perché privo dei collaudi di affidabilità o perché quei collaudi non sono stati superati. Nonostante ciò i baschi blu continuano ad assicurare, a loro rischio e pericolo, i servizi per garantire il diritto alla difesa ed alla salute dei detenuti. Per questo condividiamo il giudizio del ministro Severino, che più volte ha definito eroi le donne e gli uomini della polizia penitenziaria. Ma agli eroi, prima o poi devono anche essere assicurati mezzi, strumenti e diritti”. Giustizia: parlamentari Radicali concluderanno il loro mandato visitando alcune carceri Agenparl, 5 marzo 2013 “Anche le carceri calabresi, come quelle di tutta la penisola, sono luoghi di violazione di diritti umani fondamentali e non certo per responsabilità della comunità penitenziaria che subisce, con i detenuti, il mancato rispetto delle leggi, dei regolamenti, della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. I parlamentari Radicali uscenti della lista Amnistia Giustizia e Libertà, concluderanno il loro mandato parlamentare visitando alcune delle carceri italiane e, in questo tour di civiltà, entreranno anche in alcune delle carceri calabresi per verificare le condizioni di detenzione ma anche di lavoro di tutti coloro che prestano la loro opera all’interno degli istituti. Sarà l’occasione per chiedere ai neo - eletti che si insedieranno a breve di proseguire quell’opera instancabile di attenzione che tutti i parlamentari radicali dal 1976 in poi, a partire da Marco Pannella, hanno riservato al carcere quale specchio della civiltà di un Paese; e il nostro, pluri-condannato dall’Europa, civile sicuramente non lo è. Alle visite calabresi, normalmente svolte a sorpresa e ora invece appositamente preannunciate, prenderà parte Rita Bernardini, deputata radicale uscente, assieme ai candidati della lista, Maurizio Bolognetti, Giuseppe Candido, Antonio Mastroianni, e ai parlamentari calabresi che si renderanno disponibili a far parte della delegazione. Saranno visitate le case circondariali di Vibo Valentia mercoledì 6 marzo alle ore 17.00 e giovedì 7 marzo alle ore 10.00, il carcere di Palmi e alle ore 16.00 quello di Reggio Calabria. Questi gli appuntamenti di Rita Bernardini Mercoledì 6 marzo: Casa Circondariale di Vibo Valentia Giovedì 7 marzo: Case Circondariali di Palmi e Reggio Calabria Venerdì 8 marzo: Salerno, ore 11, manifestazione davanti al Tribunale di Sorveglianza (organizzata dall’Associazione radicale “Maurizio Provenza”) Sabato 9 marzo: Brindisi, dalle 11 alle 18 presso la Biblioteca provinciale in viale Commenda 1, “Assemblea “meridionale” della Lista Amnistia Giustizia Libertà con Marco Pannella, Marco Beltrandi, Maurizio Bolognetti, Sergio D’Elia, Maria Antonietta Farina Coscioni, Marco Perduca, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti Lunedì 11 marzo: Casa Circondariale di Siracusa e Casa di Reclusione di Augusta Martedì 12 marzo: Casa Circondariale di Trapani. Lo fanno sapere i radicali in una nota. Giustizia: Nicola Cosentino in carcere, ecco perché i Radicali ritengono sia una bestialità di Gianluigi Guarino Notizie Radicali, 5 marzo 2013 Lo può dire il sottoscritto, primo irriducibile avversario della politica di Nicola Cosentino nella Provincia di Caserta. Lo possono dire i Radicali che mai hanno fatto caso all’identità della persona che sta subendo un sopruso, ma hanno assunto posizione vivisezionando le carte sino all’ultima sillaba. Di tutto, ma sarebbe bene dire, quasi di niente, si possono rimproverare i radicali di Pannella, eccettuato il rilievo di aver avuto mai mani in pasta, di essersi relazionati a gente con i quattrini, di aver sponsorizzato tesi a favore di questo o di quel potente. Quando i radicali che sono gli unici autentici liberali di questo paese, associano i loro commenti a una storia giudiziaria lo fanno dopo aver letto, studiato, centellinato le carte fino all’ultima virgola, passando le stesse sotto la lente di ingrandimento di un codice penale che conoscono molto meglio di tanti giudici e di tanti magistrati. Garantisti per ideologia, ma non certo per definizione, nel senso che il garantismo dei pannelliani consiste nell’applicazione pedissequa, mai estensiva, mai relativisticamente interpretativa dei codici. Insomma, Diritto integrale, al di là di chi ci sia sopra o dentro alle storie giudiziarie. Ora non vogliamo certo dire che, avendo i Radicali in questi giorni preso posizione a favore di Nicola Cosentino, quest’ultimo possa diventare un secondo caso Tortora. No, non è così. Chi scrive che è, e non lo nasconde, un simpatizzante di Pannella e dei Radicali, bollerà di infamia a vita il politico Cosentino. Ma il cittadino Cosentino è un’altra cosa. Il cittadino Cosentino soggetto di diritto ha, appunto, il diritto di essere indagato, di essere processato, anche di essere incarcerato, ma dentro una visione valutativa logica, rigorosamente collegata all’applicazione dei codici e delle leggi, non certo per effetto di valutazioni pregiudiziali, di estensioni iper-discrezionali degli elementi costitutivi delle esigenze cautelari. E allora, non possiamo non considerare la presa di posizione del parlamentare uscente e, naturalmente, non rientrante (i radicali sono rimasti fuori dal Parlamento perché questa è un’italietta) Maurizio Turco un fatto serissimo. Se, infatti, uno come Turco che ha nutrito forti dubbi sino a giuridica arrestabilità di Nicola Cosentino, sin dai tempi dei voti parlamentari, oggi, sabato, fa capire, di fronte al parere negativo, fornito dal Pm della Dda Antonello Ardituro, che l’arresto di Cosentino viene considerato una sorta di punto d’onore, un’accusa molto complessa, ampia, articolata, sfaccettata, che nelle aule giudiziarie non è stato ancora dimostrato, allora, almeno agli occhi del sottoscritto, che dell’onestà materiale e intellettuale dei radicali ha una considerazione sacrale, la vicenda giudiziaria di Cosentino assume un altro significato. Per il momento ci fermiamo qui, ma questo nei prossimi giorni sarà un argomento su cui ritorneremo, perché il peggior politico del mondo, il politico che magari ha avuto effettivamente la simpatia e l’appoggio della camorra non può andare in galera se le motivazioni cautelari che dovrebbero essere di per se eccezionali non sono granitiche e in questo caso trattandosi di misure ormai datate, questa graniticità non c’è, almeno che il tratto della referenzialità rispetto agli interessi del clan, posto alla base del suo diniego dal Pm Ardituro, non diventi un elemento cautelare quando invece siamo chiaramente di fronte a un elemento processuale. Ah, ‘sti Pm prestano il fianco sul piano della considerazione e del rispetto del diritto. Poi non si possono lamentare che il Cavaliere prende i voti parlando male di loro. Di seguito il testo integrale della nota di Maurizio Turco “Con tutto il rispetto dovuto ai Pm di tutto il mondo non ho mai avuto dubbio alcuno, mai, che Nicola Cosentino sarebbe finito in galera. Se così non fosse stato non sarebbero state comprensibili né la prima e né la seconda richiesta di arresto e non va esclusa la terza, già scritta nella seconda. Infatti, quando si profetizza per Cosentino la carica di “referente politico nazionale dei casalesi” solo se va in carcere la profezia si avvera. D’altronde se un Pm ritiene che hai un potere relazionale e che sei in grado di utilizzarlo a favore della camorra non puoi che finire in galera. Penso che quando ci sarà il tempo di leggere le carte ci stupiremo di come si sia potuto accettare tutto questo. Il caso Cosentino è un caso da iscrivere nel libro nero della giustizia italiana”. Giustizia: i periti del Gup; Bernardo Provenzano non è capace di partecipare ai processi La Sicilia, 5 marzo 2013 Bernardo Provenzano non è in grado di partecipare consapevolmente ai processi. È questo il responso dei periti Renato Ariatti e Andrea Stracciari incaricati dal gup di Palermo, Piergiorgio Morosini, davanti al quale si sta celebrando l’udienza preliminare sulla trattativa Stato - mafia, di accertare le condizioni mentali del capomafia. La perizia è stata depositata ieri e il giudice, in conseguenza degli accertamenti dei due esperti, dovrebbe sospendere il procedimento a carico del boss di Corleone. Ariatti e Stracciari avevano già espresso, il mese scorso, dubbi sulle capacità mentali di Provenzano, malato di Parkinson e sottoposto, il 14 dicembre 2012, ad un intervento chirurgico al cervello per l’asportazione di un ematoma intracranico provocato da una caduta nella cella del carcere di Parma dove si trovava sottoposto al regime del 41 bis. Il referto aveva indotto il gup a stralciare la sua posizione da quella degli altri undici indagati, disponendo nuovi accertamenti. Il quadro clinico del capomafia sarebbe precipitato. I periti lo hanno incontrato il 28 febbraio nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Non solo non sono riusciti a sottoporlo al “mental test”, ma Provenzano non risponde neppure agli stimoli esterni né esegue ordini elementari. “Sulla base dell’esito della perizia e dei referti ospedalieri - annuncia l’avvocato Rosalba di Gregorio, legale di fiducia dell’anziano padrino - chiederò la sospensione dell’esecuzione della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare per Bernardo Provenzano”. Il 21 febbraio, visto che i periti avevano rilevato a carico del boss un “declino cognitivo patologico”, il difensore aveva chiesto la revoca del 41 bis. “Presenterò la nuova istanza - annuncia dopo il deposito della perizia - a meno che il magistrato di sorveglianza di Parma o il tribunale di sorveglianza di Bologna non decidano d’ufficio che le condizioni di Provenzano sono incompatibili con il carcere”. Lettere: un “padre di famiglia” scrive agli “uomini ombra” www.carmelomusumeci.com, 5 marzo 2013 Cari Uomini Ombra, sono un padre di famiglia che si avvicina alla cinquantina, sono artista e uomo di scienza, come lo sono molti nella mia famiglia da ormai qualche generazione. Da bambino mio nonno mi diceva: “Da giovane speravo di poter vivere così a lungo da poter vedere realizzate quelle che pensavo fossero grandi conquiste per l’umanità come volare, e ancor di piu andare sulla luna, anche se allora era impossibile. Nel corso della mia vita ho visto realizzarsi queste cose per cui ritengo che l’umanità si sia in qualche modo evoluta”. Io personalmente spero di poter vivere così a lungo da vedere l’abolizione dell’ergastolo (e poi anche del carcere) da parte di una grande nazione organizzata (credo infatti che forse gli unici popoli che non concepiscono l’orrore del carcere appartengono a civiltà tribali). Questo ritengo che sarebbe un grande passo evolutivo per l’umanità, che non è paragonabile ad alcuna delle tecnologie finora raggiunte dall’uomo. Ho sempre amato la vita e la libertà anche se da quando ho conosciuto da voi via e - mail la vera storia degli ergastolani un po’ più da vicino, è come se una parte di me avesse perso la libertà e sia stata murata insieme a voi. Sento che non potrò mai essere completamente libero finché esisteranno certi tipi di “punizioni”. È come se provassi una sorta di vergogna interiore per il fatto di appartenere ad una società in grado di concepire questa grande assurdità, quella degli uomini ombra e del carcere in quanto istituzione. Vi ringrazio per avermi fatto vergognare e riflettere su certe ingiustizie e di avermi dato la possibilità di ostacolarle firmando contro l’ergastolo. Vi prego assolutamente di non gettare la spugna e continuare sempre (nei limiti del possibile) a portare avanti la vostra lotta affinché l’umanità possa evolvere e finalmente definirsi tale. Poiché credo che la maggior parte delle notizie siano “pilotate” non leggo giornali e non guardo la tv. Da questo ne deduco che se siete arrivati fino a me vuol dire che siete riusciti (nonostante tutto) a fare le cose giuste per far breccia nella dilagante ipocrisia ed acquistare così potere ed importanza anche agli occhi della gente. Forza, lottate e ne uscirete! Non sprecate un briciolo del tempo che avete (anche se può sembrarvi tanto): forza e coraggio! ... siete a buon punto ... e se avete deciso di lottare vuol dire che neanche con la condanna a vita sono riusciti a togliervi fino in fondo la speranza... dunque non lasciatela mai! Vi penso sempre, e come padre di famiglia (che spera di lasciare ai propri figli un mondo migliore), non posso non pensare anche ai vostri cari che sono costretti a sopportare con voi questo grande peso. Vi mando a tutti un po’ di energia e di conforto per aiutarvi a sopportarlo... un abbraccio forte a tutti voi. Luca Lettere: rogo Città della Scienza di Napoli; “da detenuto a Nisida ho lavorato lì…” Il Mattino, 5 marzo 2013 Mi chiamo Vincenzo e ho 17 anni. L’anno scorso ero detenuto a Nisida, un giorno il direttore mi ha chiesto se ero disponibile a fare volontariato a Città della scienza, risposi che non l’avevo mai vista ma accettai subito. Appena arrivai vidi una struttura molto grande e pensai: “ca aggia fa nu cuofn e fatic!!” e poi entrai. Era bellissimo, c’era molta gente, molte scuole elementari e anche medie che seguivano la guida. C’erano tanti strumenti per fare esperimenti, che poi io ho fatto tutti, dal primo all’ultimo. Quando iniziai a conoscere altri volontari e altri ragazzi che lavoravano lì, iniziai a sentirmi a mio agio se qualcuno mi chiedeva di fare qualcosa stavo subito a disposizione: davo il mangiare alle formiche, alle tartarughe dall’altra parte della strada, ho avuto l’onore di far funzionare il planetario ed è stato bellissimo. Ho usato anche vari strumenti di Futuro remoto, ho messo a posto vari animali imbalsamati, mi ricordo più di tutti l’aquila che era grande e bellissima. Un giorno mi hanno dato il permesso di vedermi un film in quattro D che era divertentissimo. A volte mi mettevo a dare una mano a un ragazzo che staccava i biglietti d’ingresso alle scuole. Stando lì sentito, ho visto tanti ragazzi che visitavano Città della scienza da liberi e con gli amici o i genitori “insomm’ er tutt nata cos”. Ora sono in prova e sono tornato a casa , vado in un centro territoriale per adulti e spero di prendere la licenza media. Stamattina quando ho saputo la notizia ho pensato: che peccato!! Ann appicciat tutt’ cos. Spero che la ricostruiscono in fretta e più bella di prima! Vincenzo Nuoro: Ass. Giovani in Cammino senza fondi, falegnameria del carcere rischia chiusura La Repubblica, 5 marzo 2013 L’Associazione Giovani in Cammino Onlus, aderente all’Arci Solidarietà ha da tempo intrapreso un complesso e delicato lavoro per favorire il recupero sociale dei detenuti ristretti nella Casa di Reclusione di Nuoro e di Mamone, che si trova nella provincia. A gestire il tutto è una suora, che però ora da sola non ce la fa più, anche perché i tagli del governo centrale stanno vanificando ogni sforzo L’Associazione Giovani in Cammino Onlus - aderente all’Arci Solidarietà - da oltre dieci anni accoglie nelle proprie strutture persone che beneficiano di permessi premio, misure alternative alla detenzione o misure cautelari, consentendo così ai beneficiari di evitare la carcerazione e gli effetti negativi che questa comporta, in un sistema carcerario oppresso dal sovraffollamento e capace di garantire solo condizioni di vita disumane. Il servizio è sempre stato fornito agli ospiti gratuitamente, grazie anche ai contributi dei volontari e dei donatori che hanno sostenuto e sostengono la Comunità, apprezzandone lo spirito e le finalità rieducative. Il Centro, interamente ristrutturato grazie anche alla collaborazione e al lavoro degli ospiti che negli anni vi hanno dimorato, è affidato alle Suore Vincenziane ed è diretto da Suor Maddalena Fois. La falegnameria. All’interno delle strutture, a disposizione dell’Associazione, anni or sono è stata realizzata una falegnameria, grazie al contributo della Regione Sardegna, che ha consentito agli ospiti di poter apprendere un nuovo mestiere. Nella falegnameria il lavoro è stato organizzato e gestito da un artigiano assunto di volta in volta, grazie ad un finanziamento ottenuto dalla Camera di Commercio di Sassari. I tagli alle risorse operati dal Governo centrale impediscono oggi alla Comunità di ottenere ulteriori finanziamenti pubblici, per cui allo stato la struttura non è in grado di assumere un artigiano che possa far funzionare la falegnameria e quindi far lavorare i 5 ospiti che attualmente beneficiano delle misure alternative alla detenzione. Non solo, ma la stessa Comunità ha bisogno di affiancare alla responsabile della struttura, ormai ultra settantenne, almeno un altro operatore ed un educatore che possano seguire il cammino degli ospiti e dare una mano a Suor Maddalena nel lavoro rieducativo dei detenuti, con dei costi pari a circa 80.000 euro complessivi, che l’Associazione non è in grado di sostenere anche tenuto conto che i contributi dei benefattori vanno giorno per giorno assottigliandosi in conseguenza della generale crisi economica. Come aiutare. L’Associazione rischia di cessare definitivamente la propria attività, con grave pregiudizio per i detenuti che rischiano di dover ritornare in cella, nonostante la loro condotta abbia consentito loro di beneficiare di misure detentive alternative. Al fine di evitare queste conseguenze, suor Maddalena ha fatto un appello a chiunque voglia aiutare l’Associazione Giovani in Cammino Onlus sul c/c bancario n. 62585, con le coordinate bancarie: IT47R0760117200001009684117. Modena: Sindacati PolPen; apertura nuovo padiglione aggrava i problemi del carcere Gazzetta di Modena, 5 marzo 2013 Oggi pomeriggio alle ore 16 è stato inaugurato il nuovo padiglione del carcere di S. Anna e nell’occasione è stato possibile per le autorità cittadine visitare la nuova struttura. Il nuovo padiglione ospita 200 detenuti, oltre ai 425 già detenuti negli altri reparti, per un totale di 213 agenti di polizia penitenziaria complessivamente impiegati. Il nuovo padiglione potrebbe apparire come un contributo alla risoluzione dei numerosi problemi di chi è impegnato quotidianamente per vigilare sulla popolazione detenuta. Purtroppo non è così. I sindacati Fp-Cgil, Cisl-Fp, Uil-Pa, Osapp, Cnpp e Sinappe, nonostante avessero salutato con soddisfazione l’assegnazione di nuovi agenti per rendere operativo il nuovo padiglione, oggi devono purtroppo prendere atto che i numeri del personale di sorveglianza sono cambiati a causa dei trasferimenti di personale assegnati ad altre destinazioni. Dovevano essere 223 agenti e sono invece 213 ! Inoltre, il nuovo padiglione sarà soggetto ad una nuova forma di vigilanza detta “dinamica” che prevede il controllo a distanza dei detenuti anche attraverso sistemi di video sorveglianza. La sorveglianza dinamica viene avviata sperimentalmente a Sant’Anna, primo carcere in Emilia Romagna e fra i pochi istituti sul territorio nazionale. Una scelta questa che non è stata condivisa dai rappresentanti dei lavoratori della polizia penitenziaria, e che in occasione di due recenti incontri con la Direzione hanno avuto modo di rappresentare i limiti e la pericolosità di questa nuova metodologia, in quanto le telecamere non consentono lo stesso controllo che può essere fatto dai poliziotti. Lavoratori e sindacati ritengono che questa scelta abbia come unico scopo la giustificazione della riduzione di organico. Per di più, in caso di atti violenti o di qualsiasi situazione critica all’interno del padiglione, non è prevista alcuna forma di tutela giuridica per i poliziotti che quindi saranno chiamati a rispondere in proprio sugli eventi, anche delittuosi, che si potranno verificare. È difficile per i sindacalisti trovare una giustificazione a tale sordità, se non la volontà di ascoltare coloro che dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria antepongono strane logiche di risparmio, senza considerare il parere di chi ogni giorno è in prima linea per assicurare la sicurezza all’interno del carcere, venendo anche meno all’impegno di modificare le norme del codice penale che tutelano gli agenti di polizia penitenziaria a fronte della sperimentazione di questo nuovo tipo di vigilanza. I sindacati della polizia penitenziaria Fp-Cgil, Cisl-Fp, Uil-Pa, Osapp, Cnpp e Sinappe non accettano l’imposizione di introdurre questo tipo di vigilanza progettata da chi non conosce i problemi che esistono all’interno degli istituti penitenziari, abbandonando al proprio destino chi ogni giorno è esposto in prima persona al rischio, visto che il nuovo padiglione al momento della sua inaugurazione già presenta numerosi problemi strutturali. I sindacati non accettano le scelte imposte dalla Direzione della casa circondariale S. Anna che si presentano come una offesa ai lavoratori, nonostante fosse stata assicurata la massima attenzione alle loro osservazioni, il che determinerà inevitabili azioni di protesta. Ivrea (To): il Garante dei detenuti, riferimento per tutte le persone private della libertà La Sentinella, 5 marzo 2013 Sostenere i carcerati nel percorso di riconquista della fiducia nella legalità e nel futuro, per non condannarli a ricadere nello stesso errore. È questo l’obiettivo principale che si prefigge Armando Michelizza, nominato dal Consiglio comunale di Ivrea garante dei diritti dei detenuti: “Un nuovo utensile in un’assortita cassetta d’attrezzi”, è la metafora utilizzata da Michelizza, già consigliere comunale ed assessore della giunta Maggia con un’esperienza ultraventennale del mondo carcerario, per presentarsi alla città venerdì scorso nella Sala Dorata del municipio. Un contesto difficile quello in cui il neo garante dovrà operare, affrontando quotidianamente i disagi di chi è privato della libertà personale e le problematiche di chi vi lavora: “Ricordo il ruolo degli agenti di custodia - ha sottolineato Michelizza - che svolgono uno dei lavori più pesanti del nostro Paese. Il mio impegno sarà quello di contribuire alla risoluzione dei problemi e di offrire la mia collaborazione con chi opera in questa complessa realtà. Da quando il carcere di Ivrea è stato aperto, nel 1980, c’è sempre stata una forte collaborazione con la società civile e le istituzioni cittadine”. Sulla stessa linea l’intervento di Assuntina Di Rienzo, direttore della casa circondariale di Ivrea dal 28 marzo 2012: “Credo sia fondamentale far capire ai detenuti, che la figura del garante non deve essere vista come nemica della direzione. Ritengo funzionale al buon andamento dell’istituto trovare un punto d’incontro, così come già avviene con i volontari che operano nella struttura. È importante la predisposizione al dialogo e al confronto”. L’assessore Paolo Dallan ha precisato come la disponibilità manifestata da Di Rienzo abbia facilitato la nomina del difensore dei diritti dei detenuti: “L’amministrazione comunale - ha dichiarato Dallan - si è impegnata davanti all’assemblea consiliare a sostenere il garante in un compito delicato”. Molti i problemi delle carceri, a partire dal sovraffollamento che obbliga i detenuti a vivere in condizioni disagiate. “Abbiamo accolto con favore l’iniziativa di istituire una figura di riferimento - ha affermato Maurizio Perinetti, presidente del consiglio comunale di Ivrea - perché il carcere è sempre stato un argomento un po’ dimenticato. Questa nomina si colloca nell’ottica di far comprendere ai cittadini che la struttura carceraria è parte della nostra comunità. L’impegno deve concentrarsi soprattutto sugli interventi per reinserire nella società dei detenuti che hanno scontato la pena”. Santa Maria Capua Vetere (Ce): la Chiesa Evangelica nelle carceri accanto ai detenuti www.casertanews.it, 5 marzo 2013 Scontare la pena con il conforto della fede, nell’ottica della riabilitazione per il reinserimento nella società; è quello che fa quasi tutti i giorni la Chiesa Evangelica di S. Maria C.V. nelle carceri della zona. Ieri, come ormai è di consueto la corale della Chiesa Evangelica capeggiata dal pastore Cesare Turco, ha sfoggiata cantici e musica in due riunioni di culto evangelico tenutosi davanti a decine di detenuti e agenti penitenziari dell’alta sicurezza rinchiusi in vari reparti del carcere sammaritano che per l’occorrenza si sono riuniti per ascoltare e partecipare al Culto evangelico. Nell’occasione alcuni detenuti hanno testimoniato come il Vangelo abbia cambiato la loro vita e come quest’esperienza a reso sopportabile la propria detenzione creando serenità nel loro cuore e in quello delle loro famiglie. Durante il corso della riunione, i pastori Francesco Lugubre e Giuliano Guarnieri, che erano intervenuto per occasione, si sono alternati predicando il messaggio biblico risaltando l’importanza della Signoria di Cristo nel cure dell’uomo, che a cambia pensieri sentimenti e comportamenti di quanti glielo permettono. La direzione del carcere sammaritano è molto aperta alle innovazioni progettuale che hanno il fine di contribuire esclusivamente al reinserimento del detenuto nella società civile. Il Pastore Cesare Turco ribadisce che, chi ha commesso un crimine è condannato a scontare la propria pena con la privazione della libertà, e non la perdita della dignità. Come essere umani, abbiamo il dovere di trovare il “proprio spazio” per esercitare la carità, il comandamento dell’Amore. Cristo dice: “Ero carcerato e sei venuto a visitarmi” (Mt. 25,36), chiedendo così di essere incontrato nei carcerati, come in tante altre persone toccate dalle varie forme della sofferenza umana “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”(Mt. 25,40); (da notare che Gesù non mette in risalto né la colpa, né la condanna perché la dignità del carcerato supera sempre la sua colpa), spazio privilegiato per esercitare la carità e il comandamento dell’Amore è: il carcere. E questo non perché i carcerati meritino più degli altri o siano migliori degli altri (secondo una concezione romantica che ogni tanto ritorna), ma perché sono più bisognosi degli altri. I carcerati sono una categoria di persone misconosciuta, incompresa, travolta dal proprio destino, che non ha portavoce perché suscita più scandalo che compassione. Eppure vuole riscattarsi e sporge le braccia dalle sbarre in richiesta di aiuto. Le sbarre sono legali, il compito della chiesa non è quello di infrangere, fare uscire, ma è quello di andare - gli altri - dietro le sbarre e annunciargli il messaggio biblico che nella sua globalità, se viene ricevuto nel cuore, produce sentimenti divini. Il pastore Turco considera i carcerati pecore che languono fra le spine, ed afferma con determinazione che, è lecito lasciare il resto del gregge, che non rischia allo stesso modo. Credo, afferma il pastore, che c’è un modo di sporgere le braccia da dietro le sbarre che è estraneo alla richiesta umile e consapevole, fa capo a una situazione oggettiva di miseria e abbrutimento. Essa è di per se sufficiente ad attrarre la simpatia e l’intervento degli altri, perché rappresenta una detrazione della dignità umana e reclama una compensazione. La consapevolezza del carcere, l’impegno per il carcere è più che mai una testimonianza cristiana e merita il suo spazio di carità. Le parole del Signore, afferma il pastore Turco, “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi” (Mt. 25, 36), possono sorprenderci, perfino colpirci, ma non possono lasciarci indifferenti: andare a trovare, aiutare un carcerato significa andare a trovare, aiutare Cristo. Cristo, e solo Cristo, è il motivo che spiega la presenza di Ministri del Culto Evangelico e assistenti volontari spirituali, che, sul Suo esempio, si fanno prossimo al detenuto che lo richiede, e lo accompagnano per tutto il periodo della sua detenzione. Il pastore Turco ribadisce che, non bisogna dimenticare che la legge prevede che in ogni istituto di pena sia garantita al detenuto l’assistenza religiosa e la libertà di professare la propria fede, di istruirsi in essa e di praticarne il culto. L’azione della Chiesa evangelica ADI, ha una radice e una meta ben precisa: la persona di Gesù Cristo. Solo da Cristo viene il motivo per cui andiamo verso gli uomini, e non ad altri se non a Gesù, vengono indirizzate le persone che incontriamo nella nostra attività evangelica. Non possiamo non ammettere che, il tempo libero in carcere è una condanna. L’ozio fa a pugni con la rieducazione. Da qui l’importanza del lavoro, delle attività formative, ricreative, culturali che vengono svolte dagli educatori, assistenti sociali e assistenti volontari e che riempiono l’ozio dei detenuti. Queste associazione esterna all’azione rieducativa, che insieme ad altre finalità, riveste un’importanza sostanziale nell’interpretazione della pena detentiva, che a parer mio ribadisce Turco, per quando sono vitali, non potranno né loro né alcuna cosa di natura umana raggiungere lo scopo della riabilitazione, saranno efficace nell’accompagnare il detenuto tenendolo occupato nel corso della sua detenzione con delle giuste iniziative progettuali che si programmano, ma come ho affermato altrove, solo la Bibbia quando entra nel cuore dell’uomo, questa, cambia radicalmente. Il Pastore Turco afferma che, favorire il reinserimento sociale delle persone detenute, seguendole e accompagnandole durante l’espiazione della pena, nella delicata fase di transizione da modelli comportamentali delinquenziali all’adesione ai corretti modelli della civile convivenza, è l’obiettivo della Chiesa Cristiana Evangelica Assemblee di Dio in Italia di S. Maria Capua Vetere (Ce). Il Pastore Turco, da molti anni ormai, incontra decine di detenuti e detenute che richiedono assistenza spirituale evangelica nei carceri di Poggioreale,. Secondigliano e principalmente in quello sammaritano. Da qualche mese l’opera evangelica del pastore Turco è iniziata anche nel carcere militare di S.M.C.V. La chiesa Evangelica di S.M.C.V. crede molto in questo lavoro, infatti in questi ultimi anni, tanti sono usciti dalla ragnatele della delinquenza, tornado miracolosamente ai principi della sana moralità. In vista di questi buoni risultati ottenuti solo per mezzo della potenza della predicazione dell’Evangelo, la chiesa Evangelica di S.M.C.V, ha dato vita ad una associazione onlus la Gmc (gruppo missionario carcerario) per favorire il reinserimento nella società dei reclusi. Attualmente la GMC onlus, opera nell’ambito delle famiglie dei reclusi sopperendo secondo i propri mezzi alle esigenze primarie di queste. Il Pastore Cesare Turco attualmente impartisce corsi di teologia e formazione biblica nel penitenziario sammaritano. Negli ultimi anni in questo carcere, grazia a Dio anche alla buona gestione della direzione, la Chiesa Cristiana Evangelica A.D.I. di S. Maria C.V., promuove la giustizia conciliativa incentrata sulla responsabilità e sulla relazione, che mira a ricomporre le fratture, a rinsaldare i rapporti sociali feriti, a far re incontrare le volontà di convivenza. I nostri Assistenti volontari spirituali, sono tutti coloro, uomini e donne, che in forza della loro esperienza evangelica, scelgono di prestare il loro servizio, in maniera disinteressata e gratuita, e che ispirati al comandamento evangelico, cooperano nelle attività di sostegno morale e principalmente spirituale del detenuto e delle loro famiglie, operando in piena intesa con le Direzioni delle carceri, programmano e realizzano una serie di iniziative a sfondo spirituale, culturale, formativo, per tutti i detenuti che lo desiderano. Con l’iniziativa “spirituale” si intende, permettere allo Spirito Santo, di ripristinare nei detenuti che lo richiedono, quei valori morali che il peccato ha portato via. Per questo invito con estrema urgenza i dirigenti delle carceri italiani a prendere visione di quando detto e di non intrecciare il lavoro degli assistenti spirituali di associazione Cristiani, quando più il lavoro assistenziale dei ministri del Culto Evangelico, affinché questi possono nella piana autonomia garantire il buon risultato che già da anni si sta ottenendo. Frosinone: Progetto “Rugby insieme per aiutare tutti”, sabato una sfida al penitenziario Dire, 5 marzo 2013 Il Ladispoli rugby incontra i Bisonti del carcere di Frosinone. L’iniziativa è inserita nel “Progetto rugby insieme per aiutare tutti”, organizzato dal Ladispoli rugby in collaborazione con il carcere di massima sicurezza di Frosinone e con il patrocinio del Comune di Ladispoli. “L’obiettivo del Progetto rugby - ha detto il consigliere comunale e delegato allo Sport, Fabio Ciampa - è quello di formare i ragazzi attraverso questo sport, duro ma leale. Uno sport per il quale la vittoria consiste nel collaborare e soffrire insieme sul campo rispettando l’avversario, le regole e i propri compagni d’avventura. Quando la direttrice del carcere di massima sicurezza di Frosinone, Luisa Pesante, che da anni ha intrapreso la strada del rugby, in collaborazione con l’allenatore Fir, Leonardo Di Luia, ha proposto al Ladispoli rugby un mini torneo all’interno del penitenziario siamo stati veramente lieti di aver potuto dare il nostro patrocinio”. Il torneo si svolgerà sabato dalle 8 alle 13, sarà a squadre con mischie e touché no contest, ovvero senza scontro diretto. I match saranno di 20 minuti e vi prenderanno parte alcune squadre di serie C (Celtic Irish di Ceccano, Terracina, Formia, Ladispoli rugby). Prevista anche la presenta dell’Aquila rugby, che milita in serie A, con cui i migliori giocatori del torneo si potranno confrontare in una partita dimostrativa. Immigrazione: Cir; crea caos la fine dell’emergenza Nord Africa per i rifugiati Redattore Sociale, 5 marzo 2013 Il Consiglio italiano per i rifugiati: “Mettendo insieme tutti quelli che potranno contare sull’accoglienza, si arriva alla quasi totalità dei presenti. Rimangono fuori solo coloro che hanno accettato i 500 euro e ora si sentono ingannati” “Chi non è andato via dai centri di accoglienza dell’Emergenza Nord Africa potrà rimanere per almeno 6 mesi. Questo in parole povere appare il succo della circolare del Ministero dell’Interno sulla chiusura dell’Emergenza Umanitaria del Nord Africa datata 1 marzo, ma resa nota solo oggi. Quindi, diversamente dall’annuncio precedente della chiusura al 28 febbraio, questo sembra essere un sostanziale ripensamento”. Ad affermarlo è una nota del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir). Che precisa: “Non viene detto così chiaramente nel documento del ministero dell’Interno, ma facendo una conta che metta insieme i 7.400 profughi ancora in attesa di essere sentiti dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale; i circa 1.100 profughi appartenenti a gruppi vulnerabili; le famiglie con bambini; un numero stimato di 1.300 persone in attesa di ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari e infine quelli che - e dovrebbero essere pressoché la totalità - attendono il rilascio del titolo di viaggio, si arriva alla popolazione quasi complessiva dei profughi che risultavano a febbraio ancora in accoglienza. E per queste categorie l’accoglienza viene prolungata dalla circolare. Si deve togliere a questi - aggiunge il Cir - il numero di quelli che con la buonuscita di 500 euro a persona, o in attesa di tale pagamento, sono andati via dai centri in questi giorni e che magari adesso si sentono ingannati considerando che quest’ultimo provvedimento del ministero dell’Interno è arrivato solo successivamente alla loro partenza”. Il Cir, dunque, si dichiara “soddisfatto che le famiglie, i disabili e anziani, le donne in stato di gravidanza e le vittime di tortura e violenza grave possano ancora essere assistiti dallo Stato”. Tuttavia ritiene che “questa circolare possa creare una situazione caotica, che d’altronde si sta già verificando in alcune città, a causa della tardività delle disposizioni e della eterogeneità del trattamento nelle diverse province e regioni. La circolare parlando della prosecuzione dell’accoglienza indica l’individuazione di apposite soluzioni che al momento non appaiono però fattibili considerando che nel sistema Sprar non risultano posti disponibili”. Dichiara Christopher Hein, direttore del Cir: “L’esperienza della gestione della cosiddetta Emergenza Nord Africa deve essere la base per un ripensamento radicale del sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Si deve superare l’approccio emergenziale, si deve costruire un coordinamento centrale e garantire uno standard uniforme e dignitoso in tutto il territorio nazionale. Altrimenti si rischia di sperperare fondi pubblici e danneggiare, anziché appoggiare, il percorso di integrazione”. Avvocato di strada: “per migliaia di richiedenti asilo si spalancano le porte della strada” Poco più di due anni fa, il 12 febbraio 2011, l’Italia dichiarava lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale per l’eccezionale afflusso di cittadini provenienti dalla Tunisia e dalla Libia. Nei giorni scorsi, a due anni di distanza, il Governo ha dichiarato ufficialmente conclusa la cosiddetta “Emergenza nord Africa”. Le strutture (agritusmi e alberghi, rifugi di fortuna, centri d’accoglienza) che ospitavano i richiedenti asilo in tutta Italia sono state chiuse, ma i problemi non finiscono d’incanto. “Il percorso dell’Emergenza Nord Africa - sottolinea Antonio Mumolo - presidente dell’Associazione Avvocato di strada - è stato tortuoso: è cominciato con l’accoglienza fredda delle comunità locali che si vedevano “smistare” sul proprio territorio persone giunte a Lampedusa mesi prima, è continuato con gli scandali documentati dalla stampa sulla gestione dei fondi erogati per l’accoglienza ed è culminato con la decisione di riconoscere, dopo la valanga di dinieghi di asilo, la possibilità di un riesame e quindi, per tutti i richiedenti asilo che già avevano ricevuto diniego, il salvacondotto di un permesso umanitario di un anno di durata”. “In questi due anni i volontari di Avvocato di strada hanno lavorato per aiutare tanti richiedenti asilo, in molti casi ragazzi giovani, colpevoli unicamente di essere scappati da un paese in guerra alla ricerca di un futuro. L’associazione ha curato numerosi ricorsi avverso il diniego di protezione internazionale e ha avviato percorsi di accompagnamento e preparazione all’audizione in Commissione Territoriale per il riconoscimento del diritto d’asilo. Con la chiusura delle strutture, - afferma Mumolo - tutte queste persone sono abbandonate a se stesse. Riceveranno 500 € come buonuscita ma non potendo essere accolti da progetti specifici, e non potendo essere seguiti dai servizi sociali locali, saranno moltissimi quelli che finiranno in strada perché l’accoglienza non li ha accompagnati verso percorsi di autonomia sociale e lavorativa.” “Anche in questa occasione l’Italia ha dimostrato di non saper gestire un fenomeno delicatissimo come quello della migrazione forzata a causa di conflitti internazionali, se non con strumenti emergenziali e di corto respiro. Con tutte le altre associazioni che in Italia si sono occupate dell’emergenza nord Africa chiediamo una riforma organica del sistema d’asilo che individui norme e prassi durevoli e non emergenziali. Nessuna politica di accoglienza può funzionare - conclude Mumolo - se non c’è un impianto legislativo adeguato, una direzione organizzativa unica e una condivisione di buone pratiche che, benché poche, esistono anche in questo Paese”. Avvocato di strada Onlus Immigrazione: Garante detenuti Desi Bruno; Cie inutili e dannosi, è tempo di chiuderli Dire, 5 marzo 2013 “Ho chiesto, ancora con più forza negli ultimi mesi, che il Centro di identificazione e di espulsione di Bologna fosse chiuso. Ma nei sessanta giorni che dovrebbero servire per i lavori necessari a ripristinare strutture e ambienti, occorre ripensare quello che fino a oggi è stato fatto con le trattenute e i trattenuti, rinchiusi senza aver commesso un reato all’interno di un posto che da tutti è considerato peggio di un carcere”. Dopo il sollievo per la tanto richiesta chiusura del Cie, non si ammorbidisce la posizione della Garante regionale per le persone private della libertà personale, Desi Bruno. Appena dieci giorni fa, la Garante aveva scritto al Prefetto, all’Asl e al sindaco Merola per denunciare che, dopo un mese dall’ultima visita, le condizioni di degrado in cui sono costretti a vivere i trattenuti erano rimaste immutate: “Magazzini vuoti mentre si cammina in ciabatte nella neve, coperte lasciate per mesi senza ricambio, assenza di biancheria intima, finestre rattoppate con cartone, cibo scadente, servizi igienici rotti, casi di scabbia, tossicodipendenti, persone affette da Hiv. Impossibile stupirsi quando, per protestare contro il trattenimento, un uomo e una donna si sono cuciti le labbra con fili tirati via da maglie e pezzetti di ferro acuminati”. Sono tuttora presenti nel Centro di via Mattei 25 donne e 28 uomini, come ha potuto constatare il personale dell’ufficio del Garante nell’ultimo accesso di lunedì scorso. La chiusura, seppure temporanea, “costituisce una buona notizia”, ma adesso - ribadisce la Garante - “bisogna ripensare l’intero sistema anche in attesa che a livello comunitario si trovi la strada per chiedere agli Stati più garanzie nei confronti dei cittadini stranieri da rimpatriare”. La gravità della situazione è stata ripetutamente e costantemente monitorata dallo sportello di informazione giuridica attivato all’interno del Cie dalla Garante e dal Difensore civico; in alcuni casi, l’intervento del servizio ha consentito il rilascio di persone che non potevano essere trattenute. All’interno del Cie non ci sono attività di volontariato tra i trattenuti. Corsi di italiano, attività sportive, piccole occasioni di lavoro, importanti soprattutto quando la permanenza può durare, di fatto, in alcuni casi anche un anno. La mancanza di servizi alle persone è legata anche alla scelta effettuata negli ultimi mesi di affidare la gestione del Centro secondo parametri al massimo ribasso, che certamente consentono di risparmiare, ma a danno della dignità delle persone. La Garante segnala, inoltre, come i decreti di espulsione che trovano compimento rappresentino solo la metà di quelli che dovrebbero essere effettuati, il calo progressivo delle presenze pone con sempre maggiore insistenza l’interrogativo sul significato di queste strutture nelle quali, con proroghe reiterate, la detenzione si può protrarre fino al limite dei 18 mesi, e spesso senza che alcuna identificazione si compia. “Inutili per le identificazioni e inefficaci per le espulsioni, i Cie sono solo macchine che producono insicurezza, tensioni, inumane condizioni di vita per le persone che vi sono ristrette, tagli traumatici dei legami familiari”, conclude la Garante. La stessa allerta viene lanciata per il Cie di Modena, che l’8 marzo la Garante tornerà a visitare, accogliendo l’appello lanciato pubblicamente dalla Cgil, in rappresentanza dei lavoratori da quattro mesi senza stipendio, e dal sindaco Pighi. Arabia Saudita: domani 7 esecuzioni, condannato lancia ultimo appello La Presse, 5 marzo 2013 Un appello a fermare la pena capitale a cui sarà sottoposto domani con altri sei sauditi. È quello lanciato da Nasser al - Qahtani, che è riuscito a parlare con Associated Press grazie a un telefono cellulare trafficato di nascosto nel carcere di Abha General, dove è detenuto. L’uomo è stato arrestato come membro di una rete di 23 persone che hanno partecipato a furti in gioiellerie tra il 2004 e il 2005. Al-Qahtani spiega di aver dovuto confessare sotto tortura e di non aver avuto accesso agli avvocati. Il principale imputato, Sarhan al-Mashayeh, sarà crocifisso per tre giorni, mentre gli altri saranno uccisi dal plotone di esecuzione. “Non ho ucciso nessuno. Non avevo armi mentre ho compiuto il furto, ma la polizia mi ha torturato, mi ha picchiato e ha minacciato di attaccare mia madre per costringerla a dire che avevo delle armi con me, mentre io avevo solo 15 anni. Non merito la pena di morte”, dichiara il giovane. Gruppi per i diritti umani hanno chiesto alle autorità saudite di fermare le esecuzioni. Al-Qahtani, che oggi ha 24 anni, sostiene che gran parte della rete di cui faceva parte era composta da minorenni al momento dei furti. Il gruppo è stato arrestato nel 2006. Sette sono stati condannati a morte nel 2009. Sabato re Abdullah ha ratificato la pena e li ha inviati nel carcere di Abha, nella provincia sudoccidentale di Asir. Le autorità hanno fissato domani come giorno per le esecuzioni. Negli otto anni di detenzione, Al-Qahtani ha visto tre volte il giudice, ma quest’ultimo, spiega, non gli ha assegnato un avvocato e non ha ascoltato i suoi racconti, quando diceva di essere stato torturato. “Gli abbiamo mostrato i segni delle torture e dei pestaggi, ma non ci ha ascoltato”, ha continuato il giovane. Repubblica Ceca: l’Alta Corte ha approvato la contestata amnistia presidenziale Tm News, 5 marzo 2013 La Corte costituzionale della Repubblica ceca ha annunciato che non si occuperà della controversa amnistia alla base, da ieri, della richiesta di una procedura di impeachment nei confronti di Vaclav Klaus. Il presidente ora in scadenza di mandato l’ha infatti concessa a inizio anno, scatenando un polverone perché considerata una misure non solo “svuota - carceri”, ma anche “salva-corrotti”. Il provvedimento di clemenza presidenziale, grazie al quale sono stati rimessi in libertà quasi settemila detenuti, era stato parzialmente impugnato da un gruppo di senatori, relativamente alla parte che ha cancellato una serie di procedimenti penali (in corso da più di otto anni) nei confronti di personaggi del business, manager di stato e funzionari della pubblica amministrazione coinvolti in casi di corruzione e malversazione. Ad annunciarlo è stato oggi il segretario generale della Corte costituzionale, Ivo Pospisil, il quale ha spiegato che i motivi di questa decisione saranno resi pubblici prossimamente. L’amnistia di Klaus, il cui mandato finisce il 7 marzo, rimane così pienamente valida.