Giustizia: “ammazzare” la recidiva? con il lavoro si può... un progetto in Veneto di Gabriella Meroni Vita, 3 marzo 2013 In Veneto un progetto promosso da tre Caritas ha permesso di avviare al lavoro decine di ex detenuti e di abbassare il tasso di recidiva dal 70 all’8%. Facendo risparmiare allo Stato 2.500 euro al mese per carcerato. Cosa può far diminuire il tasso di recidiva dei detenuti italiani dal 70% “normale” a uno straordinario 8%? A Vicenza hanno la risposta: il lavoro. O meglio, un progetto che traccia percorsi alternativi al carcere e di recupero sociale delle persone detenute attraverso il lavoro. È il Progetto Esodo, iniziato nel 2011 (non solo nel Vicentino ma anche nelle diocesi di Verona e Belluno) grazie a un finanziamento della Fondazione Cariverona di 1,8 milioni nel 2011 e di 1,56 milioni nel 2012 e portato avanti dalle Caritas diocesane di Vicenza, Verona e Belluno sulla scia del progetto-pilota Lembo del Mantello, attivo ormai da otto anni a Vicenza. Compito delle tre Caritas diocesane, nel dettaglio, è gestire a livello provinciale il progetto e sviluppare il coordinamento tra le diverse realtà in campo, superando la frammentazione. Nel concreto il Progetto promuove azioni per il recupero delle persone detenute, maschi e femmine, nelle tre province, muovendosi su quattro assi: quello dell’inclusione sociale e abitativa per chi sta finendo di scontare i propri debiti con la giustizia, il reinserimento nel mondo del lavoro, la formazionee il sostegno alla persona. La rete di cui si compone il progetto è vasta: oltre alle Caritas, ci sono il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per il Triveneto, le Direzioni e le équipe trattamentali dei tre istituti penitenziari, l’Uepe (Uffici di Esecuzione Penale Esterna), la Magistratura di Sorveglianza, i Garanti per i detenuti, i Servizi sociali degli enti locali territoriali, gli uffici competenti delle Questure, le cooperative sociali, le associazioni di volontariato, le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali. Ma ecco i numeri del progetto. Le persone prese in carico nelle tre provincie sono state 391 nel 2011 e 372 fino al 30 settembre 2012, di cui l’88% uomini e il 58% stranieri. Nelle tre province fino a settembre 2012 sono stati effettuati 17 corsi di formazione che hanno coinvolto 128 persone con l’attivazione di 204 percorsi formativi; quanto ai risultati, si sono conclusi positivamente l’82% dei percorsi (il 91% a Vicenza). Quanto al sostegno della persona, a fine settembre i percorsi erano complessivamente 178 (114 di questi a Vicenza), la maggior parte dei quali individuali e condotti in carcere. Gli inserimenti lavorativi (laboratori occupazionali, tirocini e l’avvio di contratti di lavoro veri e propri) sono stati 134 nei primi nove mesi del 2012, il 63% dei quali tirocini; il Progetto nel suo insieme al 30 settembre 2012 ha portato alla conclusione di 50 percorsi occupazionali. Altrettanto lusinghieri i risultati ottenuti dal Lembo del Mantello della Caritas Vicentina, il progetto pilota all’interno del Progetto Esodo attivo dal maggio 2005 che ha accolto da allora 110 persone, il 72% delle quali ha chiuso i proprio percorso di vita da detenuto. I dati più interessanti riguardano la violazione delle prescrizioni durante il percorso: essa ha riguardato solo il 3% dei casi, l’evasione un altro 3%. E per quel che riguarda la recidiva, a due anni dalla fine della pena era tornato a delinquere solo l’8% delle persone che hanno beneficiato di Esodo. Sei i progetti avviati nel vicentino: uno gestito da Engim Veneto nell’area della Formazione, due gestiti da Diakonia e Iride Onlus nell’area dell’inclusione sociale, quattro gestiti rispettivamente da Nova Terra Onlus,Consorzio Prisma, Cooperativa Sociale San Bernardo e Cooperativa sociale Saldo&Mecc nell’area del lavoro. Carta vincente dell’iniziativa è anche quella del risparmio economico: ogni detenuto recluso in Italia infatti nel 2012 è costato 3.511 euroal mese, mentre il costo mensile di una persona seguita dal Progetto Esodo è stato di 900 euro al mese. Giustizia: Dap; al 28 febbraio oltre 10mila i detenuti affidati in prova e 9.700 quelli ai domiciliari Adnkronos, 3 marzo 2013 Ha superato quota 10mila il numero dei detenuti che usufruiscono dell’affidamento in prova: al 28 febbraio sono infatti 10.381, mentre sono 9.708 quelli in detenzione domiciliare, dei quali 2.865 per effetto della legge 199 del 2010, che prevede la possibilità di scontare ai domiciliari una pena non superiore ai 12 mesi, anche se residuale di una più lunga, limite poi portat0 a 18 mesi dal decreto “salva carceri” del ministro della Giustizia, Paola Severino. Sono gli ultimi dati relativi alle misure alternative al carcere forniti dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Quanto a misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e altre misure, riferisce il Dap, i detenuti in libertà vigilata sono 2.924, tra semidetenzione e libertà controllata 179, e 3.426 usufruiscono di altre misure , quali lavoro di pubblica utilità, sospensione condizionale della pena, lavoro all’esterno e assistenza all’esterno di figli minori. Giustizia: polemiche su rapina a Roma; ucciso bandito ex Br, un altro era in permesso-premio Il Messaggero, 3 marzo 2013 Giorgio Frau morto nel conflitto a fuoco con le guardie giurate, presi due rapinatori: uno dei banditi era in permesso premio. La sparatoria in mezzo ai passanti in via Carlo Alberto, in pieno centro. La Questura rafforza i servizi di controllo. Pensavano di fare una rapina come tante altre ma qualcosa non è andato per il verso giusto. Il vigilantes ha tentato di fermarli, sono partiti dei colpi di arma da fuoco. È finito nel sangue l’assalto a un portavalori in via Carlo Alberto 6, zona piazza Vittorio, poco prima dell’una. Il bilancio è drammatico: un rapinatore morto e una guardia giurata ferita da tre colpi di pistola alla gamba e al braccio. Il rapinatore ucciso è Giorgio Frau, ex brigatista rosso. Cinquantasei anni, romano, da ragazzo vicino a Lotta Continua, Frau era noto alle forze dell’ordine per i suoi diversi precedenti. Frau era tornato in libertà nel 1998 per terrorismo e riarrestato a Perugia per una rapina nel 2003. L’uomo, di 56 anni, era ritenuto dagli inquirenti appartenente alla “vecchia guardia” delle Brigate Rosse e risulta legato all’Unione Comuniste Combattenti. Presi gli altri due rapinatori. Due rapinatori, arrivati con uno scooter e fuggiti, sono stati presi dai carabinieri e condotti in via In Selci. Si tratta di Massimo Nicoletti, di 34 anni, e Claudio Corradetti, 41. Anche loro già inquisiti in passato per “fatti politici”. Corradetti era in permesso premio e stava scontando una pena di 20 anni: era detenuto nel carcere di Sulmona ed era fuori per un permesso premio. In passato era stato legato ad ambienti dell’estrema destra. Severino avvia le verifiche. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha avviato, tramite l’Ispettorato, accertamenti preliminari in merito alle decisioni assunte dai magistrati di sorveglianza del Tribunale dell’Aquila che hanno portato alla concessione di un permesso premio per Corradetti. Il guardasigilli ha chiesto di conoscere le motivazioni di tali decisioni. Ministro Severino: ok permessi-premio, caso Roma eccezione (Ansa) “L’esperienza dei permessi premio ai detenuti è positiva. Il caso di Roma è una eccezione. Quando un episodio di questo genere accade, la tendenza potrebbe essere quella di generalizzare. Ecco, io non vorrei che questo accadesse, anche nel rispetto dei tanti detenuti che, usciti in permesso premio, sono rientrati”. Lo dice il ministro della Giustizia Paola Severino al Gr1Rai a proposito dell’ assalto al portavalori, ieri a Roma, compiuto da due rapinatori, uno dei quali è morto e l’altro è un detenuto del carcere di Sulmona fuori per un permesso premio. “La mia valutazione intanto passa per un dato numerico - osserva il ministro. Stiamo parlando di un caso, gravissimo, di un altro caso gravissimo di due anni fa, nel frattempo noi abbiamo una media di circa mille permessi premio l’anno. Questa delimitazione ci consente di dire che in tutti gli altri casi il permesso premio ha funzionato ed è una misura molto importante perché è la misura con la quale si saggia, in qualche modo, la capacità del detenuto di rimanere fuori e di adempiere ad una sorta di patto di onore, che è quello di ritornare volontariamente in carcere. Dunque io non posso che dare una valutazione positiva dell’istituto”. Sul fatto di ieri il ministro spiega: ‘Ho disposto l’acquisizione degli atti che hanno portato al permesso premio. Ho fatto questo perché credo che sia un dovere preciso del Ministro della Giustizia cercare di capire e che, dopo aver capito, lo spieghi alla gente comune che si trova spaventata e spaesata di fronte a questo fenomeno. Poi si vedrà, a seconda degli esiti, se ci siano altre iniziative da prendere”. Di Giovan Paolo (Forum Sanità Penitenziaria): non depotenziare permessi premio (Ansa) “Tante persone hanno usufruito dei permessi premio e questo è stato uno strumento per il recupero di molti. Chi generalizza, come Cirielli, farebbe bene invece a chiedere più misure alternative e più fondi per il sistema carcerario”. Lo afferma Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “I magistrati di sorveglianza vanno aiutati nel loro lavoro quotidiano anche con più strumenti - continua Di Giovan Paolo - E questo può avvenire col contributo della politica che nella prossima legislatura dovrà affrontare il tema delle pene alternative. Come dovrà affrontare il tema degli Opg che dovrebbero chiudere il 31 marzo, un tempo impossibile vista la situazione odierna. Mi auguro - conclude - che l’attuale governo abbia ancora possibilità di intervenire”. Cirielli: (Fdi): rivedere sistema permessi premio (Agi) “È necessario rivedere le norme sull’ordinamento penitenziario e, in particolare, il sistema dei permessi premio e di altri benefici ai detenuti, perché capita spesso che molti, pur avendo commesso reati gravi, vengano messi in libertà anticipatamente a vario titolo”. Lo dichiara Edmondo Cirielli, deputato di “Fratelli d’Italia-Centrodestra nazionale”, in riferimento all’assalto al portavalori avvenuto ieri a Roma. “A ciò - continua - si aggiunge l’urgenza di affrontare l’emergenza del sovraffollamento delle carceri che, certamente, non si può pensare di risolvere non punendo i plurirecidivi e facendo pagare questa inefficienza dello Stato ai cittadini che non commettono reati e subiscono, invece, indulti, amnistie, permessi, licenze e altre diavolerie che consentono ai criminali di non scontare la pena in carcere. Benefici che svuotano soltanto le strutture ma che, di fatto, non tutelano la società e non rieducano i detenuti”. “Occorre, invece, - conclude Cirielli - rivedere il sistema della custodia cautelare, far scontare le pene agli stranieri nei loro paesi d’origine e prevedere finalmente il lavoro in carcere. Nel frattempo, è necessario sbloccare il turn over per rinforzare gli organici e dare nuove energie anche alle Forze dell’Ordine”. Maccari (Coisp): troppi criminali tornano a delinquere indisturbati (Adnkronos) “Criminali fuori dal carcere in permesso premio e terroristi a spasso, tutti liberi di continuare a delinquere, e poliziotti rinchiusi in carcere per eccesso colposo. Questa è l’Italia. Il destino ha voluto drammaticamente darci ragione in quello che diciamo, urliamo da settimane”. Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia, commenta così “la giornata di terrore che si è vissuta ieri a Roma, a causa della rapina al portavalori”. “Ciò che si è verificato ieri non è certamente una novità - prosegue il Segretario del Coisp - Quotidianamente ci troviamo di fronte a gente che continua quasi indisturbata a delinquere pur essendo già finita nelle maglie delle forze di Polizia e della Giustizia. Tante, troppe volte ci imbattiamo in nostre vecchie conoscenze fuori per i più disparati motivi, i cavilli, i ritardi, le beghe burocratiche, e così via”. Eppure, rileva Maccari in una nota “si tratta di criminali che hanno scelto deliberatamente e lucidamente di delinquere, e che di norma non nutrono la minima remora a continuare a farlo, né il minimo senso di colpa”. Giustizia: a mano armata, ma per i soldi facili… la “seconda vita” degli ex terroristi di Fabrizio Ravelli La Repubblica, 3 marzo 2013 Di sicuro Giorgio Frau l’aveva messo nel conto di finire così, crivellato di colpi sull’asfalto davanti a una banca, pistola in mano. In fondo, quello era il suo mestiere da almeno 25 anni. Rapinatore, come tanti che hanno seguito la sua stessa strada. Dalle rapine per autofinanziamento della lotta armata, alle rapine per consentirsi una seconda vita di soldi abbondanti, oppure - banalmente - perché quello sapevano fare bene, e un altro lavoro non l’avevano trovato o non l’avevano voluto. Gli archivi di polizia e carabinieri sono pieni di storie analoghe, fra lotta armata e malavita. E il primo arresto di Frau risale al 1986, dopo una rapina in banca a Barcellona. Fino a un pò di anni fa, ogni volta che un ex-detenuto per terrorismo di sinistra o di destra tornava in galera per atti di criminalità scattava il sospetto che fosse ricominciato l’autofinanziamento delle loro formazioni di provenienza. Poi s’è visto che, per lo più, erano tutte storie frutto della galera, del disadattamento, di una facile inclinazione a vivere del proprio mestiere acquisito. Spesso, in compagnia di ex-nemici politici con i quali una volta ci si sarebbe scannati: ieri per la rapina in cui è morto Frau hanno arrestato Claudio Corradetti, ex neofascista, ultrà romanista, che scontava una condanna a vent’anni nel carcere di Sulmona ed era in permesso premio. La politica non c’entra più, roba del passato. Contano i legami allacciati in galera, con quelli che come te hanno cominciato saltando il bancone da ragazzi, che conoscono le armi, che sanno dove trovarle. Giorgio Panizzari, exNap (nuclei di azione proletaria) è un altro che si specializzò in rapine. Quando lo presero per un colpo a Tor Lupara, con lui arrestarono Dario Pedretti, un ex Nar, formazione armata neofascista. Tutti e due in semilibertà: dormivanoa Rebibbia,e di giorno lavoravano alla cooperativa informatica Abaco. Un lavoro, quindi, ce l’avevano, e nelle carceri italiane non è certo facile trovarlo. Ma il gusto di prendersi dei quattrini armi alla mano era più forte. Quel giorno i più sbalorditi furono i colleghi della cooperativa. Casi come questo, poi, sono una pugnalata alle spalle per chi si danna l’anima a creare lavoro per i detenuti. La Spagna è stata spesso scelta per queste seconde vite da rapinatori. Frau, appunto, nel 1986. Ma in Spagna morì pure, durante una rapina, l’ex-Prima Linea Lucio D’Auria, e quella volta venne arrestato il suo ex-compagno di lotta armata Francesco Gorla. Che cinque anni più tardi, maggio 1999, venne coinvolto nel sanguinoso assalto a un furgone portavalori a Milano, in via Imbonati, dove morì l’agente di Ps Vincenzo Raiola. E anche in quel gruppo c’era gente ex-Prima Linea. Sempre a Barcellona finì ucciso dalla polizia nel ‘93 durante una rapina Ermanno Faggiani, ex-brigatista che aveva partecipato al sequestro e all’omicidio del dirigente del Petrolchimico di Marghera Giuseppe Taliercio. Con Faggiani a Barcellona c’era Daniele Gatto, ex-Prima Linea, che venne arrestato. I due avevano fatto amicizia in carcere, e tre anni prima (1990) erano finiti dentro per una rapina commessa mentre erano al lavoro esterno. Una rapina particolarmente maldestra a un orefice, organizzata con le rispettive fidanzate (pure arrestate) rubando un’auto sotto casa e a viso scoperto. Li presero nel giro di poche ore. “Avevamo bisogno di soldi”, si giustificarono, e certamente era vero. Quando uno comincia a viversi come esperto malavitoso, è più facile pensare a un colpo come via d’uscita. Ma la galera ha prodotto anche storie di droga: osteggiata durante la guerriglia, conosciuta in cella dove abbonda, consumata e poi trafficata una volta fuori. Elfino Mortati, scontati 16 anni per l’omicidio di un notaio quando aveva 18 anni e stava nelle Brigate rosse, si legò a gente della ‘ndrangheta e finì a spacciare. Arrestato una volta nel 1998, e poi di nuovo nel 2004. Molti ex-neofascisti sono finiti nel giro del traffico di droga. Da Alessandro Danieletti (ex-Ordine Nuovo) a Emanuele Macchi di Cellere (ex-Mrp), preso durante un sequestro di 165 chili di cocaina a Genova. Qualcuno, a sinistra, è diventato corriere della coca dal Sudamerica. In qualche caso la deriva malavitosa degli ex-lottarmatisti ha perfino virato sul comico. Nel 1991 a Carrara vennero arrestati due ex-brigatisti. Liberi da tempo, lavoravano come muratori. E con un amico francese rubarono una fiamma ossidrica, che serviva per sistemare casa di uno di loro. A Milano, nel 2006, presero un ex Colp (Comitati per la liberazione proletaria) che lavorava come insegnante di matematica in un istituto tecnico di Cesano Boscone. Telefonò al direttore di un supermercato vicino a casa, presentandosi come “signor Rossi”. Dopo una dissertazione sui guasti del capitalismo, chiese l’incasso della giornata sostenendo che alcuni cibi in vendita erano stati contaminati con liquame dal “Comitato popolare contro le nuove povertà”. Poi sparì, ma si fece vivo un mese dopo chiedendo 30mila euro, con la stessa minaccia. Lo arrestarono in poche ore, nella sala professori del suo istituto, facendo in modo che gli altri insegnanti non se ne accorgessero. Giustizia: Sappe; un mese da chiusura Opg, ancora incertezze su dove andranno internati Adnkronos, 3 marzo 2013 “A meno di un mese dalla chiusura per legge degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari mi sembra vi siano ancora tante incertezze sul dove e come saranno successivamente custoditi gli oltre 1.050 malati di mente che sono oggi detenuti nelle strutture di Montelupo Fiorentino, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Napoli ed Aversa”. È quanto chiede, in una nota, Donato Capece, segretario generale del sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “L’Amministrazione Penitenziaria - prosegue il sindacalista - a guida Tamburino e Pagano, è colpevolmente silente su questo tema e si guarda bene dall’informare i sindacati anche sul futuro lavorativo dei poliziotti impegnati negli Opg. Ma è grave che non si sappia dove andranno a fine mese gli oltre mille responsabili di gravi reati oggi detenuti negli Opg. Se il percorso è lo stesso che, dall’oggi al domani, ha trasferito la sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale siamo preoccupati.’ “Troppo semplice dire chiudiamo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari - prosegue segretario generale del sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - E poi? Quel che serve sono strutture di reclusione con una progettualità tale da garantire l’assistenza ai malati e la sicurezza degli operatori. Non dimentichiamoci che tempo fa in Sicilia, nel VI Reparto dell’Ospedale Psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, un internato nigeriano in osservazione ha aggredito un nostro Ispettore di Polizia penitenziaria e gli ha staccato con un morso la falange della mano destra. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari hanno risentito nel tempo dei molti tagli ai loro bilanci. Ma colpevole è anche una diffusa e radicata indifferenza della politica verso questa grave specificità penitenziaria”. “Sarebbe occorso che i politici, a tutti i livelli, invece delle solite passerelle a cui si accompagnavano puntualmente anatemi e demagogie quanto estemporanee soluzioni, si fossero fatti carico del loro ruolo istituzionale, mettendo le strutture psichiatriche nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, poiché le condizioni disumane in cui versano gli O.P.G. sono il frutto di una voluta indifferenza della società civile, dei politici, ma soprattutto dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria. Cosa succederà dopo il 31 marzo agli internati ed ai poliziotti che lavorano negli Opg?’, conclude Capece. Giustizia: caso Aldrovandi; carcere anche per il quarto poliziotto, per 6 mesi pena residua www.estense.com, 3 marzo 2013 Anche Enzo Pontani entrerà in carcere per scontare i sei mesi di reclusione, residuo dell’indulto dei tre anni e mezzo comminati in cassazione per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Prima di lui, erano già entrati nelle case circondariali di Ferrara e Rovigo Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto, gli altri tre poliziotti allora in forza alla questura di Ferrara che il 25 settembre del 2005 ingaggiarono la violentissima colluttazione che portò alla morte il ragazzo. Pontani, la cui posizione lo scorso 23 gennaio era stata rinviata per un difetto di notifica, si era presentato lo scorso 26 febbraio davanti al tribunale di sorveglianza di Bologna accompagnato dagli avvocati Michela Vecchi e Giovanni Trombini per chiedere l’assegnazione ai lavori socialmente utili o in subordine ai domiciliari. In quell’occasione, all’uscita dal tribunale, una delegazione del sindacato Sap lo aveva applaudito pubblicamente in segno di solidarietà. L’avvocato Trombini ha appreso la notizia dai giornalisti nel tardo pomeriggio, non avendo ricevuto risposta in mattinata presso la cancelleria. “Viviamo in un paese molto curioso e particolare - commenta amareggiato - dove, con violazione dei diritti dei cittadini, ordinanze importanti per la stessa libertà di una persona non vengono comunicate al difensore negli orari di cancelleria e vengono invece apprese dagli avvocati lo stesso pomeriggio dai cronisti. Questa è una violazione di uno Stato democratico”. Trombini anticipa che, così come i suoi colleghi che assistono gli altri poliziotti, si appellerà a questo punto al decreto svuota-carceri, “ma con che esito non si sa”. “Faremo sicuramente appello allo svuota-carceri e anche ricorso per Cassazione contro questa ordinanza”, aggiunge l’avvocato Vecchi, anche lei “molto triste per questa decisione. Le decisioni dei magistrati vanno sempre accettate, ma in questo contesto è molto difficile”. L’avvocato confidava in un esito positivo, “visto che avevamo portato elementi nuovi all’attenzione dei giudici. Posso solo dire che per avvocati, giuristi e cittadini quali siamo è un ravvedimento molto, molto difficile da accettare”. Giustizia: periti Tribunale; boss Bernardo Provenzano in condizioni mentali gravissime Adnkronos, 3 marzo 2013 Le condizioni mentali del boss mafioso Bernardo Provenzano sarebbero “gravissime”. Lo hanno stabilito i periti nominati dai giudici per le udienze preliminari Piergiorgio Morosini nell’ambito del procedimento per la cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. Il capomafia è ricoverato nel carcere di Parma, dopo un intervento al cervello. Dopo lo stralcio della sua posizione dal processo, proprio a causa delle sue condizioni di salute, “i periti - come spiega il suo legale, Rosalba Di Gregorio - hanno accertato la sua totale incapacità, farfuglia e non articola le parole”. La prossima udienza è prevista per martedì prossimo, quando i periti depositeranno la perizia medica. A quel punto il gup Morosini dovrà stabilire se sospendere il procedimento a carico di Provenzano. Lettere: “quelle sì che erano carceri”… risponde Stefania Rossini L’Espresso, 3 marzo 2013 Cara Rossini, il 6 marzo del 1961 sono stato arrestato a Torino. Mi sono ribellato agli agenti. Mi è costata un’altra denuncia. Le accuse erano di falso di cambiali, furto in una gioielleria. Valore totale 250 mila lire. Portato al quinto braccio della Nuove, allora riservato ai minori di 25 anni. Finito più volte al buco, così era chiamata la cella di punizione, fui trasferito al carcere penale di Saluzzo. Per aver gettato un piatto di riso in faccia a un detenuto anziano che mi importunava, venni prima messo al buco, poi trasferito direttamente al carcere penale di Volterra dove la maggioranza dei detenuti erano ergastolani. Le celle del carcere erano circa metri 2,5 per 2, non c’era rubinetto dell’acqua, solo un bugliolo per i bisogni. Ho scontato sei anni e sono uscito nel 1967. Mi sono rifatto una vita e una famiglia. Ho fatto studiare i figli che oggi hanno ottime posizioni socioeconomiche. A quel tempo le carceri erano infintamente peggiori di oggi. Punizioni per un nonnulla. Non si poteva tenere l’orologio, tanto meno il fornello per cucinare. Bagno collettivo una volta ogni 15 giorni. Francamente sono perplesso di fronte a tanta retorica di giornali e tv sulle carceri. Non si finisce in carcere per caso. Ogni giorno parlamentari visitano carceri per farsi pubblicità. Se è vero che la dignità di un paese si vede dalle carceri, ancora più si vede dalle persone che in quelle carceri sono ristrette che dovrebbero avere rispetto per se stessi e pensare che hanno fatto del male a persone innocenti. Non giudico nessuno, a me la lezione è servita. Ho pagato interamente e duramente il mio debito verso la società. Questa è l’unica vera forma di redenzione. Il resto è cattiva retorica. La prego di omettere indirizzo e nome. Lettera firmata Ognuno ha il suo modo di redimersi, sempre che lo voglia. lei ha trovato il suo e ne va giustamente orgoglioso. ma forse è proprio questo orgoglio che le fa giudicare così severamente coloro che oggi sono in carcere: 69 mila persone stipate in 45 mila posti, accatastate in celle non più grandi di quella che toccò a lei, in un degrado ambientale e umano che è tra le prime cause dei continui suicidi. il Paese è cambiato negli ultimi cinquant’anni e con esso l’uso della carcerazione, non più punitiva fino alla tortura, però anche parcheggio per imputati in attesa il giudizio, il 40 per cento del totale, la metà dei quali verrà poi assolta. l’attenzione a questo dramma sociale, che a lei sembra retorica, è sempre troppo poca. con l’unica eccezione dei radicali, la cui denuncia incessante rischia di essere spenta dall’assenza di rappresentanza politica in cui oggi si trovano. Campania: Antigone; tre morti in un mese nella Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale Ristretti Orizzonti, 3 marzo 2013 Nel solo mese di Febbraio sono morti, per cause da appurare, tre detenuti nel carcere di Poggioreale, nel quale sono “ospiti” circa 2.781 unità su una capienza di 1.679 posti. Lo rende noto oggi Mario Barone, Presidente dell’Associazione Antigone-Campania. “L’1 Febbraio 2013 C.D., già ricoverato al Centro Clinico interno al Carcere di Poggioreale, è deceduto dopo un ricovero urgente al Loreto Mare. F.M. è morto il 6 Febbraio 2013 in Ospedale, dove era stato ricoverato dal 26 gennaio 2013. R.F. è deceduto a seguito di un malore in istituto il 16 febbraio 2013: il 118 ne ha constatato il decesso”. Questa la drammatica sequenza di morti secondo il portavoce dell’associazione. “È davvero un dato preoccupante” - ha detto Barone - “la sequenza di tre decessi per ragioni legate alla salute. Nei primi due casi, il ricovero in una struttura ospedaliera extra-muraria, avvenuta solo pochi giorni prima del decesso, solleva non pochi interrogativi sugli standard delle prestazioni sanitarie rese all’interno del carcere. Per quanto riguarda l’ultima morte improvvisa, ci chiediamo quali siano le procedure previste nei casi di emergenza e quali interventi di pronto soccorso si attivino in attesa dell’arrivo dei sanitari del 118”. “Nonostante siano passati cinque anni dal passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia alla competenza delle Asl” - continua Barone - “ad oggi, non abbiamo dati affidabili e certi sui quali effettuare un monitoraggio. Secondo le nostre stime oltre il 60% dei detenuti presenta una patologia cronica. La tutela della salute in carcere rimane una zona grigia dei diritti fondamentali del detenuti”. “Il nuovo Parlamento” - ha concluso il presidente campano di Antigone - “dovrà occuparsi, non solo delle drammatiche condizioni di sovraffollamento carcerario che hanno portato l’Italia ad essere condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, ma anche della tutela del diritto universale alla salute all’interno degli istituti di pena. Noi da subito segnaleremo questi decessi al Garante campano dei diritti dei detenuti e al Presidente della Commissione Sanità e Sicurezza sociale del Consiglio regionale perché se ne approfondiscano le cause e le dinamiche”. Basilicata: approvate Linee di indirizzo sulla sanità penitenziaria, per ridurre rischio autolesivo e di suicidio Adnkronos, 3 marzo 2013 La Giunta regionale della Basilicata ha approvato le linee di indirizzo sulla sanità penitenziaria con lo scopo di tutelare la salute dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale nelle carceri riducendo il rischio autolesivo e di suicidio. È stato così recepito l’accordo, approvato in Conferenza Unificata un anno fa, per la riorganizzazione della medicina penitenziaria affidando tutte le funzioni prima svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile al Servizio Sanitario Nazionale mentre le Regioni garantiscono l’espletamento delle funzioni trasferite attraverso le Aziende sanitarie locali. L’obiettivo è valutare e adottare procedure di accoglienza che consentono di attenuare gli effetti potenzialmente traumatici della privazione della libertà e mettere in campo interventi necessari per prevenire atti di autolesionismo. Firenze: troppi detenuti a Sollicciano, le decisioni spettano al Parlamento… che non c’è www.nove.firenze.it, 3 marzo 2013 Secondo il Garante dei detenuti per la Toscana, Margara non è realista pensare di superare rapidamente il problema con la costruzione di nuovi istituti o con l’amnistia, via non percorribile in sede parlamentare. In Consiglio regionale il punto della situazione, dai numeri ai progetti di riforma al ricorso alle misure alternative. Il sovraffollamento nelle carceri in Italia è ormai una grave emergenza. La situazione è a un livello che tale che una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per trattamenti contrari al senso di umanità e degradanti, equiparati a tortura, per le condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere nelle carceri italiane. Del problema, e delle soluzioni praticabili, si è parlato oggi in Consiglio regionale, in un convegno dal titolo “L’emergenza carceri - le pene e le misure cautelari detentive, la tutela della libertà e della dignità della persona, il diritto vigente e i progetti di riforma”. In apertura del convegno, organizzato dal Consiglio regionale e dalla Lidu (Lega internazionale per i diritti dell’uomo) toscana, è stato letto il messaggio di saluto del presidente della Regione Enrico Rossi, che ha ricordato che “il tema del sovraffollamento e di una riforma del sistema detentivo è attuale e necessario”. A presentare una relazione dai toni estremamente preoccupati è stato poi il garante dei detenuti per la Regione Toscana Alessandro Margara. In Toscana la situazione purtroppo, e i garanti che operano nella regione lo denunciano da tempo, non è molto migliore che nel resto del paese. Se a livello nazionale il sovraffollamento è nell’ordine di 20.000 detenuti in più rispetto ai posti effettivamente esistenti, a livello locale si scontano le conseguenze del fatto che ci sono istituti di pena inagibili o chiusi per ristrutturazione, o in condizioni pessime. Firenze Sollicciano ospita più di 1.000 persone a fronte di una capienza di 400. E, secondo Margara, il problema non è di facile soluzione. “La sentenza della Corte europea - ha spiegato il garante - vincola anche l’Italia a riparare al sovraffollamento nel giro di un anno. Devo dire che, in questo termine, la cosa non è possibile”. “Esiste, è vero, - ha proseguito Margara - un programma edilizio dell’Amministrazione penitenziaria, che ha avuto partenze, sempre rinviate, per mancanza di copertura finanziaria, che prevedeva aumenti di posti in carcere nell’ordine della metà del necessario. Evidentemente, conoscendo soprattutto i tempi di costruzione degli istituti, non è per questa via che si supererà il sovraffollamento. Né è per quella dell’amnistia e del condono, non percorribile in sede parlamentare, anche perché occorre una maggioranza qualificata dei due terzi”. Occorre dunque guardare anche ad altri percorsi, come hanno messo in rilievo i numerosi interventi del pomeriggio, a partire dalle misure alternative. Nell’introduzione ai lavori Marino Bianco del Foro di Firenze ha ricordato le denunce fatte nel 1904 da Filippo Turati e da Piero Calamandrei nel 1949, “denunce che raccontano situazioni di disumanità come quelle attuali. Niente è cambiato in oltre un secolo”. Si sono poi tenute le comunicazioni, coordinate dal presidente della Lidu Toscana Olinto Dini. Il giudice di sorveglianza di Livorno Silvia Sguerso vede “difficile un percorso per una più vasta applicazione delle misure alternative alla detenzione a causa dell’inerzia legislativa nazionale”. Il garante dei detenuti per il Comune di Firenze Franco Corleone si è domandato “perché, viste le condanne per violazione dei diritti umani comminate all’Italia per le condizioni di vita dei carcerati, nessun carcere sia stato chiuso e si chiudano invece luoghi in cui si costringono in gabbia gli animali!”. Infine, è intervenuto Michele Passione dell’Osservatorio carceri dell’Unione camere penali per auspicare che si affrontino “progetti concreti di riforma”. Varese: dal 2010 attesa per la nuova Casa circondariale, ma mancano i soldi per costruirla di Enrico Camanzi Il Giorno, 3 marzo 2013 Polemiche roventi dopo l’evasione di tre detenuti. Secondo il Comune il nuovo fabbricato potrebbe essere realizzato nell’area del rione Valle Olona. Tutti lo vogliono, ma nessuno sa se, dove e quando il “sogno” potrà realizzarsi. Resta caldo il clima intorno al carcere dei Miogni, la vecchia struttura risalente all’800 in centro-città da cui, qualche giorno fa, sono evasi tre detenuti romeni, ora tornati dietro le sbarre dopo essere stati arrestati o essersi costituiti. In seguito alla clamorosa fuga del terzetto di immigrati, scappati segando le sbarre alla finestra del bagno della loro cella e poi scavalcando il muro di cinta con l’aiuto di alcuni cassonetti, sono tornati d’attualità i progetti di realizzazione di un nuovo edificio che sembravano destinati a concretizzarsi nel 2010. Tre anni fa, infatti, Varese fu inserita in una lista di 24 città scelte dall’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano per comporre il piano-carceri. Addirittura venne elaborato un identikit per la futura casa circondariale: avrebbe dovuto essere “flessibile”, con una capienza massima di 450 persone e pronta entro il 2012. Oggi, un anno dopo il termine indicato dal governo nel documento, del nuovo carcere non è stato posato nemmeno un mattone. I Miogni non sono andati in pensione e, seppur incerottati, continuano a ospitare i detenuti in attesa di giudizio o condannati in via definitiva. Attualmente sono 112 le persone in cella, a fronte di una capienza massima consentita di 99. Dopo l’evasione dei tre romeni, nella struttura guidata dal direttore Gianfranco Mongelli, è scattata una sorta di consegna del silenzio. La dirigenza si è trovata in mezzo alle polemiche, nonostante non abbia alcun potere decisionale nella partita per la realizzazione di un nuovo edificio. “Si tratta di una questione molto delicata su cui l’amministrazione romana e il personale hanno posizioni ben chiare”, si limita a dire il numero uno del carcere, sul cui tavolo a gennaio è arrivata una relazione firmata dal comandante della Polizia penitenziaria Alessandro Croci densa di segnalazioni sulle lacune attuali, dai “buchi” nel sistema di sorveglianza video e nei dispositivi anti-scavalcamento fino agli spazi aperti scoperti. Eppure, fanno sapere dall’interno della casa circondariale a taccuini chiusi, la struttura oggi è in condizioni migliori rispetto al 2001, quando sulla Gazzetta Ufficiale fu pubblicato l’annuncio di dismissione dei Miogni. “Da allora - dice una voce interna alla Casa circondariale, dietro garanzia dell’anonimato - sono stati apportati molti miglioramenti. Certo, forse si è pensato troppo all’aspetto igienico e del “comfort” e poco a quello della sicurezza dalle evasioni, magari sostituendo le sbarre vecchie con quelle anti-seghetto”. Di certo le operazioni di restyling sono da considerare solo delle toppe, per quanto in qualche caso efficaci. Il vero nodo rimane quello della costruzione di un nuovo penitenziario. Destinato, almeno per il momento, a non essere sciolto. Palazzo Estense in questo momento di crisi economica ha altre priorità e si è limitato a individuare un’area nel rione Valle Olona come possibile sede del fabbricato anche perché, ha ripetuto in questi giorni il sindaco Fontana, “la questione è tutta in mano al ministero e al provveditore regionale per le opere pubbliche”. A Roma i piani su nuove carceri si sono arenati nel pantano della contesa fra i poli ed è difficile che in tempi brevi si possa sbloccare alcunché, figuriamoci i fondi necessari per il rimpiazzo del Miogni. Che, così, continuerà ad accogliere detenuti fra un rattoppo e l’altro. Intanto la procura di Varese prosegue nell’indagine sull’evasione. Gli uomini della squadra mobile stanno ancora cercando la compagna di Daniel Parpalia, uno dei tre fuggitivi. La donna avrebbe aiutato gli stranieri raccogliendoli fuori dal Miogni e portandoli fino al confine con la Svizzera in auto. È stato rinviato al 5 marzo, invece, l’interrogatorio di Marius Georgie Bunoro, il primo fra i romeni a tornare in carcere. La pm Annalisa Palomba avrebbe dovuto sentirlo ieri a Como durante un’udienza del processo per direttissima che, però, è stata rimandata. Catanzaro: Convegno Inmp sull’assistenza sanitaria del cittadino straniero in carcere di Luigi Palamara www.mnews.it, 3 marzo 2013 Nell’ambito del progetto “Salute senza barriere”, finanziato dal Fei (Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini dei Paesi Terzi), proposto dal Ministero dell’Interno e attuato da un partenariato composto da Ministero della Salute e Inmp (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà), si è tenuto a Catanzaro, nella Casa circondariale “Ugo Caridi”, uno dei seminari informativi previsti in dodici istituti di pena d’Italia, in collaborazione con le Asl di riferimento, sul diritto all’assistenza sanitaria del cittadino straniero e detenuto, sulla riforma della medicina penitenziaria e il funzionamento del Ssn. Il progetto, che mira a promuovere l’integrazione sanitaria dei cittadini dei Paesi Terzi, ospiti temporaneamente degli Istituti di pena, coinvolge anche il personale sanitario dell’ Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro che ha in carico la salute dei detenuti nelle Case circondariali di Catanzaro e Lamezia Terme e nell’Istituto penale per minori di Catanzaro. Per il Dott. Antonio Montuoro, che si occupa da due anni di Sanità penitenziaria nell’Asp di Catanzaro e che è stato uno dei relatori del seminario “la situazione della sanità negli istituti penitenziari è a macchia di leopardo, con punte evidenti di criticità, ma anche con realtà, e la Calabria è tra queste, nelle quali, seppure con difficoltà, si riesce ad assicurare buoni standard di assistenza. E se la sanità penitenziaria calabrese è nel suo complesso virtuosa il merito va ascritto a tutte le professionalità mediche e non che operano in questi istituti”. Con riferimenti più specifici, Montuoro ha sottolineato che il Direttore generale dell’Asp di Catanzaro, dott. Gerardo Mancuso, dimostrando “una sensibilità davvero non comune verso le problematiche della salute in carcere, il 6 maggio 2011, dopo un lavoro preparatorio, ha sottoscritto insieme ai dirigenti degli istituti penitenziari, il protocollo d’intesa tra l’Asp, le case circondariali di Catanzaro e Lamezia Terme e L’Istituto penale per minori di Catanzaro. Protocollo che definisce le forme di collaborazione tra l’Ordinamento Sanitario e l’Ordinamento Penitenziario della Giustizia Minorile per garantire la tutela della salute ed il recupero sociale dei detenuti, degli internati adulti e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale”. Per Montuoro “la professionalità degli operatori sanitari (medici incaricati, medici Sias - Servizio integrativo di assistenza sanitaria, medici di continuità assistenziale, infermieri, psicologi, ecc.) che lavorano nelle carceri, l’impegno, l’attenzione, la capacità d’ascolto delle persone affidate interamente alle loro cure, si sono rivelati fattori fondamentali per affrontare adeguatamente la domanda di salute in carcere”. Un altro punto di forza è rappresentato dalla specialistica ambulatoriale. Nella Casa Circondariale di Catanzaro dalle 136 ore settimanali del 2010 si è passati alle attuali 162 ore nelle varie branche specialistiche, mentre ben 8931 sono state le visite effettuate in sede intramuraria solo le prestazioni sanitarie non altrimenti eseguibili all’interno degli istituti sono state effettuate nelle varie strutture ospedaliere del territorio. Anche i Ser.T. di Catanzaro e Lamezia, pur con carenza di organico, come sottolinea Montuoro, “garantiscono la prevenzione, la cura e la riabilitazione degli stati di dipendenza patologica dei detenuti”. “Diversamente da altre realtà carcerarie - aggiunge Montuoro - negli istituti di pena dell’ASP di Catanzaro, negli ultimi anni, si sono verificati pochi casi di suicidio ed una bassa incidenza di atti di autolesionismo e tentativi di suicidarsi. Un risultato ottenuto certamente grazie all’alta professionalità e al lavoro di chi dirige e gestisce le nostre carceri”. Ricorda, poi, che “si deve alla proficua collaborazione tra operatori sanitari e operatori della giustizia minorile il progetto voluto dal Dipartimento Tutela della salute : “Percorso socio-sanitario per la tutela dei minori e dei giovani adulti sottoposti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria Minorile”, definito modello d’eccellenza dal Direttore Generale del Dipartimento Giustizia Minorile del Ministero”. Montuoro conclude dichiarando che “c’è ancora molto da fare, ci sono limiti da superare, tuttavia, in un momento di difficoltà e di tagli per la Sanità, l’Asp di Catanzaro ha dimostrato di “camminare “ per assicurare durante il periodo di detenzione nelle case circondariali il diritto alla salute, garantito costituzionalmente ad ogni cittadino della repubblica ed ai cittadini stranieri. Sassari: sei detenuti di San Sebastiano lavorano nel cantiere del nuovo carcere di Bancali La Nuova Sardegna, 3 marzo 2013 Le piogge della scorsa settimana avevano causato qualche problema, come pozzanghere che poi sono state velocemente asciugate. Ma nel cantiere di Bancali i lavori per realizzare il supercarcere di massima sicurezza procedono spediti. Tanto che in questi giorni sei detenuti di San Sebastiano, in permesso per poter lavorare all’esterno dell’istituto di via Roma, stanno sistemato i primi arredi. Portano brande e panche per preparare le stanze di detenzione, in attesa che vengano completati i collaudi e termini la fase di transizione, in cui l’opera è ancora tra il ministero delle Infrastrutture, che l’ha realizzato, e il ministero della Giustizia, cui è destinato. Donato Carlea, provveditore regionale alle Opere pubbliche - emanazione del dicastero di Passera - conferma che l’opera sarà consegnata, completa di collaudi di staticità, entro la prossima estate. E in queste due ultime settimane la futura direttrice, Patrizia Incollu (ora a San Sebastiano), il personale di polizia penitenziaria e altri funzionari sono andati per due volte al cantiere, per rendersi conto dello stato dell’arte. Su Bancali, ormai, è quasi una corsa contro il tempo. Perché con il problema dell’acqua a San Sebastiano, garante dei detenuti e direzione auspicano il trasferimento prima dell’estate, che potrebbe essere davvero rovente. A Bancali saranno ospitati un centinaio di mafiosi al 41bis e tra i 400 e 500 detenuti “ordinari”. Modena: “Liberiamo energie positive”, progetto del Csi per attività sportive con detenuti La Gazzetta di Modena, 3 marzo 2013 “Liberiamo energie positive” è il nome del progetto in carcere che il Csi di Modena attiva per la stagione 2013. Un’iniziativa che da anni conduce i volontari dell’associazione all’interno delle strutture detentive della città con lo scopo di proporre attività motorie e sportive guidate ai detenuti e che quest’anno si concentra sul carcere di Sant’Anna. Lo scopo del progetto Csi è quello di affermare abitudini salutistiche nella quotidianità carceraria tramite un’educazione corporea e motoria che incentivi l’uscita dal sedentarismo e la consapevolezza della salute psicofisica. “Da anni ci impegniamo per la valorizzazione nelle strutture carcerarie della dimensione ludica come opportunità di socialità e di allentamento delle tensioni prodotte dalla condizione detentiva - spiega Emanuela Carta, responsabile commissione volontariato del comitato provinciale Csi. Promuoviamo l’acquisizione di una cultura sportiva fondata sui valori della continuità di pratica dell’autodisciplina e dell’aggregazione. Tutto mirato al reinserimento nel tessuto associativo territoriale dei detenuti”. Il progetto, realizzato in collaborazione con Ausl Modena, verrà presentato dai volontari stessi ai detenuti la prossima settimana nelle giornate di mercoledì 6, giovedì 7 e venerdì 8 marzo, per poi continuare fino a luglio. Presso il nuovo padiglione della sezione maschile inizialmente verrà attivata un’attività di calcio a 5 e si organizzeranno tornei di calcetto e biliardino. Per la sessione femminile invece in serbo una grande novità, oltre alla più classica attività di pallavolo, un’insegnante di fitness e danza coinvolgerà una volta a settimana le detenute in una divertente lezione di zumba: “Un’attività che porterà all’interno del carcere una ventata di musica e vitalità e che spero riesca a coinvolgere il maggior numero di donne presenti all’interno del Sant’Anna, spero di trasmettere loro tutta l’energia che metto nel mio lavoro”, commenta l’insegnante argentina Carmen De Nichilo. Per informazioni: volontariato@csimodena.it. Ivrea (To): Armando Michelizza nominato Garante comunale dei diritti dei detenuti di Marco Campagnolo www.localport.it, 3 marzo 2013 Nominato nella seduta del Consiglio Comunale di gennaio, è ieri stato presentato dall’assessore eporediese alle politiche sociali Paolo Dallan il Garante dei Detenuti Armando Michelizza. Presente anche il direttore del carcere di Ivrea Assuntina Di Rienzo. Una figura, ha spiegato Dallan, quella del Garante dei Detenuti, previsto dalla normativa statale e regionale e che dovrebbe essere istituita in ogni città sede di una struttura penitenziaria. Dura in carica cinque anni ed è un lavoro praticamente volontario: “A Michelizza verrà riconosciuto - ha evidenziato l’assessore - un massimo di 300 euro di rimborso annuo, a fronte di spese documentate”. Sicura che la nomina del Garante possa avere degli effetti positivi si è detta il direttore del carcere, che ha però evidenziato subito alcuni paletti. “Vengo da un’esperienza positiva di collaborazione con il Garante al Lorusso Cotugno di Torino, dove ero vice direttore - ha evidenziato -. Ritengo che questa possa essere una figura molto utile nell’ambito della struttura. Perché ciò accada è però necessaria collaborazione e non contrapposizione. In un ambiente quale quello del carcere i detenuti sono pronti a strumentalizzare una eventuale, percepita, contrapposizione. E per evitarlo il modo migliore è parlarsi, dialogare, con lo scopo di risolvere gli eventuali problemi”. Su questo punto Michelizza, che arriva da un’esperienza di lavoro in carcere, si è subito detto d’accordo: “Il mio scopo è quello di essere uno strumento in più per arrivare a riconquistare alla legalità e alla società le persone che sono state condannate. Ritengo che per farlo occorra riconoscere loro un diritto alla speranza, alla speranza di potercela fare. E in questo non è ovviamente utile una contrapposizione con il personale carcerario. Comunque una cosa posso assicurarla: mi affascina di più risolvere i problemi, piuttosto che crearli: a crearli non ci vuole niente!”. Michelizza ha quindi spiegato che, anche in quanto ha lavorato nel carcere, sa bene come sia delicata la situazione tra quelle mura e come i ruoli siano importanti: “È purtroppo facile creare nuovi problemi quando invece si pensava solo di fare bene”. Il “benvenuto” a Michelizza è arrivato anche dal capo dell’area trattamentale del Carcere eporediese Giorgio Siri che, dopo aver ricordato che di Michelizza è anche stato collega, ha evidenziato come già nella struttura eporediese la collaborazione con i volontari sia consolidata e che quindi questa nuova esperienza con un Garante parte, comunque, da alcune basi consolidate. “L’importante è che oltre a segnalare i problemi, ci venga fornito anche un aiuto per trovare le soluzioni”. Tolmezzo (Ud): tentata evasione, revocata sospensione per agente sospettato di complicità Messaggero Veneto, 3 marzo 2013 È stata annullata la misura interdittiva che aveva portato alla sospensione per sei mesi dal servizio dell’agente penitenziario Enrico Moro, coinvolto nell’inchiesta sulla tentata evasione dal carcere carnico. Il tribunale del riesame di Trieste (presidente relatore Nicoli, a latere Vascotto e Antoni) ha scritto ben 36 pagine smontando quanto meno il castello accusatorio nei confronti di Moro, l’agente di 47 anni originario di Sutrio e residente ad Artegna. “Ammesso che nel carcere di Tolmezzo ci sia una mela marcia, perché anche su questo il tribunale ha posto dei dubbi - afferma l’avvocato Maurizio Plazzotta, difensore di Moro - di certo non stiamo parlando del mio cliente”. In altre parole, se nel carcere di Tolmezzo c’è un agente corrotto, questi non è Moro. Nelle sue motivazioni, il tribunale distrettuale del riesame ha ritenuto che le dichiarazioni di un detenuto che chiamavano in causa Moro fossero prive di attendibilità sia estrinseca che intrinseca. Quanto agli altri elementi dell’ipotesi accusatoria, i giudici di Trieste hanno ritenuto che nei riguardi dell’agente carnico gli indizi siano da considerare meri sospetti se non congetture. In altre parole, è stata rilevata l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Adesso Enrico Moro attenderà la revoca del provvedimento amministrativo (essendone caduto il presupposto) per tornare al lavoro al più presto. La misura interdittiva della sospensione dal servizio per sei mesi era stata disposta dal Gip del tribunale di Tolmezzo che aveva così deciso dopo che la procura aveva chiesto una misura cautelare restrittiva della libertà personale. Adesso - conferma il procuratore Giancarlo Buonocore - la stessa magistratura inquirente leggerà le motivazioni del riesame per decidere un eventuale ricorso per Cassazione contro la decisione di revoca della misura interdittiva. Enna: Sappe; agente aggredito nella Casa Circondariale di Piazza Armerina Agi, 3 marzo 2013 Un detenuto catanese, ristretto a Piazza Armerina, ha colpito violentemente un agente di Polizia penitenziaria dopo che questi gli aveva elevato rapporto disciplinare per il suo comportamento scorretto in carcere. Il poliziotto ha dovuto fare ricorso alle cure dei medici. L’episodio, avvenuto giovedì scorso, è stato reso noto da Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria. “Questa ennesima aggressione - denuncia il sindacalista - ci preoccupa, anche perchè gli eventi critici nelle carceri - aggressioni, atti di autolesionismo - sono purtroppo all’ordine del giorno e la tensione resta alta, a tutto discapito del nostro lavoro. La carenza di personale di Polizia penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento delle carceri italiane (oltre 66 mila detenuti in carceri che ne potrebbero ospitare 43 mila, con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite tenuto anche conto che più del 40% di chi è detenuto è in attesa di un giudizio definitivo) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. “Spesso, come a Piazza Armerina, il personale di Polizia penitenziaria - lamenta Capece - è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le tensioni in carcere crescono non più di giorno in giorno, ma di ora in ora: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture ed impedire l’implosione del sistema”. Reggio Emilia: regolamento di conti all’interno delle mura del carcere, detenuto 36enne condannato Gazzetta di Reggio, 3 marzo 2013 Un regolamento di conti all’interno delle mura del carcere è costato la condanna a un mese di reclusione per Youssef Fathi, un marocchino di 36 anni. I fatti risalgono al settembre del 2006. Tra l’uomo e alcuni connazionali chiusi in carcere alla Pulce con lui, era scattato un diverbio per futili motivi. Sembrava una discussione destinata a chiudersi, invece l’uomo si era vendicato e un giorno si era presentato nell’area comune armato di una lama. Con questo aveva aggredito i suoi rivali. L’aggressione era stata tempestivamente bloccata da altri detenuti e dall’immediato intervento da parte degli agenti di polizia penitenziaria. A carico dell’uomo, però, era scattata l’indagine con la conseguente denuncia per lesioni e minacce. Nelle varie udienze avevano testimoniato coloro che erano presenti al momento dell’aggressione. Ieri mattina, davanti al giudice Alessandra Cardarelli, Fathi è stato condannato a un mese di reclusione. Il pubblico ministro ne aveva chiesti due. Immigrazione: giuristi con l’Associazione “Razzismo Stop”. L’accusa? Assistere i rifugiati Il Mattino di Padova, 3 marzo 2013 “Conosciamo l’Associazione Razzismo Stop che si occupa da 15 anni di assistenza agli immigrati, offrendo loro a titolo gratuito assistenza materiale, legale, insegnamento della lingua italiana e dei fondamenti di informatica, e ospitalità. Sappiamo che oggi nella sede dell’Associazione sono ospitati, oltre ai cinque ghanesi agli arresti domiciliari, un’altra ventina di rifugiati e che nel corso degli anni molti altri, tra cui diverse famiglie con bambini, vi hanno trovato accoglienza, senza che questa esperienza abbia beneficiato di finanziamenti pubblici”. A scrivere sono 24 tra avvocati, magistrati e docenti, che continuano: “Le accuse mosse all’associazione per il fatto di ospitare i cinque profughi agli arresti domiciliari ci hanno lasciati sconcertati. È noto a tutti gli operatori del diritto che chi accoglie degli indagati-imputati sottoposti agli arresti domiciliari non è tenuto per legge ad alcuna attività di sorveglianza, tanto meno deve “fare le veci degli agenti penitenziari”, come abbiamo letto martedì nell’articolo de il mattino di Padova. E, tra l’altro, nessuno dei responsabili dell’Associazione è “pregiudicato”. Vien da chiedersi il senso di un attacco così pesante a chi offre disponibilità ad ospitare persone che hanno bisogno di tutto, stranieri fuggiti da conflitti bellici in terre di miseria; insomma, il senso di additare come scandalosa la situazione di un’associazione che per motivi umanitari e non di lucro cerca di rendere effettivi i principi costituzionali e internazionali del diritto all’asilo e la pratica dell’accoglienza carente anche a Padova”. “Vien da chiedersi che senso abbia questo attacco mentre le carceri scoppiano”, si legge nella lettera, “mentre ci sono magistrati che arrivano a proporre il differimento pena per mancanza di condizioni di detenzione dignitose, mentre si emanano i decreti “svuota-carceri” e l’Italia viene (giustamente) condannata per l’ignobile situazione degli Istituti di detenzione. Ci pare, al contrario, che questa manifestazione di impegno sociale non contrasti coi principi di diritto, ma ne consenta, invece, l’applicazione, in forza del provvedimento di un’Autorità Giudiziaria che ha ritenuto la misura degli arresti domiciliari sufficiente a garantire le esigenze cautelari nei confronti dei cinque rifugiati arrestati a seguito della protesta nata dall’esasperazione per mancanza di assistenza e di riconoscimento di diritti minimi. Tanta attenzione da parte di inquirenti, istituzioni, media dovrebbe invece essere rivolta alle tante violazioni dei diritti fondamentali a cui quotidianamente assistiamo”. Avv. Ugo Funghi, avv. Paolo Berti, avv. Annamaria Alborghetti, avv. Aurora d’Agostino, avv. Giulia Perin, avv. Carlo Cappellari, avv. Fabio Corvaja, avv. Carlo Covi, avv. Marina Infantolino, avv. Francesca Leurini, avv. Giovanna Berti, avv, Alessandro Capuzzo, avv. Ettore Squillace, avv. Stefania De Danieli, Avv. Daniela Boscolo Rizzo, avv. Martina Meneghello, avv. Giacomo Gianolla, avv. Giuseppe Romano (Treviso), avv. Gianluca Alifuoco (Vicenza), Giovanni Palombarini, magistrato; prof. Paolo De Stefani, prof. Giuseppe Mosconi, Francesca Vianello, prof. Umberto Curi; Antigone Veneto. Israele: morto secondo detenuto palestinese in carcere israeliano in Cisgiordania Tm News, 3 marzo 2013 Un secondo detenuto palestinese è morto ieri in un carcere israeliano in Cisgiordania. Ne dà notizia il sito di al Arabiya, aggiungendo che l’Anp ha lanciato una inchiesta su questo nuovo decesso. Secondo la famiglia, citata dall’emittente araba, Ayman Abu Sufian, 40 anni, era diabetico e prima di morire aveva la pressione alta. Abu Sufian era stato arrestato mercoledì dalle autorità israeliane. Il 23 febbraio era morto in un carcere israeliano un altro detenuto palestinese, Arafat Jaradat, 30 anni. Le cause del decesso, che ha innescato violente proteste in tutta la Cisgiordania, non sono state ancora accertate, ma anche per il Presidente palestinese Abu Mazen l’uomo è stato torturato. Migliaia di palestinesi manifestano in Cisgiordania da settimane per esprimere la loro solidarietà ad almeno 11 loro concittadini detenuti da Israele, da tempo in sciopero della fame per protestare contro la politica di detenzione di Israele. Arabia Saudita: 176 manifestanti arrestati, da mesi proteste per rilascio detenuti islamici Ansa, 3 marzo 2013 Prosegue in Arabia Saudita l’ondata di arresti di manifestanti, iniziata mesi fa, che chiedono il rilascio dei loro parenti prigionieri islamici detenuti a Buraida: 176 perone, tra cui 15 donne sono finite in manette ieri, come riferisce l’agenzia ufficiale del regno, Spa. Un portavoce della polizia ha detto che gli arresti sono avvenuti perché i manifestanti si sono rifiutati di mettere fine all’assembramento di fronte alla sede della procura di Buraida. In Arabia Saudita le forme pubbliche di protesta sono vietate, per cui la polizia è arrivata quasi immediatamente. I manifestanti sono accusati - ha spiegato il portavoce della polizia - di strumentalizzare i casi di persone accusate di crimini e attività legati a gruppi islamici estremisti vicini ad al Qaida per cercare di “provocare reazioni nell’opinione pubblica”. Dal settembre scorso, quasi quotidianamente, gruppetti di donne danno vita a sit-in davanti alle carceri per chiedere il rilascio dei loro famigliari detenuti, spesso non assistiti da un avvocato. Nella prigione di al-Malaz si trova Bahia al-Rashudi, figlia del 76enne riformista di primo piano Suliaman al-Rushudi, arrestato nel 2007 insieme ad altre 16 persone e condannato a 15 anni di carcere nel novembre 2011. Tra le accuse a carico della donna arresta durante una manifestazione ci sono: “infedeltà al re” e, soprattutto, l’aver fondato l’Associazione saudita per i diritti civili e politici. “Rashudi sta affrontando anche altre accuse, tutte derivanti dall’esercizio pacifico del suo diritto alla libertà di associazione” denuncia Human Rights Watch, che da tempo ne chiede l’immediato rilascio.