Giustizia: venerdì a Regina Coeli presentazione pubblica della “Carta del carcere e pena” Adnkronos, 12 marzo 2013 Venerdì alle 11, nella sala conferenze del carcere di Regina Coeli, a Roma, verrà presentata la “Carta del carcere e della pena”, codice deontologico per giornalisti che si occupano di persone private della libertà. Il documento è stato elaborato in alcune carceri italiane e approvato da otto ordini regionali dei giornalisti. Il programma prevede il saluto di Mauro Mariani, direttore di Regina Coeli, introduce Gerardo Bombonato, presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna. Ne parlano Susanna Ripamonti, direttrice di Carte Bollate, Ornella Favero, direttrice di “Ristretti Orizzonti”. Sono previsti gli interventi di Giovanna Di Rosa, membro togato del Csm, Angiolo Marroni, garante per i diritti dei detenuti del Lazio, Luigi Pagano, vice direttore del Dap, Patrizio Gonnella, presidente Antigone onlus. Testimonial: Fabio Cavalli, regista teatrale di “Cesare deve morire”, con i detenuti attori del carcere di Rebibbia. La “Carta del carcere e della pena”, è dedicato a chi scrive di imputati, condannati, detenuti, delle loro famiglie e del mondo carcerario in genere. È stata sottoscritta dagli Ordini dei giornalisti della Lombardia, del Veneto, della Toscana, dell’Emilia Romagna, della Basilicata, della Liguria, della Sardegna e della Sicilia. “Il passo successivo che tutti auspichiamo - spiega una nota degli Ordini regionali dei giornalisti che hanno già sottoscritto la Carta - è che si arrivi alla sua approvazione da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine”. La Carta nasce da una riflessione collettiva, maturata all’interno delle redazioni carcerarie, tra coloro che fanno giornalismo in carcere e sul carcere. Da questo dibattito è emersa la necessità di “informare gli informatori”, che troppo spesso scrivono di carcere e di esecuzione penale ignorando cosa prevedono le leggi che regolano questa materia. La Carta, spiega ancora la nota, “afferma sostanzialmente che non è ammessa l’ignoranza della legge e sono leggi quelle che consentono a un detenuto di accedere a benefici e misure alternative”. “La possibilità di riappropriarsi progressivamente della libertà - si legge ancora nella nota - non mette in discussione la certezza della pena. Semplicemente un giudice ha deciso un diverso modo di espiazione della pena, con tutti i limiti previsti dalle misure alternative applicate. La Carta invita a tenere presente che il reinserimento sociale è un passaggio complesso che dovrebbe avvenire gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono l’accesso al lavoro esterno, i permessi premio, la semi-libertà, la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova ai servizi sociali”. Le misure alternative, conclude la nota, “non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena. La Carta fa riferimento anche al diritto all’oblio. Una volta scontata la pena, l’ex detenuto che cerca di ritrovare un posto nella società non può essere indeterminatamente esposto all’attenzione dei media che continuano a ricordare ai vicini di casa, al datore di lavoro, all’insegnante dei figli e ai loro compagni di scuola il suo passato”. Giustizia: la “Carta del carcere e pena”, un codice deontologico per giornalisti di Vladimiro Polchi La Repubblica, 12 marzo 2013 Un documento dedicato a chi scrive di imputati, condannati, delle loro famiglie e del mondo carcerario in genere. è stato già sottoscritto da numerosi Ordini dei giornalisti. Un ex detenuto non è più un "delinquente". E se l'ignoranza della legge non è ammessa per nessun cittadino, tantomeno lo è per chi di mestiere scrive sui giornali. Perché anche chi vive dietro le sbarre, o ne esce grazie a una misura alternativa, o ha terminato di espiare la sua pena merita un'informazione corretta. Facile a dirsi, non sempre a farsi. Per questo è nata la "Carta delle pene e del carcere": codice deontologico dedicato a chi scrive di imputati, condannati, detenuti, delle loro famiglie e del pianeta carcere in genere. La Carta, sottoscritta dagli ordini dei giornalisti di Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata, Liguria, Sardegna e Sicilia, manca ancora dell'approvazione da parte del Consiglio Nazionale dell'Ordine. Lo scopo, senza interferire con la libertà di cronaca, è quello di fissare qualche paletto alla cattiva informazione. La certezza della pena. Come la Carta di Treviso sui minori o la Carta di Roma sugli immigrati, la Carta delle pene (detta anche "Carta di Milano") mira a fissare una sorta di decalogo per i giornalisti. Il nuovo codice deontologico, che verrà presentato il 15 marzo a Regina Coeli a Roma, nasce da un dibattito all'interno delle redazioni carcerarie sulla necessità di "informare gli informatori": troppo spesso infatti chi scrive di carcere ignora cosa prevedono le leggi che regolano questa materia. La Carta afferma sostanzialmente che non è ammessa l'ignoranza della legge e sono leggi anche quelle che consentono a un detenuto di accedere a benefici e misure alternative. "La possibilità di riappropriarsi progressivamente della libertà non mette infatti in discussione la certezza della pena: semplicemente un giudice ha deciso un diverso modo di espiazione, con tutti i limiti previsti dalle misure alternative applicate". Il diritto all'oblio. La Carta invita anche a tenere presente che "il reinserimento sociale è un passaggio complesso che dovrebbe avvenire gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono l'accesso al lavoro esterno, i permessi premio, la semi-libertà, la detenzione domiciliare e l'affidamento in prova ai servizi sociali. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena" La Carta fa poi riferimento al diritto all'oblio. Una volta scontata la pena, l'ex detenuto che cerca di ritrovare un posto nella società non può essere indeterminatamente esposto all'attenzione dei media che continuano a ricordare ai vicini di casa, al datore di lavoro, all'insegnante dei figli e ai loro compagni di scuola il suo passato. Il diritto di cronaca. La Carta ammette "ovvie eccezioni per quei fatti talmente gravi per i quali l'interesse pubblico alla loro riproposizione non viene mai meno. Si pensi ai crimini contro l'umanità, per i quali riconoscere ai loro responsabili un diritto all'oblio sarebbe addirittura diseducativo. O ad altri gravi fatti che si può dire abbiano modificato il corso degli eventi diventando Storia, come lo stragismo, l'attentato al Papa, il "caso Moro", i fatti più eclatanti di "Tangentopoli". È evidente poi che nessun problema di riservatezza si pone quando i soggetti potenzialmente tutelati dal diritto all'oblio forniscono il proprio consenso alla rievocazione del fatto". Giustizia: Cnf; la crisi economica non può incidere sui diritti fondamentali dei cittadini Adnkronos, 12 marzo 2013 Ricostruire un quadro dei nuovi diritti e delle nuove garanzie per la tutela dei cittadini, “diritti fondamentali come zoccolo duro su cui non si può incidere neanche per ragioni di crisi economica”. Il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, presenta così il tema al centro dell’VIII Congresso giuridico-forense per l’aggiornamento degli avvocati che si apre giovedì a Roma. Una riflessione necessaria per “capire se dopo la globalizzazione e la crisi economica si deve aprire una nuova fase in cui il diritto deve essere ripensato o se è necessario introdurre nuove leggi”. “Il diritto di avere diritti” è il titolo di un libro di Stefano Rodotà al quale sarà dedicata una sessione dei lavori del Congresso. Saranno poi presentati un volume sui beni e uno sull’evoluzione della giurisprudenza nelle decisioni della Corte di Cassazione. Le innovazioni in materia di processo civile, l’emergenza carceri, la nuova legge anticorruzione alcuni degli altri argomenti che saranno affrontati. Tra gli eventi del Congresso, che sarà aperto giovedì dal presidente Alpa, l’inaugurazione di una mostra dedicata a Piero Calamandrei, organizzata in collaborazione con l’Archivio storico del Comune di Montepulciano. Giustizia: Iacolino (Ppe); garantire diritto alla salute dei detenuti con problemi psichiatrici La Sicilia, 12 marzo 2013 “La paventata ipotesi di prorogare di almeno un anno la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari oltre ad essere inaccettabile va nella direzione opposta auspicata dalla legge approvata nel febbraio dello scorso anno (9/2012) che stabiliva al 31 marzo di quest’anno il termine previsto per la chiusura e il superamento degli Opg ancora aperti”. Lo afferma l’europarlamentare e Vicepresidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, Salvatore Iacolino (Gruppo Ppe). Uno slittamento che non serve a molto - perché rinvia, acuendolo, un problema che si ripresenterà più avanti - e che suscita grande preoccupazione tenuto conto che l’attuale modello degli Ospedali Psichiatri Giudiziari risulta insufficiente a garantire cure appropriate e a sostenere il percorso riabilitativo degli oltre mille internati che ancora oggi sono detenuti in strutture generalmente prive dei requisiti richiesti per l’accoglienza. Riteniamo che il processo di superamento di queste strutture non possa essere affidato a soluzioni improvvisate. Governo e Regioni devono puntare al definitivo superamento di queste strutture e a una reale riforma del sistema - attraverso la creazione e il potenziamento di strutture alternative come le Comunità Terapeutiche assistite per le quali sono state stanziate le risorse - con la presa in carico dei pazienti affetti da problemi psichiatrici da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale delle Aziende sanitarie con percorsi di riabilitazione differenziati che tengano conto delle esigenze di salute di ciascun detenuto. La Regione siciliana - che ha il triste primato di non aver ancora provveduto a varare un piano di riorganizzazione assistenziale per cui non si è fatta ancora carico del paziente psichiatrico detenuto negli Opg - deve procedere, in tempi rapidi, al recepimento della normativa nazionale che obbliga le Regioni a programmi di reinserimento e inclusione sociale sviluppando interventi di riabilitazione psicosociale e attività lavorative con il concorso delle Aziende sanitarie”. Giustizia: Angelo sta per morire di carcere come Stefano… perché si può e si deve evitare di Luigi Manconi Il Foglio, 12 marzo 2013 È difficile immaginare due personalità tanto diverse sotto il profilo sociale e culturale (e, forse, psicologico) quali quella di Stefano Cucchi e quella di Angelo Rizzoli. Eppure, oggi, la combinazione crudele delle circostanze ha portato il secondo in quel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, e nella stessa stanza, dove il trentunenne geometra di Torpignattara ha trovato la morte il 22 ottobre del 2009. Entrambi in custodia cautelare, entrambi atrocemente provati nel fisico e nell’animo. Così differenti le rispettive condizioni di vita e i rispettivi ruoli sociali, eppure un destino comune li ha condotti a una situazione che, si vuole sperare, non dovrà comportare la medesima fine. Angelo Rizzoli è affetto da sclerosi multipla con emiparesi spastica emisoma destro che lo obbliga a deambulare solo con l’uso del bastone; a ciò si aggiunga una ipertensione arteriosa, complicata da grave insufficienza renale cronica, prossima alla dialisi (valori di creatinina 5,3 mg: a 6 mg si inizia la dialisi); un diabete mellito, trattato con tre iniezioni quotidiane di insulina dosata ogni otto ore sul valore delle glicemie instabili; una pregressa angina instabile con malattia dei tre vasi coronarici trattata con angioplastica e stent coronarici; una dislipidemia con sindrome metabolica. E, infine, una pregressa mielopatia compressiva del midollo cervicale che aggravava l’emiparesi del braccio destro, operata e trattata con inserimento intravertebrale di due dispositivi metallici. Ho voluto riportare, con la piatta crudezza del linguaggio medico, il quadro clinico delle condizioni di Angelo Rizzoli perché ritengo che solo quel quadro - con l’essenzialità dei termini diagnostici e la disadorna descrizione di un corpo gravemente colpito - offra l’esatta misura del suo stato di salute. Non solo. La situazione renale si è ulteriormente aggravata e il diabete necessita di controllo della glicemia tre volte al giorno e di trattamento insulinico a seconda delle glicemie che solo un medico diabetologo può valutare di volta in volta. Rizzoli è costretto a letto perché, essendo stato privato del bastone all’ingresso in carcere, non può camminare e mostra già segni di atrofia muscolare; e dal momento che non è autonomo, gli è impedito l’uso della doccia a causa del pericolo di cadute. In queste condizioni, Rizzoli tende a rifiutare il cibo: e ciò, in aggiunta al quadro clinico appena descritto, ha indotto il professor Luigi Tazza, nefrologo presso il Policlinico Gemelli, a parlare ripetutamente, in una perizia, di pericolo di decesso del paziente se non adeguatamente seguito e curato anche dal punto di vista psicologico. La perizia del giudice per le indagini preliminari conferma il quadro patologico e le possibili complicanze, ma ritiene l’aggravamento delle condizioni di salute responsabilità del paziente stesso, a causa del rifiuto di cibo e terapie. La perizia, poi, descrive il paziente come autosufficiente, in grado di lavarsi e vestirsi, e quindi compatibile con il regime detentivo. Non è la prima volta che viene formulata una valutazione di “compatibilità”, successivamente rivelatasi errata. In ogni caso qui si parla di custodia cautelare: ovvero di una misura prevista per la persona indagata e la cui applicazione è rigorosamente e tassativamente regolamentata dal codice. Possibile che, a un mese di distanza dall’arresto di Rizzoli, le circostanze previste per il ricorso alla custodia cautelare siano tutt’ora così inesorabilmente cogenti da imporre la reclusione di un uomo tanto gravemente malato, e riconosciuto tale dallo stesso giudice? Si torna così al discorso iniziale. Il carcere è oggi una grande agenzia di stratificazione sociale, che riproduce disparità e sperequazioni, che amministra diseguaglianze e discriminazioni, intrecciandosi alla crisi del sistema di welfare e surrogando alcune delle funzioni e dei servizi dai quali lo stato sociale si è ritirato. L’esito è che oggi, all’interno del circuito penitenziario, è prevalente la componente costituita da poveri e nuovi poveri, malati cronici e pazienti psichiatrici, dipendenti da tutte le dipendenze, borderline e marginali, persone che precipitano nella scala sociale e soggetti che entrano ed escono dai confini del sistema di cittadinanza. Un carcere, cioè, che assume una sempre più netta fisionomia classista e censitaria. Allo stesso tempo, l’organizzazione penitenziaria funziona come meccanismo livellatore, riducendo nella gran parte dei casi - le eccezioni restano, ma sempre meno significative - le risorse e i privilegi dei singoli. È questo che rende così simile, pure in quella distanza sociale e culturale di cui si è detto, le figure di Angelo Rizzoli e di Stefano Cucchi, reclusi nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini. Si può e si deve evitare che simile sia il loro destino. Giustizia: per Nicola Cosentino (Pdl) si aprono le porte del carcere, si consegnerà giovedì La Stampa, 12 marzo 2013 E adesso, dopo Milano, griderete al complotto? Ancora una volta i magistrati proveranno a cambiare i risultati elettorali? Allarga le braccia Nitto Palma, ex pm nazionale antimafia, parlamentare Pdl, commissario e adesso segretario regionale del partito: “Non so che dire. Ho ben chiara la situazione, sia per quanto riguarda il Parlamento che a livello della Regione”. E che situazione si annuncia? “Siamo all’emergenza democratica”, come hanno sostenuto i parlamentari Pdl a Milano? Non risponde Palma. È una impresa ardua mettere insieme tutte le vicende processuali e gridare al complotto. La Campania, rischia di vincere il Guinness dei primati dei parlamentari (ex) finiti in carcere o ai domiciliari. Ieri è partita la richiesta della procura di Napoli per il processo immediato per Silvio Berlusconi, Valter Lavitola e Sergio De Gregorio. Accusati tutti di corruzione per la compravendita di parlamentari. Giovedì sera si consegnerà in carcere Nicola Cosentino, che ha visto respinte le sue due istanze di revoca della due misure cautelari non concesse dalla Camera. E che adesso che non è più parlamentare saranno operative. Cosentino, per l’accusa, colluso con Gomorra. Finiranno invece ai domiciliari l’ex parlamentare ed ex sindaco di Afragola, Vincenzo Nespoli (ex An), accusato di concorso in bancarotta fraudolenta e riciclaggio in una inchiesta sul fallimento di una ditta di vigilanza. E l’ex senatore Sergio De Gregorio, accusato, tra l’altro, di bancarotta fraudolenta con Valter Lavitola, per la vicenda dei finanziamenti all’Avanti. Sempre la legislatura appena alle spalle (che scadrà giovedì a mezzanotte) ci ha regalato anche l’arresto di un magistrato prestato alla politica, Alfonso Papa, Pdl, accusato e sotto processo per concussione e corruzione (giovedì in aula, il faccendiere Luigi Bisignani). E una richiesta (respinta) di arresto anche per l’ex braccio destro del ministro dell’Economia, Giulio Tramonti, Marco Milanese. L’ex ufficiale della Finanza, anche lui come tutti gli altri parlamentari caduti in disgrazia non ricandidati, però è anche l’unico “graziato” dalla Procura che non ha ritenuto di dover riproporre la richiesta di misura cautelare. A dar retta ai boati, l’Ufficio del gip del Tribunale di Napoli starebbe esaminando la richiesta d’arresto del parlamentare Luigi Cesaro, ex presidente della Provincia, accusato di collusione con la camorra, mentre la Procura di Salerno è in dirittura d’arrivo per là “pratica” di Edmondo Cirielli, oggi eletto nelle liste di “Fratelli d’Italia”. Beh, se la Procura di Salerno dovesse decidere di procedere con la richiesta di autorizzazione a procedere all’arresto di Cirielli, tra gli atti che i parlamentari si troveranno a dover valutare anche gli interrogatori di due testi eccellenti dell’accusa: l’ex ministro Mara Carfagna (che ieri era in prima linea a denunciare il complotto delle toghe contro Berlusconi) e il numero uno del Pdl in Campania, l’ex magistrato Nitto Palma. Giustizia: processo Del Turco; si sbriciolano le accuse contro ex governatore dell’Abruzzo di Fabio Martini La Stampa, 12 marzo 2013 A distanza di quasi cinque anni dall’arresto di Ottaviano Del Turco, per la prima volta la difesa dell’ex governatore dell’Abruzzo ha potuto calare le sue carte e, in cinque ore, ha messo a soqquadro i puntelli dell’accusa. Al punto che il grande accusatore di Del Turco, l’ex re delle cliniche private abruzzesi, Vincenzo Maria Angelini (sulla cui testimonianza si fonda l’impianto accusatorio), ha perso il controllo e ha grevemente insolentito l’avvocato della difesa Giandomenico Caiazza, urlandogli: “Cerca di barare”, “dice caiazzate!”. E infatti Angelini è stato allontanato dall’aula dal presidente del collegio Carmelo De Santis. Cinque ore di udienza che hanno determinato una svolta in un processo che, a questo punto, potrebbe diventare un caso proverbiale nella storia giudiziaria italiana e che ieri ha visto come protagonista Giacomo Gloria, un corpulento informatico chietino. Apostrofato scherzosamente dal presidente (“la sua circonferenza...”), Gloria ha confermato la fama che lo vuole ferratissimo consulente di diverse Procure di prima linea, riuscendo a dimostrare - senza che i pm e il loro perito riuscissero a contraddirlo - un punto essenziale: le foto che l’accusatore Angelini ha ripetutamente datato 2 novembre 2007 (confuse foto che ritraggono mazzette di soldi, mele ricevute in cambio delle tangenti e lui stesso fuori casa Del Turco) in realtà sarebbero state scattate molti mesi prima. Dettaglio solo apparentemente secondario, destinato a sbriciolare, se confermato, uno dei punti essenziali dell’accusa, non solo perché il superteste avrebbe detto il falso, ma soprattutto perché quella data è stata ribadita dalla moglie di Angelini, dal suo autista, dalle due segretarie. Se fosse confermato senza tema di smentite che quella foto è stata scattata circa un anno prima di quanto dichiarato dai cinque “sarebbe oggettivo constatare una calunnia organizzata ai danni di Del Turco”, dice il suo difensore Caiazza, già legale di Enzo Tortora. Ancora più sorprendente un’ordinanza decisa dal Tribunale: poiché un altro dei “capisaldi” dell’accusa di Angelini è stata la produzione di alcune ricevute di Telepass, che dimostrerebbero la sua frequentazione (finalizzata alla consegna di tangenti) della casa di Del Turco nel paesino di Collelongo, la difesa ha chiesto e ottenuto quel che non era mai stato fatto in istruttoria: la richiesta alla Società Autostrade di tutti i passaggi (ingresso e uscita) delle auto di Angelini. E sempre su impulso della difesa sono stati prodotti i rapporti ufficiali a suo tempo firmati dagli autisti del presidente della Regione su tutti gli spostamenti di Del Turco, rapporti che potrebbero presto dimostrare che in alcune delle date indicate da Angelini per la consegna di denaro a Collelongo, il governatore era altrove. Tasselli che sarebbe stato utile conoscere prima di far scattare le manette e la cui emersione è destinata ad alimentare il “j’accuse” di chi in questi anni - quotidiani diversissimi, dal Giornale all’Unità - ha denunciato i buchi dell’indagine. Tasselli che potrebbero trasformare questo in un caso simbolico, anche se di natura molto diversa da quella denunciata da anni da Silvio Berlusconi, che ha sempre lamentato un disegno ostile, più che indagini mal condotte. Quella nei confronti Del Turco e di alcuni suoi assessori ebbe inizio il 14 luglio 2008 con l’arresto del governatore: da allora è emerso uno spread - oramai misurabile a vista d’occhio - tra le sicurezze della Procura di Pescara e i successivi riscontri. Il procuratore capo, Trifuoggi, per motivare una misura come l’arresto di un presidente di Regione, non esitò a definire gli indagati come “schiacciati da una valanga di prove”. Parole impegnative. Alle quali, negli anni successivi, sono seguiti eventi quasi tutti di segno opposto. Subito dopo aver annunciato prove a bizzeffe, la Procura non chiese il rinvio a giudizio degli “schiacciati”, ma invece due proroghe delle indagini. Indagini finalizzate a implementare le dichiarazioni del superteste Angelini, che ha denunciato di essere stato concusso da Del Turco e al quale dice di aver consegnato circa sei milioni di euro. Gli inquirenti hanno aderito all’insegnamento di Giovanni Falcone - bisogna sempre seguire il denaro - ma senza successo. Del denaro non si è trovata traccia. Niente nei conti correnti di Del Turco e neppure in quelli dei suoi parenti. Nessun risultato neppure da oltre cento rogatorie all’estero. Ma soprattutto - ecco il punto più rilevante - non sono spuntate case, auto, proprietà, investimenti che non fossero giustificati. Le indagini e le testimonianze hanno anche contribuito ad incrinare la credibilità del grande accusatore Angelini (che è sotto processo per bancarotta fraudolenta a Chieti) e un rapporto dei Nas dei Carabinieri ha fatto emergere che Del Turco aveva iniziato un significativo taglio dei fondi alle cliniche, quasi 100 milioni, scontentando entrambi i “poli” privati: Angelini e Pierangeli. Lettere: la cultura garantista e libertaria in Italia sta morendo… di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 12 marzo 2013 Leggo delle manifestazioni fuori il tribunale di Milano a sostegno di Silvio Berlusconi per l’accanimento giudiziario che sta subendo. Quasi tutti i parlamentari Pdl hanno partecipato. Degli elementi giusti per manifestare c’erano, ma se manifestano solo per il loro leader e non per un garantismo per tutti, credo che non solo sia sbagliato, ma diventa l’altra faccia della medaglia delle azioni giudiziarie che ritengono sbagliate. Alcuni di questi parlamentari non hanno mai preso posizione su battaglie realmente garantiste, come la depenalizzazione dell’uso delle così dette droghe leggere, per l’abolizione del reato di ingresso clandestino, per non condannare al carcere chi ha fatto disobbedienza civile, manifestando con blocchi stradali contro le grandi opere che distruggono l’ambiente. Sono sempre stati disattenti anche sul tema carceri, anzi durante il loro governo, c’è stato un aggravamento della situazione e non hanno voluto trovare nessuna soluzione se non quella di costruire nuove carceri. Anche sul tema dell’applicabilità dell’ingiusta detenzione a tutti e non discrezionalmente relegata alle scelte dei giudici, non hanno mai speso una parola. A questo punto mi chiedo, ma questa è veramente una società malata perché si fanno battaglie solo di parte. Il garantismo è una grande cosa e non va offeso, è insito nella sua cultura che deve riguardare tutti. Io tempo fa durante la campagna elettorale pur essendo di centro sinistra non ho avuto timore di dire che alcune cose che diceva Berlusconi sulla giustizia non erano lontane dalla realtà. Ma oggi che tristezza vedere questi parlamentari, che non hanno mai manifestato in vita loro su tematiche garantiste, manifestare in massa solo per il loro leader. Notizie buone non arrivano neanche dai grillini che su questo tema più di invocare il carcere non vanno. Il Pd è impantanato da sempre a difendere, in qualsiasi caso la magistratura, anche per propri interessi. La cultura garantista e libertaria in Italia sta morendo, ma bisogna rilanciarla senza ghettizzarsi e isolarsi, ma legandola a contenuti di difesa anche dei diritti sociali. Lazio: il Garante dei detenuti; effetti della spending review sono devastanti per le carceri Ristretti Orizzonti, 12 marzo 2013 Arriva, anche per le carceri del Lazio, la spendig review e gli effetti sono devastanti: tagliati i budget per le attività culturali, ricreative e sportive e per la gestione degli asili nido delle detenute, le mercedi per i detenuti lavoranti (il compenso per i reclusi impiegati in attività lavorative) scendono dai 6 milioni del 2010 ai 4,5 milioni di quest’anno. Del tutto definanziate, invece, le politiche per le tossicodipendenze, per le quali nel 2013 non sono previsti stanziamenti in bilancio. La denuncia è del Garante dei detenuti Angiolo Marroni secondo cui “se queste previsioni saranno confermate, sarà una vera e propria mazzata ad una situazione che già è da emergenza nazionale, come certificato anche dall’autorevole Corte Europea per i Diritti dell’uomo”. La ripartizione dei budget per l’anno 2013 è prevista in una circolare del Prap all’interno della quale è contenuta, per i direttori delle 14 carceri della Regione, la raccomandazione di “monitorare l’andamento della spesa al fine di evitare di effettuare impegni oltre i limiti di disponibilità, considerando che per il 2013 non sono previste integrazioni delle risorse”. Le spese per gli asili nido passano dagli € 475 mila del 2010 ai 93.131 del 2013. Le mercedi per i detenuti lavoranti scendono dai 6 milioni di euro del 2010 ai 4,5 di quest’anno. “Un dato, questo, importante - ha detto Marroni - perché vuol dire che saranno ridotte le ore di lavoro destinate alle pulizie e alla manutenzione degli istituti e sarà sacrificato il lavoro dei detenuti spesini e degli scrivani, degli addetti alle cucina e alle biblioteche e a coloro che lavorano nelle infermerie”. Le assegnazioni dei fondi per i servizi alle industrie (ridotti in tre anni da 872 mila euro a 160 mila euro) sono state individuate direttamente dalla Direzione generale detenuti e trattamento. Per quanto riguarda i fondi per le attività culturali, ricreative e sportive dei detenuti (non quantificati a preventivo), il Prap prevede che debbano essere utilizzati, in via prioritaria, per il pagamento dei premi di rendimento scolastici maturati e per le situazioni debitorie pregresse. Un capitolo a parte merita il budget per il trattamento delle tossicodipendenze per il quale, annuncia il Prap, “non ci sono stanziamenti”. Ciò significa che le carceri non hanno più a disposizione fondi né per i mediatori culturali e per gli psicologi, né per i progetti specifici, né per quelli delle comunità terapeutiche che operano in carcere. A Rebibbia N.C., ad esempio, nella sezione G 14 (uno dei 4 reparti in Italia per detenuti con Hiv, dove i progetti facilitano la socializzazione e il lavoro e sono parte integrante del trattamento come la terapia clinica), il taglio dei fondi segnerà la fine di diversi progetti da tempo attivi. “Se i dati saranno confermati, le carceri non hanno margini di manovra - ha concluso il Garante - e, per restare nei limiti imposti dai budget, si corre il rischio di paralizzare ogni tipo di attività. Un recente rapporto che abbiamo realizzato con la Cgil ha fatto emergere la crisi di tutti gli ambiti del pianeta carcere: dalla sanità all’istruzione, dalla formazione al lavoro fino al delicato tema del reinserimento sociale di chi ha scontato la pena, alle prese con il sovraffollamento e le drammatiche carenze umane e strutturali. Ora, su questa già drammatica situazione, si abbattono questi tagli che rendono, di fatto, sempre più inattuabile l’articolo 27 della Costituzione, che prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato”. Rimini: “tagliata” la dirigenza penitenziaria, il carcere passa sotto la gestione di Forlì La Voce di Romagna, 12 marzo 2013 Carceri, si cambia: taglio di risorse e accorpamenti. Rimini passa sotto la gestione di Forlì che è destinato a diventare il primo penitenziario della Romagna. Il carcere di Rimini rischia di essere accorpato a quello di Forlì. In ottica di spending review, anche la direzione delle due case circondariali rischia di essere coperta da un solo funzionario. È quanto contenuto tra le righe del provvedimento emanato dal Governo Monti riguardo al taglio dei dirigenti pubblici, una decisione che avrà le sue ricadute anche sulla gestione dell’amministrazione penitenziaria. Gli accorpamenti produrranno, inevitabilmente e a ricaduta, una serie di altre novità che, per certi versi, appaiono come un deciso ritorno al passato. Ad esempio, la direzione del carcere di Rimini spetterà a Forlì, città che ospiterà il penitenziario più grande della Romagna. È infatti in fase di costruzione il nuovo carcere (di cui per il momento sono state realizzate le sole fondamenta), che avrebbe dovuto essere inaugurato per il 2013. Il rallentamento dei lavori ha spostato la data di previsione di fine lavori. L’opera dovrebbe essere completata entro il 2015. Chieti: apre struttura dell’Asl che anticipa riforma degli Ospedali psichiatrici giudiziari www.abruzzoindependent.it, 12 marzo 2013 È stata rinviata a giovedì 14 marzo 2013 alle ore 11.00 la conferenza stampa per la presentazione della nuova struttura per la cura dei detenuti psichiatrici. L’appuntamento è nella sala riunioni Direzione Generale - VII livello Ospedale “SS. Annunziata” - Chieti. Parteciperanno: Francesco Zavattaro, Direttore Generale Asl Lanciano Vasto Chieti, Ignazio Rucci, Sindaco di Ripa Teatina, Luigi De Fanis, Assessore regionale alla Prevenzione collettiva La legge del N.211 del 17 febbraio 2012 recante “interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri” sanciva l’inevitabile chiusura, con termine perentorio entro il prossimo 1 marzo 2013, dei cosiddetti Opg: cioè gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ma ecco che si scopre che i soldi stanziati per riconvertire quelle strutture ed avviare un effettivo recupero sanitario, oltre che giudiziario, delle persone recluse in quelle strutture horror non ci sono. E che, dunque, i tempi per applicare quel dispositivo verranno prorogati di almeno un semestre o finché non verranno trovati i fondi, circa 155 milioni di euro. Savona: ex detenuti al lavoro nella Scuola di Polizia di Cairo Montenotte, il Sappe protesta www.savonanews.it, 12 marzo 2013 Donato Capece, segretario generale del Sappe: “Mi sembra davvero discutibile che la Regione Liguria abbia stanziato 900mila euro per questi impieghi: che messaggio viene dato ai tanti giovani disoccupati della Valbormida, che sono in cerca di lavoro e con una fedina penale immacolata?”. “Se fosse vero che 4 ex detenuti verranno prossimamente messi a lavorare nella Scuola di Polizia di Cairo Montenotte, sarei davvero perplesso. È vero che a chi sbaglia deve essere data una seconda possibilità, ma sarebbe davvero senza senso ed immotivato impiegarli ina una Scuola di Polizia. E poi mi sembra davvero discutibile che la Regione Liguria abbia stanziato 900mila euro per questi impieghi: che messaggio viene dato ai tanti giovani disoccupati della Valbormida, che sono in cerca di lavoro e con una fedina penale immacolata?”. È quanto si domanda polemicamente Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Capece torna a sottolineare come “quello della Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte è un centro di eccellenza formativa nel quale è attualmente in atto un corso di formazione per Agenti e dove, dal prossimo giugno, si terrà anche un corso di formazione per Vice Ispettori. La Scuola, attualmente senza Direttore e con il legittimo Comandante titolare di Reparto temporaneamente assegnato ad altro incarico, è impiegata anche per corsi specifici di specializzazione e di perfezionamento nel tiro dei poliziotti in servizio nelle carceri liguri e per una gamma di attività culturali, quali conferenze, convegni, seminari e workshop, incentrati su tematiche di rilevante interesse”. Bologna: Associazione Papillon; il prossimo Garante lo scelgano direttamente i detenuti… Redattore Sociale, 12 marzo 2013 In attesa che il Tar si pronunci (per la seconda volta) sull’illegittimità della nomina di Elisabetta Laganà a garante dei detenuti, Guizzardi dell’associazione Papillon propone che il prossimo “venga scelto direttamente dai carcerati”. Il garante dei detenuti di Bologna? “Se lo scelgano i diretti interessati, e quindi i carcerati della Dozza”. A lanciare la proposta, a margine della conferenza di presentazione del “Commento al rapporto Ausl sulle carceri di Bologna”, è Valerio Guizzardi, dell’associazione culturale di ex detenuti Papillon. “Entro fine mese dovrebbe arrivare il responso del Tar sul nostro ricorso contro la scelta illegittima del Comune di Bologna di nominare garante Elisabetta Laganà - spiega Guizzardi. A quel punto, quando il Tar ci darà ragione come siamo convinti succederà, Palazzo D’Accursio dovrà rifare il bando, e allora sarà importante dare spazio a chi nel carcere è rinchiuso”. Guizzardi ha parole anche sul Cie: “È chiuso per ristrutturazione? Bene, facciamo in modo che non riapra più, che la ristrutturazione non parta mai e che quel luogo sia semmai usato per altre attività”. Sulla questione del Garante comunale prende posizione anche Vito Totire, portavoce del circolo “Chico” Mendes. “È chiaro che insistendo su Laganà il Comune si è andato a cacciare in un vicolo cieco - spiega Totire. Ormai è evidente che per come sono andate le cose la scelta è stata tutta e solo politica. L’ostinazione nell’assegnare la nomina del Garante dei detenuti al Consiglio comunale rischia di fare di questa figura un garante non dei detenuti ma del Consiglio stesso, o peggio dei partiti. Bisogna uscire al più presto da questa logica: il prossimo garante lo eleggano direttamente i detenuti”. Roma: venerdì un incontro-dibattito a partire dal libro “Carceri: Lo spazio è finito” Roma Today, 12 marzo 2013 Un appuntamento, patrocinato dal Municipio, per tornare sul tema grazie ad un libro che spiega, anche numericamente, un fenomeno molto dibattuto ed estremamente oneroso. I numeri con i quali si condensa la situazione delle carceri italiane sono impietosi. Si parte dalla capienza complessiva, stimata dalla Sezione Statistica del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria in 47.040 unità, al numero di effettivi reclusi, pari a 65.701 persone, fino ad arrivare al costo che la detenzione di queste persone comporta per la collettività: 115 euro al giorno per ciascun carcerato. Per un totale di circa 2 miliardi e 700 milioni di euro all’anno. Ad enumerare cifre e statistiche, che ci sono stati forniti dal Municipio XI che ha preso spunto da alcuni dati aggiornati al 31 dicembre 2012 dal citato Dipartimento, già si inquadra la drammaticità e gli elevati costi sociali di una misura restrittiva rimasta pressoché invariata. Il carcere, come istituzione totale, è stato anche argomento di disquisizione di importanti studiosi, spesso psichiatri, qualche volta sociologi, come nel caso di “Asylum” di Erwin Goffman, saggio vecchiotto ma ancora valido per le sue implicazioni sulla vita relazione che si realizza negli istituti correttivi di pena. Passando dalla letteratura scientifica al piano della prassi, nel territorio si segnala un’importante iniziativa, ormai collaudata. “Qualche anno fa alcuni ex-detenuti, volontari e assistenti sociali hanno intrapreso un progetto che negli anni è diventato lo Sportello Rebibbia da quattro anni portato avanti dall’Associazione Il Viandante in collaborazione con il Municipio Roma XI - ci informa il presidente Andrea Catarci - il Garante dei Detenuti della Regione Lazio e gli istituti penitenziari Rebibbia Nuovo Complesso e Rebibbia Femminile. Lo “Sportello Rebibbia” è finalizzato al reinserimento lavorativo e sociale delle persone detenute, ex detenute o in esecuzione penale esterna, residenti nell’undicesimo municipio di Roma”. Grazie ad un contributo economico del Municipio XI di 5.000 euro, ed a quello volontario di 9 persone, senza per questo omettere l’essenziale apporto della rete locale, fatta di cooperative e realtà associative, si sono ottenuti importanti risultati. La recidività di quanti hanno partecipato allo “Sportello Rebibbia”, come ha recentemente riconosciuto anche il Ministro di Grazia e Giustizia Paola Severino, è stata praticamente azzerata. Tornando ad un livello di analisi teorica, segnaliamo che “il Municipio Roma XI tornerà a discutere di carcere, uno dei grandi temi che resta sistematicamente ai margini dell’agenda politica e stavolta lo farà - ci fa sapere il minisindaco Andrea Catarci (Sel) a partire dal libro di Maria Falcone “Carceri: Lo spazio è finito. Emergenza sovraffollamento nelle prigioni italiane”. L’appuntamento è per venerdì 15 marzo alle ore 16 - conclude l’informativa il minisindaco - nella sala consiliare di Via Benedetto Croce 50”. Un’occasione per offrire spunti di riflessione anche in base al confronto con altri paesi europei, come Francia e Gran Bretagna, che stanno portando avanti percorsi correttivi differenti, anche meno onerosi per la collettività. Pescara: poesie dal carcere, i detenuti abruzzesi si sfidano su internet di Rosa Anna Buonomo Il Centro, 12 marzo 2013 Al via il contest letterario del premio “Alda Merini”. Una delle sezioni è riservata ai versi scritti dai reclusi nei carceri di Chieti e Teramo. Sul nostro sito internet tutte le poesie: clicca su “Mi piace” e scegli la poesia più bella La scrittura e la poesia entrano in carcere e, grazie a Internet, superano le barriere fisiche e consentono un riscatto e un reinserimento immediato dei detenuti nella società. Un’opportunità offerta ai detenuti dei penitenziari abruzzesi del Premio nazionale di poesia “Alda Merini - A tutte le donne”. Il Premio, alla sua prima edizione, è stato organizzato dall’associazione Donna Cultura di Spoltore, guidata da Veruska Caprarese, e patrocinato dal Comune di Pescara e dalla commissione Pari Opportunità. L’associazione al femminile di Spoltore ha voluto riservare una sezione del Premio ai detenuti delle case circondariali abruzzesi. “In volo per la libertà”, questo il nome della sezione, chiama in causa anche i lettori, con un premio assegnato dalla giuria popolare. I lavori, pubblicati sulla pagina Facebook del Premio e sul nostro sito web potranno essere votati attraverso il meccanismo del “mi piace” del social network. Il concorso, a tema libero, è stato articolato in tre sezioni. Oltre alla speciale riservata ai detenuti abruzzesi ci sono “Poesia singola edita o inedita” e “I piccoli aquiloni”, pensata per gli alunni delle classi quinte della scuola primaria e delle scuole medie di Pescara e Provincia. I nomi dei vincitori, selezionati dalla giuria tecnica e dal web contest, si conosceranno alla fine di marzo e verranno resi pubblici il giorno della premiazione. La premiazione avverrà il 7 aprile a Pescara. L’appuntamento è fissato all’Aurum a partire dalle 16. A presiedere la giuria, l’attore e regista Walter Nanni. In giuria anche: la sociologa, psicopedagogista ed esperta servizi sociali Alessandra Gabrielli, la docente Berenice De Laurentiis, la scrittrice e giornalista Federica D’Amato, la giornalista Roberta Marcantonio. Il Premio della Critica verrà assegnato dal giornalista Rai Nino Germano. Protagoniste assolute dell’incontro, le 40 poesie consegnate dai detenuti, che Veruska Caprarese ha incontrato insieme alla giornalista Federica D’Amato e all’attrice Franca Minnucci. A chiudere il laboratorio poetico, uno spettacolo di cabaret di Walter Nanni. Un altro laboratorio si è tenuto presso il carcere di Teramo, con la collaborazione dell’attrice Silvia Napoleone e il poeta Dante Quaglietta. Sono state consegnate circa 20 poesie. Pisa: Sappe; aggredito ispettore penitenziario al carcere “Don Bosco” Adnkronos, 12 marzo 2013 “Momenti di alta tensione ieri nel carcere Don Bosco di Pisa, dove un detenuto ha prima aggredito un ispettore di Polizia penitenziaria e poi ha fomentato una rivolta in sezione”. Lo denuncia il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) facendo notare come l’episodio rappresenti “l’ennesimo sintomo di criticità del penitenziario toscano, a tutt’oggi senza un Comandante di reparto della Polizia”. “Un nostro ispettore è stato violentemente colpito da un detenuto ristretto per reati comuni che, con altri 4-5 reclusi aveva messo in atto una violenta protesta - spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe. Le condizioni operative del personale di Polizia penitenziaria di Pisa sono sempre più precarie e l’inquietante regolarità con cui avvengono eventi critici al Don Bosco, specie contro gli agenti, impone una ferma presa di posizione dei vertici regionali e dipartimentali”. Ma non è solo la situazione del carcere di Pisa a destare preoccupazione. “Così non si può più andare avanti - denuncia Capece - Le gravi carenze di organico della Polizia penitenziaria ed il pesante sovraffollamento carcerario condizionano irrimediabilmente i livelli di sicurezza dei servizi all’interno delle sezioni detentive e durante le traduzioni dei detenuti”. Da qui il grido d’allarme lanciato dal segretario del Sappe: “I nostri agenti devono quotidianamente far fronte a carichi di lavoro particolarmente delicati e stressanti. Servono tutele e garanzie”. Novara: domenica scorsa un incontro sulla condizione della donna nelle carceri femminili di Sara Bettoni www.ilvergante.it, 12 marzo 2013 Un tema difficile e poco conosciuto, quello affrontato quest’anno dall’associazione “Insieme si può” in occasione dell’8 marzo: la condizione della donna nelle carceri femminili. Domenica 10 marzo, nel tendone di Casa della Gioventù a Massino Visconti, hanno parlato di fronte a un grande pubblico (non esclusivamente femminile) Davide Pisapia, direttore del carcere di Vigevano e Patrizio Gusella, docente di corsi di formazione nell’istituto penitenziario, esponendo problematiche ma anche soluzioni che vivono per loro diretta esperienza nella sezione femminile della prigione. Circa 510 detenuti si trovano nel penitenziario di Vigevano, cento in più della cosiddetta “capienza tollerabile”, ovvero del numero di persone massimo per avere condizioni sopportabili. Di questi, 90 sono donne, a loro volta divise tra detenute ad alta sicurezza e a media sicurezza. La distinzione è dovuta al tipo di crimine commesso, in associazione a delinquere nel primo caso, per reati comuni nel secondo. Del personale fanno poi parte, oltre le 200 guardie, anche medici e psicologi che provvedono alla salute fisica e mentale e alla rieducazione dei condannati. “La detenzione femminile ha caratteristiche diverse rispetto a quella maschile, così come è differente l’impatto del carcere sulle donne rispetto a quello sugli uomini” ha spiegato ai presenti Pisapia, mettendo in evidenza come “il reato che le donne commettono molto spesso ha un legame con un uomo”. Doppio è quindi il taglio che la carcerazione impone alle donne, quello con l’uomo a cui è collegato il crimine e quello con gli affetti. “La donna, poi, - continua il direttore - ha maggiori difficoltà perché si trova in un contesto pensato con logiche e dinamiche al maschile, come quelle del potere, della subordinazione, del comando”. Un altro elemento di rilievo è il rapporto delle madri detenute con i figli: la legge tutela questo legame nei limiti del possibile, e cerca di limitare la permanenza dei bambini in carcere. Il direttore ha portato a esempio i penitenziari di Como, che ha una struttura che può accogliere le madri con i loro bambini fino ai 3 anni, e l’Icam di Milano, dove si è pensato a uno spazio senza sbarre e con le guardie in borghese, per rendere meno traumatico l’impatto sui minori. Anche il carcere di Vigevano, ha raccontato il direttore, sta pensando a uno spazio per mamme e bambini su questo modello e all’educazione delle guardie preposte ad accompagnare minori, perché stabiliscano con loro un rapporto umano. Per l’estate si pensa anche a un’area verde con giostre e giochi. Il carcere di Vigevano organizza anche due giornate dedicate al fanciullo, in cui volontari e alcuni detenuti intrattengono mamme e bambini che possono così passare una giornata al di fuori dei rigidi schemi del penitenziario. A intervenire nella serata è stata anche la moglie di Pisapia, che ha seguito per due anni una sezione femminile della prigione. La dottoressa ha in particolare illustrato l’attività del laboratorio di sartoria del carcere, che ha creato uno stock di borse con materiale riciclato, cappelli e vestiti dimostrando abilità e fantasia. “Una attività di distruzione e di creazione non solo di oggetti, ma anche della personalità stessa delle donne - ha detto la dottoressa - che hanno così l’opportunità di nascere una seconda volta”. L’ultimo a portare la propria testimonianza è stato Patrizio Gusella, che ha seguito un progetto di manutenzione del carcere a opera delle detenute. “Non è stato facile creare gruppi di lavoro con le donne, perché sono più propense a chiacchierare tra di loro e a contestare quanto viene loro detto” ha raccontato Gusella, “però il corso di formazione dopo le prime difficoltà ha dato ottimi risultati. Il progetto ha portato alla sistemazione di 25 celle, che sono state ritinteggiate e decorate. I detenuti ottengono, alla fine dei corsi di formazione, diplomi anonimi che permettono loro di trovare lavoro una volta usciti. Il 77% dei detenuti che escono dal carcere e trovano lavoro non tornando più a delinquere”. Dopo la conferenza, un lauto rinfresco per tutti, con la tradizionale pasta e fagioli e la torta Mimosa, oltre che mazzetti dei gialli fiori profumati per tutte le donne. Il ricavato delle offerte raccolte durante la giornata verrà devoluto per i futuri progetti dedicati alle donne. Frosinone: domani una delegazione de “L’Aquila Rugby” incontra i detenuti del carcere Dire, 12 marzo 2013 Domani, mercoledì 13 marzo, una delegazione di giocatori nero verdi incontrerà i detenuti della casa circondariale di Frosinone. Grazie al coinvolgimento della onlus “L’Aquila per la Vita” (sponsor etico del club aquilano) e del dottor Porzio una rappresentativa di giocatori nero verdi parteciperà ad un allenamento dimostrativo con la squadra di rugby formatasi all’interno della struttura. L’iniziativa rientra infatti nel progetto formativo portato avanti dalla casa circondariale di Frosinone fondato sul rugby quale sport duro e leale, basato sul gioco di squadra e sul rispetto delle regole e dell’avversario. Sarà un’esperienza importante, quindi, per gli atleti aquilani, accompagnati dal dirigente Marco Molina: un primo passo (la società si sta adoperando affinché ne seguano anche altri) per vivere l’importanza dello sport e del rugby anche oltre il campo da gioco. India: caso marò; il premier Singh "decisione inaccettabile, pronti a tutto per riaverli" Ansa, 12 marzo 2013 È braccio di ferro tra Italia e India dopo l'annuncio che i marò italiani non torneranno a New Delhi. Dopo la convocazione dell'ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, il ministero degli Esteri indiano ha diffuso una nota in cui si chiede al'Italia di "rispettare l'impegno preso", ossia di far rientrare in India i due marò a cui era stata concesso un permesso per votare alle elezioni in Italia. "Il governo dell'India sostiene con fermezza di non essere d'accordo con la posizione espressa dal governo italiano sul ritorno dei due marine in India - ha fatto sapere New Delhi - L'India si aspetta dalla Repubblica italiana, come Paese impegnato nel rispetto della legge, che onori la dichiarazione giurata sovrana fornita da essa alla Corte Suprema". Secondo l'emittente indiana Ndtv il governo di New Delhi aspetterà fino al 22 marzo, data della scadenza del permesso concesso ai marò, prima di intraprendere azioni contro l'Italia. Anche l'Unione europea è intervenuta nella questione: il portavoce dell'alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, ha auspicato che "si trovi una soluzione nel pieno rispetto della convenzione Onu sul diritto del mare e delle leggi internazionali e nazionali". India: caso marò; peggio non poteva essere gestito e peggio non poteva andare... di Davide Giacalone Il Tempo, 12 marzo 2013 La vicenda dei due marò segna una grave rottura nei rapporti fra l’Italia e l’India, a tutto danno nostro. Non credo le autorità indiane si dispiacciano per la scelta tardivamente e malamente fatta dal nostro governo. Anzi, penso che ce li abbiano mandati due volte in “licenza” (ma quando mai s’è visto che i detenuti all’estero vadano in licenza di settimane per Natale e per votare…) nella poi non tanto segreta speranza che ce li tenessimo. Così risolviamo il loro problema e affondiamo sia i nostri interessi che la nostra rispettabilità internazionale. L’incidente, che portò alla morte di due pescatori indiani, risale al 15 febbraio 2012. Esclusa la volontà omicida, che non ha senso, e pur volendo considerare responsabili i due militari, la cosa andava affrontata in sede diplomatica. È capitato anche a noi italiani, che non abbiamo processato, ma restituito a paesi amici loro militari che avevano provocato morti civili (Cermis, per chi avesse la memoria corta). Il governo italiano mandò il ministro degli esteri e il suo arrivo nella capitale indiana non poteva che significare l’accordo perché fossero le nostre autorità a processare i due militari. Avvenne il contrario, e fu uno schiaffo. Così forte e sonoro che era evidente quanto ci fosse dell’altro, dietro la contestazione delle responsabilità specifiche. Cominciammo ad avvertirlo il 9 marzo del 2012, per poi dire, con chiarezza, che la partita vera non poteva che essere altra: gli affari di Finmeccanica. Da lì in poi cominciai a definire “ostaggi” i due marò. Il compito del governo, per preservare sia i nostri interessi, che la nostra dignità, che la sorte dei due detenuti, era quello di affrontare direttamente la sorgente del problema. Se nulla vi era, da parte nostra, da contestare a Finmeccanica, allora si doveva far sapere al governo indiano che consideravamo una grave offesa quel genere di condotta. Se, invece, il governo aveva motivo (forse è meglio usare il plurale: motivi) di ritenere ci fossero delle irregolarità, nel comportamento di Finmeccanica, allora doveva decapitarla e con quella testa presentarsi agli indiani. In ogni caso, andava fatto subito, senza imbarcarsi nel grottesco delle perizie balistiche. Non fu fatto nulla. Finmeccanica è stata poi decapitata, ma dalla magistratura. Il ricambio, ammesso che sia tale, non solo non ha avuto alcun significato nei nostri rapporti con l’India, ma neanche ci ha tolto i problemi della compromissione con la politica (si veda la vicenda del direttore generale che cerca finanziamenti per l’ex moglie del ministro dell’economia). Una gestione disastrosa. Quando, a Natale, i due militari sbarcarono in Italia, con la singolare licenza festiva, furono ricevuti manco fossero eroi di guerra. Scrivemmo che era stata una scelta dissennata, perché delle due l’una: o meritano onori, e allora si affronta lo scontro e non si fa finta di credere che sarà un tribunale a risolvere la questione; oppure si rifugge l’idea della gestione politica, e allora si mette il silenziatore. Prima prelevati, poi furono riaccompagnati con un volo militare, anche questo errore clamoroso. Dopo il loro rientro sono gli indiani a incartarsi, perché tutto il mondo è paese e il governo non può permettersi di dettare ai giudici la soluzione del problema. Così si crea una corte speciale, incaricata di giudicare gli italiani. Nel frattempo scoppia il caso degli elicotteri Agusta, società di Finmeccanica, con un disgustoso pasticcio in cui non si sa più se gli extra costi (alias tangenti) erano diretti agli indiani o erano elargiti con l’elastico, quindi tornando nelle mani dei pagatori. L’una cosa non esclude l’altra, ed è anche l’ipotesi più verosimile. Così gli indiani ci prendono a calci, essendo noi talmente inaffidabili da fare affari, non difenderli governativamente (Finmeccanica è controllata dal governo), e disvelarli giudiziariamente. Se qualche cosa si salverà lo dovremo all’intervento inglese, che porta via anche i quattrini. E, ciliegina sulla torta, i due tornano in Italia. Per votare. Della serie: teneteveli e non fatevi più vedere. Dicono alla Farnesina: solleviamo la questione in sede Onu. Qui, da sollevare, c’è solo chi ha gestito l’intera faccenda. Peggio non si poteva fare. Iraq: boom delle esecuzioni capitali, mentre continuano le torture sistematiche sui detenuti Ansa, 12 marzo 2013 In un rapporto diffuso, Amnesty International ha affermato che, 10 anni dopo l’invasione diretta dagli Usa che abbatté il brutale regime di Saddam Hussein, l’Iraq resta intrappolato in un orribile ciclo di abusi, tra i quali gli attacchi contro la popolazione civile, la tortura nei confronti dei detenuti e i processi irregolari. Il rapporto di Amnesty International contiene una cronologia di torture e altri maltrattamenti ad opera delle forze di sicurezza irachene e di truppe straniere, all’indomani dell’invasione del 2003. Inoltre, mette in luce il costante venir meno delle autorità irachene all’obbligo di rispettare i diritti umani e lo stato di diritto nella risposta agli incessanti attacchi mortali dei gruppi armati, i quali mostrano un vergognoso disprezzo per la vita dei civili. “Dieci anni dopo la fine del repressivo regime di Saddam Hussein, molti iracheni godono di maggiore libertà ma i traguardi fondamentali che avrebbero dovuto essere conseguiti nel campo dei diritti umani devono ancora diventare realtà - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord. Né il governo iracheno nè le ex potenze occupanti hanno aderito agli standard richiesti dal diritto internazionale e, per questo motivo, la popolazione irachena sta ancora pagando un prezzo alto”. La tortura è comune e praticata con impunità dalle forze di sicurezza, soprattutto nei confronti delle persone arrestate sulla base delle leggi antiterrorismo e che vengono interrogate in condizioni di isolamento. La pena di morte, sospesa dopo l’invasione del 2003, è stata reintrodotta dal primo governo iracheno non appena entrato in carica e le esecuzioni sono riprese nel 2005. Da allora, sono stati messi a morte almeno 447 prigionieri, tra cui Saddam Hussein, alcuni dei suoi più stretti collaboratori e presunti membri di gruppi armati. Centinaia di prigionieri sono in attesa dell’esecuzione nei bracci della morte. L’Iraq, con 129 prigionieri messi a morte nel 2012, è uno dei paesi in cui la pena di morte viene applicata con maggiore frequenza. India: autopsia conferma che autore stupro si è impiccato, ma per il padre è stato omicidio Adnkronos, 12 marzo 2013 L’autopsia condotta sul corpo di Ram Singh, uno degli accusati dello stupro di gruppo che lo scorso dicembre ha provocato la morte di una ragazza indiana di 23 anni, avrebbe confermato che l’uomo si è impiccato nella sua cella nella prigione di alta sicurezza di Tihar. È quanto riportano i media indiani, sottolineando comunque che il rapporto completo dell’autopsia non è ancora stato pubblicato. Secondo le autorità carcerarie l’uomo si è impiccato usando una coperta. Ma i familiari di Singh, che era l’autista dell’autobus a bordo del quale ha violentato la ragazza insieme ad altri sei uomini, sostengono che invece si è trattato di omicidio. Padre: non suicidio, ucciso da compagni cella Il padre del principale imputato dello stupro collettivo di Nuova Delhi, ritrovato impiccato ieri nella sua cella del carcere, sostiene che suo figlio sia stato assassinato. Secondo le autorità penitenziarie indiane, Ram Singh, 34 anni, si è suicidato. Parlando ai giornalisti dall’ospedale pubblico Aiims, Mange Lal Singh ha detto di aver visto il corpo del figlio coperto di ecchimosi e “diversi segni di violenza” sul petto, sulla faccia e sull’occhio”. “Mio figlio è stato ucciso da tre detenuti nella sua cella”, ha gridato l’uomo prima di essere portato via dai poliziotti. I risultati dell’autopsia di Singh, presunto colpevole assieme ad altri cinque uomini dello stupro, sequestro e omicidio di una studentessa indiana a Nuova Delhi, saranno resi noti nel pomeriggio di oggi. Siria: ex detenuti del carcere libanese di Rumiyyah tra i ribelli Nova, 12 marzo 2013 Ci sono anche ex detenuti del carcere libanese di Rumiyyah tra i capi dei ribelli che stanno combattendo contro le forze governative in Siria. Secondo quanto riferisce l’emittente televisiva “al Arabiya”, si tratta di ex detenuti di quella prigione che hanno la stessa matrice ideologica del Fronte di Salvezza, legato ad al Qaeda. È quanto emerge da un rapporto dall’Associazione “amici dei detenuti” libanesi. Il presidente dell’associazione, Maruan Ghanim, ha fatto sapere che il “Braccio B” della prigione libanese si trasformato in una sorta di “califfato islamico” composto da 150 detenuti condannati con l’accusa di appartenenza a Fatah al Islam, il gruppo islamista che combatt nel 2007 una feroce battaglia contro l’esercito libanese. Medio Oriente: Abu Mazen porrà a Obama tema detenuti palestinesi in Israele Ansa, 12 marzo 2013 Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) avrebbe deciso di mettere nell’agenda dell’incontro con il presidente Usa Barack Obama, il 21 di questo mese, il tema dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Lo riferisce il Jerusalem Post citando fonti di Ramallah. L’annuncio - spiega il quotidiano - sarebbe arrivato dopo le proteste e le manifestazioni di questi giorni in Cisgiordania dei familiari dei detenuti che hanno chiesto ad Abu Mazen di non riavviare i negoziati di pace senza liberazione di questi ultimi da parte di Israele. In particolare, Abu Mazen chiederà ad Obama di far pressione su Israele per il rilascio dei detenuti, in particolare per quelli arrestati prima della firma degli Accordi di Oslo, in modo da aprire la via alla ripresa dei negoziati di pace. “Il tema dei prigionieri - ha detto la fonte citata dal giornale - sarà al primo posto nelle conversazioni con Obama. Il presidente Abu Mazen chiederà anche il rilascio di quelli che hanno fatto lo sciopero della fame nei mesi scorsi”.