Un uomo ombra nel progetto “Scuola carcere” di Padova Ristretti Orizzonti, 17 marzo 2013 Lo sai, mettersi ad amare qualcuno è un’impresa. Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento. C’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette, non lo si fa. (Jean Paul Sartre) Il progetto di portare dei ragazzi in carcere ad ascoltare le storie dei cattivi è un’idea da matti. E la promotrice di questa “pazzia” si chiama Ornella Favero, volontaria, giornalista e Direttore di “Ristretti Orizzonti”. Il progetto di Ornella assomiglia molto a quello che ha realizzato tempo fa la direttrice Kiran Bedi nel carcere di Tihar, con ottimi risultati di abbassamento di violenza dentro le mura del carcere e di recidiva esterna dei detenuti ritornati in libertà. In quel carcere, uno dei più violenti e sovraffollati di tutta l’India, è stato elaborato e realizzato un modello di “risveglio” della coscienza del detenuto con incontri collettivi di dialogo che ha ben funzionato. La formula “Scuola carcere” dell’iniziativa di Ornella assomiglia molto a quell’esperienza. E le modalità sono semplici: vengano intere classi di scuola superiore (a volte più di una classe alla volta) e ascoltano tre storie di detenuti con dentro la situazione familiare, sociale e ambientale di dove è nato e maturato il reato senza trovare nessuna giustificazione per averlo commesso. Poi tutto il gruppo dei detenuti della Redazione “Ristretti Orizzonti”, tutti volontari che hanno deciso di scontare la pena in modo risarcitorio e costruttivo, rispondono alle domande dei ragazzi. Credo che non sia facile per i detenuti raccontare il peggio della loro vita con onestà e obiettività, ma penso anche che sia un modo terapeutico per prendere le distanze dal proprio passato e riconciliarsi con se stessi. Penso che parlare a dei ragazzi, aiuti a formarsi una coscienza di sé e del significato del male fatto agli altri. E guardare gli sguardi e gli occhi innocenti dei ragazzi aiuta molto ciascuno di noi a capire quali sono stati le ragioni dell’odio, della rabbia, della violenza dei nostri reati più di tanti inutili anni di carcere senza fare nulla di così costruttivo. Penso che non sia neppure facile per i ragazzi ascoltare le nostre brutte storie dal vivo invece che sentirle alla televisione o leggerle sommariamente nei giornali. Credo che in questo modo percepiscono meglio che molte volte dietro certi reati non ci sono dei mostri, ma ci sono solo delle persone umane che hanno sbagliato. Poi dalle nostre risposte alle loro domande scoprono anche che il carcere rappresenta spesso un inutile strumento d’ingiustizia. Un luogo di esclusione e di annullamento della persona dove nella maggioranza dei casi si vive una vita non degna di essere vissuta. Da alcuni mesi in via sperimentale, perché sono un ergastolano in regime di “Alta Sicurezza”, faccio parte di questo progetto più unico che raro e devo ammettere che questa esperienza mi sta aiutando a dare una svolta alla mia coscienza e a educare il mio cuore. Per Hannah Arendt il male è banale, ma senza profondità: solo il bene è profondo e può essere radicale. Ecco il progetto “Scuola carcere” ti aiuta a capire questo. E non è poco specialmente in un luogo infernale, sovraffollato e illegale come sono le carceri in Italia, condannate spesso dalla Corte europea per la loro disumanità. Carmelo Musumeci, della Redazione di “Ristretti Orizzonti” Giustizia: il “lungo viaggio” di Laura che ridà nobiltà alla politica di Adriano Sofri La Repubblica, 17 marzo 2013 “Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile”. Per una volta, più che scrivere un articolo vorremmo partecipare a un applauso. Succede a volte di dirsi: non avrei voluto vivere fino a vedere… Non avrei voluto vedere l’Italia trasformata nel “paese dei respingimenti in mare”, e di troppe altre bandiere triste. Ieri ero incredulo e grato di poter vedere una donna giovane, emozionata e risoluta, che diceva dal seggio più alto di Montecitorio le cose più belle che si possano augurare al proprio paese, al mondo e a se stessi. Era un repertorio scrupoloso e imperterrito, e consentiva di reinterrogarsi sulla differenza fra la correttezza politica e la nobiltà politica. La differenza, se si eccettuino le sciocchezze dello zelo fanatico, che sono solo sciocchezze, non riguarda tanto le cose dette, ma il loro rapporto con chi le dice. Il pulpito. Laura Boldrini, deputata quasi per caso e appena dopo presidente della Camera dei deputati quasi per caso, stava argomentando principi e propositi cui si è ispirata e che ha perseguito nel lavoro e nella vita. In bocca ad altri, le belle parole sarebbero suonate stridenti come un gesso nuovo su una vecchia lavagna. L’assemblea, con le doverose eccezioni - innoblesse oblige - l’ha molto applaudita, e dalla seconda o la terza volta in poi si è sentito che gli applausi non erano più riservati a lei, ma andavano a chi applaudiva, e si sentiva incoraggiato a prendere sul serio quei nobili propositi, che si trattasse di navigati marpioni o di giovani donne e uomini al primo imbarco. Il primo giorno di un parlamento può promettersi una vita nuova, come la prima pagina di un quaderno - di un file di testo, per chi non voglia più saperne dei quaderni. E quando il parlamento sia andato troppo oltre nella propria mortificazione, l’impressione di un riscatto possibile sarà tanto più forte e trascinante. Cose così succedono nei film, dal discorso finale del piccolo barbiere ebreo sosia del Grande dittatore a quello del fratello matto, cioè savio, del segretario del partito; i film di Hollywood sono maestri di questo genere di sostituzioni di un attore a un presidente alla Casa Bianca, finché ci arriva davvero un presidente nero che sembra un attore. Un regista che avesse noleggiato l’aula di Montecitorio per mettere in scena un risarcimento alla depressione del pubblico italiano non avrebbe potuto fare meglio di così. E ora paragonate la giornata di ieri - in ambedue i rami del parlamento, per giunta - alla fretta rassegnata o ingorda con cui il giorno prima si era dichiarato indecente lo spettacolo offerto da una maggioranza che votava scheda bianca, e ammettete che si possa sbagliare anche per un piacere del disastro, e che il regista dello spettacolo reale cui abbiamo assistito - chiamiamolo Napolitano, che ha rimandato Monti dietro la lavagna, o Bersani e Vendola, per semplificare - ha avuto uno sguardo più lungo di quello dei critici indignati. Il Dario Franceschini che salutava i giornalisti dicendosi “l’ex presidente della Camera” faceva simpatia, naturalmente più che se l’avessero eletto. La giornata di ieri ha confermato che ci sono due circostanze in cui si è forti: quando si è forti, oppure quando si è molto deboli. Il Pd è molto debole, dallo scorso 25 febbraio, e i 5Stelle molto forti. Ieri le parti si sono invertite, con la felice misurata eccezione del voto al Senato. Prendiamo la miglior formulazione - a me pare, soprattutto se la si confronti col delirante filmato su Gaia e i miliardi di morti e il Nuovo Ordine Mondiale e il Grande Fratello finale - di progetti di Grillo e Casaleggio, quella affabilmente esposta nella conversazione con Dario Fo: se se ne ricavasse il ritratto ideale di un candidato e del suo discorso di apertura, non se ne troverebbero migliori di Laura Boldrini e delle sue parole di ieri. Ora proviamo a immaginare che la legge demenziale non avesse dato al Pd la larghissima maggioranza che gli ha dato, e che l’elettorato di Laura Boldrini non fosse autosufficiente: che cosa avrebbero fatto i bravi giovani deputati e deputate di 5Stelle? Avrebbero lasciato passare un altro autorevole candidato, non so, Giovanardi? Ci siamo rassegnati in molti, quanto alla vita pubblica, alla pazienza e alla riduzione dei danni: ieri, per un giorno almeno, le cose sono andate nel modo migliore. Un giorno di festa, e poi la quaresima di sempre? Probabile. Però un giorno in cui l’invidia per il conclave, che aveva tirato fuori da una crisi precipitosa un papa straniero e Francesco, è stata compensata da una presidente della Camera abbastanza straniera anche lei e donna - peculiarità alla quale la Chiesa non è ancora pronta. Non è la prima volta, ma è avvenuto nel parlamento più in bilico di sempre, e però quello in cui la presenza di donne, specialmente giovani, è significativamente cresciuta, nel Pd in primo luogo. Il quale Pd ha vinto le elezioni perdendole, o le ha perse vincendole, come preferite, ma, scalcagnato com’è, e ridotto troppo spesso al centro e nei famosi territori a cordate e clientele in cagnesco, ha impedito di un soffio che a vincere le elezioni - e vincendole - fosse Berlusconi. E tutte le meditate analisi sulla consunzione dei partiti vacillano fino a rovinare quando si traducono in una rinuncia o un dileggio del voto “utile”. Detto questo, il discorso di Laura Boldrini di ieri ha dato, a chi guardava e ascoltava, la sensazione rara e commossa che il voto possa, oltre che scansare il peggio, tradursi in una realizzazione preziosa. Da domani (non) si fa credito, naturalmente. Ma sentire commemorare le migliaia di morti senza nome del Mediterraneo non da una fervida commissaria delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ma da quello scranno alto di Montecitorio, valeva davvero la pena. Anche se fosse stata storia di un solo giorno. Lei però ha concluso: “Stiamo cominciando un viaggio”. Allora buon viaggio. Giustizia: situazione-carceri nei discorsi d’insediamento dei Presidenti di Camera e Senato Adnkronos, 17 marzo 2013 “Dovremo stare accanto a chi è caduto, senza trovare la forza e l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante, come ha autorevolmente denunciato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo”. Lo ha sottolineato la presidente della Camera Laura Boldrini, nel suo discorso di insediamento. “È insostenibile la situazione delle carceri nel nostro Paese”. Lo ha affermato il neo presidente del Senato, Pietro Grasso, nel suo discorso di insediamento. Irene Testa: bene Boldrini ad aver ricordato carcerati È da salutare come elemento sicuramente promettente, che la neoeletta Presidente della Camera abbia inteso, nel suo intervento inaugurale, rivolgere un pensiero alla questione carceraria e ai trattamenti inumani e degradanti cui sono sottoposti centinaia di cittadini italiani nelle nostre prigioni. Le istituzioni, il Parlamento in primis, non potrà più sottrarsi dall’affrontare questa ormai grave emergenza sociale, che, unita alla condizione di congestione della giustizia, alla base di un’insopportabile lentezza processuale, determina che l’Italia sia costantemente condannata in Europa. Il tempo stringe: secondo l’ultima condanna sentenziata dalla Corte Europea dei Diritti Umani, neppure un anno ci resta per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, o altrimenti l’Italia sarà costretta a pagare un prezzo altissimo in sanzioni. Almeno, dato l’insuccesso alle ultime elezioni delle liste di scopo Amnistia Giustizia Libertà, confidiamo nelle parole di oggi della Presidente Laura Boldrini, che il tema potrà essere trattato con le opportune urgenza e attenzione richieste, nel corso dei lavori parlamentari della prossima legislatura. Lo ha dichiarato Irene Testa Segretario dell’Associazione “Il Detenuto ignoto”. Giustizia: ricorsi contro sovraffollamento a Corte Europea diritti dell’uomo… i formulari Notizie Radicali, 17 marzo 2013 Lo scorso 8 gennaio la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato l’Italia per le condizioni inumane delle sue carceri. La Corte ha emesso una “sentenza pilota” che ha ingiunto al nostro paese di risarcire, con 100mila euro per danni morali, 7 detenuti (delle carceri di Piacenza e Busto Arstizio) che avevano fatto ricorso a Strasburgo per il trattamento inumano e degradante subito durante la detenzione. Anche in questo caso l’impegno Radicale per la giustizia e la legalità è in prima linea: tre dei casi al centro della sentenza di Strasburgo infatti, sono stati seguiti dai legali del Comitato Radicale per la Giustizia “Pietro Calamandrei”, tra i quali Giuseppe Rossodivita e Flavia Urciuoli. Non si tratta della prima condanna per il nostro Paese, già nel 2009 la Corte di Strasburgo aveva condannato l’Italia per il caso di Izet Sulejmanovic - detenuto in una cella di 3metri quadrati quando gli standard internazionali ne prevedono almeno 7 - seguito dall’avvocato Niccolò Paoletti. La decisione dei giudici di Strasburgo va oltre i singoli casi esaminati. Emettendo una “sentenza pilota” in sostanza la Corte ha riconosciuto che nelle carceri italiane c’è ormai un problema strutturale di sovraffollamento e chiede alle autorità italiane di mettere in campo, entro un anno, soluzioni adeguate per invertire la tendenza e garantire che le violazioni non si ripetano. In quest’arco di tempo la trattazione delle cause resterà sospesa. Che l’Italia sia fuori dagli standard europei lo dicono i numeri. A fronte di 45 mila posti regolamentari, si contano 67mila detenuti, il 40% dei quali in attesa di giudizio. Le 9 milioni di cause penali e civili pendenti che intasano i tribunali del nostro paese sono il debito di giustizia che lo stato italiano ha nei confronti dei suoi cittadini. Debito che con le sentenze di risarcimento che l’Europa ci ha ingiunto di onorare, si traduce in termini economici: non solo il cittadino paga per un sistema giustizia che non funziona, ma viene anche multato per l’illegalità di questo sistema. Per non parlare dei danni che ne riceve l’intera economia del nostro Paese. Abbiamo riconosciuto la riforma della giustizia come un provvedimento preliminare a tutte le altre radicali riforme che l’Italia necessita per ripartire. Ma perché questa possa avere davvero efficacia, crediamo che lo strumento più immediato per realizzarla sia l’Amnistia. Sono state molte le iniziative Radicali, con Marco Pannella, Rita Bernardini e Irene Testa, volte a sensibilizzare, informare e denunciare la situazione sempre più grave delle carceri italiane, con le iniziative di Ferragosto in carcere, numerose e varie iniziative nonviolente, e numerosi sit-in, visite e mobilitazioni in tutta Italia. Numerose anche le attività istituzionali della deputata Radicale Rita Bernardini, che con interrogazioni, mozioni ed altre attività ha sempre sensibilizzato le istituzioni su questo tema. Istruzioni per i detenuti… In allegato a questa lettera mandiamo le due tipologie di formulario: A) per l’Istanza al Magistrato di Sorveglianza con allegata una “Nota Informativa” ai fini della scelta della procedura da seguire; B) per il Ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo completo della “Nota Esplicativa” che ti aiuterà nella compilazione dello stesso. Tieni presente, infatti, che, il ricorso alla Corte sarà esaminato sulla base del formulario che ti alleghiamo; non saranno validi eventuali modelli da te compilati. È pertanto della massima importanza che (lo stesso formulario) venga compilato in modo preciso ed esauriente, rispettando quanto descritto nella suddetta “Nota Esplicativa”. Nel caso in cui tu non possa nominare per questo ricorso il tuo avvocato di fiducia (il nome e l’indirizzo va indicato nell’apposito spazio del ricorso), puoi indicare UNO degli avvocati del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei che svolgerà la sua prestazione a titolo gratuito: - Avv. Gian Domenico Caiazza, Viale Cola di Rienzo 111, 00192 Roma - fax 06 3215057 - Avv. Giuseppe Rossodivita, Via R. Grazioli Lante 5, 00195 Roma - fax 06 45481807 - Avv. Alessandro Gerardi, Viale del lavoro 31, Ciampino (RM) - fax 06 79329539 - Avv. Mauro Fonzo, Corso Cavour 84, 06034 Foligno (PG) - fax 0742 340038 - Avv. Flavia Urciuoli, Viale Cola di Rienzo 111, 00192 Roma - fax 06 3215057 - Avv. Michele Capano, Via C. D. Fiore 36, 84132 Salerno - fax 089 3867753 - Avv. Deborah Cianfanelli, “Defilippi & Associati”, Via Severino Ferrari 4, 19124 La Spezia Fax 0187 575012 Ti ricordiamo che dovrai spedire sia l’Istanza (Formulario A) - qualora tu decidessi di inviarla - sia il Ricorso (Formulario B), seguendo le indicazioni riportate nelle “Note” che troverai allegate ai rispettivi formulari, ricordandoti di fare una duplice copia di tutto il materiale spedito (sia al Magistrato che alla Corte): una copia la tratterrai per inserirla nel tuo fascicolo personale, l’altra dovrai inviarla al Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei - Via di Torre Argentina 76 - 00186 Roma. Tieni presente che quanto agli spazi minimi che ogni detenuto deve vedersi assegnati secondo la Corte, questi sono di almeno 7 mq per le celle singole e almeno 3mq per le celle con più di un detenuto. Ai fini dell’accoglimento del ricorso però contano molto altri parametri, come il tempo quotidiano che un detenuto è costretto a passare in cella, l’accesso alla luce e all’aria (ampiezza delle finestre), e il wc che deve essere separato dalla cella stessa per assicurare un minimo di privacy. Rendere aderenti le carceri italiane al dettato costituzionale secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato è un atto di giustizia che deve essere compiuto. Giustizia: la pazzia dietro le sbarre… se il manicomio è un carcere di Domenico Fargnoli www.globalist.it, 17 marzo 2013 L’opinione pubblica non ha la percezione esatta dell’emergenza psichiatrica in atto in Italia che ha legami con una situazione più generale. Scrive Amanda Pustilnik, docente dell’University of Maryland: “Oggi i nostri ospedali psichiatrici più grandi sono le prigioni. Le prigioni di Stato spendono circa 5 miliardi di dollari per incarcerare detenuti affetti da patologie mentali che non sono violenti. Stando a quanto afferma il Dipartimento di Giustizia 1,3 milioni di individui con malattie mentali sono incarcerati nelle prigioni di stato e federali a fronte di soli 70.000 individui assistiti negli ospedali psichiatrici”. Si viene messi in carcere solo per essere afflitti da malattie mentali e per aver disturbato l’ordine pubblico e non perché si siano commessi reati penalmente rilevanti. Nel luglio del 2004 The House Comitte on Governement Reform ha pubblicato uno studio dal quale risulta che negli Stati Uniti vengono incarcerati bambini (anche di sette anni) con gravi patologie mentali senza che essi siano responsabili di condotte criminali. Rispetto agli ideali illuministici che hanno ispirato la Costituzione americana, la situazione appena descritta è paradossale per il venire meno della fondamentale distinzione operata dal medico Philippe Pinel durante la Rivoluzione francese: dalla fine del 700, i malati di mente furono separati dai criminali e liberati dalle catene. Nasceva così una nuova branca della medicina: la psichiatria. A distanza di oltre due secoli notiamo una inversione di tendenza: si ritorna alla confusione fra criminalità e pazzia, al prevalere della logica della segregazione e della punizione. Il ritorno a orientamenti preilluministici è dovuto al significato sociale che ha assunto la malattia concepita come un cedimento colpevole, una mancanza di controllo e del senso di responsabilità personale. È la vecchia idea cristiana della pazzia come influenza demoniaca, come complicità con il male, la quale riappare in una forma secolarizzata. Dalla mentalità religiosa deriva l’approccio punitivo alla malattia mentale, che ha prevalso negli Usa. La punizione dovrebbe rinforzare l’adesione all’etica su cui è fondata la società e garantire, tramite la severità della pena, il rispetto delle norme. Per la concezione moralistico-punitiva le persone con malattie mentali avrebbero difetti della volontà o del carattere che li rendono incapaci di controllarsi: imporre loro criteri restrittivi aiuterebbe ad ottenere comportamenti accettabili e ad aumentare il senso di responsabilità. Il giudice si sostituisce allo psichiatra poiché quest’ultimo considerando le malattie semplici “disturbi” od opinabili convenzioni diagnostiche, non è in grado di fornire criteri certi e non manipolabili di non imputabilità. Pertanto l’essere psichicamente malati anche gravemente non garantisce di solito negli Stati Uniti, l’impunità rispetto ai crimini violenti. In Europa Anders Breivik è stato dichiarato sano di mente con criteri diagnostici del Dsm IV in un processo nel quale si è affermata la tendenza alla punizione piuttosto che alla cura. E in Italia? Il caso di Erika e Omar a Novi Ligure, quello della Franzoni a Cogne o dei coniugi pluriassassini di Erba hanno visto prevalere una logica punitiva estranea alla psichiatria. Perché ci troviamo di fronte a questa tendenza? La professoressa Amanda C. Pustilink non chiarisce il punto essenziale cioè il ruolo avuto dalle istituzioni psichiatriche nel permettere che il modello moralistico-punitivo della malattia mentale si affermasse: cento anni di freudismo hanno lasciato il segno. Proprio negli Usa, comunque, i media a partire dagli anni 90 hanno denunciato il fallimento della psicoanalisi mentre la psichiatria organicistica, subentrata al freudismo, si prepara a un clamoroso “disastro”, dovuto alla mancanza di scientificità, con l’edizione del nuovo Dsm V nel maggio 2013. I medici americani sono impegnati a distribuire psicofarmaci a una popolazione di soggetti “normali” sempre più vasta, utilizzando diagnosi che sembrano create ad hoc per favorire gli interessi delle case farmaceutiche. I casi più gravi sono sottoposti a terapie che possono amplificare la tendenza alla violenza, come l’iloperidone assunto da Adam Lanza (l’autore della strage nella scuola di Newport). Le carceri funzionano da contenitori per ogni sorta di patologie mentali che, in un regime di inaudita violenza e perversione, subiscono un aggravamento. Gli effetti sono devastanti sui singoli e sulla società. In Italia, patria di Cesare Beccaria che voleva la pena commisurata razionalmente al delitto e che era contro la tortura, si sta verificando qualcosa di analogo a quanto avviene negli Usa. L’adesione acritica ai modelli diagnostici americani, l’abuso degli psicofarmaci, il ricorso alla Tec (Terapia elettroconvulsivante, l’elettroschok), toglie credibilità alla psichiatria e favorisce l’affermazione del modello moralistico-punitivo della malattia mentale. Dato che i medici appaiono incapaci di prevenire e curare le patologie psichiche la gestione di queste ultime è demandata, ai giudici e ai tribunali. La legge Orsini-Basaglia ha vuotato i manicomi di circa centomila degenti negli ultimi decenni ma, nello stesso lasso di tempo, si sono riempite in un modo inverosimile le carceri. C’è un’emergenza psichiatrica nelle prigioni: secondo un’indagine epidemiologica dell’Agenzia regionale di sanità i detenuti con “disturbi psichiatrici” sono 1.137, il 33,4 per cento nella sola Toscana. Il carcere funziona come contenitore di patologie psichiche, che non entrano nel circuito dei servizi psichiatrici. Con la chiusura dei manicomi non sempre sono state create strutture alternative pertanto molti soggetti sono rimasti senza controllo o rete di protezione e sono finiti nelle maglie della giustizia. Le prigioni sono gironi infernali. Prendono il sopravvento l’idea di rovina, il vuoto affettivo, l’umiliazione e l’ emarginazione: le varie patologie diventano manifeste e si aggravano. I quadri psicopatologici si strutturano in forme croniche, difficilmente curabili. L’identità sessuale, in un contesto di violenza e promiscuità forzata, subisce spesso una destrutturazione irreversibile. Il suicidio è un esito drammatico la cui frequenza, anche oltre venti volte la norma, è in diretta relazione al sovraffollamento e agli abusi. Come far fronte a tale situazione? Il 31 marzo prossimo in virtù della legge Marino è prevista la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari: l’evento ha un forte significato simbolico anche se interessa 1.400 persone, su un totale di 66.721 detenuti italiani. Gli Opg sono stati l’emblema della schizofrenia istituzionale: individui affetti da vizio totale o parziale di mente e quindi non imputabili sono stati sottoposti a un regime carcerario in condizioni di degrado inimmaginabili. Per non dire delle torture fisiche e psicologiche. È necessario che questa chiusura sia occasione non solo per proporre strutture di intervento alternative ma per un ripensamento della psichiatria nel suo insieme. Andrea Zampi, il pluriomicida-suicida di Perugia è stato sottoposto nel 2012 a Pisa a due cicli di otto Tec: un intervento “terapeutico” o una prassi senza alcuna base scientifica che ha aggravato le condizioni del paziente? Oggi gli psichiatri non hanno competenze adeguate ad affrontare la psicosi con il metodo della psicoterapia: lo psicofarmaco o la Tec sono inefficaci e alla lunga pericolosi. La psichiatria deve allora fare un salto culturale e metodologico dotandosi di nuovi criteri scientifici e formativi. L’esperienza dell’Analisi collettiva che fa capo alla teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli, costituisce un’esperienza pilota con quasi quarant’anni di cura, formazione medica e ricerca scientifica, unica nel suo genere, a cui hanno partecipato e partecipano migliaia di persone e centinaia di psichiatri, impegnati ad approfondire la conoscenza della realtà psichica oltre il riduzionismo organicista e il moralismo della ragione e della religione. Come scrive Adriana Pannitteri in “La pazzia dimenticata” (L’Asino d’oro, 2013): “La malattia mentale non si risolve semplicemente buttando giù i muri dei manicomi, ma in maniera più solida cercando di sapere cosa c’è dentro la psiche di chi è ammalato”. Giustizia: Nicola Cosentino mangia pasta e patate e invoca “fate una legge per i detenuti” di Dario Del Porto e Conchita Sannino La Repubblica, 17 marzo 2013 L’ex deputato, dalla mattina di venerdì nel carcere di Secondigliano, riceve la visita dei politici Ronghi, Marino e Sarro. Il corridoio è lungo una trentina di metri, le celle sono tutte singole. Dietro alle porte blindate, detenuti provenienti da mezza Italia. Molti sono accusati di reati di mafia, qualcuno sta scontando una condanna all’ergastolo. Un paio di cancelli più avanti, un recluso è seduto a un piccolo tavolo. Legge un libro con attenzione, mentre altri volumi sono sistemati con ordine, uno sull’altro. Indossa una tuta blu e una maglietta. È Nicola Cosentino. Sono trascorse 25 ore da quando l’ex coordinatore regionale del Pdl, ritenuto il “referente politico nazionale del clan dei Casalesi”, ha varcato il porto¬ne del carcere di Secondigliano. Gli è stata assegnata una cella nel padiglione T1, quello riservato ai detenuti in regime di alta sicurezza. Il primo giorno è stato dedicato quasi per intero alle formalità di rito. Solo intorno alle 17 il primo pasto. “Non avevo ancora il fornellino, un recluso mi ha offerto un piatto di pasta e patate. Era eccezionale”, racconta Cosentino al consigliere regionale di Grande Sud Angelo Marino e al referente del partito Salvatore Ronghi, che sono in visita all’istituto. “Solo voi potevate essere i primi a venirmi a trovare”, sorride l’ex deputato. “Queste parole ci hanno fatto piacere commenta Ronghi perché hanno un significato umano, più che politico. Sono cinque anni ormai che siamo autonomi, e non dobbiamo ringraziarlo di nulla”. Cosentino appare sereno. E ha una voglia matta di parlare di politica. Così al consigliere Marino dice: “Angelo, perché non ti fai portatore di un emendamento alla finanziaria regionale per favorire l’integrazione sociale dei detenuti? In questo istituto mancano le risorse per tenere impegnati i reclusi. Da parlamentare ho visitato carceri dove c’è la possibilità di compiere attività che qui non si riescono fare”. Marino si impegna a discuterne con gli altri gruppi. L’istituto ospita 1300 detenuti, il 45 per cento sta scontando una pena definitiva. In organico ci sono 750 agenti, più 500 addetti a traduzioni, piantonamenti e altri servizi. “Da tre anni non si fanno corsi di formazione”, evidenzia Ronghi. “Chi è stato eletto come capogruppo del Pdl alla Camera?”, chiede poi Cosentino. “Brunetta”, gli rispondono. “Ah, l’amico Renato commenta “Nick” sono sicuro che utilizzerà subito la spada, è un uomo di battaglia. E al Senato? Schifani è stato un buon presidente dell’assemblea, sarebbe una scelta nel solco della tradizione del Pdl”. Ai due esponenti di Grande Sud, Cosentino rivolge l’invito a “continuare a fare politica a favore della gente. Non vi fermate”. E sull’esito del voto in Campania sottolinea: “Ve lo avevo detto che avremmo vinto. Il nostro popolo è di destra. Ricordiamocelo quando facciamo le proposte”. Il dialogo scivola sugli aspetti personali. “Quali sono stati i momenti più duri?”, domanda Ronghi. “Quando si saluta la famiglia, come sempre. Ma ho cercato di trasmettere loro quella serenità che è anche la mia. Ho fatto lo stesso anche con i colleghi di partito. Ho incoraggiato gli amici. Sembrava quasi che si fossero invertite le parti, ero io a tranquillizzare loro e non il contrario”. Il colloquio dura alcuni minuti e, come imposto dalla legge, non entrerà mai nel merito delle accuse. Sulla vicenda giudiziaria, Cosentino però ribadisce: “Confido pienamente nella giustizia. Non ho fatto niente di male, sono sicuro che al più presto sarà ristabilita la verità. Appena i magistrati potranno ascoltarmi, comprenderanno che le cose lette in questi anni non hanno alcun fondamento”. Nel primo pomeriggio, anche il deputato del Pdl Carlo Sarro va in visita al carcere di Secondigliano. “E tu che ci fai qua, non dovresti essere a Roma, a votare per il presidente della Camera?”, scherza Cosentino. “No, a Montecitorio abbiamo già finito”, risponde Sarro. “Chi è stato eletto? Ah, la Boldrini”, dice Cosentino. E poi una raffica di domande: “Al Senato che si prevede? Che impressione hai avuto della Camera, tu che vieni da Palazzo Madama?”. “L’ho trovato in condizioni estremamente dignitose spiega Sarro intimamente sereno. Mi ha ribadito che è stato accolto con grande cortesia”, conclude l’esponente del Pdl. “Ero emozionato, prima di incontrarlo riflette Ronghi ma ho trovato un uomo che non mi sembra affatto in disordine. È sereno. In poche ore ha già compreso quali sono i problemi dei detenuti e in che modo possono essere risolti”. Abruzzo: Osapp; dietro le sbarre una “vita affollata”… troppi detenuti, pochi agenti di Cristina Alexandris www.abruzzoweb.it, 17 marzo 2013 Numero di agenti in calo, numero di detenuti in crescita. E i suicidi nelle carceri da parte di entrambe le categorie continuano ad aumentare drasticamente. È questa la paradossale equazione italiana in cui non esiste una sola regione dove il numero dei detenuti presenti non sia in forte sovrabbondanza rispetto alla capienza regolamentare. In particolare, stando agli ultimi dati resi noti, ovvero quelli del 31 gennaio 2013 la capienza effettiva è superata di diverse migliaia di persone nelle regioni: Campania, Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia, Veneto. Non che vadano meglio le altre, Abruzzo compresa, la cui situazione rispecchia perfettamente quest’andamento del tutto allarmante, comprendente anche alcune città, come Brindisi, dove i detenuti presenti sono addirittura più del doppio di quelli che dovrebbero soggiornarvi. La sola situazione regionale contenuta è rappresentata dalla piccola realtà della Basilicata, aiutata proprio dalle sue ridotte dimensioni, con solo 18 persone “extra” in più. Ma non solo i posti nelle carceri si fanno sempre più stretti: alla carenza di strutture bisogna aggiungere anche la sorveglianza, che continua a diminuire. “Gli agenti che vanno in pensione non vengono sostituiti - spiega Gaetano Pignatelli dell’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp) - quindi la sorveglianza non ricopre più i numeri fissati; c’è una grandissima differenza rispetto al passato e la situazione, com’è intuibile, è veramente critica”. In Abruzzo, secondo i dati aggiornati del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria, ci sono otto istituti che ospitano 78 donne e 1.789 uomini a fronte della capienza regolamentare che di donne ne prevede 64 e di uomini 1.448, facendo così sforare la somma di ben 355 unità. Ammonta invece a 1.323 il personale di polizia penitenziaria della regione Abruzzo stabilito con decreto ministeriale dell’8 febbraio 2001 ma quest’anno l’organico è di appena 1.282. Il taglio più consistente in Abruzzo riguarda la realtà di Sulmona, dove da 328 si scende a 271 unità mentre all’Aquila da un organico di 247 si scende a 217. “Per quanto riguarda Sulmona - svela a questa testata la segreteria regionale Osapp per l’Abruzzo - i sindacalisti territoriali si sono rivolti al prefetto dell’Aquila per richiedere un suo personale interessamento presso il dipartimento del ministero della Giustizia per segnalare la grave situazione: il personale, infatti, ha subito un taglio di personale di 57 unità e deve ancora fruire di 9.042 giorni di ferie senza contare gli straordinari che ammontano già a 5.752 ore lavorative al momento non remunerate”. Subentra questo punto anche le questione di rispetto per la vita umana, che va garantito ai lavoratori così come al più grande criminale della Terra. Cagliari: nuovo carcere di Uta; gli operai non vengono pagati, i lavori sono di nuovo fermi Ansa, 17 marzo 2013 É saltato l’accordo tra l’impresa Opere pubbliche che sta realizzando il nuovo istituto penitenziario di Uta e il Commissario straordinario con delega al carcere, il prefetto Angelo Sinesio. Non è stata pagata la mensilità di febbraio e la Cassa edile arretrata. “Non sono stati rispettati gli impegni firmati a Roma - lamenta il segretario regionale della Fillea Cgl, Chicco Cordeddu - lunedì mattina scriveremo al prefetto di Roma perché si sostituisca all’impresa. Almeno in questo modo gli impegni saranno onorati. Gli operai attendono il saldo delle retribuzioni di febbraio e la Cassa edile. Non si può andare avanti con questo continuo tira e molla. Non accetteremo ulteriori ritardi”. Nel cantiere di Macchiareddu, da tempo, purtroppo, a mesi alterni sventolano le bandiere dei sindacati che proclamano lo sciopero. Fuori a protestare i lavoratori. La precarietà e l’incertezza della busta paga che forse non arriverà strema i quaranta operai. Sono disperati. Se poi l’azienda non versa le rate alla Cassa edile, non spetta loro neppure il premio di anzianità di aprile. In parecchi hanno paura perché le rate da pagare non concedono slittamenti. Intanto, ieri gli operai hanno pulito per bene il reparto dove si terranno i colloqui con i detenuti e l’ala della parte maschile. Con la nave proveniente da Civitavecchia arriveranno gli articolati pieni di mobili. Arredamenti per le zone già ultimate. Il mese scorso erano arrivati i letti e li hanno scaricati e sistemati gli operai. Domani no, restano a casa. I lavoratori hanno chiesto al geometra chi domani avrebbe scaricato la mobilia. Non è arrivata risposta. Allora le voci hanno iniziato a circolare. La struttura carceraria è costruita per conto del Ministero delle Infrastrutture mentre l’arredamento riguarda il Ministero di Grazia e Giustizia. Per questo probabilmente, se ne occuperà la struttura penitenziaria. Ecco allora che le voci corrono veloci: chi scaricherà i camion e sistemerà gli arredi nella sala colloqui e nelle celle maschili? Roma: detenuto Rebibbia tenta suicidio, Garante scrive al Gip “incompatibile col carcere” Il Velino, 17 marzo 2013 Affetto da disturbo bipolare e grave epilessia, dal suo ingresso in carcere a gennaio ha tentato più volte il suicidio. Le sue condizioni, certificate dai medici, sono incompatibili con il carcere e per questo, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha scritto al Giudice per l’Udienza preliminare di Roma, sottolineando la necessità di un ricovero in una struttura esterna adeguata a curare tali patologie, prima che accada l’irreparabile. Protagonista della vicenda, un 35enne italiano S.F., ex avvocato ed ex carabiniere, in custodia cautelare in carcere dal 4 gennaio scorso per il reato di truffa a seguito di una inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Roma. A causa delle sue condizioni di salute l’uomo, attualmente detenuto a Rebibbia N.C., è sottoposto quotidianamente ad una massiccia terapia psichiatrica ed antiepilettica. A quanto risulta, una relazione dello psichiatra del reparto lo ha giudicato, per le sue condizioni di salute, “incompatibile con il regime penitenziario”. Ai collaboratori del Garante che lo hanno incontrato, il detenuto ha riferito di aver tentato più volte il suicidio in cella per impiccagione e di essere stato rianimato quando era detenuto a Regina Coeli. L’uomo ha ricevuto la disponibilità ad essere accolto in una struttura a doppia diagnosi di Roma, dove potrà beneficiare di un supporto terapeutico e dell’assistenza di cui ha bisogno, che consentirebbero la drastica riduzione del dosaggio farmacologico cui è, attualmente, sottoposto. “Io credo - ha detto il Garante Angiolo Marroni - che più delle imputazioni e della rilevanza mediatica che queste hanno suscitato, sia al momento importante preservare la salute di un uomo che, per i medici, non è compatibile con il regime carcerario. Per questi motivi ho chiesto al Gup che sta seguendo l’inchiesta di intervenire prima possibile, considerato l’alto rischio suicidario, per evitare un prevedibile, drammatico esito di tale situazione”. Bologna: nuova direttrice “disponibilità all’ascolto e organizzazione così guiderò la Dozza” di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 17 marzo 2013 Il carcere della Dozza ha una nuova direttrice: Claudia Clementi si è insediata pochi giorni fa, e per ora ha un mandato di tre mesi. Starà quattro giorni alla settimana in via del Gomito e uno all’istituto di Pesaro, da dove proviene e che continua a reggere. Ha dato la disponibilità ad assumere il pieno incarico. Come è l’impatto con la Dozza? “Sbaglierei a dare giudizi prima di ambientarmi. Sto cercando di conoscere questa realtà complessa, parlando con le persone, i collaboratori, i referenti”. Nelle carceri italiane ci sono ormai più direttrici donne che direttori uomini. Segno dei tempi che cambiano? “Molte più donne fanno i concorsi. Ma non è solo una questione statistica. I concorsi le donne li vincono e con merito”. C’è una specificità femminile in un lavoro come il suo? “Non amo generalizzare. Questo lavoro è fatto di relazioni e di organizzazione. Le donne forse sono più portate per entrambe”. Come è il rapporto con il personale e i detenuti? “Mi piace il confronto, dalla diversità nascono i risultati più significativi. Certo, a volte in questo ambiente rapportarsi è difficile. Ma è anche stimolante. I detenuti, comunque la pensino, hanno rispetto per il ruolo. Col personale non ho mai avuto particolari problemi. Cerco di coinvolgere tutti”. L’esperienza non le manca. Ci sintetizza il suo curriculum? “Sono nell’amministrazione dal 1997. Il primo incarico l’ho avuto in Piemonte, dove sono rimasta per undici anni. Ho diretto il carcere di Asti, Alessandria e le Vallette di Torino. Poi Pesaro”. La sezione femminile della Dozza ha aperto i cancelli anche a due ospiti istituzionali, la presidente del consiglio comunale Simona Lembi e la presidente della commissione delle elette Maria Raffaella Ferri, per la giornata della donna. Le accompagnava la garante comunale Elisabetta Laganà... “Ottima iniziativa, non isolata. So che con le rappresentanti di Palazzo d’Accursio ci sono state altre occasioni di incontro. Il segno di un interesse che non è legato solo all’8 marzo”. Ancona: lavori per la sistemazione delle docce a Montacuto, 140 detenuti da trasferire Ansa, 17 marzo 2013 A causa di lavori per la sistemazione delle docce in una o più sezioni dell’istituto, circa 140 detenuti del carcere di Montacuto dovranno essere trasferiti in altre strutture. A certificare l’inidoneità dei locali sono stati i vigili del fuoco, che hanno effettuato un sopralluogo nei giorni scorsi su richiesta della direzione. I lavori devono essere ancora affidati. Sulla vicenda interviene Aldo Di Giacomo del sindacato Sappe, che esprime preoccupazione perché ‘il trasferimento richiede un notevole sforzo in termini di risorse umane, e perché alcune tipologie di detenuti non possono essere trasferite, come si ipotizza, in un carcere di custodia attenuata come quello di Barcaglionè. Secondo Di Giacomo, infatti, una cinquantina di detenuti dovrebbe essere trasferita a Barcaglione. Fonti dell’amministrazione penitenziaria assicurano però che una parte sarà portata fuori regione, in strutture compatibili con il regime carcerario in cui sono detenuti a Montacuto, mentre per un’altra parte si è valutata la possibilità di Barcaglione ma si è in attesa di autorizzazione. Viterbo: Prc; problemi di organico e sovraffollamento, quasi il doppio detenuti consentiti Ansa, 17 marzo 2013 Carcere Mammagialla a Viterbo: problemi di organico e sovraffollamento. Nel primo caso 351 unità a fronte delle 485 previste, nel secondo 720 detenuti ospitati quando la capienza è di soli 416. È quanto riscontrato stamattina dal consigliere regionale del Lazio del Prc, Ivano Peduzzi. “Nel corso del sopralluogo - dice - ho potuto constatare che nonostante qualche piccolo miglioramento è riscontrabile una carenza di personale pari al 27 per cento, mentre sono presenti attualmente circa 720 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 416 e di un massimo di tollerabilità di 700. Il 33 per cento di questi sono stranieri, molti i tossicodipendenti”. Peduzzi lamenta inoltre “mancanze sia dal punto di vista del sistema sanitario, sia per quel che riguarda gli investimenti”. Peduzzi ha quindi raccolto la testimonianza di Davide Rossi, in carcere per gli scontri di piazza San Giovanni a Roma. “Il ragazzo - spiega - ha subito diversi trasferimenti: dal carcere di Teramo a quello di Rieti, per poi arrivare a Viterbo. Questi spostamenti, di fatto, gli impediscono di mantenere un contatto con i familiari e con gli anziani genitori. Una condizione che, aggiunta all’isolamento in cui si trovava fino a qualche giorno fa, lo sta provando psicologicamente. Auspichiamo quindi che, alla prossima udienza, venga rivista una condanna che fin dall’inizio abbiamo ritenuto eccessiva e vengano assicurate al detenuto le condizioni per mantenere un contatto con i propri familiari”. Chieti: detenuti bibliotecari nel carcere di Madonna del Freddo, pronti gli attestati Il Centro, 17 marzo 2013 Una convenzione fra il Comune di Ortona e il ministero della Giustizia per formare i detenuti sulla catalogazione libraria. Terminata la prima fase del progetto, lunedì nel carcere di Chieti saranno consegnati gli attestati di formazione ai 5 detenuti che hanno partecipato ai corsi dando nuova vita alla biblioteca dell’istituto di Madonna del Freddo. Il progetto, iniziato nel 2012, si è snodato attraverso un percorso didattico di 92 ore, fatto di lezioni di biblioteconomia di base e assistenza da parte del personale della biblioteca di Ortona. Dopo la formazione i detenuti hanno ordinato e catalogato la biblioteca carceraria. L’obiettivo del programma è quello di proporre la fruizione culturale come terreno privilegiato dei fattori preventivi ed educativi del detenuto. E lunedì mattina i cinque corsisti saranno premiati con l’attestato di partecipazione dal sindaco di Ortona, Vincenzo D’Ottavio, e dal direttore della biblioteca ortonese, Tito Viola. Poi spiegheranno agli altri ospiti del carcere di Chieti il percorso, la funzionalità e i servizi della biblioteca penitenziaria. Per poche ore, a partire dalle 11, il carcere aprirà le porte ai giornalisti e alle telecamere: la direttrice della casa circondariale, Giuseppina Ruggero, e il comandante di polizia penitenziaria, Valentino Di Bartolomeo, insieme alla funzionaria giuridico-pedagogica Stefania Basilisco, racconteranno i risultati raggiunti finora e il programma dei prossimi mesi. Sono tanti, infatti, i progetti di formazione che coinvolgono i detenuti del carcere di Chieti: corsi di teatro, di cucito, di lingua inglese, fino al recupero degli anni scolastici utili a conseguire la licenza media. Giustizia: ergastolano si laurea, fratello non può studiare perché in Altissima Sicurezza Adnkronos, 17 marzo 2013 Due fratelli ergastolani trovano riscatto nella cultura e nell’arte ma per uno di essi il percorso rischia di non proseguire perché detenuto nella sezione di altissima sicurezza. Giuseppe Barreca, dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Reggio Calabria, si è laureato lo scorso febbraio in Scienza della comunicazione all’Università di Perugia con la votazione di 104/110. Anche il fratello Santo si è iscritto a un corso di laurea. Tuttavia, evidenzia in una nota il difensore Aurelio Chizzoniti, si è visto costretto a interrompere il percorso accademico poiché detenuto nella sezione di altissima sicurezza al carcere di Nuoro. La discrasia rilevata dal legale è che gli altri fratelli Giuseppe e Filippo, condannati nello stesso processo e per le medesime imputazioni, hanno beneficiato della declassificazione mentre la Dda di Reggio Calabria ha dato parere negativo al riconoscimento per Santo Barreca in quanto avrebbe ancora contatti con la cosca reggina. L’avvocato Chizzoniti rileva che il gip del Tribunale di Reggio Calabria, nel contesto di un processo recentissimo, ha conclamato l’intervenuta estinzione della cosca. L’anomalia è stata segnalata al pm Giuseppe Lombardo che ha trasmesso gli atti al Tribunale di Sorveglianza di Perugia e al Dap di Roma (direzione generale trattamento detenuti) per il riesame della posizione del detenuto. Cagliari: Sdr, detenuti Buoncammino confidano in Papa Francesco per atto clemenza Agi, 17 marzo 2013 “Un atto di clemenza che possa restituire ai detenuti un po’ di dignità ristabilendo condizioni di vita accettabili all’interno delle strutture penitenziarie in attesa di iniziative legislative in grado di incidere positivamente sulla giustizia”. È l’auspicio formulato da un gruppo di detenuti del carcere di Buoncammino all’indomani dell’elezione di Papa Francesco I. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, a cui è stato affidato nel corso di diversi colloqui, il compito di rappresentare pubblicamente il disagio e l’impossibilità “di sostenere a lungo condizioni così pesanti di sovraffollamento”. Secondo i detenuti, che intendono scrivere una lettera al Santo Padre, il “forte segnale che il nuovo Papa ha impresso al suo Ministero non può che partire dagli ultimi e quindi anche da chi, pur avendo sbagliato, non può essere costretto a subire una pena senza poter accedere realmente alla riabilitazione. Tra noi - hanno sottolineato - ci sono persone senza futuro che hanno necessità di idonei supporti per rientrare in società. Molti sono ammalati, altri tossicodipendenti. La permanenza in carcere in queste condizioni rischia di diventare un’autentica tortura. Il problema più assillante oggi per noi è il sovraffollamento che ci costringe a vivere in troppi in ambienti ristretti senza reali prospettive. Le nostre speranze - hanno concluso - sono riposte dunque nel Papa appena eletto dal conclave e nel nuovo Parlamento. Attendiamo fiduciosi un gesto di umanità in un momento particolarmente delicato per tutti”. Milano: alla Fiera “Fà la cosa giusta!” tre proposte per ridurre sovraffollamento in carceri Ansa, 17 marzo 2013 Sono 1500 i detenuti del carcere di San Vittore, a Milano, in uno spazio che può contenerne, al massimo, 700. Sono le cifre emerse dall’incontro con Alessanda Naldi, Garante dei detenuti, e Lamberto Bertolè, presidente della sottocommissione carceri del Comune di Milano, all’incontro “La paladina degli invisibili” organizzato da “Terre di mezzo” alla fiera “Fà la cosa giusta!” In corso a Milano. Da qui è partita una raccolta firme per tre leggi di iniziativa popolare che consentano la riduzione del sovraffollamento delle carceri. Un tema, questo, affrontato oggi anche dal neopresidente della Camera, Laura Boldrini, nel discorso pronunciato subito dopo il suo insediamento. Le tre proposte di legge di iniziativa popolare (visibili sul sito www.3leggi.it), sono sostenute da un vasto cartello di organizzazioni e associazioni, su tutte Arci e Antigone, impegnate sul terreno della giustizia, del carcere e delle droghe. La prima proposta chiede l’inserimento nel Codice Penale del reato di tortura secondo la definizione data dalla Convenzione delle Nazioni Unite; la seconda interviene in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario. La terza si propone di modificare la legge Fini - Giovanardi sulle droghe nei punti più discussi e accusati di provocare tanta carcerazione inutile. “Occorre dare applicazione alle proposte del Consiglio Superiore della Magistratura, in particolare eliminando le norme di tipo emergenziale - sostengono Naldi e Bertolè - dagli automatismi sulla custodia cautelare alla legge Cirielli sulla recidiva, dal reato di clandestinità alle misure di sicurezza, prevedendo un meccanismo di messa alla prova, di misure alternative e di numero chiuso”. Modena: detenuto tunisino evade, era in ospedale dopo l’arresto Ansa, 17 marzo 2013 Un detenuto tunisino, arrestato nei giorni scorsi per droga, è scappato dal policlinico di Modena, dove era piantonato nel reparto detentivo dell’ospedale. Ne dà notizia il Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria È riuscito a scappare dopo essere uscito dal reparto per una visita medica. Nel frattempo sono in corso le ricerche da parte della polizia penitenziaria per rintracciare l’uomo. “iò dimostra, ancora una volta - ha detto Giovanni Battista Durante, segretario generale del Sappe - che con certe persone non si può mai abbassare la guardia e la sicurezza deve essere l’elemento fondamentale da tenere in considerazione, sia nel carcere, sia fuori”. Milano: Assessore Majorino; raccolti 7.000 libri e giochi per detenuti e bisognosi Tm News, 17 marzo 2013 Oltre 7.000 libri in varie lingue e tantissimi giocattoli. Questo è il bilancio della raccolta “Socialibro” organizzata dall’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Milano. I testi saranno destinati alle tre case circondariali milanesi (San Vittore, Bollate, Opera), all’istituto penale minorile “Beccaria”, ai centri anziani e alle case di accoglienza per i senzatetto. I giocattoli, per bambini di tutte le età, saranno regalati alle comunità per mamme e bambini e arricchiranno gli spazi di attesa e gioco per i bimbi delle case circondariali. “Ringraziamo tutti i milanesi che anche oggi non hanno fatto mancare la propria partecipazione a questa raccolta solidale di libri e giocattoli”, ha scritto in una nota l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino. “Un risultato che non ci sorprende, vista l`adesione avuta anche in occasione delle raccolte di coperte e giacconi, di derrate alimentari e di farmaci per i più poveri. Il gesto di questi cittadini ci permetterà di far giungere a chi si trova in condizioni di emarginazione ed esclusione un messaggio di vicinanza e di solidarietà da parte di tutta la città. Crediamo che le Politiche sociali si possano fare anche con l’aiuto della gente”. Roma: ieri a Rebibbia il concerto della band folk rock “Il Muro del Canto” Agenparl, 17 marzo 2013 Un concerto rock in un carcere. È successo ieri a Roma nel carcere di Rebibbia dove, in collaborazione con lo storico locale romano Traffic, è andato in scena il concerto della band folk rock “Il Muro del Canto”. Vestiti come sei picciotti siciliani, con tanto di coppola e rigorosamente in nero, il Muro Del Canto si esibisce cantando in dialetto romano rifacendosi alla tradizione popolare capitolina e alle immagini del narrato pasoliniano riprodotto con gli elementi tipicamente rock delle chitarre elettriche che si affiancano alle “struggenti” melodie della fisarmonica e della chitarra acustica. È la seconda volta che nel carcere di Rebibbia va in scena un concerto rock. Questa volta sul palco del teatro di Rebibbia è stato il turno del gruppo romano: “non c’è stato neanche il tempo di pensarci perché questa iniziativa non può che essere vista in modo positivo e così abbiamo accettato ben volentieri soprattutto per il discorso che ruota attorno ai disagi dei carcerati. Il Muro del Canto sente molto queste problematiche”, dice Ludovico Lamarra, bassista del Muro del Canto. “Per chi vive a Roma, Rebibbia, come istituzione carceraria, fa parte del vissuto di ognuno - dice Lamarra. Fa parte del tessuto sociale. È una fermata della Metro”. I detenuti del più grande carcere d’Europa, sono pronti: non capita tutti i giorni di ascoltare un concerto live da queste parti. Qui le giornate passano lisce, quasi tutte terribilmente uguali. Non sono in molti ad assistere all’evento ma quelli che ci sono, a giudicare dagli applausi e dai classici cori da concerto, si divertono parecchio. Qualcuno, però, se ne va. Non riesce a distrarsi, a spostare, per un attimo, l’attenzione su un evento fuori dal comune. Si apre spesso la porta d’ingresso del teatro: entra la luce, fuori è giorno e c’è chi preferisce godersi il cielo di marzo. Non è un concerto come tutti gli altri. Noi da una parte, i detenuti dall’altra. Non si capisce se per disposizioni “dall’alto” o per il casuale andamento delle cose. Intanto la musica parte e tutte queste differenze si allentano. Il concerto se lo godono tutti: liberi e non. Ma l’attenzione non può non finire sui disagi dei detenuti, costretti a sopravvivere in un istituto penitenziario che può contenere molto meno dei suoi attuali “abitanti”: “il punto è che c’è una istituzione che non funziona - ci dice Ludovico Lamarra - perché Rebibbia contiene il doppio dei detenuti che potrebbe contenere. Il dato è che l’istituzione funziona grazie alle persone che ci lavorano. Il fatto che il Traffic abbia proposto questo concerto e Rebibbia abbia accettato questo già di per se è un segno di speranza per chi sta qua”. Questo il loro messaggio di speranza. I loro pezzi, la loro musica. Sì, perché durante il concerto nessuno di loro si è permesso di dire una parola. La cosa ci stupisce: “abbiamo avuto un approccio sobrio. Non volevamo fare quelli che arrivano e fanno il discorsetto. Chi siamo noi per farlo?” - conclude Lamarra. Il concerto dura quasi un’ora: L’ammazzasette, Ancora ridi, Maleficio, La spinta, alcuni dei pezzi proposti dalla band che esegue anche una cover del cantautore Stefano Rosso (e intanto er sole se nasconne), chiudendo il concerto con Luce Mia, il brano-manifesto del Muro del Canto. Noi usciamo, varcando i cancelli di Rebibbia. I detenuti tornano alla loro quotidianità che ha poco di normale e che dovrà fare i conti con gli tagli ultimi disposti, tra le altre cose, proprio per le attività culturali, ricreative, sportive, come fa sapere il garante dei detenuti Angiolo Marroni. “Se queste previsioni saranno confermate, - dichiara il garante - sarà una vera e propria mazzata ad una situazione che già è da emergenza nazionale, come certificato anche dall’autorevole Corte Europea per i Diritti dell’uomo. Su questa già drammatica situazione, si abbattono questi tagli che rendono, di fatto, sempre più inattuabile l’articolo 27 della Costituzione, che prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato”. India: caso marò; ambasciatore dell’Italia rischia carcere per “oltraggio alla Corte” Ansa, 17 marzo 2013 La Corte suprema indiana può teoricamente ordinare l’arresto dell’ambasciatore d’Italia Daniele Mancini, ritenendolo responsabile del non ritorno dei marò in India. Lo sostiene Harish Salve, l’avvocato che fino all’11 marzo ha difeso gli interessi italiana per poi rinunciare in disaccordo con la decisione di Roma. Intervistato nel programma “Devil’s Advocate” della tv Cnn-Ibn, Salve, che non ha condiviso la decisione di trattenere in Italia Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ha sostenuto che Mancini non rispettando la dichiarazione giurata depositata presso la Corte Suprema si è reso responsabile di “oltraggio alla Corte”. Secondo Salve l’ambasciatore non potrebbe far valere una immunità diplomatica perché “la nostra Costituzione stabilisce che tutti agiscano in aiuto e secondo gli orientamenti della Corte Suprema”. Dopo essersi detto certo che i giudici del massimo tribunale agiranno nei confronti di Mancini (una udienza è stata fissata per domattina a New Delhi, ndr), Salve ha ribadito che teoricamente il diplomatico potrebbe andare in prigione. Sul piano pratico, ha concluso, dipende da come (i giudici) vorranno regolarsi con lui. Ma possono, se vogliono, mandarlo in carcere. Grecia: detenuto prende in ostaggio sei persone mostrando una granata Ansa, 17 marzo 2013 Le forze speciali di polizia sono state dispiegate fuori dal carcere di Malandrino, dove un detenuto albanese accusato di omicidio e già evaso due volte da carceri di massima sicurezza ha preso in ostaggio sei persone e chiede di essere liberato Un detenuto condannato in Grecia per omicidio ha preso sei ostaggi nel carcere di Malandrino chiedendo di essere rilasciato. Alket Rizaj, questo il nome dell’uomo, di origini albanesi, dice di avere con sé armi pesanti e una foto scattata da un prigioniero e ottenuta da Ap mostra il sequestratore con quella che lui sostiene sia una granata di fianco ai sei ostaggi in manette. Tra gli ostaggi ci sono sia dipendenti del carcere che detenuti. L’uomo era già evaso due volte dal carcere di massima sicurezza di Korydallos ad Atene, nel 2006 e nel 2009, entrambe le volte a bordo di elicotteri che hanno prelevato lui e un altro detenuto, Vassilis Paleokostas, mentre si trovavano nel cortile del carcere. Le forze speciali di polizia sono state dispiegate fuori dal carcere, che si trova nella zona centrale della Grecia, mentre alcuni funzionari e un procuratore stanno portando avanti le trattative. Sul posto si trova anche l’avvocato del sequestratore. Iraq: il quotidiano El Pais denuncia maltrattamenti dei soldati spagnoli su detenuti Adnkronos, 17 marzo 2013 Il quotidiano spagnolo El Pais denuncia maltrattamenti sui detenuti compiuti da soldati del contingente spagnolo che prese parte alle operazioni in Iraq. In un video pubblicato sulla sua edizione online e girato all’inizio del 2004 si vedono 5 militari spagnoli della base di Diwamiya entrare in una cella in cui un detenuto è al suolo. Uno di loro urla al prigioniero di alzarsi, ma questo sembra non sentirli, quindi un secondo detenuto viene spinto sul primo, e tre dei soldati presenti cominciano a prenderli violentemente a calci. “La partecipazione alla guerra in Iraq - ricorda El Pais - si fece senza avvallo dell’Onu e in presenza di una forte opposizione dell’opinione pubblica spagnola”. Germania: un “cane da cellulare” scova i telefonini nel carcere Agi, 17 marzo 2013 Ha sei anni, è un cane pastore belga e la sua specialità è scovare al fiuto i cellulari detenuti illegalmente dai carcerati in un penitenziario di Dresda. La stampa tedesca ha dato ampio risalto alla straordinaria capacità di Artus, questo il nome del cane-secondino, per la quale non è ancora stata trovata una spiegazione scientifica. Quando ispeziona una cella, al pastore belga bastano dai 5 ai 10 minuti per scoprire dove un detenuto ha nascosto un cellulare. Da novembre Artus ha preso servizio nella prigione di Zeithain, dove ha già permesso di scoprire cinque cellulari “clandestini”. Al personale del carcere, invece, servono fino a due ore per perquisire da cima a fondo una cella, un tempo che praticamente rende impossibile un controllo regolare a tappeto di tutte le celle. Il ministro della Giustizia della Sassonia, il liberale Juergen Martens, ha spiegato che nelle prigioni del Land i cellulari “sono, dopo la droga, la merce che più viene fatta entrare di contrabbando”. Nel 2012 nei penitenziari della Sassonia sono stati individuati e sequestrati più di 300 cellulari. L’istruttore del cane, Joerg Siebert, ritiene che Artus individui i cellulari riconoscendo il mix di odori che emettono le batterie al litio e lo stesso involucro di plastica.