Il Ministero dell'Istruzione sostiene "A scuola di libertà. La scuola impara a conoscere il carcere" di Ornella Favero ed Elisabetta Laganà Ristretti Orizzonti, 28 maggio 2013 Ornella Favero, direttore di Ristretti Orizzonti ed Elisabetta Laganà, presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia hanno incontrato oggi il referente del Ministero dell’Istruzione per la presentazione del progetto “A scuola di libertà” - La scuola impara a conoscere il carcere. Giornata Nazionale di informazione e sensibilizzazione”. Con questa iniziativa le due sigle intendono promuovere un modello di vera “sicurezza sociale” basato sulla solidarietà, la prevenzione, la responsabilizzazione, attraverso lo scambio di esperienze, le testimonianze di persone detenute e di chi si occupa di questi temi e il confronto con i giovani (soggetti protagonisti di futuri cambiamenti culturali), ma anche con genitori e insegnanti. È una iniziativa che, se da un lato concorre ad “abbattere” le barriere culturali ed emotive che fanno del carcere un mondo a sé, per altro verso incide sul processo formativo degli adolescenti aiutandoli a costruire una coscienza critica sul mondo della detenzione e sull’informazione che gravita intorno ad esso. L’iniziativa ha avuto il lancio lo scorso febbraio con la promozione del logo per la giornata, prevista il 15 novembre, concorso al quale hanno partecipato decine di istituti che hanno inviato i loro elaborati, segni tangibili di un diffuso interesse e partecipazione su questi temi da parte degli alunni e degli insegnanti che hanno promosso e sostenuto il concorso. Le adesioni pervenute alla giornata toccano per ora la cifra di 100 istituti scolastici, cifra che raggiunge alcune centinaia tradotto in termini di classi. Un obiettivo felicemente raggiunto che denota la volontà di partecipare in prima persona ad una iniziativa di elevato valore culturale, come è stato espresso da chi l’ha fattivamente sostenuta. La sigle hanno richiesto che la giornata sia ufficializzata e promossa dalle direzioni scolastiche centrali e locali su tutto il territorio nazionale ed hanno richiesto al Ministero dell’Istruzione il patrocinio per l’iniziativa. Il Ministero ha accolto con favore ed entusiasmo l’iniziativa, ritenendola di grande interesse ed utilità formativa ed esprimendo la disponibilità al suo sostegno. La “questione carcere” è di grave rilevanza istituzionale, non soltanto sociale ed economica di Elisabetta Laganà (Presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia) Ristretti Orizzonti, 28 maggio 2013 La decisione della Corte Europea di rigettare il ricorso dell’Italia, che ha impugnato la sentenza Torreggiani di Strasburgo sulle carceri, rimarca l’errore del Governo di avere architettato una soluzione attendista dai prevedibili risultati, finalizzata unicamente a guadagnare tempo a scapito delle condizioni dei ristretti in carcere, le cui condizioni sono indiscutibilmente da riferirsi come emergenza nazionale. L’attuale situazione è da attribuirsi a vari fattori che nel tempo hanno contribuito a creare una patologia del sistema per la quale occorrono più rimedi strutturali. Ora non ci sono più scuse e soluzioni urgenti e sistematiche si impongono. È bene rammentare che nel 2012 la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia al pagamento di 120 milioni di euro di risarcimenti per violazioni dei diritti umani, sul totale di 176 milioni comminati agli Stati europei. Gli altri paesi si collocano a grande distanza da questo triste primato. La questione carcere è quindi di grave rilevanza istituzionale, oltre al danno economico e sociale che provoca. Il Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri ha affermato che le condizioni delle carceri italiane non sono degne di un paese civile e che la soluzione non va reperita solo nella costruzione di nuove carceri. È quanto il Volontariato della giustizia sostiene da molto tempo, che in questi anni ha presentato innumerevoli proposte anche in termini di riforme legislative, sinora sempre disattese. Ora, con la proposta delle “3 leggi per la giustizia e i diritti” ci aspettiamo una via d’urgenza per la loro rapida approvazione, insieme alle importanti linee di intervento che la Commissione Giostra ha elaborato. Giustizia: la Corte europea rigetta il ricorso, Italia nell’angolo sulle carceri di Simona D’Alessio Italia Oggi, 28 maggio 2013 L’Italia avrà un anno di tempo per trovare una soluzione al grave fenomeno del sovraffollamento nelle carceri. E sarà tenuta a risarcire sette detenuti per i danni morali subiti in cella. A stabilirlo la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha così rigettato il ricorso del nostro paese contro la sentenza di condanna emessa dai giudici di Strasburgo l’8 gennaio scorso, in cui si sottolineava la violazione dei diritti dei carcerati, trattenuti in spazi particolarmente angusti; la causa Torreggiani e altri riguarda il trattamento cui sono stati sottoposti sette reclusi nella prigione di Busto Arsizio (Varese) e in quella di Piacenza, ai quali il governo dovrà adesso corrispondere un l’indennizzo complessivo di 100 mila euro. Nel pronunciamento di inizio anno la Corte aveva messo in luce come, per assicurare il rispetto della dignità dell’individuo, fosse necessario garantire negli istituti di pena almeno tre metri quadrati a disposizione per ogni persona. Una condizione di non facile realizzazione, se si considerano i numeri delle presenze nelle carceri della Penisola: secondo le ultime rilevazioni, riferite pochi giorni fa in Parlamento dal ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, la cifra totale al 15 maggio 2013 è di 65.891, di cui circa 23 mila stranieri e 18.821 in eccesso rispetto alla capienza regolamentare delle 206 sedi dislocate nel territorio nazionale; 24.691 sono in attesa di giudizio (indagati, o imputati in custodia cautelare), 40.118 condannati e 1.176 internati. Secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, l’associazione che tutela i diritti dei detenuti, le proposte di Donatella Ferranti (Pd) e Francesco Nitto Palma (Pdl), al vertice delle commissioni Giustizia di Camera e Senato, per risolvere la piaga del sovraffollamento non sortiranno effetti positivi sulla vivibilità in cella, né faranno diminuire la popolazione nel giro di un anno: la “detenzione domiciliare e la messa alla prova”, commenta, “sono iniziative di buonsenso, ma non spostano per nulla l’impatto numerico” dei reclusi. Al contrario, osserva, bisognerebbe intervenire sulle “leggi che producono carcerazione, come quella sulle droghe, l’immigrazione”, nonché “sulla recidiva e sulla custodia cautelare”. Giustizia: ancora strigliati dall’Europa, illusorio risolvere sovraffollamento entro un anno di Graziano Bertini La Notizia, 28 maggio 2013 Detenuti stipati in celle troppo piccole, nelle quali lo spazio a disposizione è inferiore a tre metri quadrati. Un trattamento inumano e degradante, per il quale la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo conferma la condanna dell’Italia, rigettando la richiesta per il riesame del ricorso Torreggiani davanti alla Grande Camera. La sentenza emessa lo scorso 8 gennaio dai giudici di Strasburgo, diventa così definitiva e l’Italia ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. Il procedimento giudiziario, infatti, nasce dalla denuncia di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza, ai quali lo Stato dovrà pagare una somma totale di 100 mila euro per danni morali, come stabilito dai giudici europei. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg: la Corte ha infatti già ricevuto più di 500 ricorsi da altri detenuti. Che potrebbero essere tutti accolti nel caso in cui l’Italia non riesca a risolvere il problema entro un anno. Un paese che ha decisamente abusato della custodia cautelare in carcere e che ora deve correre ai ripari. Basti pensare che attualmente più di un terzo dei detenuti nelle nostre carceri è in attesa di giudizio. E ora la questione del sovraffollamento, troppo a lungo sottovalutata, diventa un’emergenza. Sul tema era intervenuta anche il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri pochi giorni fa, definendo le carceri italiane “indegne di un Paese civile”. Infatti se le norme sanitarie dispongono uno spazio minimo di almeno 9 metri quadri a detenuto, in realtà sempre più spesso i reclusi si trovano ristretti in spazi inferiori ai 3 metri. Una problema, questo, già affrontato e per il quale era già stata emessa una condanna: la prima nel 2009, per un detenuto nel carcere di Rebibbia di Roma. Dopo questa prima, sentenza risulta che l’Italia sia il terzo Paese in Europa per sovraffollamento dei penitenziari. I detenuti sono quasi 66 mila, molti di più dei posti disponibili nelle 206 prigioni italiane. Sono quasi 20 mila i reclusi in eccesso, secondo le cifre fornite dal ministro, ma contestate dall’associazione Antigone, che parla invece di 30 mila detenuti in più rispetto ai posti regolamentari. Una situazione alla quale la Corte europea ha deciso di mettere fine. Già l’8 gennaio scorso, i giudici di Strasburgo avevano chiesto all’Italia di rimuovere entro un anno le cause strutturali del sovraffollamento. “Come era ampiamente prevedibile, l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea. I cinque giudici della Grande Chambre chiamati a vagliare il ricorso dell’Italia avverso la sentenza Torreggiani ed altri, lo hanno dichiarato inammissibile”, così hanno commentato Rita Bernardini, già deputata radicale, e Giuseppe Rossodivita, avvocato radicale difensore di due dei detenuti che si sono visti riconoscere il risarcimento della Cedu per “trattamenti inumani e degradanti”. Giustizia: cinque mesi persi con un ricorso inutile, intanto nelle carceri nulla è cambiato di Daniela De Robert La Repubblica, 28 maggio 2013 Respinto. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha rigettato il ricorso dell’Italia contro la sentenza di Strasburgo che aveva condannato il nostro paese per il sovraffollamento carcerario, riconoscendo un risarcimento ai detenuti e chiedendo all’Italia di rimuovere entro un anno le cause strutturali che generano trattamenti “inumani e degradanti” nei nostri istituti penitenziari. La mossa del ricorso aveva gettato altro fango sul nostro paese. Invece di lavorare per porre rimedio a una situazione intollerabile e incivile, sotto gli occhi di tutti, l’Italia ha cercato di fare la furba. Il risultato è che abbiamo perso cinque mesi preziosi per trovare una soluzione al sovraffollamento strutturale e per riportare la legalità nelle carceri e nel nostro paese. L’8 gennaio scade il termine posto dalla Corte. Nelle carceri nulla è cambiato. Le istituzioni e la politica non hanno cercato risposte. Lo sta facendo una rete di associazioni che operano nell’ambito della giustizia e che ha proposto tre leggi di iniziativa popolare: per introdurre il reato di tortura nel sistema penale, per modificare la legge sulle tossicodipendenze, per riportare il diritto in carcere. L’8 giugno si raccoglieranno le firme nelle piazze di tutta Italia. Ne servono 50 mila. Giustizia: Rita Bernardini (Ri); subito amnistia e indulto, poi il referendum sui magistrati di Matteo Rigamonti Tempi, 28 maggio 2013 Strasburgo respinge il ricorso del governo Monti: all’Italia resta un anno di tempo per risolvere l’emergenza carceri. E la deputata radicale Bernardini annuncia un referendum. In Italia una forma di amnistia c’è già e nessuno se ne lamenta: sono gli oltre 170 mila processi che ogni anno cadono in prescrizione e che così si concludono, senza che giustizia sia fatta. Ma la concessione dell’amnistia (quella vera e propria) e dell’indulto rappresenta, per Rita Bernardini, radicale e deputato del Pd, il primo passo verso la soluzione del sovraffollamento delle carceri. Un’emergenza che vede coinvolti più di 66 mila detenuti a fronte di una capienza di poco più di 45 mila e che è valsa all’Italia la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti. E ora che la Cedu ha confermato la sentenza che concede all’Italia un anno di tempo per trovare una soluzione, i radicali, constatando il lassismo degli altri partiti sul tema, hanno preso l’iniziativa e presenteranno martedì 28 maggio in Cassazione sei quesiti referendari per dare inizio alla raccolta delle firme. Quali? Lo abbiamo chiesto proprio a Bernardini. Onorevole Bernardini, l’ennesima figuraccia per l’Italia? Certamente e, oltretutto, senza che nemmeno sia stato fatto nulla per evitarla. Perché il governo Monti allora aveva chiesto il riesame della sentenza? Per prendere tempo: l’esecutivo si è comportato come fanno quegli imputati che cercano di rinviare la decisione dei giudici fino a che il reato cade in prescrizione. Così facendo i tecnici cosa hanno ottenuto? Se prima la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva dato al nostro paese un anno di tempo per rimuovere quelle cause strutturali che determinano trattamenti disumani per la popolazione carceraria italiana, ora l’Italia ha guadagnato cinque mesi in più. Il conto alla rovescia, infatti, comincia da ora. Solo che, in questo caso, non c’è nessuna prescrizione che si avvicina. Non c’è prescrizione alcuna per chi pratica la tortura e calpesta da anni i diritti fondamentali. E l’Italia è da decenni che viola l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che dice che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Oltre al sovraffollamento delle carceri, preoccupa il numero di carcerati ancora in attesa di giudizio. Sì, è vero. I detenuti ancora in attesa di giudizio, in Italia, sono in percentuale sul totale della popolazione carceraria, il numero più alto d’Europa, e sfiorano il record del 40 per cento sul totale. Come se ne esce? Noi lottiamo da tempo per la concessione dell’indulto e dell’amnistia, ma se il governo dovesse avere soluzioni altrettanto rapide ed efficaci, prego, faccia pure. Purché faccia presto e rientri nella legalità. Fino ad ora, infatti, la politica ha solo rimandato il problema, senza proporre mai strade risolutive. Amnistia non è una parola che piace proprio a tutti… Tenga conto che, in Italia, un’amnistia di fatto già c’è. Non vedo perché debba essere osteggiata. A cosa si riferisce? Agli oltre 170 mila processi che, ogni anno, cadono in prescrizione. Di che si tratta se non di un’amnistia? La decisione di concedere amnistia e indulto sarebbe il minimo e, oltretutto, avrebbe un effetto benefico nel ridurre complessivamente la durata dei 5 milioni e 300 mila processi che, in Italia, sono pendenti, così come dimostrato da uno studio dell’Istat e del Senato. Poi, ogni altra proposta è ben accetta. Anche lo smaltimento dei processi pendenti è un tema. Ma da quanto tempo lo è! Troppo. Del resto anche l’ex ministro Severino aveva riconosciuto il problema, dicendo che, se non si fossero liberate le scrivanie di giudici e magistrati, la giustizia si sarebbe fermata. Non solo non si sono smaltiti i procedimenti; ma quelli pendenti sono aumentati del 2,2 per cento. Che fare, dunque? Fermo restando che il nostro auspicio rimane quello della concessione di indulto e amnistia, noi, che degli altri partiti ci fidiamo poco, abbiamo deciso di presentare in Cassazione sei quesiti referendari per dare inizio alla raccolta delle firme: due sono sulla responsabilità civile dei magistrati, uno sulla separazione delle carriere dei magistrati, uno riguarda l’abuso della custodia cautelare, uno l’abolizione dell’ergastolo e l’ultimo è sui magistrati fuori ruolo. Giustizia: Tamburino (Dap); dalla Corte europea uno stimolo in più per trovare soluzioni Adnkronos, 28 maggio 2013 “La pronuncia della Corte europea che concede un anno di tempo all’Italia con decorrenza da oggi per risolvere il sovraffollamento delle carceri, rappresenta uno stimolo in più per portare il sistema penitenziario a un livello di civiltà doveroso per un Paese come il nostro e per combattere con maggiore impegno ogni situazione che possa compromettere i diritti umani del detenuto”. Lo dice all’Adnkronos il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. I giudici della Corte Europea dei diritti dell’Uomo hanno respinto oggi il ricorso che era stato presentato dall’Italia contro una sentenza di Strasburgo che aveva condannato il sistema carcerario del nostro Paese per il trattamento inumano e degradante di alcuni detenuti. “Di fronte al fenomeno del sovraffollamento - rimarca il Capo del Dap - un dato reale esistente da almeno 5 anni, l’Amministrazione penitenziaria sta impegnando tutte le proprie forze sia in direzione della costruzione di nuovi edifici, sia nello studio e nella proposta di soluzioni che valgano a contenere il ricorso al carcere preventivo e non solo preventivo, davvero entro i termini dell’estrema ratio”. Giustizia: la Cedu conferma condanna Italia sul sovraffollamento… i commenti dei politici Ristretti Orizzonti, 28 maggio 2013 Manconi (Pd); ora misure urgenti, pene alternative e provvedimenti di clemenza “La decisione con cui ieri la Grand Chambre della Corte europea dei diritti umani ha confermato la sentenza-pilota che obbliga l’Italia a porre rimedi strutturali al gravissimo sovraffollamento delle carceri impone al Parlamento e al Governo l’adozione di un vero e proprio pacchetto di misure per la legalità penitenziaria”. Lo dichiara il senatore del Partito democratico Luigi Manconi. “Bisognerà rinnovare e potenziare le pene alternative alla detenzione, sottrarre al carcere i consumatori di sostanze stupefacenti e adottare gli indifferibili provvedimenti di clemenza previsti dalla Costituzione e necessari a sanare immediatamente la condizione di illegalità delle carceri rilevata dalla Cedu”. Bernardini (Ri): l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea “Come era ampiamente prevedibile, l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea. I cinque giudici della Grande Chambre chiamati a vagliare il ricorso dell’Italia avverso la sentenza Torreggiani ed altri, lo hanno dichiarato inammissibile”. Hanno affermato in una nota Rita Bernardini, già deputata radicale, capolista delle liste Amnistia, Giustizia, Libertà alle scorse elezioni e Giuseppe Rossodivita, avvocato radicale difensore di due dei detenuti che si sono visti riconoscere il risarcimento della CEDU per “trattamenti inumani e degradanti”. “Ricordiamo che la Corte Edu, l’8 gennaio scorso, nel riconoscere il risarcimento ai sette detenuti, ha chiesto all’Italia, con una sentenza pilota, di rimuovere entro un anno le cause strutturali che generano trattamenti inumani e degradanti nei nostri istituti penitenziari (violazione sistematica dell’art. 3 della Convenzione - Cedu) - continua la nota dei pannelliani - L’Italia ha così rapinato cinque mesi in più per rientrare nella legalità che viola sistematicamente da decenni. Si è comportata cioè come fanno certi imputati che guadagnano rinvii fino alla prescrizione del reato. Ma in questo caso non c’è la prescrizione. Non si possono prescrivere le torture alle quali sono sottoposte decine di migliaia di detenuti nelle nostre carceri”. Di Giovan Paolo (Pd): ora approvare misure alternative “L’Italia ha già la soluzione a portata di mano per rispondere alle obiezioni del Consiglio d’Europa sul sovraffollamento carcerario: basterebbe approvare le misure alternative alla detenzione in carcere, un segno a questo punto di vera civiltà”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “L’Europa ci impone di avere carceri un po’ più a dimensione umana - continua Di Giovan Paolo - È possibile agire in tempi relativamente brevi per portare la situazione a un livello di sostenibilità”. Iacolino (Ppe): sovraffollamento insostenibile, anche Ue faccia la sua parte “Il giudizio netto e tranciante della Corte Europea dei diritti dell’uomo sulla drammatica e mortificante situazione di sovraffollamento delle carceri italiane (quasi 66.000 detenuti) - confermato dalla condanna definitiva di risarcimento danni per trattamento inumano e degradante - deve spingere Governo e Parlamento all’adozione di misure urgenti che possano attenuare le insostenibili condizioni di vivibilità in cui versano i detenuti internati presso gli istituti detentivi per garantire la dignità della persona, il rispetto dei diritti del detenuto ed evitare ulteriori richieste di risarcimento che inciderebbero sul bilancio statale, quando, invece appare archiviato il piano carcere voluto dall’ultimo Governo Berlusconi”. Lo afferma l’On. Salvatore Iacolino, Vicepresidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. “Il Governo italiano - continua Iacolino - deve richiedere all’Unione Europea, nel quadro delle prospettive finanziarie 2014-2020, il finanziamento di nuove strutture carcerarie o l’ampliamento di quelle esistenti in virtù di un mio emendamento - approvato in Aula nel 2009 nell’ambito del cosiddetto Programma di Stoccolma su Giustizia, Libertà e Sicurezza - che impegna l’Ue a tali adempimenti in quegli Stati Membri - come l’Italia - dove il sovraffollamento carcerario è dovuto alla presenza di detenuti provenienti da Paesi terzi o da altri Stati Membri. Di fronte ad un quadro di per sé allarmante è, altresì, auspicabile - conclude Iacolino una radicale e profonda riforma del sistema giustizia e della carcerazione preventiva per assicurare una giustizia rapida ed efficiente, salvaguardando il principio di presunzione di innocenza in assenza di una condanna definitiva, tenuto conto che vi sono quasi 25mila i detenuti in attesa di giudizio a fronte degli oltre 65mila carcerati presenti nei 206 istituti di pena italiani”. Ferranti (Pd): monito Europa definitivo, urge intervento rapido “Adesso che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rigettato il ricorso dell’Italia urge una soluzione rapida ed efficace al gravissimo problema del sovraffollamento carcerario”. Lo dice la presidente Pd della Commissione giustizia della Camera Donatella Ferranti in merito alla sentenza della Corte che da oggi diventa definitiva. “Abbiamo un anno di tempo per risolvere questa “indegna” situazione, questa è una vera priorità. Il sistema penale deve essere ispirato ai principi di rieducazione e umanizzazione secondo il dettato costituzionale. In settimana in Commissione ci saranno audizioni sulle misure alternative e sulla messa alla prova per gli adulti. Norme che potrebbero avere comunque un’incidenza deflattiva rispetto al sovraffollamento e potrebbero ottenere un iter prioritario essendo già state approvate dalla Camera durante la scorsa legislatura. Inoltre giovedì avvieremo la discussione sulla riforma della custodia cautelare in carcere. Infatti più della metà dei detenuti è costituita da individui in attesa di giudizio. Dobbiamo contemperare l’esigenza di tutela del processo e della collettività da una parte e la libertà personale dell’imputato dall’altra. Il carcere deve essere, insomma, una misura da applicare come extrema ratio in presenza di una concreta e attuale pericolosità sociale. Gli ultimissimi fatti di cronaca - ha aggiunto - ci dimostrano che la situazione nei penitenziari è ormai disastrosa sia per i detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria”. Gelli (Pd): no all’amnistia, occorrono riforme “Giusto il rigetto del Consiglio d’Europa al ricorso italiano. Nelle nostre carceri il sovraffollamento ha raggiunto un livello d’inciviltà insopportabile. Ora servono provvedimenti urgenti per ridurre il numero di detenuti senza ricorrere alle tentazioni di un’amnistia che rappresenterebbe il fallimento dello Stato”. Lo ha detto Federico Gelli deputato del Pd e membro della Commissione Affari Sociali della Camera, in merito all’intervento della Corte europea dei diritti umani che ha dato un anno di tempo al nostro paese per rimediare al sovraffollamento, pena una sanzione e il risarcimento dei detenuti che ne sono stati vittime. “Quello che vediamo è una violazione continua dei diritti e della dignità delle persone detenute - ha aggiunto Gelli - e per tornare alla legalità, oltre alla realizzazione di nuove strutture, che molto probabilmente entreranno a regime solo tra molti anni, vanno modificate le due leggi che hanno contribuito non poco a questo disastro come la legge Fini - Giovanardi sulle droghe e la Bossi - Fini che ha istituito il reato di clandestinità (i detenuti stranieri sono 24.069, al 29 febbraio 2012). La Fini - Giovanardi è una norma repressiva che ha portato in carcere il 37% dei detenuti attualmente ospitati nelle nostre strutture. Persone che spesso non sono un problema di ordine pubblico ma sociale e sanitario e che possono scontare la pena con misure alternative alla detenzione in comunità terapeutiche e centri di disintossicazione. Accanto a questi provvedimenti c’è poi la gravissima situazione sanitaria all’interno delle carceri. È di poche settimane fa un rapporto presentato al quinto Congresso nazionale Icar, Italian Conference on Aids and retrovirus, che ha fornito un quadro gravissimo della situazione dove l’incidenza di malattie gravi quali epatite, Hiv, tubercolosi, sifilide interessano due detenuti su tre e uno su tre non è consapevole del proprio stato. A tutto questo si aggiungono poi i casi di disturbo psichico sempre più numerosi. Uno Stato che si dice civile - ha concluso Federico Gelli - deve anche garantire la piena assistenza sanitaria di tutti i suoi cittadini compresi coloro che devono scontare una pena”. Meloni (Fdi): risolvere questione carcerazione preventivo “Il rigetto del ricorso italiano da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo trasforma l’emergenza carceri in assoluta priorità nazionale. Fratelli d’Italia ribadisce che per risolvere il problema è necessario partire dall’applicazione di pene alternative per i reati minori e risolvere l’annosa questione dell’abuso della carcerazione preventiva. Il detenuto può e deve diventare risorsa, nel rispetto della sua dignità e dei suoi diritti inalienabili. Si potrebbe perciò ipotizzare come regola lo svolgimento di lavori socialmente utili e limitare la restrizione della libertà personale a precise tipologie di reato. Quella che invece non sarà mai la soluzione è l’amnistia: dopo la decisione della Corte siamo purtroppo indotti a credere che qualcuno rilancerà questa proposta. E Fratelli d’Italia non voterà mai a favore un provvedimento che rimette in libertà i delinquenti e fa pagare ai cittadini l’incapacità e l’inadempienza dello Stato”. È quanto dichiara Giorgia Meloni, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia. Sbai (Pdl): Italia in ginocchio di fronte ai diktat europei “Ne abbiamo abbastanza di condanne, reprimende e inaccettabili prese di posizione contro il nostro Paese. Il respingimento del ricorso italiano sull’emergenza carceri è l’ennesimo schiaffo che dobbiamo subire dall’Unione Europea, organismo vuoto e capace solo di imporre obblighi economici, ma mai di tutelare alcuni suoi Stati membri”. Così Souad Sbai, giornalista e presidente di Acmid Donna Onlus, commenta la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di rigettare il ricorso dell’Italia avverso alla sentenza dell’8 gennaio scorso con cui il sistema penitenziario nazionale era stato condannato per trattamento inumano e degradante inflitto agli ospiti delle strutture carcerarie. “Credo che il governo italiano dovrebbe far presente all’Unione Europea, così prodiga di buoni consigli e di cattive abitudini - afferma Sbai in una nota - le reiterate richieste di far scontare le pene dei detenuti stranieri nei loro paesi d’origine, richieste mai ascoltate. Si viene a delinquere in Italia, si finisce in carcere e addirittura si viene indennizzati economicamente perché qui da detenuti si vive male: e le vittime? Chi subisce uno stupro, una violenza o viene ammazzato?”, si chiede. “Siamo alla follia per un Paese che ormai deve guardarsi non solo dall’invasione di prodotti stranieri che uccidono il nostro mercato, ma anche e soprattutto dall’invasione di estremisti e jihadisti vari, che ormai entrano ed escono dai confini come fossero a casa loro, minando ogni nostra sicurezza. Ma del resto - conclude Sbai - se questi comportamenti trovano validi sponsor anche in alcune cariche istituzionali italiane, che sul denigrare il Paese dall’estero hanno costruito una fulgida carriera, mi pare evidente che l’Italia sia ormai in ginocchio davanti ai diktat europei Morganti (Eld): governo investa in ristrutturazione penitenziari “Questa sentenza deve spingere il nostro Governo, ma anche l’Europa, ad affrontare urgentemente il problema del sovraffollamento delle carceri italiane. Mi auguro che una buona parte delle risorse disponibili, per gli investimenti futuri, vengano destinate alla ristrutturazione dei penitenziari esistenti”. Questo il giudizio espresso dall’eurodeputato toscano indipendente Eld Claudio Morganti in merito alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di confermare la condanna, all’Italia, per la violazione dei diritti umani dei detenuti, respingendo il ricorso presentato dal nostro Paese. I giudici di Strasburgo hanno stabilito che l’Italia dovrà risarcire i detenuti, che avevano sporto denuncia, pagando un’ammenda di 100 mila euro. “La situazione attuale è insostenibile - ha dichiarato Morganti - ed è anche colpa delle politiche di libera circolazione tra Stati membri e di una mancata difesa, da parte dell’Europa, del nostro Paese, che in questi ultimi anni ha subito di più l’immigrazione a causa della sua posizione geografica”. “L’Ue, come avevo chiesto tempo fa in un’interrogazione alla Commissione europea, - ha specificato - dovrebbe favorire accordi globali per permettere ai detenuti, arrestati sul suolo europeo, di scontare la pena nei loro Paesi d’origine”. “Se ciò non dovesse bastare a migliorare le condizioni dei carcerati - ha concluso Morganti - invece di prendere misure di amnistia o indulto, o di costruire nuove strutture, si utilizzino i tanti penitenziari già costruiti e mai entrati in funzione”. Iorio (Psi): il governo non perda altro tempo con ricorsi infondati “Il nostro Governo invece di perder tempo con ricorsi vari, tra l’altro infondati, alle istituzioni europee, si deve impegnare ad affrontare rapidamente la situazione carceraria come imposto dalla Suprema Corte di Strasburgo che ha concesso un anno di tempo, a partire da oggi, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri”. Così Luigi Iorio responsabile nazionale diritti del Psi. “Da tempo - prosegue Iorio - noi socialisti stiamo evidenziando, accompagnati dal silenzio assordante dei media come l’emergenza carceraria in Italia sia una piaga sociale da risolvere al più presto”. L’auspicio è che un problema come questo, a lungo sottovalutato trovi una rapida ed efficace soluzione, evitando così al nostro Paese - conclude Iorio - di continuare ad essere la maglia nera d’Europa in tema di sovraffollamento carcerario”. Barani (Pdl): determinazioni europee impongono interventi urgenti “La conferma da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo della condanna all’Italia per le condizioni in cui versano i detenuti nelle strutture penitenziarie, costituisce un’ulteriore campanello d’allarme che impone di rivedere con urgenza non soltanto il sistema carcerario, bensì quello giudiziario nel suo complesso”. Così il senatore Lucio Barani commenta la sentenza della Corte di Strasburgo che impone all’Italia di intervenire per migliorare le proprie strutture detentive. “Oltre ad i problemi di capienza e delle condizioni spesso degradanti dei detenuti, dovuti strettamente alla problematica dell’edilizia carceraria - prosegue Barani - è giunto infatti il momento di una seria riflessione tra tutte le forze politiche responsabili che porti ad una riforma sostanziale della giustizia nel Paese”. “Non si può continuare a far finta di ignorare che dietro le motivazioni con cui l’Europa oggi ci condanna vi sono anche un utilizzo frequentissimo dell’istituto della carcerazione preventiva ed un numero impressionante di detenuti in attesa di giudizio - aggiunge il senatore Pdl - nonostante le chiare indicazioni che fornisce la nostra Costituzione circa la contestazione della colpevolezza solamente con una condanna definitiva”. “Credo pertanto che Governo e Parlamento siano chiamati oggi più che mai ad intervenire con urgenza su una così tanto sentita ed al contempo degradante questione - conclude Barani - anche alla luce di un percorso teso al ridimensionamento della popolazione carceraria abbozzato già durante la scorsa legislatura”. Molteni (Lnp): sentenza corte europea è fallimento politiche emergenziali “Il rigetto del ricorso dell’Italia contro la sentenza della Corte Europea è la rappresentazione plastica del fallimento di tutte le politiche emergenziali adottate in questi anni che, oltre ad arrecare danni, non hanno portato ad alcun risultato. Abbiamo un anno di tempo per risolvere la situazione in maniera organica e ci auguriamo di non trovarci ancora una volta di fronte a soluzioni tampone quali il provvedimento “salva delinquenti” o “pene alternative”, che si sono rivelate pericolose e del tutto vane. La problematica va affrontata con serietà e lungimiranza e, per farlo, non si può prescindere dalla realizzazione di nuove carceri e dal compimento di accordi bilaterali tra stati così che i detenuti stranieri possano scontare la pena nei rispettivi Paesi d’origine. L’emergenza carceri non può essere arginata con provvedimenti d’urgenza, occasionali o tampone ma con soluzioni organiche”. Lo dichiara Nicola Molteni, capogruppo in Commissione giustizia a Montecitorio per la Lega Nord, commentando la notizia della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso dell’Italia e ha confermato che entro un anno si dovrà trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. Fontana (Lnp): rimpatrio detenuti stranieri unica soluzione La Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha confermato la condanna emessa lo scorso 8 gennaio contro l’Italia per trattamento inumano e degradante dei suoi detenuti (caso Torreggiani e altri contro Italia). Entro un anno, sarà necessario risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e corrispondere ai detenuti promotori dell’azione in giudizio, una somma pari a centomila euro. L’On. Lorenzo Fontana, capodelegazione della Lega Nord al Parlamento Europeo, fortemente attivo negli ultimi mesi sul tema, commenta così la sentenza: “Innanzitutto, considero assurdo che l’Europa pretenda di imporre ad uno Stato membro di risolvere un problema così annoso in un solo anno. La soluzione è ancora più lontana, dal momento che la nostra proposta di far scontare la pena ai detenuti stranieri nei Paesi d’origine non sembra essere gradita agli ambienti politicamente corretti di Bruxelles”. Fontana commenta gli ultimi dati sul sovraffollamento, divulgati dal Ministero della Giustizia: “Cifre alla mano, al 30 aprile di quest’anno la capienza nominale delle carceri italiane era praticamente invariata (47.045 posti disponibili) ma si registravano 65.917 detenuti, dei quali 23.438 stranieri. Con il rimpatrio di questi ultimi, la situazione delle nostre carceri rientrerebbe negli standard”. Infine, sottolinea: “è eccessivo anche il numero dei detenuti in attesa di giudizio. Sempre al 30 aprile 2013 se ne contavano, tra italiani e stranieri, 12.258 a riprova che non si può sorvolare sul problema della lunghezza dei processi e dell’inadeguata produttività della magistratura”. Esposito (Pdl): ora Parlamento deve agire in fretta “Si è già perso troppo tempo nella scorsa legislatura, ora si faccia presto e bene con senso di responsabilità ma anche di umanità a prescindere dal rigetto del ricorso da parte della Corte europea sul sovraffollamento carcerario il Parlamento deve impegnarsi a varare il prima possibile una legge adeguata per il nostro Paese”. Lo ha affermato il vicepresidente dei senatori del Pdl, Giuseppe Esposito. “L’Italia - ha aggiunto - deve prendere spunto dai migliori esempi europei ricordando che le pene detentive servono per rieducare il carcerato e non possono essere finalizzate all’abbrutimento della persona”. Scalfarotto (Pd): Italia deve superare ignominia “La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha confermato la condanna nei confronti dell’Italia a causa del sovraffollamento e delle condizioni disumane che si vivono nelle carceri del nostro Paese. Un problema troppo a lungo sottovalutato è diventato un emergenza che mette l’Italia in una situazione disonorevole e vergognosa davanti all’intera comunità internazionale”. Questo il commento di Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Partito democratico e componente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, alla sentenza pronunciata oggi dalla Grande Camera della Cedu nel caso Torreggiani. “Dobbiamo smettere di pensare alle carceri quali grandi discariche di rifiuti umani e recuperare la funzione rieducativa della pena di cui parla la costituzione. La situazione delle carceri è un tema che ha a che fare con la civiltà di un intero paese: la sentenza della Corte di Strasburgo sia l’occasione per restituire senza indugi al nostro sistema penitenziario quelle caratteristiche di umanità che le nostre carceri hanno perso. È un’ignominia che l’Italia non può più sopportare”, ha concluso Scalfarotto. Giustizia: la Cedu conferma condanna Italia sul sovraffollamento… commenti dei Garanti Ristretti Orizzonti, 28 maggio 2013 Corleone (Coordinamento Garanti detenuti): modificare con decreto legge droga Modificare con decreto la legge sulla droga. Un intervento che in ‘pochissimo tempo’ consentirebbe di ridurre la popolazione carceraria di “25mila persone”. Dopo il rigetto del ricorso dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo contro la sentenza che vincola il nostro Paese a trovare entro un anno soluzione al sovraffollamento carcerario, è questa la strada che il governo dovrebbe seguire secondo Francesco Corleone, Coordinatore dei garanti dei detenuti. “L’escamotage dell’Italia ha avuto la durata dello spazio di un mattino: il ricorso non è stato nemmeno dichiarato ammissibile, anche perché non ce n’erano le ragioni” osserva Corleone, per il quale però adesso “è importante che il governo dica cosa vuole fare. La via non può essere un piano di edilizia straordinaria per la quale non ci sono né i tempi né le risorse, ma dev’essere una via politica”. “Indagini conoscitive sulle carceri sono inutili; il governo accolga le proposte di iniziativa popolare sulle carceri, parta dal documento della Commissione Giostra del Csm, ma soprattutto da un decreto legge per modificare la legge sulla droga”, è l’invito di Corleone, che è anche garante dei detenuti a Firenze. “Occorre abbassare le pene, distinguere tra droghe leggere e pesanti e rendere reato autonomo il fatto di lieve entità; così tantissime persone non entrerebbero più in carcere”. E non solo: il governo che è inadempiente nell’attribuzione della delega sulle droghe per contrasto tra chi vuole mantenere l’assetto voluto da Giovanardi e chi vuole cambiare questa politica, dovrebbe “cambiare anche le leggi criminogene, come la Cirielli sulla recidiva, la legge sull’immigrazione e le leggi speciali che impediscono l’accesso alle misure alternative ai tossicodipendenti e ad altre categorie di detenuti”. Tocco (Garante detenuti Campania): politica e istituzioni invertano le tendenze “Il nostro paese ha fatto una pessima figura presentando il ricorso, che era in palese contraddizione con le dichiarazioni di tutti i massimi esponenti istituzionali, dal Capo dello Stato al Ministro della Giustizia, dichiarazioni nelle quali si metteva in rilievo la condizione di inciviltà delle nostre carceri”. È quanto dichiara il Garante dei detenuti della Regione Campania, nonché coordinatore nazionale dei Garanti regionali, Adriana Tocco, nel commentare la decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ha rigettato il ricorso dell’Italia avverso alla sentenza che concedeva un anno di tempo all’Italia per risolvere la questione del sovraffollamento delle carceri e nel contempo la condannava a risarcire i detenuti che lo avevano subito. “Al di là di questo - conclude - il rigetto impone alla politica italiana e alle istituzioni preposte, di smetterla con gli inutili proclami, con il buonismo deteriore, con il rimpallo delle responsabilità, con la solidarietà di facciata e di intervenire con provvedimenti concreti e strutturali che segnino una significativa inversione di tendenza”. Fleres (Garante detenuti Sicilia); rispetto art. 27 Cost è questione di buon senso Ristretti Orizzonti, 28 maggio 2013 “Per convincere le autorità italiane a rispettare l’art. 27 della Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non era necessaria una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ma soltanto un po’ di buonsenso”. Lo ha dichiarato il Garante dei diritti dei detenuti della Regione siciliana, on. dott. Salvo Fleres, commentando la sentenza con cui la Corte ha condannato l’Italia a risolvere entro un anno il problema del sovraffollamento delle carceri ed a risarcire le vittime di forme irregolari di detenzione. “In più occasioni - ha aggiunto il Garante - ho avuto modo di sostenere che l’imperfetta esecuzione penale esercitata dal nostro Paese priva il recluso oltre che della libertà anche della dignità. Sarà il caso che Governo e Parlamento comprendano come, insieme ad una più incisiva azione preventiva, sia necessaria una profonda revisione del sistema delle pene alternative, in vista di una, ormai indispensabile, amnistia. In caso contrario il rischio sarà quello di spendere risorse molto consistenti non per assicurare giustizia e pene adeguate e riabilitanti ma per risarcire spese per i danni provocati da una irregolare detenzione. Gonnella (Antigone): 30 mila detenuti di troppo, Italia torni a legalità “Com’era prevedibile la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rigettato il ricorso dell’Italia, solo dilatorio. Entro la fine di maggio del 2014 il Paese dovrà, dunque, tornare nella legalità interna e internazionale”. Così Patrizio Gonnella, presidente dell’ associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, commenta la decisione della Corte europea. La Corte - aggiunge - ci dice che per assicurare il rispetto della dignità umana è necessario garantire in cella almeno tre metri quadrati a testa. Per riuscirci posto che nelle carceri italiane ci sono più di 66 mila detenuti per 37 mila posti regolamentari (oltre 8 mila sono infatti inutilizzabili perché in reparti chiusi) bisognerà liberare almeno 30 mila reclusi”. Ma non basta e per questo, aggiunge “da tempo portiamo avanti un pacchetto di proposte che chiediamo al Governo di adottare con un decreto legge essendoci i requisiti di necessità e urgenza”. “Si tratta di mettere mano - spiega Gonnella - alle leggi che producono carcerazione come quella sulle droghe, l’immigrazione, la recidiva e la custodia cautelare”. “Le proposte alla Camera e al Senato, dei due presidenti delle commissioni giustizia Palma e Ferranti sulla messa alla prova e la detenzione domiciliare - secondo Gonnella - sono di buon senso ma non spostano per nulla l’impatto numerico dei detenuti”. Infine, per Gonnella “sarebbe utile destinare quel che resta del piano carceri, circa 460 milioni di euro per un piano straordinario che favorisca l’applicazione delle misure alternative al carcere”. Giustizia: Cedu conferma condanna Italia sul sovraffollamento… i commenti dei Sindacati Ristretti Orizzonti, 28 maggio 2013 Moretti (Ugl): da Corte Europea decisione prevedibile “La decisione della Corte europea era prevedibile. La situazione di sovraffollamento nelle carceri italiane è ormai allarmante, per questo da tempo l’Ugl sta chiedendo una riforma del sistema penale che riduca il numero delle detenzioni e ridia dignità anche al lavoro della Polizia Penitenziaria”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria nel corso dell’incontro a Cagliari con i dirigenti della Federazione a cui hanno preso parte anche il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella, e l’On. Renata Polverini. “È il momento che dalle parole si passi ai fatti - aggiunge il sindacalista - partendo proprio da quelle modifiche legislative che introducano sostanziali depenalizzazioni e incrementino il ricorso alle misure alternative alla detenzione, conservando la certezza della pena attraverso un controllo più efficace affidato alla Polizia Penitenziaria. Senza dimenticare che, per ridurre il sovraffollamento, sono necessarie anche innovazioni nell’applicazione della carcerazione preventiva, così come c’è bisogno di guardare anche agli altri Paesi Europei rispetto, ad esempio, al sistema di esecuzione della carcerazione posticipato ed eseguito al momento della disponibilità del posto per tipologie di reato che non creano allarme sociale”. Capece (Sappe): sistema italiano fallimentare, serve intervento concreto “Prendiamo atto della inammissibilità del ricorso dell’Italia alla sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha inviato lo scorso gennaio l’Italia a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, incompatibile con la Convenzione Ue. Staremo a vedere come le nostre Istituzioni risolveranno il grave e grande problema”. Lo scrive in una nota Donato Capece, segretario generale del Sappe, commentando quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso dell’Italia e confermato che dovrà entro un anno trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario nonché risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. “L’emergenza carceri è sotto gli occhi di tutti e servono strategie di intervento concrete, rispetto alle quali il Sappe intende fornire - si legge nella nota - il proprio costruttivo contributo. Non avere dato seguito al Ddl sulle pene alternative in carcere indica quale diffuso disinteresse hanno le criticità penitenziarie in Parlamento. Non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve - conclude la nota - sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rileverò un provvedimento tampone inefficace”. Fns-Cisl: Cancellieri dia linee per soluzioni concrete “Sono alcuni anni che denunciamo come Fns Cisl l’emergenza in cui versano le carceri italiane e come sia necessario adottare provvedimenti di carattere eccezionale per deflazionare l’esorbitante numero di detenuti presenti nei vari istituti di pena. Il Ministro Cancellieri nell’incontro programmato di domani pomeriggio fornisca linee per l’ avvio di soluzioni concrete”. Lo dichiara Pompeo Mannone, Segretario Generale della Federazione Nazionale della Sicurezza della Cisl che rappresenta Polizia penitenziaria, Corpo Forestale e Vigili del Fuoco, commentando quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso dell’Italia e confermato che dovrà entro un anno trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario nonché risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. “Le carceri italiane - continua Mannone - dal punto di vista tecnico sono fuorilegge perché non rispettano il dettato costituzionale: il detenuto è privato della libertà ed anche della dignità e tali condizioni di cattività oltre a non recuperare il reo o il presunto tale, determinano situazioni di tensione che sfociano in reazioni forti le cui conseguenze le pagano gli agenti della polizia penitenziaria”. “Occorrono reali e concrete misure alternative alla pena in carcere - conclude Mannone - intensificazione del lavoro carcerario, depenalizzazione dei reati minori, adeguamento degli organici della polizia penitenziaria, manutenzione e messa in sicurezza delle strutture penitenziarie ed anche nuove edificazioni per attenuare la condizione esplosiva negli istituti che con l’arrivo della stagione estiva raggiungerà il suo apice”. Ucpi: una vicenda tragicomica “Se confermata - si legge in una nota dell’Ucpi, l’Unione delle camere penali italiane - questa notizia sarebbe il degno epilogo di una vicenda che potremmo definire tragicamente comica, se di mezzo non ci fossero i diritti delle migliaia di reclusi nelle vergognose prigioni italiane”. “Con questo ricorso - si legge ancora - l’Italia sperava di rosicchiare qualche mese in più rispetto all’anno di tempo concesso dai giudici di Strasburgo per mettersi in regola e invece, dopo l’ennesima brutta figura, ci troviamo nuovamente a rincorrere avendo perso, da gennaio a oggi, mesi preziosi per riportare le nostre carceri nel perimetro della legalità”. “È ora di finirla con la retorica pelosa delle buone intenzioni e di rimboccarsi le maniche sul serio: governo e parlamento devono affrontare il problema del carcere come ci impone la Corte europea dei diritti umani, senza immiserire la questione nella polvere dei calcoli politici”, concludono i penalisti. Aiga: affrontare subito la questione, con misure alternative alla detenzione “La situazione carceraria del nostro Paese deve essere rapidamente affrontata e risolta, partendo dalle misure alternative alla detenzione, con particolare attenzione ai detenuti in attesa di giudizio”. È uno dei problemi posti al ministro della Giustizia Cancellieri dall’Associazione italiana giovani avvocati, ricevuta dal Guardasigilli assieme alle altre componenti dell’Avvocatura, il Ministro della Giustizia Cancellieri. Tra le altre priorità indicate, lo smaltimento dell’arretrato civile, che va risolto “senza però immaginare la rottamazione dei processi, ma partendo dall’eliminazione delle carenze di organico nella Magistratura”; è poi urgente la completa entrata a regime del processo telematico, che snellirà il lavoro degli avvocati, dei magistrati e delle cancellerie. Il leader dell’Associazione Dario Greco ha anche chiesto di cambiare rapidamente la riforma dell’ordinamento forense per eliminare le iniquità a danno dei giovani avvocati, che hanno peraltro bisogno di un sistema previdenziale equo. Giustizia: alla Camera audizioni su progetto di legge per pene detentive non carcerarie Asca, 28 maggio 2013 La Commissione Giustizia anche in questa settimana sarà impegnata nella messa a punto della proposta di legge - discussa fino agli ultimi giorni della scorsa legislatura - di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni per la sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Un tema sul quale ha molto insistito nei mesi scorsi l’ex Ministro dell’Interno Cancellieri e che viene ora riproposto dalla stessa Cancellieri, in veste di titolare della Giustizia, sollecitando rapide e concrete scelte per attenuare l’emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena. Su questa pdl 321, prima firmataria la Ferranti del PD, sono previste audizioni di rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati, di Luciano Panzani, presidente del tribunale di Torino, di Alessandra Salvadori, giudice del tribunale di Torino, di Claudia Cesari, professoressa di diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Macerata, di rappresentanti dell’Unione delle camere penali italiane, di Giovanni Tamburino, capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano e di Claudio Castelli, presidente aggiunto dell’ufficio Gip del tribunale di Milano. Giustizia: al Senato programma condiviso per indagine conoscitiva sul sistema carcerario Asca, 28 maggio 2013 La Commissione Giustizia ha deciso nei giorni scorsi, su indicazioni del Presidente Palma, di definire in questa settimana gli obiettivi della prevista indagine sul sistema carcerario concordando un programma di audizioni che consenta un ampio approfondimento. La Giustizia nella seduta di oggi ha in programma il seguito dell’audizione del Ministro Cancellieri sulla base delle sue comunicazioni svolte la scorsa settimana. Domami e giovedì saranno discussi due ddl che prevedono la proroga delle disposizioni, contenute nel Dlgs 155 del settembre 2012, relative alla riorganizzazione territoriale delle sedi giudiziarie. Una proroga che tenga conto - come è stato sottolineato da vari senatori - anche dei problemi derivanti dagli spostamenti di magistrati già effettuati alla luce delle disposizioni di questo decreto legislativo. Giustizia: 5 referendum su custodia cautelare, abolizione ergastolo, responsabilità giudici Public Policy, 28 maggio 2013 Cinque quesiti referendari “per una giustizia giusta”. Li hanno depositati questa mattina in Cassazione i Radicali. Si va dalla responsabilità civile dei magistrati all’abolizione dell’ergastolo. Responsabilità civile dei magistrati. “Con questi due quesiti - si legge in una nota del partito guidato da Marco Pannella - si intende rendere più agevole per il cittadino l’esercizio dell’azione civile risarcitoria (indiretta) nei confronti dei magistrati, e ciò anche per i danni da questi cagionati nell’attività di interpretazione delle norme di diritto o nella valutazione dei fatti e delle prove”. Separazione delle carriere dei magistrati. “Il modello processuale del giusto processo imposto dall’articolo 111 della Costituzione e proprio di ogni democrazia liberale - sostengono i Radicali - non può realizzarsi senza un giudice terzo, ossia realmente equidistante tra il pubblico ministero e il difensore”. No all’abuso della custodia cautelare. Secondo i promotori dei quesiti referendari “lo strumento della custodia cautelare in carcere ha subìto una radicale trasformazione: da istituto con funzione prettamente cautelare, a vera e propria forma anticipatoria della pena con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza”. Per questo, con il referendum, “si intende limitare la possibilità di ricorrere al carcere prima di una sentenza definitiva”. Abolizione dell’ergastolo e fuori ruolo. “Abolire il carcere a vita - si legge ancora - significa superare il concetto di pena come vendetta sociale. In molti Paesi europei, e non solo europei, l’ergastolo non è previsto neppure come ipotesi. Quello che deve essere chiaro, al di là delle opinioni politiche e personali, è che la nostra Costituzione afferma che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. E il “fine pena mai” è incompatibile con questo principio costituzionale. Infine c’è un quinto quesito che riguarda i magistrati fuori ruolo, chiedendo misure maggiormente restrittive per il loro lavoro. “Si tratta di referendum - ha spiegato Alessandro Gerardi del comitato per una giustizia giusta - contro l’immobilismo della politica per riproporre al centro del dibattito pubblico i temi sulla giustizia e sul carcere che il governo ha detto che non vuole affrontare e quindi noi diamo la parola ai cittadini. I sei quesiti vengono proposti a 30 anni dall’arresto di Enzo Tortora e a 25 anni dalla sua morte. Del comitato fa parte anche la compagna di Tortora, Francesca Scopelliti. Alla campagna referendaria hanno già aderito i giornalisti Filippo Facci, Vittorio e Mattia Feltri, tutti gli ex parlamentari del partito Radicale e Alfonso Papa. “Intendiamo passare - ha detto Alfonso Papa - dalla parola ai fatti. Perché al di là degli slogan nessuno oggi nel Parlamento italiano ha la volontà di avviare una riforma”. Giustizia: Cgil; dopo Opg creare luoghi cura e non di detenzione, a rischio legge Basaglia Adnkronos, 28 maggio 2013 Con una lettera aperta indirizzata al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, a quello della Giustizia Annamaria Cancellieri, alle commissioni parlamentari competenti e agli assessori regionali alla Salute, Fp-Cgil e Fp-Cgil medici lanciano un grido d’allarme sugli Opg. “La legge sulla chiusura può mettere la parola fine alla storia drammatica dei manicomi criminali - affermano Cecilia Taranto, segretaria nazionale Fp-Cgil e Massimo Cozza, segretario nazionale Fp-Cgil medici - ma la strada che va verso l’apertura di strutture speciali in ogni regione, i cosiddetti mini Opg, e affida una responsabilità detentiva ai Dipartimenti di salute mentale, rischia di far saltare gli stessi principi della legge 180”. “Si riaffermerà così il concetto che la violenza è causata dai disturbi psichiatrici - continuano i due sindacalisti - che il compito dello psichiatra e degli operatori dei Dipartimenti di salute mentale è il controllo sociale. È il definitivo ritorno alla logica manicomiale: gli psichiatri e gli operatori sanitari che diventano guardie, la cura che diventa custodia. Il superamento della logica manicomiale non può prescindere dalla modifica del codice penale, dalla definitiva assunzione dei pilastri della legge 180, come non può avvenire in un contesto di progressivo ritiro dello Stato e dei servizi pubblici dalla prevenzione e dalla cura nel campo della salute mentale. È necessario - concludono Taranto e Cozza - l’impegno e il coinvolgimento di tutti, a partire dai sistemi sanitari regionali, ma soprattutto è urgente arrestare la progressiva erosione delle risorse economiche e di personale destinate al settore, che in questi anni ha subito tagli senza precedenti”. Campania: 8.300 reclusi per 5.800 posti; carceri al collasso, agenti in catene a Poggioreale di Livio Coppola Il Mattino, 28 maggio 2013 Un sovraffollamento record da 2500 posti. Migliaia di detenuti in attesa di giudizio definitivo, salute precaria, strutture insufficienti. Tanto da far scatenare persino la rivolta delle guardie. Non tralascia nulla la Garante dei detenuti campani Adriana Tocco nella sua relazione annuale, in cui si evidenzia il terribile e reiterato disagio che colpisce indistintamente le oltre 8mila persone oggi ospitate negli istituti di pena della Campania. Un disagio diffuso, che ieri ha spinto 50 agenti del Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria) ad incatenarsi per protesta davanti al carcere di Poggioreale. Il primo problema, denunciato dal Garante così come dal sindacato, è e resta quello della carenza di posti. In Campania funzionano 17 penitenziari (compresi i due Ospedali psichiatrici di Napoli ed Aversa, destinati alla chiusura, ndr). Secondo i dati aggiornati a fine marzo, i detenuti raggiungono in totale quota 8.296 (di cui il 14% stranieri). Di contro, la capienza regolamentare complessiva degli istituti non supera le 5.794 unità. Una facile sottrazione ci permette di calcolare il livello di sovraffollamento delle strutture: 2.502 ospiti in più del consentito, praticamente un piccolo paese. Le situazioni di disagio variano ovviamente a seconda dell’istituto. Il più grande, Poggioreale, conta 2.811 detenuti a fronte di una capienza di 1.679. Da qui l’incatenamento degli agenti del Sappe, che non escludono uno sciopero bianco per i prossimi giorni. “Protestiamo - spiega il segretario Donato Capece - contro la disattenzione della politica e lo facciamo davanti a un carcere simbolo, il più sovraffollato d’Europa e con soli 600 poliziotti, una vera polveriera. Gli agenti sono stremati, ne servirebbero altri 200, con abnegazione svolgono il servizio ma ora dicono basta”. Il motivo degli affollamenti risiede nella eccessiva presenza in carcere di detenuti non condannati in via definitiva. In Campania ben 4.163 detenuti, dunque ben oltre la metà del totale, sono da considerare imputati, quindi ancora in attesa di giudizio. Non solo, di questi ben 2.134 aspettano addirittura il primo giudizio. “Grave questione è la presenza in carcere di persone in attesa di giudizio - dice il Garante nella relazione. Questo induce riflettere su durata, ragioni e finalità della custodia cautelare. Il problema dei suicidi è sempre attuale. È di questo che si deve discutere, traendone le conseguenze e risolvendo a monte il problema, attraverso la riforma del codice penale, la ricerca di adeguate misure alternative alla detenzione e la limitazione della custodia cautelare ai soli casi di assoluta necessità”. Altri problemi, non meno seri, riguardano cure e famiglia. Per il Garante “la salute continua a presentare molti aspetti di criticità, con i detenuti che lamentano lunghe attese per ottenere visite specialistiche, gli ospedali che non hanno istituito corsie ad essi riservate, con i medicinali che spesso mancano”, e su questo invita Regione e Asl a nominare un referente per la medicina penitenziaria. Sul fronte familiare, troppi sono i detenuti costretti ad alloggiare lontano dalla propria casa, con problemi di contatto con i parenti, così come alta risulta la sofferenza dei bambini che, fino a 6 anni, possono stare con le madri detenute, ma senza godere di residenze adeguate. Per ora regnano caos e sofferenza, anche se la Campania ha avviato una prima razionalizzazione del sistema, che dovrebbe decongestionare in parte Poggioreale e distribuire i detenuti nei vari istituti (in primis Carinola) a seconda di pericolosità e tipologia di reato. Ma per scongiurare l’emergenza si dovrà fare molto di più. Umbria: per la seconda volta quorum non raggiunto su elezione Garante dei detenuti Agi, 28 maggio 2013 Per la seconda volta il Consiglio regionale dell’Umbria non ha raggiunto il quorum necessario per l’elezione della figura del Garante dei detenuti. Il capogruppo del Psi Massimo Buconi, ha proposto quindi di proseguire con altre votazioni, appoggiato in questa richiesta da Orfeo Goracci (Comunista umbro), mentre Gianluca Cirignoni (Lega Nord) si è detto contrario ritenendo necessario procedere ad una modifica della legge tesa ad abbassare il quorum indicato. Dopo una breve interruzione della seduta per un confronto tra i capigruppo, l’Aula ha quindi deciso di procedere ad un’altra votazione (la terza) nel corso della prossima seduta del Consiglio regionale (martedì 4 giugno). Trentino Alto Adige: record di stranieri in carcere, non italiani oltre 7 detenuti su 10 Il Trentino, 28 maggio 2013 Nelle carceri regionali, a Trento e Bolzano, oltre 7 detenuti su 10 sono stranieri. Con il 72,1% il Trentino Alto Adige detiene la più alta percentuale tra le venti regioni italiane. Il dato, che si riferisce all’aprile scorso, emerge dall’ultima indagine della Fondazione Leone Moressa di Mestre, istituto di ricerca che, tra le altre attività, si occupa anche di studiare le problematiche relative alla presenza straniera sul territorio nazionale. Secondo i numeri elaborati dalla Fondazione Moressa sui dati del Ministero della giustizia, tra Trento e Bolzano i reclusi stranieri risultano essere 292, l’1,3% del totale nazionale che somma a 22mila 438 unità. In graduatoria, la Valle d’Aosta si assesta in seconda posizione, il 71,8% dei carcerati è straniero, in Veneto la percentuale si ferma al 58,4%. All’ultimo gradino la Campania con il 12%. La media nazionale è del 35%. Michele Larentis è presidente della Conferenza regionale volontariato e giustizia che raccoglie gruppi, associazioni e cooperative che si occupano dei temi legati alla giustizia, gestendo tra l’altro, per il Cinformi (il Centro informativo sull’immigrazione della Provincia), uno sportello che accoglie e aiuta i familiari dei detenuti nel carcere di Spini di Gardolo. Conferma i dati, commentandoli. “C’è innanzitutto da sottolineare - afferma - che i carceri di Trento e Bolzano sono entrambi istituti circondariali, cioè che accolgono persone in attesa di giudizio e quelle condannate per reati cosiddetti “minori”, dallo spaccio di droga al furto, che sono poi quelli, statisticamente, a più alta “densità” straniera. Per i reati più gravi, i condannati prendono invece la via delle Case di reclusione che in Trentino Alto Adige non ci sono. Inoltre, visto che il carcere di Trento ha una certa disponibilità essendo stato aperto da pochi anni, c’è una quota di detenuti portati qui da altri carceri del Veneto e del Friuli che soffrono di sovraffollamento”. Larentis sostiene inoltre che un altro aspetto contribuisce a tenere alta la percentuale, una condizione peraltro comune anche ad altre zone del Paese. “C’è difficoltà ad applicare agli stranieri le misure alternative quali i domiciliari o l’affidamento ai servizi sociali - afferma - Spesso si tratta infatti di persone che non hanno una casa e neanche una famiglia. Quindi, restano in carcere”. Attualmente a Trento sono reclusi, complessivamente, 250 uomini a fronte di un massimo previsto dagli accordi Stato-Provincia di 240. La sezione femminile ospita una ventina di detenute. Su scala nazionale, tra il 2008 e il 2011 i detenuti stranieri sono aumentati del 12,1% a fronte di un aumento del 16,8% della popolazione carceraria italiana. Molise: detenuti in crisi psicologica, presto Carta servizi pubblici sanitari www.primonumero.it, 28 maggio 2013 Evitare i suicidi e aiutare soprattutto i detenuti più fragili dal punto di vista psico-sociale. Questi i punti fondamentali affrontati questa mattina 27 maggio dall’Assessore regionale alle Politiche Sociali, Michele Petraroia, che ha convocato i rappresentanti dell’Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria per analizzare la situazione attuale della sanità all’interno delle carceri molisane. All’incontro, tenutosi presso l’Assessorato regionale di Via Toscana a Campobasso, hanno partecipato i Direttori delle tre Case Circondariali di Isernia, Larino e Campobasso, il delegato del Provveditore Regionale di Abruzzo e Molise dell’Amministrazione Penitenziaria, i rappresentanti dei Distretti Sanitari di Campobasso, Isernia e Larino, il delegato della Direzione generale dell’Asrem, i dirigenti e i funzionari regionali del Servizio Politiche Sociali e di Assistenza Socio-Sanitaria. Nel corso dell’incontro, i rappresentanti dell’Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria hanno presentato al Vicepresidente della Giunta Regionale due documenti fondamentali per cominciare a realizzare un servizio integrato di aiuto per la presa in carico dei detenuti che presentano particolari fragilità sul piano psico-sociale, con particolare attenzione alla presa in carico dell’autolesionismo e alla prevenzione del rischio suicidario e di supporto alle diverse problematiche ad esso collegate. In particolare, sono state illustrate le linee guida per la realizzazione di una “Carta dei Servizi Pubblici Sanitari”, la cui introduzione e relativa applicazione costituirà un intervento fortemente innovativo, destinato a modificare in modo incisivo il rapporto tra i detenuti e i Presidi Sanitari Penitenziari. “Abbiamo a che fare quotidianamente con una popolazione che potremo definire malata, - ha detto la Direttrice del Carcere di Larino, Rosa La Ginestra - vittima, nella maggior parte dei casi, di episodi di ansia e depressione”. “Ritengo sia necessario - ha dichiarato l’assessore - fronteggiare le emergenze che attanagliano la salute psichica e fisica dei detenuti delle carceri con un occhio teso alla pianificazione di un’azione permanente condivisa di cooperazione istituzionale che veda coinvolti, come capofila, il Ministero della Giustizia e la Regione Molise. In primo luogo - ha continuato l’Assessore alle Politiche Sociali - mi impegnerò in prima persona affinché la Giunta regionale recepisca celermente le Linee guida per l’introduzione e l’applicazione della Carta dei Servizi Sanitari e l’attuazione del programma per la prevenzione del rischio auto lesivo e suicidario dei detenuti”. Latina: detenuto 48enne in Alta Sicurezza si suicida tagliandosi carotide con una lametta Ristretti Orizzonti, 28 maggio 2013 Si è tolto la vita tagliandosi la carotide con una lametta, all’interno della sua cella di Alta Sicurezza nel carcere di Latina. È morto così, ieri sera nel capoluogo pontino, il 48enne Pasqualino Pietrobono. Lo rende noto il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. In carcere non avrebbe dato alcun segno di squilibrio, mentre questa mattina era atteso dall’interrogatorio di garanzia. L’uomo - a quanto appreso dal Garante - era stato arrestato venerdì scorso nell’ambito di una operazione antidroga coordinata dal Tribunale di Napoli. Proprio per i reati cui era accusato, Pietrobono era stato messo in una cella singola nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di Latina. Ieri pomeriggio, intorno alle 18.00, l’uomo è stato trovato agonizzante con le vene dei polsi tagliate. È stato dichiarato morto alle 19.16. La salma è a disposizione dell’autorità giudiziaria all’obitorio di Latina e un fascicolo è stato aperto dal sostituto procuratore Marco Giancristofaro “Spetta ovviamente alla magistratura chiarire questa vicenda - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - resta, però il fatto che quello di Latina è un vero e proprio carcere di frontiera con tutte le problematiche che questo comporta. Attualmente vi sono ospitati circa 150 detenuti ma la struttura ospita, in un anno, oltre 1.000 reclusi, con un turn over fra i più elevati d’Italia. A questo dato oggettivo si devono, poi, aggiungere una certa lontananza della società civile ed i tagli imposti ai budget: basti pensare che lo psicologo ha a disposizione solo 13 ore mensili. In queste condizioni è molto difficile garantire assistenza sanitarie e psicologica continuativa ai detenuti”. Catania: morte sospetta in cella; caso riaperto dopo 5 anni, il gip dispone nuove indagini di Giovanna Quasimodo La Sicilia, 28 maggio 2013 Gianluca Di Mauro, 25 anni, fu trovato impiccato con una cintura non sua. Sospetti anche su un antidepressivo che potrebbe avere avuto effetti deleteri. Un suicidio in carcere di dubbia natura quello del detenuto catanese Gianluca Di Mauro, trovato impiccato a 25 anni nella sua cella di Bicocca il 15 dicembre 2008 con una cintura da pantaloni, non sua, stretta al collo... mancavano pochi giorni alla sua probabile scarcerazione. E oggi su questo caso di torna ad indagare. Ritenendo la morte del giovane come conseguenza di un gesto autolesionistico, il Pm aveva chiesto l’archiviazione. Il giovane, tossicodipendente, già con qualche precedente per rapina (quei colpi “mordi e fuggi” fatti col taglierino) e condannato a 12 anni di carcere in 1° grado, accusava crisi epilettiche e avrebbe necessitato, anche e soprattutto all’interno delle mura del penitenziario, di essere seguito da alcuni specialisti ed inoltre era ristretto in regime di “grande sorveglianza”, status che avrebbe dovuto rendergli molto difficile, se non impossibile, il gesto di togliersi la vita. Oltre tutto Gianluca, figlio di brave persone (il padre ha un’officina meccanica), aveva particolarmente bisogno di aiuto; oltre ad assumere droghe, un anno prima di morire aveva subito una violenza sessuale da parte di un compagno di cella, violenza denunciata, ma per la quale Gianluca non poter avere giustizia, dato che quando si arrivò a processo il ragazzo era già morto. I genitori e la sorella di Gianluca, col trascorrere degli anni, non hanno nessuna voglia di lasciar perdere, quindi vogliono sapere se nella morte del loro caro ci sia stata qualche forma di responsabilità del personale o della direzione carceraria o di altri. Il caso classificato come “suicidio” - uno dei tanti che avvengono nelle carceri italiane - agli occhi del Garante dei diritti dei detenuti Salvo Fleres - cui si erano rivolti i parenti - apparve subito come morte sospetta, perciò egli continuò a seguirne l’iter giudiziario fino a quando, nell’ottobre 2012, fu chiesto al Gip di archiviare il fascicolo. Allora fu fatta opposizione a quella richiesta (tramite gli avvocati Eleonora Baratta, in rappresentanza della parte lese e Vito Pirrone, in nome del Garante) ed in questi giorni il gip Paola Cosentino ha ha restituito gli atti alla Procura disponendo ulteriori indagini entro i prossimi sei mesi. Il Gip, in sostanza, in accoglimento dell’istanza, vuol approfondire una serie di circostanze. Il principio che caratterizza questa ordinanza del Giudice per è sacrosanto, un principio che purtroppo, tante volte e anche per inerzia, nel nostro Paese è stato disatteso e violato, come se le morti in carcere fossero di secondaria importanza. Il principio ribadito dal Gip è quello secondo cui “l’Amministrazione penitenziaria ha il dovere di assicurare la tutela del diritto alla salute, alla vita e all’integrità fisica del detenuti”, e sempre all’area penitenziaria “spetta la diagnosi delle patologie che affliggono la persona ristretta, nonché l’individuazione degli approcci diagnostici-terapeutici diretti a salvaguardarne l’integrità psicofisica e le modalità di custodia e di sorveglianza”. Per queste ragioni, insieme ad altri accertamenti, si dovranno ascoltare gli specialisti che a Bicocca hanno avuto in cura il giovane e si dovrà approfondire se, in particolare, uno degli psicofarmaci somministrati costituisse la terapia più idonea e se per caso il farmaco stesso - magari in interazione con altri medicinali - non abbia avuto effetti condizionanti rispetto al suicidio. Nei campioni istologici del cadavere è stata rilevata un’elevata presenza di principio attivo del farmaco (venlafaxina) e ci si chiede se “in relazione ai sintomi progressivamente mostrati dal ragazzo (insonnia, ansia, ecc.), i sanitari avessero dovuto sospenderne la somministrazione o in alternativa disporre misure di più assiduo controllo delle condizioni psicopatologiche del detenuto” Pesaro: carcere sovraffollato, ma le celle sono aperte tutto il giorno, qui torna la speranza di Maria Gabriella Lanza e Virginia Della Sala Il Ducato, 28 maggio 2013 Sei passi, tre avanti e tre indietro. Solo sei passi durante il giorno, i mesi, gli anni che restano da scontare in carcere. Poco più di due metri da dividere con altre quattro e, in alcuni casi, perfino sei persone. Un trattamento inumano e degradante secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo che ieri ha condannato il nostro Paese per il sovraffollamento delle carceri. La casa circondariale di Pesaro non fa eccezione: la struttura, costruita nel 1989, è stata progettata per accogliere 176 detenuti. Attualmente ne ospita 293, 117 in più. Il Ducato è entrato a Villa Fastiggi per vedere come vivono quelle 293 persone. Quando il grande cancello del carcere si chiude, si apre un mondo fatto di lunghi corridoi, di muri alti e di porte che sbarrano l’orizzonte. A tenere compagnia sono i ricordi di quello che si è lasciato al di là delle sbarre e il suono metallico delle chiavi nella serratura. Questa è la vita di Spartaco, Leonardo, Antonio detto Tony, Alfonso e degli altri detenuti del carcere. Eppure nonostante il sovraffollamento, la fila per fare la doccia, gli spazi ristretti che a volte tolgono l’aria, “la situazione è quasi accettabile”. A dirlo è Spartaco, che vive in questo carcere da due anni: “Sono stato in altri istituti penitenziari e qui si sta leggermente meglio”. “Le celle sarebbero solo per una persona, invece poi hanno aggiunto le brande a castello e di fatto siamo in tre”, dice Tony, condannato per associazione a delinquere. “Una cella è di 9 metri quadri, compreso il bagno con un sanitario e un lavandino. Però durante tutta la giornata le porte sono aperte e questo aiuta molto”, continua Tony. Secondo il rapporto dell’associazione Antigone, gli spazi comuni come la sala teatro-cappella, la biblioteca, le aule scolastiche sono insufficienti, sia come numero che come dimensioni. I problemi maggiori riguardano, però, la manutenzione. L’istituto, infatti, è stato coinvolto nello scandalo delle carceri d’oro: tangenti date ai politici in cambio degli appalti per la costruzione con materiali scadenti e poco sicuri degli istituti di pena. “Sono il carcere per droga. Ho scontato parte della pena a Poggio Reale. Poi per fortuna mi hanno trasferito qui”, racconta Alfonso che ha 30 anni e tre figli che lo aspettano a Napoli. Il più piccolo ha 6 anni. “Esci da Poggio Reale più delinquente di come sei entrato. Qui, invece, ti danno la possibilità di imparare un lavoro, di credere in te stesso”, dice Alfonso. Il progetto pedagogico del carcere prevede che i detenuti frequentino dei corsi formativi. Possono scegliere di seguire quello di ristorazione, di falegnameria, di giornalismo, di scrittura creativa, di teatro e perfino di clownweria. Alla fine di ogni laboratorio viene rilasciato un attestato. Non è solo un modo per passare il tempo: i detenuti imparano un vero lavoro in vista del loro reinserimento nella società. “Per il mio futuro tutto quello che voglio è avere un lavoro e cominciare una nuova vita con la mia famiglia che è la cosa che mi manca di più”, racconta Alfonso. Amed, Rhida e Amir, tre ragazzi marocchini, nel carcere di Pesaro hanno imparato l’italiano: seguono il corso ogni settimana e leggono i libri che hanno a disposizione nella biblioteca. “Io lo so che quando uscirò da qui, mi porteranno in un centro di espulsione e mi rispediranno in Marocco”, dice con tristezza Amir. “Ho capito di aver sbagliato e ora voglio vivere e lavorare in Italia”. Certo, anche nel carcere di Pesaro non sono mancati atti di autolesionismo e tentati suicidio. Una guardia penitenziaria racconta che spesso i detenuti ingoiano le batterie dalla radiolina o cercano di impiccarsi con le lenzuola. L’ultima suicidio risale al 2010. Però tra i detenuti spicca soprattutto la consapevolezza di sé e del mondo fuori: “Chi non ha mai avuto problemi con la legge vive il detenuto come una sorta di mostro. Invece siamo persone anche noi. Sì certo, abbiamo degli errori alle spalle, ma ci stiamo impegnando per cercare di rimettersi in riga - afferma Spartaco - quello che desideriamo è che, a seguito del nostro impegno, vengano fatte delle valutazioni diverse su di noi quando usciremo di qui”. Reggio Calabria: dal Convegno nazionale Seac l’appello per nuova concezione della pena www.strill.it, 28 maggio 2013 Di seguito la dichiarazione del Presidente Csv di Reggio Calabria Mario Nasone. “Continua in Calabria l’emergenza carceri con i suoi effetti devastanti sulla vita della popolazione penitenziaria e sul personale che li ha in carico. La rissa tra detenuti nel carcere di Rossano, l’aggressione di un agente di polizia penitenziaria da parte di un detenuto nel carcere di Reggio Calabria, sono soltanto gli ultimi due episodi di un disagio ormai incontenibile che vive il sistema penitenziario anche in Calabria. Una regione che come ha ricordato il segretario nazionale della Uil-Pa Eugenio Sarno aspetta da anni la nomina di un Provveditore Regionale stabile, in grado di governare una realtà così complessa. Una regione che attende ancora la data effettiva della riapertura del carcere per giovani di Laureana di Borrello e della Casa di reclusione di Arghillà, così come è stato promesso dal Ministro della Giustizia. Una occasione per parlare anche di questi temi sarà il Convegno Nazionale promosso dal Seac (Segretariato Enti Assistenza Carceraria) e del Centro Servizi al Volontariato Dei Due Mari, che si terrà a Reggio Calabria tutta la giornata del 31 Maggio, c/o l’Auditorium del Lucianum di via Mons. De Lorenzo. Magistrati, operatori penitenziari, esponenti del mondo cattolico e del volontariato di rilievo nazionale, si confronteranno sul senso della pena a partire dal pensiero di Carlo Maria Martini, a nove mesi dalla sua scomparsa. Il convegno vuole ricordare la figura straordinaria di un testimone straordinario del nostro tempo animato dalla incessante passione per la ricerca di senso nei temi fondamentali dell’esistenza, come quello della “domanda di giustizia” e sulla difficoltà di elaborare un sistema retributivo capace di coniugare la sicurezza dei cittadini con il rispetto dei diritti della persona reclusa, cogliendone l’apparentemente inconciliabile conflitto. È un tema a cui Martini ha dedicato molte meditazioni, partendo dal senso della pena e della sua modalità di espiazione e dell’aspetto retributivo. Come ha affermato nel libro “Sulla giustizia”(Mondadori, 1999): “L’errore indebolisce e deturpa la personalità dell’individuo, ma non la nega, non la distrugge, non la declassa al regno animale, inferiore all’umano. Ogni persona è parte vitale e solidale della comunità civile; distaccare chi compie un reato dal corpo sociale, disconoscerlo, emarginarlo, fino addirittura alla pena di morte, sono azioni che non favoriscono il bene comune, ma lo feriscono” Il programma della giornata Ore 9.30 - Saluti e introduzione al Seminario Luisa Prodi, Presidente nazionale Seac Francesco Cosentini, Coordinatore regionale Seac Calabria Mario Nasone, Presidente Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari Saluti istituzionali Ore 10 - Tavola rotonda La domanda di giustizia Coordina: Elisabetta Laganà, Presidente Conferenza Nazionale Volontariato giustizia Interventi: “Non è giustizia” Francesco Maisto, Presidente del tribunale di Sorveglianza di Bologna Maria Carmela Longo, direttore del Carcere di San Pietro, Reggio Calabria “La domanda di giustizia” Piergiorgio Morosini, Giudice delle Indagini Preliminari presso il tribunale di Palermo “Sulla giustizia” Michele Prestipino, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso la Procura di Reggio Calabria “Cercavi giustizia ma trovasti la legge”Don Mimmo Battaglia, Presidente Nazionale Centro Italiano di Solidarietà - Ceis Ore 14 - Tavola rotonda La missione della giustizia: speranza dietro le sbarre Coordina: Mario Nasone, Presidente Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari. Interventi: “Serve Pietà, l’ Uomo è più Grande dei suoi Peccati. Il dovere della giustizia è tentare di recuperare tutto l’umano che c’è, tutto il bene rimasto” Don Virginio Colmegna, Presidente Casa della Carità. Milano “Giustizia come legalità” Don Pino Demasi, referente regionale di Libera Padre Giovanni Ladiana S.J., Movimento Reggio non Tace Giuseppe Baldessarro, giornalista del “Il Quotidiano” di Calabria “Giustizia come equità” Luciano Squillaci, portavoce del Coordinamento Provinciale del Terzo Settore Reggio Calabria. “Esercizi di buona politica” Sono state invitate: Carolina Girasole, Sindaco di Capo Rizzuto Elisabetta Tripodi, Sindaco di Rosarno Ore 18 – Conclusioni. Il SEAC (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) dal 1967 costituisce una presenza attiva nel volontariato delle carceri e della giustizia. Coordina numerose associazioni presenti sul territorio nazionale. Nato per promuovere le attività delle associazioni impegnate nelle carceri,si è trasformato in un coordinamento del volontariato tuttora impegnato nei confronti delle persone detenute, ma che ha ampliato le sue funzioni ad azioni non più ristrette ai soli istituti di pena ma diffuse sul territorio, costruendo un confronto con le istituzioni ed il governo sui problemi della giustizia. È tra le prime associazioni ad introdurre in Italia il tema della mediazione penale. Iscrizioni al Convegno e segreteria organizzativa: Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari Via Frangipane 111 Trav.Priv. 2089129 - Reggio Calabria fax: 0965 890813 info@csvrc.it www.csvcr.it. Roma: Uisp; domani a Rebibbia in corsa con i detenuti, gara lungo mura nuovo complesso Dire, 28 maggio 2013 Dopo il grande successo del primo maggio per Vivicittà-Vivifiume, l’Uisp Roma rilancia la sua sfida di partecipazione. Domani dalle 16 alle 18 le porte del Nuovo Complesso del carcere di Rebibbia si apriranno per tutti coloro che hanno deciso di correre assieme ai detenuti per un pomeriggio di sport e umanità. È quanto si legge in una nota. Come accade da anni, la corsa principe dell’Uisp si tiene anche dentro le mura del penitenziario. Ma oltre ai detenuti, molti dei quali tesserati Uisp tramite le associazioni Albatros e la Rondine, parteciperanno anche quelli che hanno sentito la voglia di conoscere la realtà del carcere. Per tutti gli iscritti l’appuntamento è fissato alle 15 all’ingresso di via Raffaele Majetti 70, per poter entrare alle 15.30. “Se per Vivicittà-Vivifiume l’obiettivo (raggiunto) era quello di far fare sport (corsa, canottaggio, canoa, pallavolo, giochi da tavolo) a mille persone sul Tevere- spiega la nota- in questo caso l’obiettivo è la cifra storica di 100 atleti partecipanti. Una cifra simbolica, un segno di quantità e di qualità al contempo, ricordando che lo scopo ultimo dell’Unione italiana sport per tutti è quello di portare lo sport ovunque, con impegno, passione e competenza”. Come per la prova classica, saranno allestiti due percorsi, uno da 4 chilometri per la prova non competitiva e uno da 12 per la prova competitiva. Si correrà lungo le mura di un carcere, ma senza accorgersene, fianco a fianco, con detenuti che avranno modo di divertirsi e competere anche con atleti di primo piano. Gran Bretagna: detenuti islamisti in carcere di massima sicurezza feriscono due guardie Agi, 28 maggio 2013 Nuovo atto di violenza di matrice fondamentalista in Gran Bretagna: due guardie di un penitenziario di massima sicurezza nel nord dell’Inghilterra sono rimaste ferite in seguito a un’aggressione da parte di tre detenuti di religione islamica che hanno tenuto in ostaggio uno dei secondini per quasi quattro ore. La notizia dell’incidente è stata confermata dall’associazione degli agenti di custodia. Solo l’intervento delle forze speciali ha permesso di liberare la guardia carceraria presa in ostaggio nella prigione di Full Sutton, vicino a York. “Sono fortunato ad essere ancora vivo: mi avevano detto che mi avrebbero ammazzato”, ha dichiarato l’agente al Mirror. L’uomo, un 30enne, è stato portato in ospedale con gravi lesioni, mentre la collega donna che aveva cercato di proteggerlo dagli assalitori è stata subito dimessa, avendo riportato solo ferite lievi. Secondo fonti interne, l’attacco sarebbe ispirato dalla terribile uccisione del soldato Lee Rigby da parte di due fanatici dell’Islam radicale, ancora piantonati in ospedale. Infatti l’assalto al secondino è avvenuto dopo che l’imam della prigione aveva invitato a pregare per la morte del fuciliere britannico. Dopo la liberazione dell’ostaggio, i tre sono stati rinchiusi in celle di isolamento. “Abbiamo paura che aumenti la violenza nelle carceri”, hanno dichiarato le guardie carcerarie, spaventate dall’accaduto. Intanto la polizia ha aperto un’inchiesta sull’accaduto, come ha confermato un portavoce del ministro della Giustizia. Turchia: Ong denuncia torture in carcere minorile, ministero nega ma ordina inchiesta Aki, 28 maggio 2013 Ha suscitato scandalo in Turchia la denuncia dell’Associazione avvocati progressisti, secondo la quale il carcere minorile di Izmir - l’antica Smirne, nel sud-ovest - è teatro di torture di ogni tipo e gravi violenze psicologiche. La denuncia è balzata sulle prime pagine di tutti i giornali e il ministero della Giustizia ha ordinato un’inchiesta, pur dicendosi certo che si tratta di accuse “completamente false”. L’associazione ha raccolto le testimonianze di giovani detenuti del carcere Sakran del quartiere Aliaga, i quali hanno raccontato di essere stati messi in isolamento per settimane o per mesi, di aver subito violenze psicologiche, di essersi visti negare cure e assistenza medica e di aver subito percosse. Uno di loro ha anche denunciato di essere stato duramente picchiato con un tubo. Il carcere è dotato di 22 celle di isolamento, non più grandi di tre metri quadri ognuna e dotate solo di una sedia, un letto e un bagno. La legge turca vieta il regime di isolamento per i minori, ma queste celle, secondo i racconti, erano costantemente occupate da giovani che vi venivano rinchiusi anche per mesi, salvo poi essere svuotate e ripulite in occasione di ispezioni, come una recente da parte della commissione Diritti umani del Parlamento, che poi descrisse il carcere come un “modello”. Il ministero della Giustizia si è detto certo che le accuse non corrispondano al vero, visto che nel carcere ci sono 238 telecamere attive 24 ore al giorno, la cui presenza rende impossibili comportamenti impropri. Ha inoltre assicurato che i minori rinchiusi nel carcere ricevono tutte le cure mediche di cui necessitano. Ma l’associazione insiste che più volte i detenuti hanno cercato di far arrivare all’esterno petizioni o reclami, di cui però si è persa la traccia, probabilmente perché bloccati dall’amministrazione della struttura. Siria: almeno 15 detenuti del carcere Aleppo morti sotto bombardamenti delle forze ribelli Ansa, 28 maggio 2013 Quindici detenuti nella prigione centrale di Aleppo, nel nord della Siria, sono morti sotto bombardamenti delle forze ribelli lo scorso fine settimana durante scontri che oppongono truppe lealiste e miliziani dell’opposizione. Ne dà notizia oggi l’Ong Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), affermando di avere avuto l’informazione in conversazioni telefoniche con fonti all’interno del carcere. Combattimenti per il controllo della prigione sono in corso da circa due settimane e in un’occasione un commando di ribelli era riuscito a penetrare nel penitenziario dopo aver aperto una breccia nel muro di cinta con due autobomba, ma era poi stato respinto. La prigione di Aleppo ospita circa 4.000 detenuti, tra i quali criminali comuni e militanti dell’opposizione, ma anche qualche decina di minorenni.