Perché una Carta delle pene e del carcere Il Mattino di Padova, 25 marzo 2013 Il 15 marzo a Regina Coeli è stata presentata la Carta delle pene e del carcere, codice deontologico per i giornalisti rivolto a chi scrive di imputati, condannati, detenuti, delle loro famiglie e del mondo carcerario in genere. La Carta nasce da una riflessione collettiva, maturata all’interno delle redazioni dei giornali delle carceri, tra coloro che fanno giornalismo in carcere e sul carcere. Da questo dibattito è emersa la necessità di “informare gli informatori”, che troppo spesso scrivono di carcere e di esecuzione penale ignorando cosa prevedono le leggi che regolano questa materia. La Carta afferma sostanzialmente che non è ammessa l’ignoranza della legge, e sono leggi quelle che consentono a un detenuto di accedere a benefici e misure alternative. Affermare che un detenuto che usufruisce di misure alternative “è tornato in libertà” è una notizia falsa e destituita di fondamento. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità, prevista dalla legge, per l’esecuzione della pena. La Carta invita a tenere presente che il reinserimento sociale è un passaggio complesso che dovrebbe avvenire gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono alle persone detenute l’accesso ai permessi premio, alla semilibertà, all’affidamento in prova ai servizi sociali, ma non in modo automatico, perché ogni volta c’è una decisione di un magistrato o del tribunale di Sorveglianza, che possono concedere o negare un permesso premio o una misura alternativa al carcere. Una cassetta degli attrezzi per i giornalisti che scrivono di carcere e pene Per chi, come la redazione di Ristretti Orizzonti, in questi anni ha visto nascere la Carta delle pene e del carcere si tratta comunque di una conquista importante, poiché la strada è stata lunga e piena di ostacoli. Che si doveva fare qualcosa per “rieducare” i giornalisti, era una necessità emersa sin dal 1999, quando con alcune redazioni di giornali delle carceri abbiamo iniziato una serie di incontri su questi temi. Dopo diversi seminari e convegni si era arrivati ad una prima bozza, presentata il 26 maggio del 2006 dentro la Casa di reclusione di Padova. L’occasione era la Giornata di Studi dal titolo “Dalle notizie da bar alle notizie da galera”. A spiegare il progetto erano stati i detenuti di Ristretti Orizzonti. Sin da subito il progetto aveva trovato l’interesse di alcuni Ordini regionali, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Lombardia. Tuttavia il percorso non è stato semplice. Fondamentale è risultato il coordinamento con altre redazioni di giornali in carcere, come “Sosta Forzata” di Piacenza e “Carte Bollate” di Milano. Dopo dibattiti, consultazioni e messe a punto del testo, si è arrivati così al 10 settembre del 2011, quando finalmente la Carta è stata presentata ufficialmente a Palazzo Marino a Milano, presente anche il sindaco, Giuliano Pisapia. Nel frattempo gli Ordini di Basilicata, Sicilia, Liguria, Toscana e Sardegna hanno adottato la Carta, e alla fine, il 13 marzo 2013, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti l’ha approvata. In tanti ora, finalmente, evidenziano la necessità di un codice deontologico che ponga dei limiti molto precisi all’invadenza di una informazione, spesso imprecisa nei confronti delle persone private della libertà e dei loro familiari. Sicuramente, da ora in poi i nuovi giornalisti, ma anche i “vecchi” che non sempre conoscono a fondo la materia dell’esecuzione della pena, non avranno più scuse. Dopo la Carta di Treviso che riguarda i minori, e la Carta di Roma che riguarda i rifugiati, i richiedenti asilo, le vittime della tratta e i migranti, la Carta delle pene e del carcere va ad arricchire quella “cassetta degli attrezzi” che il giornalismo ha a disposizione per svolgere il suo lavoro in modo più professionale, per fare un’informazione più sobria e pulita sui temi delle pene e del carcere. Definire degli indirizzi chiari, riguardanti il modo di trattare gli accusati o i condannati negli articoli, è necessario perché altrimenti chi fa informazione non rispetta il dettato costituzionale, che afferma con forza la finalità rieducativa della pena. La prossima tappa deve essere però, secondo le redazioni dei giornali delle carceri, l’introduzione nella Carta del diritto all’oblio. Una volta scontata la pena, l’ex detenuto che cerca di ritrovare un posto nella società non può infatti essere esposto all’infinito all’attenzione dei media che continuano a ricordare ai vicini di casa, al datore di lavoro, all’insegnante dei figli e ai loro compagni di scuola il suo passato. Possono essere ammesse eccezioni solo per quei fatti talmente gravi, per i quali l’interesse pubblico non viene mai meno. Il riconoscimento del diritto all’oblio è un passo importante perché dimostra la maturità di una società: se in nome del diritto all’informazione il peggio di una persona può venire raccontato pubblicamente, trovare il coraggio di riconoscere che quel racconto ad un certo punto può essere interrotto per non perseguitare la persona per il resto della sua vita, significa aver fatto un passo da gigante nel cammino della civiltà. Elton Kalica Diritto a essere dimenticati Nelle nostre discussioni in carcere, nella Redazione di Ristretti Orizzonti, molte volte parliamo del diritto a una corretta informazione, che vorremmo fosse rispettato da quei giornalisti che hanno il compito di “mettere su carta” le storie dei detenuti, quelli che in qualche modo hanno sbagliato e stanno però pagando una condanna con il carcere. Io sto scontando una pena per la detenzione di sostanze stupefacenti, e le pene in questo tipo di reato sono molto severe. Quello che però i giornalisti spesso sembrano non sapere è che dietro a tutto questo ci sta sempre una persona, che se in qualche modo è arrivata a delinquere, nel mio caso per la droga, è perché forse in quel momento la droga era l’unica cosa che la aiutava a mettere fine a una vita diventata insopportabilmente dolorosa. Certo loro devono dare la notizia, perché è il loro lavoro e quello che conta è vendere il giornale, però a volte qualcuno usa qualsiasi sistema pur di arrivare a scuotere l’opinione pubblica, senza avere nessun ritegno, non considerando quali conseguenze questo può provocare. Nel mio caso, pur essendo stato per anni uno che ha lavorato cercando di stare il più possibile nelle regole, certo ho sbagliato e devo pagare per il mio sbaglio, ma poi leggendo i giornali vedo che sono stato dipinto come il peggiore dei boss, perché, appunto, l’importante era vendere. Poi, dopo nove mesi di carcerazione per quel reato sono stato assolto e quindi rimesso in libertà. Subito ho cercato di far pubblicare una rettifica, perché la notizia data non aveva niente di vero. Con molta fatica e varie raccomandate mandate alla redazione del giornale che l’aveva pubblicata, mi sono state fatte delle scuse, scritte cosi in piccolo e in fondo al giornale che per leggerle mi ci è voluta una lente di ingrandimento. Un’altra cosa che vorrei evidenziare è che molte volte vediamo sui quotidiani delle notizie scritte con titoli a caratteri cubitali che dicono cose terribili, poi quando andiamo a leggere l’articolo ci rendiamo conto che il titolo non sempre riporta la verità dell’accaduto, ma al lettore la prima cosa che resta impressa è proprio il “titolone”, e cosi si invoglia la gente ad acquistare subito una copia. Noi tutti i giorni invece facciamo informazione dal carcere, tenendo i toni bassi e usando parole sobrie, per far conoscere una realtà scomoda per tutti, e che tanti vorrebbero tenere lontana dagli occhi, relegata all’estrema periferia delle nostre città. Ma proprio perché, al contrario, il carcere ci riguarda tutti, fare informazione per noi significa anche incontrare ogni settimana pazientemente i ragazzi delle scuole e raccontare la nostra esperienza per far sì che a loro non succeda mai di finire qui dentro, perché la prevenzione è la miglior cura possibile, anche rispetto a quella cattiva informazione, che fa credere che il mondo si divida in modo netto tra i “totalmente buoni” e gli “assolutamente cattivi”. Alain C. Giustizia: le cifre di un disastro e di un’ordinaria emergenza… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 25 marzo 2013 Nel Bel Paese, signora ministro dell’(In)giustizia, accade che un boss della camorra, Domenico Antonio Pagano, considerato uno dei capi del clan dei cosiddetti “Scissionisti” sottoposto a regime di 41-bis, quello di carcere duro e di massima sorveglianza, si sia impiccato. E che nella casa di reclusione di Opera vi sia un reparto di “carcere duro” non si ha difficoltà a crederlo; quanto alla “massima sorveglianza”, spontanea viene qualche domanda; che se si viene sorvegliati massimamente, come è potuto accadere che un detenuto - e per di più un boss, un elemento di spicco della criminalità organizzata campana - si sia potuto impiccare? E a prescindere dalla mancata sorveglianza, quando ci si è accorti del fatto? Quanto tempo è trascorso? Quando sono scattati i soccorsi, inutili evidentemente, e presumibilmente in gravissimo, e difficilmente giustificabile ritardo? E ancora: perché se il decesso è avvenuto il 17 marzo se ne è avuta notizia il 24, a funerale avvenuto? Forse - ed è certamente lavoro lungo e complesso, ma andrebbe fatto - si dovrebbe fare un censimento (macabro, ma necessario), dei detenuti mafiosi, camorristi, della ‘ndrangheta che in carcere si sono tolti la vita; e sapere le modalità del suicidio; in che carcere si trovavano, se - come è prevedibile - sottoposti al regime del 41-bis; e se si siano uccisi per l’intollerabile condizione di detenzione, o per una sorta di “riparazione”: perché responsabili, con errori e lacune, dell’arresto e dell’individuazione di altri mafiosi, di altri camorristi; ed eliminandosi, punendosi nel modo più definitivo, hanno così scongiurato altre “punizioni”, altre vendette nei confronti di congiunti e parenti. È insomma, quello delle morti all’interno del circuito del 41 bis, un capitolo tutto da scrivere. E chissà che scrivendolo non se ne abbiano delle sorprese. Al momento sappiamo che la frequenza dei suicidi tra i carcerati sottoposti al 41-bis è superiore a quella del resto della popolazione detenuta: circa il 3,5 per cento in più. In vigore da 21 anni, i casi di suicidio sono stati sicuramente 39. Per ora sottolineiamo il fatto che il ministero dell’(in)giustizia e il Dap, per quello che hanno potuto e saputo, hanno tenuto la notizia nascosta. E una ragione certamente ci dovrà essere. Nel bel paese, signora ministro dell’(in)giustizia, può accadere quello che viene denunciato dal sindacato di polizia penitenziaria Osapp: che nel carcere torinese delle Vallette ci siano 500 detenuti in più rispetto al numero di capienza massimo; e che trenta persone dormono per terra, e senza materassi, in locali privi di servizi igienici. I detenuti delle Vallette dovrebbero essere al massimo 1.050; sono in realtà 1.580. Nel bel paese, signora ministro dell’(in)giustizia, può accadere che la signora Maddalena Astucci, a proposito del carcere napoletano di Poggioreale descriva una realtà ben diversa da quella che il ministro ha riassunto, a termine di una sua visita: “Credevo peggio”; e chissà che peggio si aspettava e paventava… anche se è molto più probabile che, debitamente avvertiti, quel “peggio” glielo abbiano nascosto, e la signora ministro dell’(in)giustizia felicemente abbia voluto credere che quello che non vedeva non ci fosse. Poggioreale ospita 2.800 detenuti su una capienza massima di 1.600, costretti a vivere ogni giorno in celle sovraffollate, popolate da topi e scarafaggi, con bagni turchi in condizioni di degrado e perdite d’acqua dai soffitti. “Era estate e faceva caldo quando andai a trovare mio figlio. Enrico aveva la testa abbassata, non parlava. Pesava 40 chili e quel giorno aveva addosso due maglie, nonostante nella stanza dei colloqui si soffocasse. Le nocche delle mani erano nere, piene di ematomi. Prima di salutarlo riuscii ad alzargli la maglia: le guardie penitenziarie lo avevano massacrato con i manganelli e gli stracci bagnati, mio figlio era distrutto”, racconta Francesca Saccenti di “Lettera 43”, Maddalena Artucci, che ha scelto di denunciare il figlio tossicodipendente dopo le continue percosse e i furti in casa. Ma che ora, dopo aver visto il trattamento inumano a cui viene sottoposto, vorrebbe tanto fare un passo indietro. “Dopo aver tentato la strada dei Servizi per le tossicodipendenze(Sert) e delle Case famiglia”, racconta, “non sapevo cosa fare, avevo bisogno di salvarlo. Ho cercato in tutti i modi di fargli evitare il carcere, ma alla fine sono stata costretta a denunciarlo. Enrico entrava in casa e distruggeva tutto, cercava soldi in continuazione. Mi ha picchiato molte volte e una volta mi ha lesionato la milza. Annarita, la sorella piccola, si nascondeva in un angolo con le mani davanti agli occhi per non vedere”. Maddalena, per suo figlio, sperava in una riabilitazione umana. “Perché non insegnano ai ragazzi un lavoro? Perché non li fanno studiare?”. Divisa in 12 reparti, Poggioreale, costruito nel 1908, non ha al suo interno spazi di socialità: i passeggi sono quadrati di cemento senza panche o copertura. In carcere sono 930 i detenuti con sentenze passate in giudicato, 325 sono stranieri, mentre il 30% della popolazione detenuta è tossicodipendente. “La situazione è drammatica. In cella si arriva fino a 10-12 detenuti e con letti a castello fino a tre livelli”, spiega Mario Barone presidente di Antigone in Campania, “e con l’arrivo della calura estiva le cose peggiorano. D’estate, il sole entra nelle celle in maniera così prepotente che sono costretti a refrigerare la stanza con magliette bagnate. La contiguità fisica di fornelli e servizi igienici e il fatto che nella maggior parte dei padiglioni non c’è la doccia in cella fanno il resto”. Nel bel paese, accade, tra l’indifferenza dei più, che il Consiglio dei Ministri decida di prorogare di un altro anno gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, che a fine mese avrebbero dovuto essere chiusi per legge. La proroga significa “semplicemente” che lo Stato italiano ammette la sua impotenza, non sa, non riesce ad assicurare la necessaria assistenza ad appena 1.215 pazienti - che tanti risultano essere, al febbraio di quest’anno - i rinchiusi negli Opg. Da mesi gli operatori del settore ci avvertivano che la decisione della chiusura dei sei Opg esistenti in Italia, se non accompagnata dalla necessaria, indispensabile rete di assistenza nel territorio, era un salto nel buio. In un anno si riuscirà a fare quello che non si è saputo e voluto fare per tutto questo tempo? La “riforma” rischia di trasformarsi da una parte nell’ennesima mangiatoria, e, insieme, in una dolorosa occasione mancata, come a suo tempo fu la “legge Basaglia”, dallo stesso Basaglia rinnegata, frettolosamente varata unicamente per vanificare il referendum radicale. Giustizia: Severino; le carceri sono urgenza della legislatura, le Camere agiscano subito di Paolo Ferrario Avvenire, 25 marzo 2013 La situazione delle carceri e le condizioni di vita dei detenuti devono diventare una delle priorità in agenda di questa nuova legislatura. È l’auspicio del ministro della Giustizia, Paola Severino, che ne ha parlato ieri a margine del Forum giuridico Italia-Russia. La questione delle carceri, ha sottolineato la Guardasigilli, “deve ancora essere risolta e va affrontata con la massima urgenza”. Severino ne ha già parlato con i neopresidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso, “compiacendomi del fatto - ha aggiunto il ministro - che nei loro discorsi di insediamento ci fosse un riferimento diretto a questo tema”. Parlando con i giornalisti, il ministro Severino è ritornata anche sulla decisione del governo, assunta l’altro ieri in consiglio dei ministri, di prorogare di un anno la chiusura degli Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari. “Abbiamo lavorato moltissimo perché il provvedimento sugli Opg passasse dalla carta ai fatti - ha ricordato. Abbiamo i progetti, ora dobbiamo dare il tempo alle Regioni per adeguare le strutture, perché chiuderle e basta sarebbe semplicissimo ma non risolverebbe i problemi”. L’amministrazione della giustizia non riguarda, però, soltanto le carceri ma è anche una leva di sviluppo e competitività per il Paese. “Una giustizia affidabile - ha detto Severino intervenendo al Forum italo-russo - assicura certezza al rendimento degli investimenti e genera fiducia. Per questo - ha ricordato - abbiamo molto lavorato per ridurre la durata dei processi e per la informatizzazione degli uffici giudiziari. Abbiamo dato vita al Tribunale delle imprese, il cui scopo è proprio di agevolare ed accelerare la soluzione delle controversie di natura commerciale o attinenti agli investimenti, alle società di capitali e anche alla materia della “proprietà intellettuale”. Avremo così - ha concluso il ministro - una giustizia più rapida e una giurisprudenza uniforme e consolidata in materia di imprese, a tutto vantaggio dell’attività economica, che notoriamente ha bisogno di certezze”. Infine, la guardasigilli ha nuovamente manifestato “immensa gioia” per la visita che Papa Francesco farà, Giovedì Santo, al carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma. Questa visita, ha sottolineato, “dimostra che l’attenzione al carcere raggiunge tutti e in primo luogo un Papa, come Francesco, che, con la sua semplicità e amore per i più poveri e i più deboli, ha voluto compiere un gesto estremamente significativo”. Giustizia: Dap; risparmi budget grazie a una organizzazione più razionale dei servizi Comunicato Dap, 25 marzo 2013 Il comunicato del Sappe 24 marzo 2013, in tema di risparmi realizzati dall’Amministrazione Penitenziaria nell’anno 2012, pur riconoscendo, così come illustrato dal Capo del Dap in una recente occasione pubblica, che le spese di gestione hanno subito nel 2012 una significativa riduzione, tuttavia contiene una serie di imprecisioni che si è costretti a rettificare. I significativi risparmi, infatti, sono il risultato non di una politica di contrazione delle risorse destinate al Corpo di Polizia penitenziaria, bensì di una organizzazione più razionale dei servizi, dovuta alla capacità di gestione e alla competenza professionale della Amministrazione, a cominciare dalle componenti della Polizia penitenziaria stessa sia a livello centrale, sia nei singoli comandi territoriali nei quali si articolano i Reparti detentivi e i Nuclei Traduzione. Ciò ha comportato una riduzione dei costi attraverso, ad esempio, la obbligatorietà della fruizione delle strutture dell’Amministrazione nel corso delle trasferte. Altre lodevoli economie sono conseguite alla revisione delle procedure contrattuali e di gara per le forniture pubbliche che hanno generato i risparmi riferiti dal Capo del Dipartimento. Per ciò che attiene agli autoveicoli, il Dipartimento ha più volte precisato che gli ultimi acquisti risalgono all’anno 2011; da allora, nessun autoveicolo è stato successivamente acquistato e men che meno veicoli di grossa cilindrata. Infine, il cappellano cui fa riferimento la nota del Sappe utilizza il veicolo dell’Amministrazione per esigenze di ufficio. Ogni altra notizia è completamente destituita di fondamento. Giustizia: Boldrini (Presidente Camera); carceri tema da affrontare urgentemente Italpress, 25 marzo 2013 “Il livello di civiltà di un Paese si misura anche dalle condizioni delle sue carceri. Noi siamo anche stati condannati dall’Europa per le condizioni delle nostre. Bisognerà quanto prima dare una risposta adeguata a questo problema, anche insistendo sulle misure alternative. Sono troppi anni che in Italia si rimanda il tema di una riforma carceraria. Se ci lasceranno lavorare dovremo affrontare con urgenza questo problema”. Lo ha detto, nel corso della trasmissione televisiva “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, il presidente della Camera Laura Boldrini. Patriarca: ok Boldrini, ora pene alternative “La Presidente Boldrini fa bene a chiedere che si faccia una riforma del sistema carcerario. Il sovraffollamento lo si combatte in primo luogo con le pene alternative”. Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca. “Le priorità di questa legislatura non siano solo le riforme istituzionali o l’economia - continua Patriarca - D’altronde la stessa Ue ci ha più volte condannati per lo stato delle nostre carceri”. Giustizia: Manconi (Pd); ddl per “numero chiuso” nelle carceri, contro sovraffollamento Agi, 25 marzo 2013 Contro l’emergenza del sovraffollamento nelle carceri il senatore del Pd Luigi Manconi ha presentato un disegno di legge per il cosiddetto “numero chiuso”. “Se la struttura penitenziaria territorialmente competente risultasse sovraffollata, il detenuto - spiega Manconi - verrebbe iscritto in una lista d’attesa e sconterebbe la pena in carcere solo quando le condizioni di vivibilità fossero ristabilite. Nel frattempo verrebbe sottoposto alla detenzione domiciliare. Si tratta di un provvedimento ragionevole, già assunto da altri stati democratici”. “È del 2009 - ricorda Manconi - la prima condanna inflitta della Commissione europea per i diritti dell’uomo all’Italia a causa delle condizioni di vita all’interno delle carceri. L’Italia è stata condannata perché un detenuto, Izet Sulejmanovic, si è trovato costretto per lungo tempo durante la sua carcerazione a vivere in uno spazio al di sotto dei tre metri quadrati. E questo, per la Cedu, si configura come trattamento inumano e degradante. Recentemente - prosegue - i tribunali di sorveglianza di Venezia e Monza si sono trovati a decidere su una richiesta presentata da due detenuti che chiedevano un differimento della pena per il grave sovraffollamento degli istituti a cui erano destinati, cosa che li avrebbe costretti a una detenzione crudele”. “I due tribunali - sottolinea Manconi - hanno sollevato una eccezione di costituzionalità a proposito dell’articolo 147 del codice penale che disciplina i casi in cui il differimento della pena può essere concesso. Si prospetta, infatti, che la pena possa essere differita anche quando le condizioni in cui la si dovrebbe scontare sono contrarie al senso di umanità. È sulla scorta di queste due importanti decisioni dei tribunali di sorveglianza, che oggi ho presentato un disegno di legge destinato a introdurre il cosiddetto numero chiuso”, conclude il senatore Pd. Sappe: numero chiuso nostra proposta di 7 anni fa “Ci fa piacere constatare che, a distanza di 7 anni dalla proposta lanciata dal sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe il 20 dicembre 2007, il parlamentare del Pd Luigi Manconi se ne sia appropriato e abbia presentato oggi un disegno di legge destinato a introdurre nelle carceri il cosiddetto numero chiuso. Lo sottolinea in una nota Donato Capece, segretario generale del Sappe, che invita Manconi a “risparmiarci la demagogia”. “Se l’avesse fatto prima, ad esempio dal 2006 al 2008 quando era sottosegretario alla Giustizia, probabilmente le carceri italiane non sarebbero arrivate al grado di sovraffollamento e di inciviltà in cui ci troviamo oggi. Se le carceri sono nell’attuale situazione di sovraffollamento - denuncia Capece - è anche per lui, da sottosegretario alla Giustizia, ha fatto poco o nulla di concreto per il sistema penitenziario: avesse pensato meno all’indulto e più a una riforma strutturale dell’esecuzione della pena non saremmo dove siamo”. “Luigi Manconi, da sottosegretario, è stato il responsabile della mancata programmazione da parte del ministero della Giustizia (e quindi del Governo) dei necessari interventi strutturali per il sistema carcere che dovevano essere adottati contestualmente all’approvazione dell’indulto, chiesti anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano - ricorda Capece. Noi arrivammo a chiedere all’allora ministro guardasigilli di avocare a sé la delega conferita a Manconi sulle questioni di pertinenza dell’Amministrazione penitenziaria, visto che ha sembrato farne un uso disinvolto, tutto a favore dei detenuti (ad esempio quando appoggiò iniziativa formative assurde come i corsi di boxe per detenuti) e senza alcun atto concreto sulle importanti questioni attinenti al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria”. Giustizia: Psichiatria Democratica contraria alla proroga della chiusura degli Opg Comunicato stampa, 25 marzo 2013 Per quanto non ancora disponibile il testo completo del decreto ministeriale che proroga al 1° aprile 2014 la chiusura degli Opg, questo provvedimento non può che incontrare la contrarietà assoluta di Psichiatria Democratica che da anni, e con proposte concrete, si batte per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Non possiamo condividere quanto si legge nella sintesi del comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 73 del 21.03.2013 - “Viene prorogata al 1° aprile 2014 la chiusura degli Opg in attesa della realizzazione da parte delle Regioni delle strutture sanitarie sostitutive. Nel decreto si sollecitano le Regioni a prevedere interventi che comunque supportino l’adozione da parte dei magistrati di misure alternative all’internamento, potenziando i servizi di salute mentale sul territorio. Si prevede, in caso di inadempienza, un unico commissario per tutte le Regioni per le quali si rendono necessari gli interventi sostitutivi” - né ci rassicura l’affermazione del Ministro Balduzzi che (questa volta!) si procederà al commissariamento delle regioni inadempienti la scadenza. Vogliamo ricordare al Ministro che le Regioni hanno avuto tutto il tempo per affrontare il tema della chiusura degli Opg che si è posto fin dal Dpcm del 1.4.2008 (!) e che la “minaccia” di commissariamento, già prevista nella legge del 17.2.2012, non è stata un sufficiente deterrente per accelerare i processi di competenza né delle Regioni né degli uffici ministeriali che hanno colpevolmente ritardato di mesi l’emanazione del regolamento sulle strutture alternative all’opg, fornendo un comodo alibi all’inerzia regionale. Non vi è quindi nessuna garanzia che la proroga non rappresenti, semplicemente, una dilazione e che alla sua scadenza non ci si ritrovi nelle stesse condizioni odierne. Giova ricordare quanto successo per la chiusura degli ospedali psichiatrici dopo l’approvazione della legge 180/78: di proroga in proroga la data per l’effettiva chiusura è slittata fino al 1996 quando nella legge finanziaria - dopo pressioni continue di Psichiatria Democratica - furono stabilite sanzioni, in termini di trasferimento di risorse, per le Regioni inadempienti col risultato che la definitiva chiusura dei manicomi fu completata solo nel 1999. Psichiatria Democratica chiede quindi che in sede di approvazione del decreto vengano introdotte analoghe sanzioni che prevedano, oltre al commissariamento, la penalizzazione delle regioni inadempienti con tagli al trasferimento dei fondi sanitari da parte dello Stato. Nel frattempo devono essere dimessi, a cura dei Dipartimenti di Salute Mentale di competenza, tutti gli internati ancora in regime di proroga per i quali devono essere utilizzate, ove necessario, le strutture residenziali già esistenti (in Italia sono stati censiti oltre 18000 posti residenziali psichiatrici!) senza aspettare la creazione di nuove “strutture” che comporterebbero una neo-istituzionalizzazione degli attuali internati perpetuandone l’attuale emarginazione. Solo in questo modo si eviterà che la chiusura degli Opg si traduca unicamente nel moltiplicarsi di strutture neo-manicomiali tra cui suddividere gli attuali internati, strutture che assorbiranno tutti i finanziamenti previsti dalla legge senza che rimangano risorse per formulare, per ciascuno di loro, un reale e credibile progetto terapeutico individuale. Purtroppo i segnali che provengono dalle Regioni nel loro complesso, quelle sedi di Opg e quelle che devono accogliere i loro internati attuali e quelli futuri, vanno nel senso di individuare strutture, spesso con un numero di posti letto addirittura superiore alle necessità attuali e con già ipotizzati accorpamenti di più moduli di 20 posti nella stessa sede. Si riprodurrà e moltiplicherà, in questo modo, su tutto il territorio nazionale il modello di Castiglione delle Stiviere (spesso richiamato dai commentatori) che, per quanto da sempre a gestione interamente sanitaria, rappresenta un modello manicomiale non solo contrario alla legge 180/78, ma anche allo spirito e alla lettera della legge 9/12 che prevede una restituzione ai territori di competenza anche dei pazienti psichiatrici autori di reato. Senza questa attenzione viene vanificato anche l’auspicio del Ministro alla Magistratura di Sorveglianza per l’adozione da parte dei magistrati di misure alternative all’internamento: essendo intervenuta la legge in regime di costanza legislativa, in attesa di auspicabili modifiche dei codici in tema di imputabilità e misura di sicurezza, l’unica vera urgenza regionale è l’individuazione della struttura in grado di accogliere gli eventuali invii da parte del magistrato dei soggetti per i quali non ritenga applicabile una misura alternativa e oggi destinati all’Opg. Giustizia: Balduzzi; commissario strutture detenuti psichiatrici se non rispetto tempi Il Velino, 25 marzo 2013 Il ministro parla della proroga di un anno della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. "Si sapeva che sarebbe stato difficile rispettare la tempistica iniziale della legge, ma il processo ormai e' irreversibile, si tratta di dare alle regioni i tempi giusti e incentivarle" lo ha detto il ministro della Salute Renato Balduzzi a Prima di tutto, su Rai Radio 1 in merito alla proroga di un anno della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, e ha aggiunto: "Ora che abbiamo regolamento e finanziamenti per le strutture, e' tutto a posto, le nuove strutture che sostituiranno gli ospedali psichiatrici giudiziari dovranno anche avere percorsi di riabilitazione e misure alternative a quella che finora e' stata la detenzione, dove non si rispettassero i tempi stabiliti scattera' il commissariamento in capo ad un unico commissario, altra novita' del decreto legge", sui tempi di attuazione il ministro si e' dimostrato ottimista: "Possiamo essere ragionevolmente ottimisti in questa lunga e annosa vicenda che i tempi possano essere rispettati. E' importante farlo in tutte le regione e ristabilire una dignita' della salute". Giustizia: Pannella in sciopero della fame per l’amnistia, 5 giorni di nonviolenza e digiuno Notizie Radicali, 25 marzo 2013 Marco Pannella ha iniziato dalla mezzanotte del 20 marzo uno sciopero della fame per incoraggiare e rafforzare lo “Stato” a rispettare la sua propria legalità, gli impegni presi, la parola data. Una forma di dialogo per trasmettere - attraverso il proprio indebolimento fisico - energia e forza alle istituzioni affinché facciano ciò che devono per rispettare le leggi, i propri annunci, le proprie dichiarazioni. Entro dieci mesi - due sono già passati invano - l’Italia deve aver rimosso le cause strutturali che determinano i trattamenti disumani e degradanti negli istituti penitenziari, così come ha richiesto l’8 gennaio scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Chi individua - come Marco Pannella e i radicali - nell’amnistia l’unica riforma immediatamente disponibile per rimuovere quelle cause e per determinare le condizioni per la riforma della giustizia oggi annientata da milioni di procedimenti penali e cause civili pendenti, cerca di parlare con il metodo della nonviolenza a chi - magari pur volendolo - non è riuscito finora a creare le condizioni per il rientro rapido nella legalità costituzionale italiana ed europea. L’iniziativa punta a coinvolgere tutto quel mondo penitenziario - dai detenuti e i loro familiari, a chi dentro il carcere ci lavora o fa volontariato - oggi vittima della sopraffazione della legge da parte di quelle istituzioni che, invece, sono chiamate per prime a farla vivere e rispettare. A tutti e a ciascuno di loro, a tutti coloro che hanno votato le Liste Amnistia Giustizia Libertà, si propongono 5 giorni di nonviolenza e di digiuno per arrivare al cuore dello Stato. 5 giorni che inizieranno dalla mezzanotte di domenica 24 marzo e si concluderanno alla mezzanotte di venerdì 29 marzo così da essere uniti, nell’ultimo giorno, a tutta la comunità cristiana che prevede proprio il digiuno nella ritualità del giorno che ricorda la passione di Gesù. Marco Pannella e i radicali sono però convinti che senza informazione, comunicazione e dibattito pubblico è impossibile raggiungere il cuore delle istituzioni e per questo individuano come primo imprescindibile obiettivo della loro iniziativa nonviolenta l’attuazione delle numerose (50!) delibere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che nel corso degli ultimi hanno riconosciuto la fondatezza delle denunce radicali. In particolare, il 2 agosto scorso, l’Agcom ha “ordinato” (senza ottenere alcunché) alla Rai Tv di “assicurare la trattazione delle iniziative intraprese dai radicali e dal loro leader Marco Pannella sul sovraffollamento delle carceri in programmi di approfondimento che, per congrua durata e orario di programmazione, risultano maggiormente idonei a concorrere adeguatamente alla formazione di un’opinione pubblica consapevole su temi di attualità di rilevante interesse politico e sociale, entro il termine di quattro mesi a decorrere dal mese di settembre 2012”. Radicali Lucani: nuovo sciopero fame per amnistia Il segretario dei Radicali Lucani, Maurizio Bolognetti, ha annunciato che il 29 marzo, Venerdì Santo, attuerà un nuovo sciopero della fame nell’ambito della “battaglia in difesa della civiltà giuridica” dell’Italia, in particolare in riferimento alla situazione delle carceri. In una nota, Bolognetti ha detto di aver aderito alla protesta avviata di nuovo dal leader dei Radicali italiani, Marco Pannella: “Noi - ha aggiunto Bolognetti - torniamo a rivolgerci alle massime cariche istituzionali lucane, a cominciare dal presidente della Regione e dal presidente della Conferenza episcopale lucana, affinché, e nuovamente, levino la loro voce a sostegno del diritto e dei diritti negati”. Giustizia: caso Rizzoli; la procura di Roma dà l’ok agli arresti domiciliari Ansa, 25 marzo 2013 Via libera della procura di Roma alla concessione degli arresti domiciliari ad Angelo Rizzoli. L’imprenditore, affetto da una grave forma di sclerosi, è detenuto presso il reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. Il mattinata il ministro Paola Severino, stando a quanto si è appreso, attraverso l’ispettorato del suo dicastero, aveva disposto che venissero acquisiti tutti i provvedimenti riguardanti lo stato di detenzione di Rizzoli per avviare una serie di verifiche preliminari. Pochi giorni fa era stato il senatore del Pdl, Sandro Bondi, a sollecitare, con due lettere, una al Guardasigilli e un’altra al vicepresidente del Csm, Michele Vietti, un intervento delle istituzioni sulla vicenda. Secondo i pm di Roma Giorgio Orano e Francesco Ciardi l’imprenditore Angelo Rizzoli “ha prodotto una memoria difensiva con la quale rivede le precedenti dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, dando una versione dei fatti più aderente alle emergenze istruttorie a alla ricostruzione operata dalla procura, oltre a rappresentare elementi nuovi che saranno oggetto di apposite verifiche”. A Rizzoli fu notificata l’ordinanza di arresto in carcere il 14 febbraio scorso. Per le sue precarie condizioni di salute fu disposto il trasferimento nel reparto protetto del Sandro Pertini. I pm Giorgio Orano e Francesco Ciardi, titolari dell’inchiesta giudiziaria, hanno dato parere favorevole alla sostituzione della misura della detenzione in carcere con quella meno afflittiva degli arresti presso il domicilio. Verini (Pd): domiciliari notizia buona giustizia “Il parere favorevole della Procura di Roma alla concessione degli arresti domiciliari ad Angelo Rizzoli è una notizia di buona giustizia. Non era concepibile, non era umano che a un detenuto in quelle condizioni di salute venisse negata la detenzione nella sua casa”. Lo dichiara il deputato del Partito democratico Walter Verini. “Agli appelli che in questi giorni si sono levati (tra cui quello di Ilaria Cucchi) e che noi stessi abbiamo proposto all’aula della Camera dei Deputati, hanno fatto riscontro la sensibilità del Presidente della Camera e quella del Ministro della Giustizia Severino fino al pronunciamento odierno della Procura. Mi auguro che sia un esempio in grado di rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia e nella magistratura davanti a troppe storture esistenti e in presenza di un sistema carcerario troppo spesso non degno di un paese civile”, conclude. Severino: verifiche ispettori su detenzione Il ministero della Giustizia si occuperà di Angelo Rizzoli, l’ex editore destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nonostante sia in condizioni di salute molto precarie. Il ministro Paola Severino, stando a quanto si è appreso, attraverso l’ispettorato del suo dicastero, ha disposto che vengano acquisiti tutti i provvedimenti riguardanti lo stato di detenzione di Rizzoli per avviare una serie di verifiche preliminari. Pochi giorni fa era stato il senatore del Pdl, Sandro Bondi, a sollecitare, con due lettere, una al Guardasigilli e un’altra al vicepresidente del Csm, Michele Vietti, un intervento delle istituzioni sulla vicenda. La decisione del ministro segue a una serie di richieste e lettere che le sono pervenute rispetto alla vicenda di Angelo Rizzoli, e tra queste quella del coordinatore del Pdl, Sandro Bondi, che nei giorni scorsi ha scritto sia alla Severino che al vice presidente del Csm, Miche Vietti. L’imprenditore e produttore cinematografico è stato arrestato lo scorso 14 febbraio con l’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. Affetto da una forma di sclerosi a placche, per ragioni di salute era stato trasferito nel reparto protetto dell’ospedale Pertini. Ma l’8 marzo il Riesame ha rigettato le istanze dei suoi difensori e ha stabilito che l’imprenditore dovesse andare in carcere. Nato a Como nel 1943, Rizzoli ha 70 anni. Visto il suo cattivo stato di salute, il Guardasigilli ha chiesto ora di avere chiarimenti sulla detenzione. Lettere: sciopero della Messa di Pasqua degli uomini ombra… di Carmelo Musumeci (detenuto a Padova) Ristretti Orizzonti, 25 marzo 2013 Lettera aperta a Don Oreste Benzi (in cielo dal 2007) fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. Per conoscenza a Don Gallo, Don Ciotti, Don Mazzi (primi firmatari di una proposta di iniziativa popolare per l’abolizione dell’ergastolo sul sito www.carmelomusumeci.com) Chi tace sull’ingiustizia, ne diventa complice. La forza dei malvagi è il silenzio degli onesti; la forza dei malvagi è la debolezza dei cristiani. E tu qualche volta sei appartenuto a “questi onesti”? Ci appartieni anche ora? (“I Fioretti del Don” di F. Lambiasi - Ed Il Ponte). Don Oreste, nonostante le numerose iniziative, appelli, le lettere, le firme raccolte e le numerose adesioni di persone importanti, come Margherita Hack, Umberto Veronesi, Agnese Moro e Bianca Berlinguer, ma anche di tanti uomini e donne di Chiesa, contro l’esistenza in Italia della “Pena di Morte Viva”, l’ergastolo senza benefici, nulla è cambiato. E i buoni, nonostante che siano trascorsi dalle nostre condanne venti, trenta e più anni, non sono ancora sazi e continuano a torturarci l’anima, il cuore e la mente. In questi giorni mi sono domandato che altro possiamo fare per attirare l’attenzione, sensibilizzare l’opinione pubblica, per fare capire ai buoni che ricambiare male con altro male, (murare viva una persona senza neppure la compassione di ucciderla) fa sentire innocente qualsiasi criminale. Don Oreste, ognuno combatte con le armi che ha ed ho pensato di proporre a tutti gli uomini ombra, sparsi nelle nostre Patrie Galere, lo sciopero della messa di Pasqua, perché per noi, almeno su questa terra, non ci sarà mai resurrezione. Che cosa abbiamo noi da spartire con questa festa? Tanto vale non festeggiarla, è una presa in giro per noi... Lo so, non sarai sicuramente d’accordo, non lo è neppure il mio compagno Ignazio che è di fronte alla mia cella, che non si perde mai una messa, ma che altro possiamo fare per tentare di cambiare il cuore della società civile, dei giudici, dei politici e degli uomini di chiesa, che spesso si occupano solo delle nostre anime e non dei nostri sogni e speranze? Don Oreste, è da pazzi giudicare un uomo o una donna colpevole per il resto della sua vita e, a parte l’errore, è un orrore. Molti di noi sono diventati uomini nuovi, perché continuano a punirci? Che c’entriamo noi con quelli che eravamo prima? Don Oreste, dall’ultima volta che ti ho visto nel carcere di Spoleto, quando ti schierasti dalla parte dei più cattivi (prima di te lo aveva fatto solo Gesù) mi manchi, ma perché te ne sei andato così presto in cielo? Potevi rimanere ancora un poco su questa terra per darci una mano ad abolire la “Pena di Morte Viva” in Italia. Ora ci sentiamo più soli. Diglielo tu a Dio, io non ho il coraggio (e poi sono anche ateo) che gli uomini ombra per Pasqua non andranno a messa. Don Oreste, guarda cosa puoi fare da lassù perché stiamo invecchiando e non abbiamo più tempo. Siamo disperati, molti di noi (siamo già quasi in 300 che hanno aderito) a settembre sono pronti anche per uno sciopero della fame: non ci resta che la nostra vita per cercare di ritornare nel mondo dei vivi e lotteremo con quella. Don Oreste, è dura vivere nell’ombra ed è per questo che gli uomini ombra non festeggeranno la Pasqua. Perdonaci almeno tu se puoi. Il mio cuore ti manda un abbraccio fra le sbarre. Milano: suicida nel carcere di Opera, Domenico Antonio Pagano, il boss “scissionista” di Dario Del Porto La Repubblica, 25 marzo 2013 Doveva scontare 20 anni di carcere duro: Domenico Antonio Pagano, 46 anni, uno dei capi degli “scissionisti”, clan protagonista della faida di Scampia, si è impiccato nel carcere di Opera, a Milano. Un’inchiesta farà luce sull’episodio. Era detenuto in regime di 41 bis, fu catturato nel febbraio del 2011 a Cicciano. Il 15 marzo scorso è stato trovato dagli agenti di polizia penitenziaria in fin di vita impiccato alle sbarre della sua cella. Aveva tentato di uccidersi almeno altre due volte. E il 15 marzo scorso, quando un agente di polizia penitenziaria lo ha soccorso mentre penzolava dalle sbarre della cella milanese di Opera, per Domenico Antonio Pagano, 46 anni, considerato uno dei capi degli Scissionisti di Secondigliano, non c’è stato nulla da fare. Nonostante il trasferimento in ospedale, Pagano è morto alcuni giorni più tardi. Sull’episodio, riferisce l’associazione “Ristretti Orizzonti”, “è stata aperta un’inchiesta. Da inizio marzo è il sesto suicidio nelle carceri italiani, altri tre detenuti sono deceduti per cause in corso di accertamento”, si legge in una nota. Domenico Pagano, fratello di Cesare, ritenuto il padrino della cosca, era detenuto dal 17 febbraio 2011, quando fu arrestato dalla polizia dopo dieci mesi di latitanza. Da allora è rimasto sempre in regime di carcere duro in virtù della condanna, non ancora definitiva, a diciotto anni di reclusione per associazione camorristica e droga. A Opera era arrivato dopo l’estate proveniente da Novara. Aveva già tentato di togliersi la vita, in un caso ingerendo farmaci. Per questa ragione i suoi legali avevano valutato la compatibilità tra le condizioni psicologiche dell’imputato e le stringenti disposizioni dell’articolo 41 bis. Un paio di mesi fa la Corte di Appello aveva chiesto a due esperti di svolgere accertamenti che, secondo quanto riferito da fonti della difesa, avrebbero concluso per l’incompatibilità con il regime del carcere duro. La foto più celebre ritrae Domenico Pagano in un ristorante con il calciatore slovacco del Napoli Marek Hamsik, ignaro della reale identità di quel tifoso che, come tanti ogni giorno, aveva chiesto uno scatto accanto al suo beniamino. L’immagine sarà poi ritrovata in un covo degli Scissionisti insieme a quella di altri calciatori. Un cimelio, per gli esponenti della famiglia malavitosa che ha creato un impero con il commercio di droga nella periferia settentrionale di Napoli. Gorizia: Cosma (Fli); notizia chiusura carcere beffa, pronto bando per Garante detenuti Il Piccolo, 25 marzo 2013 Sul futuro del carcere goriziano interviene a gamba tesa anche il consigliere provinciale Stefano Cosma (Fli) che lo scorso anno si era fatto promotore dell’istituzione del garante per i diritti dei detenuti. “A breve la Provincia pubblicherà il bando per permettere ai cittadini di presentare le candidature alla carica di “Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà personale” e sarebbe una vera beffa - afferma Cosma - che, con i lavori di riqualificazione della casa circondariale ormai imminenti, si pensi a chiudere tale struttura. L’altra beffa è quella che mette in campo Romoli quando dice di essere sconcertato e che andrà a parlarne con il Procuratore della Repubblica. Un anno fa c’erano i fondi per realizzare un carcere nuovo nell’ex caserma “Pecorari” di Lucinico e proprio Ettore Romoli disse che Gorizia non aveva bisogno di strutture che “deturpano il territorio”, senza pensare invece alle positive ricadute occupazionali. Ciò che sconcerta me e tanti cittadini è che agli occhi di una certa casta politica l’ascensore per il Castello o il multisala di Villesse non sembrano deturpare il territorio, ma il carcere da 200 detenuti che sarebbe stato un valido riutilizzo di una caserma dismessa, invece sì. E lo ha affermato lo stesso “primo cittadino” che poco più di un mese fa organizzava una sfilata pseudo-carnascialesca per protestare contro la chiusura della Brigata “Pozzuolo” e della caserma “Guella”, con il conseguente abbandono di altri edifici del demanio militare”. Aggiunge Cosma: “Non credo che abbia detto no al carcere a Lucinico per tutelare da chissà cosa quella comunità, visto che negli stessi mesi ne ha soppresso il Consiglio di quartiere”, afferma sconsolato Cosma che nella campagna elettorale per le regionali (come altri dell’area montiana) sosterrà Debora Serracchiani. “Lo faccio per impedire che Tondo ritorni a (mal)governare questa regione e a distruggere l’Isontino”, dichiara senza mezzi termini, mentre garantisce che sul destino del carcere sentirà Enrico Sbriglia, fino a pochi mesi fa segretario nazionale del Sindacato dei direttori penitenziari. Pavia: manca personale, l’inaugurazione della nuova ala del carcere slitta ancora di Anna Ghezzi La Provincia Pavese, 25 marzo 2013 Due anni fa l’annuncio: il cantiere del nuovo padiglione del carcere di Torre del Gallo sarà chiuso nei primi mesi del 2012 permetterà di avere 300 nuovi posti. Poi lo slittamento a settembre 2012, annunciato ai primi di luglio dell’anno scorso. Ma la scadenza per il trasloco si allontana di nuovo. “Ci hanno comunicato che l’apertura del padiglione prevista per aprile slitterà a giugno. E temiamo che sarà rimandata poi a settembre”, spiega Fabio Catalano, della Cgil Funzione pubblica. Tra i motivi dello slittamento dei termini c’è anche l’assegnazione dei nuovi agenti di polizia penitenziaria. “Il corso finisce a luglio, le assegnazioni saranno ad agosto - riprende Catalano - ma al momento non si sa con precisione quanti ne arriveranno in Regione, dei 450 iscritti, né a Pavia”. Qualche tempo fa si era parlato di 20 agenti per sopperire alle esigenze della nuova ala del carcere e alle carenze croniche degli agenti in forza al carcere già esistente. I lavori della nuova ala che si staglia proprio davanti al centro commerciale Carrefour sono ultimati, a giugno potrebbero essere spostate le prime sezioni nel nuovo padiglione. “Nel vecchio carcere - spiega Catalano - dovrebbero restare i detenuti comuni, in quello nuovo i protetti e quelli in regime ad alta sicurezza”. Torre del Gallo era stato inaugurato nel 1992 e contiene sezioni per i detenuti comuni e 100 posti per l’alta sicurezza. Le celle, grandi poco più dello stallo di un parcheggio per le auto, ospitano due letti e, all’occorrenza, anche una branda pieghevole: si sono toccate punte fino a 500 detenuti, la struttura è tarata per accoglierne 244. Per alleviare i disagi l’anno scorso la direzione, attenta anche a creare una rete di associazioni che frequentino il carcere in un’ottica di reinserimento e recupero, aveva avviato il progetto “celle aperte” in alcune sezioni. Anche in provincia partirà il progetto “Circuiti regionali” che prevede differenziazione degli istituti penitenziari sulla base della tipologia del detenuto, la sua pericolosità e la sua posizione giuridica, prevedendo una sorta di regime aperto, con la possibilità per i detenuti di media sicurezza di passare il tempo in spazi comuni per la socializzazione e la possibilità per i reclusi di vivere in un carcere vicino alla famiglia. Gli istituti di Pavia col polo psichiatrico e Vigevano (dove resta l’alta sicurezza femminile) saranno destinati alla media sicurezza, mentre il carcere di Voghera sarà adibito ad alta sicurezza con una piccola sezione a media sicurezza. Sassari: Cappellano carcere; lavoratori diventano spacciatori droga per colpa crisi Redattore Sociale, 25 marzo 2013 La denuncia di don Gateano Galia, salesiano, cappellano del carcere di San Sebastiano a Sassari: "Mi capita di incontrare gente che finisce in carcere dopo aver fatto un viaggio in Spagna per portare la droga in Sardegna perche' schiacciata dai debiti" "Impresari e lavoratori oppressi dalla crisi: per pagare i debiti accettano di trasportare un carico di droga e, molto spesso, sono quelli che vengono presi". Parla con voce compassionevole don Gateano Galia, salesiano, cappellano del carcere di San Sebastiano a Sassari, circa 140 detenuti contro una capienza massima di 90, e direttore della Caritas. A margine del convegno organizzato alla comunita' "La Collina", per la raccolta firme sulle proposte di legge per droga, carceri e torture, il sacerdote che lavora nel penitenziario sassarese racconta l'altra faccia della crisi, quella che sprofonda le persone nella disperazione e avvantaggia la criminalita'. "Negli ultimi tempi - ha svelato il sacerdote - mi capita di incontrare impresari, lavoratori, insomma gente come noi che finisce in carcere dopo averfattodei viaggi in Spagna per portare in Sardegna la droga, perche' schiacciata dai debiti e dalla crisi". Descrivendo la fotografia del penitenziario sassarese, il salesiano ha poi detto di aver trovato - tra i detenuti - un terzo di tossicodipendenti, un terzo di immigrati ed il restante di persone con problemi psichici di forti depressioni e ansie. "San Sebastiano arriva da una brutta storia di torture - ha spiegato Galia, riferendosi ad una vicenda del 2000 di presunti pestaggi su detenuti - ma non basta allargare le celle, creare nuove strutture, serve cambiare l'idea di pena. Non e' giusto, come avvenuto di recente ad un ragazzo che ho conosciuto, che una persona dopo otto anni di lavoro, ottenuto un contratto a tempo indeterminato e ricostruita a fatica la propria vita dopo la droga, venga riportato in carcere a causa della legge sulla recidiva. Ha tentato tre volte il suicidio". Dell'emergenza carceraria in Sardegna ha parlato anche don Ettore Cannavera, fondatore della comunita' "La Collina" di Serdiana che ha sintetizzato coi numeri l'emergenza carceraria. "Il 70 per cento di chi finisce in cella - assicura Cannavera - diventa poi recidivo. Ma questa percentuale scende al 10 per cento quando si usano misure alternative. La sanzione detentiva, soprattutto per i minori, non puo' essere piu' la risposta". Lamezia: Uil-Pa; se carcere deve chiudere, istituire Commissariato Polizia penitenziaria 9Colonne, 25 marzo 2013 Preso atto della decisione del Ministero della Giustizia, ufficializzata già il 29 gennaio 2013 e confermata da ultimo il 21, di dismettere la Casa Circondariale di Lamezia Terme ed in riferimento alle indiscrezioni secondo le quali sarebbe in corso di perfezionamento il previsto decreto ministeriale, la Uil-Pa Penitenziari ha proposto al Dap l’istituzione in città di una struttura operativa e di supporto della Polizia penitenziaria. A riferirlo è Gennarino De Fazio, Segretario Nazionale del sindacato, che spiega: “la Uil-Pa Penitenziari è fermamente convinta che un territorio come quello lametino, per una serie infinita di ragioni, non possa privarsi dell’istituzione penitenziaria che andrebbe, però, ripensata mediante l’edificazione di un nuovo carcere. Purtroppo, al di là di blande e poco credibili dichiarazioni di facciata, non pare che vi sia questo tipo di volontà politica. Allora abbiamo pensato che, sia per salvaguardare un presidio di sicurezza sia per garantire gli operatori in servizio presso il carcere lametino e che perderebbero la sede, ma soprattutto per non far elevare all’ennesima potenza i costi per la collettività, sarebbe quanto mai opportuna l’istituzione in loco di una struttura operativa della Polizia penitenziaria, se del caso guidata da un Commissario, da allocare in un edificio di proprietà pubblica, magari confiscato alla ndrangheta”. “Del resto - prosegue il sindacalista - l’occasione è assai propizia atteso che è da poco stato pubblicato un decreto ministeriale che assegna ai Provveditori regionali 90 giorni di tempo per formulare proposte anche al fine di prevedere questo tipo di articolazioni, con possibilità di stipulare specifiche convenzioni anche con enti pubblici e privati. Non farlo, considerate pure la vastità e la peculiarità del territorio lametino e del suo hinterland, una volta chiuso il carcere, significherebbe dover inviare quotidianamente uomini e mezzi da Catanzaro, per esempio, per la gestione dei detenuti agli arresti domiciliari (si pensi alle sole attività di notifica di atti giudiziari e agli accompagnamenti per e dalle aule di giustizia)”. “In tal senso - conclude il Segretario Nazionale della Uil-Pa Penitenziari - ho indirizzato una nota al Provveditore regionale ed ai Vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria su cui auspico che vi possa essere, almeno su questo, anche la convergenza delle forze politiche e delle istituzioni locali, a partire dal Sindaco di Lamezia Terme che potrebbe valutare di individuare ed offrire in comodato un idoneo locale”. Padova: Sergj Vitali è evaso dal carcere Due Palazzi con l’aiuto della mafia? di Enrico Ferro Il Mattino di Padova, 25 marzo 2013 È entrato in carcere da assassino di strada, se n’è uscito da sicario, guardaspalle o chissà che altro della Sacra Corona Unita. È l’iperbole di Sergj Vitali, 28 anni, moldavo, arrestato nel 2004 perché ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio di Claudiu Puiu Bohancanu, ventinovenne rumeno ucciso a colpi d’ascia in via Toniolo nel quartiere Forcellini. Il 21 gennaio scorso Vitali è uscito dal Due Palazzi per un permesso premio ed è stato assoldato dalla criminalità organizzata pugliese che gli ha organizzato tutto: fuga, trasporto, lavoro futuro. Su questo ora stanno indagando gli uomini della squadra mobile di Marco Calì. Dopo due mesi di latitanza ieri mattina all’alba i poliziotti l’hanno rintracciato in un casolare in aperta campagna a Frigole, in provincia di Lecce. Era armato con una Tokarev TT-33, pistola semiautomatica russa. Dal giorno della sua scomparsa dal carcere gli investigatori della questura di Padova si sono messi sulle sue tracce e sono partiti proprio dai corridoi della casa di reclusione, interrogando tutti i detenuti a lui vicini. Sargj Vitali sarebbe dovuto rimanere al Due Palazzi fino al 10 dicembre 2020. Nei primi otto anni di permanenza era riuscito a stringere amicizia, tra i tanti, con un pluripregiudicato della Sacra Corona Unita attualmente in regime di detenzione a Padova. Lui, giovane, prestante, ex pugile, disposto a tutto, aveva fatto fin da subito una buona impressione all’ex boss dell’organizzazione mafiosa pugliese. Al punto che a fine gennaio è stata organizzata la sua fuga. Sono venuti a prenderlo da Lecce, gli hanno dato un riparo e l’hanno inserito nell’organizzazione anche se non è ancora chiaro con che ruolo e con che consegne. Quel che è certo, è che ieri mattina i poliziotti l’hanno trovato armato. Sono arrivati a lui grazie a riscontri tecnici di alto livello, sotto la guida del pubblico ministero Sergio Dini che ha seguito passo passo con il vicequestore aggiunto Marco Calì le fasi dell’indagine. Con le celle della telefonia mobile è stato possibile individuare anche il tragitto fatto in auto dagli appartenenti all’organizzazione criminale pugliese. Al momento dell’arresto il giovane ha tentato una rocambolesca fuga dai tetti, impugnando la pistola con il colpo in canna. L’evaso è stato comunque bloccato e, dopo un primo controllo, condotto negli uffici della questura di Brindisi e tratto in arresto per la detenzione dell’arma clandestina e per evasione. L’indagine è tutt’altro che chiusa. Calì e i suoi uomini vogliono vederci chiaro e non è escluso che a breve possano esserci altri indagati. Quanto al delitto commesso nel 2004 a Forcellini, Claudiu Puiu Bohancanu fu ucciso a colpi di scure nella notte fra il 9 e il 10 marzo durante una lite poi degenerata. Il giovane fu colpito con un’ascia alla testa e nell’estremo tentativo di difendersi appoggiò le mani sulla testa. Uno dei colpi inferti gli staccò una falange della mano destra, che fu rinvenuta vicino al cadavere. Secondo quanto emerso, sembra che fosse debitore di qualche migliaio di euro per merce rubata ricevuta e non pagata e per alcune giovani “comprate” e costrette a prostituirsi in città, senza aver mai dato in cambio il denaro pattuito. Vitali venne ritenuto uno dei responsabili dell’esecuzione. Torino: dall’Ufficio Pio 100mila euro per i detenuti, serviranno per le necessità primarie Redattore Sociale, 25 marzo 2013 Serviranno per le necessità primarie - cibo, igiene, salute - ma anche per sostenere le attività lavorative e di studio. La convenzione viene stipulata per il secondo anno consecutivo. la firma il 28 marzo. Mentre il sindacato di polizia penitenziaria solleva nuovamente la questione del sovraffollamento nelle carceri piemontesi, a Torino si moltiplicano le iniziative per i detenuti del “Lorusso e Cotugno”.La prossima settimana, l’Ufficio Pio, ente di volontariato gestito dalla Compagnia di S. Paolo, rinnoverà la convenzione stipulata lo scorso anno con la Casa circondariale, la cui popolazione carceraria è in costante incremento, a fronte di risorse spesso insufficienti. Proprio per far fronte a questo squilibrio, per il secondo anno consecutivo la fondazione donerà una somma di 100 mila euro, da destinarsi alle necessità primarie dei detenuti: igiene personale, delle celle e delle parti comuni; cura e alimentazione dei bambini; esigenze sanitarie non coperte dal Servizio sanitario, come medicinali, occhiali, protesi e ausili ortopedici. Il denaro servirà inoltre ad acquistare beni e servizi per favorire il recupero dei detenuti, attraverso la creazione di interessi occupazionali e di migliori condizioni di vita. Sottoscritto nel febbraio del 2012, dal presidente dell’Ufficio Pio, Stefano Gallarato e dall’ex direttore del carcere, Pietro Buffa, l’accordo verrà rinnovato giovedì 28 marzo con il nuovo direttore della struttura, Giuseppe Forte. Nell’istituto continueranno a lavorare i volontari dell’Ufficio Pio, che partecipano alla realizzazione degli interventi legati alla convenzione e gestiscono direttamente un budget annuo di 36 mila euro a favore dei detenuti in condizione di indigenza. “I nostri volontari - spiga Gallarato - sono presenti già da molti anni all’interno della struttura: inizialmente ci occupavamo quasi esclusivamente di finanziare le protesti dentarie per i detenuti, in seguito abbiamo iniziato a espandere il numero e la natura delle loro attività. L’accordo è stato sottoscritto anche per ufficializzare l’ampliamento della loro area di intervento” Non si tratta comunque dell’unico programma messo in piedi dall’ente nel Lorusso e Cutugno, meglio conosciuto dai torinesi con il nome del quartiere in cui sorge, “Le Vallette”. Nel novembre del 2012 è stato lanciato un altro progetto, volto a facilitare il percorso formativo dei detenuti iscritti all’Università di Torino. Alla firma del protocollo - oltre alla Casa circondariale e all’Ufficio Pio - hanno partecipato l’Università, il Comune e la Provincia di Torino, il Garante dei diritti dei detenuti e l’Ufficio di Esecuzione penale esterna. L’iniziativa - la cui fase sperimentale era partita già nel 2007 - è rivolta ai carcerati iscritti alle lauree specialistiche in Scienze Politiche e Giurisprudenza, che possano accedere alle misure alternative al carcere o ai permessi di lavoro esterno. “La compagnia di S. Paolo - spiega Ivan Panietti, direttore dell’Ente - aveva già fatto in modo di portare all’interno della struttura le lezioni di alcuni corsi triennali: per questo ci siamo rivolti agli studenti delle specialistiche. I quali non possono uscire unicamente per ragioni di studio ma possono usufruire di permessi per il lavoro esterno. Per ovviare a questo inconveniente, abbiamo attivato delle borse-lavoro, così da permettergli di andare a lavorare di mattina, frequentando lezioni nel pomeriggio”. Potranno partecipare al programma anche gli studenti iscritti ad altre facoltà, purché queste ultime siano disponibili ad attivare forme di tutoraggio. “Il protocollo - prosegue Panietti - è rivolto anche ai detenuti che frequentano alcuni corsi di formazione extra universitari, che si tengono all’interno del penitenziario. I quali spesso prevedono periodi di stage che non possono essere svolti in carcere. Anche per loro abbiamo attivato delle borse lavoro, per permettergli di svolgere i tirocini in alcune aziende esterne”. L’Ufficio Pio è attivo da quattro secoli in favore delle fasce più fragili della popolazione nell’area metropolitana torinese: le aree di intervento riguardano il reinserimento lavorativo, il sostegno abitativo e il supporto ai percorsi scolastici per le fasce meno abbienti della popolazione. Già nel biennio 2010-12, l’ente aveva sostenuto il percorso di 4 persone studenti del Polo Universitario presso la Casa Circondariale attivando e finanziando altrettante borse lavoro della durata di 36 mesi. Firenze: con “Dolci Libertà” degustazione cioccolata realizzata da detenuti Busto Arsizio Redattore Sociale, 25 marzo 2013 Domani sera appuntamento alla Misericordia di piazza Duomo per un evento che unisce enogastronomia e solidarietà. Presente anche il calciatore Marco Donadel. Una serata dedicata alla cioccolata per una degustazione speciale che unisce l’alta qualità alla beneficenza. Domani sera, martedì 26 marzo, alle 20.30 la sede di Piazza Duomo della Misericordia di Firenze, ospiterà questi dolci assaggi di cioccolata realizzata dalle abili mani dei maestri cioccolatieri di “Dolci Libertà”, che stanno scontando la loro pena nella Casa Circondariale di Busto Arsizio studiando e imparando l’antico mestiere del cioccolatiere. Alla serata sarà presente anche il calciatore Marco Donadel e altre personalità del mondo dello sport della Holding Sport & Spettacolo di cui il progetto è parte. Per la partecipazione è prevista una quota di 20 euro che sarà interamente devoluta in beneficenza alla Misericordia di Firenze e comprenderà la degustazione guidata di 12 dei loro prodotti tra cui i tartufi, i rocher e i dragees. “Dolci Libertà” è un’azienda che si occupa della produzione e commercializzazione di cioccolato e pasticceria artigianale di alta qualità nella Casa Circondariale di Busto Arsizio, dove è stato allestito un laboratorio in cui si producono giornalmente 700 kg di cioccolato e 300 kg di pasticceria. Un’attenzione particolare è data alla formazione, con corsi tecnici e pratici della durata di quattro mesi, tenuti all’interno del penitenziario con l’intervento di maestri cioccolatieri e pasticcieri di grande esperienza. È richiesta la prenotazione: scrivere acentralino@misericordia.firenze.it o contattare il numero 3286746398. Bollate (Mi): insonorizzazione della sala multifunzionale, con collaborazione Leroy Merlin Ristretti Orizzonti, 25 marzo 2013 Insonorizzazione della sala multifunzionale attraverso la collaborazione di Leroy Merlin, detenuti e volontari. Leroy Merlin realizza il progetto del 2° Reparto della Casa di Reclusione di Bollate. Leroy Merlin e la Casa di Reclusione di Bollate lavorano ancora insieme: questa volta i collaboratori dell’azienda leader nel campo del fai-da-te, sono entrati direttamente nella struttura del 2° reparto per la realizzazione del progetto di insonorizzazione della sala multifunzionale utilizzata anche come sala-auditorium per cine forum (raccoglimento per i detenuti in colloquio, gruppi di discussione, cineforum). Gianluca e Giovanni del negozio di Baranzate, esperti nel settore edile, si sono dunque rimboccati le maniche e si sono messi al lavoro con i 13 detenuti del reparto, partendo dalla teoria, cioè spiegando le caratteristiche tecniche dei materiali fonoassorbenti, per poi passare alla pratica e realizzare un progetto insieme. I detenuti di questo reparto dispongono di un’unica sala utilizzata come luogo per i colloqui con l’assistente sociale e come auditorium. I muri in cemento armato e ferro non hanno consentito, sino a prima che venissero effettuati i lavori, né privacy né silenzio. È per questo motivo che volontari e detenuti si sono mobilitati per risolvere una situazione che ha creato negli anni notevoli disagi e si sono rivolti a Leroy Merlin. “Nella sala in cui avvengono colloqui di gruppo e individuali” spiega Uberto Sapienza, volontario di Centro Coscienza che insieme ad altri si occupa del 2° reparto “e dove teniamo anche il cineforum, c’è sempre stata un’acustica terribile: lavorando in più di 5 o 6 è difficile capirsi e si è costretti a gridare nei colloqui individuali per farsi capire, con grave perdita di privacy. Inoltre il suono metallico dell’ambiente dava un senso di freddezza e di forte disagio. All’inizio la situazione sembrava senza alcuna possibile soluzione in quanto l’insonorizzazione del locale veniva a costare ben più di quanto il carcere avrebbe potuto sostenere”. A un certo punto si è trovato la soluzione: puntare sulle persone invece che sulle istituzioni. “Gli uomini hanno trovato quella solidarietà che ha permesso di risolvere il problema”, spiega Uberto Sapienza, “Naturalmente occorre che qualcuno faccia da catalizzatore delle diverse istanze e della volontà di trovare una soluzione. È stata la volontà delle persone, il desiderio di partecipare all’iniziativa e di mettere in moto tutte le creatività necessarie per realizzarla, a fare la differenza. Questo a mio avviso è l’unico modo per superare la crisi attuale, vale a dire mettere da parte l’egoismo, il pregiudizio e la competizione”. Un sodalizio, quello fra Leroy Merlin e il carcere di Bollate, nato quasi per caso: organizzando i consueti corsi di bricolage per mostrare al pubblico come si fanno i piccoli interventi, il negozio in prossimità dell’area ha preso contatto con il direttore del carcere chiedendo di tenere questi piccoli corsi anche all’interno della struttura con l’obiettivo di insegnare qualche piccola abilità specifica ai carcerati che potesse servire nel loro percorso futuro. Il direttore, intuito l’interesse della proposta e il valore delle competenze offerte ai detenuti, ha subito dato parere favorevole. “I ragazzi si sono dimostrati entusiasti di partecipare al progetto - racconta Giovanni, consigliere di vendita Leroy Merlin che ha lavorato a stretto contatto con i detenuti - si è percepito fin dal principio la voglia di lavorare, di collaborare per raggiungere insieme un obiettivo”. “È stato bello partecipare - racconta Massimiliano, uno dei ragazzi detenuti - abbiamo avuto la possibilità di realizzare qualcosa insieme, rafforzare il nostro gruppo e lavorare in un clima sereno senza essere giudicati, ma solo guidati verso l’obiettivo da Giovanni”. “Io sarei anche in grado di rifare il lavoro da solo - aggiunge Fabio, un altro detenuto - ho davvero imparato a fare qualcosa di utile e nuovo che potrebbe servirmi in futuro”. Questa importante iniziativa si inserisce in un progetto più ampio di Leroy Merlin, che ha l’obiettivo di realizzare con le comunità locali in cui sono presenti i suoi negozi progetti di bricolage e fai-da-te che vadano a beneficio della comunità stesse. Spiega Thomas Bouret, amministratore delegato di Leroy Merlin: “La nostra è un’azienda globale proiettata nel locale, che vuole vivere e agire da interlocutore diretto con il territorio e i suoi abitanti. Attraverso le molteplici iniziative realizzate con e per il territorio, Leroy Merlin instaura un rapporto costruttivo con enti, istituzioni, associazioni, scuole e università del territorio, creando un dialogo vivo con la società civile. Ciascun negozio decide in co-costruzione con i Clienti, i Collaboratori e le Istituzioni Pubbliche il progetto da realizzare sul territorio in cui è inserito. Le attività sono sempre pensate e realizzate ad hoc secondo le necessità della comunità locale. Naturalmente devono sempre avere una forte e immediata attinenza al core business di Leroy Merlin: il miglioramento della casa, dell’habitat e del contesto abitativo degli “abitanti”. A proposito di Leroy Merlin Leroy Merlin è un’azienda della Distribuzione Moderna specializzata in bricolage e fai-da-te. Arrivata in Italia nel 1996, Leroy Merlin annovera ad oggi 47 punti vendita distribuiti su tutto il territorio nazionale per un fatturato di oltre 1 miliardo di euro. Offre lavoro a circa 5.700 collaboratori, per il 99,3% azionisti del Gruppo stesso. Leroy Merlin infatti orienta le proprie scelte strategiche sulla centralità della persona, finalizzando l’attività dell’impresa alla creazione di valore aggiunto per i cittadini, i collaboratori e per le generazioni future, avendo come missione il miglioramento del loro habitat. Leroy Merlin è per il 4° anno consecutivo nella classifica del Best Place to Work®, la speciale classifica dei 35 luoghi di lavoro eccellenti realizzata dal Great Place to Work Institute Italia. A proposito della Seconda Casa di reclusione di Bollate La Seconda Casa di Reclusione di Bollate viene inaugurata nel dicembre del 2000 come Istituto a custodia attenuata per detenuti comuni. L’obiettivo istituzionale è quello di offrire all’utenza detenuta una serie di opportunità lavorative, formative e socio-riabilitative in modo da abbattere il rischio di recidiva (che oggi si attesta attorno al 16% contro il 70% della media nazionale), favorendo il graduale, ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale. A proposito dell’associazione Centro Coscienza Collocata nel cuore di Milano da più di 70 anni e con sezioni in altre parti d’Italia; è uno spazio sociale di scambio e confronto, di sosta e silenzio. È spazio per intessere rapporti dove idee e contenuti diventano vita. Pensieri e sentimenti diventano esperienze, gesti, servizio. Sceglie la cultura come via di formazione del pensiero e della persona. Attraverso corsi di arte, filosofia, letteratura, teatro, ricerca sociale, spirituale, economica, attraverso la cura degli altri e dell’ambiente. Il gruppo di ricerca interculturale sperimenta nel concreto la propria ricerca in diverse attività tra cui anche quella del carcere di Bollate. Bologna: i volontari dell’Avoc alla Dozza, confronto sulla costituzione con Valerio Onida Ristretti Orizzonti, 25 marzo 2013 Da alcuni mesi nel carcere della Dozza numerosi detenuti stranieri leggono e discutono la Costituzione italiana, confrontandone i principi fondamentali con quelli emersi nei paesi d’origine durante la recente “primavera araba”. Sono seguiti da volontari dell’Avoc, associazione sostenuta dal Segretario di Confartigianato Emilia Romagna Gianfranco Ragonesi, che parlano la loro lingua; insieme ai volontari e con il sostegno della Direzione, hanno deciso di invitare Valerio Onida, Presidente Emerito della Corte Costituzionale e il Presidente della Lega degli Iman italiani per arricchire con i loro interventi le riflessioni fino ad oggi compiute circa la traducibilità dei nostri principi costituzionali nel mondo arabo. L’incontro di terrà all’interno del Carcere della Dozza mercoledì prossimo, 27 marzo. “Con i valori di uguaglianza, libertà, solidarietà e responsabilità che essa promuove, la Costituzione sogna una società aperta a tutti, aperta al dialogo - spiega Giuseppe Tibaldi, Presidente di Avoc - una Costituzione che dà valore alle diversità. L’afflusso di stranieri nel nostro territorio è una nuova sfida di dialogo per la Costituzione, l’occasione di una nuova primavera. L’incontro è dedicato quindi ai detenuti stranieri presenti alla Dozza, in modo speciale ai detenuti arabi, i cui Paesi sono alla ricerca di una nuova fase di vita democratica”. Programma Primavera della Costituzione: la Costituzione italiana in dialogo con le culture e le civiltà Mercoledì 27 marzo ore 10, presso la Casa Circondariale Dozza Intervengono: Prof. Valerio Onida, Presidente Emerito della Corte Costituzionale Dott. Sandro Baldini, Presidente Comitato Dossetti per la Costituzione Dott. Wagih Saad Abu al-Rahman, Presidente della Lega degli Iman italiani Milano: la regista e l’ex detenuta portano il teatro dietro le sbarre La Repubblica, 25 marzo 2013 Libri, materiale fotografico e filmati vengono riposti con cura dopo essere stati visionati dai ragazzi. Ad aiutare gli studenti universitari, che sempre più numerosi mostrano curiosità per l’attività del Cetec, Centro europeo teatro e carcere, è Anna Petito, 41 anni. Guardandola in volto nessuno immagina che quella donna dall’aspetto fiero è uscita solo da pochi mesi da San Vittore, dove ha scontato una pena di due anni. Non prova imbarazzo a raccontare la propria vita, l’infanzia in una famiglia violenta, poi l’incontro col marito, anch’egli facile alle mani, che l’ha coinvolta in una storia troppo grande, da cui non è riuscita a sottrarsi. È il maggio del 2007 quando Anna viene arrestata nel corso di una maxi operazione, frutto di anni di indagini. Ha inizio l’iter processuale. “Dopo un anno e quattro mesi ai domiciliari - dice - è arrivato l’obbligo della firma e poi la scarcerazione. Lo scorso dicembre ho saldato il mio conto con la giustizia e adesso sono una libera cittadina”. Ma è fuori dal carcere che cominciano le difficoltà e si trova ad affrontare una società impietosa verso chi sbaglia e indurita dalla crisi. Le speranze di un impiego e di un reinserimento sono poche. “Mancano le possibilità per i giovani, chi potrebbe mai pensare di investire su una persona con la fedina penale sporca?”, domanda Anna Petito. Ma a volte l’umanità e i rapporti che si scoprono in cella possono valicare le spesse mura delle case circondariali. A San Vittore Anna lavorava come bibliotecaria della sezione femminile e qui ha conosciuto Donatella Massimilla, regista romana che si è formata con Grotowski e con la compagnia del Living Theatre, che da oltre vent’anni ha eletto le carceri a palcoscenico prediletto. “Tra i miei compiti - prosegue Anna - c’era quello di organizzare gli spazi per gli spettacoli e aiutare gli operatori a risolvere piccole incombenze pratiche”. L’incontro con la Massimilla, che dopo l’esordio a San Vittore ha tenuto corsi nei luoghi di detenzione di molti Paesi europei, è avvenuto nel 2010. La simpatia innata subito scattata tra le due donne si è trasformata in un’amicizia continuata anche quando Anna è tornata libera. È alla regista che ha confidato le sue preoccupazioni una volta abbandonata la casa circondariale. “Appena usciti la libertà fa quasi paura - afferma. Un profondo senso di abbandono coglie gli ex carcerati e per la gente rimaniamo colpevoli. Ho parlato con Donatella e le ho spiegato che temevo di non riuscire a rifarmi una vita”. La grinta non manca alla teatrante che ha proposto ad Anna di proseguire anche fuori la collaborazione avviata in carcere. Per chi lavora a San Vittore mantenere i rapporti col mondo esterno è complicato. Durante le ore trascorse nella casa circondariale il cellulare rimane spento e l’organizzazione degli spettacoli diventa macchinosa, specie quando si sta mettendo in scena un’opera come La casa di Bernarda Alba, scritta da Federico Garcia Lorca a pochi mesi dalla morte. Gestire le prove delle dieci detenute che il 12 e il 13 aprile interpreteranno la tragedia richiede molto impegno e la regista cercava una figura in grado di coordinare l’ufficio di via Prassede a Milano, zona di confine tra Famagosta e il quartiere della Barona. “Anna era la persona più adatta a questo ruolo - dice la regista-, avevo conosciuto la sua precisione in carcere. Il Comune è venuto incontro con la borsa lavoro e siamo partite”. Ormai da un mese tutte le mattine Anna fornisce un indispensabile supporto logistico. Sa di essere stata fortunata e le dispiace, a pena conclusa, di non poter più rientrare a San Vittore per seguire da vicino l’allestimento della tragedia di Lorca e rivedere le persone conosciute dietro le sbarre, “legami che ti accompagnano per la vita”. Nel frattempo, però, l’attività del Cetec aumenta e le due donne pensano in grande, sognano “uno spazio da trasformare in un laboratorio permanente per gli ex detenuti. Un luogo, dove chi lascia il carcere possa continuare a recitare, mettendo il proprio vissuto a servizio della comunità”. Un sogno che in tempi di crisi può sembrare utopistico, ma che darebbe una possibilità di integrazione a chi riconquista la libertà e deve fronteggiare una società spesso ostile e disattenta. Libri: “Diritti in crisi”, di Diletta Tega… la Corte di Strasburgo in difesa dei diritti negati di Enrico Brivio Il Sole 24 Ore, 25 marzo 2013 Diletta Tega con “Diritti in crisi” (Giuffrè, Milano, pag. 214, € 22,00), esplora la complessa relazione tra l’organo di tutela dei diritti fondamentali europei e le Corti nazionali. Diritti in crisi, diritti negati, diritti oltre lo Stato. Di cosa si parla? La terminologia non deve trarre in inganno. Non ci si muove nel territorio della protesta anticasta grillina o della confusa galassia del movimentismo no global e no Tav. Può sembrare incredibile a dirsi, in questo periodo di serpeggiante populismo anti-europeista, ma esistono istituzioni e procedure per dare voce in Europa alle legittime pretese calpestate, alle necessità dimenticate, ai bisogni trascurati. Non quando si tratta di banali controversie quotidiane, ma se in gioco sono elementi fondanti della dignità e della libertà dell’individuo, allora sì. In quel momento può essere chiamata in campo la Corte europea dei diritti dell’uomo. Molti la confondono con la Corte di Giustizia europea con sede in Lussemburgo, che invece ha il compito di sovrintendere alla corretta applicazione della legislazione comunitaria. Ma è qualcosa di diverso, istituita nel 1959, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Edu, l’acronimo che la distingue) ha sede a Strasburgo e ha il compito di far rispettare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950. Non è un organo dell’Unione europea e vi aderiscono tutti i 47 membri del Consiglio d’Europa, una famiglia allargata che include dalla Turchia all’Armenia, dal Liechtenstein alla Russia. Si tratta, insomma, della Corte che ripetutamente e sistematicamente condanna l’Italia, per la lunghezza dei processi e le storture della carcerazione preventiva. Ma c’è molto di più. E Diletta Tega, nel suo saggio I diritti in crisi: tra corti nazionali e Corte europea di Strasburgo, mette in luce la complessa dinamica tra i pronunciamenti dell’organo giurisdizionale sovrarazionale e ì tribunali dei Paesi dell’Europa allargata. Difficoltà e progressi della Corte Edu non mancano nell’imporre principi generali per la realizzazione degli obiettivi di una Convenzione internazionale che, come osservò Norberto Bobbio, punta a una più stretta unione tra gli Stati del Consiglio d’Europa “da raggiungersi attraverso la protezione dei diritti dell’uomo alla luce di una comunanza di ideali e di un’eredità comune”. Diletta Tega spiega come i giudici di Strasburgo accordino talvolta “lo status di diritti a situazioni che, a livello nazionale, non rientrano nella categoria del diritto soggettivo, ma risultano mere aspirazioni avvertite però da chi le sostiene come veri e propri diritti negati”. Un ruolo di ultima rete di sicurezza, di estremo difensore degli offesi e dei perseguitati, non di poco conto nella “famiglia allargata” di società democratiche, o presunte tali, che partecipano al Consiglio d’Europa. In fondo la Corte di Strasburgo ha rivestito un compito chiave, essendo guardiana del primo documento internazionale che si impegna non solo a proclamare i diritti, ma anche a proteggerli. Una protezione, è vero, imperfetta e indiretta, ma che dal 1998 si è trasformata diventando sempre più pervasiva. “La Corte Edu - osserva Tega - va presa per ciò che è nel suo complesso, e dunque un esperimento decisamente riuscito di tutela dei diritti per quanto si possa ottenere a livello internazionale, sia nel particolare, come un palcoscenico per riproporre domande di diritti che non trovano risposta a livello nazionale”. La studiosa del diritto mette in luce in particolare l’evoluzione nel tempo del dualismo tra Corte europea e Corte costituzionale italiana, l’interazione e la maturazione del rapporto, fino alla svolta del 2007 che ha portato la Consulta ad accordare ai giudici di Strasburgo il rango di fonte “sub-costituzionale” sebbene con qualche limite. Una relazione delicata e complessa, ma volta a un medesimo fine. Che alla fine Diletta Tega sintetizza proprio citando un passaggio della sentenza n. 349 della Corte costituzionale: “Questa Corte e la Corte di Strasburgo hanno in definitiva ruoli diversi, sia pure tesi al medesimo obiettivo di tutelare al meglio possibile i diritti fondamentali dell’uomo”. India: il “caso marò” e la dignità persa… di Vittorio Emanuele Parsi Il Sole 24 Ore, 25 marzo 2013 “La dignità una volta persa non torna mai più”, osserva un ottimo John Malkovich nell’ultimo film di Gabriele Salvatores “Educazione Siberiana”. È desolante pensare che non è neppure necessario scomodare i grandi ragionatori di Stato del Seicento o le lamentazioni accorate di Machiavelli sul triste destino della patria italiana per commentare amaramente la figura imbarazzante, dilettantesca e inaccettabile del governo “in carica per gli affari correnti” sulla vicenda dei Marò italiani, riconsegnati come se nulla fosse ai loro sequestratori. Basta un buon film di cassetta, è sufficiente un romanzo ben scritto, per rilevare la dimensione del danno inferto alla dignità nazionale - all’onore dell’Italia - tentando di ottenere la liberazione dei nostri marinai, detenuti illegittimamente dalle autorità indiane per oltre un anno, prima attraverso la via dello scippo con destrezza, e poi “calando le braghe” in meno di una settimana di fronte alla prevedibilissima reazione indiana. Se poteva essere criticabile l’aver intrapreso una scorciatoia furbesca per venire a capo della vicenda, è imperdonabile esser tornati sui propri passi, fornendo l’impressione non che l’Italia rispetti la parola data, ma che semplicemente si pieghi di fronte a chi fa la voce grossa, oltretutto insinuando il sospetto che la perdita di possibili lucrose commesse valga ben più della libertà di due nostri concittadini. La sequenza degli errori, delle leggerezze e delle vere e proprie sciocchezze è fin troppo nota. Aver lasciato che il mercantile italiano entrasse in acque indiane senza aver preventivamente messo in sicurezza il personale militare, non essersi opposti alla discesa a terra dei sottufficiali Girone e Latorre, aver dapprima accettato un accordo per violarlo successivamente e, infine, aver tradito la parola data a due servitori dello Stato, che hanno obbedito nonostante il plateale voltafaccia del governo italiano. Servitori dello Stato, si diceva. E qui tra tutti, ma proprio tutti, i soli che si meritano appieno questo appellativo sono il Capo di I classe Massimiliano Latorre e il Secondo capo Salvatore Girone. Sugli altri è davvero meglio stendere un velo pietoso. Dimostrando che cosa significhi il giuramento di fedeltà alla Repubblica, Latorre e Girone fanno ritorno presso chi li ha trattenuti illegittimamente per oltre un anno perché così è stato loro comandato. Chissà se i giornali che oggi ne lodano il senso dell’onore se ne ricorderanno ancora tra qualche tempo: magari quando questo o quel rappresentante della politica lascerà il suo alto incarico per ricoprire qualche altra ben remunerata e prestigiosa posizione, e avranno un qualche pudore, un qualche scrupolo in più, ad impiegare con eccessiva leggerezza l’espressione “servitore dello Stato”. Certo, nulla vieta di servire lo Stato in posizioni elevate, sotto i riflettori dei media e magari “salendo in politica” di carica in carica. Ma è difficile scrollarsi di dosso la sensazione purtroppo tanto consueta che ancora una volta i migliori non siedano negli scranni più alti. Come l’esperienza del governo tecnico ha ampiamente e impietosamente documentato, anche chi si considera temporaneamente “in prestito” alla politica assume rapidamente tutti i vizi dei “professionisti”. A iniziare da quello dello scaricabarile. Di questo passo, perché non proporre Schettino per guidare il prossimo governo, qualora Bersani dovesse fallire? In fondo anche lui sembra fosse in tutt’altre faccende affaccendato mentre la nave di cui era responsabile andava per scogli. Il paradosso è che dalla tristezza e dalla vergogna di questa vicenda, che comunque getta nello sgomento due famiglie che avevano creduto alla praticabilità della “soluzione” escogitata dall’esecutivo, ancora una volta emerge la figura di un Paese migliore, con un più alto senso dello Stato, una più grande dignità e una più indomita fierezza di chi lo governa. Non c’è però da trarre grande consolazione da questo, poiché purtroppo implica che né la selezione elettorale né quella per cooptazione sono finora riuscite a dare all’Italia ciò di cui pure avrebbe bisogno: una classe di governo capace di assumere decisioni coraggiose e responsabilità doverose e di trarre le necessarie conclusioni dai propri fallimenti e una élite politica degna di questo nome. Medio Oriente: tribunale militare condanna a morte “spia” di Israele a Gaza Aki, 25 marzo 2013 Un tribunale militare a Gaza ha condannato a morte per impiccagione un uomo accusato di collaborazionismo con Israele. Il sospetto era in carcere dall’11 agosto 2011. La condanna a morte si inserisce nell’annunciato pugno duro che il governo di Hamas a Gaza ha annunciato dall’inizio di marzo di voler usare contro chi collabora con Israele. Dal 2007 sono oltre trenta le condanne a morte eseguite a Gaza, la maggior parte dei quali di persone accusate di aiutare le forze di sicurezza israeliane. Afghanistan: Usa trasferiscono a Kabul controllo prigione Bagram Tm News, 25 marzo 2013 Gli Stati Uniti hanno trasferito alle autorità afgane il controllo definitivo della prigione di Bagram. Lo annuncia un comunicato dell’esercito americano. Gli Stati Uniti hanno trasferito alle autorità afgane il controllo definitivo della prigione di Bagram. Lo annuncia un comunicato dell’esercito americano. Washington e Kabul erano giunte nei giorni scorsi a un accordo per il trasferimento alle autorità afgane del controllo totale della prigione. Lo aveva reso noto il Pentagono al termine di un colloquio tra il segretario americano alla Difesa, Chuck Hagel, e il presidente afgano, Hamid Karzai. Previsto inizialmente per il 9 marzo, il trasferimento completo della prigione di Bagram sotto l’autorità afgana era stato rinviato all’ultimo momento dopo le dichiarazioni di Hamid Karzai secondo le quali vi erano degli “innocenti” tra i prigionieri sotto controllo americano e che questi sarebbero stati rilasciati una volta che Kabul avesse ripreso il controllo della prigione. Nel comunicato del Pentagono si precisa che “il presidente Karzai si è impegnato affinché il trasferimento di autorità venga effettuato in modo da assicurare la sicurezza della popolazione afgana e delle forze di coalizione e mantenendo in carcere gli individui pericolosi”. Washington ha rinviato a lungo questo passaggio proprio per il timore che i detenuti rilasciati non rientrassero nei ranghi degli insorti. Bahrein: attivisti detenuti in sciopero fame, protestano per impedimento a visite familiari Ansa, 25 marzo 2013 Due attivisti del Bahrein, attualmente in carcere e in sciopero della fame, hanno rifiutato anche l’assunzione di liquidi per protesta contro la decisione delle autorità del regno di vietare una visita dei loro familiari in prigione. Lo ha reso noto un’organizzazione che lotta in difesa dei diritti umani a Manama. Il governo del Bahrein ha invece precisato che Zainab al-Khawaja ha accettato l’assunzione di liquidi e ha negato che suo padre, lo sciita Abdulhadi al-Khawaja, sia invece in sciopero della fame. Zainab è in salute e sta ricevendo sostegno medico 24 ore su 24. Suo padre non è in sciopero della fame, ha detto Sameera Rajab, ufficiale governativo del Bahrein. La stessa fonte ha precisato che ai due attivisti è stata negata la visita dei loro parenti perché entrambi si sono rifiutati di indossare le uniformi della prigione. Zainab al-Khawaja è stata condannata in appello a tre mesi di reclusione per avere insultato un pubblico ufficiale. Il 17 marzo scorso ha iniziato uno sciopero della fame e ieri ha anche rifiutato l’assunzione di liquidi, ha denunciato il Bahrain Center for Human Rights. La stessa organizzazione ha riferito che il padre di Zainab, condannato all’ergastolo per il ruolo assunto negli scontri e nelle rivolte che hanno colpito il regno del 2011, è anche lui in sciopero della fame. Sia a Abdulhadi al-Khawaja che a sua figlia Zainab sono state negate le visite dei loro familiari per la seconda volta questo fine settimana, e da ieri hanno iniziato a rifiutare anche i liquidì, ha fatto sapere l’organizzazione.