La storia non deve ripetersi, quando è storia di illegalità e di scarsa umanità Ristretti Orizzonti, 9 maggio 2013 Carmelo Musumeci è uno degli ergastolani improvvisamente trasferiti dal carcere di Spoleto alla fine di luglio 2012 quando, con una decisione che è stata da più parti criticata, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha deciso di chiudere la sezione Alta Sicurezza 1 di quell’istituto, interrompendo bruscamente l’esperienza forte e significativa degli ergastolani di Spoleto, che da anni portavano avanti con volontari e operatori tante iniziative. Carmelo Musumeci, da anni promotore di una campagna contro l’ergastolo, due lauree, diversi encomi e un percorso importante di rieducazione, confermato anche da eccellenti relazioni trattamentali, è stato trasferito nel carcere di Padova. Appena arrivato Carmelo ha chiesto con forza che venisse rispettato il diritto alla cella singola per i condannati all’ergastolo, ma si è scontrato con una situazione di grave sovraffollamento che non prevedeva il rispetto di quanto stabilito in materia dall’art. 22 del Codice penale, e ha passato le prime settimane nella sezione di isolamento. Solo con la mediazione e il dialogo stabilito con la direzione dell’istituto padovano Carmelo ha ottenuto di poter stare in una cella singola. Ora la storia sembra ripetersi perché, in una situazione che nonostante le condanne e i richiami della Corte Europea non sembra destinata a migliorare in alcun modo, il sovraffollamento ha raggiunto livelli tali da richiedere anche agli ergastolani di Padova di stare in due o più all’interno di celle, che dovrebbero contenere una sola persona. Ieri Carmelo e altri suoi compagni hanno chiesto di restare nelle loro celle, nel pieno rispetto della legge e delle disposizioni in materia penitenziaria, confermate anche da un’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Padova, n. 2012/1543 del 25/10/2012, che recita: “(...) Orbene osserva il Giudice che sussiste il diritto del detenuto all’allocazione in cella singola ai sensi dell’art. 22 c.p. in quanto condannato all’ergastolo con isolamento notturno”. Ciò nonostante la loro richiesta non è stata accolta, pur avendo Carmelo e i suoi compagni fatto una importante affermazione, che vogliamo qui riportare: “Ci teniamo però a dichiarare che quando ci sarà anche per noi il rispetto costituzionale della funzione rieducativa della pena e sarà data anche a noi una speranza dalla legge, una sola, di tornare un giorno uomini liberi, accetteremo di stare non in due in una cella, ma in quattro”. A Padova Carmelo ha faticosamente ripreso un buon percorso soprattutto all’interno della Redazione di Ristretti Orizzonti, grazie alle numerose e preziose occasioni di confronto e anche all’incontro con scolaresche e persone esterne al carcere. I firmatari del presente appello credono fermamente che uno Stato, che non riesce a rispettare le sue stesse leggi e fa vivere le persone in condizioni di illegalità, perda il diritto di punire chi oppone resistenza pacifica ad un trattamento non rispettoso della legge, per cui chiediamo al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di non prendere provvedimenti punitivi, ma di accettare un percorso di confronto e di mediazione ma abbiamo anche chiesto a Carmelo e ai suoi compagni di fermarsi e di condividere temporaneamente la cella in due, dimostrando così di essere più rispettosi della legge delle istituzioni stesse, che pensano di rieducarli usando l’illegalità. Da parte nostra: - garantiamo l’impegno per una battaglia per l’abolizione dell’ergastolo, che ha per prima tappa il superamento dell’ergastolo ostativo, e che gli ergastolani non possono e non devono combattere da soli - confermiamo il nostro sostegno per il diritto dei detenuti a vivere in carceri rispettose della dignità di un essere umano, che consiste anche nel diritto alla cella singola per chi sconta pene lunghissime o senza fine - ci impegneremo al loro fianco, con tutte le energie e le risorse che abbiamo, ma nel frattempo chiediamo agli ergastolani di sospendere anche lo sciopero della fame annunciato per la prossima estate, e di accettare di non mettere a repentaglio la loro vita e di lottare insieme a noi e alle loro famiglie per il diritto ad un fine pena per tutti e alla possibilità di reinserimento e di rieducazione, senza esclusione alcuna, così come sancito dall’articolo 27 della nostra Costituzione. Ristretti Orizzonti Comunità Papa Giovanni XXIII Associazione Antigone Associazione Papillon di Rimini e Bologna Memoria Condivisa - Familiari di vittime dei reati Associazione Socialismo e Riforme Don Marco Pozza, cappellano della Casa di Reclusione di Padova Andrea Pugiotto (Ordinario di diritto costituzionale nell'Università di Ferrara) Agnese Moro (Roma) Francesco Ferrante (Senatore PD) (Roma) Mariapia Garavaglia (Senatrice PD) (Roma) Alfonso Papa (Politico) Massimo Niro (Giudice civile, ex Magistrato di Sorveglianza) (Firenze) Ersilia Salvato (Docente) (Roma) Monastero Domenicane (Pratovecchio - AR) Giovanna Donzella (Psicologa penitenziaria) (Padova) Francesca De Carolis (Giornalista e scrittrice) (Roma) Livio Ferrari (Garante dei diritti delle persone private della libertà) (Rovigo) Agnese Pignataro (Saggista, studiosa di femminismo ed etica animale) (Lione - Francia) Associazione Yairaiha Onlus (Associazione per i diritti dei detenuti) (Cosenza) Giulio Petrilli (L' Aquila) Umberto Grassi (Avvocato) (Pieve Fosciana - LU) Pier Francesco Gasparetto (Docente di Letteratura Inglese, Università di Torino) (Biella) Gianni Massa (Giornalista e Segr. Ass. Socialismo Diritti Riforme) (Cagliari) Umberto Curi (Dir. Centro ricerche Storia e Fil. della scienza Univ. Padova) (Padova) Roberto Segatori (Prof. di Sociologia politica Univ. Perugia) (Foligno - PG) Giovanni Tavernari (Avvocato) (Varese) Sandro Mezzadra (Prof. Filosofia Politica, Università Bologna) (Bologna) Annamaria Cotrozzi (Ricercatrice, Università Pisa) (Pisa) Antonio Vallini (Prof. Diritto Penale, Univ. Firenze) (San Giuliano Terme - PI) Giustizia: partiti divisi sulle proposte dei saggi, diventa in salita la strada del Guardasigilli di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 9 maggio 2013 “Ho il massimo rispetto per l’autonomia del Parlamento, così come per l’autonomia della magistratura”, dice il neo ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Che con una frase sola commenta gli episodi che movimentano la giornata: la nomina del suo predecessore pidiellino Nitto Palma a presidente della commissione Giustizia del Senato, la conferma della condanna di Berlusconi e la richiesta di rinvio a giudizio di Formigoni a Milano. Quasi rivendicando l’autonomia, e per certi versi la neutralità, del potere esecutivo dai poteri legislativo e giudiziario. E cercando di non restare imbrigliata nelle tensioni che agitano le aule parlamentari e dei palazzi di giustizia, ma un po’ anche il Consiglio superiore della magistratura che ieri s’è spaccato quasi a metà nella nomina del primo presidente della Corte di Cassazione, il giudice più alto in grado d’Italia. La materia che l’ex titolare del Viminale, prefetto in pensione, è stata chiamata ad amministrare è uno dei banchi di prova per la tenuta del governo, campo di battaglia su cui Berlusconi combatte da quasi vent’anni. Materia delicata, “divisiva”, foriera di polemiche e scontri continui. Probabilmente non è un caso che nel suo discorso alle Camere il presidente del Consiglio Enrico Letta si sia astenuto dall’indicare priorità, a parte l’auspicio di una rapida soluzione delle controversie per contribuire alla ripresa economica e degli investimenti; né che il ministero non sia stato assegnato al Pd o al Pdl, o a un “centrista” su alcuni punti schierato come il vice-presidente del Csm Michele Vietti. L’incarico è andato a un tecnico esperto di altre questioni, che in questi giorni si sta dedicando a conoscere la realtà nella quale è stata calata e individuare le urgenze sui cui intervenire. Per esempio la questione carceraria, che significa affrontare il problema del sovraffollamento ma non solo. Il ministro Cancellieri ha già incontrato il capo dell’Amministrazione penitenziaria Tamburino e ha in programma visite agli istituti per rendersi conto personalmente delle necessità. Altro dossier in evidenza sulla sua scrivania è la riforma della giustizia civile per accelerarne i tempi e migliorarne l’efficienza, in qualche nodo evocata dal capo del governo Letta in quel rapido accenno alle Camere. E ancora la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, già predisposta da Nitto Palma e messa a punto ma non realizzata dalla Guardasigilli del governo Monti, Paola Severino. Quanto agli interventi di più vasto respiro, indicazioni più precise potranno venire dal “ritiro” governativo organizzato da Letta nel week end. Qualche traccia si può trovare nel lavoro dei “saggi” incaricati dal presidente della Repubblica, ma qui la questione si fa più delicata. Le proposte scaturite dalla relazione finale sarebbero profonde, soprattutto in materia penale, e difficilmente troverebbero la strada spianata. Dalle forze politiche - che probabilmente tornerebbero a dividersi su punti importanti e controversi come le intercettazioni, il lavoro dei pubblici ministeri, la sezione disciplinare fuori dal Csm - e dalle toghe: “Proposte fortemente insoddisfacenti e di ispirazione sostanzialmente conservatrice”, s’è già espressa l’Associazione nazionale magistrati. Il ministro che rispetta e rivendica le rispettive autonomie non è ovviamente legato all’opinione del “sindacato dei giudici”. Ma tenere conto delle valutazioni dei rappresentanti della magistratura può tornare utile sia per affrontare meglio le singole questioni sia per contribuire a un clima che non sia di contrapposizione. Ancor più dopo che sottosegretario in quota Pdl è stato nominato il giudice Cosimo Ferri, leader di Magistratura indipendente, la corrente di opposizione all’interno dell’Anm. Proprio ieri, col collocamento “fuori ruolo”, il Csm ha dato il via libera a una scelta che ha lasciato sbalordita e contrariata la gran parte degli aderenti all’Anm e alle altre correnti. Perché considerata di parte e “di rottura” nei confronti della categoria, al contrario di come l’ha interpretata lo stesso Ferri. “Ancora stento a credere che l’incarico governativo affidato a Cosimo Ferri possa essere presentato come un segnale di volontà di “pacificazione”, ha spiegato Luigi Marini, presidente del gruppo di sinistra Magistratura democratica, che a proposito della votazione al senato su Nitto Palma ha aggiunto: “Assegnargli la guida della commissione Giustizia dopo la sua performance sulle scale e nei locali del palazzo di giustizia di Milano non si presta a molte letture”. Una conferma di quanto sia complesso e delicato il terreno su cui dovrà muoversi il nuovo ministro della Giustizia. Giustizia: Cancellieri; un braccialetto elettronico (anche) per tenere lontani gli stalker di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 9 maggio 2013 Il ministro della Giustizia annuncia: “Mai più scarcerazioni come a Reggio Emilia”. Le nuove misure studiate con Alfano. Un dispositivo elettronico per tenere sotto controllo lo stalker sottoposto a provvedimento interdittivo. E così evitare che possa nuovamente avvicinarsi alla propria vittima. È una delle misure allo studio del governo per fermare le aggressioni di donne e così affrontare l’emergenza del femminicidio. Ma non l’unica. Perché l’azione coordinata tra i titolari dell’Interno, della Giustizia e delle Pari Opportunità dovrà proteggere chi ha già presentato denuncia e prevedere interventi per aiutare chi non ha il coraggio di uscire allo scoperto e ha bisogno di assistenza. I pool specializzati - Lo dice chiaramente il ministro Anna Maria Cancellieri che annuncia la volontà di “rendere efficaci tutte quelle misure attualmente già previste dalla legge, spesso non applicate per mancanza di risorse”. E poi spiega: “Parliamo di “braccialetto” per semplificare e dare l’idea di quello che dovrebbe essere lo strumento da utilizzare. Abbiamo la necessità di impedire a chi ha già mostrato comportamenti aggressivi di poter colpire e questa - al termine di un’approfondita indagine - potrebbe essere una soluzione efficace”. Non è l’unico provvedimento allo studio del suo dicastero: “Mi confronterò con i magistrati al fine di creare dei pool specializzati all’interno delle procure. Non dovrà mai più accadere che una persona indagata per reati così gravi possa tornare libera per errore come è accaduto a Reggio Emilia”. Soldi e personale - Cinque donne uccise in una settimana, altre aggredite, picchiate, violentate. L’appello al governo e al Parlamento lanciato da “Feriteamorte”, il progetto curato da Serena Dandini e Maura Misiti, e rilanciato sul Corriere della Sera , trova risposte immediate. Due giorni fa il titolare del Viminale Angelino Alfano ha annunciato la discussione al prossimo consiglio dei ministri. Poi ha sottolineato la necessità di “trovare tutti i soldi che servono perché non può essere un limite di spesa o un vincolo di bilancio che possa fermare un governo che vuole difendere le donne”. Una promessa che adesso dovrà essere messa in pratica. Perché non sono le leggi a mancare, ma i fondi. E questo sta provocando la chiusura di numerosi centri antiviolenza. Nella relazione che lo stesso Alfano porterà a Palazzo Chigi sarà evidenziata la necessità di proporre al Parlamento la ratifica della Convenzione di Istanbul, in modo da ottenere proprio lo sblocco dei fondi attraverso la Convenzione “NoMore” che impone tra l’altro interventi per la formazione del personale e per la creazione di una banca dati che possa consentire la valutazione dell’entità del fenomeno per predisporre le misure di contrasto, del resto già prevista nel piano nazionale antiviolenza finora attuato solo in parte. Procedura d’ufficio - Tra le misure allo studio di Cancellieri e Alfano c’è anche una modifica alla legge per prevedere l’arresto obbligatorio anche quando non viene presentata una denuncia da parte della vittima. Non è un mistero che le persone sottoposte a soprusi e abusi spesso abbiano paura di reagire. E talvolta arrivino addirittura a difendere il proprio aguzzino che le sottopone a una pressione psicologica alla quale non riescono a sottrarsi. Gli “atti persecutori” sono puniti dall’articolo 612 bis del codice penale con “la reclusione da sei mesi a quattro anni per chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Questa pena “è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”. La norma ha però un limite evidente: si procede solo di fronte “alla querela della persona offesa” che ha sei mesi di tempo dal momento del fatto per rivolgersi alle forze dell’ordine oppure alla magistratura. Proprio su questo si proverà adesso a intervenire con una modifica che invece dia all’autorità giudiziaria la possibilità di procedere anche se la vittima non ha presentato la denuncia. Se davvero il governo proporrà al Parlamento questa modifica, sarà sufficiente la segnalazione dei familiari oppure un referto medico per far scattare l’inchiesta e le eventuali misure interdittive per l’indagato. Giustizia: Sappe; bene il ministro Cancellieri su utilizzo del “braccialetto elettronico” Comunicato Sappe, 9 maggio 2013 Oggi 24.637 detenuti sono imputati: dare corso al decreto interministeriale per la Polizia penitenziaria negli Uffici Esecuzione Penale Esterna”. “Sono assolutamente apprezzabili e condivisibili gli intendimenti del nuovo Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri che si è detta intenzionata, per tenere sotto controllo lo stalker sottoposto a provvedimento interdittivo ed evitare che possa nuovamente avvicinarsi alla propria vittima, a favorire maggiormente l’implementazione di misure alternative alla detenzione ricorrendo al braccialetto elettronico per i detenuti che potrebbe essere usato anche per altri casi penali di minore allarme sociale. Si dovrebbe potenziare il ricorso alla misure alternative al carcere anche attraverso l’istituto della messa in prova, che ha già dato ottimi risultati nella giustizia minorile nell’ottica del reinserimento sociale. Da tempo il primo Sindacato dei poliziotti, il Sappe, sostiene che si deve avere il coraggio di puntare maggiormente sulle misure alternative alla detenzione, ridisegnando un nuovo ruolo operativo al Corpo di Polizia Penitenziaria al di fuori delle mura perimetrali delle carceri, facendo ad esempio scontare in affidamento ai servizi sociali con contestuale impiego in lavori socialmente utili - che è detenzione a tutti gli effetti - il residuo pena ai detenuti italiani con pene inferiori ai 3 anni, anche avvalendosi di quel braccialetto elettronico per il quale lo Stato ha pagato e paga per dieci anni a Telecom 110 milioni di euro senza però veder decollare questo progetto che, allo stato, risulta essere l’ennesimo caso di spreco italiano del bene pubblico.” Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria. “L’allarmante e pressoché stabilizzato dato di 66mila detenuti che sovraffollano le carceri italiane e che consegnano al nostro Paese il triste record europeo maggior affollamento penitenziario, tanto più che la capienza regolamentare delle nostre carceri è pari a poco più di 44mila posti, impone l’adozione di provvedimenti urgenti, come pure ha chiesto in più riprese il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non si dimentichi che oltre il 37% dei detenuti - 24.637 - è in attesa di un giudizio definitivo. Servono allora soluzioni idonee per superare la crisi penitenziaria. Da tempo il Sappe sostiene che è necessaria è una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia. Ma come sigla sindacale più rappresentativa del Corpo di Polizia Penitenziaria abbiamo l’obbligo istituzionale di svolgere un’opera di controllo sulle questioni che ledono i diritti dei nostri iscritti ed anche l’obbligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra decennale esperienza sul campo. Noi rinnoviamo il nostro appello ai ministri dell’Interno Alfano e della Giustizia Cancellieri perché riprendano dai cassetti in cui inspiegabilmente è stato riposto da sinistre mani maldestre quello schema di decreto interministeriale finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) nel contesto di un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza”. Giustizia: chi sono e come vivono i 240 detenuti disabili ristretti nelle carceri italiane Redattore Sociale, 9 maggio 2013 Ricerca di Catia Ferrieri (Università Perugia) sulle condizioni dei detenuti disabili e dei reparti che li accolgono. Solo 10 regioni rispondono al questionario (14 istituti in tutto. 210 i detenuti disabili in Italia. Solo in Liguria un’attività lavorati. Sono 210 i detenuti disabili presenti negli istituti penitenziari italiani: 84 quelli che ha potuto prendere in esame la ricerca condotta da Catia Ferrieri per l’Università degli studi di Perugia, in collaborazione con l’ufficio Detenuti e Trattamento del provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. Dei 416 istituti penitenziari italiani, infatti, solo 14 hanno risposto al questionario, inviato dalla ricercatrice a tutte le regioni (precisamente alle agli assessorati regionali alla sanità delle regioni a statuto ordinario e, previa autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ai direttori delle case circondariali e di reclusione nelle regioni a statuto speciale). 84 i detenuti disabili rilevati in queste strutture: su questi si è quindi concentrata la ricerca, che riguarda sia la presa in carico da parte delle Asl di competenza, sia la compatibilità delle sezioni e reparti detentivi che ospitano detenuti disabili con le norme sull’abbattimento delle barriere architettoniche. “Una ricerca molto faticosa - ci spiega Catia Ferrieri - nonostante la grande disponibilità delle amministrazioni, che però hanno tempi di risposta molto lunghi e non sempre disponevano dei dati che servivano alla mia indagine. Tante amministrazioni poi non hanno risposto, quindi i dati sono parziali, perchè non riguardano la totalità delle regioni italiane, ma solo le 10 che hanno risposto al questionario: precisamente, Umbria, Piemonte, Liguria, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Valle d’Aosta, Lombardia e Veneto”. Di seguito, i principali dati (aggiornati a luglio 2012) emersi dalla ricerca. Le presenze. La regione con il maggior numero di detenuti disabili è la Liguria, con 44 presenze tra la casa circondariale di Genova (40) e quella di Sanremo (4). Seguono la Calabria - con 19 presenze tra Castrovillari e Reggio Calabria e la Campania, con 7 detenuti disabili. Sesso, età, stato civile. Il 79,3% dei detenuti disabili è di sesso maschile. Il 35,7% ha un età compresa tra i 40-50 anni, il 20,2% tra i 50-60 anni, il 15,4% tra i 30 e i 40, il 5,9% ha più di 70 anni. Il 40,4% è celibe, mentre il 41,6% è coniugato, il 7,1% è separato o divorziato. Circa la metà dei detenuti disabili ha figli Cittadinanza, istruzione, formazione. I detenuti disabili sono in gran parte italiani (92,8%), circa la metà ha un diploma di scuola media inferiore, il 21,4% ha la licenza elementare, il 14,2% è diplomato alla scuola superiore, il 7,14% è laureato. Il 61,9% non ha seguito corsi di formazione né prima dell’ingresso nell’istituto penitenziario, nè durante l’attuale detenzione. Tipologia di detenzione e di reparto. Il 51,1% dei detenuti disabili monitorati è sottoposto ad esecuzione penale, mentre il 27,3% è in custodia cautelare. Per il 19% il dato non è conosciuto. Il 47,6% dei detenuti disabili monitorati è attualmente assegnato a reparti ordinari, a fronte del 14,2% assegnati a reparti per disabili. Tipologia di disabilità. Il 79,7% dei detenuti è affetto da una disabilità fisica, mentre l’11,9% ha una disabilità sia fisica che psichica. Per il 3,5% il dato non è conosciuto. Il 19% dei soggetti ha una disabilità legata a una patologia immunitaria, il17,8% è affetto da problemi legati all’apparato cardiocircolatorio, il 17,8%, ha una disabilità legata all’apparato nervoso centrale. Indennità e lavoro. Circa il 50% dei detenuti usufruisce attualmente di una indennità di disabilità erogata dall’Inps o da altri enti, mentre il 38% non ne usufruisce. Per quanto riguarda il lavoro, il 96,4% dei detenuti disabili monitorati non è inserito in una attività all’interno dell’istituto penitenziario. Un esempio isolato e positivo è quello della Casa Circondariale di Reggio Calabria, dove i detenuti disabili sono inseriti nell’attività di lavanderia e di lavoro all’esterno dell’istituto. Accessibilità. Il 55,9% dei detenuti disabili è ospitato in sezioni o reparti detentivi con ridotte barriere architettoniche, mentre il 44% in reparti o sezioni aventi barriere architettoniche. Il 42,8% dei detenuti disabili monitorati utilizza ausili per la deambulazione, mentre il 57,1% non ne utilizza. Tra gli ausili, prevalgono la sedia a ruote (16,6%) e i bastoni canadesi (11,9%). Pena espiata e pena residua. La pena espiata più lunga è di 28 anni, mentre la più breve è di 8 giorni. La pena espiata più lunga è di 19 anni, la più breve è di 16 giorni. Giustizia: “Bambini senza sbarre”; sms per aiutare minori che visitano genitori in carcere Radio Vaticana, 9 maggio 2013 “Non un mio crimine, ma una mia condanna” è il titolo della campagna di sensibilizzazione sulla condizione dei circa 100 mila bambini in Italia, che visitano i genitori in carcere, promossa dall’Associazione “Bambini senza sbarre”. Fino all’11 maggio sarà possibile inviare messaggi solidali al numero 45507. Con il ricavato, sarà esteso negli istituti penitenziari il modello di accoglienza “Spazio giallo”, di cui parla Lia Sacerdote, presidente dell’Associazione. R. - Il modello di accoglienza “Spazio giallo” è diventato un modello negli anni, dopo averlo sperimentato prima a San Vittore, poi nel carcere di Bollate e quest’anno nel carcere di Opera. È stato esteso anche a Piacenza e Modena, poi ci sono altre realtà che si stanno collegando con noi. Il progetto consiste in questo: estendere questo sistema anche nelle altre carceri italiane. D. - Lo “Spazio giallo” è quindi lo spazio all’interno del quale si muovono i bambini dentro al carcere... R. - Sì, esatto. Loro entrano, fanno un certo percorso e poi arrivano ad aspettare nello “Spazio giallo”, dove disegnano, leggono, c’è una piccola biblioteca, ci sono dei giochi per i più piccoli. Ci sono persone preparate - giovani psicologhe o pedagogiste - che accolgono anche i loro silenzi. Questi bambini non hanno bisogno di grandi cose, hanno bisogno di spazi che riescano ad “accoglierli”. Con questa parola noi intendiamo di aver in qualche modo lavorato con il carcere, con gli operatori penitenziari - gli agenti di polizia penitenziaria - che li accolgono, consapevoli che il loro ruolo non è solo quello di aprire e chiudere, ma di essere degli educatori loro malgrado. Questa è una consapevolezza che sta crescendo. A Bollate abbiamo potuto fare proprio il percorso dall’entrata al luogo dove si svolge il colloquio: all’inizio c’è una mappa con cui loro riescono ad orientarsi - sanno che il percorso è quello - poi c’è lo “Spazio giallo”, poi avviene una perquisizione. Sanno quello che li aspetta. D. - Come funziona il messaggio solidale per aiutare questo progetto? R. - Il numero “magico” è 45507, che ci permette di estendere questa esperienza degli “Spazi gialli” in altre carceri italiane. D. - I figli di detenuti sono esposti al rischio di discriminazione ed esclusione sociale. Come si può rendere meno traumatica e punitiva per un bambino la detenzione di un genitore? R. - Sarebbe molto importante che la società esterna non li facesse sentire così diversi. Questi bambini vivono con un segreto, perché hanno capito - anche se nessuno glielo dice chiaramente - che è meglio che non lo dicano e noi dovremmo essere in grado di farglielo dire. Questo vuol dire che la società è cambiata. D. - In passato, avete proposto la prima petizione al parlamento europeo sull’impatto della detenzione dei genitori sui figli, per aumentare le ore di incontro ed incrementare la formazione degli operatori penitenziari. Quali frutti ha dato? R. - In Italia, devo dire che questo ha avuto delle conseguenze positive: l’amministrazione penitenziaria è molto sensibile a questo tema. Noi in Lombardia, insieme all’amministrazione penitenziaria, abbiamo organizzato e stiamo tuttora portando avanti un programma di sensibilizzazione per gli operatori penitenziari, che dà grandi risultati perché sono persone comunque molto attente. Credo che lavorando, avendo gli strumenti e anche strumenti finanziari per poter fare questi progetti, le cose possano cambiare. La persona detenuta ha fatto una cosa sbagliata, però non dobbiamo identificarla con il reato: e per un bambino, il proprio papà è un papà che ha fatto una cosa sbagliata ma non è un papà cattivo. Ecco, questo è un contenuto molto difficile da accogliere, ma è decisivo per cambiare la mentalità. Noi stiamo vedendo che facciamo fatica a raccogliere fondi, perché ci rendiamo conto che il tema “carcere” è un tema che allontana. Quindi, è importante che invece avvicini, perché fa parte della nostra società. Giustizia: mamme “dentro”… 40 le donne detenute assieme ai loro figli con meno di 3 anni Redattore Sociale, 9 maggio 2013 Madri in difficoltà. Al 31 dicembre scorso erano 41 i bambini con meno di 3 anni costretti in istituto con la mamma (erano 51 nel 2011). Il sistema penitenziario italiano conta 17 asili nido, di cui 3 non funzionanti e uno in allestimento. Una “categoria” di donne che non riesce a vivere la maternità in maniera piena e dignitosa è sicuramente quella delle detenute. La loro è, oggettivamente, l’”altra” festa della mamma. Le donne in carcere, rappresentano il 4,2 per cento della popolazione detenuta. Al 31 dicembre 2012 risultano 40 le madri detenute con figli in istituto(erano 51 nel 2011), mentre sono cinque le recluse in stato di gravidanza (13 nel 2011). Secondo le statistiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria i bambini sotto i 3 anni che vivono in carcere con le loro mamme sono 41, distribuiti in modo disomogeneo sul territorio nazionale. Il sistema penitenziario italiano conta 17 asili nido, di cui 3 non funzionanti e uno in allestimento. Minori reclusi. I minori reclusi sono costretti anch’essi ai tempi e ai modi della vita detentiva, spesso con ripercussioni sul loro sviluppo psico-fisico. Una photogallery denuncia la condizione dei bambini costretti alla reclusione in spazi inappropriati, è il reportage “Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane” realizzato qualche anno fa da cinque grandi fotografi dell’agenzia Contrasto ai quali è stato affidato il compito di documentare la realtà, spesso sconosciuta o ignorata, della vita quotidiana delle mamme detenute e dei loro bambini. Le foto sono state scattate in cinque Istituti penitenziari femminili. Lettere: il 30 maggio sit-in a Roma per il diritto al risarcimento per ingiusta detenzione di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 9 maggio 2013 Il 30 maggio, alle 9,30, a Roma, sit-in davanti la Cassazione per affermare il diritto al risarcimento per ingiusta detenzione per tutte le persone assolte, ribadendo che le sentenze assolutorie vanno rispettate. Quel giorno, in Cassazione, ci sarà il dibattimento sul mio ricorso contro la Procura di Milano che non mi ha concesso il risarcimento per ingiusta detenzione, pur avendo scontato ingiustamente negli anni ottanta sei anni di carcere speciale, con l’accusa di partecipazione a banda armata (Prima Linea), per poi essere assolto con sentenza definitiva nel luglio 1989. Non si può sottacere a un sopruso così grande, che seguita a perpetrarsi dopo trenta anni. Nelle stesse condizioni mie sono in tanti, che assolti si vedono rifiutare il risarcimento per frequentazioni non idonee. Bisogna abrogare il comma 1 del 314 c.p., che stabilisce il non risarcimento per dolo e colpa grave, (frequentazioni sbagliate che traggono in inganno gli inquirenti), perchè è un comma pericoloso, che introduce nel nostro ordinamento giudiziario il giudizio morale. Un comma anticostituzionale e illegale, che consente ai magistrati di scegliere, di dare o meno il risarcimento, non in base alla sentenza assolutoria ma al giudizio comportamentale, non connesso ad alcun reato. Hanno finora aderito: Patrizio Gonnella (presidente Ass. Antigone) Maria Rosaria Marella (giurista - Università di Perugia) Rita Bernardini (direzione nazionale radicale, ex deputata ) Giovanni Russo Spena (resp. giustizia Prc, ex senatore ) Haidi Gaggio Giuliani (ex senatrice) Stefania Pezzopane (senatrice) Avv. Arturo Salerni (ass. Progetto Diritti - Roma) Giampaolo Arduini (ex vice sindaco L’Aquila) Linda Santilli (direzione nazionale Prc) Pierpaolo Pietrucci (consigliere provinciale L’Aquila) Simone Oggionni (portavoce nazionale giovani comunisti) Lelio De Santis (assessore comune L’Aquila) Angelo De Nicola (giornalista e autore di libri su errori giudiziari) Valentina Greco (segr. Prov. Prc Roma) Marcello Pesarini (osservatorio sulle carceri Marche) Giuliano Di Nicola (consigliere comunale L’Aquila) Lettere: l’Opg va migliorato, non chiuso… di Matteo Iotti La Gazzetta di Reggio, 9 maggio 2013 La morte di un internato all’Opg di Reggio Emilia è un fatto doloroso, che non deve distogliere l’attenzione sulla necessità di queste strutture protette. La chiusura degli Opg è all’interno del “decreto svuota carceri”, è la soluzione sbagliata ad un problema reale. Gli internati all’Opg sono persone socialmente molto pericolose, e che devono essere ospitate in strutture adeguate e sicure, innanzitutto per essere curate, e in seconda battuta per isolarle dalla comunità ed espiare la loro pena. Sorge dunque una forte preoccupazione, relativa al luogo in cui queste persone continueranno ad espiare la loro pena. Occorre pertanto la garanzia, da parte del Governo e del legislatore, che queste persone continuino ad espiare la loro pena in posti innanzitutto sicuri, e poi che garantiscano loro le necessarie cure. Inoltre è necessario che lo Stato non “scarichi” agli Enti Locali il costo della cura e della riabilitazione degli internati all’Opg, considerata anche la mancanza di risorse della finanza locale. Teramo: detenuto di 73 anni muore in cella, molto probabilmente per un arresto cardiaco www.primadanoi.it, 9 maggio 2013 Ancora un detenuto morto nel carcere di Teramo. È successo ieri, 8 maggio. Il detenuto, G.G., di 73 anni, è morto a causa molto probabilmente per arresto cardiaco all’interno della cella del Reparto “protetti” alle ore 22.50. L’istituto teramano potrebbe ospitare 240 detenuti invece ne ospita 420, di questi, oltre 300 soffrono di problemi psichiatrici e di salute con difficile gestione, “scaricati” a Teramo per il solo fatto che vi è il servizio di guardia medica h 24 ,un servizio di cardiologia e una psichiatra per alcune ore la settimana. “Nonostante tutte le problematiche ripetutamente denunciate dai sindacati”, spiega oggi il Sappe, “(la gravissima mancanza di personale pari a n. 60 unità e circa 15.000 giorni di ferie da fruire e continui richiami in servizio del personale in ferie o di riposo e il sovraffollamento carcerario pari all’80%), il Provveditore Regionale per l’Abruzzo e Molise Bruna Brunetti, ha, nonostante tutto, d’imperio, proceduto ha distaccare da mesi 4 agenti per il carcere di Pescara ed ha disposta che ulteriore unità fosse distaccata da lunedì per il carcere di Sulmona”. Le organizzazioni sindacali si dicono “stanche di subire i soprusi del Prap Pescara” e comunicano che la prossima settimana “terranno un sit-in di protesta davanti alla prefettura di Teramo per sensibilizzare le autorità locali sui gravissimi problemi del carcere di “Castrogno” diventato oramai la pattumiera d’Abruzzo”. Macomer (Nu): riesumata salma detenuto tunisino sepolto senza rispettare rito islamico L’Unione Sarda, 9 maggio 2013 Hanno fatto di tutto per riesumare la salma ma probabilmente nessun medico legale interverrà per chiarire le cause della morte di Ben Chalbi Mohamed, il giovane detenuto tunisino, trovato privo di vita nella sua cella del carcere di Macomer lo scorso 20 aprile. Il cadavere si trova a Nuoro nell’ospedale di San Francesco e sarà sepolto nuovamente, questa volta col rito islamico e forse senza che venga eseguita l’autopsia, come sollecitano i familiari attraverso l’avvocato Patrizio Rovelli. “Abbiamo presentato un esposto in Procura - dice Mauro Pala, amico della vittima e componente dell’associazione Buondiritto che si sta occupando della vicenda - convinti che con l’autopsia possa venire chiarito il mistero”. Ben Chalbi Mohamed era stato arrestato lo scorso 10 febbraio a Cagliari. Condannato, in un primo momento doveva scontare la pena nel carcere di Buoncammino, ma per punizione venne trasferito nel penitenziario di Macomer. La sera del 19 aprile, secondo le poche notizie trapelate, il giovane sarebbe morto inalando il gas di un fornello da campeggio e il corpo senza vita sarebbe stato scoperto solo l’indomani mattina. Si parlò - con una denuncia pubblica del parlamentare sardo Mauro Pili - di suicidio, ma dal carcere fecero trapelare l’ipotesi che il giovane sia morto a causa di un tentativo di sballo col gas. La salma del detenuto è stata portata nel cimitero di Macomer dove il giorno dopo, 21 aprile, è stato seppellito senza che la salma venisse lavata, come impone il rito islamico. “Stranamente non è stata eseguita l’autopsia, ma soltanto un esame esterno e tutto è stato fatto in fretta e furia - sottolinea Mauro Pala - sono stato io con un altro amico a vestirlo e ho notato delle ecchimosi sul viso”. Mauro Pala ha fatto anche alcuni scatti e le foto sono in mano al procuratore della Repubblica. “Per agire abbiamo ricevuto la delega dei genitori dal consolato tunisino a Roma, con l’avvocato Patrizio Rovelli che sta seguendo tutta la vicenda. Dopo questi passaggi burocratici nei giorni scorsi la salma di Rachid è stata riesumata e portata all’ospedale San Francesco di Nuoro. “Nonostante la richiesta del consolato e dei legali - dice ancora Mauro Pala - l’autopsia non è stata eseguita. Perché?”. La vicenda viene seguita con attenzione dall’associazione A Buon Diritto di Luigi Manconi. “Noi vogliamo certezze sull’ora della morte e sulle cause - conclude Pala - andiamo avanti convinti determinati a chiarire i tanti misteri, prima di tutto eseguendo l’autopsia”. Pescara: detenuti al lavoro per il Comune, si occupano di pulizie, manutenzioni e restauri www.primadanoi.it, 9 maggio 2013 Si chiama “Progetto Detenuti” ed è la nuova collaborazione instaurata tra Comune di Pescara e Ufficio Esecuzioni Penali Esterne. In questo modo si darà la possibilità a soggetti che stanno vivendo un periodo di detenzione di lavorare all’esterno, gratuitamente, dando il proprio contributo alla manutenzione del territorio. I detenuti verranno impiegati soprattutto in servizi di pulizia, manutenzione e restauro di siti e beni di interesse pubblico. Ieri la stipula della convenzione con l’Uepe “per cominciare a ricostruire il futuro di quei cittadini che, per un errore commesso”, ha spiegato il primo cittadino Luigi Albore Mascia, “si trovano a dover scontare un periodo di reclusione”. Con la stipula della convenzione, il Comune si impegna formalmente a collocare presso le proprie strutture i detenuti scelti da Uepe, con il magistrato. Il Comune dovrà anche prevedere per ogni singola persona alla presenza di un referente che lo affianchi nel suo inserimento, lo supporti nello svolgimento del compito affidatogli e mantenga i rapporti con l’Uepe, con il quale, peraltro, l’amministrazione dovrà redigere progetti individuati per ogni singolo affidato. “A fine attività”, ha spiegato Mascia, “andremo a rilasciare all’affidato un attestato sull’attività prestata, un attestato che farà curriculum per il suo futuro. La convenzione avrà la durata di un anno e i vantaggi di tale operazione sono chiari e molteplici: il vantaggio per i singoli soggetti coinvolti nel programma è quello di mantenere il proprio status di cittadino impegnato, un cittadino che contribuisce alla cura e alla manutenzione del patrimonio collettivo, conservando la propria dignità di lavoratore e di persona. “Al tempo stesso, assicura il sindaco, c’è un vantaggio anche per l’amministrazione comunale che potrà avvalersi di nuova forza lavoro per quegli interventi di pulizia o di manutenzione che spesso non riusciamo a fronteggiare come vorremmo proprio per la carenza di personale che, a fronte di nuovi pensionamenti, non possiamo reintegrare a causa dei blocchi imposti dal Governo relativamente a nuove assunzioni. Dunque per noi l’aiuto e il sostegno professionale di tali lavoratori sarà di assoluta rilevanza e importanza”. Venezia: stipendi a rischio per i 150 dipendenti (100 detenuti) della Cooperativa Il Cerchio www.veneziatoday.it, 9 maggio 2013 Il patto di stabilità blocca i pagamenti da parte degli enti pubblici e gli impiegati dell’associazione potrebbero non ricevere il compenso di maggio. Il patto di stabilità continua a tenere bloccate le casse degli enti locali e, a farne le spese, ora sono le cooperative. Stando a quanto scrive la Nuova Venezia, infatti, l’impedimento a pagare i fornitori di servizi per non sforare sulle spese sta lasciando “a secco” il gruppo Il Cerchio, cooperativa che si occupa di impiegare detenuti con permesso di lavoro e persone disagiate o con differenti problemi, che a maggio potrebbero non ricevere un regolare stipendio. Gli impiegati de Il Cerchio lavorano per aziende pubbliche come Actv e Veritas, puliscono spiagge e approdi, tengono i servizi di lavanderia di diversi alberghi e producono attraverso la sartoria, ma, come riporta il quotidiano locale, anche se il lavoro non manca a scarseggiare adesso sono i soldi per i pagamenti. Gianni Trevisan, presidente della cooperativa, spiega al giornale veneziano che i 150 dipendenti questo mese potrebbero restare senza stipendio. Il Cerchio avanza ben 900mila euro tra clienti pubblici e privati, ma i primi sono vincolati dal patto di stabilità e i secondi sono sempre più in crisi. Inutile sottolineare come per i 150 dipendenti della cooperativa i 900 o 1000 euro dello stipendio siano fondamentali nell’economia famigliare, delle 150 persone che lavorano in queste settimane per Il Cerchio 60 sono ristretti con autorizzazioni al lavoro, 30 ex detenuti, gli altri persone con disagi di varia natura. La cooperativa ha quindi un fabbisogno di 200-250 mila euro al mese tra stipendi (150 mila), contributi (60 mila) e fornitori (30-40 mila euro). Se una buona notizia arriva dal ministro Severino, che ha stanziato 16 milioni di euro per finanziare la legge Smuraglia per il lavoro dei detenuti, è vero che solo la sartoria al carcere femminile della Giudecca funziona in positivo. Così, per autofinanziarsi e cercare di uscire da questo pericoloso impasse, si è aperta una raccolta fondi che, precisa Trevisan, non servirà per pagare gli stipendi ma per acquistare generi di prima necessità destinati ai detenuti. Mercoledì sera al centro Candiani è andato in scena lo spettacolo teatrale “Kociss” per la regia di Gianni de Luigi, con canzoni di Gianni Dell’Olivo. E il 18 maggio, alle 20, al teatro Goldoni, concerto gospel di “The big vocal orchestra”, 14 euro di biglietto. I ricavati, sia degli spettacoli che del libro con cd “Kociss, passione e morte dell’ultimo bandito veneziano”, di Roberto Bianchin e Giovanni Dell’Olivo, andranno per metà destinati a coprire le spese e per l’altra metà serviranno proprio a finanziare l’operato della cooperativa. Grosseto: il Comune al Ministero della Giustizia; il carcere resti, ma non più in via Saffi di Maurizio Bernardini Il Tirreno, 9 maggio 2013 Non sarà la letterina a Babbo Natale (saremmo fuori stagione), ma poco ci manca: Bonifazi ha scritto al ministero di Giustizia, guidato da Anna Maria Cancellieri, per “Chiedere di garantire la presenza del carcere a Grosseto”. È l’ennesimo atto di un tira e molla che chiama in ballo la casa circondariale di via Saffi dagli anni Novanta. Una discussione cui ha preso parte a più riprese anche l’attuale sindaco: “Uno degli impegni prioritari della prossima amministrazione dovrà essere l’accelerazione delle procedure per la costruzione di una nuova struttura” diceva, denunciando un decennio d’immobilismo, l’allora candidato dell’Unione. Tre settimane dopo aver pronunciato queste parole, Bonifazi divenne sindaco di Grosseto per la prima volta (maggio 2006). L’anno seguente fu il sottosegretario alla giustizia, Luigi Manconi a visitare il carcere e a dire la sua su di una struttura “Affetta da nanismo, tutta in scala ridotta. Invivibile per detenuti e personale”. Oggi però, trascorsi gli anni e i periodi di “vacche grasse” nulla è cambiato. Un problemino non di poco conto visti i chiari di luna che tutto lasciano intendere tranne che l’arrivo d’ingenti investimenti. Costruire una galera nuova di zecca, infatti, costa. Costa molto e costa allo Stato. È da Roma che dovrebbero arrivare i quattrini chiesti da Bonifazi. Il Comune, da parte sua, ha - già da diverso tempo - messo a disposizione l’area su cui potrebbe sorgere la casa circondariale. Stiamo parlando dei campi dietro il deposito artiglieria sulla Senese. Lì, anche secondo il regolamento urbanistico, può nascere: “Un nuovo e moderno istituto in linea con il rispetto dei più elementari diritti civili” ribadisce Bonifazi che, nella missiva, ha anche chiesto al ministero “Di convocare al più presto un incontro che affronti questa criticità, nella consapevolezza che Grosseto deve avere un carcere di riferimento, ma che non può continuare a essere quello attuale”. In via Saffi, infatti, non esistono più le “Condizioni minime di vivibilità e il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti e degli operatori”. Un problema cui non si può rispondere “Con provvedimenti che portino alla soppressione tout court della casa circondariale di un capoluogo di provincia. Grosseto è una città demograficamente dinamica (e sede di tribunale, ndc) e non può fare a meno di una struttura carceraria di riferimento”. Eppure, oltre le chiacchiere e le lettere, la circolare del ministero di Giustizia che indica l’imminente soppressione della galera grossetana, emessa il 29 gennaio scorso, c’è ed è tutt’oggi valida: è con quella che occorre fare i conti. Il rischio più grosso (dopo l’ipotesi più probabile del “rimane tutto com’è”) è che si giunga a una chiusura del carcere senza avere in mano alcuna alternativa se non quella di spostare tutto a Massa Marittima (ci sarebbe anche una piccola galera a Pitigliano, ma è inutilizzata). In questo caso chi andrebbe a spiegare al sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che aveva parlato di una cinquantina di lavoratori a rischio, la rivoluzione? E poi ancora: se davvero il carcere dovesse andarsene da via Saffi, al posto della galera finirà per essere fatta “Edilizia privata di pregio” come disse a febbraio di quest’anno il sindaco? Insomma, abitazioni di lusso al posto delle celle? Non resta che attendere, nella speranza che da Roma non arrivi solo carbone. Lecco: “Extrema Ratio”, l’assessore Michele Tavola in cella... per provare l’effetto che fa La Provincia di Lecco, 9 maggio 2013 In galera, insieme ad altri ragazzi che hanno fatto così l’esperienza fisica di cosa vuol dire e come ci si sente in una piccola cella carceraria in cui i detenuti passano tutto, o quasi, il tempo della condanna. L’assessore alle politiche giovanili del Comune, Michele Tavola, ieri mattina ha partecipato a questa singolare iniziativa che si chiama “Extrema Ratio”, proposta dalla Caritas in collaborazione con il Servizio giovani del Comune. Lo scopo è quello di sensibilizzare i giovani sul problema della condizione carceraria nazionale. Più di mille parole conta calarsi direttamente in una condizione che, anche se per poco tempo, permette di vivere sulla propria pelle il disagio che i carcerati devono abituarsi ad affrontare ogni giorno. Al Centro civico di Germanedo infatti è allestita la copia fedele di una cella realizzata dalla falegnameria del carcere di Bollate. Ieri all’incontro era presente anche don Ettore Dubini, responsabile della Caritas Zonale di Lecco. C’è tempo fino a venerdì 10 maggio per entrare in cella e provare l’effetto che fa. Il Progetto “Extrema Ratio” Vivere l’esperienza del carcere anche solo per cinque minuti, per farsi un’idea di cosa significa essere rinchiuso in una cella e magari per evitare di finirci in futuro. Un’idea originale “Extrema-ratio” messa in campo dalla Caritas Ambrosiana in collaborazione con l’Informagiovani di Lecco, aperta alla cittadinanza e visitata in questi giorni da diverse scuole del territorio. Non solo una cella, ma un intero percorso di introduzione al carcere è stato allestito nei locali del centro civico di Germanedo, per trasformare, seppur per poco tempo, il visitatore in un detenuto: dal sequestro di quei beni vietati all’interno del penitenziario alla presa delle impronte digitali, dalla foto segnaletica per poi passare cinque minuti di reclusione all’interno di una cella, dove non eccelle certo pulizia e spazio, soprattutto se a starci sono più detenuti di quanti il locale ne può ospitare. Ed è proprio il sovraffollamento delle carceri al centro dell’iniziativa: “I carceri della Lombardia hanno una quota del 70% di carcerati in più rispetto alla loro capienza - spiega Carlo D’Aietti, direttore del servizio giovani - una situazione che non risparmia la casa circondariale di Pescarenico”. A livello nazionale si contano più di 66 mila detenuti, a fronte di circa 48 mila posti disponibili per un costo giornaliero a detenuto di 112 euro. Un dato, quest’ultimo, che deve fare riflettere se pensiamo che la recidività è altissima tra i carcerati, circa il 68% secondo le stime riferite dagli operatori di Caritas, presenti alla fine del percorso. “Le cifre dimostrano che la recidività si riscontra maggiormente tra i detenuti che scontano tutta la pena in carcere - spiega il coordinatore della Caritas Zonale di Lecco, don Angelo Dubini - al contrario la percentuale si riduce di molto tra quei carcerati che escono dal penitenziario per buona condotta o per indulto. Con percorsi adeguati si avrebbe non solo un risparmio economico ma un recupero maggiore degli individui”. Tra i visitatori che mercoledì hanno vissuto l’esperienza di “Extrema Ratio” anche l’assessore comunale Michele Tavola: “Con Informagiovani stiamo mettendo in campo percorsi di sensibilizzazione sociale su quella che è la cultura della legalità, a partire dall’esperienza carceraria, dall’altro sull’accettazione di chi ha sbagliato per una tolleranza che non sia acritica ma accettazione del diverso, per evitare quello che potremmo definire una sorta di ostracismo sociale”. Augusta (Sr): in carcere l’inaugurazione della “Casetta sportiva dei bambini”… www.ondaiblea.it, 9 maggio 2013 É stata inaugurata ieri mattina la “Casetta sportiva dei bambini” presso il carcere di Augusta, un’iniziativa volta a favorire e incentivare il rapporto tra i genitori detenuti e i figli. Paola Cortese, insegnante di educazione fisica presso l’istituto penitenziario in questione, sottolinea l’importanza dello sport che, soprattutto in questo progetto, mette in stretto contatto genitore e figlio facendo sì che quest’ultimo possa sentire “la forte energia vitale che esiste in ognuno di noi e contraccambiare l’amore che prova per il proprio genitore” così commenta la Cortese. Il progetto è stato reso possibile grazie al Coni Sicilia in collaborazione con la “Fondazione Siracusa è Giustizia” e alla disponibilità del Direttore del carcere Antonio Gelardi favorendo già da ieri le attività ludiche. “Sono certa che questi momenti “senza barriere” - continua la Cortese - miglioreranno alcuni semplici aspetti del colloquio. “La casetta sportiva dei bambini” prevede l’allestimento, per i bambini che si recano in carcere a far visita al genitore, di un ambiente strutturato e attrezzato per svolgere attività quali: mini tennis, mini basket, mini volley e ping pong, in moda attenuare, almeno in parte, l’impatto con la struttura penitenziaria e dove la valenza del gioco potrà contribuire direttamente alla crescita del proprio figlio trasformando il detenuto in un ruolo attivo”. Immensa la gioia dei piccoli ospiti andati ieri a Brucoli a fare visita ai papà in carcere. Alla giornata sportiva hanno partecipato: L’on Salvo Fleres Garante dei detenuti, il Presidente della “Fondazione Siracusa è Giustizia” Paolo Ezechia Reale e i rappresentanti delle forze produttive della Città di Siracusa. Graditissima la presenza del Gip Dott. Michele Consiglio e dal Magistrato di sorveglianza Dott.ssa Carla Frau. “La casetta sportiva dei bambini” quindi - conclude la Cortese - è un importante occasione per far scaturire un percorso di riflessione tra i detenuti, che parta da una solidarietà emotiva ed istintiva ad una partecipazione attiva più matura e responsabile nei confronti dell’infanzia dei propri figli, nella memoria della propria”. Nuoro: carcere di Mamone, la prof Lucia Sannio fa il bilancio di “Il carcere va a scuola” di Bernardo Asproni La Nuova Sardegna, 9 maggio 2013 “Il carcere va a scuola” è un progetto che ha avuto inizio dieci anni fa con l’associazione di volontariato Luches, presieduta dalla docente di lettere Maria Lucia Sannio e dal suo vice Giuseppino Contu, impiegato della colonia penale di Mamone. Maria Lucia Sannio, a conclusione dell’anno scolastico, traccia un bilancio. “Nei primi anni - spiega - era un progetto basato sulla legalità e il recupero ambientale, portato avanti attraverso il gemellaggio con la scuola di Mamone e la scuola e il comune di Irgoli. In seguito è stato fatto proprio dal Ctp, il Centro territoriale permanente di Nuoro, e ha coinvolto diverse scuole e comuni del territorio (Dorgali-Galtellì-Irgoli e altre) e quest’anno le scuole di Nuoro, media Maccioni (dirigente Antonio Alba) e Itc Satta (dirigente Pierina Masuri)”. Maria Lucia Sannio è anche docente del Ctp emanazione della media Maccioni, coinvolta nel progetto insieme ai colleghi Raffaela Podda, Rossana Cossu, Giovanna Cottu, Alessandro Golme, Michele Falconi, Rosanna Piras, Pasquina Sedda, Graziano Massaiu e ai docenti dell’Itc Satta Carmela Podda, Nicola Corria e Caterina Palermo. “Dopo aver fatto un lavoro a monte dell’anno scolastico sono stati realizzati tantissimi scritti molto toccanti dagli alunni detenuti di Mamone, che poi sono stati letti presso le scuole che ci hanno ospitato” precisa la docente, nel sottolineare che sono stati portati in permesso dieci detenuti, per due volte, con Luches e la scuola. “All’inizio dell’attività - aggiunge Maria Lucia Sannio - è stata proposta una proiezione sulle celle e sulla vita all’interno del carcere, poi gli alunni delle scuole medie hanno fatto tante domande interessanti, molte delle quali basate sulla rieducazione del carcere e sul pentimento dei detenuti”. Gli alunni-detenuti sono stati a Nuoro ospiti il 10 aprile della Media Maccioni e il 17 dell’Itc Satta mentre il 17 le scuole nuoresi hanno potuto visitare la Casa di Reclusione di Mamone: le diramazioni Salcrà, Nortiddi, la Centrale e il caseificio. Gli alunni sono stati accolti dal direttore Pala, dal commissario Santucci e dal vice Ferraro, dal cappellano don Goddi, da educatori, polizia penitenziaria e vari componenti del personale. “A loro e a tutte le persone che si sono adoperate per la buona riuscita del progetto - conclude la docente e presidente di Luches - vada il ringraziamento particolare”. Tempio Pausania: il progetto “Libera Storie” doggi fa tappa a Nuchis La Nuova Sardegna, 9 maggio 2013 Tra le tappe di “Libera Storie” non poteva non esserci anche Tempio. Il progetto Biblioteche carcerarie, promosso dalla Regione, in collaborazione con il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e con l’Aib (Associazione Italiana Biblioteche), dopo aver preso le mosse da Isili nello scorso mese di febbraio, sarà infatti in città oggi, 9 maggio. La mattina, dovrebbe transitare nel carcere di Nuchis; di sera, invece, alle 19, nell’auditorium della biblioteca comunale del chiostro degli Scolopi, verrà presentato all’intera cittadinanza. La tappa tempiese di “LiberaStorie” è stata resa possibile grazie alla collaborazione del Comune e della Libreria Max 88. Il progetto prevede due azioni distinte: la promozione della lettura, sempre veicolata dalla presentazione di opere particolarmente indicate, e una serie di informazioni agli operatori del campo perché potenzino la lettura e la diffusione del libro all’interno dei penitenziari sardi. Anche a Tempio saranno due i libri che verranno presi in esame: “La cella di Gaudì - Storie di galeotti e di scrittori”, edita da Arkadia, ed “Evasioni d’inchiostro”, della giovane casa editrice sassarese Voltalacarta. Il primo volume è una raccolta di dodici racconti di scrittori che hanno ascoltato e a loro volta raccontato le storie di altrettanti detenuti della Casa di reclusione di Isili; il secondo raccoglie, invece, una serie di racconti e poesie di detenuti dell’alta sicurezza della casa circondariale nuorese di Badu e Carros. L’attore e regista Sante Maurizi dialogherà con Gueorgui Ivanov Borissov e Collins Osaro Igbinoba, protagonisti di “La cella di Gaudì” e con alcuni degli autori e dei curatori dei racconti e delle poesie. Quanto la lettura possa essere proficuamente praticata anche in un luogo di particolari privazioni come il carcere è un dato risaputo. Basterebbe riflettere su quanto è stato di recente proposto in Brasile, dove si è pensato di tradurre in veri e propri sconti di pena le letture di libri fatte dai detenuti. Un’idea che molti hanno trovato discutibile e che, comunque, si basa sull’assunto secondo il quale l’esercizio della lettura, soprattutto di un buon libro, può contribuire a rendere migliore colui che lo pratica, quale che sia poi la vera identità del lettore. Asti: “Voltapagina”, incontri con Lella Costa e Mauro Corona nel carcere di Quarto La Stampa, 9 maggio 2013 Una finestra spalancata sul mondo e sulla vita, che si apre sfogliano pagine di romanzi, saggi, poesie e racconti. È il progetto Voltapagina, l’iniziativa del Salone Internazionale del Libro nata nel 2007 per portare i grandi autori della narrativa italiana nelle carceri, durante i giorni della festa del libro torinese. Un progetto di impegno sociale, cresciuto negli anni per apprezzamento e partecipazione di scrittori e penitenziari, organizzato in collaborazione con il ministero di Grazia e Giustizia. È patrocinato dalle città di Saluzzo (che per prima ha aderito al progetto), di Asti (al secondo anno di coinvolgimento) e di Alessandria (che partecipa quest’anno per la prima volta). Autori come Lella Costa, Mauro Corona, Concita De Gregorio, Giacomo Poretti, Beppe Severgnini, Rosella Postorino e le insegnanti Grazia Colombari e Mariangela Calamia incontreranno i detenuti delle carceri di Saluzzo, Quarto e Alessandria. Nelle settimane che precedono gli incontri con gli autori, i detenuti che hanno volontariamente scelto di partecipare a Voltapagina vengono guidati alla lettura e all’approfondimento dei libri da un gruppo di assistenti sociali, educatori e volontari dei penitenziari. Il momento dell’incontro con l’autore sarà così occasione di discussione e dialogo sui temi trattati nell’opera e sull’esperienza della scrittura. A Quarto gli incontri si svolgeranno sabato 18 maggio. Alle 11 Lella Costa parlerà del suo libro “Come una specie di sorriso” (Piemme), e terrà una lezione dedicata all’ ironia come punto di partenza per cambiare la realtà. Alle 16 Mauro Corona racconterà il suo nuovo romanzo “Il canto delle manére” (Mondadori), storia di Santo Corona, dall’infanzia di povertà alla vecchiaia tranquilla, quando - ormai ricco - conduce una vita semplice, ma sempre alla ricerca di sfide. Presenta l’incontro Carlo Francesco Conti della Stampa. Voltapagina è aperto anche al pubblico esterno. Chi desidera partecipare dovrà prenotarsi entro lunedì 13 maggio (incluso) scrivendo a: ufficioeducatori.cc.asti@giustizia.it (specificando nell’ oggetto: Salone del Libro) oppure telefonando allo 0141/293.732. Libri: “Mamma è in prigione”, di Cristina Scanu (edito da Jaca Book) Recensione di Massimiliano Castellani Avvenire, 9 maggio 2013 Dietro le sbarre, l’inferno. La situazione penitenziaria in Italia è da sempre estremamente pesante: livelli di sovraffollamento record delle carceri e condizioni di vivibilità al loro interno al limite della sopportazione fisica e della violazione dei diritti umani. Una realtà, quella delle patrie galere che stando ai numeri è assolutamente “maschiocentrica”: il 95% della popolazione è composta da circa 67mila detenuti. E così spesso ci si dimentica della presenza minoritaria, e per questo ancora più marginale, delle donne, le quali delinquono di meno e finiscono in manette per reati meno gravi, ma il 90% delle detenute sono “mamme in prigione”, di uno o più figli. E “Mamma è in prigione” è anche il titolo del documentatissimo libro-inchiesta (edito da Jaca Book) della giornalista Rai Cristina Scanu. Come scrive in prefazione il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella: “Un libro che apre uno squarcio di verità sulla detenzione femminile”. Un viaggio al termine della notte più buia, quello compiuto dall’autrice, per andare ad incontrare alcune delle oltre 2.847 detenute, “le donne più disgraziate del Paese”. Da allora la situazione peraltro non è affatto migliorata. Anime in pena, ammassate e inerti nelle cinque carceri femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia a Roma, Empoli e la Giudecca a Venezia) e nelle 62 sezioni ricavate negli istituti penitenziari che sono stati progettati e costruiti per gli uomini e in cui vige un codice assolutamente maschile che rende ancora più duro il percorso di detenzione e di presunta riabilitazione delle donne. “Il carcere è parte della nostra società: se ne facciamo una fabbrica di dannati - diceva don Luigi Melesi, ex cappellano di San Vittore - saremo noi un giorno a pagarne il prezzo”. Il termine pena deriva dal greco poinè che appunto vuol dire prezzo. E il conto più alto pare spetti alle mamme in prigione che pagano doppio: per gli errori commessi e poi per i loro figli, specie quando decidono di tenerli con sé. “Sono 60 i bambini in cella, nell’Italia che detiene il record assoluto di pronunciamenti della Corte Europea per condizioni di detenzione disumane - denuncia la Scanu -. Ma di questo il governo non si occupa. Meglio voltare la faccia e non sapere che in galera vive anche chi non ha alcuna colpa: decine di bimbi che crescono circondati da quelle mura di cemento”. Reclusi appena nati, di madri che per tenerli con loro devono superare problemi e disagi ulteriori alla detenzione: dall’allattamento agli squilibri psicologici, all’educazione del piccolo. Non tutte le strutture penitenziarie dispongono di asili per i pochi bambini dietro le sbarre. L’asilo nido più “affollato” è quello di Rebibbia con 13 bimbi, ma ci sono poi casi al limite, come Sassari e Bologna che ospitano un solo bambino. All’isolamento, al dolore e all’emarginazione della donna si aggiunge così anche quella del figlio che, per legge, al compimento del terzo anno di età viene strappato dalle braccia materne. L’ordinamento penitenziario del 1975 è stato modificato nel 2011 (legge 62) ed estende fino a sei anni l’età dei “piccoli incarcerati” con le madri, a patto però che stiano in istituti a custodia attenuata. Ma di queste strutture al momento ne esiste solo una, a Milano. È’ l’Icam (Istituto a custodia attenuata per madri), il primo aperto in Europa, in cui dal 2007 al 2011 sono state ospitate 167 mamme detenute - provenienti dal carcere di San Vittore - e i rispettivi 176 figli. “Un’oasi: 420 metri quadrati di giardino, camere doppie e singole, bagni, ludoteca, infermeria, spazi comuni, sala colloqui, cucina, dispensa e lavanderia - spiega la Scanu -. Giova elencare tutti questi servizi che di norma dovrebbero essere garantiti ovunque, ma che invece nella maggior parte degli istituti rappresentano l’eccezione, se non un miraggio”. Nel carcere di Torino, specchio del sistema, mancano addirittura la carta igienica, gli assorbenti per le donne e le docce in cella (previste dal regolamento del 2000). “Nel carcere di Borgo San Nicola di Lecce, le celle di 12 metri quadrati destinate a una sola detenuta ne ospitano tre. Tolto lo spazio occupato da servizi igienici, letti e suppellettili, ogni detenuta dispone di circa 1,75 metri quadrati calpestabili”, annota allarmata la Scanu. Viste da fuori, queste donne e madri sembrano tante mosche imprigionate in un bicchierino rovesciato, come quello da cui danno da bere ai loro cuccioli. “Dai dati di “Ristretti Orizzonti” sarebbero 40mila i figli che hanno un genitore dietro le sbarre e le detenute, sostengono gli psicologi, soffrono più degli uomini per la lontananza. Specie le straniere che sono la maggioranza in carcere, perché hanno meno possibilità di vederli”. Sovraffollamento e sofferenza oltre il livello di guardia, “anche per la mancanza di forme di detenzione alternative”, unite a condizioni igieniche disperate, fanno del carcere un luogo in cui ci si ammala. Il 20% delle detenute sono tossicodipendenti e il virus dell’Hiv è portatore di altre malattie (Epatite C, in primis). E poi c’è il “male oscuro”, la depressione che sfocia in autolesionismo e anche questo colpisce più le donne degli uomini. Dal 2000 al 2012 sono stati 726 i detenuti morti suicidi e dentro al carcere i tentativi di farla finita (compresi quelli degli agenti penitenziari) sono 19 volte superiori rispetto a fuori. Urla nel silenzio perché, come scarseggiano le risorse, sono altrettanto rari per le detenute gli incontri con educatori, psicologi, medici, assistenti sociali, e a volte anche con i preti. Il recupero e la reintegrazione diventano così bei propositi per ripulire bocche e coscienze istituzionali, ma in carcere solo il 20% delle detenute viene avviato al lavoro e una volta scontata la pena, fuori troppo spesso le attende un mondo ostile e un futuro da disoccupate. “Ha detto il direttore della Caritas diocesana di Vicenza, don Giovanni Sandonà: “Se quando una persona entra in carcere gli si chiudono le porte alle spalle, quando esce gli si chiudono le porte in faccia”. Tante mamme in prigione, senza una casa né un lavoro e con figli persi in chissà quale affido o istituto, mi hanno raccontato che per loro era inevitabile la recidività. Così, tornare in carcere per molte è stato l’unico modo per non morire... Questa è la realtà e per sensibilizzare le nostre donne parlamentari donerò a ciascuna una copia del libro alla sua uscita (il 16 maggio). Un passo avanti sarebbe realizzare lo slogan lanciato dall’Icam di Milano il giorno dell’inaugurazione: “Lo abbiamo aperto, ma lo chiuderemo, perché di bambini in carcere non ce ne siano più”. Droghe: Coordinamento Garanti detenuti; la Legge Fini-Giovanardi ha riempito le carceri Ristretti Orizzonti, 9 maggio 2013 Il Coordinamento nazionale dei Garanti dei detenuti, riunito oggi ad Ancona, ha inviato un telegramma al Ministro dei rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, sulla composizione del Governo: “Il Coordinamento di tutti i Garanti dei detenuti esprime viva preoccupazione per l’attribuzione della delega sulle politiche delle droghe, che devono rientrare nelle politiche sociali e di integrazione, e non di ordine pubblico. Occorre una netta discontinuità rispetto a scelte che hanno determinato l’attuale sovraffollamento delle carceri". Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garanti, ha dichiarato: “Il Presidente della Repubblica, Napolitano e il premier Letta, hanno denunciato la condizione disumana e illegale delle carceri. Queste prese di posizione rischiano di essere pura retorica, se non sono accompagnate da un cambio di politica rispetto a quella determinata dalla Legge Fini-Giovanardi sulle droghe, che ha riempito le carceri di consumatori e di tossicodipendenti. La responsabilità della politica delle droghe, deve essere affidata a una persona che abbandoni la via moralistica e ideologica, che ci allontana dall’Europa”. Il Coordinamento ha deciso una settimana di mobilitazione su questo tema e ha confermato l’impegno di raccolta delle firme per le tre proposte di legge di iniziativa popolare, su tortura, carcere e droghe, in particolare ha deciso di promuovere la raccolta, dentro il carcere e davanti alle carceri, sabato 1° giugno. Franco Corleone Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti Stati Uniti: suora cattolica di 83 anni condannata per sabotaggio a un impianto nucleare Adnkronos, 9 maggio 2013 Un’anziana suora cattolica e due pacifisti sono stati condannati per essere entrati illegalmente all’interno di un impianto nucleare per la difesa e aver provocato danni alla struttura. Come riferisce la Bbc, la religiosa Megan Rice, di 83 anni, il 64enne Michael Walli, e il 56enne Greg Boertje-Obed hanno ammesso di aver tagliato le barriere difensive ed essere entrati nel luglio dello scorso anno nell’impianto Y-12 di Oak Ridge, in Tennessee, per il trattamento e lo stoccaggio dell’uranio. La giuria ha emesso il verdetto dopo oltre due ore e mezzo di camera di consiglio. I tre rischiano ora fino a 20 anni di carcere per aver sabotato l’impianto, che risale ai tempi del Progetto Manhattan, per lo sviluppo della prima bomba atomica Usa. I tre appartengono al gruppo Transform Now Plowshares. In aula la religiosa ha detto di pentirsi solamente di avere atteso 70 anni prima di compiere il suo gesto. India: percosse in cella, muore detenuto pachistano Ansa, 9 maggio 2013 Un detenuto pachistano picchiato in una prigione in India è morto in ospedale dopo diversi giorni di agonia. L’uomo, Sanaullah Ranjay, era in coma da alcuni giorni a causa di fratture causate durante un’aggressione nel carcere di Jammu, dove era detenuto da 17 anni con l’accusa di appartenere a gruppi militanti separatisti. L’incidente era avvenuto il 3 maggio, lo stesso giorno in cui un detenuto indiano era morto dopo essere stato picchiato in una prigione a Lahore, in Pakistan.