Giustizia: la lezione di diritto che (ancora una volta) ci viene dall’Europa di Valter Vecellio Notizie Radicali, 29 maggio 2013 Dalla Corte europea dei diritti dell’uomo è dunque arrivata l’ennesima lezione di diritto, perché è stato respinto il ricorso truffaldino presentato dal governo Monti-Severino che tentava, in modo italiota di procrastinare quei termini perentori ed ordinatori che la stessa Corte aveva disposto: e cioè che entro un anno si deve trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario, nonché risarcire i detenuti che ne sono stati vittime; è una sentenza diventata definitiva, e ora per esempio i contrari all’amnistia dovranno dirci che cosa pensano e intendono fare. Cosa intendono e pensano fare a fronte di una situazione descritta qualche giorno fa al Senato dal ministro della Giustizia Cancellieri. Sono quasi 66mila i detenuti nelle carceri italiane, molti di più dei posti disponibili: 18.821 i reclusi in eccesso, secondo le cifre fornite dal ministro, ma l’associazione Antigone parla addirittura di 30mila detenuti in più rispetto ai posti regolamentari. Numeri che rendono l’Italia il terzo Paese in Europa per carceri sovraffollate. I detenuti in attesa di giudizio sono ben 24.691, non è azzardato ipotizzare che la metà di questi verranno alla fine dichiarati innocenti, ma anche fossero un terzo, un decimo… I condannati sono 40.118 condannati, gli 1.176 internati in quegli ospedali psichiatrici giudiziari che dovevano essere chiusi e che invece sono stati prorogati ancora di un anno. Il Consiglio d’Europa, con un suo recentissimo rapporto ci avverte che per quanto riguarda il sovraffollamento carcerario nei 47 Paesi membri l’Italia è terza, dopo Serbia e Grecia, con 147 detenuti ogni 100 posti effettivi. E occupa lo stesso posto, dopo Ucraina e Turchia, anche per numero di detenuti in attesa di primo giudizio. L’Italia, ha detto una volta Leonardo Sciascia, più che la culla del diritto ne è la bara; e questi dati lo confermano. Per questo ieri mattina, a 25 anni dalla morte e a 30 dall’arresto di Enzo Tortora, una delegazione del “Comitato promotore dei referendum” presieduto da Marco Pannella ha depositato presso la Corte di Cassazione sei quesiti referendari “per la giustizia giusta”. I quesiti referendari riguardano la cancellazione del filtro di ammissibilità nelle richieste di risarcimento per responsabilità civile dei magistrati; la separazione delle carriere; l’eliminazione della custodia cautelare per il rischio di reiterazione nel caso di reati non gravi; le misure restrittive per il lavoro dei magistrati fuori ruolo; l’abolizione dell’ergastolo. Un bel pacchetto che assieme agli altri referendum già presentati, in materia di droga, immigrazione, finanziamento pubblico, otto per mille, divorzio breve, costituiscono un vero e proprio programma di governo “altro”, rispetto al bla-bla e al pio-pio che sentiamo tutti i giorni. Bisognerà raccogliere cinquecentomila firme autenticate in tre mesi, non è facile, ma è possibile. Ed è l’hic Rhodus, hic salta per chi si dice riformatore. Giustizia: non servono carceri nuove, viaggio al presente tra gli istituti di pena italiani di Fabio Sanvitale www.cronaca.it, 29 maggio 2013 La notizia non è da poco. La Corte europea dei diritti dell’uomo, ieri, ha definitivamente accolto il ricorso presentato da 7 detenuti italiani di Busto Arsizio e Piacenza contro il sovraffollamento carcerario. L’Italia è stata condannata per trattamento inumano e degradante: adesso ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento e creare una procedura per risarcire i detenuti che ne sono vittime. Il rischio è enorme: ora che si è creata una breccia nella diga, moltissimi altri detenuti presenteranno richieste di risarcimento alla corte di Strasburgo, con tutte le conseguenze che potete immaginare. E quindi, si torna a parlare della situazione carceraria. Ma noi vogliamo andare in controtendenza: perché fare carceri nuove? Pensiamo a quelle che esistono già, razionalizziamo il sistema carcerario, evitiamo gli sprechi, investiamo sulle depenalizzazioni e le cose potranno andare molto meglio. Sorpresi? Ci spieghiamo meglio. Forse qualcuno di voi ricorderà che per risolvere il problema c’erano - e ci sono - un Piano Carceri ed un Commissario Straordinario. Varato a marzo 2010 dal Governo Berlusconi, il Piano prevedeva circa 700 milioni di euro per 10 nuovi istituti, 20 nuovi padiglioni e 8.900 posti in più. Sapete quanti ne sono stati realizzati? Nessuno. Neanche un carcere, malgrado il grandissimo impegno del nuovo Commissario, che ha sbloccato tutte le procedure e avviato quasi tutte le gare. Nel gennaio 2012 Il Piano è stato ridisegnato, ridotto a 4 carceri nuove (Torino, Pordenone, Catania - l’unico che attualmente è allo stato di gara - e Camerino), 16 nuovi padiglioni; con il completamento di Cagliari e Sassari, la rifunzionalizzazione di Arghillà ed il completamento di 17 padiglioni e le ristrutturazioni in 9 istituti. Il tutto per un totale di 11.573 posti detentivi: un vero miracolo, perché con meno risorse sarebbero oltre 2.000 posti in più della prima stesura. Ma c’è un ma. Controlli meglio e ti accorgi che 4.500 di quegli 11.000 e rotti derivano in realtà da progetti decisi e finanziati da ben prima del Piano. Ti accorgi che i 20 nuovi padiglioni in realtà sono 19, perché il 20° era nel carcere di Piacenza, i cui lavori però erano anch’essi stati appaltati da prima del Piano: un modo per permettere al ministro Alfano di poggiare la prima pietra. Quella del Piano, insomma, non è solo una storia maldestra, ma anche un progetto tanto ambizioso quanto basato sulla elementare politica carceraria del “mostrare i muscoli”. Maldestro, per la scelta di gestirlo tramite un Commissario Straordinario, secondo l’italianissima logica dell’emergenza, dichiarata il 13 gennaio 2010. Certo, un sistema che ha 47.000 posti-detenuto e ce ne inzeppa 66.000 era ed è oggettivamente in emergenza. Ma occorreva davvero un Commissario Straordinario per risolvere la faccenda? E cosa significava mettercene uno? Beh, voleva dire ad esempio che ogni progetto non sarebbe stato realizzato solo dagli architetti, dagli ingegneri, dai contabili del Dap, ma anche tramite strutture esterne… con costi inevitabilmente maggiorati. C’era forse una specie di sfiducia dello Stato nello Stato, in questo? C’era la scelta politica di ri-evitare un altro scandalo alla “carceri d’oro”, come quello degli anni Ottanta? In filigrana l’impressione è questa: ma guardiamo il risultato. Il Commissario dovrebbe evitare sprechi e ruberie, giusto? Bene. Ma la verità è che non solo i progetti dei lavori - consegnati da febbraio 2011 - sono appena partiti ma anche che, nel frattempo, sono stati impiegati anche dei consulenti esterni, per una spesa di euro 1.359.000. E questo è uno spreco o no? E perché negli appalti la progettazione esecutiva è assegnata alle stesse imprese costruttrici (alla modica cifra di 180-200.000 euro a progetto, più Iva s’intende), quando c’è la struttura del Dap che potrebbe farla quasi a zero euro? Ma questo Piano è anche ambizioso perché, partito in pompa magna per poi essere tagliuzzato dalla crisi, ha perso per strada non solo pezzi di progetto, ma anche soldi: oggi dispone di meno di 500 milioni di euro: ne ha persi 228 nel 2011, proprio perché non sono stati impegnati. Tra l’altro, i soldi del Piano sono stati presi anche sforbiciando la dotazione annuale del Dap, col risultato di creare da una parte un progetto mai partito, dall’altra di togliere fondi alla gestione ordinaria delle ristrutturazioni e degli adeguamenti, di fatto paralizzata. Il rischio, insomma, è che il Piano faccia la stessa fine delle carceri mandamentali (istituti molto piccoli, localizzati in provincia, da Casalbordino a Pescia, da Genzano di Lucania a Pisticci): ce ne sono tante chiuse, altre ristrutturate e inutilizzate, altre ancora i cui lavori sono in corso. Possibile? La realtà è che le Case Mandamentali sono una cinquantina, ma il Dap non le gestisce più da anni, perché sono strutture antieconomiche, con 30 detenuti e 40 agenti. Così, oggi sono state tutte restituite ai Comuni. Solo alcune, le più capienti, sono ristrutturate e in uso. Una situazione, anche questa, di spreco, nata dal fatto che nessuno s’era posto finora il problema di fare carceri dove servivano realmente…Nessuno aveva fatto uno studio sulla localizzazione carceraria, col risultato che attualmente è programmata la costruzione di nuove carceri a Pordenone, a Camerino, dove non servono a niente. Costringendo da una parte le famiglie dei detenuti ad attraversare l’Italia per fare i colloqui e dall’altra creando istituti lontani dall’amministrazione della giustizia, con costi di traduzione dei detenuti ovviamente notevoli. D’altronde, le statistiche parlano chiaro: la maggior parte degli ingressi dalla libertà avviene in Lombardia, Campania, Lazio, Sicilia e Puglia. È dunque in queste regioni (e non altrove) che servirebbero nuovi istituti di pena… Poi ci sono casi assurdi come Reggio Calabria Arghillà, dove un carcere ci vorrebbe come il pane: bene, viene fatto, ha 300 posti, ma rimane chiuso 20 anni perché nessuno ha pensato a portarci l’acqua, fare la strada e la caserma agenti. Nel frattempo gli interni marciscono e vengono vandalizzati. Oggi sono stati rifatti dal nuovo Commissario, ma manca sempre il resto. Quando aprirà? Le nostre carceri sono dislocate male, sì, ma sono anche troppe: sono 206, di cui 120 con meno di 200 posti e 63 con meno di 100. Questo comporta molte sezioni femminili chiuse e sezioni per semiliberi quasi sempre vuote, o tutt’al più occupate da una o due persone. Sprechi di spazio. E le costruiamo (o ristrutturiamo) seguendo criteri di una volta, scontando cioè il periodo del terrorismo, che ha comportato la costruzione di carceri molto sicure: doppi cancelli, muri di cinta altissimi, blindature diffuse, acciaio di alta qualità, proliferazione di celle singole, corridoi lunghissimi e larghi…con i relativi costi. Oggi, questi criteri, servono ancora? Bene, abbiamo detto che il Piano Carceri è fatto con i piedi. Qual è dunque la soluzione? Un primo dato ce lo offre una elementare constatazione: ha senso, in epoca di tagli, mettersi a costruire carceri per le quali non ci sarà personale nuovo a gestirle? Eccoci al punto. Molto meglio ristrutturare l’esistente, allora: costa assai meno. E non solo. Oggi come oggi, secondo una stima del Dap, con 200 milioni di ristrutturazioni fatte bene aggiungeremmo 20.000 posti maschili ed elimineremmo definitivamente il problema del sovraffollamento. Ad esempio, a Torino, ristrutturando, faremmo 400 posti e risaneremmo quelli attuali, senza dover costruire un carcere nuovo. Attualmente, in Italia abbiamo 47.000 posti sulla carta ma, se guardate bene, a causa dei tanti padiglioni inagibili, sono 40 - 41 mila reali. Se lavoriamo sull’esistente possiamo fare molto, spendendo meno: il problema non è la capienza. Negli ultimi 6-7 anni il Dap ha comunque finito 17 padiglioni nuovi, per un totale di 3.500 posti (a Modena, Terni, Voghera, SM Capua Vetere, Catanzaro, Biella.) Se riformiamo il sistema penale e ristrutturiamo, la capienza c’è. Eccome, se c’è. Giustizia: la Corte di Strasburgo mette in mora l’Italia sul sovraffollamento carcerario www.horsemoonpost.com, 29 maggio 2013 Rigettato il riscorso sulla sentenza di gennaio. Un anno per trovare una soluzione alla grave situazione delle carceri italiane, trattamenti disumani e degradanti e totale violazione del principio costituzionale del recupero del condannato. L’Italia dovrà trovare entro un anno una soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri. Lo ha deciso la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, rigettando il ricorso presentato dall’Italia contro una la sentenza che nel gennaio scorso aveva condannato il nostro Paese per il trattamento inumano e degradante subito da alcuni detenuti in conseguenza dell’eccesso di “ospiti” nelle strutture penitenziarie. In particolare, la sentenza di gennaio aveva sanzionato l’Italia sul caso di alcuni detenuti condannati a scontare pene detentive nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza, che avevano denunciato il fatto di aver dovuto condividere con altri carcerati una cella di 9 metri quadrati, lamentando altresì la mancanza di acqua calda e, in alcuni casi, di un’adeguata illuminazione delle celle. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano già allora aveva innalzato il monito sull’insostenibilità “della condizione in cui vive gran parte dei detenuti nelle carceri italiane”, sottolineando la “mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”. Anche il Guardasigilli pro tempore, Paola Severino, si era detta “profondamente avvilita” per la condanna, ma non sorpresa. La Corte di Strasburgo ieri ha reso definitiva quella sentenza e ha imposto all’Italia di trovare una soluzione al sovraffollamento penitenziario entro un anno, oltre a dover risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. “La pronuncia della Corte europea rappresenta uno stimolo in più per portare il sistema penitenziario a un livello di civiltà doveroso per un Paese come il nostro e per combattere con maggiore impegno ogni situazione che possa compromettere i diritti umani del detenuto”, ha affermato il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. “Di fronte al fenomeno del sovraffollamento - ha sottolineato il capo del Dap - un dato reale esistente da almeno 5 anni, l’Amministrazione penitenziaria sta impegnando tutte le proprie forze sia in direzione della costruzione di nuovi edifici, sia nello studio e nella proposta di soluzioni che valgano a contenere il ricorso al carcere preventivo e non solo preventivo, davvero entro i termini dell’estrema ratio”. La stragrande maggioranza della popolazione carceraria è infatti costituita da persone in attesa di giudizio, con solo il 10 per cento a scontare una pena definitiva. Il 25 per cento di chi attende di essere giudicato è poi protagonista del fenomeno della cosiddetta “porta girevole”, nel senso che rientra in carcere pochi giorni dopo esserne uscito, per recidiva. I radicali hanno subito marcato l’importanza della sentenza di Strasburgo nella loro battaglia per l’amnistia. “Come era ampiamente prevedibile, l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea. I cinque giudici della Grande Chambre chiamati a vagliare il ricorso dell’Italia avverso la sentenza Torreggiani ed altri, lo hanno dichiarato inammissibile” hanno spiegato Rita Bernardini e Giuseppe Rossodivita. Giorgia Meloni, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, ha affermato affermato che “il rigetto del ricorso italiano da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo trasforma l’emergenza carceri in assoluta priorità nazionale”. Per la Meloni servono “pene alternative per i reati minori e risolvere l’annosa questione dell’abuso della carcerazione preventiva”, che effettivamente ha collocato il nostro Paese al limite della civiltà giudiziaria di marca Occidentale. Da un altro punto di vista, un dato significativo è che il 37 per cento dei detenuti nelle strutture penitenziarie italiane è costituito da cittadini extracomunitari, una grossa fetta dei quali potrebbe essere trasferita nei paesi di origine, per scontarvi la pena residua. È facile prevedere che la sentenza di ieri solleverà polemiche intorno alla più volte ventilata proposta di amnistia, come misura capace di abbassare la pressione sulle carceri italiane. Chi la propone a spada tratta purtroppo perora cause che prestano più attenzione ai giusti diritti dei carcerati, di quanto stiano attente alle aspettative delle vittime e delle loro famiglie, spesso relegate all’angolo e strette dal senso di solitudine generato dal sentirsi abbandonati da parte dello Stato. Giustizia: l’Europa ci impone di trovare soluzioni per le indegne condizioni delle carceri di Sandro Favi www.partitodemocratico.it, 29 maggio 2013 “La Corte europea dei diritti dell’uomo, rigettando il ricorso dell’Italia contro le sentenza di condanna per l’eccessivo affollamento delle nostre carceri, fa scattare il termine di un anno, entro il quale trovare soluzioni per le indegne condizioni in cui sono tenuti i detenuti nei nostri istituti di pena. Allo scadere di quel termine, non solo verrà riconosciuto alle persone ristrette il diritto al risarcimento per la lesione dei loro diritti fondamentali, ma avremmo il nostro Paese fuori dalla Unione europea nei campi fondamentali della giustizia e dei diritti dell’uomo, quelli dell’ispirazione più autentica della costruzione comunitaria. Per un Paese fondatore, come l’Italia, sarebbe un’onta storica, ben più grave di qualsiasi altra infrazione di politica monetaria, economica o di mercato. Il problema delle carceri va affrontato in maniera globale e non potrà essere frutto di un provvedimento singolo. Le questioni da affrontare sono note: eccesso di ricorso alla custodia cautelare rispetto agli standard europei; carente ricorso alle misure alternative alla detenzione, sia in sede di giudizio che durante l’esecuzione della pena detentiva; trattamento terapeutico dei tossicodipendenti autori di reato fuori dal carcere; revoca degli inasprimenti di pena e del trattamento penitenziario per i condannati recidivi; pene dei condannati stranieri da eseguire nei paesi di origine o espulsione quale misura alternativa; depenalizazioni e decarcerizzazioni per i reati minori e sospensione dei procedimenti penali con messa alla prova degli autori di reato primari. Il Pd ha già depositato ad inizio legislatura le proprie proposte. Se ne possa discutere responsabilmente, in una sessione parlamentare stringente, rinunciando ai veti opportunistici e alle logiche ostruzionistiche trasversali che hanno caratterizzato la passata legislatura. Il Ministro Annamaria Cancellieri ha il ruolo giusto ed il profilo appropriato per favorire soluzioni equilibrate ed efficaci, affinché fra 12 mesi l’Italia possa tornare a Strasburgo a testa alta e orgogliosa dei valori scritti nella Carta europea come nella Costituzione italiana”. Giustizia: Bellanova (Pd); governo Letta restituisca a sistema carcerario umanità e legalità www.ilpaesenuovo.it, 29 maggio 2013 “La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lo ha sancito in maniera definitiva: per quanto riguarda la situazione delle carceri l’Italia ha il dovere di attrezzarsi senza più alcun alibi. Anche il Presidente Napolitano, pochi mesi fa, aveva definito “mortificante” l’incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena. Lo diciamo da tempo, la condizione di sovraffollamento degli istituti penitenziari non è più sostenibile. È una situazione disumana e fortemente penalizzante, vissuta quotidianamente dai detenuti e di riflesso da tutti gli attori sociali che operano negli istituti penitenziari con enormi difficoltà”. È quanto sostenuto dall’onorevole Teresa Bellanova riguardo la sentenza della Corte europea sulle carceri italiane. Sottolineando la necessità di una esistenza dignitosa, di una possibilità di recupero e di reintegrazione nel contesto sociale da parte di chi ha deviato non rispettando la legge, la Bellanova continua affermando che “Nelle passate legislature io stessa ho presentato numerosi atti parlamentari per portare all’attenzione dei diversi governi la vicenda del carcere di Borgo San Nicola a Lecce, così come ho sollevato anche il problema della sostanziale impossibilità di portare avanti l’attività scolastica, imprescindibile nell’ottica della riabilitazione ed il reinserimento in società dei detenuti. “In queste condizioni, purtroppo, le carceri italiane non assolvono alla funzione rieducativa che il nostro ordinamento attribuisce alla misura carceraria. L’auspicio - conclude la Bellanova - è che il governo Letta si adoperi con celerità e attraverso misure concrete per restituire al sistema carcerario italiano umanità e legalità, così come impone l’Europa e così come i nostri padri costituenti avevano pensato alla misura detentiva”. Giustizia: Sarno (Uil-Pa); la soluzione immediata si chiama amnistia… Il Velino, 29 maggio 2013 “Il preventivato rigetto del ricorso presentato avverso la sentenza della Cedu impone all’Italia di trovare quelle soluzioni che non sono state trovate da cinquant’anni. Ne sovviene che per regolarizzare, sebbene temporaneamente, la situazione all’interno delle carceri il Governo e il Parlamento non hanno alternativa dal promulgare un provvedimento di indulto e amnistia”. È quanto ha affermato il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno questo pomeriggio nel corso dell’incontro che il Guardasigilli Annamaria Cancellieri ha convocato con le rappresentanze sindacali degli operatori penitenziari e della polizia penitenziaria. Sarno ha anche sottolineato la necessità di intraprendere un percorso di riforma organizzativa del Corpo di polizia penitenziaria all’interno di una riorganizzazione generale del sistema penitenziario. “Auspichiamo che la polizia penitenziaria possa trovare quella perequazione ordinamentale e di trattamento economico che le equipari davvero alla altre forze di polizia” ha detto Sarno. Il Segretario Generale della UilPa Penitenziari ha chiuso rimarcando la necessità di provvedere alla nomina di almeno due dirigenti generali e che sia assegnato un direttore ad ogni istituto. “Ci chiediamo come sia possibile che pur disponendo di 315 dirigenti, a fronte di 207 istituti penitenziari, vi siano ancora 39 istituti senza direttore titolare, tra i quali di alcuni un certo rilievo - elenca il leader della Uil Penitenziari - come Roma Rebibbia, Bologna, Santa Maria Capua Vetere, Frosinone, Avellino e Trento”. Giustizia: ieri incontro tra il Ministro Cancellieri ed i Sindacati della Polizia penitenziaria Asca, 29 maggio 2013 È in corso di svolgimento a Roma, presso il Ministero della Giustizia, il previsto incontro tra il Ministro Guardasigilli Annamaria Cancellieri, il Sappe e gli altri Sindacati del Corpo di Polizia Penitenziaria. All’incontro partecipano anche il Vice Capo Gabinetto Vitello, il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, i Vice Matone e Pagano ed il Dirigente Generale del Personale del Dap Turrini Vita. “La situazione è particolarmente allarmante”, sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Oggi nelle carceri ci sono 43mila posti letto regolamentari reali e nelle celle sono invece stipate 66mila persone; la Polizia penitenziaria ha 7mila agenti in meno; i Baschi Azzurri non fanno formazione ed aggiornamento professionale perché l’Amministrazione evidentemente ha altro a cui pensare, come anche per le conseguenze di quell’effetto burnout dei poliziotti determinato dall’invivibilità di lavorare in sezioni detentive sistematicamente caratterizzate da eventi critici - suicidi, tentati suicidi, aggressioni, risse, atti di autolesionismo, colluttazioni. Il progetto dei circuiti penitenziari studiato dall’Amministrazione penitenziaria non ci sembra la soluzione idonea perché al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e ad una maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico. Oggi tutto questo non c’è ed il rischio è che un solo poliziotto farà domani ciò che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza. Il progetto elaborato dal Capo Dap Tamburino e dal Vice Capo Pagano in realtà non prevede affatto lavoro per i detenuti e mantiene il reato penale della “colpa del custode”. È quindi un progetto basato su basi di partenza sbagliate e non è certo abdicando al ruolo proprio di sicurezza dello Stato che si rendono le carceri più vivibili”. Per queste ragioni il Sappe fa sapere che dirà al Ministro Guardasigilli che auspica “l’avvicendamento degli attuali vertici dell’Amministrazione penitenziaria che vede attualmente a capo del Dipartimento dirigenti - come il Capo Dap Giovanni Tamburino ed il Vice capo Luigi Pagano - che non sono stati in grado di trovare valide soluzioni ai problemi penitenziari”. Il Sappe chiederà anche al Ministro Cancellieri “una complessiva ed organica riforma del Corpo, necessaria e non più rinviabile, indispensabile al riassetto gerarchico e funzionale della Polizia Penitenziaria ad oltre 20 anni dalla precedente riforma. È necessario riallineare i ruoli dei vice Sovrintendenti, dei vice Ispettori e dei vice Commissari della Polizia Penitenziaria, oggi penalizzati rispetto ai pari grado della altre Forze di Polizia, per rendere le progressioni di carriera davvero in linea e senza più alcuna differenziazione a seconda del Corpo di appartenenza. L’istituzione della Direzione generale della Polizia penitenziaria, in seno al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è sempre più necessaria per raggruppare, secondo criteri di omogeneità, tutte le attività ed i servizi demandati al Corpo, quarta Forza di Polizia del Paese, evitando passaggi di competenze tra i vari uffici dipartimentali”. Giustizia: “contro Aldrovandi fu tortura”, il poliziotto condannato resta in carcere La Repubblica, 29 maggio 2013 Le violenze subite da Federico Aldrovandi “sono qualificabili come tortura”. A fare questa “doverosa considerazione” è stato il collegio del Tribunale di sorveglianza di Bologna, nell’ordinanza con cui ieri ha rigettato il reclamo presentato da Paolo Forlani, uno dei quattro agenti condannati a tre anni e sei mesi (ridotti a sei per l’indulto) negandogli ancora una volta la scarcerazione e la concessione dei domiciliari. Sebbene tecnicamente l’imputazione per il caso del diciottenne morto per le botte il 26 settembre del 2009 sia stata formulata come eccesso colposo in omicidio colposo, “essa è qualificabile come fatto integrante gli estremi del crimine di tortura secondo la definizione recepita nel diritto consuetudinario e in Convenzioni cui l’Italia ha aderito, pur essendo rimasta inadempiente riguardo agli obblighi di adattamento interno”. Piemonte: braccio di ferro sul Garante; contro l’abolizione, dura opposizione dei Radicali di Mario Di Matteo www.clandestinoweb.com, 29 maggio 2013 La fobia dei tagli sta pervadendo anche settori che di tagli non avrebbero certo bisogno. Riparte in consiglio regionale del Piemonte la discussione sulla proposta di legge che abrogherebbe il Garante dei detenuti, figura fondamentale per garantire la tutela delle persone ristrette nelle carceri italiane alla quale si vorrebbe rinunciare per ragioni di risparmio. A chiedere l’abolizione, la maggioranza del centrodestra per bocca del capogruppo Pdl, Luca Pedrale, che la giustificherebbe con ragioni di risparmio. Ragioni ridicole e inesistenti secondo i Radicali, che si oppongono duramente alla mozione: “Non copritevi di ridicolo, proprio mentre siete sotto inchiesta”. La proposta di legge 188 sancirebbe inoltre la scomparsa di tre figure di garanzia cruciali a livello regionale: oltre a quella per i detenuti, si parla anche di quelle per i diritti degli animali e per l’infanzia e l’adolescenza. Sono Igor Boni, presidente dell’associazione Adelaide Aglietta, e Giulio Manfredi, della direzione nazionale, ha parlare di una autentica impostura: “Abolire il garante delle carceri con la scusa del risparmio (il costi si aggirerebbero su poco più di 30mila euro annui) - spiegano - non significa nascondersi dietro a un dito ma semplicemente coprirsi di ridicolo”. “La Regione Piemonte se avesse solo a disposizione i rimborsi contestati in queste settimane ai consiglieri pagherebbe il garante per quasi cinquant’anni! Demagogia? Non ci pare proprio. Diamo atto, per altri versi, al Pd e alle altre opposizioni di non avere fatto passare sotto silenzio il vergognoso tentativo del centrodestra di far fuori l’istituto del garante; rivolgiamo loro un pressante appello affinché utilizzino tutti gli strumenti del regolamento consiliare (ostruzionismo compreso) per non far passare lo sciagurato progetto di legge ammazzagarante”. Lombardia: Lega; tuteliamo le funzioni del Garante… accorpandole al Difensore civico www.atnews.it, 29 maggio 2013 “La revisione della figura dei garanti, accorpando le funzioni nell’ufficio del Difensore civico, è un atto che si basa si di un principio politico condiviso da tutta la maggioranza. Si tratta di un testo di legge modificato profondamente con gli emendamenti, che ha alle sue spalle una discussione molto approfondita. Una legge che non si basa solo su un calcolo economico, nel senso di un risparmio che in ogni caso c’è visto che si parla di tre garanti con i relativi uffici e stipendi, ma che vuole sostenere la funzione di tutela dei diritti dei detenuti, dei minori e degli animali esotici, dando gli strumenti a chi realmente può essere utile come il Difensore civico”. Lo ha detto oggi il Presidente del Gruppo regionale della Lega Nord Mario Carossa intervenendo nella discussione della legge sui garanti dei diritti dei detenuti e dei minori. “In Lombardia ci sono nove istituti di pena e circa 9.000 mila detenuti - ha ricordato Carossa - e il Difensore civico svolge la funzione di garante dei detenuti con un ufficio composto da 23 funzionari. Anche nella nostra regione il Difensore civico, con adeguato rinforzo di struttura, potrebbe sicuramente svolgere egregiamente tale compito, come peraltro ha già fatto nell’anno passato e descritto nella relazione presentata qualche mese fa. Raggruppare le funzioni è un principio sano, lo ha ribadito anche il Coordinamento dei Difensori civici italiani che in un relazione ha sottolineato come sia “necessario evitare l’eccessiva proliferazione di queste figure di tutela che potrebbe intralciare il sistema di protezioni dei diritti dell’uomo”. “E non si venga a dire che la nascita del garante - ha aggiunto Carossa - possa influire sul problema della sovrappopolazione carceraria. Perché in questo caso una soluzione ci sarebbe. Lo ha detto molto bene il Procuratore aggiunto antimafia presso il Tribunale di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, che parlando di mafie al Salone del Libro di Torino ha ribadito la necessità: “di una riforma a livello europeo o di una direttiva europea che permetta di far scontare le pene ai detenuti di area comunitaria nel loro paese di origine”. Far scontare nel paese d’origine la pena, creerebbe un immediata soluzione del problema. Pensiamo che In Italia ci sono 65.917 detenuti a fronte di una capienza di 47.045 posti. Di questi sono 23.438 gli stranieri dei quali circa il 20% sono comunitari. Se non avessimo detenuti stranieri e ognuno scontasse la pena al suo Paese avremmo 42.479 detenuti e avremmo carceri non sovraffollate, addirittura con 4.569 posti ancora a disposizione. Dunque una razionalizzazione con l’accorpamento sotto all’ufficio del Difensore civico di tali funzioni è la soluzione ottimale a tutela i diritti delle persone”. Cagliari: concluso sciopero fame detenuti, a Buoncammino restano “disagi inaccettabili” di Stefano Ambu La Nuova Sardegna, 29 maggio 2013 È finito ieri sera lo sciopero della fame avviato da circa la metà dei detenuti di Buoncammino. Lo sciopero è così durato tre giorni e aveva come obbiettivo la protesta per ottenere amnistia e indulto, ma anche contro il 41 bis, la legge Cirielli e la legge sull’immigrazione Bossi Fini. A conclusione del comunicato presentato alla direzione del carcere c’era anche la protesta per le condizioni del carcere che sconta problemi di sovraffollamento da una parte e grandi difficoltà da parte degli agenti penitenziari che, troppo ridotti di numero, devono fare sacrifici enormi per garantire ai detenuti un corretto svolgimento delle attività di reinserimento lavorativo, ricreativo ecc. Il problema di Buoncammino è destinato a finire col trasferimento a Uta, ma i tempi di questo trasloco sono ancora troppo lunghi e per i detenuti si prepara ancora una volta l’inferno estivo. Il carcere ospita il doppio delle persone che potrebbe accogliere e questo va a discapito della convivenza e della rieducazione. Buoncammino sotto processo. Destra, sinistra, associazioni umanitarie o sindacati, il verdetto è sempre lo stesso: così non si può andare avanti. Risultato? Molti detenuti tifano per il trasferimento a Uta. Sovraffollamento e spazi stretti, strutture fatiscenti, troppi malati e tossicodipendenti: questi i problemi principali sollevati da chi ieri mattina è andato a vedere cosa sta succedendo nella casa circondariale a pochi giorni dal crollo di un pezzo di ballatoio e a circa quarantotto ore dall’avvio di un clamoroso sciopero della fame dei suoi ospiti. Che continuano a essere parecchi. 482 detenuti in un carcere che ne dovrebbe contenere oltre cento in meno. Sono alcuni dei numeri raccolti durante la visita a Buoncammino del consigliere regionale di Rifondazione Comunista Giuseppe Stocchino e di Roberto Loddo attivista dell’Associazione 5 novembre. Prima di loro, verso le 11 erano arrivati, i parlamentari Renata Polverini, Mauro Pili e i sindacalisti dell’Ugl. Pili ha rilanciato il problema del 41 bis che dovrebbe riguardare non tanto Buoncammino, ma l’intero sistema carcerario isolano. “Stanno arrivando seicento nuovi detenuti - ha detto - trecento in regime 41 bis: stiamo parlando di seicento “mafiosi”. Stiamo assistendo a infiltrazioni della criminalità organizzata nel nostro territorio, figuriamoci dopo i nuovi arrivi”. Poi focus su Buoncammino. “Carcere fatiscente - ha detto Polverini, vicepresidente commissione Lavoro della Camera - conviviamo con un interregno (con riferimento al nuovo carcere di Uta) che non si può accettare. Anche il personale è penalizzato: c’è la necessità di un concorso”. Ugl all’attacco: il sindacato chiederà al Capo di dipartimento “una ispezione non delegata”. Lo ha comunicato il segretario nazionale della sigla, settore polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti. “I detenuti - ha detto all’uscita del carcere Loddo - ci raccontano di sentirsi accartocciati nelle loro celle: in una erano in sei in pochi metri quadrati. Per liberare le carceri servono misure alternative alla pena. Gli psicologi e i medici fanno degli sforzi straordinari, ma la pianta organica è sottodimensionata”. Stocchino ha annunciato un’interrogazione in consiglio regionale: “Era prevista la figura del garante - ha detto Stocchino - ma è rimasta sulla carta: potrebbe essere un’importante interfaccia con il mondo esterno. Ottima l’esperienza del laboratorio di arte e pittura”. Positiva la situazione nel settore donne: quattordici detenute su una capienza complessiva di trentadue. Nessuna bambino adesso è in carcere con la mamma. “La cella nido - hanno spiegato Loddo e Stocchino - per fortuna è vuota”. Mantova: l’Opg è superato, meglio il territorio… è arrivata la carovana di Marco Cavallo La Gazzetta di Mantova, 29 maggio 2013 L’arrivo nella nostra città della carovana di Marco Cavallo, simbolo dell’abbattimento dei muri dei manicomi, quale prima tappa del tour promosso dall’associazione Stop Opg sul territorio italiano, ha fornito l’occasione alla città e alle istituzioni per un’analisi e riflessione sulla realtà attuale e sulle prospettive dell’Opg di Castiglione. Siamo forti di una convinzione: il concetto di ospedali psichiatrici giudiziari è un residuo di un approccio al tema del disagio e della malattia psichica ormai diffusamente superato e riformulato ben 35 anni fa dalla legge 180 che ha portato alla sostituzione dei manicomi con strutture territoriali. Anche l’Opg di Castiglione ha visto negli anni modificarsi l’approccio di gestione della persone ospitate ma rimane comunque inserito in un contenitore chiuso alla realtà circostante; come è vero che strutture funzionali alla tutela reciproca di malato e comunità si rendono talvolta necessarie, riteniamo sia altrettanto importante che il loro utilizzo sia contenuto, spostando ove possibile, i luoghi terapeutici all’interno del tessuto sociale mediante un ampio utilizzo della gestione territoriale: un processo importante e delicato, molto complesso per le numerose problematiche presenti (di carattere sanitario, giudiziario, etico, economico, occupazionale), del quale i cittadini castiglionesi e del territorio devono essere parte attiva. Rispetto al percorso legislativo avviato si ritiene che il nodo centrale della riorganizzazione debba essere assunto dai dipartimenti di salute mentale territoriali: vedremo con quali azioni e quali risorse la Regione valorizzerà tali servizi. Il profondo legame della città con l’Opg, tanto perla sua lunga storia, quanto per la peculiarità che la professionalità degli operatori susseguitisi ha saputo definire, chiede che il riconoscimento di un ruolo importante nel piano regionale di attuazione del programma di chiusura degli Opg, positivo per la città e per gli operatori, non sia considerato sufficiente. È indispensabile porre al centro l’individuo spostando organizzazione e risorse sulle persone e sulle professionalità, piuttosto che sulle strutture, nella certezza che ciò garantirà comunque, e meglio, le professionalità esistenti a Castiglione. Giovanna Martelli Parlamentare del Partito Democratico Claudio Leoci Vicesindaco di Castiglione d/S Stefano Ferrari Segretario del Circolo PD di Castiglione d/S Ex detenuto s’impicca a casa dei genitori Malato di epatite e di sifilide, sofferente di stomaco, di infiammazioni all’intestino, un fisico sfibrato da anni di droga. Luigi (il nome è volutamente di fantasia) 43 anni, soffriva anche di una grave forma di depressione e di un disturbo della personalità. Il suo percorso ospedaliero e carcerario - che lo ha visto uscire dalla casa circondariale di via Poma meno di un anno e mezzo fa - non gli ha risparmiato una fine tragica: si è tolto la vita impiccandosi a un trave del soffitto a casa dei genitori, in un paesino di montagna tra il lago d’Iseo e la Val Trompia, nel Bresciano. Una fine annunciata? Forse sì. Perché il suo caso avrebbe richiesto le cure di un ospedale psichiatrico giudiziario, piuttosto che la detenzione in carcere. E il suo ritorno alla libertà avrebbe dovuto essere accompagnato con l’inserimento in una comunità o in un progetto territoriale. Questo almeno è quanto sostiene, in una lunga e articolata lettera, il dottor Antonio Esti, dirigente psichiatra dell’Opg di Castiglione delle Stiviere e consulente psichiatra alla casa circondariale di via Poma. Esti, che s’è occupato del caso come perito della difesa, è rimasto colpito nel vivo dalla vicenda: ha avuto la sorte di arrivare a casa di Luigi per un colloquio e di trovarlo morto da pochi minuti, a terra, circondato dai familiari in lacrime. La storia carceraria di Luigi è lunga. La sua prima esperienza dietro le sbarre risale al 1993, quando finisce in manette per vicende legate all’uso di stupefacenti. Detenuto a Milano, le analisi del sangue rivelano per la prima volta alcuni dei problemi di salute che non lo abbandoneranno più e che segneranno la sua storia dentro e fuori dal carcere. Problemi pesanti, al punto che, riconosciuta una parziale invalidità, nel 2010 viene ricoverato in ospedale a Brescia con una diagnosi di “depressione maggiore ricorrente e disturbo antisociale di personalità”. Il suo calvario di persona ai margini continua con l’esperienza in carcere a Mantova dove, riconosciuti i sintomi psichiatrici e di salute in generale, viene trattato con antipsicotici, antidepressivi e ansiolitici. Inutile dire, con i disturbi di una persona come Luigi, quanto e come abbia potuto influire il regime carcerario. La sua vita da uomo libero non era comunque tanto meglio. Agli inizi dello scorso anno, dopo l’ultima scarcerazione, Luigi aveva trovato un posto in un’azienda come magazziniere. Ma era durato tutto solo qualche mese, a luglio la crisi si era portata via il suo lavoro. Divorziato e con un figlio affidato all’ex moglie, Luigi era in regime di sorveglianza speciale con obbligo di dimora a casa dei genitori. Viveva con la madre costretta a letto dopo un ictus cerebrale, il padre ultrasettantenne, il fratello schizofrenico e una badante. La casa è stata descritta dal dottor Este, che ci è stato almeno tre volte, “squallida, una situazione insostenibile”. “In qualità di perito, su richiesta dell’avvocato difensore - spiega nella lettera lo psichiatra di Castiglione - avevo avanzato una relazione al giudice di Brescia per far rilevare il grave quadro psicopatologico-ambientale in cui si trovava Luigi che manifestava un quadro depressivo disadattivo sempre più grave, nonostante il proseguo della terapia”. Ma tutto quello che l’avvocato e lo psichiatra avevano ottenuto era una riduzione dell’obbligo di dimora a casa dei genitori da cinque a tre anni. “Piuttosto che rimanere in queste condizioni, preferirei tornare con lei in carcere a Mantova dove almeno mi sentivo curato e ascoltato” aveva detto Luigi nell’ultimo colloquio con lo psichiatra di Castiglione. Al che l’avvocato difensore s’era rivolto al giudice che aveva disposto una nuova perizia. Di qui l’ultima visita del dottor Este a casa di Luigi. Ma solo per assistere al tragico epilogo. “C’era un capannello di persone, si sentiva a distanza la sirena dell’ambulanza in arrivo - racconta lo psichiatra - un attimo prima di entrare un anziano parente dalla barba incolta mi si è avvicinato e mi ha detto “Luigi si è impiccato”. C’è da precisare che, fin dalla scarcerazione a Mantova, Luigi non aveva avuto modo di avere alcun contatto né con il servizio psichiatrico né con il servizio sociale, anche se ritengo che fossero informati del suo rientro a casa dei genitori e che conoscessero bene la sua drammatica condizione clinica-ambientale, visto che lo avevano già avuto in carico”. Luigi ci lascia una certezza: gli Opg non vanno chiusi “È proprio opportuna la chiusura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, unico centro in Italia in cui si opera in modo globale e scientificamente avanzato sull’autore di reato affetto da patologia psichiatrica?” A distanza di pochi giorni dalla decisione del Parlamento di far slittare la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari all’aprile del prossimo anno, il dirigente psichiatra e consulente della casa circondariale di Mantova, dottor Antonio Esti, punta i riflettori sul tragico caso di Luigi, un ex detenuto di via Poma morto suicida a poco più di un anno dalla sua scarcerazione. Lo fa con una lettera in cui la macchina dell’assistenza psichiatrica e quella della giustizia appaiono scollegate e spesso incapaci di offrire risposte. “Ho narrato la tragica storia di Luigi per riaffermare alcuni concetti di cui sono convinto - sono alcuni passi del lungo scritto dello psichiatra castiglionese - in un carcere comune non è possibile garantire un’adeguata e specializzata assistenza per ventiquattro ore ai detenuti affetti da gravi patologie psichiatriche... Ma il vero dramma si consuma quando all’atto della scarcerazione il detenuto affetto da patologia mentale viene gettato in strada, abbandonato con tutto il fardello di disturbi che lo attanagliano. Ed ecco - spiega il dottor Esti - la drammatica differenza tra un detenuto e un internato: mentre il primo viene lasciato a se stesso, per gli internati le cose sono ben diverse. Per poter essere dimessi dall’ospedale psichiatrico giudiziario gli internati devono essere riconosciuti dal magistrato di sorveglianza “non più pericolosi socialmente”. E questa condizione è legata ad alcune condizioni: il recupero di un buon compenso psicopatologico e la presa in carico dell’internato, all’atto della dimissione, da parte del servizio psichiatrico tramite inserimenti in comunità o con progetti territoriali ben strutturati”. Cosa che nel caso di Luigi non sarebbe avvenuta. “Purtroppo per i detenuti, seppur affetti da patologia psichiatrica, ciò non avviene - è la conferma del dottor Esti - il tragico caso di Luigi è la chiara dimostrazione di quanto questi tanto massacrati e demonizzati ospedali psichiatrico giudiziari (mi riferisco solo al modello di Castiglione per le sue caratteristiche) seppur necessitino di modifiche e di revisioni, abbiano ancora un senso e un valore di cultura ed esperienza clinico psichiatrico-giudiziaria da non disperdere, a tutela del diritto all’assistenza e alla salute di tanti detenuti affetti da patologia mentale grave”. Brescia: detenuti scrivono al Papa “Facciamo parte di quella cosa che si chiama vita…” www.bresciatoday.it, 29 maggio 2013 Una lettera firmata a nome del “Popolo carcerario di Canton Mombello” è stata spedita al nuovo pontefice, per chiedere una visita al carcere cittadino: “Realizzi il nostro sogno, ci venga a trovare” Il carcere di Canton Mombello è gravato da anni da un sovraffollamento indegno per qualsiasi paese civile. Corpi ammassati senza rispetto per la dignità umana (255 detenuti ogni 100 posti letto), mancanza di igiene, letti a castello fino al soffitto e malattie, persino un caso di tubercolosi attiva. Una condizione terrificante nell’indifferenza delle istituzioni, che da anni volgono le spalle forse in attesa di un miracolo: la divina provvidenza, insomma, il “San Gennà facce la Grazia!” che nei secoli ha fatto da contraltare all’immobilismo italiota. È forse per questa ragione che i detenuti del carcere cittadino hanno deciso di mandare una lettera a Papa Francesco, chiedendo al pontefice argentino di venire a visitare le loro celle: “Qui prevale la certezza e la paura di essere abbandonati. Ma quest’anno è l’Anno della Fede e la Fede vince ogni paura. Passiamo venti ore al giorno rinchiusi nelle celle, buttati sulle brande e per noi sono ricorrenti i sogni che non sono realtà ma il sogno che sua Santità ci venga a trovare, solo Sua Santità può farlo diventare realtà”. “Caro Papa Francesco - scrive ancora il ‘popolo carcerario di Canton Mombellò - realizzi il nostro sogno, ci venga a trovare, ci aiuti a dimostrare che anche noi facciamo parte di quella cosa che si chiama vita”. “Se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”, cantava De André. Noi, la cosiddetta società civile, e una politica che da anni ha smesso la sua funzione di guida e di cambiamento, rinchiudendosi su se stessa nella mera gestione dell’esistente, ce ne siamo dimenticati. Il nastro del tempo si riavvolge, la fede ritorna a essere l’estremo (l’unico?) appello per le istanze dei più deboli. Certo è strano non abitare più sulla terra, scriveva Rilke, e per ricordarsi di far parte di “quella cosa che si chiama vita”, per non far prevalere “la certezza di essere abbandonati”, ora ai 300 carcerati firmatari della lettera non resta che volgere gli occhi al cielo: qui, l’indifferenza degli uomini rende gli sguardi deserti e inospitali. Cosenza: Corbelli; estremamente grave situazione dei detenuti nel carcere di Rossano Giornale di Calabria, 29 maggio 2013 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, in una nota, denuncia la situazione di “estremo disagio che vivono i detenuti nel carcere di Rossano”. Corbelli ha ricevuto una lettera da un detenuto. “Quello che mi scrive un detenuto - afferma Corbelli - è estremamente grave, è la conferma della drammatica situazione che si vive nelle carceri italiane, così come denunciato nei giorni scorsi dallo stesso Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Siamo a livelli di vera e propria inciviltà, disumanità come ha detto il Guardasigilli. Per avere una idea di quello che accade nelle carceri basta leggere quello che mi scrivono dal carcere di Rossano. Questo il testo della missiva che mi è stata recapitata prima che succedessero i gravi fatti, lo scontro tra immigrati di domenica scorsa”. Nella lettera è evidenziato che “è arrivato il momento di far sapere al mondo esterno e a chi di competenza quello che succede nelle carceri italiane e le condizioni di vita in cui i detenuti sono costretti a vivere senza poter far valere i propri diritti. Siamo trattati peggio delle bestie. Noi siamo degli essere umani e vogliamo che venga rispettata la nostra dignità e i nostri diritti. Nel carcere di Rossano vige la legge del silenzio. È arrivato il momento di dire basta. Nella casa circondariale di Rossano la situazione è allucinante, disumana. Ad iniziare dal sovraffollamento. Nelle celle, dove siamo costretti a vivere 21 ore al giorno, in un metro e mezzo, adatte per due persone, vengono ammassati anche 5-6 detenuti”. Corbelli chiede che “le autorità preposte accertino la fondatezza dei gravi fatti denunciati nella missiva recapitata a Diritti Civili e intervengano per far rispettare i diritti delle persone recluse”. Reggio Calabria: delegazione dell’Osservatorio Carcere Ucpi visiterà Casa Circondariale www.strill.it, 29 maggio 2013 È prevista per il 30 maggio 2013 la visita di alcuni componenti dell’osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane alla Casa Circondariale di Reggio Calabria diretta dalla dott.ssa Maria Carmela Longo. Si tratta di una iniziativa che si inserisce all’interno della lunga battaglia condotta negli anni dall’Unione Camere Penali per il rispetto dei diritti dei detenuti e che ha visto la denuncia delle inumane condizioni di vita dei detenuti in molte carceri d’Italia. Condizione che è stata certificata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con alla sentenza Torregiani che ha condannato l’Italia e prescritto un termine perentorio di un anno per adeguare le carceri. È notizia recente quella secondo cui il ricorso pretestuoso e dilatorio dell’Italia avverso la sentenza Torreggiani è stato rigettato. La visita segue il recente Congresso nazionale di Milano sul carcere, voluto dalla Giunta guidata dal Presidente Valerio Spigarelli, e nel corso del quale si è discusso oltre che della situazione del carcere anche dell’istituto del 41 bis ord. Penit., della necessità di introdurre il reato di tortura, della incostituzionalità dell’ergastolo ostativo. L’osservatorio Carcere Ucpi tramite la Camera Penale di Reggio Calabria ha manifestato l’interesse a visitare anche la Casa Circondariale e solerte è stata la risposta della direttrice Dott.ssa Maria Carmela Longo che al momento della richiesta ha dimostrato una grande disponibilità. Così la delegazione composta da Emanuela De Orsola componente della Giunta Ucpi; Carlo Morace componente della Giunta Ucpi; Antonella Calcaterra, componente Osservatorio Carcere Ucpi; Pietro Modaffari - Presidente della Camera Penale di Reggio Calabria ed Emanuele Genovese vicepresidente della Camera Penale di Reggio Calabria in data 30 maggio 2013 accederà accompagnata dalla dott.ssa Carmela Longo nell’istituto penitenziario reggino al fine di visitarlo per verificare le condizioni di vita di coloro che vi sono ospitati e le varie problematiche e criticità della struttura. Cagliari: Sdr; anche al Braccio sinistro di Buoncammino l’intervento dei Vigili del fuoco Ristretti Orizzonti, 29 maggio 2013 “È stata estesa anche al braccio sinistro della Casa Circondariale di Cagliari la messa in sicurezza dei ballatoi. È la conferma della scarsa cura riservata all’Istituto di Buoncammino negli ultimi anni. Una questione non irrilevante per quanti quotidianamente vivono all’interno della struttura o vi prestano servizio”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso del nuovo intervento per la messa in sicurezza della struttura. “Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - sottolinea - ha ritenuto certezza la consegna del nuovo carcere di Uta, ormai in costruzione da 7 anni, nel 2010, riservando la manutenzione dell’edificio a piccoli interventi di ripristino affidati alla MOF (Manutenzione Ordinaria Fabbricati). I gravi problemi che hanno interessato prima il sistema fognario, provocando un pesante disagio, e il recente crollo di una lastra di marmo, hanno quindi convinto il Dap ad assumere un’iniziativa globale”. “Buoncammino non è semplicemente un pezzo di storia urbanistica della città - conclude la presidente di Sdr - è una struttura in cui ruotano quotidianamente non meno di migliaio di persone, 500 delle quali sono recluse. Fare finta che vada tutto bene o rimandare eternamente i lavori significa incorrere in problemi più seri. Bene quindi la messa in sicurezza, ma non basta. Occorre provvedere anche a risanare i muri non solo delle celle ma anche di alcuni alloggi degli Agenti di Polizia Penitenziaria” Benevento: Fp-Cgil; agenti in stato d’agitazione, chiuso il reparto detentivo in ospedale www.ilquaderno.it, 29 maggio 2013 Dopo la manifestazione di ieri, continuano le proteste presso la Casa Circondariale di Capodimonte a Benevento. Stavolta a proclamare lo stato di agitazione ed a denunciare una serie di disservizi è stata la Fp Cgil con una nota stampa giunta in redazione. Secondo il sindacato di via Bianchi “I lavoratori operano in condizioni di enorme stress psico-fisico, infatti, non vi sono le condizioni minime di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro, manca un’organica organizzazione del lavoro, delle turnazioni del personale della Polizia Penitenziaria. È eclatante lo stato in cui versa il servizio di “Traduzioni”, ovvero il trasporto dei detenuti presso i tribunali. Esso infatti consta di un parco automezzi di circa venti elementi, di cui solo uno funziona, gli altri sono inutilizzabili, necessitano di manutenzione per la quale non ci sarebbero soldi. Va da se che se si deve mantenere un parco automezzi vecchio di vent’anni, i costi sono esorbitanti, è evidentemente antieconomico; più saggio sarebbe, da parte della dirigenza, chiedere ed ottenere l’assegnazione di qualche mezzo più nuovo da altre sedi. Conseguentemente, il personale è costretto a turni incalzanti, di straordinario non retribuito adeguatamente. Ne consegue che è a rischio un servizio essenziale, per l’ordinario funzionamento della Giustizia e per garantire l’ordine e la sicurezza pubblici”. Dopo aver spiegato il perché dello stato d’agitazione, la Fp Cgil si è soffermata su un’altra delicata questione relativa alla chiusura del Reparto Detentivo al “Rummo” di Benevento. “I detenuti - si legge nella nota - vengono dunque vengono ricoverati nei reparti insieme a tutti gli altri degenti, qualsiasi sia la pericolosità degli stessi. È evidente la mancanza di sicurezza che ne scaturisce per tutti, per i degenti, per i detenuti per il personale tutto. Chiediamo ancora perché le visite specialistiche dei detenuti, debbano effettuarsi presso l’Ospedale Sant’Alfonso Maria dei Liguori, a Sant’Agata dei Goti, presso una struttura poco raggiungibile da altre Forze dell’Ordine, qualora intervenisse un’esigenza di garanzia della sicurezza ed incolumità pubblica. Inoltre data la lontananza dalla Casa Circondariale, la percorrenza ha dei costi significativi, per un’amministrazione senza risorse”. Sassari: droga tra le celle del carcere di San Sebastiano, in 41 finiscono sotto processo di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 29 maggio 2013 “L’ex agente della Penitenziaria Antonio Santucciu deve essere condannato a otto anni di carcere”. Severa è stata la richiesta di condanna per l’algherese, 50 anni, ispettore capo in congedo e comandante della Penitenziaria a San Sebastiano tra il 2002 e il 2007, oggi sotto processo per concorso esterno in associazione dedita al traffico di droga, nel dettaglio a quella che avrebbe gestito flussi di eroina e hashish nel penitenziario di via Roma, fino al 2008. Quella della divisa è considerata dal pubblico ministero Giovanni Porcheddu e dal collega un tempo in forza alla Procura distrettuale di Cagliari, Giancarlo Moi, una posizione importante tra i 45 imputati a vario titolo per traffico o spaccio di droga. La decisione su Santucciu, difeso dall’avvocato Alberto Sechi, sarà assunta dal giudice dell’udienza preliminare di Cagliari Giuseppe Pintori il prossimo 4 giugno. Prima ci sarà spazio per la difesa, che contesta non solo l’impianto probatorio - basato su pentiti, intercettazioni, dichiarazioni di alcuni colleghi di Santucciu - ma pure le modalità con le quali la Dda ha svolto le indagini, che in qualche modo si collegano al processo per l’omicidio della morte del detenuto sassarese Marco Erittu, nato dalle dichiarazioni del pentito portotorrese Giuseppe Bigella, condannato per quell’omicidio. Sempre nel corso dell’udienza preliminare di lunedì a Cagliari (competente sul presunto giro di droga tra le celle sassaresi perché sul reato indaga la Distrettuale) il Gup ha rinviato a giudizio 41 dei 45 imputati. Il 16 ottobre si presenteranno davanti al collegio del tribunale di Sassari per il processo. Tra loro ci sono anche Pino Vandi, presunto capo dell’organizzazione e processato per l’omicidio Erittu, e poi nomi conosciuti alle forze dell’ordine sassaresi: da Mario Iacono “Scaldabagno”), passando per Pietro “Il Conte” Saba. A loro contestano di aver partecipato allo spaccio in carcere di droga che veniva passata ai tanti tossicodipendenti reclusi, che poi spesso saldavano attraverso i familiari. Questo, almeno, è il quadro delineato dai magistrati nell’inchiesta partita dalle parole di tre pentiti, e che poi ha trovato conferme - secondo i pm - intercettazioni telefoniche e ambientali. Ai 45 sono state separate le posizioni di quattro imputati: Santucciu per la scelta del rito abbreviato, Bigella - difeso da Corrado Podda - perché ha ottenuto il consenso del pm di patteggiare due anni, pena che il gup confermerà o meno il 4 giugno. E poi quella di Bruno Deaddis e Raimondo Muntoni. difesi da Herika Dessi e Luciana Pisano, per i quali sono stati rilevati difetti di notifica. Stralciata anche la posizione di Alessandro Fattarella, scomparso da poco. Restano 41 tra ex detenuti, qualche parente, e gli altri due ex agenti sospettati di concorso esterno all’associazione: Antonio Del Rio, in carcere per un altro caso di droga, e Giovanni Calvia. Pentiti, delitti e maialetti all’eroina L’inchiesta sul presunto giro di droga tra i bracci del carcere di San Sebastiano è nata dalle dichiarazioni del portotorrese Giuseppe Bigella, 37 anni, che per primo nel 2008 svelò della circolazione di stupefacenti in carcere. Allora recluso per l’omicidio della gioielliera di Porto Torres Fernanda Zirulia, per il quale sconta 30 anni, Bigella aveva iniziato a parlare di quella che lui descriveva come una cupola a capo della quale ci sarebbe stato (secondo le sue accuse) il sassarese Pino Vandi, 40 anni. Ai suoi ordini sarebbero stati “quelli del secondo piano”, cioè un gruppo di detenuti che lo avrebbero aiutato nel gruppo dedito allo spaccio, ognuno con ruoli precisi. Presunta organizzazione che sarebbe stata in piedi anche grazie, è il sospetto delle Procura di Cagliari e Sassari, alla complicità di tre agenti, accusati di concorso esterno in associazione a delinquere. Avrebbero avvisato Vandi e compagni delle ispezioni, favorito la circolazione di alcuni spacciatori assegnando loro ruoli di spesino o scrivano (in modo da circolare nel penitenziario) o in alcuni casi avrebbero portato droga in carcere. Droga che di norma, invece, veniva portata dai familiari durante i colloqui, oppure inserita in pietanze già pronte come maialetti o agnelli. A ottobre si apre il processo ai 41, che saranno difesi dai legali Elias Vacca, Agostinangelo Marras, Pasqualino Federici, Herika Dessi, Patrizio Rovelli, Massimiliano Tore, Marco Manca, Marco Palmieri, Luciana Pisano, Ettore Licheri. Sempre dalle parole di Bigella è stato riaperto il caso di Marco Erittu, morto in carcere nel 2007. Bologna: carenze strutturali e di sicurezza, la Polizia penitenziaria del “Pratello” protesta Comunicato stampa, 29 maggio 2013 Le OO.SS. Sappe, Uil, Ugl Pp, Cgil Fp, Cnpp e Sinappe hanno indetto l’odierno presidio per protestare contro l’assordante silenzio del Dipartimento Giustizia Minorile in merito alle questioni più volte sollevate dai sindacati di Polizia Penitenziaria rappresentativi del personale che presta servizio presso l’Istituto Penale per Minorenni di Bologna. Questa OO.SS. hanno più volte denunciato le carenze strutturali e soprattutto di sicurezza che dall’apertura del nuovo Istituto non hanno ancora trovato soluzioni idonee ed efficaci. Il tutto nonostante i fatti abbiano più volte dato ragione a quanto avevamo affermato: compreso il rischio di possibili evasioni dalla struttura. L’ultima nel mese di settembre 2012 quando due giovani detenuti sono evasi aggredendo il personale in servizio e fuggendo agevolmente dopo aver attraversato tutta la struttura! Dal giorno dell’apertura dell’Istituto ad oggi, malgrado le promesse e i progetti, non esiste ancora un impianto di video sorveglianza almeno nei punti strategici dell’Istituto così che il personale opera senza supporti mentre svolge i propri compiti istituzionali di vigilanza e garanzia di sicurezza all’interno della struttura. Tutto ciò con l’ulteriore criticità della più volte denunciata cronica carenza di personale. I continui cambi dei vertici dell’Istituto, in particolare quelli della Polizia Penitenziaria, producono ripercussioni negative sul lavoro che il personale della Polizia Penitenziaria svolge quotidianamente, sulla programmazione dei servizi e sulla programmazione gestionale almeno nel medio periodo. Il recente arrivo di un nuovo Comandante di Reparto ha proseguito questa linea di precarietà: poiché si tratta ancora una volta di un Comandante in missione sarà ancora una volta un Comandante con una presenza limitata nel tempo, come tutti quelli precedenti? Inoltre queste OO.SS. hanno più volte rilevato e denunciato la quasi totale assenza di personale del ruolo dei sottufficiali, assenza di notevole importanza per la gestione della struttura e della sicurezza interna che oltre a non dare punti di riferimento certi al personale in servizio, attribuisce notevoli responsabilità a personale che non ha maturato ancora la necessaria esperienza per assumere quelle responsabilità. Senza continuità nella Direzione e nel Comando del Reparto non si può fare una seria gestione e programmazione della struttura. Il 18.10.2012 il Capo Dipartimento Giustizia Minorile comunicava alle OO.SS. Nazionali l’intenzione di fissare un apposito incontro sulle principali realtà degli Istituti Penali per Minorenni - tra cui Bologna - che avrebbe dovuto svolgersi per il mese di Novembre 2012, ma ad oggi nessuna convocazione è stata più fissata. Per tutto ciò, in data 15/03/2013 è stato proclamato lo stato di agitazione del personale di Polizia Penitenziaria dell’Istituto Penale per Minorenni di Bologna ma neppure l’interruzione delle relazioni sindacali ha provocato una qualche reazione da parte del Dipartimento Giustizia Minorile. Queste OO.SS. hanno volutamente disertato l’incontro del 23/04/2013 convocato dalla Direzione dell’Istituto Penale per Minorenni che prevedeva la discussione del Piano Ferie del personale di Polizia Penitenziaria. Tale scelta, non facile per il personale di Polizia Penitenziaria, è stata condivisa da tutte le OO.SS. di Polizia Penitenziaria che rappresentano il personale dell’Istituto bolognese ed era finalizzata a dare un segnale chiaro ed evidente del malessere che tale personale sta vivendo da troppo tempo a causa delle scelte infelici dell’Amministrazione Centrale, ma anche questo messaggio risulta ad oggi inascoltato. Purtroppo dobbiamo registrare a questo punto l’assoluta mancanza di volontà tesa a ripristinare corrette relazioni sindacali e probabilmente anche l’incapacità, da parte dell’Amministrazione Centrale, a trovare soluzioni adeguate per la situazione dell’Istituto Penale per Minorenni di Bologna e per il personale che vi presta servizio giorno dopo giorno e che quotidianamente permettono il funzionamento degli Istituti e dei servizi ad essi correlati. Tra l’altro anche le ultime circolari emanate dal Dipartimento Giustizia Minorile, in merito all’organizzazione dei propri servizi periferici, testimoniano come i Vertici del Dipartimento intendono gestire i propri servizi, organizzando il tutto senza alcun confronto con le rappresentanze sindacali dei lavoratori che a vario titolo lavorano presso i loro uffici, segnale chiaro ed evidente di come si intende gestire il tutto in totale assenza di scelte condivise con i lavoratori e le loro rappresentanze. Per quanto sopra descritto queste protestano per l’atteggiamento dell’Amministrazione e chiedono per l’ennesima volta un incontro con il solo Capo Dipartimento Dott.ssa Chinnici, nell’assenza di risposte concrete e della richiesta convocazione si vedranno costrette, nell’interesse del personale di Polizia Penitenziaria dell’Istituto Penale per Minorenni di Bologna, a possibili azioni legali nei confronti del Dipartimento Giustizia Minorile per comportamento antisindacale. Bologna: Sappe; detenuto di origine magrebina ha tentato il suicidio, salvato dagli agenti Adnkronos, 29 maggio 2013 Un detenuto di origine magrebina, rinchiuso nel carcere bolognese della Dozza, ha tentato il suicidio. Lo segnala il Sappe in una nota. “L’uomo, di circa 30 anni, dopo aver fatto un rudimentale cappio, è salito su uno sgabello per lanciarsi in avanti, ma proprio in quel momento l’agente della polizia penitenziaria, in servizio nella sezione detentiva, accortosi del gesto, è entrato nella cella e lo ha tratto in salvo. L’uomo, già in passato, aveva tentato il suicidio ed era stato salvato dalla polizia penitenziaria che, in ragione di ciò, lo teneva sotto stretto controllo”. “Ricordiamo -prosegue la nota- che ogni anno sono circa 1100 i detenuti che tentano il suicidio e vengono salvati dalla polizia penitenziaria che, è bene rammentarlo, è costretta a lavorare con 7500 uomini in meno, rispetto all’organico previsto. A Bologna mancano oltre 170 agenti, mentre in Emilia Romagna ne mancano 650”. Piacenza: detenuto ferisce agenti con lametta, messo in cella di massima sicurezza Agi, 29 maggio 2013 Aggressioni in carcere: due agenti della Polizia Penitenziaria sono stati feriti da un detenuto extracomunitario con una lametta. Quattro punti di sutura alla mano destra per un Assistente e un taglio ad un braccio per un Agente che hanno dovuto far ricorso alle cure mediche dell’Ospedale piacentino. Questo l’ennesimo bilancio di aggressioni che emergono dalle Novate. Il detenuto è stato subito bloccato ed accompagnato nelle celle di massima sicurezza dell’isolamento e stamani si è anche cosparso di escrementi ed ha iniziato ad inveire contro il personale della Polizia Penitenziaria. Pisa: cena solidale per i carcerati, giovedì 6 giugno alle 20,30 all’istituto alberghiero Il Tirreno, 29 maggio 2013 Cena di solidarietà per i detenuti giovedì 6 giugno alle 20,30 all’istituto alberghiero a tavola con le ricette scritte dai carcerati Giovedì 6 giugno il direttivo della Camera Penale di Pisa, insieme ai membri della giunta dell’Ucpi, gli avvocati Ezio Menzione e Manuela Deorsola come responsabile dell’Osservatorio Carcere, al presidente dell’ Ordine degli Avvocati di Pisa, Rosa Capria e al garante dei diritti dei detenuti del Comune di Pisa, entrerà in carcere (nella foto) per la visita programmata “a celle aperte”. A seguire ci sarà la cena di solidarietà per i detenuti del “Don Bosco” che si terrà alle 20,30 nella scuola alberghiera Matteotti”, in via Garibaldi, 19: studenti e professori dell’istituto cucineranno e presenteranno le ricette dei detenuti della casa circondariale pisana tratte dal libro edito dalla casa editrice Ets, “Ricette al fresco.” Parte del ricavato dell’iniziativa sarà devoluto all’istituto penitenziario per l’acquisto degli arredi utili a migliorare l’accoglienza e la vivibilità del carcere. Cuneo: nel carcere del Cerialdo torneo di calcio fra detenuti e amministratori comunali La Stampa, 29 maggio 2013 Ieri pomeriggio (martedì) si è svolto uno speciale “quadrangolare” di calcetto nella casa circondariale Cerialdo di Cuneo. Si sono sfidate 4 squadre: i detenuti che frequentano le classi prima e seconda dell’istituto professionale alberghiero “Virginio-Donadio”, gli alunni dell’ultimo anno della sede di Dronero e di quella del tecnico-agrario di Cuneo e una rappresentanza di amministratori del Comune (tra cui i consiglieri Demichelis, di Vico, Collidà, Arneodo e Cravero). Il torneo è stato vinto dalla squadra dei detenuti-studenti, in finale contro la squadra dell’Agrario. A tutti i partecipanti il Comune di Cuneo ha consegnato una medaglia-ricordo. A premiare i vincitori il sindaco Federico Borgna, il direttore del carcere Claudio Mazzo e il dirigente del “Virginio Donadio” Claudio Dutto. Per un pomeriggio di sport e svago. Libri: “La pena visibile”, di Salvatore Ferraro, edito da Rubbettino Agenzia Radicale, 29 maggio 2013 Per alcuni il nome deriverebbe da “coercere”. Ma secondo altri è nell’aramaico che la parola carcere affonda le sue radici: “carcar”, si scriveva nell’antica lingua semitica. Tumulare. Un verbo che Salvatore Ferraro, giurista ed ex detenuto (condannato nel 2003 a 4 anni di reclusione per favoreggiamento nell’omicidio della studentessa Marta Russo, uccisa a Roma nel 1997) ha usato spesso durante la presentazione del suo ultimo saggio, “La pena visibile”, edito da Rubbettino. Forse perché anche la sua mente, prima ancora del suo stesso corpo, è stata seppellita nel terreno arido del sistema giudiziario italiano: spogliato - e non solo metaforicamente - delle sue vesti di cittadino, il detenuto viene estirpato dalla comunità che ha infettato con il suo carico di minaccia per essere inumato nel limbo della passività. Qui, nelle prigioni di Stato, Ferraro ha trascorso un anno e quattro mesi di carcere preventivo, per poi scontare altri otto mesi ai domiciliari. Da quel momento fu chiaro lo scopo da perseguire: impegnarsi affinché la “tumulazione carceraria” sia sostituita da una sanzione che restituisca il condannato alla società attraverso relazioni e attività ad essa utili, cosicché la pena diventi visibile e l’espiazione della colpa fruttuosa. Non si tratta di abolire la punizione, ma di riformare drasticamente un sistema che, spiega Ferraro, è fallito: la reclusione, oramai da trecento anni, non soddisfa nessuna delle esigenze per cui è applicata. L’uomo è privato della sua libertà perché ha un debito da estinguere nei confronti della società in cui vive, ma la pena carceraria non farà altro che farlo sentire creditore rispetto a un mondo che lo ha dimenticato, cancellato, annullato. Dietro le sbarre c’è l’invisibilità. Ed è contro questo mantello stregato fa scomparire l’uomo che Ferraro punta la sua bacchetta magica: il condannato deve pagare, ma deve farlo fuori, attraverso un percorso sanzionatorio a cui partecipano lui stesso, la vittima del reato e la comunità. Il reo potrebbe ad esempio lavorare in un ospedale, in un museo e, svolta la sua attività quotidiana, potrebbe tornare a dormire a casa propria, agli arresti domiciliari, oppure in strutture d’accoglienza pubbliche. Un sistema ovviamente da applicare soltanto ai condannati non pericolosi che, come sottolinea ancora il giurista, in Italia rappresentano il 94,% dei reclusi: per ognuno di loro - è bene ricordarlo - ogni mese lo Stato spende più di 4000 euro. Negli ultimi dieci anni il sistema penitenziario italiano nel suo insieme è costato circa 30 miliardi di euro. E un tasso di recidiva altissimo. E la condanna di Strasburgo. E diritti persi. E centinaia e centinaia di suicidi. Quella di Ferraro, questo è certo, oltre a rappresentare un interessante spunto di riflessione (e l’ennesima occasione per un profondo mea culpa di società e istituzioni) è probabilmente un’utopia intessuta di proposte intriganti e teorie poco praticabili. Ma è sicuramente questo il punto di partenza per lasciare ai fantasmi le loro catene e ridare agli uomini la loro carne, le loro ossa, i loro muscoli. La loro visibilità. Immigrazione: Cie Milano, la Croce Rossa parteciperà al bando di gestione Redattore Sociale, 29 maggio 2013 Fino a ieri non risultava nessun candidato. La Croce rossa è stata ente gestore fino a quest’anno, con un compenso di 60 euro al giorno per ogni ospite. Cifra dimezzata per i prossimi tre anni. La Croce Rossa parteciperà al bando di gestione del centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Corelli a Milano. Lo afferma il presidente della sede provinciale di Milano Antonio Arosio. Aspetterà gli ultimi due giorni, dato che in Prefettura al 28 maggio ancora non si era ufficialmente presentato nessuno. La Croce rossa è stata ente gestore del Cie di via Corelli fino a quest’anno, con un compenso di 60 euro al giorno per ogni ospite. Il prossimo ente lo gestirà conla metà: l’appalto è affidato con il criterio del massimo ribasso e la base d’asta è 30 euro. “Non è compito del presidente dare risposte della copertura finanziaria - risponde Arosio -. È prematuro discuterne: aspettiamo di capire come andrà il bando”. Risponderà il 5 giugno, il giorno dopo l’assegnazione dell’appalto. “In caso di vittoria, non faremo subappalti”, dichiara Arosio. Tutti i sette operatori diurni e i tre notturni saranno interni alla Croce rossa. Stesso discorso per chi si occupa del sostegno psicologico: “Per noi non è nulla di nuovo - prosegue il presidente della Croce rossa milanese, riferendosi all’importanza di questo sostegno enfatizzata anche nel bando dalla Prefettura. Il sostegno di questo tipo è fondamentale, sono anni che lo facciamo”. Il bando emanato dalla Prefettura di Milano per la gestione del Cie di via Corelli prevede un contratto triennale, non rinnovabile, che decorre dal 1 ottobre 2013. Nel caso in cui il bando vada deserto, per i primi tre mesi la gestione è affidata all’ente gestore uscente, con un compenso che non può superare quello mensile stabilito nell’ultimo contratto. Tra le clausole, è prevista una possibile rescissione se per trenta giorni i detenuti di via Corelli saranno meno di 66. Altro punto stabilito dalla Prefettura è la pubblicazione di un report bimestrale sulle prestazioni concesse dal Cie, il numero di presenze e di personale impiegato. L’asta al massimo ribasso nasconde delle insidie, come insegnano gli altri centri d’espulsione d’Italia. Perché al risparmio sulla diaria corrisponde un taglio dei servizi. Un esempio: al Cie di Modena, gestito dal 1 luglio da L’Oasi, un consorzio di Siracusa che ha vinto la gara al massimo ribasso proponendo un prezzo di 29 euro a detenuto, i lavoratori non percepiscono lo stipendio da aprile. La Cgil di Modena denuncia che solo una mensilità fino ad oggi è stata pagata per tempo. Il 10 maggio la garante per i detenuti dell’Emilia-Romagna Desi Bruno ha visitato la struttura. E il bilancio è stato impietoso: manca l’assistenza psicologica, è a rischio quella sanitaria e il cibo è insufficiente per tutti i detenuti. Brasile: il Programma Apac nelle carceri, perché l’uomo non è il suo errore… di Francesca Rosati Famiglia Cristiana, 29 maggio 2013 In Brasile da 40 anni si sperimenta una metodologia alternativa di espiazione della pena, che punta sulla reintegrazione nella società. Una sperimentazione ora premiata dalla World Bank. L’uomo non è il suo errore. Un’affermazione densa di significati, ancor più se è scritta sui muri di una prigione. Accade in Brasile, dove nel 1972 Mario Ottoboni, volontario a Sao Paulo della Fbac (Fraternidade brasileira de assistencia aos condenados) dedito alla pastorale carceraria, mise a punto un progetto che, senza negare l’aspetto punitivo della detenzione, promuovesse i diritti umani dei carcerati preparando la loro reintegrazione nella società. Nacque così il programma Apac (Associacoes de protecao e assistencia aos condenados), oggi riconosciuto dalla Legge brasiliana e praticato dai tribunali di 17 stati brasiliani. Una metodologia che costituisce una reale alternativa di espiazione della pena detentiva: i detenuti scontano la propria pena nei Centri di reintegrazione sociale Apac, centri in cui non è presente la polizia penitenziaria ma sono gli stessi detenuti a essere responsabili della sicurezza e del regolare andamento dell’istituto. Il programma può vantare il raggiungimento di risultati a dir poco strabilianti: mentre la media brasiliana di recidiva dei condannati arriva fino all’80 per cento, per i detenuti nelle APAC si attesta tra il 10 e il 15 per cento. Un altro aspetto che dovrebbe far riflettere, è che il costo di costruzione di un posto/persona è pari a un terzo del costo del carcere comune e quello di mantenimento è la metà. Elemento centrale e qualificante del programma è la formazione professionale, intesa soprattutto come strumento di sviluppo del potenziale umano del detenuto. I due aspetti, infatti, vanno di pari passo nel processo di espiazione della pena, inteso sia in senso punitivo sia riabilitativo. I prigionieri sono sottoposti a un diverso regime detentivo rispetto al carcere comune. Prima attraversano un processo di ricostruzione umana e familiare. Poi, quando possono accedere al regime di semi-libertà, ricevono una formazione professionale che si accompagna al percorso già avviato di riscatto e crescita umana. Il programma si è dimostrato vincente perché l’intero sistema sociale ne beneficia a diversi livelli: se ne giovano gli ex detenuti in grado di perseguire un reale reinserimento nella vita sociale, e ne beneficia la società stessa. Infatti più ex detenuti avranno la possibilità di lavorare e mantenere così la propria famiglia, più bassa sarà la probabilità di commettere nuovi crimini e la società diverrà più sicura e meno violenta. Infine, ne trae vantaggio anche il mercato del lavoro, che avrà a disposizione una forza lavoro più qualificata. Da tempo partner della Fbac è la Fondazione Avsi, convinta che l’attività di cooperazione allo sviluppo non possa mai prescindere da azioni concrete, volte allo sviluppo del potenziale umano ancor prima che prettamente economico. Avsi quindi non solo ha recepito la metodologia Apac ma l’ha promossa con il Progetto Além dos Muros (Oltre il muro), nello stato brasiliano di Minas Gerais. Il contributo della Fondazione ha permesso di sviluppare corsi di panificazione ed edilizia civile rivolti a 1400 detenuti delle 29 Apac presenti nello stato, oltre a programmi di formazione per il direttore e il personale dell’istituto penitenziario. Inoltre Fondazione Avsi e i suoi partner locali sono impegnati in attività di sensibilizzazione che stimolano la partecipazione della società (Governo, potere giudiziario, settore privato e società civile) nel processo di reintegrazione dei detenuti. Un aspetto fondamentale, quest’ultimo, dal momento che il pregiudizio delle persone rappresenta il principale ostacolo per il riscatto dei condannati. La metodologia sviluppata in Brasile ha fatto proseliti anche all’estero ed è stata riconosciuta come un punto di riferimento a livello internazionale: lo scorso 20 maggio a Washington, infatti, è stata insignita del premio indetto dalla World Bank “Experiences From The Field”, nella categoria “Most promising approach”. Un riconoscimento del valore della cooperazione tra settore pubblico, privato e terziario - rappresentato dalle Ong - nell’ambito carcerario e nel problema del reinserimento nella società degli ex detenuti. Come dire che l’uomo può essere più grande dei propri errori e che, oltre il muro, è possibile un futuro diverso. Francia: preso rapinatore in fuga dopo spettacolare evasione, porta divelta con esplosivo Ansa, 29 maggio 2013 È terminata nella notte in un albergo di Pontault-Combault, nella regione parigina dell’Ile de France, la fuga durata sei settimane di uno degli uomini più ricercati di Francia. Redoine Faid, rapinatore e autore di un libro autobiografico con un vasto seguito soprattutto nelle banlieue, è stato catturato insieme a un complice. Lo ha annunciato il ministero dell’Interno francese. Il ministro Manuel Valls si è congratulato con i suoi per “l’inchiesta minuziosa ed efficace”. Faid era fuggito il 13 aprile scorso dal carcere di Sequedin, nel nord della Francia, in una spettacolare evasione in cui si era aperto un varco facendo esplodere una porta della prigione. Nei confronti dell’uomo, condannato per un tentativo di rapina a mano armata costato la vita a una poliziotta nel 2010, era stato emesso anche un mandato di cattura europeo. Afghanistan: denuncia avvocati; a Camp Bastion mesi di detenzione senza capi di accusa Tm News, 29 maggio 2013 Sono tra 80 e 90 gli afgani detenuti nella base di Camp Bastion, in Afghanistan, già ribattezzata la Guantánamo britannica. Il ministro della Difesa britannico, Philip Hammond, ha confermato oggi la loro detenzione, dopo che i legali di otto prigionieri hanno denunciato l’illegalità di una detenzione protratta per mesi senza alcun capo di accusa a loro carico. Secondo gli avvocati, i loro assistiti sono stati arrestati in raid condotti nelle province di Helmand e Kandahar e sono in carcere da 8-14 mesi. I legali hanno chiesto all’Alta Corte britannica di ordinare il loro rilascio, ma il ministro ha denunciato il rischio per le truppe britanniche se la richiesta venisse accolta. Come ricorda oggi la Bbc, le truppe britanniche di stanza in Afghanistan possono trattenere persone sospette fino a 96 ore; tuttavia, “in circostanze eccezionali”, quali la necessità di raccogliere informazioni di intelligence, i sospetti possono essere trattenuti più a lungo. Ministro Gb: a Camp Bastion detenzioni del tutto legali Sono 80-90 i prigionieri, di nazionalità afgana, detenuti dalle autorità britanniche nella base di Camp Bastion, in Afghanistan, e la loro detenzione è del tutto legale. È quanto ha affermato il ministro della Difesa di Londra, Philip Hammond, rispondendo alle accuse sollevate da alcuni legali britannici che rappresentano otto prigionieri. “Non commenterò i casi singoli - ha detto Hammond. Ma dire che si tratta di una prigione segreta è assolutamente ridicolo”. Il ministro ha anche sottolineato che il governo è stato sempre molto trasparente sulla presenza di questa prigione.