Giustizia: digiunare… per non morire di carcere di Matteo Wells Il Fatto Quotidiano, 26 marzo 2013 Una notizia che meriterebbe attenzione sono i cinque giorni di sciopero della fame che hanno indetto più di cento Radicali, da lunedì a venerdì di questa settimana. Perché questo nuovo Satyagraha? Sempre per lo stesso motivo: i diritti dei detenuti nelle carceri italiane continuano a essere violati con “trattamenti disumani e degradanti”. Emma Bonino, qualche tempo fa, ha definito le nostre prigioni una cloaca sociale, perché ci finiscono principalmente quegli esseri umani di cui lo Stato non sa e non vuole occuparsi. Immigrati e drogati. Sono lì e ci resteranno, quei reietti che la società della “brava gente” non vuole vedere in giro, anche se il 40% di loro è in attesa di giudizio. La neoeletta presidente della Camera Laura Boldrini l’ha richiamato in tv: di carcere si muore, nelle carceri ci si suicida. E non è giusto. Perché non c’è giustizia se lo Stato è il primo a essere ingiusto. Anche per questo i Radicali non mangiano. Ma i diritti, si sa, non fanno notizia. Né tantomeno i digiuni nonviolenti. Da noi si parla soltanto di chi si abbuffa o di chi i diritti li calpesta. Giustizia: sovraffollamento delle carceri al vaglio della Consulta di Matteo Mascia Rinascita, 26 marzo 2013 Un magistrato di sorveglianza chiede di differire la pena per evitare che questa sia incostituzionale. L’emergenza all’interno delle carceri italiane potrebbe presto portare ad una presa di posizione da parte della magistratura. Il contesto non permette di temporeggiare ulteriormente, l’ultima legislatura si è conclusa senza l’adozione di misure incisive, una lacuna che non ha permesso di contrastare il dramma del sovraffollamento o l’impennata nel numero di suicidi. Qualche giorno fa, il tribunale di sorveglianza di Venezia ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla possibilità di differire l’esecuzione della pena. Il ragionamento del magistrato è abbastanza semplice; una costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato l’inadeguatezza del nostro sistema di esecuzione. Continuare ad immettere detenuti nel circuito di detenzione non farebbe altro che peggiorare una situazione gravissima, serve quindi una pronuncia in grado di assurgere a monito per le toghe e per la politica. La Consulta finirà poi per pronunciarsi sulla costituzionalità delle attuali pene, non si può far finta di non sapere come nella stragrande maggioranza degli istituti di pena si sia lontanissimi dai vincoli imposti dalla legge fondamentale. I fini rieducativi sono meno di un orpello retorico anzi, nel futuro prossimo, il lavoro o i progetto di inclusione sociale subiranno ulteriori tagli. Giudici ed avvocati sanno benissimo di cosa stiamo parlando: in tantissime realtà risulta difficilissimo anche accedere alle cure mediche adeguate alla propria patologia. Malattie spesso da ricollegare ad una condizione di eccessiva promiscuità tra detenuti, un circolo vizioso indegno per un Paese che ha sempre rivendicato la propria civiltà giuridica. Sul tema è intervenuto anche Luigi Manconi, neosenatore del Pd da sempre attento alle problematiche della giustizia. “I tribunali di sorveglianza di Venezia e Monza si sono trovati a decidere su una richiesta presentata da due detenuti che chiedevano un differimento della pena per il grave sovraffollamento degli istituti a cui erano destinati, cosa che li avrebbe costretti a una detenzione crudele - ha specificato il politico sassarese. I due tribunali hanno sollevato una eccezione di costituzionalità a proposito dell’articolo 147 del codice penale che disciplina i casi in cui il differimento della pena può essere concesso. Si prospetta, infatti, che la pena possa essere differita anche quando le condizioni in cui la si dovrebbe scontare sono contrarie al senso di umanità”. Manconi ha poi annunciato di aver presentato un disegno di legge in cui si prevede l’istituzione di un “numero chiuso”, soglia limite oltre la quale non sarà possibile introdurre nuovi ristretti. Nei prossimi mesi assisteremo anche ad un “aggiornamento” tutto interno al ministero della Giustizia: prenderà il via un piano che prevede un nuovo circuito penitenziario con una maggiore territorialità e penitenziari più socializzanti per gli ospiti considerati a bassa e media pericolosità. “Un nuovo sistema - ha spiegato il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino - che avrà come filosofia quella della sorveglianza dinamica, un modo di intendere istituti maggiormente aperti, con una proposta a detenuti selezionati, per poter vivere un’esperienza carceraria dando prova di una maggiore responsabilità”. “Scopo del trattamento - ha continuato il magistrato - è quello di formare un cittadino che non delinqua più. E questo è possibile solo se già in carcere si sollecita il più possibile l’assunzione delle proprie responsabilità”. “Occorre, insomma, differenziare i regimi carcerari creando spazi comuni e far vivere il minor tempo possibile nelle camere detentive” ha spiegato Tamburino. Il dicastero di via Arenula progetta la graduale trasformazione di alcuni istituti penitenziari con spazi comuni meno opprimenti e più votati alla socialità. Buoni propositi in grado di entrare in contrasto con le ultime decisioni di finanza pubblica. Il “Piano carceri” è stato rallentato dai tecnici e i cantieri deputati alla realizzazione di nuovi istituti procedono a rilento. Giustizia: Flick (Consulta); manca rieducazione, sistema detentivo arrivato fase terminale Ansa, 26 marzo 2013 “Il carcere è arrivato a una fase terminale”: lo ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovani Maria Flick, intervenendo alla presentazione del Festival del Volontariato, oggi a Roma. “La pena dovrebbe tendere alla rieducazione ed evitare trattamenti disumani, è questa la sua ragion d’essere. Ma la pena detentiva isola” ha spiegato Flick, sottolineando l’importanza delle pene alternative al carcere e il ruolo che vi svolge il volontariato, “senza il quale le carceri chiuderebbero stasera”. “Il carcere - ha aggiunto - è ormai diventato la discarica sociale dei diversi, visto che il 30% dei detenuti sono tossicodipendenti e oltre il 40% sono immigrati”. Per aiutare e sostenere queste persone, per creare strutture dove possano scontare la pena domiciliare ad esempio, ha detto l’ex ministro della giustizia del primo governo Prodi, il volontariato ha un “ruolo essenziale” che gli va riconosciuto, anche “facendo una legge quadro per il terzo settore che ancora manca”. Giustizia: se gli ospedali psichiatrici chiuderanno… i malati-detenuti che fine faranno? di Felice Previte www.oggi.it, 26 marzo 2013 Mentre il grillo frinisce, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari restano! In un quadro di persone “ospitate” “detenute” “curate” in strutture carcerarie giudiziarie che in Italia sono 6 definibili manicomiali, oggi 21 marzo 2013, restano ancora insolute, mentre emerge una situazione tanto inquietante quanto quella da recepire il degrado vergognoso di queste realtà ri-scoperte da ben due Commissioni Parlamentari dopo 35 anni. Sono questioni assai complesse e delicate che avvolgono la qualità giuridica ed etica squisitamente politica non risolvibili che dalle Camere Legislative. Ma a seguito di quanto comunicatomi dall’Ufficio Stampa e dal Portavoce del Governo Monti del 30 aprile 2012, notizie ampliate dai mass media, il prossimo 31 marzo i sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani chiuderanno i battenti? Ci si domanda: che fine faranno i detenuti-malati? Secondo i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta, su circa 1.400 malati, circa un terzo potrebbe essere dimesso con un progetto specifico da parte delle Asl. Ma la possibilità finora, a seguito di notizie, si è concretamente realizzata solo per 160 persone. E tutti gli altri ?Inoltre il Governo Monti o quello “fantasma in pectore” o di quanti amministreranno la res pubblica, oggi 21 marzo 2013 provvederanno al rispetto dei termini perentori stabiliti dalle Disposizioni per il definitivo superamento degli Opg? È un serio interrogativo che si pongono i familiari dei malati e le associazioni che li rappresentano che non si possono ignorare, soprattutto in questo momento. Se poi il Governo, non si sa quale, non provvederà, violerà la legge che intende colpire l’inadeguatezza delle strutture e la disumanità cui gli “ospiti” ed il personale sono costretti, mentre gli Enti Locali dovrebbero aver presentato entro il 31 marzo 2012 il piano di accoglimento dei circa 1.400 internati? Lo hanno fatto? È un interrogativo che frastorna i familiari dei malati in questo momento, in quanto non “vedono”, ne hanno ben donde, soluzioni immediate, fatte salvo quelle che prima del 31 marzo 2013 il Governo Monti non provvederà a fare qualche cosa come è nel dovere civico verso i cittadini in difficoltà. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari di diverso dai “manicomi” psichiatrici: hanno solo il nome! Sorge spontanea la riflessione: chi si occuperà di accogliere, riabilitare ed assicurare il diritto alla salute di questi 1.400 cittadini? La legge 180, quella vituperata legge che ha stabilito la chiusura di tutti gli Ospedali Psichiatrici, compresi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che all’epoca non sono stati chiusi, ha assicurato l’assistenza ed i servizi atti “alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute psichica” (art. 1), ma quanto comunica il Governo Monti non è stato ancora emessa in una Circolare o “altro”, diretta al definitivo passaggio dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale (Ministero della Salute), per cui si dovrebbero indicare i criteri per la realizzazione delle “opere” demandati alle Regioni. È evidente che non è molto valutata l’esistenza di queste “ persone”, le quali, necessitano di assistenza e cure, forse non praticate in questi Opg su persone detenute-malate. Ricordo quanto ha precisato il dr. Gil Robles ex Commissario Europeo per i diritti umani su queste “persone” imprigionate in queste strutture: “Gli ospedali psichiatrici giudiziari, pur ospitando e seguendo psicologicamente gli internati, sono malgrado tutto dei centri penitenziari, gestiti dall’amministrazione giudiziaria. È pertanto inconcepibile e inaccettabile, a mio avviso, che delle persone siano costrette a restare in una struttura carceraria perché mancano posti all’esterno”. (117 del Rapporto alla ue 2005). E queste parole dicono tutto. Ma quali risultati hanno prodotto l’Indagine Parlamentare del Senatore Marino ed “altri” su questi ospedali? Ma veramente sono stati decisivi e conclusivi gli interventi per la chiusura di questi Ospedali? Ma dove erano, dove sono stati finora questi Legislatori?, forse, compreso le Istituzioni, “soffrono” o hanno sofferto di astenia depressiva, cioè la fatica ed il senso di non poter o voler affrontare l’esistenza di un certo tipo di realtà a tutt’oggi ignorata e che dura da ben 35 anni? Sulle condizioni dei malati psichici, da sempre, si sono levate “voci autorevoli” dalla Soglia Pontificia e dai Vescovi che energicamente diffusamente senza tentennamenti e mezzi termini hanno sottolineato l’urgenza e la gravità d’intervento socio-sanitario nel mondo ed in Italia nelle “Giornate Mondiali dei Malati”. Quali sarebbero le nuove strutture e con quali finanziamenti dovranno essere approvati? Come dice il comunicato del Governo Monti “le persone non più ritenute socialmente pericolose” (ma allora perché hanno subito il carcere) “dovranno essere dimesse ecc…” e “per la realizzazione di nuove strutture sono stati reperiti 180 milioni di euro, di cui 120 per l’anno 2012 e 60 per il 2013 e prese in carico dai Dipartimenti di Salute Mentale”. È necessario, come da tempo diciamo nelle n/s Petizioni, “creare” delle strutture ad hoc, come case famiglie o luoghi di accoglienza, dove queste “persone” devono essere curate con trattamenti specifici ed individuali come sancisce la legge sul Servizio Sanitario Nazionale. Cosa bisognerebbe che facesse lo Stato Italiano? È necessaria una moderna interpretazione e difesa dei diritti del malato psichico, sia in famiglia che nelle strutture addette come quelle nelle strutture Ospedali Psichiatrici Giudiziari, che privilegi il diritto alla cura ed alla guarigione, ove è possibile, come abbiamo auspicato nella n/s Petizione al Parlamento Italiano con una legge-quadro nazionale, ma comunque con un trattamento corretto, omogeneo, con meccanismi di perequazione e per Servizi uguali in tutte le Regioni Italiane, onde garantire la sicurezza dei cittadini e la tutela della salute di questi sofferenti di patologie psichiche. Nella sua quotidiana realtà il cittadino vorrebbe sapere qualche cosa di più su questa “problematica”, su cosa s’intenda fare per affrontare la grande emergenza che tutti constatiamo quasi ogni giorno sul disagio mentale, che attende da troppo tempo una soluzione concreta alla carenza d’interventi di natura legislativa, finanziaria e sanitaria inerente i servizi pubblici. La presenza molto utile del Parlamento Italiano, sono proposizioni molto necessarie, essenziali ed ancora prioritarie Il problema, al di là delle condizioni etico-giuridiche, ha una priorità assoluta e la comunità civile e le Istituzioni tutte devono alle parole “fare i fatti”, uscire dal silenzio, dall’indifferenza e dal disinteresse e non smarrire il senso del bene comune. Occorre ridare ai singoli dignità ed umanità che sono esigenze fondamentali della civiltà perché “ i valori della vita non devono essere dipendenti dalle mode e dalla politica (Benedetto XVI° Udienza Generale 17 ottobre 2007 in Piazza S. Pietro), parole rafforzate da Papa Francesco1° in difesa della vita con discrezione, umiltà e semplicità. Ora aspettiamo e vediamo cosa farà il Governo (ma quale?) Intanto il grillo frinisce, mentre una situazione disumana, gli Opg, a confronto con gli amici a 4 zampe, fanno accapponare la pelle! Giustizia: Severino; sulla chiusura degli Opg è solo un rinvio, non abbandono del percorso Adnkronos, 26 marzo 2013 Sulla chiusura degli Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari c’è stato “solo un rinvio e non l’abbandono di una strada, che occorrerà comunque percorrere”. Lo afferma il ministro della Giustizia, Paola Severino, intervistata dalla Radio Vaticana, in vista della celebrazione della messa di giovedì santo con Papa Francesco nel carcere minorile romano di Casal del Marmo. “Abbiamo avviato un cammino che non si era mai tracciato - aggiunge il Guardasigilli - con la Sicilia per esempio, che non aveva mai stipulato una convenzione per il passaggio della Sanità dal ministero della Giustizia appunto al Sistema sanitario. Abbiamo ottenuto i finanziamenti per gli Ospedali psichiatrici giudiziari e le Regioni hanno presentato i progetti”, conclude. Ugl: riconvertire Opg in strutture penitenziarie ordinarie “Gli Opg sono un’anomalia del sistema giudiziario italiano ma, pur non essendo certo contrari ad un loro superamento, non possiamo nemmeno accettare la completa dismissione di strutture che in molti casi hanno ricevuto importanti investimenti e che risultano, quindi, in condizioni migliori di molti altri istituti ordinari”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, spiegando che “la proroga della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari dovrebbe rappresentare un’occasione sia per ponderare ciò che accadrà agli internati e al personale altamente specializzato in essi impiegato, sia per predisporre una riconversione di tali strutture che, seppur inidonee ad offrire un’adeguata assistenza ai pazienti, sono di gran lunga migliori delle fatiscenti carceri ordinarie presenti sul territorio nazionale e potrebbero quindi ospitare i detenuti in esubero, contribuendo ad alleggerire così anche il forte sovraffollamento”. Per Moretti “il nuovo Parlamento ha l’obbligo morale di affrontare l’emergenza carceri in modo finalmente decisivo, predisponendo una legislazione che porti al superamento dell’attuale stato di abbandono ed alla riconversione degli Opg, a seguito della loro definitiva chiusura”. Giustizia: caso Giuseppe Uva verso prescrizione?... entrare vivo in una caserma e morire di Valter Vecellio Notizie Radicali, 26 marzo 2013 Questa storia è una brutta storia. Una brutta storia che comincia la notte tra il 13 e il 14 luglio del 2008, a Varese. Varese è anche la città di Roberto Maroni, l’attuale presidente della Regione Lombardia e leader della Lega. All’epoca era ministro dell’Interno. Poteva dire e provare a fare qualcosa, questa brutta storia è una storia di “ordine pubblico”. Non ha detto e fatto nulla. Avrà avuto, avrà ancora le sue ragioni. Quella notte, comunque, a Varese i carabinieri fermano due persone; hanno fatto tardi, hanno anche bevuto. Che cosa succede in quella caserma? Alberto Biggiogero, uno dei due fermati, racconta di aver sentito che nella stanza vicina il suo amico, Giuseppe Uva, grida, urla; e poi del fracasso, rumori. Col cellulare, che i carabinieri non gli hanno portato via, Biggiogero chiama di nascosto l’ospedale. Questa la trascrizione di quella telefonata: “118…” “Posso avere un’auto-lettiga qui alla caserma di via Saffi?…” “Sì, cosa succede?” “Praticamente stanno massacrando un ragazzo…” “In caserma?”. “Eh, sì…”. “Ho capito… Va bene… Adesso la mando”. Quando l’auto-lettiga arriva, viene rimandata indietro: è tutto tranquillo assicurano, solo due ubriachi un pò agitati. Però… Però qualche ora dopo Giuseppe è trasferito in ospedale, si chiede addirittura il Trattamento Sanitario Obbligatorio. E Giuseppe muore; secondo la versione ufficiale gli avrebbero somministrato farmaci che hanno provocato una letale intolleranza. Solo che le fotografie raccontano altro: mostrano traumi, lesioni, ecchimosi. E poi arriva il risultato di una perizia chiesta dalla famiglia: si legge di vere e proprie torture, sevizie. La sorella Lucia racconta quando le viene mostrato il corpo del fratello: “… Su tutto il fianco era blu, quei segni erano lividi. Poi vedo il pannolone. E mi chiedo: perché aveva il pannolone? Mia sorella prende il sacchetto in cui c’erano i pantaloni e li guardiamo. Erano pieni di sangue sul cavallo. Gli slip non c’erano. Gli ho tolto il pannolone e ho visto il sangue. Gli sposto il pene e vedo che aveva tutti i testicoli viola e una striscia di sangue che gli usciva dall’ano. Da quel momento ho giurato che avrei fatto tutto il possibile per arrivare alla verità sulla sua morte, un simile scempio non può restare impunito”. Arriva l’esito della perizia chiesta dalla famiglia. La firma il professor Adriano Tagliabracci, dell’università di Ancona: Giuseppe Uva avrebbe subito violenze e torture anche di carattere sessuale. La brutta storia diventa orribile. Il professor Tagliabracci scrive: “Sui jeans tracce ematiche e salivari di Uva. Materiale biologico non identificato diverso dal sangue, sperma e urine appartenenti a Giuseppe. In regione sacroperineale paramediana destra, oltre a sangue sono presenti cellule pavimentose con nucleo che possono essere derivate dalla regione anale o dalle basse vie urinarie. Il materiale risulta appartenere a Uva. Sui jeans tracce bio di altri soggetti in alcuni casi misto a quello di Uva”. E anche il perito del tribunale dice che le evidenze scientifiche mostrano inequivocabilmente che il sangue presente sui pantaloni indossati da Uva “è di origine anale”. Dunque, cos’è accaduto, in quella caserma dei carabinieri di Varese? Nessuno parla. Varese è la città vetrina dell’allora ministro Maroni. Quando a Palermo Salvatore Marino, un mafioso o presunto tale, venne torturato e massacrato, all’indomani del delitto del commissario Beppe Montana, l’allora ministro dell’Interno Scalfaro letteralmente azzerò la pur valorosa squadra mobile palermitana; e fece benissimo, perché non è tollerabile che una persona, fosse anche mafiosa, venga torturata e uccisa in questura. Sempre se non si ricorda male solo un politico volò a Palermo al funerale di Marino: Marco Pannella. A Varese, la sua città, il ministro dell’Interno Maroni non fiata, non muove un dito. Allora cos’è accaduto nella caserma durante quelle lunghe ore quando, secondo un testimone oculare, si sentivano “le urla strazianti” di Uva? Come è stato possibile che, nonostante siano passati anni l’indagine della Procura non abbia portato ad alcun risultato e abbia ignorato testimonianze e prove che avrebbero potuto consentire l’accertamento della verità? Il fascicolo risulta aperto nel settembre del 2009. A sei anni dalla morte di Giuseppe il rischio di prescrizione si avvicina; e con questa la possibilità di sapere come sono andate davvero le cose quella brutta sera tra il 13 e il 14 luglio 2008. Lettere: rinviata chiusura Opg e nessuno se ne importa… tanto nelle celle ci stanno loro di Adriano Sofri Il Foglio, 26 marzo 2013 “Viene prorogata al 1° aprile 2014 la chiusura degli Opg in attesa della realizzazione da parte delle Regioni delle strutture sanitarie sostitutive”. Così un comunicato del consiglio dei ministri dello scorso 21 marzo. Gli Ospedali psichiatrici giudiziari avrebbero dovuto essere chiusi definitivamente il 31 marzo prossimo: i loro attuali detenuti - circa mille: contare fino a mille, lentamente, tenendo conto della faccia di ognuno - avrebbero dovuto essere restituiti a una normale vita quotidiana, com’è possibile per una grandissima maggioranza, alla condizione di trovare sostegni come un tetto sulla testa, e, per le situazioni più difficili, all’assistenza specializzata in piccole comunità organizzate dalle regioni. Ritardi e menefreghismo hanno segnato fin troppo ovviamente l’attesa della scadenza, e altrettanto ovviamente, cioè scandalosamente, la pubblica inadempienza ha portato alla pubblica dilazione, una dilazione di un anno addirittura: tanto nelle celle ci stanno loro. Vorrei aggiungere che allo scandalo maggiore fa da appendice lo scandalo minore: che a questa notizia non si è riservata pressoché una sola riga scritta o parlata nei mezzi di informazione. Tanto nelle celle ci stanno loro. Calabria: Sappe; manca Provveditore regionale dal 2010, agenti non hanno interlocutori Adnkronos, 26 marzo 2013 Mi sembra assolutamente scandaloso che l’Amministrazione Penitenziaria non sia stata ancora in grado di assegnare un dirigente generale in Calabria cui affidare la titolarità e la guida del Provveditorato regionale”. È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria. “Non c’è da diversi anni - aggiunge - dalla tragica scomparsa del compianto Paolino Quattrone nel 2010, e questo è semplicemente grave, stante anche lo spessore criminale di talune realtà malavitose della Regione. Eppure ci sono dirigenti generali del Dipartimento che non hanno incarico”. “Quella della Calabria è un’anomalia sconcertante - rimarca il leader dei baschi azzurri del Sappe. I poliziotti penitenziari non hanno un interlocutore istituzionale che si occupi delle criticità regionali a tempo pieno. Gestire le persone, gli essere umani, con le loro debolezze, le loro fragilità ma anche le loro tensioni e la loro aggressività, incide sulla serenità lavorativa dei poliziotti penitenziari calabresi, senza una guida regionale a tempo pieno da circa tre anni”. “Ed è grave - conclude Capece - che gli attuali vertici del Dap, il Capo Dipartimento, Giovanni Tamburino ed il vice, Luigi Pagano, non si impegnino per una soluzione preferendo inseguire idee fantasiose come la vigilanza dinamica e i patti di responsabilità dei detenuti”. Liguria: Sappe; 31% detenuti è tossicodipendente, servono percorsi alternativi al carcere Adnkronos, 26 marzo 2013 “La Liguria si conferma tra le Regioni d’Italia con la più alta percentuale di tossicodipendenti detenuti: sono il 31% dei presenti , contro il 23% della media nazionale”. Lo denuncia il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe). “Nel carcere di La Spezia sono addirittura il 50% dei reclusi, mentre nel carcere di Chiavari il 40% dei detenuti ha problemi di droga”, aggiunge Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. “I detenuti affetti da tossicodipendenza scontano una doppia pena: quella imposta dalle sbarre del carcere e quella di dover affrontare la dipendenza dalle droghe in una condizione di disagio, spesso senza il sostegno della famiglia o di una persona amica”, aggiunge Martinelli. Un problema che si riflette anche sul lavoro degli agenti di polizia, “oggi sotto organico di 400 unità in Liguria “, sottolinea il segretario aggiunto. “Sarebbe preferibile evitare la carcerazione ai detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, optando piuttosto per interventi alternativi, da attivare già durante la fase del processo per direttissima”, afferma il Sappe. “Si potrebbero istituire percorsi di cura e riabilitazione controllati in regime extracarcerario con l’ausilio dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche - propone il sindacato. I tossicodipendenti sono persone che hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione”. Ivrea (To): Garante dei detenuti dopo suicidio in carcere; dobbiamo aiutare chi sta in cella di Lydia Massia La Sentinella, 26 marzo 2013 Aveva da scontare ancora un anno di pena residua per aver commesso una rapina il detenuto di 53 anni che lo scorso venerdì si è impiccato in carcere ad Ivrea. L’uomo, di origine siciliana, era solo in cella, e pare soffrisse di problemi psichici. A giorni sarebbe stato trasferito nel repartino psichiatrico del carcere le Vallette di Torino: “È il tredicesimo suicidio e il quarantatreesimo morto nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, - sottolinea Leo Benedici, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp - ma nonostante gli appelli accorati e le dichiarazioni d’intento delle massime cariche istituzionali, la situazione non cambia”. Anche nella casa circondariale di Ivrea la situazione è pesante. Armando Michelizza, appena nominato garante dei detenuti, è senza parole. Lui i problemi dei detenuti li conosce essendosene sempre occupato sotto il profilo del reinserimento sociale: “Ho subito chiesto spiegazioni alla direttrice della casa circondariale di Ivrea - dice Michelizza - per capire come si sono svolti i fatti. Il detenuto da tempo soffriva di disturbi psichici. E le sbarre del carcere certo non miglioravano la sua situazione. A complicare il quadro si aggiunge la solitudine: non riceveva visite e aveva solo una sorella residente a Torino. Era quindi una persona inadatta al carcere. Nelle sue condizioni neanche il pensiero che tra un anno sarebbe stato libero l’aiutava. Il problema più grande infatti per i detenuti, soprattutto per quelli che vogliono rifarsi una vita onestamente , è il futuro. È la ricerca di un lavoro. Per molti anche di una casa. Per questo il mio primo obbiettivo è proprio quello di agire nella fase del reinserimento. I carcerati vanno sostenuti nel percorso di riconquista della fiducia nella legalità e nel futuro. Altrimenti la condanna nascosta è quella di spingerli a ricadere nello stesso errore”. C’è poi il problema del sovraffollamento: “A Ivrea la capienza regolare è di 170 posti. Oggi i detenuti sono 280. Ma in passato sono arrivati anche a 300. Di questi 215 sono i definitivi (con sentenza di condanna) e i restanti quelli in attesa di giudizio. Poi c’è la povertà: quella dei detenuti che non possono contare sull’aiuto delle famiglie. Io non ho ancora fatto visita ai detenuti, ma ho già ricevuto alcune lettere da loro. Racconti che stringono il cuore. A scrivere sono coloro che non hanno l’appoggio dei parenti: mi chiedono un aiuto per poter comprare effetti personali come il dentifricio e la carta igienica. È anche la mancanza di queste piccole necessità che li fa vivere male. Vivendo in queste condizioni perdono completamente la fiducia in loro stessi. Privati della dignità umana possono essere spinti verso il baratro. Oppure accumulare astio verso la società, invece che fiducia. Dobbiamo quindi lavorare insieme per poter offrire ai detenuti delle condizioni di vita migliori ed evitare tragedie come queste”. Cosenza: detenuto 60enne morto in ospedale, 7 medici indagati per omicidio colposo Gazzetta del Sud, 26 marzo 2013 Per la morte di un detenuto, Aldo Tavola, 60 anni, avvenuta nel giugno dello scorso anno all’Annunziata. L’uomo era recluso nel carcere di Castrovillari dove era stato male. Aldo Tavola, 60 anni, di Cetraro, detenuto per scontare sei anni di carcere nel penitenziario di Castrovillari, è morto il 26 giugno dello scorso anno nella cella di sicurezza dell’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza. L’uomo, da mesi soffriva di gravi patologie e, secondo gli inquirenti, nessuno gli avrebbe assicurato adeguata assistenza sanitaria prima all’interno del carcere e, poi, nel nosocomio del capoluogo bruzio. Il pubblico ministero Salvatore Di Maio e il procuratore capo Dario Granieri, dopo lunghe e articolate indagini, hanno incriminato per omicidio colposo sette medici. Si tratta di Francesco Montilli, 44 anni, di Francavilla Marittima; Furio Stancati, 58, di Cosenza; Angela Gallo, 54, di Cosenza; Domenico Scornaienghi, 65, di Cosenza; Ermanno Pisani, 51, di Cosenza; Carmen Gaudiano, 43, di Cosenza e Antonio Grossi, 59, di Paola. Tempio Pausania: Pili (Pdl): il carcere è ufficialmente destinato a condannati per mafia L’Unione Sarda, 26 marzo 2013 “Con un decreto del Ministro della Giustizia il carcere di Tempio è ufficialmente destinato ad accogliere i condannati per mafia. Il decreto del 1 febbraio scorso e comunicato ufficialmente sabato 23 marzo con una comunicazione alle organizzazioni sindacali dispone la trasformazione della Casa circondariale di Tempio in casa di reclusione. È l’ultimo atto di una strategia che punta a trasformare il carcere di Nuchis in una vera e propria struttura per mafiosi”. La notizia l’ha comunicata ieri mattina il deputato sardo Mauro Pili (Pdl) che ha presentato un’urgente interrogazione al Ministro della Giustizia. “Si stanno cambiando totalmente i connotati del sistema penitenziario sardo senza alcuna condivisione con le istituzioni - ha detto Pili - e soprattutto si continua a perseguire una trasformazione sostanziale delle carceri sarde senza pensare minimamente alla sicurezza e in particolar modo personale, sempre più carente”. “Come è possibile - chiede Pili al Ministro - che la trasformazione del carcere da casa Circondariale a casa di reclusione sia avvenuta dopo che da mesi erano stati dislocati detenuti con ergastoli e pene di media superiori ai 20 anni senza che il carcere fosse stato autorizzato per tali detenuti? Si tratta dell’ennesimo atto di una gestione del sistema penitenziario sardo che continua a sottostare alle esigenze del sistema nazionale e che rischia proprio per questo di implodere”. “Con questo atto - sostiene Pili - si dà praticamente il via libera per trasformare il carcere di Nuchis in un vero e proprio ricettacolo di mafiosi e camorristi provenienti da tutte le carceri italiane. Tutto questo in base a quel piano di Circuiti regionali varati nei giorni scorsi che destinano a Tempio i detenuti condannati per gravi reati di mafia, compresi tra l’Alta Sicurezza 1 e 3, ovvero ex 41 bis, capi mafia e diretti affiliati”. “Il disegno di trasformare la Sardegna in una vera e propria isola per mafiosi si sta concretizzando giorno dopo giorno. Ora bisogna solo sperare in un governo meno cinico e spietato di questo per far sentire con forza le ragioni che rendono tale progetto di concentrare in Sardegna tanti mafiosi scellerato e folle, come lo ha definito il prof. Pino Arlacchi, uno dei massimi esperti al mondo di mafia”. Lamezia: Mario Magno presenta Odg in Consiglio regionale contro chiusura del carcere Quotidiano di Calabria, 26 marzo 2013 Il consigliere regionale Mario Magno ha presentato oggi un ordine del giorno che sarà discusso nella prosisma seduta in consiglio regionale per quel che riguarda la chiusura del carcere di Lamezia, così come previsto dal nuovo Piano Carceri. In particolare, nel testo presentato da Magno “impegna il Presidente e la Giunta Regionale ad attivarsi presso gli organismi governativi e parlamentari competenti, quelli già insediati e quelli di prossimo insediamento, per rivedere tale decisione, scongiurando l’ipotesi di chiusura prevista dal Piano Nazionale delle Carceri. Contestualmente rinnova - aggiunge infine nel testo - la richiesta già formulata con Ordine del giorno del 04/08/2010, di prevedere la costruzione di un nuovo istituto penitenziario nell’area di Lamezia Terme”. Sappe: assurdo chiudere carcere Lamezia Terme “È semplicemente allarmante pensare di chiudere il carcere di Lamezia Terme in una regione ad alta densità ‘ndranghetista ed in cui solo per le gravi responsabilità dell’Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Giustizia non c’è da anni un Provveditore regionale a coordinare stabilmente le politiche penitenziarie. Non è ad esempio assurdo distaccare agenti dalla Calabria - dove ci sono serie carenze di organico nelle carceri - per mandarli in servizio temporaneo a S. Angelo dei Lombardi? Non ci stiamo e manifesteremo il 4 aprile a Roma. Altro che vigilanza dinamica e celle aperte: questa incomprensibile rivisitazione dei circuiti regionali penitenziari voluta dal DAP è una vera e propria resa dello Stato alla criminalità organizzata ed è inaccettabile. Mi appello alla Ministro della Giustizia Paola Severino: non si può più perdere tempo. Bisogna dare nuovi vertici all’Amministrazione Penitenziaria visto che quelli attuali, Giovanni Tamburino e Luigi Pagano, sono incapaci di risolvere i problemi ed anzi perseguono soluzioni pericolose”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Nonostante le chiacchiere di Tamburino e Pagano, che pontificano sugli effetti salvifici di questa soluzione, la vigilanza dinamica dei penitenziari voluta dall’Amministrazione Penitenziaria per alleggerire l’emergenza carceraria è una resa dello Stato alla criminalità. Pensare a un regime penitenziario aperto; a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della “colpa del custode”; ebbene, tutto questo è fumo negli occhi. Ed è ancora più grave pensare di chiudere carceri come quello di Lamezia Terme. La realtà penitenziaria è la Polizia penitenziaria ha settemila agenti in meno, che i Baschi Azzurri non fanno formazione ed aggiornamento professionale perché l’Amministrazione evidentemente ha altro a cui pensare, come anche per le conseguenze di quell’effetto burnout dei poliziotti determinato dall’invivibilità di lavorare in sezioni detentive sistematicamente caratterizzate da eventi critici - suicidi, tentati suicidi, aggressioni, risse, atti di autolesionismo, colluttazioni. Non ha fatto niente il DAP, su tutto questo. Proprio per questo manifesteremo il 4 aprile davanti al Dipartimento a Roma: per chiedere che resti il carcere a Lamezia Terme e l’allontanamento del Capo Dipartimento Tamburino e del Vice Capo Pagano, primi responsabili di tutto ciò. E continueremo a farlo fino a quando non saranno avvicendati dalla guida del Dap”. Oristano: Pili (Pdl); quattro detenuti ricoverati in ospedale per intossicazione da farmaci Ansa, 26 marzo 2013 Quattro detenuti del carcere di Massama sono stati ricoverati d’urgenza la settimana scorsa all’Ospedale di Oristano, forse per una intossicazione da farmaci. Lo rivela il deputato del Pdl Mauro Pili, in una interrogazione rivolta questa mattina al ministro della Giustizia, Paola Severino. “Uno di questi detenuti sarebbe ancora piantonato in ospedale”, afferma Pili spiegando che quanto è accaduto “è un fatto grave, che rischia di mettere sotto pressione il sistema di sicurezza, considerato che ogni traduzione in ospedale comporta l’impiego di almeno quattro agenti per detenuto”. Al ministro della Giustizia, Pili ha chiesto di chiarire se quanto è successo sia dovuto anche alla mancanza nella casa circondariale di Massama del presidio clinico obbligatorio invece per legge in una struttura di quella dimensione. Al ministro della Giustizia, Pili ha chiesto inoltre un’indagine per comprendere se il livello di presidio sanitario nel carcere di Massama, e in tutti gli istituti penitenziari della Sardegna, soddisfi i requisiti di legge e soprattutto le patologie cliniche presenti. Asl 5 di Oristano: già dimessi i due detenuti ricoverati in ospedale La Asl 5 di Oristano sta predisponendo l’attivazione di un punto di pronto intervento all’interno del carcere di Massama. Il servizio, previsto dalla normativa nelle strutture penitenziarie con un numero di detenuti superiore a 200, garantirebbe la presenza di un medico di emergenza 24 ore su 24. Lo precisa l’Ufficio stampa dell’Azienda sanitaria a seguito dell’interrogazione presentata al ministro della Giustizia Paola Severino, dal deputato del Pdl Mauro Pili. Attualmente - spiega una nota della Asl 5 - l’assistenza medica e infermieristica nel carcere di Massama è assicurata tramite i medici della Medicina dei servizi e gli infermieri che effettuano i turni mattutini e pomeridiani e nei giorni festivi. Sempre in riferimento all’interrogazione presentata dall’onorevole Pili, l’Azienda sanitaria precisa inoltre che i detenuti ricoverati nei giorni scorsi all’ospedale San Martino di Oristano per una presunta intossicazione erano due e non quattro e sono già stati dimessi. Pistoia: magliette, sapone e dentifricio… un sorriso ai detenuti del carcere di Martina Vacca La Nazione, 26 marzo 2013 L’appello è rivolto a tutti i pistoiesi, perché sia assicurato ai detenuti del carcere di Santa Caterina un diritto fondamentale, il legittimo bisogno di igiene e pulizia personale e del luogo in cui vivono: per questo da ieri mattina è partita una bellissima catena di solidarietà. Nel negozio Coop di viale Adua è possibile, in questi giorni, acquistare canottiere, ciabatte, rasoi, dentifrici e asciugamani da donare agli ospiti del carcere. Il materiale verrà raccolto da un gruppo di volontari di varie associazioni, tra cui “Il Delfino”, e dagli studenti delle scuole superiori che, per farsi riconoscere, indosseranno la maglietta dell’iniziativa. La raccolta andrà avanti fino a domenica 31 marzo. Il problema è stato sollevato dal direttore del carcere, Tazio Bianchi, che si è rivolto al garante dei detenuti, Antonio Sammartino. “Insieme - spiega il dottor Bianchi - ci siamo rivolti alla Coop, che già altre volte si è resa disponibile a promuovere iniziative di solidarietà”. All’incontro, che si è svolto la settimana scorsa nella sede della Sezione Soci erano presenti anche la presidente Soci, Dora Donarelli, il direttore del negozio Marco Rastelli e alcuni funzionari della Casa Circondariale. “I tagli alla spesa delle ultime finanziarie - spiegano il direttore del carcere, Tazio Bianchi, e il garante dei detenuti, Antonio Sammartino - hanno ridotto il budget a disposizione della casa circondariale tanto da rendere difficoltoso garantire una fornitura sufficiente di alcuni prodotti per la salubrità degli ambienti, e, d’altro canto, l’impoverimento progressivo della gran parte della popolazione detenuta rischia di acuire disparità e disuguaglianze anche nelle possibilità di cura della persona, cui ciascuno aspira. Per questo - spiega ancora il direttore Bianchi - la richiesta che abbiamo presentato alla Coop di Pistoia appare forse marginale, in considerazione dei tanti problemi che molte fasce della popolazione stanno affrontando e che anche tutti i detenuti sopportano quotidianamente. Ma chiunque ormai riconosce che l’ambiente in cui si vive condiziona pesantemente la qualità della vita e la disponibilità profonda di ciascuno di continuare a sperare e a porsi in modo costruttivo rispetto al futuro”. “La raccolta è iniziata da un giorno - spiega la presidente Soci Coop, Dora Donarelli - ma siamo entusiasti. L’Ipercoop di Montecatini ci ha già inviato molto materiale”. Ecco, di seguito, l’elenco dei prodotti che potranno essere acquistati per i detenuti: magliette e canottiere misura L; ciabatte di plastica (es. da piscina) misura 40-44; mutande; sapone da barba (no spray); rasoi per barba (usa e getta); pennelli per barba; detersivo lava piatti; detersivo igienizzante per bagni; sapone liquido o saponetta (igiene personale); carta igienica; spugnette e stracci per pavimenti; guanti di plastica misure M-L; shampoo e doccia schiuma; detersivi lava pavimenti; dentifricio e spazzolini; asciugamani eventualmente, tute da ginnastica. Massa: detenuto tunisino ricoverato per un intervento al cuore evade dall’ospedale Comunicato stampa, 26 marzo 2013 “Un detenuto tunisino di 45 anni, ristretto nel carcere di Pisa e imputato per reati connessi allo spaccio di droga, è evaso dall’Ospedale di Massa dove era stato ricoverato per un intervento al cuore. Era sottoposto a controlli saltuari da parte della Polizia Penitenziaria che oggi, all’ora di pranzo, non lo ha trovato a letto. L’interesse primario ora è partecipare attivamente alle ricerche in collaborazione con le altre Forze di Polizia per catturare il fuggitivo, ma questo episodio conferma ancora una volta le criticità del sistema carcere. La coppia di dirigenti a capo dell’amministrazione penitenziaria Tamburino e Pagano, con la scellerata intenzione di introdurre una vigilanza attenuata nelle carceri italiane scendendo a patti con i detenuti, ha ottenuto il solo risultato di raggiungere il record di evasioni e tentate evasioni”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, nel commentare l’evasione di un detenuto dall’Ospedale di Massa. “Mi sembra del tutto evidente che l’Amministrazione e la Polizia Penitenziaria pagano un pesante scotto per le incapacità gestionali di chi dirige il Dap. In poche settimane abbiamo contato le evasioni, tentate evasioni, aggressioni, ferimenti. Ed è sconcertante pensare che il Dap ed il Ministro della Giustizia, incapaci in oltre un anno di attività di realizzare una vera ed efficace riforma penitenziaria, pensino di continuare a “mettere una pezza” quando quello che serve è una riforma organica del sistema. Le colpe di tutto quel che succede sono ben precise: sono di chi fino a pochi giorni fa ha parlato di rivoluzioni penitenziaria mentre in realtà il sistema cadeva drammaticamente a pezzi. Oggi ci sono in carcere 67mila detenuti a fronte di una circa 42mila posti letto, il numero più alto mai registrato nella storia dell’Italia: il 40% sono in attesa di un giudizio definitivo. Bisognerebbe dunque percorrere la strada dei circuiti penitenziari differenziati: ma altrettanto necessaria è una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia.” Roma: giovedì Papa Francesco all’Ipm di Casal del Marmo… informazioni per la stampa Asca, 26 marzo 2013 In occasione della visita pastorale di Papa Francesco all’istituto penale minorile di Roma Casal del Marmo, giovedì 28 marzo 2013 alle ore 17.30, si comunica che la celebrazione della Messa “In coena Domini” nella cappella dell’Ipm si svolgerà in forma riservata esclusivamente ai ragazzi e al personale in servizio presso l’istituto, alla presenza del Ministro della Giustizia Paola Severino e del capo del Dipartimento Giustizia Minorile Caterina Chinnici. Al termine della cerimonia religiosa, il Papa incontrerà i ragazzi e il personale di Casal del Marmo nella palestra dell’istituto. Le immagini saranno a cura del Centro Televisivo Vaticano che provvederà a trasmetterle alle emittenti interessate. Per i giornalisti l’accesso al complesso penitenziario sarà limitato all’area esterna all’istituto, dove si potranno fra l’altro effettuare riprese televisive e fotografiche. Per gli accrediti, occorre inviare una e-mail indicando nome, cognome, testata e documento di identificazione all’indirizzo ufficio.stampa@giustizia.it. Severino: a Casal del Marmo sarà un incontro vero e spontaneo L’atteso incontro tra papa Francesco e i ragazzi reclusi nel carcere minorile romano di Casal del Marmo per la messa della ‘lavanda dei piedì del Giovedì Santo sarà un momento vero e spontaneo nel corso del quale il pontefice potrà incontrare molte realtà di vita provenienti anche da fuori dell’Italia. Lo ha detto il Guardasigilli Paola Severino intervistato oggi dalla Radio Vaticana. Il ministro, che sarà presente all’incontro col papa, ha rivelato di aver già fatto un “piccolo sopralluogo” in questi giorni nel carcere trovando un “clima di aspettativa e di speranza veramente straordinario”. “Credo che tutto avverrà in maniera molto spontanea, così come credo sia nel desiderio del Papa. - ha poi aggiunto la Severino - Io mi sono raccomandata che nulla venisse preparato in maniera artificiosa. E credo che la spontaneità dei ragazzi sarà la testimonianza migliore e il dono migliore per un Papa, che ha mostrato un’immediata attenzione per coloro che soffrono di più; tra essi ci sono sicuramente questi ragazzi che sono spesso stranieri, che sentono molto la mancanza e la lontananza delle famiglie e che hanno come famiglia coloro che lavorano nel carcere”. Quindi, un breve bilancio del lavoro svolto dal governo. “Si è segnato l’inizio di un cammino con una traccia molto profonda. - ha affermato il Guardasigilli - Il decreto salva-carceri intanto ha incominciato a funzionare e a dare un certo respiro di deflazione della popolazione carceraria. Per quanto riguarda gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) abbiamo avviato un cammino che non si era mai tracciato, con la Sicilia per esempio, che non aveva mai stipulato una convenzione per il passaggio della Sanità dal Ministero della Giustizia appunto al Sistema sanitario. Abbiamo ottenuto i finanziamenti per gli Opg e le Regioni hanno presentato i progetti. Insomma si tratta di un rinvio e non di abbandono di una strada, che occorrerà comunque percorrere. Se guardo il bicchiere mezzo vuoto ovviamente mi rammarico della mancata approvazione della legge sulle misure alternative alla detenzione”. Ferrara: celebrata in carcere la Via Crucis con l’arcivescovo, monsignor Luigi Negri La Nuova Ferrara, 26 marzo 2013 È stato un incontro molto commovente e toccante quello che si è svolto nel primissimo pomeriggio di ieri tra i detenuti del carcere dell’Arginone il nuovo arcivescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, alla sua prima visita all’interno della casa circondariale. Alle 13.30 il vescovo è arrivato per celebrare il rito della via Crucis. Ad attenderlo c’era monsignor Antonio Bentivoglio, cappellano delle carceri di Ferrara che ha preparato i detenuti a questa cerimonia e il commissario della polizia penitenziaria Paolo Teducci. Il vescovo Negri ha avuto parole di conforto per i carcerati ed ha ricordato la sofferenza di Cristo nell’affrontare la via Crucis. Una domenica delle Palme che ha avuto un significato particolare per i detenuti. La celebrazione della Via Crucis ha visto la partecipazione del gruppo dei catechisti che preparano spiritualmente i carcerati e ci sono stati anche i canti del coro i Cl che hanno reso ancora più toccante l’evocazione della passione di Cristo. Le palme per la celebrazione sono state donate alla casa circondariale dalla parrocchia di Santa Maria in Vado. Al termine delle celebrazione liturgica c’è stato un momento di rinfresco e di festa con l’organizzazione della associazione “Noi per loro” che si occupa dei problemi dei carcerati. “È stata una cerimonia molto bella - ha dichiarato monsignor Antonio Bentivoglio dopo la conclusione del rito della Via Crucis che ricorda la passione e la morto di Cristo - il vescovo è stato accolto con grandissima partecipazione dai detenuti”. Le celebrazioni della domenica delle Palme si sono conclusa ieri pomeriggio in cattedrale con la celebrazione alle ore 17.30 della messa solenne celebrata in Cattedrale dall’arcivescovo e che sancisce in pratica l’inizio dei riti della settimana santa che accompagnerà i fedeli fino a Pasqua. Enna: il Vescovo fa visita ai detenuti della Casa Circondariale, di Piazza Armerina e Gela www.vivienna.it, 26 marzo 2013 Anche quest’anno i detenuti della Casa Circondariale di Enna riceveranno la visita del vescovo Michele Pennisi. Quello alla vigilia della Pasqua è ormai un appuntamento fisso oltre che molto atteso dai detenuti e dallo stesso vescovo che con ogni probabilità farà la sua ultima visita prima di trasferirsi, il prossimo 26 aprile, a Monreale sua nuova sede. Ieri Pennisi ha celebrato messa nelle carceri di Piazza Armerina e Gela, mentre oggi chiuderà con Enna. “All’inizio della settimana santa durante la quale facciamo memoria dell’ultima settimana di vita di Gesù, sono venuto a visitarvi ricordando la parola di Gesù nel vangelo” è il messaggio di Pennisi ai detenuti dei tre centri di reclusione ricadenti nel territorio diocesano. Mons. Pennisi ha quindi ringraziato, per il lavoro svolto, i direttori dei centri di reclusione, al personale e ai cappellani. Ad accogliere il vescovo quest’oggi ad Enna sarà padre Giacomo Zangara, da anni cappellano alla Casa Circondariale di Enna: “Il vescovo è da sempre vicino a questi nostri fratelli reclusi, per loro ha sempre avuto parole d’incoraggiamento e li ha più volte indirizzati versa la strada giusta invitandoli a seguire l’esempio di Gesù operando fratellanza e giudizio” ha detto don Zangara. “Vengo a dirvi - ha detto Pennisi - che Dio Padre ricco di misericordia che col battesimo ci rende suoi figli, vi ama, e desidera che percorriate un cammino di riabilitazione e di perdono, di verità e di giustizia, per sperimentare la liberazione che Gesù Cristo è venuto a portare con la sua resurrezione”. Prima degli auguri di Pasqua, mons. Pennisi, ha voluto rivolgere un messaggio a tutti i detenuti: “Accogliete nel vostro cuore Cristo, autore e garante della giustizia e della pace vera. Egli vi renderà capaci di quella fortezza evangelica che Vi aiuterà a sopportare anche la sofferenza della prigione e la lontananza dalla vostra famiglia”. Bollate (Mi): “Teatro in pentola”, spettacolo dalle attrici-detenute Famiglia Cristiana, 26 marzo 2013 Entrando nel carcere di Bollate, se non fosse per le sbarre alle finestre, non sembra di essere in un carcere poiché mentre percorri, insieme alla polizia penitenziaria, corridoi che sembrano non finire mai e che si aprono sui bracci laterali che portano alle celle, si vedono ampi dipinti sui muri realizzati dai detenuti e piante ben curate. Arrivi poi in un vero e proprio teatro con le quinte e le gradinate per il pubblico e, quando le attrici iniziano a recitare, ti dimentichi di essere dove realmente sei. È la magia del teatro. Volontari e operatori dell’Associazione Arte in Tasca, nata nel 2008, affiancata dal Teatro Carcano di Milano, convinti dell’importanza educativa del teatro, danno voce e ascolto, attraverso il pubblico che eccezionalmente assiste agli spettacoli, alle detenute nel reparto femminile della II Casa circondariale di Milano Bollate, così che non si sentano emarginate. Due artiste terapiste, Donatella De Clemente e Monica Fantoni, con la consulenza alla regia di Francesco Brandi e dell’attore e regista Sergio Fantoni e con le coreografie di Tiziana Cappa, hanno coinvolto dodici donne, riunendole sotto il nome “Voci tra le righe”, così da costituire la prima compagnia teatrale italiana femminile di detenute, potenziando le loro qualità ora di cantanti ora di ballerine ora di attrici. Hanno organizzato all’interno del carcere da gennaio a febbraio alcuni incontri-seminari con esperti su drammaturgia, recitazione, regia per poi scrivere insieme alle detenute un copione. Un incontro particolarmente significativo per le interpreti è stato quello con l’attrice Federica Fracassi che ricorda: “Le detenute mi hanno rivolto molte domande pratiche, per esempio su come esercitare la memoria per ricordare il copione, e anche per me è stato un incontro proficuo perché nello scambio di esperienze ognuno porta il suo contributo specifico alla vita di un altro”. Il risultato è Teatro in pentola, uno spettacolo teatrale per le istituzioni e poi per un ristretto pubblico coinvolto ad assistere al debutto del 20 marzo. La trama presenta un gruppo di cuoche di regioni italiane differenti e di nazionalità diverse che si scambiano ricette e, per salvare dal fallimento il ristorante in cui lavorano, decidono, sotto la guida di un ironico chef, di coinvolgere una imprenditrice spagnola. Le cuoche preparano per lei una cena-spettacolo per convincerla a rilevare la loro attività poiché l’imprenditrice da giovane era stata una diva del teatro. Nella giornata di preparazione dell’evento le donne cucinano, si confidano i loro turbamenti, cantano e recitano brani teatrali che hanno attinenza con la condizione delle donne: la suggestiva scena de La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca in cui, avvolte da un grande mantello nero, le figlie di Bernarda lamentano l’isolamento imposto loro dalla madre, in seguito alla morte del marito, il noto monologo di Casa di bambola di Ibsen, il passo de L’anima buona di Sezuan di Brecht in cui la protagonista Shen Te deve fingersi uomo per difendere i suoi diritti; alcuni brani si riferiscono alla giustizia, come il processo de Il Mercante di Venezia di Shakespeare. Le canzoni e le ricette, come quella del ragù napoletano, tratta da Sabato, domenica e lunedì di De Filippo, si alternano ai racconti personali delle detenute, scritti e inseriti nel copione. Il racconto della vita quotidiana emerge in una situazione di passaggio verso un riscatto che magari arriverà anche per loro come per le cuoche che nel finale vedono il ristorante acquistato dalla spagnola. Alla fine le attrici detenute si abbracciano entusiaste della riuscita del loro spettacolo tra gli applausi del pubblico e dei loro parenti che le acclamano! “Voci tra le righe” in “Teatro in pentola”, Teatro della II Casa Circondariale di Milano Bollate. In collaborazione con Direzione II Casa circondariale di Milano Bollate, Teatro Carcano, Cooperativa Estia, La Contemporanea, Fondazione Cariplo. Voghera (Pv): la pallavolo entra in carcere, iniziativa sostenuta dalla Uisp provinciale La Provincia Pavese, 26 marzo 2013 La pallavolo entra in carcere. Nella casa circondariale di Voghera si è svolto un torneo che rappresenta la conclusione di un percorso di preparazione atletica per detenuti iniziato nell’ottobre scorso e tenuto dall’Atletica pavese Voghera, appoggiata dalla Uisp provinciale. Il corso è durato sei mesi, finanziato dall’assessorato allo Sport e alla Coesione sociale della Provincia, e si è concluso con due sfide, entrambe vinte 2-1 dalla squadra dei detenuti della Media sicurezza. A sfidarli una squadra formata dai volontari dell’Atletica pavese e dei collaboratori di giustizia. In entrambi i casi i detenuti hanno vinto al termine di partite entusiasmanti e di alto livello agonistico. Alle premiazioni erano presenti il comandante della casa circondariale di via Prati Nuovi Maria Gabriella Lusi, l’assessore provinciale allo sport e coesione sociale Francesco Brendolise e la direttrice del Decathlon di Voghera, che ha offerto le magliette ai giocatori. Detenuti e volontari hanno detto di volersi ritrovare per altri appuntamenti sportivi, il primo dei quali sarà “Vivicittà”, corsa internazionale indetta dall’Uisp, che l’Atletica Pavese organizzerà all’interno della casa circondariale vogherese sabato 20 aprile. India: caso marò, il ministro Terzi si dimette e accusa “la mia voce è rimasta inascoltata” Corriere della Sera, 26 marzo 2013 “Ero contrario a rimandare in India i marò, ma la mia voce è rimasta inascoltata”. Per questo alla Camera, al termine dell’audizione urgente riguardante il caso dei marò di martedì 26, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha annunciato le dimissioni. Un gesto che ha spiegato prospettando anche una pesante divergenza d’opinioni all’interno del Governo tanto che il premier Monti, a fine serata, in una nota puntualizza “sconcertato”: “Le sue intenzioni non mi erano state preannunciate, benché in mattinata si fosse tenuta presso la presidenza del Consiglio. Le valutazioni espresse alla Camera dal ministro Terzi non sono condivise dal Governo”. Monti ha poi assunto le funzioni di ministro degli Esteri a interim. Sulle dimissioni c’è anche una nota del Quirinale che definisce “irrituali”. Il Colle “sconcertato e stupito” per le dimissioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi date alla Camera dei deputati durante le comunicazioni del Governo in aula. Il capo dello Stato, precisano fonti informate, non era stato informato delle intenzioni del titolare della Farnesina e ora attende il decreto di accettazione da Monti che riferirà sulla vicenda alle Aule nella giornata di mercoledì 27. Conclusa l’audizione di Terzi, alla Camera ha parlato il ministro alla Difesa Di Paola che al collega dimissionario ha indirizzato queste parole: “Sarebbe facile oggi lasciare la poltrona, ma non sarebbe giusto e non lo farò”. Frase accolta dall’applauso corale dell’aula di Montecitorio. Terzi non applaude. “Non abbandonerò la nave in difficoltà con Massimiliano e Salvatore a bordo - ha proseguito - fino all’ultimo giorno di governo, verrei meno al senso del dovere delle istituzioni che ho sempre servito e alle scelte del governo che ho condiviso”. Le dimissioni di Terzi inevitabilmente hanno acceso la tensione in Aula. “Speriamo che Monti sia assolutamente chiaro perché il fallimento della credibilità internazionale è sotto gli occhi di tutti” è l’attacco del segretario Pdl Alfano a cui si accoda tutto il centrodestra. “Le dimissioni equivalgono a straordinario gesto morale” dice il vice presidente della Camera Lupi mentre l’ex governatore della Lombardia, ora senatore Pdl, Formigoni twitta: “Il governo chiarisca chi ha voluto rimandare i marò in India”. In Aula, seduta nelle tribune riservate ai visitatori, in mezzo a militari della Marina, c’era anche la moglie di Salvatore Girone. “Riportate a casa mio marito” ha urlato indirizzando la sua rabbia verso l’emiciclo. Oltre a lei, in tribuna era presente anche Franca Latorre, sorella dell’altro marò Massimiliano, È al termine dell’audizione alla Camera che Terzi spiega quanto fosse distante dall’idea di rimandare in India (per la seconda volta) i due fucilieri del San Marco. A palazzo Chigi (è la ricostruzione quasi “in diretta” di quei concitati momenti )”esprimo la mia riserva per la repentina decisione del loro trasferimento in India, la mia voce è rimasta inascoltata. Finalmente avevamo in patria i due fucilieri di marina”. “È risibile e strumentale sostenere che la Farnesina ha agito per fatti suoi. Io ho dato informazioni a tutte le autorità di governo sugli aspetti critici del negoziato con l’India” sostiene Terzi che poi senza mezzi termini afferma che l’accusa ai marò italiani di aver sparato e ucciso i due pescatori indiani “non è mai stata suffragata da prove attendibili, mentre loro negano ogni addebito”. Mentre riguardo alla recente decisione di trattenere in Italia i marò, approvata da tutti l’8 marzo, “tutte le istituzioni erano informate e d’accordo”. Terzi è esplicito anche sulla “blindatura dell’ambasciatore Mancini a Delhi: “La decisione indiana di sospendere l’immunità del nostro ambasciatore è stata interpretata come un atto di ritorsione che ha indebolito la legittimità del governo indiano, siamo davanti a una palese violazione della convenzione di Vienna”. A fine intervento motiva le sue dimissioni con la vicinanza ai marò. “Mi dimetto perché per 40 anni - ha precisato - ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perché solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie”. Israele: quattro palestinesi entrano nel loro ventottesimo anno consecutivo di carcere InfoPal, 26 marzo 2013 Quattro prigionieri palestinesi dai territori del 1948 sono entrati nel loro ventottesimo anno consecutivo di detenzione nelle carceri israeliane. In un comunicato stampa diramato lunedì 25 marzo, il Centro studi Asra Filastin (Prigionieri della Palestina) ha reso noto che Rushdi e Ibrahim Nayef Abu Mukh, 53 e 52 anni, Walid Nimr Daqqa, 53 anni e Ibrahim Abdel Razek Baiadsa, 52 anni, hanno concluso il loro 27° anno di detenzione nelle carceri israeliane. I quattro detenuti in questione furono arrestati nel marzo del 1986, e condannati all’ergastolo con l’accusa di appartenere al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), e per il rapimento di un soldato israeliano, ucciso durante l’operazione. Nel comunicato, il centro ha sottolineato che le autorità di occupazione hanno rifiutato di includere i quattro detenuti nell’accordo di scambio di prigionieri, concluso con il movimento di resistenza islamico, Hamas, nel 2011, in quanto possessori di carte d’identità blu (carta d’identità israeliana concessa ai palestinesi del’48). Nello stesso contesto, i due detenuti di Gerusalemme, Raja al-Haddad, 35 anni, e Ayman al-Sharbati 46, sono entrati nel loro 16° anno consecutivo di detenzione nelle prigioni dell’occupazione. Stati Uniti: Mind Research Network; risonanza magnetica svela chi commetterà nuovi reati Ansa, 26 marzo 2013 Predire la condotta futura di un detenuto spiandone il cervello con la risonanza magnetica: è la prospettiva che, per quanto fantascientifica, si profila all’orizzonte. Uno studio pubblicato sulla rivista Pnas mostra infatti che la risonanza può predire con una certa accuratezza quali criminali reitereranno il reato una volta rilasciati. Lo studio, su 96 detenuti prossimi al rilascio, è stato condotto da Kent Kiehl, neuro scienziato presso l’istituto no-profit Mind Research Network ad Albuquerque, (Nuovo Messico). È emerso che leggendo i risultati della risonanza è possibile prevedere se, una volta rilasciato, il detenuto trasgredirà nuovamente la legge oppure no. Gli esperti hanno registrato con la risonanza l’attività neurale dei detenuti in particolare in un’area del cervello chiave per prendere decisioni e reprimere i gesti impulsivi, la corteccia cingolata anteriore (sulla fronte). E hanno esaminato l’attività di questo circuito neurale mentre i detenuti eseguivano dei semplici compiti decisionali e reprimevano reazioni impulsive. Il comportamento dei detenuti è stati poi seguito per i quattro anni successivi al rilascio. I ricercatori hanno trovato delle nette differenze nei profili di attivazione della corteccia che corrispondono alla condotta che i detenuti tengono una volta liberi. Quelli che commetteranno un nuovo reato presentano una attività ridotta nella corteccia cingolata. Anche se la tecnica è lungi dal divenire applicabile in ambito giudiziario, non può non richiamare alla mente la trama del film Minority Report dove i crimini erano puniti ancora prima di essere commessi perché predetti da un gruppo di sensitivi.