Giustizia: il Governo dura solo se accetterà leggi su misura per Berlusconi e cricche varie di Alberto Statera Affari e Finanza, 6 maggio 2013 “In Italia il fenomeno della corruzione è più grave che negli altri paesi dell’Ocse e in alcuni paesi non membri”. Non ha rivelato nulla di nuovo l’Organizzazione per la cooperazione economica europea nel rapporto reso noto la scorsa settimana, che segnala tra l’altro il livello “senza precedenti” degli abusi nelle amministrazioni regionali. Ma, entrando nel merito, ha enumerato una serie di modifiche legislative essenziali per dare all’Italia una buona “governarne pubblica”, che è la premessa della crescita economica. Il problema è che, come è già apparso evidente dalle dichiarazioni programmatiche del presidente del Consiglio, il tema della giustizia è tra i tanti (Imu docet) che il governo Letta non potrà toccare per non rimanere immediatamente fulminato. L’Ocse non solo condanna il dimezzamento dei termini di prescrizione introdotto nel 2005 dalla famigerata legge ex Cirielli, confezionata su misura per le grane giudiziarie di Berlusconi e di tangenti delle vane cricche, ma suggerisce anche cosa si può fare: “includere nel calcolo dei termini di prescrizione per i reati di corruzione la durata intera del processo e le procedure di appello per tutte le cause penali”. Naturalmente, oltre che sullo “sconcio” delle prescrizioni, come lo ha definito il professor Carlo Federico Grosso, occorrerebbe una vera legge anticorruzione, con il ripristino del falso in bilancio e l’introduzione di pene per l’auto riciclaggio. Ma chi può pensare che questo possa accadere, se soltanto poche ore dopo l’insediamento del nuovo governo, Renato Brunetta ha già minacciato la crisi se non ci sarà l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, che gli economisti di mezzo mondo sconsigliano caldamente con argomenti ben più solidi di quelli del Nobel in sedicesimo berlusconiano? Ma più i sondaggi danno in crescita il Pdl fino a farne di nuovo il primo partito, più Berlusconi e i suoi rivendicheranno il ruolo di azionisti di riferimento, con un’escalation di richieste. Vedrete che rispunteranno prestissimo a terremotare il già fragilissimo equilibrio del governo Letta i pasdaran anti-intercettazioni telefoniche, che non vedono l’ora di imbavagliare indagini e informazione, con buona pace dell’Ocse e di tutti gli organismi internazionali che mettono la corruzione ai primi posti tra le ragioni del declino italiano. L’unico spazio di manovra che probabilmente resterà al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che come primo atto è andata a visitare Regina Coeli, sarà quello dell’amnistia. Che l’affollamento delle carceri sia una barbarie condannata in tutto il mondo è fuori discussione. Si potrebbe varare il disegno di legge già presentato in Senato che contiene misure alternative al carcere e la depenalizzazione di alcuni reati già allo studio al ministero. E già sono sul tavolo anche amnistia e indulto. Che si possono realizzare in modi diversi. Avranno la forza Letta e Cancellieri di resistere alla tentazione prevedibile dell’azionista di riferimento di favorire qualche suo condannato eccellente? Tra i tanti fili ad alta tensione che Letta non può toccare, quello della giustizia è il più pericoloso. E contribuisce ad avvalorare la profezia del dissenziente piddì Pippo Ovati sull’orizzonte temporale del governo. Diciotto mesi? Decisamente troppi. Giustizia: l’interesse del Governo? Va soprattutto all’ordine pubblico e alle corporazioni di Livio Pepino Il Manifesto, 6 maggio 2013 Tra le tante anomalie che caratterizzano l’attuale governo ce n’è una, non insignificante, che riguarda la giustizia. Non è la principale, a fronte della situazione economica e sociale, ma è indicativa di un processo di rimozione e cambiamento sempre più accentuato. Cominciamo dalla rimozione. Nel programma di governo la giustizia semplicemente non c’è ed è la grande assente anche nel discorso di re-insediamento del presidente Napolitano che di quel programma è la premessa e la fonte. Il discorso presidenziale si occupa, infatti, di quasi tutto ma il termine “giustizia” non vi trova cittadinanza; e mancano anche i “diritti”, mentre la parola “corruzione” vi fa capolino solo due volte (e per descrivere una situazione di costume). Il programma di governo poi - nel testo letto alla camera - dedica alla giustizia otto righe tra l’irrilevante e il grottesco, in cui si proclama, con scarso interesse per la consequenzialità dei passaggi, che “la ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana. E tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell’uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il paese di Cesare Beccaria!”. Fine del discorso, che neppure accenna alle modalità per raggiungere il risultato. In compenso, nelle 5.753 parole che compongono il testo, il termine “giustizia” non compare mai, i “diritti” sono citati due volte in modo del tutto generico, le locuzioni “prescrizione”, “falso in bilancio”, “conflitto di interesse” sono sconosciute e la “corruzione” è evocata solo per dire che “distorce regole e incentivi” (sic!). Non sono tra quelli che attribuiscono alla giustizia un ruolo salvifico nella vicenda del paese e neppure credo che - in questa fase - essa meriti il primo posto nell’agenda politica, ma qualcosa di più sarebbe stato lecito attendersi in una situazione in cui gli ultimi interventi al riguardo sono stati una legge sulla corruzione unanimemente criticata, la concessione della grazia (non agli ultimi della terra ma) al direttore del Giornale e al colonnello Joseph L. Romano, condannato a sette anni di reclusione per il sequestro di Abu Omar, e la sequela di rinvii dei dibattimenti a carico dell’on. Berlusconi dopo la marcia sul Tribunale di Milano dei parlamentari del suo partito e il conseguente monito del capo dello Stato sulla necessità di garantire al cavaliere la possibilità di “partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento”... E veniamo al cambiamento. Già mi aveva allarmato la nomina a guardasigilli di un prefetto: nulla di personale, ma era difficile non vedervi un segnale della trasformazione in atto della giurisdizione in capitolo delle politiche di ordine pubblico. Ma altri segnali sono venuti dalla nomina dei sottosegretari, tra cui spicca quella - appunto alla giustizia - di Cosimo Ferri, magistrato in servizio, campione del corporativismo giudiziario, segretario nazionale di Magistratura indipendente (la corrente più conservatrice e, naturalmente, apolitica dei giudici), in quota Popolo delle libertà, almeno stando al ben informato Corriere della Sera. Se ho letto bene i nomi c’è, tra i sottosegretari (all’interno) anche un altro magistrato. Non me ne stupisco e sono certo che la cosa non provocherà alzate di scudi da parte dei fustigatori della politicità dei magistrati... Ma il segnale è di grande rilievo. Non che siano mancati, anche negli ultimi tempi, i casi di partecipazione di pubblici ministeri e giudici a incarichi di governo, sottogoverno o di fiducia governativa: il sostituto romano Nitto Palma è stato ministro della giustizia dell’ultimo governo Berlusconi, il procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara si è dimesso dall’incarico per diventare sottosegretario agli interni del governo Monti, l’ex procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito è stato nominato dal Consiglio dei ministri garante per il monitoraggio dell’esercizio delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva di Taranto e potrei continuare. Ma l’inclusione nella compagine governativa del segretario nazionale in carica di Magistratura indipendente segna un salto di qualità e rimanda all’auspicio formulato da un notabile democristiano all’epoca di Mani Pulite: “Date tempo al tempo. Aspettate che la vecchia magistratura riacquisti il suo posto e vedrete che tutto tornerà come prima!”. Ci sono voluti due decenni ma, con il ritorno dei democristiani, anche quell’auspicio sembra realizzarsi. Una fase si sta chiudendo. A tenerla aperta dovrebbero essere - come è stato nei decenni scorsi - la vigenza della Costituzione (che osta alla omologazione dei magistrati con il governo) e l’attività di vigilanza e di denuncia pubblica della componente progressista della magistratura. Ma quest’ultima langue (o si rivolge ad altro) mentre la Carta fondamentale è di nuovo a rischio, affidata alle cure di una anomala Convenzione (aperta non si sa bene a chi), sulle orme dei dieci saggi chiamati, per un paio di settimane, a fare le veci di un Parlamento ritenuto inaffidabile. C’è di che riflettere. Giustizia: il Seac denuncia: su 66mila detenuti, solo 10mila hanno un trattamento idoneo di Claudia Sparavigna Giornale di Napoli, 6 maggio 2013 “Nel sistema giuridico italiano le ipotesi di reato sono migliaia, si fa prima a dire cosa è consentito rispetto a cosa è proibito. Tutto questo si traduce con una sola parola: carcere”. Fanno sicuramente riflettere le parole del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Francesco Saverio De Martino, intervenuto ieri mattina al seminario di studi dal titolo “La revisione critica ai tempi del sovraffollamento”, organizzato dal Seac, all’hotel Terminus di Napoli. Durante il suo intervento, il Provveditore ha messo in luce le contraddizioni che portano alla violazione dei diritti umani e ha sottolineato come alcuni reati siano strettamente legati al comportamento. Ad esempio, in Italia è reato gettare rifiuti solidi urbani, essere immigrati clandestini o fare accattonaggio simulando una mutilazione. “Chi commette questi comportamenti - conclude De Martino - va in galera, mentre non ci va chi commette frode fiscale. Così ci sono più di 20mila detenuti tossicodipendenti o che hanno commesso reati bagatellari. Sembra quasi una sorta di predestinazione che decide chi andrà in galera e chi no, a seconda dello status sociale”. I detenuti che commettono reati differenti, andrebbero indirizzati in differenti istituti di pena ma, nel nostro paese, vengono separati dagli altri solo i detenuti che devono subire un regime di massima sicurezza. Così, su 66mila detenuti, solo 10mila hanno un trattamento diverso e idoneo alla pena da scontare, quelli più pericolosi. I restanti 55mila, vivono insieme senza avere una forma di detenzione diversa, adeguata al rispetto della persona. “Le carceri, così come sono, sono luoghi di tortura - denuncia Adriana Tocco, Garante dei diritti dei detenuti in Campania - e lo dimostrano anche le sanzioni ricevute da Strasburgo. Vista la situazione, noi garanti, abbiamo scritto alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, per mettere alla sua attenzione tre punti molto importanti”. Adriana Tocco e Franco Corleone scrivono alla Presidente Boldrini “per rendere effettivo il principio costituzionale di una pena che non sia pura vendetta, ma un’occasione di riscatto per il reo”. Nella lettera si legge che entrambi i garanti condividono “i contenuti delle tre proposte di legge di iniziativa popolare depositate in Cassazione il 30 gennaio scorso, su tortura, carcere e droghe” e che chiedono una sessione speciale del Parlamento, nei primi cento giorni della legislatura, che approvi le misure strutturali di abbattimento del sovraffollamento carcerario e tuteli il diritto all’affettività in carcere. In materia di carcerazione preventiva, i Garanti chiedono di ripartire dalla Commissione Giostra del Consiglio Superiore della Magistratura, infine chiedono attenzione per la situazione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Giustizia: sono 1.906 gli immigrati in carcere per irregolarità dei documenti di soggiorno Redattore Sociale, 6 maggio 2013 Secondo i dati del ministero della Giustizia, si tratta di persone in cella per i reati previsti dalla legge 286/98, vale a dire irregolarità dei documenti di soggiorno, trasporto di stranieri in Italia, violazione dell’obbligo di abbandono del territorio Secondo il ministero della Giustizia negli istituti penitenziari italiani sono 1.906 gli immigrati reclusi con ascritti i reati di cui alla legge 286/98 (Testi unico sull’immigrazione, la c.d. “Turco-Napolitano”). I 1.906 detenuti stranieri hanno a loro carico diverse fattispecie di reato. In particolare, 83 persone sono detenute per violazione dell’art. 5 (contraffazione o alterazione di un visto d’ingresso o di reingresso, permesso di soggiorno, carta o contratto di soggiorno, o documenti necessari per il loro rilascio; semplice uso di un documento contraffatto o alterato), 899 persone hanno invece violato l’art. 12 (promozione, organizzazione, finanziamento o effettuazione del trasporto di stranieri non comunitari in territorio italiano; favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero in Italia; ecc...), 298 persone per violazione dell’art. 13 (violazione dell’obbligo di abbandono del territorio italiano, rientro in Italia dello straniero espulso) e 714 persone per violazione dell’art. 14 (Violazione dell’ordine di lasciare l’Italia entro 7 giorni, contravvenzione anche a una sola delle misure cautelari in alternativa al trattenimento nel Cie). Ovviamente non è possibile ottenere il totale (che risulta superiore ai 1.906 reclusi prima citati) semplicemente sommando i soggetti per tipologia di reato, in quanto a ciascun detenuto possono corrispondere violazioni distinte. Come visto, inoltre, risultano tuttora presenti nelle carceri italiane detenuti con ascritti reati di cui all’art. 14, in quanto entrati prima dell’esclusione della reclusione per questo articolo e incriminati anche per altri motivi. “Attualmente - segnala il ministero - non risultano presenti detenuti ai quali corrisponda esclusivamente la violazione dell’art. 14 Tu 286/98”. Giova ricordare che la violazione di reati legati alla legge sull’immigrazione non è certo della causa prevalente di detenzione per gli immigrati, visto che in cima alla lista (dati aggiornati al 31 dicembre scorso) troviamo la violazione della legge sulla droga (11.110 detenuti), i reti contro il patrimonio (9.739), i reati contro la persona (7.579) e i reati contro la pubblica amministrazione (3.251 detenuti). Giustizia: prigioni d’Italia… di Rosa Ana De Santis www.altrenotizie.org, 6 maggio 2013 I dati vengono dal Consiglio d’Europa: l’Italia ha le carceri con un problema drammatico di sovraffollamento e si colloca al terzo posto dopo la Serbia, la Grecia e l’Ungheria. La triste media nazionale vede 147 detenuti dietro le sbarre contro i 100 previsti, con l’aggravante di condizioni spesso disumane di vita carceraria. I numeri dell’Europa rimbalzano dietro l’ennesima notizia della cronaca che nei giorni scorsi ha visto morire a San Vittore un uomo di 78 anni cui mancavano sei mesi per scontare tutta la pena. Nonostante le segnalazioni del medico sulle sue gravi condizioni di salute l’uomo è rimasto in cella dopo un infarto, un diabete e un’insufficienza renale che lo aveva quasi paralizzato. L’avvocato ha scoperto per caso della sua morte e con lui i familiari dell’uomo. Il tema delle carceri e della loro umanità è stato spesso strumentalmente portato in primo piano da poche forze politiche e con fortissima prudenza, visto che i diritti dei detenuti non portano voti e non colpiscono certo la sensibilità dell’opinione pubblica. Le istituzioni dovrebbero farsene carico come emergenza democratica, dato che in Italia la pena non può essere mai disgiunta dal recupero del detenuto. La popolazione carceraria è costituita per lo più da stranieri con a carico reati minori, non certo da ergastolani mafiosi, e proprio per questa ragione è ancor più grave che nessuno sia riuscito a metter mano a questa emergenza che non va risolta con la costruzione di nuove carceri, ma con una depenalizzazione di alcuni reati per rendere intanto le condizioni dietro le sbarre umane e compatibili con una reale possibilità di recupero. Come previsto dalla nostra Costituzione e non dalla solita sinistra garantista. Stupefacenti e furti sono in cima alla lista della detenzione e basta riflettere sull’assurdità della legge Fini - Giovanardi, per venire a uno degli esempi più eclatanti, che prevede la detenzione per il possesso di droghe leggere, per capire sia perché le carceri siano piene, sia quanto nessuno si preoccupi seriamente del recupero di un ragazzo consumatore di cannabis, nel momento in cui l’unica premura è portarlo dietro le sbarre. Del resto gli alcolizzati o i ludopati, nuova patologia di gran moda, non vengono messi in carcere per essere recuperati dalla dipendenza che li affligge, anche quando - specie nel primo caso - questa potrebbe essere nociva verso la collettività. Sulla questione delle carceri e dei detenuti l’Italia non mostra grande abilità, né dentro casa né fuori. Anche se in questa seconda circostanza il problema ha a che vedere con i rapporti internazionali e il dialogo tra sistemi giudiziari diversi, anche qui i numeri sono sconcertanti: sono 3.103 detenuti italiani all’estero di cui ben 2.400 in attesa di giudizio. Persone letteralmente dimenticate in cambio di qualche caso eclatante, ben cavalcato per emozioni a buon mercato da portare in urna elettorale, come quello recente dei marò. Se sul versante internazionale il problema è meritevole di un’analisi ad hoc, dentro i confini la questione delle carceri dovrebbe innanzitutto prevedere, tanto per iniziare a parlarne con serietà, come ricorda Giovanni D’Agata, fondatore dello sportello dei diritti, l’istituzione di un Garante dei detenuti con sedi in tutte le regioni in cui sono presenti strutture detentive. Fondare quest’istituzione significa innanzitutto dare visibilità e dignità istituzionale ad una quota della popolazione che per quanto rea rimane parte integrante del Paese con diritti inalienabili di cui, volente o nolente come la legge richiede, non ci si può non occupare. Non c’è dubbio che il tema delle carceri in Italia paghi anche il prezzo di una scarsa evoluzione culturale, anche della società civile. Si confonde il senso sacrosanto di giustizia e il rigore della pena con la vessazione indiscriminata, tipica del giustizialismo da popolino che vuole vendetta, che non distingue tra uno straniero clandestino e uno spacciatore. Proprio per arginare questo atteggiamento pericoloso e inefficace le Istituzioni avrebbero una responsabilità in più: portate i valori di una civiltà democratica ovunque e soprattutto in quegli spazi oscuri della società e impegnarsi piuttosto per pene severe e rigorose, spesso scontate all’inverosimile per sgombrare le carceri con indulti e buon mercato. Il tutto per far posto a qualche povero cristo, magari straniero e schiavo di qualcun altro, che, ben nascosto alla conoscenza e alla memoria di tutti ci farà sentire giusti solo per aver messo due ceppi in più. Non importa come e a chi e per arrivare a cosa. Come se la giustizia non fosse quel valore e quel principio morale altissimo che è. Come se un colpevole smettesse di essere un uomo. Come se essere giusti, è proprio il caso di dirlo, fosse un’impresa semplice e alla portata di tutti e non solo dei migliori. Giustizia: Sel; garantire a detenute madri sezioni speciali, attuazione custodia negli Icam Adnkronos, 6 maggio 2013 È urgente dare piena attuazione alla legge 62 del 2011 che esclude per le detenute madri la custodia in carcere. La sollecitazione giunge da Sel, che ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Negli istituti di pena, osserva la prima firmataria dell’interrogazione, la deputata Marisa Nicchi, ci sono 40 detenute madri e 41 bambini che hanno meno di tre anni. È vero che la custodia di queste detenute negli Icam, gli istituti a custodia attenuata per madri, entrerà a regime solo dopo l’attuazione del piano straordinario penitenziario e in ogni caso a partire dal 1 gennaio 2014, ma Sel sottolinea come si tratti di una scadenza ormai prossima e come gli Icam non siano ancora stati regolamentati. In alcune regioni, come in Toscana, rileva la parlamentare di Sel, sono stati firmati protocolli d’intesa per la creazione di sezioni dedicate alle madri detenute, “ma, di fatto, gli Icam sono avviati solo in forma sperimentale, e solo a Milano”. Per questo, “spesso i tribunali si trovano nella condizione di non poter accordare un’alternativa alla custodia cautelare in carcere per le detenute madri con figli piccoli. Una diretta conseguenza del fatto che la funzione degli Icam non è ancora regolamentata da alcuna norma”. “È forte è la preoccupazione che alla scadenza del 1 gennaio 2014 poco possa cambiare rispetto all’applicabilità delle nuove norme sulle detenute madri, considerato che nonostante lo stanziamento previsto per la realizzazione degli Icam nulla è stato fatto, mentre per quanto riguarda le case famiglia protette, l’onere viene accollato agli enti locali, senza previsione di alcuno stanziamento ad hoc”. Sel chiede al ministro Guardasigilli di “intervenire con urgenza per dare attuazione a quanto previsto dalla legge 62” e per favorire “la completa attuazione del piano straordinario penitenziario”, prevedendo un’apposita regolamentazione degli Icam, con particolare riguardo agli aspetti igienico-sanitari e alla sorveglianza. Sel, inoltre, sollecita il governo ad accelerare per la stipula delle convenzioni con gli enti locali per l’individuazione delle strutture da utilizzare come case famiglia e chiede di sapere perché finora non vi abbia provveduto. L’esecutivo, infine, dovrebbe valutare l’opportunità di avviare “iniziative, anche normative, affinché la mancata attribuzione di risorse agli enti locali non blocchi, di fatto, la realizzazione di case famiglia protette, previste dalla legge 62 del 2011. Giustizia: Ass. Clemenza e Dignità, condizioni politiche favorevoli per amnistia e indulto Agenparl, 6 maggio 2013 “Un Governo così ampiamente condiviso, che unisce sinistra, centro e destra, in una dimensione non tecnica, ma veramente politica, è un fatto straordinario”. Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, responsabile di Clemenza e Dignità, che aggiunge: “Questa comune assunzione di responsabilità, potrebbe facilitare l’esame di provvedimenti clemenziali inerenti le carceri, come l’amnistia e l’indulto, che per forza necessitano di ampie maggioranze parlamentari”. “L’auspicio - conclude - è che dinanzi a questo grave problema di civiltà del Paese, si approfitti del favorevole momento di tregua e di comune collaborazione, per verificarsi, rapidamente, le condizioni per la deliberazione di tali provvedimenti”. Giustizia: caso Aldrovandi; domani Coisp manifesta a Roma per poliziotti detenuti Adnkronos, 6 maggio 2013 “Da decenni vengono concessi gli arresti domiciliari e le pene alternative a tutti i cittadini, tranne che ai poliziotti. Perchè?”. È quanto si chiede Franco Maccari, segretario generale del Coisp, annunciando la manifestazione di domani a Roma, dalle 10 alle 13, davanti al Consiglio superiore della magistratura e al ministero della Giustizia “per protestare contro questa assurda disparità di trattamento fra i poliziotti e gli altri cittadini”, spiega all’Adnkronos. Il riferimento è ai 4 poliziotti condannati per omicidio colposo in seguito alla morte di Federico Aldrovandi, il giovane deceduto il 25 settembre del 2005 al termine di un controllo di polizia. “Sul caso Aldrovandi - fa notare Maccari - abbiamo i tribunali di sorveglianza, Padova e Milano, che hanno posto agli arresti domiciliari due dei quattro poliziotti coinvolti nella vicenda, mentre il tribunale di sorveglianza di Bologna insiste incredibilmente per tenere dietro le sbarre gli altri due poliziotti condannati. Anche questi uomini -rimarca- scontino la pena ai domiciliari”. “Non vogliamo privilegi - insiste Maccari - ma neanche che ci siano diritti affievoliti per gli uomini in divisa. Può capitare di sbagliare e le sentenze si rispettano, ma l’applicazione delle pene deve essere coerente e corretta per tutti”. Già a marzo, a Ferrara, il sindacato di Polizia aveva organizzato un presidio di solidarietà per i poliziotti condannati. Bandiere e manifesti in piazza Savonarola, davanti agli uffici del Comune, dove lavora la madre di Federico. Alla fine Patrizia Moretti è scesa dal suo ufficio con in mano una gigantografia del figlio, fatta in obitorio. Sardegna: Sdr; Carta diritti e doveri detenuti rischia flop, mancano fondi per fare copie Ansa, 6 maggio 2013 “Il fiore all’occhiello dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino, la “Carta dei Diritti e dei Doveri dei detenuti e degli internati”, emanata con decreto, rischia di restare lettera morta. In Sardegna non è stata infatti ancora emanata alcuna disposizione attuativa. Mancano inoltre i fondi necessari per predisporre le fotocopie. Insomma l’assenza di carta nelle strutture penitenziarie non permetterà di distribuire ai cittadini privati della libertà il documento per l’esercizio dei loro diritti”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, evidenziando che “assicurare una maggiore consapevolezza della vita carceraria, specialmente per i detenuti stranieri, non può avvenire senza un preciso piano d’intervento con un sostegno finanziario”. “Oltre alla Carta, ogni detenuto, in occasione dell’ingresso nel Penitenziario durante il primo colloquio - sottolinea Caligaris - deve poter disporre di una sintesi della Legge sull’Ordinamento Penitenziario, del Regolamento interno dell’Istituto e delle altre disposizioni anche sovranazionali, come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Un’iniziativa di straordinario impatto culturale e umano, prevista in sette lingue, compreso l’italiano, senza un’ apposita disposizione finanziaria, non potrà vedere concretamente la luce”. “È vero che una Carta - conclude la presidente di SdR - non risolve il problema del sovraffollamento e dei gravi disagi e carenze del sistema penitenziario. È però altresì evidente che conoscere diritti e doveri modifica profondamente l’approccio alla pena detentiva soprattutto per chi, incensurato, entra in carcere in attesa di giudizio e non conosce alcuna norma di comportamento. Appare invece inaccettabile che una legge non possa trovare attuazione solo perché non è stato previsto un finanziamento apposito per poterla attuare”. Aosta: 328 detenuti formati negli ultimi quattro anni grazie al Fondo sociale europeo www.aostasera.it, 6 maggio 2013 I percorsi promossi in carcere miravano alla formazione delle seguenti figure professionali: cuochi, camerieri di sala, addetti alle aree verdi e giardinieri vivaisti. Accanto a questi corsi sono stati organizzati anche laboratori espressivi e artistici. Sono stati 328 i detenuti del carcere di Brissogne che negli ultimi quattro anni hanno preso parte ai corsi di formazione organizzati con il contributo del fondo sociale europeo. I percorsi promossi in carcere miravano alla formazione delle seguenti figure professionali: cuochi, camerieri di sala, addetti alle aree verdi e giardinieri vivaisti. Accanto a questi corsi sono stati organizzati anche laboratori espressivi e artistici. Accanto alla formazione tout court il Carcere di Brissogne negli ultimi anni è diventato per i detenuti anche un luogo di lavoro. La lavanderia impiega infatti oggi 7 detenuti mentre è in cantiere il progetto “Brutti e buoni” che vedrà la formazione altre 10 persone e il successivo avvio di un panificio all’interno delle mura carcerarie. Un bilancio di queste iniziative è stato tracciato nell’ultima riunione di questa legislatura dell’Osservatorio sulle carceri. Accanto ai corsi di formazione, hanno avuto grande importanza anche i corsi di alfabetizzazione linguistica e informatica, grazie alla collaborazione tra la Sovrintendenza agli Studi, il Direttore Minervini e il personale educativo dell’Istituto penitenziario: nei cinque anni hanno partecipato ai corsi di alfabetizzazione per la lingua italiana 142 allievi, mentre ai corsi di informatica, avviati dal 2009, hanno aderito 91 detenuti. Durante la riunione dell’Osservatorio sulle carceri si è ricordato come “con rammarico, resti ancora da attuare il trasferimento alla Regione, da parte dello Stato, delle competenze in materia di medicina e sanità penitenziaria, ambito per il quale, tuttavia, il sistema regionale non ha mai mancato di intervenire.” Il Presidente della Regione ha informato i presenti di aver ricevuto assicurazioni per una soluzione della questione in tempi brevi. Inoltre Rollandin ha sottolineato che la Regione potrebbe sostenere la realizzazione di un campetto sportivo in erba sintetica all’interno dell’Istituto penitenziario. Lamezia: Nicotera (Udc): chiusura carcere non aiuta soluzioni problema sovraffollamento www.lametino.it, 6 maggio 2013 Riceviamo e pubblichiamo la nota del segretario cittadino Udc Giancarlo Nicotera in merito alla pubblicazione, da parte del Consiglio d’Europa, sullo stato delle carceri nei Paesi membri Ue. Da dato sul sovraffollamento delle carceri italiane ne deriva la considerazione di Nicotera sull’ormai avviata chiusura del carcere cittadino. Ecco, di seguito, cosa dice Nicotera. “Il dato veramente allarmante è fornito in questi giorni dal rapporto pubblicato a Strasburgo in riferimento agli Stati membri. Le carceri italiane sono tra le più sovraffollate dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa e tra quelle in cui c’è il maggior numero di detenuti in attesa di primo giudizio. L’Italia è invero terza, dopo Serbia e Grecia, per sovraffollamento: per ogni 100 posti effettivi ci sono 147 detenuti. L’Italia è pure al terzo posto, con un’altra maglia nera dopo Ucraina e Turchia, per numero di detenuti in attesa di primo giudizio: sono 14.140 su un totale di 67.104, pari al 21,1%. L’Ucraina ne ha quasi 18.000 ma su un totale di oltre 158.000, mentre in Turchia sono quasi 36.000 su 127.000 circa. E se le carceri scoppiano, anche la spesa giornaliera per detenuto è superiore alla media europea. Dal rapporto risulta infatti che l’Italia nel 2010 ha speso - spese mediche escluse - 116,68 euro contro i 96,12 di Francia, i 109,38 della Germania (in questi casi le spese mediche sono incluse nella cifra) e la media europea che è di 93. Stando ai dati ufficiali disponibili in Italia sono detenute nelle carceri 66.897 persone a fronte della prevista capienza regolamentare che è fissata a 45.700 posti. Fa riflettere che quasi il 60% dei detenuti italiani ha meno di 40 anni. È chiaro che, nei casi e nelle ipotesi possibili, va sempre più incentivata l’applicazione delle misure alternative alla detenzione anche al fine di favorire un effettivo reinserimento dei condannati che, nondimeno, all’interno del carcere dovrebbero anche poter lavorare per mantenersi e per imparare un mestiere utile per un loro possibile migliore futuro. È giusto che chi va in carcere sconti la pena e la sua condanna per intero, ma è altrettanto opportuno che egli non sia sottoposto ad ulteriori patimenti e supplizi, certamente non degni di una nazione che vuole definirsi civile. Non è certo chiudendo le carceri esistenti che si risolvono queste problematiche, tutt’altro. Anche alla luce della recentissima pubblicazione di questi impietosi dati la soppressione della struttura penitenziaria di Lamezia Terme, senza che venga data la possibilità alla città ed al suo circondario di poterne creare un’altra che vada nella direzione e secondo gli standard richiesti dal Consiglio d’Europa e da tutte le nazioni civili del mondo, è un abominio giuridico che non può essere in alcun modo perpetrato. Lamezia Terme dovrà avere questa possibilità. Ci auguriamo che l’attuale parlamento, il governo appena nato e le altre istituzioni coinvolte, che annoverano al loro interno diverse personalità che da sempre si sono battute per i sacrosanti diritti civili della comunità e dei detenuti, sappiano porre rimedio ad una situazione inverosimile e davvero preoccupante”. Giancarlo Nicotera, segretario cittadino Udc Lecce: corso di formazione in pasticceria per i detenuti, maestro Antonio Campeggio www.ilpaesenuovo.it, 6 maggio 2013 Antonio Campeggio, maestro stellato di Arte Bianca, è stato incaricato, dalla direzione del carcere Borgo San Nicola di Lecce, quale docente per i detenuti della casa circondariale. “Una nuova avventura - a detta del maestro - destinata a rimanere una delle più importanti nella mia vita professionale. È un percorso che impegna la mente, ma anche l’animo”. Il suo compito sarà quello di insegnare un mestiere a delle persone che, pur avendo commesso un errore, si troveranno, una volta scontata la pena, a doversi inserire nuovamente all’interno del tessuto sociale senza avere il più delle volte alcuna prospettiva, se non quella di ritornare a cedere al richiamo dell’illegalità. Un percorso formativo che mira al coinvolgimento diretto dei detenuti, mediante due lezioni settimanali tenute direttamente nel laboratorio appositamente allestito all’interno della casa circondariale e composto da attrezzature di ultima generazione utili alla produzione dolciaria a livello professionale. “Mettere le mani in pasta, svelare i segreti di un mestiere che richiede impiego fisico e mentale - il commento di Antonio Campeggio - i cardini di una serie di lezioni che intendono preparare i miei corsisti al un potenziale reinserimento nel mercato del lavoro. Oltre all’intenzione di trasmettere loro una passione, strumento per un approccio positivo alla vita e strumento per un convincimento della portata positiva dei valori di legalità, cultura e civiltà”. Il lavoro di formazione, svolto in stretta sinergia con la direzione del carcere rappresentata da Rita Russo e della polizia penitenziaria che presta servizio nel blocco R1, intende porsi quale sostegno psicologico soprattutto nei confronti di coloro che si pongono con un approccio particolarmente positivo e propositivo. L’obiettivo, quello di fare uscire i prodotti all’esterno della casa circondariale e creare una rete commerciale che possa dare ancora maggiore luce e creare sensibilizzazione attorno a questo importante progetto. Una chance in più e un modo positivo per affrontare un periodo particolare della propria vita. Mantova: malori all’Opg di Castiglione delle Stiviere, esclusi batteri o cibo avariato Gazzetta di Mantova, 6 maggio 2013 Il cibo servito ai detenuti dell’Opg alla cena di martedì 2 aprile, cena dopo la quale una settantina di loro si sentì male, non era alterato dalla presenza di batteri e nemmeno avariato o in cattiva conservazione. A rivelarlo sono gli accertamenti chiesti dalla magistratura ed eseguiti sui campioni di feci e alimenti. Accertamenti che, secondo indiscrezioni, avrebbero dato esito negativo. L’indagine è nata a seguito dei malori provati da così tanti detenuti nelle ore successive al pasto, ma soprattutto dopo la morte di uno del 31enne Christian Ubiali, detenuto all’Opg. Questo anche se le cause del decesso, legato forse a un’occlusione intestinale, sono ancora poco chiare. Il lavoro degli inquirenti proseguirà per stabilire quale tipo di alterazione abbiano subito gli alimenti. Parma: boss Bernardo Provenzano sempre grave, resta ricoverato all’Ospedale Maggiore Gazzetta di Parma, 6 maggio 2013 Resta ricoverato nell’ospedale di Parma il boss Bernardo Provenzano, trasferito in nosocomio d’urgenza venerdì dal carcere in cui è detenuto al 41 bis. I familiari del capomafia, ai quali è stato comunicato il ricovero, hanno chiesto aggiornamenti sulle condizioni di salute del boss e sulle cause del trasferimento. Dal carcere hanno risposto che il ricovero è avvenuto “per accertamenti clinici e in relazione alle patologie pregresse e remote” e che le autorità competenti verranno informate degli sviluppi. “Le condizioni di salute di un detenuto - replica l’avvocato del capomafia, Rosalba Di Gregorio - non sono un fatto privato fra carcere e autorità giudiziaria”. “La punizione dello Stato - si chiede il legale che ha chiesto invano la revoca del carcere duro per motivi di salute - può esercitarsi ancora su un incapace, gravemente malato, senza trasformarsi in vendetta?”. Provenzano, dichiarato incapace di partecipare coscientemente a un processo, è in gravissime condizioni di salute da mesi: oltre a problemi neurologici, il capomafia ha patologie cardiache e una recidiva del tumore alla prostata. I giudici del tribunale di sorveglianza di Bologna dovranno decidere nei prossimi giorni sull’istanza di sospensione dell’esecuzione della pena fatta dal suo avvocato. Salerno: Sappe e Uil-Pa; agente aggredito da un detenuto con patologie neuropsichiatriche La Città di Salerno, 6 maggio 2013 Ennesima aggressione a Fuorni. Un detenuto quarantenne con patologie neuropsichiatriche, e in passato ricoverato in ospedale psichiatrico giudiziario, ha aggredito un assistente capo causandogli lesioni ritenute guaribili in dieci giorni. “È la ciliegina sulla torta di una situazione oltre il limite della tolleranza”, commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Bisogna contrastare con fermezza questa ingiustificata violenza - prosegue - e punire con pene esemplari, anche sotto il profilo disciplinare, i detenuti che la commettono. Come un maggiore ricorso all’isolamento giudiziario fino a fine pena con esclusione delle attività in comune ai detenuti che aggrediscono gli agenti”. Quindi aggiunge: “La situazione penitenziaria resta allarmante e le risposte dell’amministrazione penitenziaria a questa emergenza sono favole, come l’irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica, che accorpa ed abolisce posti di servizio dei baschi azzurri mantenendo però in capo alla polizia penitenziaria il reato penale della “colpa del custode”. Il Dap favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della polizia penitenziaria”. Sulla mancanza di risposte concrete alle esigenze di sicurezza degli agenti interviene anche Lorenzo Longobardi segretario provinciale Uil-Pa: “Con il sovraffollamento di detenuti e meno di 50 unità in organico siamo al di sotto dei livelli di sicurezza. In ogni sezione dovrebbero esservi dai due ai tre agenti di vigilanza invece a Fuorni vi è un solo agente per controllare da 40 a sessanta detenuti. E questi più che dei poliziotti avrebbero bisogno di infermieri”. Spoleto (Pg): Fsn-Cisl; detenuto aggredisce due agenti in meno di una settimana www.umbria24.it, 6 maggio 2013 L’allarme del sindacato: “La lunga permanenza provoca l’arroganza di alcuni soggetti e infiltrazioni sociali pericolose”. Un’altra aggressione. Un’altra aggressione ad un agente della polizia penitenziaria del carcere di Spoleto per mano dello stesso detenuto che sette giorni fa aveva aggredito un altro agente. Un’altra aggressione che accresce il clima già molto teso nell’istituto penitenziario di Maiano. La segnalazione arriva dal segretario provinciale di Fsn-Cisl Laureti Riccardo che si dice “costretti a dover segnalare una ulteriore aggressione nei confronti di un agente da parte di un detenuto che esattamente 7 giorni fa si è già reso esecutore di un’altra aggressione nei confronti di un altro agente”. Come spiegano nella nota, l’agente che ha subito l’aggressione, stava distribuendo generi consentiti al detenuto che erano di sua proprietà e che erano custoditi in magazzino. Quando l’agente è andato ad aprire la cella per consegnare i generi, il detenuto, secondo quanto riferito dal sindacato, ha aggredito l’agente colpendolo ripetutamente con colpi al volto. Grazie all’intervento di altri due colleghi, l’uomo è stato salvato da quella che viene definita “furia ingiustificata” del detenuto. Prontamente soccorso l’agente è stato accompagnato al pronto soccorso, dove è stato curato e dimesso con prognosi di 8 giorni. Infiltrazioni pericolose sul territorio L’organizzazione sindacale, oltre a voler dimostrare “solidarietà nei confronti dell’agente aggredito augurandogli una pronta guarigione”, “vuole sottolineare che la lunga permanenza nello stesso Istituto di determinati detenuti provoca atteggiamenti arroganti difficilmente gestibili, mentre sul territorio tutto ciò - è l’allarme - provoca degli insediamenti e delle infiltrazioni socialmente pericolose”. Bologna: nigeriano arrestato entra in carcere con trenta ovuli di cocaina nella pancia Ansa, 6 maggio 2013 La polizia penitenziaria: “La droga sarebbe stata spacciata”. La polizia penitenziaria e il medico della Dozza di Bologna hanno evitato l’introduzione di droga all’interno del carcere, insospettendosi - spiega in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato Sappe - per il nervosismo di un uomo di origine nigeriana, arrestato domenica per droga all’aeroporto di Bologna. È stato deciso di portarlo in ospedale, ma prima di uscire ha chiesto di andare in bagno. Invitato a farlo in presenza di agenti, ha espulso 22 ovuli, contenenti pare cocaina, visto che era stato arrestato per lo stesso motivo. In attesa degli esami, è stato condotto in ospedale e dalla radiografia è emerso che all’interno ha altri ovuli che, per sua stessa ammissione, dovrebbero essere undici. “Si tratta di uno dei tanti modi in cui la droga entra carcere - scrive Durante - Sarebbe stato davvero grave se tutto quel quantitativo di droga fosse entrato nel carcere della Dozza, dove sarebbe stato sicuramente spacciato ed usato. È opportuno intensificare sempre di più i controlli e dotare la polizia penitenziaria di tutti i mezzi necessari, come le unità cinofile, previste dal 1995, ma presenti in poche regioni, tra queste non c’è l’Emilia Romagna. I tossicodipendenti presenti nelle carceri italiane sono il 25 per cento”. Lecco: Carites; "Extrema Ratio", una cella per sperimentare la vita del carcere www.lecconotizie.com, 6 maggio 2013 E’ organizzata presso la sede dell’Informagiovani, in via dell’Eremo 28, dal 6 al 10 maggio un’esperienza alternativa di riflessione sulla condizione carceraria. Caritas Ambrosiana, Caritas Zonale Lecco in collaborazione con l’Informagiovani di Lecco propongono l’esperienza “Extrema Ratio”, un’occasione per fermarsi e riflettere in maniera diversa sulla condizione carceraria nazionale che presenta ormai tratti di preoccupante gravità. Per questa occasione è stata realizzata dalla falegnameria del carcere di Bollate la copia di una cella nella sede dell’Informagiovani, al piano terra del Centro Civico del Comune di Lecco, in Via Eremo 28. I visitatori di “Extrema ratio” saranno invitati a seguire delle indicazioni - farsi fotografare, lasciare le impronte digitali, declinare le proprie generalità, depositare effetti personali e borse - che precederanno l’esperienza di detenzione volontaria nella cella, sottoponendoli a una ritualità che comunichi una modalità di fruizione di ciò che li attende. Il corridoio in cui i visitatori cammineranno in fila indiana sarà a tratti illuminato dall’esterno con luci abbaglianti, per irrobustire la percezione di isolamento. Al termine dei cinque minuti di permanenza in cella, alcuni operatori di “Casa Abramo” e volontari Caritas dell’Area Carcere offriranno, a chi lo desidera, letture del breve percorso ed informazioni sulla situazione attuale delle carceri italiane e dei loro auspici a riguardo. E’ possibile partecipare a questa esperienza al Centro Civico di Germanedo in via dell’Eremo 28, dal 6 al 10 maggio 2013, nei seguenti orari: dalle 9 alle 12.30 e dalle 14 alle 17.30. Per maggiori informazioni, rivolgersi a Caritas Zona Pastorale III, Via Mascari, 1 23900 Lecco: tel. 0341363473, mail: lecco@caritasambrosiana.it. Brescia: “Reclusi, ma non esclusi”… il carcere di Verziano apre alla musica di Irene Panighetti Brescia Oggi, 6 maggio 2013 Giovedì un concerto “per far conoscere la realtà carceraria”. Lo spettacolo patrocinato dal Comune. Sul palco la Baby Band e The Beat Brothers Trio. Il garante dei detenuti soddisfatto guarda al futuro: “Iniziative che servono a lenire la ghettizzazione” Reclusi, ma non esclusi: all’insegna di questa convinzione è stato organizzato un concerto all’interno del carcere di Verziano che si terrà giovedì 9 maggio alle 18 con apertura a un centinaio di cittadini “perchè è importante far conoscere la realtà carceraria”, ha osservato la direttrice di Verziano Francesca Paola Lucrezi in una conferenza stampa ieri mattina. Una realtà “spesso avvolta dal pregiudizio, come ho potuto constatare da quando ho iniziato ad insegnare musica in carcere”, ha aggiunto Flaminio Valseriati, che da febbraio sta conducendo un corso di chitarra classica ad una decina di detenuti. “Allievi splendidi con tanta voglia di apprendere e che hanno grandi aspettative rispetto al concerto del 9 maggio”, ha aggiunto l’avvocato-maestro. Lo spettacolo sarà patrocinato dal Comune di Brescia, per il quale ha portato i saluti e i ringraziamenti il presidente della commissione cultura Andrea Ghezzi. Ringraziamenti dapprima agli organizzatori, alle associazioni di volontariato che da anno operano nelle carceri bresciani, ma anche ai musicisti che metteranno gratuitamente a disposizione il loro talento, ovvero la Baby Band, dove baby intende ironicamente indicare persone over 60, e “The Beat Brothers Acoustic Trio”, gruppi che suoneranno pezzi di musica leggera dai classici ai Beatles. Il concerto sarà anche un’occasione per raccogliere i fondi che le associazioni di volontariato destineranno all’acquisto di materiale per le cucine, le quali “essendo attive del 1986 con la fornitura di pasti giornalieri per circa 150 detenuti necessitano di ricambio di materiale e di restauro”, ha fatto sapere la direttrice di Verziano. Per questo motivo prettamente materiale ma anche per continuare il percorso di comunicazione tra dentro e fuori ha sollecitato alla partecipazione anche il garante dei detenuti Emilio Quaranta: “Con queste iniziative che da tempo vengono portate avanti si raggiunge lo sfondamento della situazione di ghettizzazione del carcere, perchè i detenuti devono scontare la loro pena ma non privati dei loro diritti fondamentali né della loro dignità”, ha dichiarato. Chi desidera recarsi in carcere per il concerto deve accreditarsi inviando una mail di richiesta, con relativa fotocopia di un documento di identità, alla mail info@flaminiovalseriati.it o all’indirizzo dell’associazione Onlus Carcere e Territorio che sostiene l’evento: info@act-bs.it. Per ulteriori dettagli si può anche telefonare val numero 0303772848. Milano: il fotografo Paolo Belletti organizza un corso per i detenuti del carcere di Bollate Adnkronos, 6 maggio 2013 Un corso di fotografia per i detenuti del carcere milanese di Bollate e poi una mostra nella Capitale, a Palazzo Incontro con la Provincia di Roma, il prossimo anno all’interno del progetto ABC coordinato da Stefano Dominella. È il doppio progetto del giovane fotografo Paolo Belletti dal titolo “Invisibile”. “Invisibile” è un progetto semplice, un percorso visivo ed umano tra me ed i detenuti del terzo reparto di Bollate - ha dichiarato Paolo Belletti - ho portato la fotografia all’interno del carcere sotto forma di gioco. “Poche regole o noiosi tecnicismi, ma semplicemente un mezzo divertente per esprimersi e raccontare. L’atto di catturare attraverso un oggetto la realtà rimane ancora un gesto magico - ha aggiunto il fotografo milanese - che in qualche modo ci fa tornare improvvisamente bambini”. Pavia: spettacolo finanzia progetto che promuove l’incontro tra genitori detenuti e figli La Provincia, 6 maggio 2013 Uno spettacolo per finanziare il progetto “Ti presento la mia famiglia”, che promuove l’incontro tra genitori detenuti e figli. Un progetto che permette ad un gruppo di detenuti della casa circondariale di Torre del Gallo di riflettere sulla propria condizione di padre attraverso gruppi di auto mutuo aiuto e incontri semi strutturati con le famiglie a cadenza mensile nel teatro del carcere. Lo spettacolo “Gran galà di magia” si terrà il 1 giugno, alle 15, nel teatro del carcere di via Vigentina ed è aperto alla città. I biglietti sono però già in prevendita presso la sala Politeama di corso Cavour. Quattro maghi si esibiranno sul palcoscenico per un giorno aperto alla cittadinanza. Lo spettacolo sarà proposto nello stesso giorno, ma nelle ore mattutine, anche ai detenuti. Lo spettacolo è stato messo in cantiere in collaborazione con l’associazione dei maghi “Ti do una mano”, Onlus da tempo impegnata nel sociale. Posto unico, biglietto a 5 euro. L’invito è rivolto in particolare alle famiglie. Immigrazione: il Pdl contro il ministro Kyenge… scoppia il “caso esternazioni” di Andrea Garibaldi Corriere della Sera, 6 maggio 2013 Il ministro: presto la cittadinanza. Palazzo Chigi: cautela sulle dichiarazioni. Il governo Letta soffre per le interviste dei suoi ministri e sottosegretari. Il “caso” di ieri è Cécile Kyenge, ministro per l’Integrazione. Ha detto (In mezz’ora, Rai 3) che nelle prossime settimane sarà pronto un disegno di legge sullo ius soli, il diritto di cittadinanza per chi nasce sul suolo d’Italia. Ha sostenuto, inoltre, che il reato di immigrazione clandestina andrebbe abrogato. L’ex presidente del Senato, Schifani e capogruppo dei senatori Pdl, attacca: “Non si possono fare proclami solitari, questo è un atteggiamento che non tiene in alcun conto il ruolo del Parlamento e il coordinamento con i capigruppo della maggioranza”. E il suo vice, Gasparri: “Il ministro sa bene che non è lei a poter decidere sul reato di immigrazione clandestina”. Letta in serata ha detto a Che tempo che fa che i temi trattati dal ministro ce li ha “nel cuore”. Ma, essendo temi lasciati fuori dal suo discorso alle Camere, “bisognerà trovare un’intesa”. Appena sabato c’era stato il caso Biancofiore, il sottosegretario che in varie interviste aveva detto la sua sui gay (“si autoghettizzano”) e aveva portato Enrico Letta a cambiarle le deleghe, dalle Pari opportunità alla Pubblica amministrazione e Semplificazione. “Biancofiore - afferma Brunetta, capogruppo Pdl alla Camera - si è schierata contro i matrimoni gay, ma non ha detto nulla contro il programma del governo”. Ieri sia Schifani, sia Brunetta hanno tirato in ballo i “due pesi e le due misure”: perché, hanno chiesto, deleghe cambiate alla Biancofiore e nessun provvedimento per il viceministro Fassina? Al Tg 3 Fassina aveva bocciato inesorabilmente Berlusconi come candidato alla presidenza della Convenzione sulle riforme. “Veto odioso”, secondo Schifani, che ha aggiunto: “Letta inviti i ministri a maggior cautela”. “Non si fa cadere il governo per uno spostamento di deleghe - dice Renato Brunetta. Ma la nostra pazienza non è illimitata! Letta e Alfano devono intervenire nel più breve tempo possibile. Letta ha promesso una cabina di regia tra governo e capigruppo di maggioranza: va messa in atto. Altrimenti, fra Pdl e Pd, è un abbraccio nella sala da ballo del Titanic”. Vanno cambiate le deleghe anche a Fassina? “Ma no! È stato un errore cambiarle alla Biancofiore, ora non facciamo un altro errore. Ma urge una regolazione! Già sull’Imu Letta alla Camera parlò di “stop” e il giorno dopo il ministro Franceschini dichiarò: “Ci sarà solo una proroga per la rata di giugno”...”. Da Palazzo Chigi era partito venerdì scorso l’invito ai membri del governo a essere “sobri nei comportamenti e nell’uso delle parole”. Per ora non c’è l’intenzione di varare regole più stringenti: il cambio di deleghe alla Biancofiore resta un segnale valido per tutti, fanno sapere i collaboratori del premier. La questione, continuano, non concerne il rilascio di interviste, ma il contenuto delle interviste. Come da tradizione, le interviste dei nuovi ministri e sottosegretari sono state in una sola settimana dalla formazione del governo, un diluvio. E non tutte innocue o semplicemente programmatiche. Il ministro per le Riforme, Quagliariello (Pdl) ha chiesto la presidenza della Convenzione per le riforme per il centrodestra e lo stesso giorno il ministro della Difesa, Mauro (ex Pdl, oggi montiano) ha minacciato la cancellazione della Convenzione stessa, se si continuasse a litigare sui nomi. Il ministro per lo Sport, Josefa Idem, ha definito “comprensibile” un certo risentimento degli italiani nei confronti della cancelliera Merkel, proprio nel giorno in cui Letta incontrava la stessa Merkel a Berlino... A parte questi casi spinosi, culminati poi con le esternazioni del sottosegretario Biancofiore sul mondo omosessuale, si contano almeno altre sette interviste su grandi giornali a ministri che avevano appena messo piede al ministero e tre a sottosegretari. Un’antica prassi dei governanti italiani. Prodi, inaugurando il suo ultimo governo (2006) invitò i ministri a non frequentare i salotti tv, nominò - un anno più tardi - il suo portavoce Sircana “portavoce unico del governo” e finì con alcuni ministri che partecipavano alle manifestazioni contro il governo. Immigrazione: il ministro Kyenge; subito legge sullo ius soli e stop al reato di clandestinità di Corrado Zunino La Repubblica, 6 maggio 2013 Ma contro Kyenge insorge il Pdl Letta: “Temi importanti, non so se troveremo l’intesa”. Il ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge, ha scelto di non fermarsi. Ieri ha rilanciato sullo “ius soli” preannunciando un decreto legge nelle prime settimane di governo sul diritto di cittadinanza da concedere in base alla nascita sul “suolo” (il territorio dello Stato) e non in base al “sangue” (i genitori). Come testimonial del diritto alla cittadinanza per chi nasce in Italia, il ministro Kyenge vedrebbe con favore Mario Balotelli, il centravanti nero della nostra nazionale (nato a Palermo da genitori ghanesi, adottato da una famiglia bresciana e diventato cittadino italiano solo con il compimento dei diciott’anni di età). Balotelli, interpellato nel pomeriggio a San Siro dopo la partita vinta con il Torino grazie a un suo gol, si è detto pronto: “Sono sempre disponibile per la lotta al razzismo e alle discriminazioni”. Il primo ministro nero della storia italiana - il più loquace del governo Letta - ha ribadito, ancora, che il reato di immigrazione clandestina va abolito: “Su questo lavorerò con il ministro dell’Interno Alfano”. Le sue parole hanno provocato una reazione a batteria da parte del Pdl, che attraverso Renato Schifani ha chiesto al premier Letta di invitare i suoi ministri a una “maggiore cautela” evitando “i proclami solitari”. In serata il presidente del Consiglio ha risposto spiegando che sulle questioni extra-fiducia - tra cui lo “ius soli”, appunto - sarà difficile trovare accordi. “Non prometto miracoli a nessuno, sono consapevole delle difficoltà”, ha detto Letta intervistato a Che tempo che fa: “Il tema della cittadinanza mi sta a cuore, ma so che per le materie fuori dal discorso che ha avuto la fiducia servono discussioni e non è scontato che ci siano intese. Io ci metterò del mio meglio, dovremo vedere se ci sono le possibilità”. Ospite della trasmissione di Lucia Annunziata In mezz’ora, Cecile Kyenge aveva tenuto il punto sulle sue intenzioni, spiegando con pacatezza: “È difficile dire se riuscirò a far approvare la legge, bisogna lavorare sul buon senso e sul dialogo, trovare le persone sensibili. È la società che lo chiede, il Paese sta cambiando”. Su Balotelli tedoforo istituzionale, la Kyenge ha detto: “So che sta subendo atti di razzismo, ma riesce a testa alta a dare un forte contributo all’Italia, che è il nostro paese”. In vista degli sbarchi sulle coste italiane che con il bel tempo prevedibilmente riprenderanno, Kyenge ha riaffermato: “Occorre rivedere la struttura dei centri di identificazione ed espulsione e lo stato di emergenza”. Bisogna, ha assicurato, “guardare alla direttiva europea che l’Italia ha ratificato in modo sbagliato”. La permanenza di diciotto mesi nei Cie “deve essere una extrema ratio. La direttiva europea non chiede all’Italia di mettere nei centri di identificazione persone malate, fragili, minori, ma solo persone pericolose o criminali”. La senatrice Pdl Anna Maria Bernini ha definito “fuori luogo “ le opinioni della Kyenge. La deputata Pdl Elvira Savino ha fatto ironia sulle parole dette in tv dal ministro: “Intende presentare anche un ddl sulla poligamia sulla scorta della sua esperienza familiare in Congo?. Se parte così, il governo rischia di non essere in sintonia con le esigenze reali della società”. Cecile Kyenge aveva spiegato che suo padre è cattolico e poligamo, i 38 figli, tra cui lei, li ha avuti da diverse donne: “In Congo un uomo può avere fino a quattro mogli e a me la presenza di tutti questi fratelli ha dato l’idea di vivere in una comunità”. Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda, ha chiesto l’abolizione del ministero dell’Integrazione. Il Partito democratico per voce di Edoardo Patriarca ha difeso Kyenge: “Il ministro non fa proclami solitari, quanto esprime è da tempo sentito dalla popolazione italiana. Non vorrei che una parte del Pdl esprimesse solo una posizione ideologica”. Svizzera: detenuto morto nel carcere “La Stampa” di Lugano, famiglia vuole sapere verità www.ticinonews.ch, 6 maggio 2013 Il fratello del 40enne morto alla Stampa: “Era malato, ma in quelle condizioni anche una persona sana sarebbe crollata”. “La sera prima di morire aveva telefonato a mia madre, ma non riusciva a parlare, biascicava le parole. Stava molto male”. Lo racconta al “Caffè” il fratello del 40enne deceduto il 24 aprile scorso al reparto terapie intensive del Civico di Lugano, dove era stato ammesso in seguito a un malore accusato al carcere della Stampa. “Lui soffriva di problemi psichici e doveva essere sottoposto ad un trattamento ambulatoriale” ha aggiunto il fratello. “Invece è stato tenuto in isolamento per più di un anno e ciò ha peggiorato la sua situazione. In quelle condizioni anche una persona sana sarebbe crollata. Doveva essere curato in una struttura psichiatrica”. In clinica, all’OSC di Mendrisio, il 40enne c’era stato, per alcuni giorni, poco prima di morire. Poi era rientrato alla Stampa. Il fratello non si dà pace e pensa di rivolgersi a un avvocato. “Mi devo sentire con gli altri familiari, ma penso che ci rivolgeremo a un avvocato. Vogliamo sapere come e perché è morto mio fratello”. Libia: Amnesty International; bisogna sradicare la tortura nelle carceri delle milizie www.wallstreetitalia.com, 6 maggio 2013 Chi ha ultimamente visitato le principali città della Libia ha potuto osservare una notevole diminuzione degli improvvisati posti di blocco e delle pattuglie armate dispiegate a presidiarli. Per molti libici, la vita pare tornata a una certa normalità: escono i giornali (anche se ogni tanto qualche giornalista finisce in carcere), le Ong svolgono i loro seminari, si discute apertamente del futuro del paese e delle sfide che lo attendono. Grattando un po’ la superficie, tuttavia, appare evidente che uno dei principali ostacoli alla stabilità e all’affermazione dello stato di diritto è ancora da sconfiggere. Molte milizie rifiutano il disarmo e continuano a controllare carceri e altri centri strategici. Giorni fa, miliziani armati hanno circondato il ministero degli Esteri chiedendo la rapida approvazione della Legge sull’isolamento politico e le dimissioni del ministro Mohamed Abdelaziz, colpevole a loro dire di non aver rimosso dall’incarico gli ambasciatori nominati sotto la leadership di Gheddafi. Procuratori, magistrati, giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani e chiunque altro critichi le milizie va incontro a minacce, intimidazioni e aggressioni. Il governo del primo ministro Ali Zeidan ha lanciato la sfida, proponendo un piano per portare le milizie sotto l’autorità centrale, porre fine agli arresti arbitrari, agli agguati e alle torture e riprendere il controllo delle prigioni. Il ministro della Giustizia Salah al-Marghani è ancora più determinato. Per niente intimorito da un’aggressione subita a fine marzo, il 29 aprile, intervenendo al primo forum delle organizzazioni per i diritti umani promosso dal Comitato per i diritti umani del Congresso generale nazionale (il parlamento libico), ha denunciato la “cultura della tortura” e i centri illegali di detenzione come i principali nemici della “Rivoluzione del 17 gennaio” 2011. Al-Marghani ha poi annunciato la scadenza per completare il trasferimento all’autorità statale dei detenuti attualmente nelle mani delle milizie: giugno 2013. Chi non la rispetterà sarà considerato “sequestratore”. Il problema delle carceri è di dimensioni drammatiche e, va detto, non riguarda solo i centri di detenzione gestiti dalle milizie. Migliaia di persone, alcune delle quali arrestate due anni fa, restano in carcere senza accusa né processo. Solo a Misurata sarebbero 3000. Nella seconda metà di aprile, una delegazione di Amnesty International ha visitato quindici strutture detentive, alcune delle quali dirette dalle milizie. In almeno quattro carceri (Majer, Misurata, Abu Salim e al-Zawiya), tutti i detenuti con segni visibili di tortura sono stati nascosti prima dell’arrivo dei ricercatori dell’organizzazione per i diritti umani. Complessivamente, sebbene in alcuni casi il numero delle denunce sia calato rispetto alle precedenti visite, la tortura resta assai diffusa. Nelle prigioni dirette dalle milizie i detenuti hanno riferito di sospensioni per lunghi periodi di tempo in posizioni contorte, ore di pestaggi con cannelle dell’acqua o cavi di metallo, bruciature con sigarette, posate arroventate o buste di plastica incendiate, ferite con arma da taglio anche ai genitali, insetticida spruzzato negli occhi. Nei centri di detenzione riportati in qualche modo sotto il controllo delle autorità si segnalano trattamenti crudeli e degradanti, quali l’obbligo di correre senza fermarsi nei cortili o di camminare sulle ginocchia, il divieto d’incontrare i familiari, il ricorso all’isolamento per lunghi periodi di tempo. Nei reparti femminili, sono state denunciate ispezioni particolarmente umilianti, per verificare se pube e ascelle siano depilati o per accertarsi che le detenute che non prendono parte alla preghiera abbiano davvero le mestruazioni, essendo questa l’unica eccezione consentita. Insomma, anche quando le milizie saranno estromesse dalla gestione delle carceri e queste torneranno completamente sotto il controllo del governo, ci sarà ancora molto da fare per sradicare la tortura. Tunisia: cento detenuti salafiti in sciopero della fame, chiedono processi più rapidi Ansa, 6 maggio 2013 Un centinaio di salafiti, detenuti nelle carceri tunisine, hanno cominciato, da una settimana, uno sciopero della fame. Secondo quanto riferisce il canale satellitare el-Arabya, alla base della protesta c’è la richiesta di accorciare i tempi di celebrazione dei processi che li riguardano (relativi, in maggioranza, ad atti di violenza). Un’altra rivendicazione riguarda migliori condizioni di vita nelle carceri. India: 7 cristiani in carcere da 4 anni e mezzo, accusati dell’omicidio di un leader indù Asia News, 6 maggio 2013 Il giudice della Fast Track Court di Phulbani ha dichiarato chiusa la sua corte e affidato il caso a un tribunale regolare. Esso potrebbe impiegare altri anni per chiudere il processo. I sette sono accusati dell’omicidio di un leader indù, che scatenò i pogrom anticristiani del 2008. I maoisti hanno sempre rivendicato l’assassinio. Per l’ennesima volta, il giudice della Fast Track Court di Phulbani ha rinviato di proposito l’udienza per la liberazione di sette cristiani innocenti, accusati senza alcuna prova dell’omicidio del leader indù Laxamananda Saraswati, la cui morte nel 2008 scatenò i violenti pogrom dell’Orissa. La nuova seduta è prevista per il prossimo 22 maggio. Sono ormai quattro anni e mezzo che questi uomini languono nelle carceri del Kandhamal, vittime di processi farsa, nonostante i maoisti abbiano sempre rivendicato la responsabilità dell’assassinio. L’udienza che i sette cristiani e le loro famiglie aspettavano da tempo era prevista il primo aprile scorso. Quel giorno però il giudice ha annunciato che la sua corte avrebbe chiuso, e che quindi il caso passava in mano a un tribunale regolare (Session Court). Le Fast Track Courts sono dei tribunali speciali, istituiti dopo i pogrom dell’Orissa per cercare di velocizzare i processi. Una volta in mano a una Session Court, il caso potrebbe subire ulteriori ritardi. Quando vennero creati, questi tribunali miravano a concludere un processo in modo rapido: ascoltando tutte le parti un giorno dopo l’altro. Ma le scappatoie procedurali e l’accumularsi di altri casi hanno trasformato i procedimenti in un continuo rinvio, impantanando l’intero sistema giudiziario indiano in modo quasi inestricabile. Convinte che fosse arrivato il giorno di riabbracciare i loro mariti, sei delle sette mogli insieme ai rispettivi figli si sono recate al centro pastorale di Konjamendi, che sin dall’inizio della vicenda offre assistenza e sostegno ai cristiani detenuti e alle loro famiglie. Così, il 18 marzo scorso queste donne e 12 ragazzi e ragazze hanno incontrato i pastori Prasan Pradhan, Sushant Pradhan e Sunil Parichha, Sajan George - presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) - e fratel Markose. Insieme hanno ripercorso i momenti dell’arresto dei loro uomini e poi hanno pregato insieme. Il giorno dopo i leader religiosi hanno accompagnato tutte loro nella prigione di Phulbani, per visitare i mariti. Al termine della giornata, i pastori hanno riaccompagnato le famiglie nelle loro case a Kotagad. Tibet: scarcerato dopo 21 anni in cella per suo impegno politico, è in gravi condizioni Ansa, 6 maggio 2013 Un detenuto tibetano è stato scarcerato in gravissime condizioni dopo aver scontato 21 anni in un carcere cinese. Secondo quanto riferito da fonti tibetane, Lodroe Gyatso, 52 anni, è stato rilasciato dopo aver scontato una dura condanna nella prigione di Chushul non lontano dalla capitale del Tibet, Lhasa. Gyatso, riconsegnato alla sua famiglia, versa in gravi condizioni di salute, ha frequenti mal di testa ed è affetto da problemi polmonari e renali causati con tutta probabilità dai maltrattamenti subiti in carcere. L’uomo era stato condannato inizialmente a 15 anni per l’omicidio di un uomo in una rissa sulle cui circostanze non si è mai fatta chiarezza, ma in un secondo tempo la pena era stata elevata a 21 anni per il suo impegno politico e il suo attivismo durante la detenzione. In particolare, il 4 marzo 1995, Gyatso aveva invitato gli altri prigionieri a protestare contro le autorità al grido di ‘il Tibet è indipendente, la Cina dovrebbe lasciare il Tibet’, invocando anche il ritorno del Dalai Lama ed esortando i tibetani a fare muro comune e a restare uniti. Inizialmente le autorità cinesi avevano deciso di condannarlo a morte, ma l’intervento in suo favore di Amnesty International gli evitò l’esecuzione. Pochi giorni fa, un altro prigioniero, Lobsang Tenzin, era stato rilasciato un altro detenuto dopo aver scontato 25 anni di carcere. Il tibetano e dissidente Tanak Jigme Zangpo, rilasciato nel 2002 dopo 32 anni di carcere, detiene il record come il più longevo prigioniero politico tibetano. Bahrain: tribunale condanna 31 manifestanti a 15 anni di carcere = Aki, 6 maggio 2013 Un Tribunale del Bahrain ha condannato a 15 anni di carcere ciascuno 31 manifestanti accusati di aver lanciato un ordigno fabbricato artigianalmente contro le forze di sicurezza durante una protesta contro il governo di Manama lo scorso anno. Lo ha reso noto l’avvocato difensore Mohamed al-Tajir, spiegando che i manifestanti sono stati accusati di tentato omicidio. Gli imputati, di età comprese tra i 16 e i 34 anni, sono tutti originari di Sitra, a est di Manama, e hanno preso parte alle manifestazioni organizzate dalla maggioranza sciita contro la dinastia sunnita che governa il Paese scoppiate nel 2011.