Giustizia: emergenza carceri… avanti un altro governo di Luigi Iorio (Avvocato e saggista) www.huffingtonpost.it, 8 maggio 2013 Il problema del sovraffollamento delle carceri è ormai una piaga sociale del nostro Paese. Oltre a essere una questione sociale e morale è in sostanza anche una questione di legalità, poiché nulla è peggio di far vivere chi non ha recepito i fondamentali della legalità, commettendo reati, in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto. Condizioni igienico sanitarie inadeguate, mancanza di riscaldamento e continue sommosse dimostrano come l’emergenza carceri è sempre meno sotto controllo. In una cella dove dovrebbero soggiornare in media soltanto 2 detenuti ve ne alloggiano almeno 6 e alle volte 8. Da questa situazione inoltre scaturiscono problematiche quali depressioni, condizioni igienico sanitarie ai limiti della vivibilità, aumento di malattie infettive tra la popolazione carceraria, insomma un non rispetto quotidiano dei diritti umani dell’individuo. Secondo alcune fonti attendibili come il centro studi “Ristretti Orizzonti” che ha pubblicato il dossier 2000-2013 “morire di carcere”, negli ultimi 14 anni sono morti 2.150 detenuti, (771 per suicidio). A queste condizioni disumane va aggiunto anche una emergenza di pubblica sicurezza, infatti con l’aumentare dei detenuti non aumentano le forze dell’ordine penitenziarie. Anche l’Europa si è pronunciata con diverse sentenze di condanna sull’ emergenza carceri in Italia. Infatti la media Ue in termini di popolazione carceraria è di 97 detenuti su 100 posti letto disponibili, quella italiana è di 148 su 100. Ormai i detenuti e le sigle sindacali della polizia penitenziaria parlano la stessa lingua, in quanto affermano che la situazione è insostenibile ed è ormai un caso nazionale. Gli ultimi dati forniti dal sindacato Uil penitenziari parlano di una popolazione carceraria che ha sfondato quota 68mila persone, a fronte di una capienza di 44.385 posti, 23.632 in più di quanto gli istituti potrebbero contenerne. Il sovraffollamento medio nazionale ha così raggiunto il 53,2%. A nulla sono serviti in questi anni i continui moniti del Capo dello Stato Napolitano che in questi anni ha sempre evidenziato come la condizione carceraria dei detenuti andava migliorata. Andrebbe approfondito anche il motivo per il quale 40 carceri costruiti e terminati su tutto il territorio della penisola non vengano utilizzati. L’esempio più lampante i di queste strutture sopraccitate è quello di Gela, un carcere costruito in un lasso di tempo durato 30 anni ed inaugurato 2 volte e poi chiuso. Questo è solo una parte del problema, infatti il problema in sé non si risolve solo aprendo nuove strutture penitenziarie; andrebbe riformata la giustizia penale in materia di misure cautelari, ed una concessione maggiore di arresti domiciliari per reati minori ad per individui non socialmente pericolosi. Di questo se ne dovrà occupare da subito anche il nuovo ministro Cancellieri. Voltaire affermava che: “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”. È giunto davvero il momento di dare priorità anche a questa emergenza. Giustizia: sovraffollamento delle carceri, l’Italia è al top di Mauro Palma Il Manifesto, 8 maggio 2013 Precisi e puntuali i dati sulla situazione dell’esecuzione penale in Europa sono stati pubblicati sul sito del Consiglio d’Europa. I dati sono racchiusi in due rapporti, il primo riguarda la situazione in carcere, il secondo l’esecuzione penale esterna - quelle che da noi si chiamano “misure alternative”. Sono consultabili sul sito del Consiglio e sono compilati e strutturati dall’Università di Losanna. Ci consegnano la foto di un sistema in sofferenza un po’ in tutta l’Europa (riguardano ben 47 stati) in particolare per la situazione affollata che registrano, frutto certamente non di casualità, ma di scelte di politica penale attuate in molti stati, con un tasso di affollamento pari a 99.5 detenuti per 100 posti ufficialmente disponibili. Ma l’affollamento - così come le politiche penali - non è distribuito in modo omogeneo e l’Italia sta alle vette della situazione negativa. In questa classifica di “piigs”, diversa da quelle riportate dalle solite agenzie di rating che affollano i nostri media, occupa il terzo posto: peggio dell’Italia stanno soltanto la Serbia e la Grecia. Non sono cose nuove: si conoscono, si pronunciano nei vari convegni, sono alla base di alte e altisonanti affermazioni d’impegno a intervenire, sono all’origine di sentenze di condanna da parte della Corte di Strasburgo per i diritti umani. Eppure restano là, in quelle frasi, a cui non si accompagnano volontà e capacità d’intervento. Infatti, non sono l’esito di una qualche calamità naturale, bensì il risultato di alcune leggi, il cui esito è una forte disparità nell’esercizio concreto della funzione penale che riduce garanzie e alternative a strumenti utili solo a chi ha una solidità sociale ed economica alle spalle e condanna il carcere a essere luogo della materialità della disuguaglianza di classe. Cose che si sanno, ma che colpisce leggere nero su bianco in una statistica ufficiale. Né può attenuare questa sensazione il fatto che i dati si riferiscano al settembre del 2011 (data della rilevazione): infatti, ben poco hanno inciso i provvedimenti che il governo subentrato nel novembre di quell’anno ha adottato fino al termine recente del suo mandato. Provvedimenti che hanno segnato un mutamento dell’approccio culturale al tema e delle volontà espresse dal ministro, ma che si sono rivelati inadeguati rispetto all’ampiezza del problema. Così oggi ci ritroviamo esattamente nella fotografia che i dati pubblicati riportano. L’informazione su quale sia la situazione dietro le sbarre era del resto ben nota anche prima della loro pubblicazione e continua a costituire un classico esempio di informazione che non produce coscienza politica e azione conseguente: si sa, ma si continua a fare come se non si sapesse, salvo qualche affermazione di buone intenzioni. Ci ritroviamo così a sentire dichiarazioni di solenni impegni, ma anche a registrare che nelle nomine recenti di ministri e sottosegretari essi non si sono tradotti in scelte leggibili. L’unico elemento di novità è nella scesa in campo delle organizzazioni della società civile nel proporre leggi d’iniziativa popolare che affrontano sia il nodo di porre un limite a quella continua produzione di incarcerazione prodotta da norme quali quella sulle droghe o quella sugli sbarramenti alle misure alternative per i recidivi, sia il nodo di riportare il carcere alla legalità costituzionale attraverso una serie d’interventi mirati che incidono sulla quotidianità detentiva. Anche perché sarebbe mistificante ridurre la situazione attuale della detenzione al solo tema dei numeri e degli spazi, senza accorgersi che il problema centrale è quello della indefinibilità di un progetto entro cui dare senso a quanto, come, perché e verso quale futuro, si priva una persona, colpevole di un reato, della propria libertà personale. Senza progetto, il carcere non è soltanto affollato e invivibile, ma è anche inutile e getta su di sé soltanto l’ombra della dimenticanza: quell’ombra che si proietta nel senso di abbandono che può tradursi in autolesionismo e anche in morte. Giustizia: il lavoro “vaccino contro la recidiva”… ma solo il 21% dei detenuti è occupato Redattore Sociale, 8 maggio 2013 Su una popolazione carceraria di oltre 66mila detenuti, solo 13.208 lavorano. Di questi, sono circa 2 mila quelli che riescono ad ottenere un’occupazione al di fuori delle mura carcerarie. Tamburino (Dap): “Entro breve questo numero potrebbe raddoppiare”. Su una popolazione carceraria di oltre 66 mila detenuti solo il 21,2 per cento lavora (13.208 persone). Di questi sono uno sparuto numero, circa duemila, quelli che riescono ad ottenere un’occupazione al di fuori delle mura degli istituiti penitenziari. In percentuale sono però le donne quelle più attive, pur essendo il 4,5 per cento del totale dei detenuti, (circa tremila). Eppure il lavoro in carcere è una “vaccinazione” contro il rischio di recidiva: se sono circa il 60 per cento i detenuti che tornano a delinquere, per quelli occupati mentre stavano scontando la pena, il rischio si dimezza (recidiva di circa il 30 per cento). Lo sottolinea a Redattore Sociale il capo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) Giovanni Tamburino, a margine della presentazione oggi a Roma del progetto Sigillo (vedi lancio successivo). “Il lavoro in carcere è un vaccino perché il rischio di tornare nel circuito penitenziario si azzeri, garantisce infatti l’abbattimento della recidiva - sottolinea Tamburino . È un modo infatti di recuperare il condannato già durante la detenzione”. Ma secondo il capo del Dap va incentivato in particolare il lavoro dei detenuti fuori dal carcere. A breve, grazie a un provvedimento del governo Monti che prevede finanziamenti e detrazioni fiscali alle imprese che portano lavoro negli istituti penitenziari, il numero dei carcerati impiegati all’esterno potrebbe raddoppiare passando da duemila a quattromila. “La finalità è l’accesso delle imprese nel mondo penitenziario - continua - ed è un corrispettivo delle difficoltà che le imprese incontrano nel portare lavoro in carcere. Il secondo passaggio - aggiunge Tamburino - è la costruzione di un circuito penitenziario a custodia attenuata per i detenuti che devono scontare una pena breve o a basso rischio di pericolosità. In questi istituti il regime dei controlli e della chiusura dei cancelli sarebbe ridotto e agevolerebbe molto le imprese”. Un modello di questo tipo è già stato attivato in Sardegna nelle tre colonie penali sarde: Isili, Is Arenas e Mamone. “Il punto di svolta dovrebbe essere quello di attività economiche arrivino ad ottenere un pareggio di bilancio. Per farlo si potrebbe partire dal riconsiderare la remunerazione del detenuto, che oggi è molto più alta rispetto ad altri paesi - aggiunge Tamburino - e riduce l’appetibilità delle imprese”. Infine il capo del Dipartimento torna a sottolineare l’importanza delle pene alternative: “Vanno rafforzate perché in un sistema che usa eccessivamente il carcere ed è pieno di effetti collaterali sono un’ottima medicina”. Nasce “Sigillo” per qualità prodotti donne detenute “Sigillo” è il marchio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), con cui si certificheranno la qualità e l’eticità dei prodotti realizzati all’interno delle sezioni femminili di alcuni dei più affollati penitenziari italiani. A gestirlo sarà una vera e propria agenzia dedicata, che ne curerà le strategie di prodotto, comunicazione e posizionamento sul mercato in una logica di brand: una novità assoluta per progetti d’intervento sociale da parte di un dicastero. “Abbiamo voluto sostenere il progetto “Sigillo” - dichiara Luigi Pagano, vice capo del Dap del ministero della Giustizia - in quanto riteniamo che rappresenti la risposta alla volontà delle detenute, già da tempo impegnate nella realizzazione di attività lavorative all’interno dei diversi istituti, di aderire ad una vera e propria rete imprenditoriale che rappresenti un ponte in grado di proiettarle verso il mercato esterno”. “Se davvero vogliamo creare occupazione, quindi anche “riabilitazione”, per le donne detenute, dobbiamo fornire nuovi strumenti professionali alle imprese sociali - ha aggiunto Luisa Della Morte, direttore dell’agenzia ‘Sigillò- affinché siano in grado di consolidarsi e crescere sul mercato. Per fare questo, però, bisogna abbandonare le logiche assistenzialistiche ed essere innovativi nelle proposte, individuando forme di dialogo tra profit e non profit”. Ci sono voluti più di tre anni e mezzo di ricerche e di profonda conoscenza dell’effettivo stato dell’arte degli istituti penitenziari e delle sezioni femminili per portare a termine questo complesso progetto. A oggi, le donne detenute nel nostro Paese sono 2.847 (dati al 31 marzo 2013). Più della metà di loro sa cucire e solo il 5% può contare su vere e proprie opportunità lavorative offerte da aziende e imprese sociali. Numero che illustra, in maniera evidente, il disagio ancora oggi vissuto dalle donne all’interno di un’istituzione, quella carceraria, creta dagli uomini per gli uomini. Da qui la nascita di un marchio di genere. “Il nostro primo obiettivo rimane l’incremento dell’offerta occupazionale per le donne detenute negli istituti penitenziari italiani, così che possano avviare quei percorsi di ‘riabilitazionè attraverso il lavoro che, lo dicono i dati, sono in grado di limitare al 10% il rischio di recidiva- evidenzia il direttore del progetto ‘Sigillò. Purtroppo, però, le logiche di mercato e la rinnovata cultura sociale richiedono uno sforzo aggiuntivo. Occorre sperimentare nuove forme di armonizzazione e coordinamento delle esperienze presenti ed essere capaci di farle diventare azioni di un piano strategico d’intervento comune. Bisogna, poi, conclude, promuovere un modo di porsi, un linguaggio imprenditoriale, un modello di impresa sociale”. Cinque le cooperative sociali che hanno firmato questo progetto e che si sono distinte per capacità imprenditoriali nel corso degli ultimi anni: - la coop. soc. Alice, capofila, attiva nelle carceri di S. Vittore e Bollate affiancata dalla coop. soc. Camelot; - la coop. soc. Uno di Due, titolare del brand Papili Factory, operante nell’ex carcere di Vallette, ora Lorusso Cotugno di Torino; - la coop. soc. Officina Creativa e 2nd Chance, artefici del successo del marchio “Made in Carcere” e operanti negli istituti penitenziari pugliesi di Lecce e Trani. Accanto a loro si colloca anche l’esperienza manageriale del Consorzio Sir di Milano e il supporto di due partner di eccezione: Banca Prossima e l’università Bocconi di Milano. Giustizia: Pagano (Dap); poche pene alternative, ricognizione per capire ciò che non funziona Ansa, 8 maggio 2013 “Su 65.000-66.000 detenuti, almeno 15.000 potrebbero teoricamente aspirare alla detenzione domiciliare. E ci sono anche i tossicodipendenti, e sono tanti, che potrebbero scontare la pena fuori dal carcere. E invece questo non succede. È strano, c’è qualcosa che non va”: lo ha detto Luigi Pagano, vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Parlando a margine della presentazione di un progetto per le detenute, Pagano ha spiegato che il Ministero “sta facendo una ricognizione per capire cos’è che non funziona” nell’utilizzo delle pene alternative. “Gli strumenti ci sono per alleggerire il carico del sovraffollamento delle carceri - ha detto Pagano - vanno utilizzati”. Molti detenuti possono aspirare a misure alternative “Il dato sul sovraffollamento è sempre quello (65mila detenuti ndr). Ma noi abbiamo molti detenuti che potrebbero teoricamente aspirare alle misure alternative. Per esempio, abbiamo oltre 15mila detenuti che rientrano nei 18 mesi canonici e, quindi, potrebbero aspirare alla detenzione domiciliare, così come quel 30% che è tossicodipendente”. Lo ha detto Luigi Pagano, vice capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, a margine della presentazione del progetto “Sigillo”. “C’è qualcosa che non va, dobbiamo utilizzare - fa notare - gli strumenti che ci sono. Stiamo operando una ricognizione per vedere dove ci sono i problemi, che cosa non funziona, se il titolo giuridico piuttosto che la mancanza di domicilio o un intervento delle Asl. Vediamo poi il da farsi”. Giustizia: Palma (Pdl); priorità a tema carceri, in molte condizioni di vita non dignitose Agi, 8 maggio 2013 “Al di là di tutto, c’è il problema della sofferenza carceraria su cui si è espresso anche il Presidente della Repubblica: chi come me ha avuto la possibilità di vedere le carceri italiane è a conoscenza del fatto che ci sono delle carceri in condizioni non dignitose”. Lo ha detto Nitto Francesco Palma nel corso di una conferenza stampa. Quello delle carceri è l’unico tema che il neo presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama sente di poter mettere in un ventaglio di ipotetiche priorità nell’azione della Commissione anche perché, spiega, il lavoro di una commissione si svolge sui provvedimenti che vengono presentati e dire che un provvedimento ha la precedenza su un altro sarebbe scortese nei confronti dell’ufficio di presidenza”. È l’esperienza personale e professionale, quindi, che fa dire a Palma che quello delle carceri è un tema prioritario: “Da ministro della Giustizia andai a vivere in una casa che era stata abitata da miei predecessori, per risparmiare allo Stato il costo della blindatura dell’abitazione in cui mi trovavo. Penso che tutti i ministri di Giustizia dovrebbero vivere in quella casa perché da lì si sentono le urla provenienti dal carcere di Regina Coeli, le urla dei famigliari dei detenuti che comunicano con i loro cari dal faro del Gianicolo. Quelle urla servono a ricordare al ministro che quelle persone non vanno dimenticate”, Pannella: su Palma linciaggio Pd per impegno carceri? “Quello che accade contro Nitto Palma accade contro uno dei maggiori giuristi e politici che ha avuto e ha formalmente assunto la responsabilità di lottare perché l’Italia esca da quella infame flagranza di reato, contro i diritti umani, in cui ci troviamo”. Lo ha detto Marco Pannella, in diretta a Radio Radicale, a commento della scelta del Pd di continuare a votare scheda bianca per la presidenza della commissione Giustizia del Senato. “Non so se fra mezz’ora - ha aggiunto riferendosi alla nuova votazione in Senato - avremo qualcosa che conferma il linciaggio di Nitto Palma. Ma sarà un linciaggio nei confronti di un esponente linciato non perché berlusconiano, perché sta col diavolo, con cui loro hanno sempre fatto “ai mezzi”, perché sono soci, da decenni, ma perché si è occupato di Napoli in modo che il famigeratissimo Cosentino, il più grosso notabile “camorrista” berlusconiano, come dice chi di camorra si intende tanto, ma proprio tanto, e perché è stato l’unico ad assumersi la responsabilità di lottare contro lo scandalo della violazione del diritto e dei diritti nelle carceri e nei tribunali italiani”. “Ancora devo sentire una cosa precisa, contro Nitto Palma - ha aggiunto Pannella. Ma le cose precise, quelle che ci sarebbero contro Formigoni, che mi pare sia stato eletto senza battere ciglio a presiedere un’altra commissione, non sono proprie del Pd. E chiedo ai compagni del Pd: possibile che nel partito non si sia mai discusso ufficialmente, al proprio interno? Tutti zitti e mosca? Solo che oggi Mosca non c’è più, c’è solo il cesso italiota. Nitto Palma paga questo. Non c’è stato un solo argomento importante su cui nel Pd si sia aperto un dibattito”, ha concluso il leader Radicale. Giustizia: Molteni (Lega Nord): durissima opposizione, se priorità sarà date alle carceri “Desideriamo congratularci con Donatella Ferranti per la sua elezione alla presidenza della Commissione Giustizia della Camera ma le anticipiamo sin d’ora che, se considera prioritario un intervento legislativo sulla messa alla prova e le misure alternative al carcere, proprio come si è affrettata a sottolineare non appena nominata, saremo pronti ad una opposizione durissima, proprio come nella scorsa legislatura”. Lo dichiara il deputato della Lega Nord Nicola Molteni, componente della Commissione Giustizia. “Ribadiamo per l’ennesima volta che per la Lega il problema del sovraffollamento si risolve costruendo nuovi penitenziari e facendo scontare ai detenuti stranieri, che rappresentano il 35% circa della popolazione carceraria, la pena nei rispettivi Paesi d’origine”, conclude Molteni. Giustizia: Fp-Cgil; domani raccolta firme su tre leggi per i diritti, dentro e fuori le carceri Agenparl, 8 maggio 2013 Roma, Cassino, Bologna, Campobasso, Milano, Padova, Lecce, Parma, Rende, Pescara, Torino, Trento, Catanzaro e tante altre città ancora: giovedì 9 maggio 2013, dalle ore 9 alle ore 14, nelle Università di tutta Italia i promotori della Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe raccoglieranno le firme per le tre proposte di legge di iniziativa popolare depositate lo scorso gennaio in Cassazione. Proposte che costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario. La prima, Introduzione del reato di tortura nel codice penale, vuole sopperire ad una lacuna normativa grave. In Italia manca il crimine di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite. La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico. La seconda, Per la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri, vuole intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Insieme alla richiesta di istituzione di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, viene anche proposta l’abrogazione del reato di clandestinità. Infine la terza proposta, Modifiche alla legge sulle droghe: depenalizzazione del consumo e riduzione dell’impatto penale, vuole modificare la legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese. Viene superato il paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi, depenalizzando i consumi, diversificando il destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti, diminuendo le pene, restituendo centralità ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. Al sito www.3leggi.it la mappa di tutti luoghi dove sarà possibile sottoscrivere le tre proposte, che sono promosse da: A Buon diritto, Acat Italia, L’Altro Diritto, Associazione 21 luglio, Associazione difensori di Ufficio, A Roma, insieme - Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Saman, Bin Italia, Consiglio italiano per i rifugiati - Cir, Cgil, Cgil - Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Fondazione Giovanni Michelucci, Forum Droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Giustizia per i Diritti di Cittadinanzattiva Onlus, Gruppo Abele, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Itaca, Libertà e Giustizia, Medici contro la tortura, Naga, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Rete della Conoscenza, Società della Ragione, Società italiana di Psicologia penitenziaria, Unione Camere penali italiane, Vic - Volontari in carcere. Giustizia: Sappe; oggi protesta davanti al Dap, per denunciare criticità quotidiane carceri Adnkronos, 8 maggio 2013 “Denunciare l’indifferenza, l’apatia e le incapacità dell’Amministrazione Penitenziaria a sopperire alle gravi criticità con le quali quotidianamente si confrontano le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria nelle oltre 200 carceri italiane. Criticità e problematiche degli Istituti di pena italiani”. È questo lo scopo della protesta organizzata oggi davanti al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma dagli agenti penitenziari. Lo riferisce una nota del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria spiegando che gli agenti denunciano “le diffuse indifferenze verso i temi del carcere e le criticità operative dei Baschi Azzurri”. “Abbiamo voluto proporre un modo nuovo di protestare contro le indifferenze dell’Amministrazione Penitenziaria verso i suoi poliziotti - spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe. Oggi abbiamo in Italia 65.917 persone detenute (63.029 uomini e 2.888 donne) nelle celle dei 206 penitenziari italiane”. “Il carcere invisibile delle misure alternative e di sicurezza e di altre misure sostitutive della detenzione coinvolge altre 28.800 persone che, sommate a quelle in carcere, porta ad avere complessivamente quasi 100mila detenuti in Italia. Se a questo aggiungiamo che mancano in organico oltre 6.500 poliziotti penitenziaria, si comprenderà perché da tempo il Sappe sostiene che la situazione è allarmante ed emergenziale”. Capece segnala quanto la situazione delle carceri sia esplosiva: “In pochi giorni abbiamo registrato i suicidi di un Agente di Polizia Penitenziaria (nel carcere minorile di Lecce) e di due detenuti (a Castelfranco Emilia ed a Catanzaro), altri due suicidi di ristretti sventati in tempo dalla Polizia penitenziaria a Modena ed nel carcere minorile di Catanzaro, poliziotti aggrediti in carcere a Reggio Emilia, Spoleto e Salerno ed un’aggressione contro un altro Basco Azzurro sventata ad Alessandria, due risse tra detenuti nel carcere genovese di Marassi, due incendi provocati da detenuti a Como e Montelupo Fiorentino che per il pronto intervento degli Agenti non è sfociato in tragedie, la morte improvvisa per malore di due detenuti (nel carcere di Velletri e nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia) e di un poliziotto del carcere di Firenze Sollicciano”. Giustizia: Sarno (Uil-Pa); governo apra tavolo rinnovo contratto operatori sicurezza Adnkronos, 8 maggio 2013 “Credo che occorre mettere in campo ogni sforzo perché il Governo Letta apra il tavolo per il rinnovo contrattuale per gli operatori della sicurezza. Pensare ad un ulteriore blocco dei rinnovi contrattuali è impensabile. Conoscendo la sensibilità e l’attenzione del premier Letta verso le donne e gli uomini del Comparto Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico i nostri auspici dovrebbero trovare la giusta attenzione, ancor più in considerazione delle tante espressioni verbali a sostegno degli operatori della sicurezza che in questi giorni sono pervenute da tutto l’arco politico e parlamentare”. È quanto ha affermato Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-pa Penitenziari, intervenendo ieri al 2° Congresso della Federazione Nazionale Sicurezza della Cisl in corso a Tivoli. “Per quanto attiene all’Amministrazione Penitenziaria vi è l’assoluta necessità di riprendere le trattative per la sottoscrizione del primo contratto di lavoro per la Dirigenza Penitenziaria, ma anche la necessità che il Dap provveda ad assegnare ad ogni istituto penitenziario un Dirigente visto che sono circa 45 le carceri sprovviste di un Direttore titolare. Così come vi è necessità - ha proseguito Sarno - che si provveda a nominare un Provveditore Regionale per la Calabria e per il Triveneto. Realtà penitenziarie così complesse non possono essere gestite ad intermittenza”. “Ovviamente serve che si recuperino corrette relazioni sindacali che da qualche tempo sono pressoché congelate. Noi confidiamo che il Ministro Cancellieri voglia dare una scossa in vista delle prossime scadenze. Abbiamo esigenza di confrontarci sulla mobilità ordinaria dei funzionari ed ancor più di ragionare sull’assegnazione dei circa 750 neo agenti che tra qualche settimana, terminato l’iter formativo, saranno immessi nel circuito penitenziario”. “Ho buona ragione per ritenere che i continui avvicendamenti ai vertici del Dap hanno contribuito ad ampliare le ataviche difficoltà gestionali di un sistema perennemente sull’orlo del definitivo collasso. Negli ultimi venti anni si sono succeduti dodici Capi Dipartimento. Questo impedisce , anche ai più capaci, di pianificare ed affermare qualsiasi progetto”, prosegue Sarno. “L’attuale dirigenza del Dap ha messo in campo un progetto, quello dei circuiti regionali e della sorveglianza dinamica, che ha una sua logica ed una sua intelligenza. Non è la panacea ma può contribuire ad una svolta gestionale della detenzione e dell’organizzazione complessiva, di cui si avverte assoluto bisogno. Per questo - conclude Sarno - se si vuole raggiungere l’ambizioso progetto non si può prescindere da un più organico rapporto con le rappresentanze sindacali, ma soprattutto intervenire anche in sede normativa attraverso l’abolizione della c.d. colpa del custode che grava unicamente sulle spalle degli operatori delle frontiere penitenziarie”. Giustizia: allerta del Viminale per la sicurezza… i pericoli per la crisi economica e sociale di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 8 maggio 2013 I pericoli maggiori rimangono legati alla crisi economica, a quel disagio sociale che può alimentare la violenza. Alla fine della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza guidato per la prima volta dal ministro Angelino Alfano, la lista delle priorità è invariata. Perché i vertici delle forze dell’ordine e delle strutture di intelligence elencano i rischi per l’ordine pubblico e concordano sulla necessità di rimanere vigili rispetto a quella che è ormai diventata una vera e propria piaga: l’impoverimento dei cittadini. Ore 10, Viminale. Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha deciso di partecipare all’incontro con una scelta inusuale, ma a quanto pare gradita dal titolare del dicastero che è pure il suo vice nell’esecutivo. Quasi un segnale per dimostrare anche agli scettici che sulle questioni importanti le due parti politiche che formano il governo marceranno davvero insieme. E quella della sicurezza è certamente in cima alla lista, soprattutto tenendo conto che domenica scorsa l’insediamento è stato segnato dagli spari contro i carabinieri proprio di fronte a Palazzo Chigi. Si parla di questo, durante l’incontro. Il comandante generale dell’Arma Leonardo Gallitelli fornisce gli aggiornamenti sulla vicenda, pur nel rispetto del segreto istruttorio. Secondo i primi rilievi effettuati dagli specialisti del Ris la pistola utilizzata da Luigi Preiti non aveva mai sparato in fatti finiti al centro di indagini. Ora si attende l’esito delle verifiche sul telefonino, sui contatti avuti dall’attentatore negli ultimi due anni, proprio per scoprire se qualcuno possa averlo aiutato a preparare l’azione del 28 aprile. O quantomeno ad aver eccitato la sua disperazione per aver perso famiglia e lavoro. Proprio ieri il giudice per le indagini preliminari ha respinto, con una decisione che comunque appariva scontata, la richiesta di remissione in libertà. L’uomo rimane recluso nel carcere di Rebibbia, mentre il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito gravemente, è stato trasportato in una struttura specializzata nella riabilitazione. Appare riduttivo credere che dietro il gesto di Preiti ci sia semplicemente un disagio sociale, non a caso l’indagine sta cercando di approfondire il suo passato e soprattutto i suoi eventuali legami con la criminalità organizzata agevolati dalla sua passione sfrenata per il gioco d’azzardo. Però è proprio sulle “situazioni di criticità sociale connesse all’attuale congiuntura economica” che si concentrano gli interventi dei responsabili degli apparati di sicurezza. Le relazioni del capo reggente della polizia Alessandro Marangoni e dei vertici dei servizi segreti confermano che “non ci sono segnali specifici di pericolo, ma un disagio forte che va tenuto sotto controllo”. Anche perché su questo possono innescarsi manifestazioni e tensioni di piazza. Misure di sicurezza particolari sono già scattate a Roma e di fronte alle sedi istituzionali anche in altre città, senza trascurare quei focolai dove la tensione può crescere e dunque nei luoghi dove chiudono fabbriche e stabilimenti, dove le aziende sono in grave difficoltà e i cittadini perdono il lavoro. Concorda il comandante generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo e poi si sofferma su quella che può diventare un’altra emergenza con l’arrivo dell’estate: lo sbarco dei migranti. Negli ultimi giorni ci sono stati numerosi arrivi in Sicilia e in particolare a Lampedusa. Nulla in confronto a quanto accaduto in passato, anche tenendo conto che in Libia e negli altri Paesi nordafricani la situazione appare al momento più tranquilla, dunque non si prevede un esodo simile a quello che aveva caratterizzato la “primavera araba”. Ma le rotte rimangono comunque aperte e battute dai trafficanti, dunque nel Mediterraneo si continuerà a concentrare uno spiegamento di forze impegnato nel pattugliamento, oltreché nelle azioni di soccorso. Sicilia: Figuccia (Pds-Mpa); emergenza carceri, la Regione chieda intervento del Ministero www.blogsicilia.it, 8 maggio 2013 “Proporrò un ordine del giorno all’Ars che impegni il governo regionale ad attivarsi presso il ministero per la Giustizia affinché venga attenzionata la situazione delle carceri siciliane”. Queste le parole del Il vice capogruppo del Pds-Mpa all’Ars, Vincenzo Figuccia, dopo aver visitato la struttura detentiva dell’Ucciardone di Palermo. Una visita da tempo concordata con l’autorità reggente, nell’ambito delle attività conoscitive legate al mandato ispettivo riconosciuto al ruolo di deputato regionale. “Ho riscontrato una situazione che richiede la massima attenzione”, ha detto Figuccia, che all’Ars presiede anche l’intergruppo Giovani. “Mi riferisco non solo al sovraffollamento ed alle condizioni igienico-sanitarie, ma anche all’attività del corpo di polizia penitenziaria, che al pari dei detenuti opera in situazioni di disagio”. “Numerosi ospiti - aggiunge Figuccia - che ho incontrato nel corso della visita mi hanno espresso alcune problematiche legate al diritto alla dignità della singola persona. Proprio a causa delle carenti condizioni strutturali, come ci ha riferito la dirigenza dell’istituto, sono state chiuse la quinta e la sesta sezione. A breve sarà aperto lo spazio di incontro riservato alle famiglie di detenuti con bimbi piccoli. È un bel segnale, ma si pone poi il problema del miglioramento generale della struttura, oltre che più in generale della riabilitazione del detenuto, già costretto a fare i conti con il problema del sovraffollamento delle celle. Ecco perché abbiamo concordato l’ipotesi di valutare l’avvio di adeguata attività esterna, che rappresenterà il prossimo passo mediante l’applicazione della normativa che consente alle aziende di prendere in carico il detenuto, i cui oneri previdenziali e contributivi sono a carico del Ministero. Occorre lanciare una campagna culturale per vincere ogni diffidenza e mostrare piuttosto sensibilità verso questi soggetti”. Lazio: nel carcere di Regina Coeli presentata la Carta dei servizi sanitari per i detenuti Il Velino, 8 maggio 2013 Garantire, a tutti i detenuti di Regina Coeli, l’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura sulla base degli obiettivi generali di salute, dei progetti specifici e dei livelli essenziali di assistenza garantiti dalla Regione. Sono questi gli obiettivi della Carta dei servizi sanitari per i detenuti del carcere di via della Lungara, approvata dalla Asl Rm A. Il documento - uno dei pochi già entrato in vigore in Italia - è stato presentato nel corso di una conferenza stampa cui hanno partecipato il Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni, Camillo Riccioni, direttore generale della Asl Rm A e Mauro Mariani, direttore di Regina Coeli. La Carta dei Servizi Sanitari per i cittadini reclusi negli istituti di pena è il primo frutto concreto del Tavolo tecnico congiunto tra Asl, carcere di Regina Coeli e Garante dei detenuti istituito, nell’ambito del Dpcm del 2008 - che regolamenta il passaggio delle competenza della medicina penitenziaria dal ministero di Giustizia alle Asl - per realizzare una cabina di regia chiamata a monitorare la ricaduta della riforma sulla vita dei detenuti e sull’efficacia dell’organizzazione della Asl. Il documento approvato dalla Asl ribadisce, nel suo preambolo, quanto statuito dall’art. 1 del D.Lgs. 230/1999 e dalla nostra Costituzione e cioè che “i detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza”. All’interno della Carta dei Servizi sono riepilogate, nel dettaglio, tutte le prestazioni mediche cui ha diritto il cittadino privato della libertà personale recluso nella Casa Circondariale di Regina Coeli, oltre alle modalità e alla tempistica per la loro fruizione è altresì previsto che la Carta possa essere modificata sulla base delle indicazioni provenienti dal Tavolo tecnico congiunto. “È universalmente riconosciuto - ha detto il Garante Angiolo Marroni - che quello alla salute è il diritto maggiormente violato in carcere. Un dato, questo, che nel Lazio assume una valenza ancor più importante vista anche la situazione in cui versa il sistema sanitario penitenziario anche a causa delle note problematiche del deficit regionale. Carenze di fondi e di personale medico e paramedico, strutture fatiscenti e dotazioni tecnologicamente superate ed infine il sovraffollamento, fanno sì che la situazione peggiori giorno dopo giorno. In questo contesto, dove le emergenze legate alla tutela della salute in carcere sono purtroppo all’ordine del giorno, l’adozione di questa Carta dei servizi sanitari rappresenta un segnale di speranza. Sancire in questo modo che anche i detenuti hanno diritto alla tutela della salute vuol dire aver raccolto i moniti del presidente della Repubblica e di quelli delle due Camere, Boldrini e Grasso. Un gran bel risultato che riavvicina il carcere alla società”. “Quando uomini e donne sono animati da buone intenzioni - ha detto il direttore generale della Asl Rm A Camillo Riccioni - riescono a coniugare aspetti diversi, e a raggiungere un ottimo risultato finale, come in questo caso. La carta va letta come un punto di partenza, un contenuto plasmabile che cresce e si arricchisce di nuova progettualità”. “La Carta dei Servizi è un percorso nuovo - ha detto Maria Claudia Di Paolo, provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria - un approdo verso una ulteriore certezza per i ristretti. A costoro chiediamo un credito di fiducia cui corrisponde un debito di responsabilità da parte degli operatori che, per conto loro, non finiscono mai di stupirmi per la passione con cui svolgono la loro professione in carcere”. Palermo: continua la protesta al carcere di Pagliarelli, i detenuti chiedono l’amnistia di Claudio Porcasi www.blogsicilia.it, 8 maggio 2013 Continua la protesta contro il sovraffollamento dei detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo dopo che ieri hanno scritto una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri per chiedere un provvedimento di “amnistia e indulto”. I funzionari inviati dal garante dei detenuti siciliani, Salvo Fleres, si sono recati stamattina al Pagliarelli. “Nel carcere sono attualmente recluse 1318 persone, a fronte di una capienza di 1050 posti. Oltre 30% in più della capienza prevista”, riferisce Fleres. Intanto i circa 380 detenuti della sezione di alta sicurezza dell’istituto detentivo continuano a protestare per chiedere l’amnistia. Ogni giorno alle 19,15, per un quarto d’ora, daranno vita a una contestazione rumorosa battendo oggetti di ferro sulle sbarre delle celle. Ieri diversi detenuti del Pagliarelli avevano rifiutato il cibo fornito dall’amministrazione penitenziaria. Da oggi hanno sospeso questa azione di protesta. “L’Italia - spiega il garante dei detenuti siciliani - è terza nella triste classifica europea del sovraffollamento delle carceri. Nel nostro Paese la media è di 145 detenuti ogni 100 posti disponibili. Ci superano soltanto la Serbia e la Grecia”. Tra i 1.318 reclusi del carcere Pagliarelli 86 sono donne, 46 in regime di semi-libertà, 23 articolo 21 (autorizzati al lavoro fuori dal carcere che rientrano la sera), 22 minorati psichici. Milano: Caritas; ai detenuti ricavato raccolta 2013 indumenti usati Adnkronos, 8 maggio 2013 Sabato prossimo, 11 maggio, nelle parrocchie della diocesi milanese si svolgerà la 28esima edizione dell’iniziativa anti spreco e di solidarietà promossa da Caritas Ambrosiana. Il frutto della raccolta servirà a sostenere sette progetti in altrettante carceri presenti nel territorio della diocesi per aiutare concretamente i detenuti a vivere in condizioni più dignitose la loro reclusione e, scontata la pena, a reinserirsi nella società. Sarà questo il frutto della “Raccolta degli indumenti usati”, l’iniziativa anti speco e di solidarietà, promossa da Caritas Ambrosiana, che si svolgerà sabato nelle parrocchie della diocesi. A Milano l’attenzione sarà rivolta alla formazione dei volontari che lavorano nel carcere cittadino. A Varese si finanzieranno percorsi di formazione e d’inserimento lavorativo per i detenuti giunti a fine pena. Chi è appena uscito dal carcere di Busto Arsizio sarà aiutato a trovare un lavoro. Si contribuirà alla creazione di alloggi destinati a chi ha scontato la detenzione a Sesto San Giovanni. A Lecco si sosterranno interventi assistenziali. A Monza ci si occuperà dell’accoglienza fuori dal carcere dei detenuti anziani. Nel carcere di Opera saranno offerti contributi alle spese mediche (oculistiche dentistiche). Una parte della raccolta sarà anche destinata al carcere di Cochabamba in Bolivia per garantire l’accesso alle cure sanitarie e l’organizzazione di corsi di alfabetizzazione per i minori costretti a vivere reclusi con i loro genitori. Lontana sia “dai facili slogan giustizialisti sia dall’indignazione a buon mercato per la tanto deplorata condizione dei detenuti”, come si legge in una nota, Caritas Ambrosiana vuole suggerire che è il momento di rimboccarsi le maniche per alleviare quelle condizioni di sofferenza che oggi impediscono ai nostri penitenziari di essere quei luoghi di riabilitazione indicati dalla Costituzione. Sabato 11 maggio, sin dalla mattina, si rimetterà in moto la macchina organizzativa che ogni anno vede la partecipazione di migliaia di volontari. La raccolta di indumenti usati 2013 è la 28° edizione di un’iniziativa di solidarietà e di lotta allo spreco promossa in tutta la diocesi da Caritas Ambrosiana con la collaborazione della Pastorale giovanile. Protagoniste sono le comunità locali. Nelle parrocchie che aderiscono alla campagna vengono distribuiti i sacchi. Secondo le modalità indicate da ogni parroco, i sacchi vengono riempiti con indumenti e scarpe usati e portati nei centri di raccolta, container generalmente posizionati in oratorio o in luoghi di proprietà della parrocchia. Il giorno stabilito per la raccolta i volontari, organizzati in squadre, trasportano i container nei 30 punti di conferimento sparsi sul territorio della diocesi. Da questo momento in poi il materiale viene preso in carico da una società specializzata nel recupero e riciclaggio. Il ricavato torna alla Caritas che lo utilizza per finanziare progetti sociali. Nel 2012 hanno aderito 629 parrocchie (oltre il 50% delle comunità della Diocesi di Milano) e tre mila volontari. Sono stati raccolti 500 mila chili di filato, il cui ricavato economico è stato destinato ai doposcuola parrocchiali. Pisa: lascia il carcere la dissidente turca Seda Aktepe, arrestata a Castiglioncello www.gonews.it, 8 maggio 2013 L’ordinanza di scarcerazione è della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Firenze, che sta esaminando l’eventuale estradizione. La Corte d’Appello di Firenze ha emesso stamani un’ordinanza per la scarcerazione immediata della dissidente turca Seda Aktepe, 29 anni, arrestata dai carabinieri il 30 aprile scorso a Castiglioncello (Rosignano Marittimo), dove si trovava in vacanza col fidanzato, in esecuzione di un mandato di cattura internazionale dell’autorità giudiziaria della Turchia. Lo ha reso noto il suo difensore, avvocato Cecilia Vettori di Livorno. Già nel pomeriggio la ventinovenne potrebbe lasciare il carcere di Pisa. L’ordinanza di scarcerazione è della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Firenze, presidente Alessandro Nencini, che sta esaminando l’eventuale estradizione della dissidente in Turchia. La sezione ha deciso dopo aver ricevuto dall’Interpol la comunicazione delle autorità turche circa la revoca della misura di custodia cautelare a carico della ventinovenne, già condannata a due anni e sette mesi per aver sostenuto un’organizzazione terroristica turca e aver aderito al Partito marxista-leninista turco (Mlkp), messo fuori legge dallo stato turco perché eversivo dell’ordine istituzionale. La dissidente deve scontare la condanna ma da tempo si è rifugiata in Svizzera dove le è stato riconosciuto ‘asilo politicò. “Per Seda Aktepe è cessato il motivo della detenzione in Italia - riferisce l’avvocato Cecilia Vettori - Inoltre, le autorità turche avrebbero optato per un differimento dell’esecuzione della pena”. Invece, “solo nei prossimi giorni - prosegue il difensore - sarà più chiaro capire se la Turchia rinuncia anche alla richiesta di estradizione dall’Italia”. L’avvocato Vettori due giorni fa, all’udienza di estradizione in Corte d’Appello, aveva presentato un’istanza di revoca dell’arresto alla Corte d’Appello e si stava preparando a formulare la richiesta di asilo politico anche in Italia. La solidarietà del Partito Comunista dei Lavoratori “Nei giorni scorsi è stata arrestata a Castiglioncello Seda Aktepe, militante comunista del MIKP, su richiesta dello stato turco. Seda aveva ottenuto l’asilo politico in Svizzera per sfuggire alla persecuzione del regime turco, notoriamente antidemocratico. In Turchia sono migliaia i comunisti ed i militanti della sinistra, politica e sindacale, rinchiusi in carcere. La tortura nelle carceri turche è una pratica comune soprattutto nei confronti dei prigionieri politici turchi e kurdi. Seda rischia l’estradizione in Turchia. Il Partito Comunista dei Lavoratori della Toscana esprime la propria solidarietà alla compagna Seda Aktepe e chiede che la compagna venga immediatamente scarcerata e che gli venga concesso lo status di rifugiata politica. Il PCL toscano si impegna a mobilitarsi per la liberazione di Seda Aktepe e fa appello a tutte le forze politiche, sindacali e sociali a far pressione per l’immediata liberazione della compagna. Libertà per Seda Aktepe e per tutti i prigionieri politici kurdi e turchi”. Partito Comunista dei Lavoratori Toscana Arezzo: detenuto si impicca, salvato in extremis dagli agenti di polizia penitenziaria La Nazione, 8 maggio 2013 Dramma nella sezione che ospita da qualche tempo alcuni collaboratori di giustizia. Il detenuto sarebbe un pentito legato alla camorra. Un cappio intorno alla grata: trovato quando era già cianotico. È stato salvato da un agente di custodia. Uno di quegli agenti che visti con l’occhio dei detenuti sono il simbolo della loro prigionia. E che per una volta sono diventati la sua salvezza. È successo nel carcere di Arezzo, la cui sezione femminile è stata aperta da qualche tempo ad alcuni collaboratori di giustizia arrivati da altri carceri. Sette pentiti in tutto, ma guardati quasi a vista: per fortuna, almeno in questo caso. Un detenuto di 46 anni, con una fine pena di circa dieci anni e originario di Salerno, probabile pentito per reati anche legati alla camorra, si è passato un cappio intorno al collo. Un agente è entrato nella cella quando era già cianotica e lo ha liberato dal cappio. Sul posto subito il 118 con un’ambulanza della Misericordia arrivata velocemente sul posto. Appena in tempo, è stato portato in ospedale dove ora è piantonato in attesa di essere riportato in carcere. Napoli: carcere di Poggioreale, detenuto aggredisce due agenti Ansa, 8 maggio 2013 I poliziotti sono stati ricoverati con un trauma cranico ed un polso rotto. Il sindacato: “Nel carcere la situazione è insostenibile, non siamo tutelati”. Un detenuto del carcere di Poggioreale ha aggredito, la notte scorsa, due agenti della polizia penitenziaria. I poliziotti, ricoverati in ospedale, hanno subito un trauma cranico l’uno e la rottura del polso l’altro. L’aggressore - un ucraino segnalato come particolarmente violento - era appena stato condotto in carcere per il reato di lesioni, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, e stava per essere immatricolato. Dura la reazione del sindacato: “Questa aggressione ci preoccupa. I colleghi sono riusciti ad evitare più gravi conseguenze - spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) - e a loro va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà. Ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro personale di polizia penitenziaria perché si decida di intervenire concretamente sulle criticità di Poggioreale, un carcere dove sono oggi presenti più di 2800 detenuti rispetto ai circa 1600 posti letto regolamentari”. Il Sappe lamenta, oltre che il sovraffollamento del penitenziario, anche le carenze di personale (200 agenti in meno rispetto all’organico previsto). “La polizia penitenziaria - conclude Capece - è stata ed è lasciata da sola a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) pensa alle favole, alla vigilanza dinamica ed all’autogestione dei detenuti: ma le tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante. Bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli agenti e alle strutture. E bisogna che chi aggredisce gli agenti sia punito con severità e fermezza”. Reggio Emilia: Sappe; detenuto aggredisce agente e un altro tenta evasione dall’ospedale Adnkronos, 8 maggio 2013 Grave aggressione contro un assistente capo della polizia penitenziaria nel carcere di Reggio Emilia. Lo afferma in una nota del segretario del Sappe, Giovni Battista Durante che spiega come “ieri pomeriggio un detenuto per fatti di droga di origine magrebina, quando ha visto entrare un nuovo detenuto, nella cella dove era ristretto, si è scagliato contro l’assistente capo della polizia penitenziaria che lo aveva accompagnato. L’uomo ha prima iniziato ad inveire e, nonostante gli inviti a mantenere la calma, rivoltigli dall’assistente capo, gli si è scagliato contro, colpendolo al volto e procurandogli vari ematomi. Solo grazie all’intervento di altri agenti si è riusciti a ripristinare l’ordine, evitando anche conseguenze peggiori”. “Si tratta di uno dei tanti episodi di aggressione che si verificano nelle carceri - continua la nota - che riteniamo vadano sanzionati in maniera molto severa. Nel 2012 le aggressioni nelle carceri italiane sono state 4651, delle quali 355 in Emilia Romagna. Sempre ieri un detenuto in osservazione psichiatrica, ristretto nel carcere di Piacenza, ha ingoiato un oggetto ed è stato portato d’urgenza all’ospedale, da dove ha tentato immediatamente di scappare. Dopo un lungo inseguimento, nel corso del quale un agente è stato costretto anche a sparare un colpo in area a scopo intimidatorio, l’uomo è stato bloccato”. “Sono tanti gli eventi critici che si verificano quotidianamente nelle carceri italiane - conclude il sindacalista - rendendo ancora più difficoltoso il duro e difficile lavoro della polizia penitenziaria. Auspichiamo che il nuovo governo metta seriamente mano alla questione carceri. Intanto, questa mattina, il Sappe manifesterà a Roma, davanti al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, dove tanti colleghi, provenienti da tutta l’Italia, verranno per gridare la loro rabbia contro l’Amministrazione assente e la politica che latita da tanti anni”. Salerno: oggetti non consentiti introdotti in carcere, agente rinviato a giudizio La Città di Salerno, 8 maggio 2013 Dovrà affrontare un processo l’agente di polizia penitenziaria Alfonso Napoletano, accusato di aver chiuso un occhio quando nel carcere di Fuorni i familiari dei detenuti facevano entrare materiale non consentito, come orologi e profumi. Il giudice dell’udienza preliminare Renata Sessa ha disposto il rinvio a giudizio, fissando per la metà di giugno l’inizio del processo. La guardia carceraria, originaria di Castel San Giorgio e difesa dall’avvocato Michele Sarno, dovrà rispondere dei reati di abuso d’ufficio e falso, per non avere segnalato nella documentazione la presenza di oggetti non consentiti e avere anzi permesso che arrivassero nella disponibilità dei detenuti. Pochi giorni fa nell’area carceraria di Fuorni fu ritrovata anche una vecchia pistola, sotterrata nel terreno e ormai inutilizzabile. L’episodio non ha alcun collegamento con la posizione dell’agente Napoletano ed è molto probabile che l’arma sia stata introdotta agli inizi degli anni Novanta. Il successivo giro di vite nei controlli ha impedito al destinatario di utilizzarla e la pistola è rimasta nel terreno fino a pochi giorni fa, quando alcuni detenuti l’hanno ritrovata per caso mentre, accompagnati dagli agenti, eseguivano lavori di giardinaggio. Foggia: convegno; chiusura Opg… che si fa coi detenuti affetti da patologie psichiatriche? Ristretti Orizzonti, 8 maggio 2013 Spetta a Istituzioni, Regioni e Asl, creare un’alternativa al concetto di manicomio e offrire un sistema inclusivo che garantisca ai detenuti un’adeguata assistenza sanitaria e una tutela legale”. Per questo i radicali di Foggia hanno organizzato per sabato prossimo un convegno dal titolo “Chiusura Opg: verso il superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario”. Sabato 11 maggio, dalle 9 alle 13, nell’aula della Corte di Assise del Tribunale di Foggia, si terrà un convegno dal titolo “Chiusura Opg: verso il superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario”. Il convegno, promosso dall’Associazione Radicale Maria Teresa Di Lascia, con il sostegno dell’Unione delle Camere Penali di Foggia, dell’associazione Legali di Capitanata e dell’Ordine degli Avvocati, rappresenta un’occasione di riflessione e di dibattito con gli operatori del diritto, i rappresentanti delle istituzioni regionali, il personale medico e paramedico operante negli istituti di pena, e rappresentanti di associazioni, per invitare la Regione Puglia a delineare un’alternativa concreta di adeguata assistenza ai detenuti affetti da patologie psichiatriche. Dopo la decisione del Governo di prorogare alla data del primo aprile 2014 la chiusura degli Opg, si rende necessario ed urgente un processo di monitoraggio per impedire che, a meno di 12 mesi dalla loro chiusura, la questione si risolva nel trasferimento degli oltre mille internati in condizioni inumane, come documentato e denunciato dalla Commissione di inchiesta del Servizio Sanitario Nazionale, in nuove micro strutture disposte dalle Regioni, che si configurino come dei ‘mini opg’ o manicomi criminali regionali. Spetta quindi alle Istituzioni, alle Regioni ed alle Asl, tradurre in pratica l’alternativa al concetto di manicomio ed offrire un sistema inclusivo che garantisca un’adeguata assistenza sanitaria nonché una tutela legale ai pazienti. Inoltre, per ottenere un reale superamento del modello manicomiale si rende necessaria una discussione per una modifica degli articoli del nostro codice e procedura penale che riguardano l’imputabilità e la misura di sicurezza, che può essere prorogata a tempo indefinito, concetti, questi ultimi, su cui si basa l’istituzione del “manicomio”. Al convegno interverranno: Elena Gentile - Assessore al Welfare della Regione Puglia; Giuseppe Mastropasqua - Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Sorveglianza di Bari; Rita Bernardini - Membro della II Commissione di Giustizia della Camera dei Deputati dell’ultima legislatura; Danilo Montinaro - Psichiatra forense, Membro del direttivo nazionale di Psichiatria Democratica e del Comitato Stop Opg per la sezione regionale Abruzzo; Davide Di Florio - Direttore della Casa Circondariale di Lucera; Antonio Tranfaglia - Psichiatra forense in servizio presso la Casa Circondariale di Foggia e Lucera; Pietro Rossi - Garante dei detenuti per la Regione Puglia. Il convegno si inserisce all’interno di un ciclo di tavoli di lavoro che saranno organizzati in varie regione italiane entro la scadenza della proroga della chiusura degli Opg. L’iscrizione al convegno è gratuita, con il riconoscimento di 4 crediti formativi dal Consiglio dell’Ordine Forense di Foggia. Voghera (Pv): la direttrice Maria Gabriella Lusi; il carcere deve fare Rete con l’esterno La Provincia Pavese, 8 maggio 2013 “Il carcere fuori dalle mura e la città dentro”. Maria Gabriella Lusi da quando è direttore del carcere di via Prati Nuovi (circa un anno e mezzo) sta portando avanti una campagna di valorizzazione delle risorse del territorio all’interno della struttura. L’iniziativa “Vogherete” ha proprio la finalità di mettere in evidenza il concetto che il carcere debba far rete con vari soggetti esterni. Oggi alle 13 sono stati invitati per una tavola rotonda tutti coloro che entrano a vario titolo all’interno dell’istituto: rappresentanti del Comune di Voghera, volontari delle scuole, cooperative sociali, agenzie di formazione, Uepe (ufficio educazione penale esterna), Caritas, Uisp (unione italiana sport per tutti), Auser e Apolf (scuola di formazione) saranno insieme per fare il punto della situazione e ipotizzare proposte. “Faremo rete - sintetizza Lusi - e sono entusiasta di questo progetto perché è il punto di partenza, ma anche di arrivo dopo un anno e mezzo che sono a Voghera. Credo che il carcere abbia bisogno del territorio e anche il territorio possa vedere il carcere come una risorsa”. Un’iniziativa che è stata portata avanti è stato il corso per aspiranti volontari penitenziari in collaborazione con la consulta servizi sociali del Comune di Voghera. “Una trentina di persone, ma c’erano state molte altre adesioni, si sono rese disponibili a dedicare tempo in modo volontario ai bisogni del carcere”, commenta Lusi. Un altro progetto che è tuttora in corso è “Voghera città pulita” in cui i detenuti in collaborazione con Comune e Asm danno una mano per lavori di pubblica utilità come la pulizia dei muri pubblici. Venerdì alle 13 in occasione della Sensia 2013 con la mostra “Sguardi oltre al muro” verranno esposti dipinti, foto e scritti fatti dai detenuti. Domani alle 9,30 al carcere tornerà la cantante californiana Sherrita Duran Burns per un concerto gospel. “Ha chiesto per la seconda volta di tornare perché l’esperienza di volontariato che aveva fatto all’interno della struttura gli era piaciuta molto”, aggiunge il direttore. La Casa Circondariale di via Prati Nuovi è una struttura importante nel tessuto vogherese. Ospita circa 215 detenuti, gli agenti del comparto ministeri (contabili, educatori e personale amministrativo) sono venti. La polizia penitenziaria è composta da 194 agenti con due commissari: un comandante e un vice. Il carcere è diviso in quattro circuiti penitenziari: in quello di media sicurezza ci sono 40 persone, nei due sotto circuiti di alta sicurezza ci sono 135 detenuti oltre a 27 collaboratori di giustizia di seconda fascia. Immigrazione: Rapporto Scuola Sant’Anna di Pisa; ecco perché i Cie sono incostituzionali Redattore Sociale, 8 maggio 2013 Il sistema dei Centri di identificazione ed espulsione viola l’articolo 13 della Costituzione, quello della libertà personale, perché la detenzione, simile a quella del carcere, non è regolata da legge. “L’intero sistema dei centri di identificazione ed espulsione, come attualmente disciplinati nell’ordinamento italiano, è incostituzionale”. È quanto sostiene il rapporto dal titolo “Criminalizzazione dell’immigrazione irregolare: legislazione e prassi in Italia”, a cura della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che presentiamo in anteprima. Lo studio prende in esame il pacchetto sicurezza e il diritto penale sull’immigrazione e, per quanto riguarda la parte relativa ai Cie, arriva alla conclusione della loro incostituzionalità. “Tenuto conto dell’assimilabilità dei Cie alle strutture carcerarie - si legge nel rapporto - l’intero sistema di detenzione risulta incostituzionale, dal momento che viola l’articolo 13 della Costituzione posto a baluardo del diritto più elementare e fondamentale in una società democratica: quello della libertà personale. Questa disposizione dichiara solennemente che la libertà personale è inviolabile e che la privazione o restrizione della libertà personale può aver luogo soltanto ‘nei casi e secondo le modalità previsti dalla legge” - e questo limite protegge tutti, cittadini e immigrati allo stesso modo. Tuttavia, la detenzione nel Cie non è regolata da legge, ma da provvedimenti amministrativi e a volte prassi di mero fatto. La conseguenza di questa omissione non è solo formale ma ha favorito la diffusione di pratiche disomogenee sul territorio e sostanziali disparità di condizioni di trattenimento tra i vari Cie. La violazione dell’articolo 13 ha quindi comportato anche la violazione del principio di uguaglianza: in assenza di una legge generale, ogni Cie ha le sue regole, scritte o non scritte”. Il carattere penale della detenzione nei Cie è dedotto da alcune considerazioni. Innanzitutto “i centri sono generalmente progettati seguendo lo schema architettonico delle strutture carcerarie, circondati da alte mura e sotto videosorveglianza; l’ingresso dell’edificio è sotto sorveglianza; la sorveglianza è assicurata da unità di polizia sotto il controllo della Questura e da parte del personale militare; l’ingresso è consentito solo previa autorizzazione di un’autorità pubblica e previa identificazione; le visite sono consentite in determinati giorni e orari per i parenti che si trovano regolarmente in Italia, e con la preventiva autorizzazione per gli avvocati, ministri di culto, il personale diplomatico, associazioni ed enti che hanno accordi con la prefettura locale”. E ancora, “i soggetti trattenuti sono alloggiati in cellule o in unità abitative separate l’una dall’altra per mezzo di barriere metalliche o di plexiglas e non possono spostarsi liberamente da un’unità all’altra; non è possibile per i trattenuti lasciare il centro senza autorizzazione; gli uomini e le donne sono rigorosamente separati; oggetti che potrebbero essere utilizzati come armi sono proibite, tra cui penne con tappi, graffette, materiale infiammabile, e sono vietati oggetto infiammabile tra cui anche giornali e riviste; il personale interno percepisce il Cie come struttura carceraria”. Infine, “la natura penitenziaria dei Cie è ammessa nella relazione della commissione speciale per la difesa e la promozione dei diritti umani”. Queste considerazioni sono frutto di visite ufficiali ai Cie che hanno dato l’autorizzazione, di interviste al garante delle persone private della libertà personale della regione Lazio e agli operatori esperti del settore immigrazione (in particolare gli avvocati dell’associazione Asgi). Per quanto riguarda la raccolta dei dati, il ministero dell’Interno ha fornito solo quelli relativi al numero complessivo di presenze annue nei Cie ma nessuna prefettura, ad eccezione delle prefetture di Caltanissetta e Torino - che comunque hanno inviato dati parziali ed incompleti - ha fornito le informazioni richieste né i regolamenti interni e le circolari ne ha inviato un diniego formale e motivato alle richieste inoltrate. Questo fa dire ai ricercatori che il sistema dei Cie viola anche “il principio democratico, perché l’oscurità delle fonti che regolano effettivamente il governo dei Cie crea una situazione di notizie riservate nell’interesse dello Stato al di fuori della normativa prevista specificamente in materia di segreti di Stato e notizie riservate, appunto, nell’interesse dello Stato. C’è una sottrazione di parti del territorio dello Stato, se non alla vista, all’effettivo controllo democratico”. Immigrazione Cgil; gli operatori del Cie di Modena sono di nuovo senza stipendio Dire, 8 maggio 2013 Torna sotto i riflettori il Centro di identificazione ed espulsione di Modena: ancora problemi di pagamento per i lavoratori e problemi di sicurezza denunciati dagli agenti di Polizia. Dopo la lunga vertenza e gli scioperi dei lavoratori del consorzio l’Oasi, che ha in gestione il Cie di Modena, si era arrivati, a marzo, ad un accordo tra il sindacato funzione pubblica Cgil e la Prefettura, che aveva garantito e poi erogato (in sostituzione al Consorzio, che a sua volta lamentava ritardi nella copertura finanziaria del servizio da parte dello Stato) il pagamento di diverse mensilità arretrate. Ad aprile, però, i problemi nei pagamenti si sono ripresentati: in sospeso ora ci sono, di fatto, già le ultime due mensilità: “Una struttura di tale importanza come il Cie, non più sopportare una gestione così inadeguata- ribadisce la Cgil- e chiediamo con urgenza il ritiro della convenzione e l’indizione di una nuova gara d’appalto con una diversa base d’asta”. Alla protesta della Cgil si aggiunge quella del sindacato di Polizia: “Dobbiamo intervenire per l’ennesima volta al fine di stigmatizzare fortemente la situazione del Cie di Modena nel quale gradualmente ma inesorabilmente, vengono trattenute solo persone pericolose e criminali prive di identità che rifiutano il rimpatrio”. Persone che, secondo la denuncia del Siulp compiono, meticolosamente e costantemente, episodi di distruzione ed aggressione, nel silenzio più assordante di tutti coloro che sono deputati a risolvere questa annosa vergogna. Trasformando la struttura in nuovo ambiente carcerario a sorvegliare il quale gli agenti di Polizia non sono né deputati, né preparati”. A sostegno di quanto dichiarato il sindacato riporta anche un preciso “episodio di violenza, accaduto la settimana scorsa quando tre ospiti, con un atto di rivolta violenta, hanno devastato il Centro e ferito due poliziotti. E subito dopo sono stati rimessi in libertà”. Droghe: difficoltà e proposte dalle Cooperative che si occupano dei tossicodipendenti Redattore Sociale, 8 maggio 2013 Convegno “Comunità e carcere: riscriviamo nuove relazioni”. tra i temi affrontati: discrezionalità dei magistrati, mancanza di personale adeguato e leggi “non scritte” Sono zone grigie della società difficili da gestire, con contraddizioni al proprio interno e ostacoli amministrativi e normativi all’esterno, ma il mondo delle comunità di accoglienza e delle sezioni a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti, sparse per tutta l’Italia, è ricco di idee e proposte per migliorare le condizioni di vita dei detenuti, e per accompagnarli e facilitarli durante il loro percorso di recupero. Le esperienze sono molte e l’unica costante pare essere la diversificazione tra di esse a seconda del luogo, delle condizioni di chi vi vive e perfino del rapporto con le autorità giudiziarie territoriali che ne disciplinano l’intervento. Si tratta di programmi alternativi alla pena ordinaria, ovvero quei programmi che potrebbero in parte risolvere le difficoltà strutturali in cui versano le carceri italiane. Se n’è parlato in “Comunità e carcere: riscriviamo nuove relazioni”, convegno organizzato dal Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) sulle criticità del modello terapeutico-correzionale in un sistema carcerario in stato di emergenza, con i noti problemi di sovraffollamento (66 mila presenze contro 47 mila posti) e il calo drastico di risorse e personale: si è passati da 3 miliardi di euro di bilancio per 44 mila detenuti giornalieri in media nel 2007 a 2,7 miliardi per 67 mila detenuti nel 2011. Inoltre, manca il 35% degli educatori, il 27% del personale giuridico-pedagogico e il 22% dei direttori. Ma questi sono solo numeri, per quanto molto chiari. Sono però i racconti degli addetti ai lavori a dipingere un quadro più chiaro della situazione. Esperienze come quelle della cooperativa Cento Fiori di Rimini, della cooperativa Gineprodue di Torino o della Bessimo, che opera in tutta la Lombardia, evidenziano i problemi legati alla gestione di questo tipo di servizi. La Cento Fiori, ad esempio, gestisce la sezione a custodia attenuata dentro il carcere di Rimini, chiamata Andromeda: una struttura che accoglie detenuti tossicodipendenti e alcoldipendenti che manifestano la volontà di recupero e ai quali viene permesso di dormire senza essere controllati da agenti penitenziari. Per poter entrare in Andromeda occorre aver già terminato il trattamento con metadone (se previsto), e inoltre non avere patologie psichiatriche acute, con diagnosi confermata dallo psichiatra di istituto. Ogni giorno i detenuti partecipano a un incontro durante il quale vengono definiti gli impegni lavorativi e le attività terapeutiche per la giornata, individuali e di gruppo. Alla sera si fa invece un resoconto di quanto svolto. All’interno del carcere gli utenti di Andromeda svolgono attività domestiche e si occupano anche di un orto biologico, mentre all’esterno lavorano in un cantiere nautico o nella legatoria della cooperativa, così da potersi permettere le proprie spese. Non mancano però i problemi: innanzitutto, la sezione attenuata è riservata agli uomini e le donne non possono entrarvi. In secondo luogo, quando i reclusi entrano nella struttura separata, alla sera, non possono più uscire e di conseguenza sono costretti a rinunciare alle attività svolte all’interno del carcere, come la scuola. Un’altra difficoltà, racconta Monica Ciavatta della Cento Fiori, è rappresentata dal ricambio continuo degli agenti penitenziari: “Ogni volta è necessario formarne di nuovi - spiega - e questo non aiuta il lavoro di gruppo, anche perché spesso gli agenti sono molto rigidi e fiscali. Ad esempio, alcuni sanzionano i detenuti per piccole violazioni, come il ritardo nello spegnere la tv”. Altro grande tema è quello della durata del trattamento. “La durata della permanenza nel programma di recupero è stabilità dall’autorità giudiziaria competente a sua discrezione - aggiunge Ciavatta - ma periodi troppo lunghi di terapia possono demotivare le persone, così come accade in comunità. Ci è capitato il caso di un detenuto costretto a tornare in sezione ordinaria perché, stanco per il lungo recupero, aveva smesso di svolgere le proprie attività”. “In situazioni del genere - sostiene Marco Dotti, responsabile dei servizi residenziali della coop Bessimo - l’aspetto mentale è di fondamentale importanza per il recupero delle persone”. Ecco perché “scoccia vedere diversità di trattamento da comunità a comunità”. La Bessimo gestisce 13 differenti comunità in tutta la Lombardia, e Dotti racconta che “in alcune gli agenti vanno a fare visita una volta al mese, per salutare ed effettuare un controllo di routine, ma in altre arrivano anche tutte le notti. E non è facile per chi vive in comunità essere svegliato ogni notte, fatto alzare per i controlli, e poi riaddormentarsi serenamente”. Gli operatori delle cooperative sociali parlano a lungo dei problemi nelle comunità di accoglienza e nelle sezioni attenuate, ma ciò che sembra chiaro è che la diversità di trattamento da caso a caso pare ostacolare il loro lavoro, il recupero dei detenuti tossicodipendenti e di conseguenza anche la risoluzione di parte dei problemi del sistema carcerario italiano. Stati Uniti: in Texas giustiziato altro detenuto, undicesima esecuzione da gennaio Ansa, 8 maggio 2013 Un afroamericano di 35 anni è stato giustiziato in Texas. Lo rendono noto le autorità carcerarie. Carroll Joe Parr, dopo circa 11 anni passati nel braccio della morte, è stato dichiarato morto per iniezione letale nella prigione di Huntsville. Parr era stato condannato per la morte nel gennaio del 2003 di uno spacciatore ispanico. Si tratta dell’undicesima esecuzione capitale negli Stati Uniti quest’anno, la quinta in Texas. Germania: le “torture” shock delle carceri minorili tedesche di Alessandra Cristofari www.giornalettismo.com, 8 maggio 2013 Die Bild rivela aspetti inediti sul trattamento riservato ai detenuti delle carceri minorili in Germania. Ecco cosa accade. “La violenza nelle carceri minorili tedesche è all’ordine del giorno” scrive Die Bild. L’università di Colonia ha intervistato almeno cento detenuti tra i 15 e i 24 anni che hanno decido di rivelare la loro esperienza. Più del 70% degli intervistati ha dichiarato di aver subito una sorta di terrorismo psicologico e a questo si somma la violenza fisica. Ci sono state anche segnalazioni di abusi sessuali. “La violenza all’interno del carcere è un fattore comune, anche se non si comprende la radice della sua presenza” ha dichiarato Frank Neubacher, dell’università di Colonia. I minorenni finiscono in carcere per l’implicazione in reati violenti come aggressioni o rapine. Il bullismo sembra quasi la norma del comportamento che i giovani condannati tengono dietro le sbarre, insieme alla violenza fisica ma anche ai furti e agli abusi sessuali. “La tortura non è diffusa ma può capitare anche questo” ha aggiunto Neubacher. Il professore fa esempi orribili: “I detenuti sono costretti a ballare nudi per ore, a mangiare il loro vomito o ad essere violentati con il manico della scopa”. Chi fa la violenza, scrive Die Bild, l’ha subita in prima persona: “L’85% degli intervistati ha ammesso di aver usato violenza psicologica mentre quasi il 45% ha detto di aver avuto bisogno di ferire gli altri fisicamente”. La questione è molto delicata perché gli abusi non vengono segnalati ai superiori, qual è la soluzione? Neubacher lancia una proposta: “Il carcere non può essere la soluzione, i programmi educativi sono migliori”.