Il male che si nasconde dentro di noi Il Mattino di Padova, 27 maggio 2013 “Il male che si nasconde dentro di noi”: di quel male, di quella violenza che ognuno di NOI ha dentro di sé, si è discusso il 17 maggio in una Giornata di Studi all’interno della Casa di reclusione di Padova che ha coinvolto davvero il carcere e un pezzo importante di società. Più di cinquecento “cittadini liberi” si sono infatti confrontati con i detenuti sulle tante forme di violenza che rovinano la nostra vita, la violenza che “cancella le donne”, quella che nasce dall’orgoglio e spinge alla vendetta, e ancora quella che parte dalle parole e poi finisce in gesti sempre più aggressivi. Stando in carcere in mezzo alla violenza, la violenza fatta da chi ha commesso un reato, ma anche la risposta spesso violenta delle Istituzioni, che oggi tengono rinchiuse in condizioni di totale illegalità migliaia di persone, abbiamo capito che se non si supera anche culturalmente questa idea, che alla violenza sia lecito rispondere con altra violenza, non si fanno passi avanti verso una società più mite. Forse su nessuna questione come sulla violenza è facile avere la tentazione di essere in qualche modo “autoassolutori”. Le persone detenute che hanno preso parte alla Giornata di studi hanno invece deciso di partire da sé, di avere il coraggio di dire: io sono stato un uomo violento, quindi sono finito in carcere, finito dentro a questa situazione perché ho fatto scelte violente. Se si parte da qui, da se stessi e dalle proprie responsabilità, diventa poi più semplice chiedere con forza alle istituzioni se davvero rispondere a un uomo violento con una pena ancora più violenta abbia un senso. Bandire la violenza anche dalle pene può diventare allora il tema che noi possiamo affrontare senza paura con gli studenti, nelle scuole, nella società: perché la pena di morte, la pena dell’ergastolo sono pene violente, e invece lo Stato può e deve dare una risposta mite alla violenza. La Redazione di Ristretti Orizzonti Una persona che distrugge la sua famiglia non fa calcoli di pena Oggi si parla di violenza che “cancella le donne”, io appartengo all’altra parte, quella che si trova ad aver commesso il crimine, il più assurdo: definire la morte della persona che ha condiviso progetti importanti di vita assieme: costruire una famiglia, proporsi obiettivi, raggiungerli, esserne orgogliosi e poi… perché ti trovi imprevedibilmente ed incredibilmente ad aver distrutto tutto? Non so neppure dire come avviene, ma a me è successo, e come a me penso sia successo ad altri, di fare qualcosa che non avevo mai neppure lontanamente immaginato, e tanto meno quindi avevo riflettuto sulla pena, su quanti anni avrei preso se avessi commesso un gesto così violento. Spesso ci viene chiesto: ma non potevi pensarci prima? Magari si fosse verificata questa possibilità, sarei ancora con mia moglie e con mio figlio e lui avrebbe ancora sua mamma, o se ci fossero stati problemi tra di noi, avrei scelto la separazione, il divorzio. Ma non c’era nessun motivo per separarci, anzi avevamo ancora tanti progetti futuri. Da anni, il mio primo pensiero è la consapevolezza che si è manifestata troppo tardi, subito dopo aver commesso il reato, di quale atto mostruoso ha subito mia moglie, 35 anni assieme distrutti per cosa? Poi, l’altro pensiero va a mio figlio, ai parenti di mia moglie, a chi ha avuto modo di apprezzarla nel suo essere stata oltre che moglie, madre, insegnante, amica e parte attiva della società. Quando sento parlare di fare prevenzione aumentando le pene, e chiedendo l’ergastolo, come se questo servisse a prevenire quei reati, posso dire che una persona che distrugge la sua famiglia non fa calcoli di pena perché non ha un progetto per il futuro, se non quello di porre fine a tutto, per paura forse, paura a volte di non farcela, di non essere più in grado di reggere la responsabilità. Vorrei allora che piuttosto che parlare di ergastolo si parlasse invece di come trovare una possibilità di prevenzione, di attenzione verso la persona e la famiglia nel suo percorso di vita e prima che giunga eventualmente ad annullarsi se qualcosa non funziona più. Con questo io certo non voglio dire che chi uccide deve rimanere impunito, ma bisogna fare in modo che chi ha commesso quel terribile reato si racconti, spieghi, ricostruisca quello che gli è successo, e bisogna poi mettere assieme queste storie, cercare di capire e diffondere con serietà i risultati di questo lavoro. A partire da un ascolto che sia un ascolto vero e non uno stare a sentire, che sono cose ben diverse. Serve un ascolto di chi ha già malauguratamente conosciuto questo tipo di reato, come è successo a me, che sono arrivato, all’età di 54 anni, a distruggere tutto quello che avevo costruito con grande passione prima, partendo da quasi niente, non da solo ma assieme a mia moglie, una donna che sinceramente meritava ogni attenzione. Ma io quelle attenzioni gliele ho date sino al 26 maggio 2007, poi “il buio” completo, nessun sentimento, sensazione, quasi un agire da automa, perché? Ulderico G. In carcere può nascere la possibilità di una riflessione che non lascia spazio al vittimismo Sono in carcere per un reato molto grave, omicidio, avvenuto in seguito a una rissa fra connazionali: dopo una serie di soprusi e violenze subite da loro, ad un certo punto si è scatenato quel meccanismo di reazione istintiva che era nascosto dentro di me. E di conseguenza, oggi, sono qui a pagare per un lungo periodo della mia vita rinchiuso tra queste mura, e sto cercando di capire come si poteva evitare quello scontro che si è innescato e non si è più fermato. Ora sto allenando la mia mente a riflettere sul fatto di “pensarci prima”. Quel giorno la mia reazione violenta, che mi ha coinvolto e fatto perdere il controllo, ha avuto l’effetto di portarmi in carcere. Cosa che non avevo mai messo in conto, anche perché i miei pensieri erano lontani da questa realtà. Perché dico questo? Perché io facevo una vita regolare, con un lavoro e uno stipendio, e quando nella mia vita è arrivato questo momento difficile, ho reagito nel modo più violento verso quel gruppo di persone con l’idea di difendermi da quelli che volevano farmi male, con la conseguenza che ho procurato la morte di una persona. Ma vorrei sottolineare un altro punto che il carcere non ti fa mai capire: perché sei qui? E cosa hai fatto? Ti danno una condanna e sei lì buttato sulla branda, senza fare nulla dalla mattina alla sera. Questo tipo di carcerazione non mi faceva sentire in colpa, pensavo che mi ero solo difeso, perché quelle persone volevano farmi del male, e poi purtroppo era successo il contrario, che il male lo avevo fatto io. In quel momento cercavo solo di sopravvivere, ma poi quando sono arrivato nel carcere di Padova e ho avuto l’opportunità di frequentare la redazione di “Ristretti Orizzonti”, ho iniziato un percorso diverso da quello che gli altri istituti penitenziari proponevano. Nella redazione si aderisce ad un “progetto scuola/carcere”, a cui partecipo attivamente da alcuni anni: incontriamo migliaia di studenti, e le domande che fanno ti spiazzano e ti portano a riflettere su quello che hai fatto, una riflessione che non lascia spazio al vittimismo, ma che ti mette di fronte alle tue responsabilità. Domande e riflessioni che vengono riprese anche nelle riunioni che facciamo tra noi in redazione, dove si approfondiscono gli argomenti e si impara a rispettare anche le opinioni degli altri. E quello che ogni volta ricevo, soprattutto nel confrontarmi con questa parte di società esterna rappresentata dagli studenti, penso sia un passo in più verso la consapevolezza di ciò che ho causato, del male che ho fatto, e quello che ho prodotto con il mio atto violento, una rielaborazione del mio passato che mi ha permesso di riconoscere il danno che ho creato alla famiglia della vittima e ai miei cari. Qamar. A Giustizia: Consiglio Europa rigetta ricorso Italia, un anno per risolvere sovraffollamento Ansa, 27 maggio 2013 La Corte europea dei diritti dell’uomo rigetta il ricorso dell’Italia e conferma che dovrà entro un anno trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario nonché risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. Lo hanno reso noto all’Ansa fonti vicine alla Corte. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha rigettato la richiesta del governo italiano per il riesame davanti alla Grande Camera del ricorso Torreggiani, contro il sovraffollamento carcerario. In base alla sentenza emessa lo scorso 8 gennaio dai giudici di Strasburgo, divenuta oggi definitiva, l’Italia ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. 66mila reclusi, sovraffollamento, Italia 3/a in Ue. Almeno 20mila i posti in meno I dati più recenti li ha riferiti qualche giorno fa al Senato il ministro della Giustizia Cancellieri. Sono quasi 66mila i detenuti nelle carceri italiane, molti di più dei posti disponibili. Circa 20mila (18.821) i reclusi in eccesso, secondo le cifre fornite dal ministro, ma contestate all'associazione Antigone, che parla di 30mila detenuti in più rispetto ai posti regolamentari. Numeri che rendono l'Italia il terzo Paese in Europa per carceri sovraffollate. I dati resi noti dal ministro si riferiscono al 15 maggio 2013: 65.891 i detenuti rinchiusi nei 206 penitenziari italiani, di cui 24.691 in attesa di giudizio (indagati o imputati in custodia cautelare), 40.118 condannati e 1.176 internati. Un buon terzo (23mila) è costituito da stranieri. Ma è sulla capienza regolamentare delle carceri che le cifre divergono: Cancellieri ha parlato di 47.040 posti; una cifra sovrastimata per Antigone, che qualche giorno fa ha fatto sapere di aver avuto conferma dall'amministrazione penitenziaria “che nelle carceri italiane ci sono circa ottomila posti letto regolamentari in meno rispetto ai 45.000 calcolati dal Dap”; numeri che porterebbero ad appena 37mila i posti realmente disponibili e cioè alla presenza di circa 180 detenuti ogni 100 posti letto (il doppio della Germania, dove la media è 92). Una media più alta di quella rilevata dal Consiglio d'Europa, che all'inizio di questo mese ha diffuso un rapporto sul sovraffollamento carcerario nei 47 Paesi membri sulla base di dati del settembre 2011. L'Italia è terza, dopo Serbia e Grecia, con 147 detenuti ogni 100 posti effettivi. E occupa lo stesso posto, ma stavolta dopo Ucraina e Turchia, anche per numero di detenuti in attesa di primo giudizio: 14.140 su 67.104, cioè il 21% del totale. Bernardini: l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea “Come era ampiamente prevedibile, l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea. I cinque giudici della Grande Chambre chiamati a vagliare il ricorso dell’Italia avverso la sentenza Torreggiani ed altri, lo hanno dichiarato inammissibile”. Hanno affermato in una nota Rita Bernardini, già deputata radicale, capolista delle liste Amnistia, Giustizia, Libertà alle scorse elezioni e Giuseppe Rossodivita, avvocato radicale difensore di due dei detenuti che si sono visti riconoscere il risarcimento della CEDU per “trattamenti inumani e degradanti”. “Ricordiamo che la Corte Edu, l’8 gennaio scorso, nel riconoscere il risarcimento ai sette detenuti, ha chiesto all’Italia, con una sentenza pilota, di rimuovere entro un anno le cause strutturali che generano trattamenti inumani e degradanti nei nostri istituti penitenziari (violazione sistematica dell’art. 3 della Convenzione - Cedu) - continua la nota dei pannelliani - L’Italia ha così rapinato cinque mesi in più per rientrare nella legalità che viola sistematicamente da decenni. Si è comportata cioè come fanno certi imputati che guadagnano rinvii fino alla prescrizione del reato. Ma in questo caso non c’è la prescrizione. Non si possono prescrivere le torture alle quali sono sottoposte decine di migliaia di detenuti nelle nostre carceri”. Gonnella (Antigone): 30 mila detenuti di troppo, Italia torni a legalità “Com’era prevedibile la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rigettato il ricorso dell’Italia, solo dilatorio. Entro la fine di maggio del 2014 il Paese dovrà, dunque, tornare nella legalità interna e internazionale”. Così Patrizio Gonnella, presidente dell’ associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, commenta la decisione della Corte europea. La Corte - aggiunge - ci dice che per assicurare il rispetto della dignità umana è necessario garantire in cella almeno tre metri quadrati a testa. Per riuscirci posto che nelle carceri italiane ci sono più di 66 mila detenuti per 37 mila posti regolamentari (oltre 8 mila sono infatti inutilizzabili perché in reparti chiusi) bisognerà liberare almeno 30 mila reclusi”. Ma non basta e per questo, aggiunge “da tempo portiamo avanti un pacchetto di proposte che chiediamo al Governo di adottare con un decreto legge essendoci i requisiti di necessità e urgenza”. “Si tratta di mettere mano - spiega Gonnella - alle leggi che producono carcerazione come quella sulle droghe, l’immigrazione, la recidiva e la custodia cautelare”. “Le proposte alla Camera e al Senato, dei due presidenti delle commissioni giustizia Palma e Ferranti sulla messa alla prova e la detenzione domiciliare - secondo Gonnella - sono di buon senso ma non spostano per nulla l’impatto numerico dei detenuti”. Infine, per Gonnella “sarebbe utile destinare quel che resta del piano carceri, circa 460 milioni di euro per un piano straordinario che favorisca l’applicazione delle misure alternative al carcere”. Di Giovan Paolo (Pd): ora approvare misure alternative (Agenparl) “L’Italia ha già la soluzione a portata di mano per rispondere alle obiezioni del Consiglio d’Europa sul sovraffollamento carcerario: basterebbe approvare le misure alternative alla detenzione in carcere, un segno a questo punto di vera civiltà”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “L’Europa ci impone di avere carceri un po’ più a dimensione umana - continua Di Giovan Paolo - È possibile agire in tempi relativamente brevi per portare la situazione a un livello di sostenibilità”. Ucpi: vicenda tragicomica (Public Policy) La Corte europea dei diritti dell'uomo rigetta il ricorso del governo italiano e conferma che il nostro Paese dovrà trovare - entro un anno - una soluzione al sovraffollamento carcerario risarcendo i detenuti che ne sono stati vittime. L'Italia chiedeva di riesaminare davanti alla Grande Camera della Cedu la sentenza venuta fuori l'8 gennaio secondo la quale l'Italia ha un anno di tempo per trovare una soluzione al problema carceri. Le Camere Penali: una vicenda tragicomica “Se confermata - si legge in una nota dell'Ucpi, l'Unione delle camere penali italiane - questa notizia sarebbe il degno epilogo di una vicenda che potremmo definire tragicamente comica, se di mezzo non ci fossero i diritti delle migliaia di reclusi nelle vergognose prigioni italiane”. “Con questo ricorso - si legge ancora - l'Italia sperava di rosicchiare qualche mese in più rispetto all'anno di tempo concesso dai giudici di Strasburgo per mettersi in regola e invece, dopo l'ennesima brutta figura, ci troviamo nuovamente a rincorrere avendo perso, da gennaio a oggi, mesi preziosi per riportare le nostre carceri nel perimetro della legalità”. “È ora di finirla con la retorica pelosa delle buone intenzioni e di rimboccarsi le maniche sul serio: governo e parlamento devono affrontare il problema del carcere come ci impone la Corte europea dei diritti umani, senza immiserire la questione nella polvere dei calcoli politici”, concludono i penalisti. Il Pdl: il parlamento agisca “A prescindere dal rigetto del ricorso da parte della Corte europea sul sovraffollamento carcerario - si legge invece in una nota del vicepresidente dei senatori del Pdl Giuseppe Esposito - il Parlamento deve impegnarsi a varare il prima possibile una legge adeguata per il nostro Paese. Si è già perso troppo tempo nella scorsa legislatura, ora si faccia presto e bene con senso di responsabilità ma anche di umanità”. Meloni (Fdi): risolvere questione carcerazione preventivo (9colonne) “Il rigetto del ricorso italiano da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo trasforma l'emergenza carceri in assoluta priorità nazionale. Fratelli d'Italia ribadisce che per risolvere il problema è necessario partire dall'applicazione di pene alternative per i reati minori e risolvere l'annosa questione dell'abuso della carcerazione preventiva. Il detenuto può e deve diventare risorsa, nel rispetto della sua dignità e dei suoi diritti inalienabili. Si potrebbe perciò ipotizzare come regola lo svolgimento di lavori socialmente utili e limitare la restrizione della libertà personale a precise tipologie di reato. Quella che invece non sarà mai la soluzione è l'amnistia: dopo la decisione della Corte siamo purtroppo indotti a credere che qualcuno rilancerà questa proposta. E Fratelli d'Italia non voterà mai a favore un provvedimento che rimette in libertà i delinquenti e fa pagare ai cittadini l'incapacità e l'inadempienza dello Stato”. È quanto dichiara Giorgia Meloni, capogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia. Fns Cisl: Cancellieri dia linee per soluzioni concrete (Agi) “Sono alcuni anni che denunciamo come Fns Cisl l'emergenza in cui versano le carceri italiane e come sia necessario adottare provvedimenti di carattere eccezionale per deflazionare l'esorbitante numero di detenuti presenti nei vari istituti di pena. Il Ministro Cancellieri nell'incontro programmato di domani pomeriggio fornisca linee per l' avvio di soluzioni concrete”. Lo dichiara Pompeo Mannone, Segretario Generale della Federazione Nazionale della Sicurezza della Cisl che rappresenta Polizia penitenziaria, Corpo Forestale e Vigili del Fuoco, commentando quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ha rigettato il ricorso dell'Italia e confermato che dovrà entro un anno trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario nonché risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. “Le carceri italiane - continua Mannone - dal punto di vista tecnico sono fuorilegge perché non rispettano il dettato costituzionale: il detenuto è privato della libertà ed anche della dignità e tali condizioni di cattività oltre a non recuperare il reo o il presunto tale, determinano situazioni di tensione che sfociano in reazioni forti le cui conseguenze le pagano gli agenti della polizia penitenziaria”. “Occorrono reali e concrete misure alternative alla pena in carcere - conclude Mannone - intensificazione del lavoro carcerario, depenalizzazione dei reati minori, adeguamento degli organici della polizia penitenziaria, manutenzione e messa in sicurezza delle strutture penitenziarie ed anche nuove edificazioni per attenuare la condizione esplosiva negli istituti che con l'arrivo della stagione estiva raggiungerà il suo apice”. Barani, determinazioni europee impongono interventi urgenti (Agenparl) “La conferma da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo della condanna all'Italia per le condizioni in cui versano i detenuti nelle strutture penitenziarie, costituisce un'ulteriore campanello d'allarme che impone di rivedere con urgenza non soltanto il sistema carcerario, bensì quello giudiziario nel suo complesso”. Così il senatore Lucio Barani commenta la sentenza della Corte di Strasburgo che impone all'Italia di intervenire per migliorare le proprie strutture detentive. “Oltre ad i problemi di capienza e delle condizioni spesso degradanti dei detenuti, dovuti strettamente alla problematica dell'edilizia carceraria - prosegue Barani - è giunto infatti il momento di una seria riflessione tra tutte le forze politiche responsabili che porti ad una riforma sostanziale della giustizia nel Paese”. “Non si può continuare a far finta di ignorare che dietro le motivazioni con cui l'Europa oggi ci condanna vi sono anche un utilizzo frequentissimo dell'istituto della carcerazione preventiva ed un numero impressionante di detenuti in attesa di giudizio - aggiunge il senatore Pdl - nonostante le chiare indicazioni che fornisce la nostra Costituzione circa la contestazione della colpevolezza solamente con una condanna definitiva”. “Credo pertanto che Governo e Parlamento siano chiamati oggi più che mai ad intervenire con urgenza su una così tanto sentita ed al contempo degradante questione - conclude Barani - anche alla luce di un percorso teso al ridimensionamento della popolazione carceraria abbozzato già durante la scorsa legislatura”. Ferranti (Pd), corte europea? Parlamento dia risposte immediate (Agenparl) “Adesso che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha rigettato il ricorso dell'Italia urge una soluzione rapida ed efficace al gravissimo problema del sovraffollamento carcerario”. Lo dice il presidente della Commissione giustizia della Camera Donatella Ferranti in merito alla sentenza della Corte che da oggi diventa definitiva. “Abbiamo un anno di tempo per risolvere questa “indegna” situazione, questa è una vera priorità. Il sistema penale deve essere ispirato ai principi di rieducazione e umanizzazione secondo il dettato costituzionale. In settimana in Commissione ci saranno audizioni sulle misure alternative e sulla messa alla prova per gli adulti. Norme che potrebbero avere comunque un'incidenza deflattiva rispetto al sovraffollamento e potrebbero ottenere un iter prioritario essendo già state approvate dalla Camera durante la scorsa legislatura. Inoltre giovedì avvieremo la discussione sulla riforma della custodia cautelare in carcere. Infatti più della metà dei detenuti è costituita da individui in attesa di giudizio. Dobbiamo contemperare l'esigenza di tutela del processo e della collettività da una parte e la libertà personale dell'imputato dall'altra. Il carcere deve essere, insomma, una misura da applicare come extrema ratio in presenza di una concreta e attuale pericolosità sociale. Gli ultimissimi fatti di cronaca - ha aggiunto - ci dimostrano che la situazione nei penitenziari è ormai disastrosa sia per i detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria”. Molteni (Lnp): sentenza corte europea è fallimento politiche emergenziali (Agenparl) “Il rigetto del ricorso dell’Italia contro la sentenza della Corte Europea è la rappresentazione plastica del fallimento di tutte le politiche emergenziali adottate in questi anni che, oltre ad arrecare danni, non hanno portato ad alcun risultato. Abbiamo un anno di tempo per risolvere la situazione in maniera organica e ci auguriamo di non trovarci ancora una volta di fronte a soluzioni tampone quali il provvedimento “salva delinquenti” o “pene alternative”, che si sono rivelate pericolose e del tutto vane. La problematica va affrontata con serietà e lungimiranza e, per farlo, non si può prescindere dalla realizzazione di nuove carceri e dal compimento di accordi bilaterali tra stati così che i detenuti stranieri possano scontare la pena nei rispettivi Paesi d’origine. L’emergenza carceri non può essere arginata con provvedimenti d’urgenza, occasionali o tampone ma con soluzioni organiche”. Lo dichiara Nicola Molteni, capogruppo in Commissione giustizia a Montecitorio per la Lega Nord, commentando la notizia della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso dell’Italia e ha confermato che entro un anno si dovrà trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. Giustizia: quell’inciviltà delle carceri che nasce da leggi mal concepite di Evelina Cataldo www.ilsussidiario.net, 27 maggio 2013 Le voci dei sindacati sono silenti. Gli unici comunicati stampa quotidiani sono quelli rappresentativi della polizia penitenziaria, numericamente più rilevante e spesso più esposta alle criticità gestionali dell’utenza carceraria. Rispetto al comparto ministeri, nessuno fa sentire la propria voce, mai un’autorità dirigenziale indignata per la situazione carceraria, mai un provveditore regionale e difficilmente dei responsabili a livello apicale ammetteranno le difficoltà endemiche di un sistema vetusto con proposte in termini di soluzioni, idee o protocolli urgenti. I poliziotti devono custodire, i funzionari pedagogici devono rieducare, gli psicologi e i medici curare, gli psichiatri, soli e abbandonati nel proprio lavoro, capire e sedare: tutti devono svolgere il proprio compito istituzionale nella consapevolezza che quel fare è già viziato ab origine perché incerto è l’obiettivo finale. Difficile una rappresentazione del marasma organizzativo delle carceri e tanto più difficile restituire una fotografia completa di quello che le carceri sono oggi. Per comprenderlo nelle distorsioni e inefficienze, nell’esercizio del potere quotidiano, nella difficoltà o lentezza di riconoscimento dei diritti e dei ruoli, sia dell’utenza che degli operatori, bisogna viverlo. Comprendere il carcere è lavorarci e osservare ciò che accade ogni giorno. Siamo ancora nell’epoca della domandina, dell’infantilismo della persona detenuta, dell’idea di una sicurezza che prevede l’un per uno ovvero “un recluso, un poliziotto” che ne vigili costante movimento, corpo a corpo; una concezione ancora retributiva della pena che diventa alternativa solo in presenza di legali motivati, ancora lontana l’idea di una pena utile alla collettività. Tutto ciò è caratterizzato da una stigmatizzazione de il mostro: mostro morale, mostro patologico, mostro despota, analisi ampiamente compiuta da Michel Foucault nelle sue lezioni del lontano 1975 ove il comune denominatore di tali sibilline figure è rappresentato dalla rottura del patto sociale. Una versione contemporanea è rinvenibile nell’opera cinematografica dei fratelli Taviani: “Il primo mostro individuato e identificato è colui che ha spezzato il patto sociale fondamentale”. Un valoroso e mordace insegnamento etico. Le leggi che hanno operato una criminalizzazione con successiva decisione di adottare l’extrema ratio in ambito penale sono risapute: Legge droga, immigrazione, più tutta una serie di reati che potrebbero e dovrebbero diventare illeciti amministrativi. Tenue è infatti anche l’applicazione delle sanzioni sostitutive per le pene detentive brevi (l. 689/81). Si aggiunga, a latere, la questione degli Opg; ancora misconosciute le soluzioni per il c.d. “criminale patologico”. Questioni ancora aperte e irrisolte rispetto alla gestione di un ristretto ammalato o in sciopero della fame: il Magistrato di sorveglianza o il medico, chi tutela chi e cosa? E mentre si decide chi esercita maggiormente quel potere, o chi ne è legittimamente deputato, l’utente può aggravarsi o morire. Ci sono dei diritti, si pensi a quelli delicatissimi della sfera della salute, che non possono essere esercitati o riconosciuti in maniera limpida se non dietro l’istituzione, così come scrivono ampiamente i giornali, di un national preventive mechanism. In realtà ciò rappresenta il surrogato del famoso “Garante nazionale dei diritti delle persone detenute” figura presente in una proposta di legge poi abbandonata e sostituita con garanti disseminati in Italia a macchia di leopardo, a volte dipendenti dal Comune, altre dalla Regione. Se il carcere è un problema dello Stato ma contestualmente e da previsione ordinamentale bisogna aprirlo alla società esterna per eliminare quei connotati tipici dell’istituzione totale, allora bisogna ridiscutere su chi ha il dovere e il potere di far cosa. Oggi la rieducazione sancita costituzionalmente è appannaggio di un’équipe istituzionale interna, riconosciuta nelle figure del direttore dell’istituto che la presiede, dei funzionari pedagogico e di servizio sociale, oltre agli esperti ex art.80 e della polizia penitenziaria che, dal 1990, ha l’onere di partecipare alle funzioni trattamentali della pena. Ciò non osta al contributo di volontari, cooperative sociali, docenti, cappellani, nel rendere utile, consapevole e rieducativa la condanna ma la mission impartita nel penitenziario resta un affare di Stato. Il privato sociale deve adoperarsi in un sostanziale, efficace apporto, favorendo o proponendo miglioramenti delle politiche dello Stato in materia, rimaste indietro anche in termini di letteratura e studi scientifici. Coordinamento delle aree, dei ruoli e degli obiettivi, certezza e trasparenza nella mission istituzionale, confluenza e raccordo degli enti esterni con i ruoli istituzionali sono gli elementi su cui l’amministrazione penitenziaria dovrebbe ridiscutere per evitare che chi affronta le questioni del carcere: criticità, urgenze, dimissioni, in prima persona e quotidianamente, in divisa e non, non si senta unicamente strumento di un sistema vacillante o, ancor peggio, amanuense burocrate di ipotesi trattamentali difficilmente eseguibili nel tracciato di un’iperbole formale o semplicemente estetica. Giustizia: Grasso (Senato); non basta provvedimento singolo per soluzione problemi carceri Ansa, 27 maggio 2013 “Il problema delle carceri va affrontato in maniera globale; la soluzione non può essere il frutto di un provvedimento singolo”. Così il presidente del Senato Piero Grasso risponde a chi gli chiede se sia percorribile la via di un’amnistia per alleggerire il sovraffollamento delle carceri italiane. “Il dilemma è: tra fare posto o fare uscire 20 mila detenuti. Questo - puntualizza - non si può fare con un solo provvedimento ma con tutta una serie di azioni. Il Senato è disponibilissimo ad affrontare il tema”. Giustizia: ministro Alfano; amnistia? se vorrà se ne occuperà il Parlamento Adnkronos, 27 maggio 2013 “L’amnistia? È materia parlamentare e non è materia governativa. È una materia che asserisce squisitamente e specificamente al Parlamento, il Parlamento se vorrà se ne occuperà”. Così, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, risponde ai giornalisti che, a Palermo, gli chiedono se nell’agenda del governo c’è anche un provvedimento di amnistia dopo le parole pronunciate dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, sempre a Palermo, secondo cui le carceri italiane “non sono degne di un Paese civile”. Molteni (Lega): mai e poi mai indulto o amnistia “Replichiamo con prontezza alle dichiarazioni del ministro Cancellieri ribadendo che La Lega Nord si opporrà duramente a qualsiasi ipotesi di indulto o amnistia. Anzi, siamo pronti a fare le barricate se servirà per impedirlo. Oggi servono politiche per la sicurezza e non provvedimenti per rimettere in libertà delinquenti e criminali. Diciamo un chiaro no anche a forme mascherate di indulto, come il decreto sulle pene alternative, con cui si vuole mandare ai domiciliari o applicare l’istituto della messa alla prova a soggetti che hanno commesso crimini di evidente pericolosità sociale”. Lo dichiara Nicola Molteni, capogruppo in Commissione Giustizia per la Lega Nord a Montecitorio, commentando le dichiarazioni del ministro Cancellieri sull’amnistia quale provvedimento di competenza del Parlamento. Lettere: corteo a Parma… occasione persa dagli organi d’informazione di Maria Claudia Bonvicini La Repubblica, 27 maggio 2013 Egregio Direttore, mi stupisce che gli organi di informazione di Parma prima abbiano fatto della manifestazione di sabato 25.05 u.s., dei cosiddetti “antagonisti”, una battaglia sicura e fatta di azioni distruttive… Poi a manifestazione finita, per “fortuna” senza guerriglia, i mass media hanno spostato il baricentro sulle spese sostenute dai cittadini per il servizio d’ordine e i disagi provocati alle attività commerciali. Poteva essere l’occasione per parlare del problema delle carceri italiane e riflettere sul fatto che perfino l’Unione Europea ha condannato l’Italia per il sovraffollamento delle nostre carceri (in questa poco invidiabile graduatoria, l’Italia è terza in Europa, dopo Grecia e Serbia). Siamo diventati tutti degli aridi automi, shopping-dipendenti? Il diritto a manifestare è diventato un disvalore? E se parte dei nostri giovani si indignano e protestano noi dobbiamo sempre “sparargli addosso”? Che dire di chi li demonizza e poi appiccica a loro la responsabilità delle spese sostenute dalla città? E cosa ne dite di ciò che si spende ogni domenica intorno agli stadi italiani, spesso con risultati assai deludenti? I nostri politici fanno manifestazioni davanti ai palazzi di Giustizia per evitare il carcere a qualche “potente di turno” e noi attacchiamo quei giovani che hanno una propria coscienza ed esprimono la capacità di dissentire e fare proposte proprie? A chi fa paura la vera democrazia? Io sono sempre dell’idea che pur non pensando allo stesso modo comunque vadano condannate l’ipocrisia e difesi il diritto di esprimere le proprie idee e l’indipendenza delle coscienze. Cordiali saluti. Liguria: il Sappe scrive ai parlamentari liguri, la situazione nelle carceri è grave Adnkronos, 27 maggio 2013 I numeri sono estremamente chiari ed incontrovertibili: 1.930 detenuti in cella nei sette penitenziari liguri ed oltre mille che affollano sul territorio regionale il carcere invisibile delle misure alternative e di sicurezza e di altre misure sostitutive della detenzione che coinvolge complessivamente oltre mille persone. Marassi, Sanremo e Pontedecimo le Case circondariali numericamente più sovraffollate, criticità che raggiunge però percentuali assolute anche a Savona, Imperia, Chiavari e La Spezia. È la fotografia dell’esecuzione penale in Liguria, rappresentata dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che ha sollecitato con una lettera la sensibilità e l’interessamento dei parlamentari liguri sulle problematiche degli istituti di pena nella regione. La situazione è grave e merita una ferma presa di posizione da parte degli eletti in Liguria nel Parlamento nazionale, commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Oggi abbiamo quasi 2mila persone costrette in celle idonee ad ospitarne poco più di mille, il 60% dei detenuti stranieri, uno su tre che è tossicodipendente ed uno solo su cinque che lavora, peraltro poche ore al giorno. Gli agenti di Polizia Penitenziaria sono sotto organico complessivamente di 400 unità e purtroppo gli eventi critici - risse, colluttazioni, atti di autolesionismo, tentati suicidi - si verificano con drammatica frequenza. C’è dunque bisogno di intervenire con urgenza su queste criticità e per questo il Sappe ha inteso interessare tutti i parlamentari eletti in Regione: vedremo come si attiveranno nel merito della nostra segnalazione-denuncia. Parma: corteo contro il carcere duro.. detenuti trattati come animali di R. Castagno e B. Pintus La Repubblica, 27 maggio 2013 A Parma manifestazione nazionale che si oppone al regime 41 bis, organizzato dall’assemblea “Uniti contro la repressione”. Circa 300 persone sono partite da barriera Repubblica e arrivate fino al penitenziario di via Burla. Nessun incidente. Accuse di “militarizzazione”, tensione con i giornalisti. Si è concluso davanti alla recinzione del carcere di via Burla, il corteo contro il regime carcerario duro previsto dall’articolo 41 bis, organizzato dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”, che ha tenuto in ostaggio Parma per tutta la giornata di sabato. La manifestazione, a cui hanno partecipato circa 300 persone, si è svolta sotto la pioggia in un clima surreale, con le strade della città deserte, le serrande abbassate, persino i cestini della spazzatura rimossi. L’imponente schieramento delle forze dell’ordine ha evitato incidenti e disordini. Gli unici danni sono stati alcuni muri imbrattati sulla facciata della banca Barclays in via Emilia Est e della chiesa di vico Po. Dalle 8 di mattina il centro è stato blindato. Il corteo doveva partire intorno alle 14 da barriera Repubblica ma l’afflusso dei manifestanti è stato inferiore a quello previsto, probabilmente anche a causa del maltempo, e gli organizzatori per iniziare la protesta hanno atteso fino alle 16, quando si erano radunati qualche centinaio di persone, molto meno del migliaio annunciato. Trecento gli uomini delle forze dell’ordine - tra polizia, carabinieri e guardia di finanza - impegnati a evitare disordini. Per l’occasione sono arrivati anche l’elicottero della questura e gli artificieri. Il corteo si è svolto senza incidenti, a parte qualche momento di tensione con i giornalisti, che sono stati intimati a non scattare fotografie: “Amici degli sbirri, non avvicinatevi, state coi poliziotti”, hanno gridato i manifestanti. Gli agenti sono riusciti poi a riportare la calma ma hanno consigliato a fotografi, cameramen e reporter di mantenere una distanza di sicurezza. Prima della partenza gli organizzatori hanno protestato per la “militirazzazione” del corteo: “Ci chiediamo il perché. Questa protesta - accusano - è stata dipinta come se Parma dovesse essere devastata. Siamo trattati come criminali. Non si vuole che si sappia che nel carcere di Parma i detenuti vengono trattati come animali”. Accuse al comandante della guardie carcerarie Zaccariello per la sua severità. “Non si deve sapere, si preferisce dire: arrivano i criminali. I criminali sono quelli che hanno costruito il carcere di Parma. Chi è davvero colluso con la mafia non lo vedremo mai nel 41 bis. La nostra è una critica contro il sistema carcerario”. Affondo anche sul Movimento 5 stelle: “Non saranno i Grillo e i Pizzarotti a cambiare le cose. Guardate come questa città è militarizzata. È questa la nuova politica?”. Una volta raggiunto il penitenziario, i manifestanti, sempre tenendo a distanza la stampa, hanno dato vita a una sorta di sit-in davanti alla recinzione. Musica, petardi, persino fuochi di artificio, si sono alternati a slogan come “Liberateli” e alla lettura di alcune lettere di detenuti dai carceri di tutt’Italia, per denunciare le difficili condizioni di vita dei carcerati. Alla fine della manifestazione Francesco, un attivista parmigiano, ha rilasciato alcune dichiarazioni, precisando che la protesta non è a favore dei boss mafiosi come Bernardo Provenzano, detenuto proprio nella struttura di Parma. “Ci preme sottolineare che il 41 bis si estende anche a detenuti che hanno commesso reati più lievi. Le condizioni del carcere di Parma sono inaccettabili, il 41 bis è giudicato una tortura da Amnesty International. La pena dovrebbe riabilitare come previsto dalla Costituzione”. E i membri della criminalità organizzata? “La mafia esiste perché lo Stato l’ha foraggiata fino a oggi. Noi difendiamo persone con pene pesantissime per le loro lotte sociali. Non voglio più gente come Provenzano, ma non voglio nemmeno il carcere”. Durante il corteo si sono registrati anche slogan a favore di Marco Mezzasalma, anche lui in carcere a Parma, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Massimo D’Antona: “Sono persone - commenta Francesco - che pagano per quello che hanno fatto, ma non li si può trattare come mostri”. Napoli: Sappe; per protesta cinquanta agenti s’incatenano davanti a Poggioreale La Repubblica, 27 maggio 2013 Manifestazione del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria, per l’emergenza carceri. Hanno scelto il carcere di Napoli Poggioreale, dove le presenze dei detenuti ammontano a circa tremila unità, per manifestare la rabbia dei poliziotti penitenziari del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria, sulla situazione emergenziale. E in cinquanta si sono incatenati davanti alla struttura detentiva, riscuotendo anche la solidarietà di alcuni parenti di detenuti. “Il Sappe manifesta contro un’amministrazione penitenziaria distante dalla realtà e dai suoi poliziotti, che pensa che con le chiacchiere e comunicati stampa può nascondere il disastro di un Dap al collasso - afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe - Mi chiedo quando avranno il tempo di pensare ai poliziotti penitenziari che non hanno ancora percepito in busta paga le indennità Fesi del 2012, gli assegni di funzione e gli avanzamenti di grado; agli idonei al concorso per vice ispettore bandito dieci anni fa e non ancora partiti per il corso; ai poliziotti con figli e parenti disabili che non vengono trasferiti per assisterli; alle poliziotte ed ai poliziotti vittime di una tensione detentiva nelle sovraffollate celle campane ed italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della polizia penitenziaria”. “L’amministrazione penitenziaria guidata da Giovanni Tamburino e Luigi Pagano - conclude Capece - è incapace di risolvere i problemi e per questo i poliziotti aderenti al primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, stanno manifestando davanti al carcere di Poggioreale”. Russo (Pdl): protesta giusta (Ansa) Cinquanta agenti di polizia penitenziaria incatenati davanti al carcere di Poggioreale, dietro di loro uno striscione che lancia un grido d’allarme a Napolitano: “Il Sappe si appella al Capo dello Stato più rispetto per la polizia penitenziaria”. È andata in scena oggi a Napoli la protesta delle guardie carcerarie aderenti al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) che hanno esposto davanti alle mura di Poggioreale anche una forca. “Protestiamo - spiega all’Ansa Donato Capece, segretario generale del sindacato - contro la disattenzione della politica e lo facciamo davanti a un carcere simbolo, il più sovraffollato d’Europa con 2.900 detenuti e solo 600 poliziotti, una vera polveriera. Gli agenti sono stremati, con abnegazione svolgono il servizio ma dicono basta. C’è bisogno di misure alternative e di una rivisitazione del sistema penitenziario con riforme strutturali, senza pannicelli caldi come l’indulto e l’amnistia ma un sistema sanzionatorio diverso”. Il sindacato minaccia, in assenza di risposte, uno sciopero bianco: “seguiremo alla lettera tutti i protocolli con grande fiscalità, in modo da rallentare servizi come il trasporto dei detenuti in tribunale o le visite dei parenti. Ci spiace per loro che ne subiranno le conseguenze ma vogliamo risposte”, spiega Capece. Tra i problemi denunciati la carenza di organico su scala nazionale visto che ci sono circa 10.000 unità in meno rispetto al 2001. A questo si ovvia attraverso “carichi di otto-nove ore al giorno di lavoro rispetto alle sei previste, con straordinari spesso non pagati che ci costringono a fare ricorsi al Tar”. Un altro tribunale, intanto, dice la sua: “I detenuti sono stipati come sardine in carceri la cui popolazione è per il 40% di detenuti in attesa di giudizio. È una vergogna condannata più volte dalla corte di giustizia di Strasburgo, ma non si muove nulla”, spiega Capece. I manifestanti hanno ricevuto anche la solidarietà del parlamentare del Pdl Paolo Russo che è arrivato a Poggioreale per ascoltare le ragioni della protesta che ha definito giusta”. “C’è necessità - ha detto il parlamentare - di mettere mano alla sicurezza nelle carceri. C’è un’attenzione sempre ridotta nei confronti di chi è detenuto e del tutto assente per chi in questo mondo opera per la tutela dei diritti dei detenuti e di chi è fuori”. Russo ha assicurato il suo sostegno in parlamento per cercare “pene alternative da una parte - ha detto - ma anche che evitino gli sprechi che, a cominciare dal braccialetto elettronico, mi sembra siano stati tanti. Quello delle carceri è un mondo dimenticato che va reso civile con chi opera perché la vita dei detenuti possa portarli alla redenzione”. Cagliari: la Polverini visita carcere di Buoncammino; condizioni fatiscenti, è inaccettabile L’Unione Sarda, 27 maggio 2013 Sopralluogo della vicepresidente Commissione Lavoro della Camera. “Siamo di fronte a carceri fatiscenti e conviviamo con un interregno che non si può accettare”. Lo ha detto Renata Polverini, vicepresidente Commissione Lavoro della Camera in visita, col deputato Pdl Mauro Pili, al carcere Buoncammino di Cagliari riferendosi ai tempi di passaggio eccessivi fra il vecchio ed il nuovo penitenziario in costruzione a Uta, poco distante da Cagliari. Pili, prima di iniziare il sopralluogo assieme anche ai vertici dell’Ugl, guidati da Giovanni Centrella, ha rilanciato l’allarme dell’arrivo di 600 nuovo detenuti, “300 del41 bis: stiamo parlando di mafiosi”. Per denunciare le condizioni di vita nel carcere proprio a Buoncammino è iniziato nei giorni scorsi uno sciopero della fame da parte dei detenuti. Polverini ha sollevato anche la questione “dipendenti, perché il personale che lavora all’interno delle case circondariali è penalizzato: c’è la necessità di un concorso con assunzioni che ristabilisca le giuste proporzioni tra gli ospiti e chi lavora. Come ultimo atto alla presidenza della Regione Lazio abbiamo inaugurato il parlatorio di Rebibbia. Abbiamo lavorato molto su palestre, campi sportivi e attività ricreative”. Allarme sul problema delle infiltrazioni di organizzazioni criminali in Sardegna è stato lanciato anche dal segretario generale Ugl, Centrella: “È già stato riscontrato ad esempio in Campania, con l’arrivo dei mafiosi, che la delinquenza si estende nel territorio intorno al carcere”. Pili, Polverini e i sindacalisti effettueranno anche un tour nelle aree industriali del Sulcis: prima tappa Nuraxi Figus. “Vogliamo che i siti industriali rimangano tali - ha spiegato Polverini -. Anche Alcoa, ad esempio, non può esser considerata una partita persa”. Ugl: condizioni disastrose a Buoncammino Ugl all’attacco sulle condizioni di Buoncammino a Cagliari: il sindacato chiederà al Capo del Dipartimento ‘una ispezione non delegatà per fare luce su quanto accade all’interno del carcere. Lo ha comunicato il segretario nazionale, settore polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti, oggi a Cagliari assieme ai parlamentari Renata Polverini e Mauro Pili (Pdl) per una visita alla casa circondariale. “La struttura cagliaritana - ha denunciato Moretti - rappresenta una vergogna visto le disastrose condizioni in cui versa pur continuando ad avere un sovraffollamento abnorme e una presenza di detenuti di elevata caratura criminale”. Moretti riferisce anche sulle condizioni di sicurezza e igienico sanitarie delle strutture: “Solo l’altra sera sono dovuti intervenire i Vigili del fuoco per la caduta di un pezzo di ballatoio. Per non parlare degli odori nauseabondi provenienti dalla fognatura”. Il rappresentante Ugl parla, per quanto riguarda la tranquillità operativa del personale di Polizia penitenziaria, di situazione compromessa. Una situazione, spiega Moretti, che non riguarda solo Buoncammino. “Vogliamo ridare - ha concluso - dignità operativa al personale in servizio nell’isola ancora lontano dall’essere in numero sufficiente per espletare con correttezza i propri compiti istituzionali”. Intanto per denunciare le condizioni di vita nel carcere prosegue a Buoncammino lo sciopero dei detenuti, iniziato da un paio di giorni, che rifiutano il carrello con il cibo e mangiano solo quanto portato dai parenti. Cosenza: tre borse lavoro dal Comune di Lungro per la reintegrazione di ex detenuti di Emanuele Armentano www.dirittodicronaca.it, 27 maggio 2013 Tre borse lavoro sono state istituite dal Comune di Lungro (Cs) per andare incontro al disagio dei cittadini che hanno avuto problemi con la giustizia. Il tutto con il chiaro intento di reinserire gli ex detenuti nel tessuto sociale, così come lo stesso sindaco Giuseppino Santoianni tiene a sottolineare. Così, sulla scorta di un progetto predisposto dai servizi sociali comunali e approvato dalla regione Calabria, sarà possibile alleviare il disagio sociale di tre nuclei familiari che, per mancanza di lavoro, rischiavano l’emarginazione. Grande soddisfazione esprime il primo cittadino il quale ha affermato: “La cultura al lavoro è la leva fondamentale per la riabilitazione di persone ex detenute e va sostenuta con iniziative e progetti come questi che abbiamo forti connotati di legalità e contribuiscano soprattutto al reinserimento lavorativo di famiglie che rischiano di sgretolarsi socialmente”. Si apre così per Lungro la strada verso l’incentivazione di nuove politiche incentrate sull’integrazione nel mondo lavorativo degli svantaggiati e sul contrasto di quella povertà che sempre più attanaglia le famiglie di appartenenza. Dal canto suo, l’assessore ai servizi sociali Vincenzo De Marco evidenzia come la programmazione dia risultati attesi soprattutto nelle politiche sociali e come il progetto “Alba” “renda consapevoli gli ex detenuti delle potenzialità che detengono e del contributo che gli stessi possono dare al miglioramento della propria vita e della vita della comunità in cui operano”. Grazie a questa iniziativa, quindi, i tre ex detenuti, con famiglie numerose e presenza di minori, lavoreranno per tre mesi nel settore della manutenzione delle strade e del verde pubblico sotto le direttive dell’assessore Salvatore Vaccaro. Macomer (Nu): detenuto in sciopero della fame da giorni, chiede di essere curato La Nuova Sardegna, 27 maggio 2013 Gianfranco Setzu, un detenuto di Tanaunella recluso nel carcere di Macomer, da quattro giorni fa lo sciopero della fame. La notizia è stata data dalla compagna, Loredana Demontis di Borore, la quale spiega le ragioni della protesta. Setzu, che ha 30 anni, è stato condannato a cinque anni e quattro mesi di reclusione per questioni di droga e altri reati. Ne ha già scontati due. Ha problemi di tossicodipendenza. “Abbiano chiesto l’aiuto del Sert - dice la compagna, ma non abbiamo ricevuto risposta. Gianfranco non sta bene e soffre di depressione. Ho paura che possa farsi del male. Aveva presentato domanda per essere assegnato ai domiciliari, ma non è stata accolta”. Il detenuto di Tanaunella avrebbe anche altri problemi medici che necessitano di cure. “Soffre di calcoli renali - dice Loredana Demontis -, nonostante le coliche è stato lasciato in cella. Ha anche problemi dentari che gli causano dolore. Ci sono dei medici che fanno servizio nel carcere. Mi chiedo perché non gli somministrino i farmaci necessari per calmare il dolore. Mi auguro che qualcuno si faccia carico dei suoi problemi di salute”. Rossano Calabro (Cs): rissa tra detenuti albanesi e marocchini; 5 feriti, due sono gravi Ansa, 27 maggio 2013 Cinque detenuti stranieri sono rimasti feriti, due dei quali in modo grave, in una rissa avvenuta nel carcere di Rossano. La rissa, tra detenuti albanesi e marocchini, è scoppiata per futili motivi. I due gruppi si sono fronteggiati utilizzando coltelli costruiti artigianalmente. Gli agenti della polizia penitenziaria sono intervenuti tempestivamente per riportare la calma tra i detenuti. I cinque feriti sono stati soccorsi e portati nell’ospedale di Rossano. “Evidentemente i nostri allarmi sull’inadeguatezza organizzativa del carcere di Rossano erano fondati, anche sotto l’aspetto delle deficienze organiche”. Lo afferma, in una nota, il segretario generale della Uilpa Penitenziari, Eugenio Sarno, in merito alla rissa nel carcere di Rossano. “È chiaro - aggiunge - che un evento di tale gravità presuppone una immediata ricerca delle responsabilità materiali ed operative. Ma le vere responsabilità del disastro Calabria stanno in capo anche ai Ministri che da anni non provvedono a nominare un nuovo Provveditore Regionale titolare. Un territorio come la Calabria frontiera non può pagare dazio con una vacanza istituzionale così grave”. “Cosa deve ancora capitare - dice ancora Sarno - perché si provveda ad assegnare in pianta stabile un Dirigente generale che coordini, organizzi e sovrintenda alle attività penitenziaria in quella terra di ‘ndrangheta che si chiama Calabria?”. Durante (Sappe): rissa quasi annunciata “La rissa avvenuta ieri pomeriggio nel carcere di Rossano ha dimensioni molto più vaste di quelle che si poteva immaginare e solo grazie alla professionalità della polizia penitenziaria non è finita in tragedia. I detenuti coinvolti sono circa 20, tra magrebini ed albanesi. Attualmente due sono ricoverati nell’ospedale di Cosenza, uno con prognosi riservata e l’altro con prognosi di 30 giorni. Ciò che è più grave è che sembra si sia trattato di un fatto quasi annunciato”. Lo dichiara Giovanni Battista Durante, Segretario generale aggiunto del Sappe, sindacato di polizia penitenziaria. Durante rivela, a questo proposito, che qualche giorno prima un detenuto albanese aveva aggredito un magrebino, ferendolo a calci e pugni. “È evidente - dice - che quando succede una cosa di questo genere è molto probabile che chi è stato colpito si organizzi per vendicarsi; così è stato. Ieri pomeriggio, i detenuti albanesi, armati di coltelli rudimentali e di un coltello a serramanico, con una lama di oltre 20 centimetri, hanno atteso gli albanesi quando rientravano dai passeggi e li hanno aggrediti all’interno della sezione detentiva, dove stavano sia gli albanesi, sia i magrebini. Questo - dice - il primo appunto che andrebbe fatto all’organizzazione dell’istituto: dopo la prima aggressione avvenuta ad opera dell’albanese, ci chiediamo se siano state assunte idonee iniziative tese a garantire la sicurezza della struttura e di quanti si trovano all’interno. Ieri anche l’agente in servizio nella sezione detentiva ha rischiato la vita. Se fosse stato aggredito sicuramente le conseguenze sarebbero state tragiche. Già un anno fa, nel corso di una visita fatta nell’istituto rossanese, - continua - avevamo segnalato che l’agente non lavorava in condizioni di sicurezza, considerato, anche, che all’interno della sezione c’erano un tavolo e una sedia che potevano essere usati come corpi contundenti. Proprio ciò che è avvenuto ieri, quando alcuni detenuti hanno spaccato il tavolo ed hanno usato i pezzi di legno per colpire gli altri. È da tempo che sosteniamo che l’organizzazione del carcere rossanese non funziona e che i vertici, a nostro giudizio, sono assolutamente inadeguati. Chiediamo al ministro della giustizia - conclude - di disporre al più presto un’ispezione, per verificare l’organizzazione del lavoro e la gestione della struttura”. Dap: bravi agenti nel sedare rissa Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria evidenzia la “grande professionalità” del personale di Polizia Penitenziaria della casa di reclusione di Rossano intervenuta per sedare una violenta rissa tra detenuti della media sicurezza scoppiata ieri pomeriggio nel carcere calabrese. Circa 9 detenuti di nazionalità marocchina, al rientro dai passeggi, hanno teso un’imboscata a detenuti albanesi ubicati nella stessa sezione. Il direttore dell’istituto, Giuseppe Carrà, ha ricostruito i fatti, spiegando che, rientrati dall’aria prima degli albanesi, i detenuti marocchini, armati di oggetti contundenti e taglierini rudimentali, hanno aggredito i detenuti albanesi, i quali hanno reagito difendendosi con bastoni ricavati da scrivanie e altre suppellettili presenti in sezione. Sembra che la rissa sia scoppiata per una precedente lite tra un marocchino e un albanese. Il personale, accorso prontamente, nonostante i detenuti fossero armati e ancora con lo scontro in atto, è riuscito a riportare l’ordine all’interno evitando che la situazione degenerasse con un esito che sarebbe potuto divenire drammatico. Il bilancio della rissa è stato di 9 feriti di cui 2 trasferiti con il 118 nell’ospedale di Cosenza, trattenuti in osservazione. Tutti i 30 agenti presenti in servizio, coordinati dal comandante di reparto Elisabetta Ciambriello, sono stati impegnati fino alle 24 nelle attività di perquisizione di tutte le sezioni e per sentire i detenuti coinvolti. Allo stato il carcere di Rossano ha una presenza di 343 detenuti, la sezione in cui si è verificata la rissa ospita invece 105 detenuti a fronte di una capienza di 50 posti. Fns-Cisl al ministro: ora soluzioni “Sono alcuni anni che denunciamo come Fns-Cisl l’emergenza in cui versano le carceri italiane e come sia necessario adottare provvedimenti di carattere eccezionale per deflazionare l’esorbitante numero di detenuti presenti nei vari istituti di pena”. Questo, in merito a quanto accaduto ieri pomeriggio nella casa di reclusione di Rossano, il commento di Pompeo Mannone, segretario generale della Federazione Nazionale della Sicurezza della Cisl, che in vista di un incontro che dovrebbe tenersi domani con il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, chiede al Guardasigilli di “fornire linee per l’avvio di soluzioni”. “Le carceri italiane - continua Mannone - dal punto di vista tecnico sono fuorilegge perché non rispettano il dettato costituzionale: il detenuto è privato della libertà ed anche della dignità e tali condizioni di cattività oltre a non recuperare il reo o il presunto tale, determinano situazioni di tensione che sfociano in reazioni forti le cui conseguenze le pagano gli agenti della polizia penitenziaria”. “Occorrono reali e concrete misure alternative alla pena in carcere - conclude Mannone - intensificazione del lavoro carcerario, depenalizzazione dei reati minori, adeguamento degli organici della polizia penitenziaria, manutenzione e messa in sicurezza delle strutture penitenziarie ed anche nuove edificazioni per attenuare la condizione esplosiva negli istituti che con l’arrivo della stagione estiva raggiungerà il suo apice”. Latina: l’assessore Visini visita il carcere, impegno sul fronte dei progetti di reinserimento www.latina24ore.it, 27 maggio 2013 La realizzazione di un registro degli organismi del terzo settore che operano in carcere per mettere in rete i principali attori del sostegno ai detenuti e convogliare le risorse in modo mirato. È uno degli obiettivi annunciati dal neo assessore regionale alle politiche sociali Rita Visini nel corso della sua visita alla Casa circondariale di Latina. “Occorre regimentare associazioni e strutture che operano in carcere per ottimizzare e risorse ed intercettare meglio le necessità concrete delle singole realtà regionali” ha detto l’assessore che con Latina si è trovata a visitare la prima delle case circondariali della regione, la seconda dopo Civitavecchia per indice di sovraffollamento nel quadro di un’emergenza che non risparmia nessuna struttura del Lazio (tutte oltre il + 50%). “Con un sovraffollamento che arriva all’88% il carcere di Latina - ha proseguito l’assessore - è all’attenzione del nostro programma di governo e necessiterebbe di interventi anche sotto il profilo strutturale e logistico, nulla da dire sotto il profilo umano, ho riscontrato grande rispetto e attenzione nei confronti della popolazione carceraria”. L’assessore Visini ha promesso il suo impegno anche sul fronte dei progetti di reinserimento sociale per i detenuti, “progetti che non vanno dimenticati pur nella scarsità di risorse economiche perché sono un tassello fondamentale nel quadro di un corretto recupero di chi ha sbagliato, nell’interesse di tutta la società”. Padova: pranzo e brindisi con i detenuti… “mani che tornano a fare il bene” di Leandro Barsotti Il Mattino di Padova, 27 maggio 2013 “Ogni milione di euro investito in rieducazione del detenuto se ne risparmiano nove: il carcerato che non fa niente costa 100 mila euro l’anno allo Stato. Quando invece lavora costa meno, produce, paga le tasse, manda i soldi a casa alla famiglia e soprattutto quando esce continua a lavorare perché ha capito il valore del lavoro e della sua vita”. È un Nicola Boscoletto in grandissima forma quello che ieri mattina al Due Palazzi ha guidato una nutrita delegazione cittadina a visitare gli spazi in cui la sua cooperativa sociale Giotto offre il lavoro a 130 detenuti. Dice sottovoce una guardia carceraria, durante la visita: “Quasi tutti qui dentro vorrebbero lavorare e ci sono quasi mille detenuti”. Lavorare per la cooperativa Giotto è un dono. La cooperativa produce dolci di altissima qualità, e pluripremiati (il panettone è una celebrità). Ma produce anche biciclette, valigie, servizi, ha un call center. Gli spazi saranno ampliati e nei prossimi due anni altri quaranta detenuti potranno trovare occupazione. Questo modello padovano è così straordinario che Nicola Boscoletto è stato chiamato ad un convegno internazionale a Buenos Aires sul lavoro sociale in carcere. Lui insiste sul concetto: “Al detenuto va offerta una possibilità reale di rifarsi una vita, e questa possibilità reale è solo un lavoro non chiacchiere: un lavoro retribuito che prevede diritti e doveri, che ti obbliga a confrontarti con il mercato: questo processo di consapevolezza fa capire alla persona il male che ha fatto e la strada che deve fare per redimersi. Se invece lasci il detenuto a discutere sui suoi diritti lesi, dimentica il percorso che deve fare, perché noi in ogni istante dobbiamo decidere di essere per prima cosa delle persone”. La visita ai luoghi di lavoro del carcere ha visto la presenza del sindaco Ivo Rossi, dello staff azienda ospedaliera con il direttore generale Dario, i professori Perilongo e Giron, padre Poiana del Santo, molti imprenditori. È stata l’occasione per riunire la città intorno a un grande tavolo nel cuore del Due Palazzi, è stata l’occasione per mangiare serviti dai detenuti, i piatti di alta cucina da loro preparati; e l’esperienza padovana è veramente unica nel nostro Paese. È stata anche l’occasione per fare il punto della situazione sulla cena di Santa Lucia, l’appuntamento di dicembre con la cena di beneficenza più conosciuta d’Italia. In questo caso Graziano Debellini, presidente dell’associazione Santa Lucia, non ha nascosto l’emozione nel ritrovare l’energia di suor Laura, destinataria recente di una donazione per la sua missione in Etiopia. Infine, ancora Boscoletto: “Da un mondo come quello del carcere è cresciuto nel tempo attraverso il lavoro un legame con il territorio straordinario. Questo incrocio di mani che hanno fatto del male e che tornano a fare del bene, è la nostra più grande speranza”. Trieste: lezioni di cinematografia dentro il Coroneo, corso professionale tenuto dall’Enaip Il Piccolo, 27 maggio 2013 Un corso professionale di “Tecniche di ripresa audio e video” all’interno della Casa Circondariale del Coroneo, oltre 300 ore di docenza con un gruppo di detenuti, per insegnare loro tutto ciò che riguarda il racconto per immagini, dalla teoria alla pratica. Si tratta di una formazione cinematografica a tutto tondo, con lezioni di sceneggiatura, riprese, fonia, luci, montaggio, quella che Enaip Fvg, in collaborazione con il Festival Maremetraggio fornirà alla classe di 15 detenuti che dallo scorso aprile hanno intrapreso questo percorso professionalizzante dalla duplice valenza. L’obiettivo è infatti da un lato quello di fornire a questi insoliti studenti competenze che, una volta usciti dal carcere, potranno sfruttare in ambito lavorativo, dall’altro quello di riempire le loro giornate all’interno delle mura della Casa circondariale e fornire loro l’occasione per raccontarsi e mantenere una forma di contatto con il mondo esterno. Impegnati nell’impresa, che si avvale della direzione artistica del regista Davide Del Degan e della direzione organizzativa di Chiara Omero, presidente di Maremetraggio, ci sono per ora Giordano Bianchi per le tecniche di ripresa, Ivan Gergolet per i fondamenti di sceneggiatura, il fonico Francesco Morosini e Lorenzo Acquaviva per la recitazione. “Dopo quattro anni in cui, grazie alla collaborazione di Davide Del Degan, con “Oltre il muro” Maremetraggio è entrato con i suoi cortometraggi nella Casa circondariale - racconta Chiara Omero, presidente del festival cinematografico, quest’anno siamo riusciti a rendere la nostra presenza parte di un progetto di formazione articolato organizzato con Enaip: si tratta della naturale prosecuzione di un lungo percorso”. “Fino all’anno scorso ci si vedeva per tre giorni all’anno di proiezioni - dice Davide Del Degan - e già l’entusiasmo dei detenuti, chiamati a visionare i cortometraggi e a giudicarli, era grande: in questo corso la loro passione ed energia è cresciuta ancora e sta contagiando anche noi docenti. Per me il contatto con la realtà carceraria è stato un altro ingresso in una realtà ristretta, claustrofobica. Questo è proprio il tema che ho sempre cercato di esplorare con i miei cortometraggi: da Interno 9 a Habibi, tutte le storie che ho scelto di raccontare hanno a che fare con uomini rinchiusi, in un appartamento da 50 metri quadri o in una terra dai confini blindati”. Lucera (Fg): il 31 maggio presentazione di “Le righe in bianco, parole e colori dal carcere” di Chiara Pittari (Associazione Lavori In Corso) Foggia Today, 27 maggio 2013 Il 31 maggio 2013, alle ore 20.00, presso la Basilica Minore di S. Francesco Antonio Fasani di Lucera, avrà luogo la presentazione del libro “Le righe in bianco: parole e colori dal carcere”. La manifestazione avrà come proposito non solo la mera promozione del testo realizzato dai detenuti della casa Circondariale di Lucera sotto la supervisione e la cura di Umberto Di Gioia e Antonietta Clemente, ma avrà come fine fondamentale quello di eseguire un itinerario fittizio alla scoperta dell’ambiente carcere. Il libro, che è il frutto di un lungo e difficile percorso iniziato nel 2010 che ha coinvolto i volontari dell’associazione “Lavori in corso” ed i detenuti, racchiude le poesie ed i quadri elaborati da questi ultimi. In particolare, il “ gruppo poetico” ha portato a termine un percorso di riflessione, dialogo e condivisione, sui “grandi temi” trattati dalla Poesia; i corsisti, mediante la lettura e la discussione dei versi di scrittori noti, a loro volta, sono diventati soggetti attivi componendo poesie sui loro vissuti, le loro emozioni, i loro propositi. Il “gruppo di pittura”, invece, ha condotto i partecipanti all’espressione empatica di gioie, paure, istinti, desideri e ricordi attraverso la forza istintuale del colore. Di fondamentale importanza sarà la presenza di alcuni dei detenuti che hanno portato alla realizzazione del libro, di tutti i volontari dell’Associazione Lavori in corso, nonché del Garante dei diritti dei detenuti, Dott. Pietro Rossi. Attraverso la lettura dei versi delle poesie e la spiegazione dei colori delle tele, saranno narrate: la sofferenza della solitudine, il rimorso e la paura, la speranza del riscatto, la voglia di crescere attraverso l’esperienza del nuovo che hanno vissuto nel percorso intrapreso. Durante la serata si esibiranno in concerto i ragazzi della “Orchestra Nova”, nata dalla volontà dei frati della Chiesa di S. Antonio di Foggia di prevenire la devianza giovanile attraverso l’arte, è composta da 72 ragazzi uniti dall’amore e la passione per la musica, dalla dedizione allo studio, dall’entusiasmo di realizzare un sogno. Una serata, quindi che esplicherà, attraverso note melodiose, versi poetici e colori cangianti, le condizioni e gli stati d’animo dei ristretti. Larino (Cb): menù sotto le stelle per raccogliere fondi, una cena nel cortile del carcere www.primonumero.it, 27 maggio 2013 “Sotto le stelle, dietro le sbarre”, così si chiama l’iniziativa promossa dall’associazione Iktus onlus in collaborazione con la direzione della casa circondariale. La cena di beneficenza si svolgerà il 20 giugno nell’atrio della struttura, con un menù preparato dai detenuti allievi dei corsi dell’Ipssar, guidati dai docenti. L’evento è aperto a tutti coloro che vorranno aderirvi. “Raccoglieremo fondi per le necessità didattiche dei detenuti e altre attività”, spiega don Benito Giorgetta che sabato 25 maggio ha accompagnato 15 dei 71 volontari del corso promosso nel cinema Oddo, nel loro primo ingresso nella casa circondariale. La cena sarà preparata dai detenuti, allievi dei corsi dell’Istituto Alberghiero, con l’aiuto dei docenti. E si svolgerà per la prima volta nel cortile della casa circondariale di contrada Monte Arcano, il 20 giugno. “Sotto le stelle, dietro e sbarre”, così si chiama l’iniziativa, rara per la vita all’interno di un carcere, promossa dall’associazione Iktus Onlus in collaborazione con la direzione della struttura, per raccogliere fondi e sostenere le necessità didattiche degli stessi ospiti del carcere, e altre iniziative. L’evento è stato presentato nella giornata di sabato 25 maggio, nel giorno in cui per la prima volta 15 dei 71 volontari che hanno frequentato il corso nel cinema Oddo e ricevuto il mandato ufficiale del vescovo, hanno fatto il loro ingresso nella struttura, guidati dalla direttrice Rosa La Ginestra e dal parroco termolese don Benito Giorgetta. Di tutte le età, laureati e non, di tutte le estrazioni sociali, hanno aderito al progetto e ora porteranno il loro sostegno e conforto ai detenuti, promuovendo anche attività estive, incontri culturali, sportivi e ricreativi, quando termineranno i corsi scolastici. La cena di beneficenza del 20 giugno sarà aperta a tuti coloro che vorranno partecipare, con un’offerta di 30 euro. “Dico sempre che il carcere non è una discarica umana, dove i detenuti sono lasciati in solitudine e chiusi in loro stessi - spiega don Benito Giorgetta - in futuro saranno promosse altre cene, a tema, nei singoli reparti, e saranno i detenuti stessi a preparare le pietanze per ciascuna sezione”. Palermo: studenti liceali entrano all’Ucciardone e tengono un concerto per i detenuti di Giusi Spica La Repubblica, 27 maggio 2013 Trentatré studenti del classico “Meli” di Palermo hanno varcato le soglie del carcere per eseguire brani di musica classica e pop davanti a 80 carcerati. Che hanno ricambiato con calorosi applausi. Giuseppe ha 40 anni, un quarto passati in cella. Nella sua vecchia vita da rapinatore, l’unico suono a cui era abituato era quello degli allarmi delle banche. Eppure, quando per la prima volta ascolta le note de “Il flauto magico”, non può fare a meno di venirne rapito. Mozart non sa nemmeno chi sia, ma non ha dubbi che “fa una musica da Dio”. E assieme a lui, di fronte a quello spettacolo di note, applaudono i compagni di cella. A cantare per i ragazzi di “dentro” ci sono i ragazzi di “fuori”: trentatré liceali del coro del liceo classico Meli che ieri, per la prima volta, hanno varcato le soglie del carcere Ucciardone per regalare la loro voce a un pubblico speciale. “Questo - dice Claudia, vocalist della V B - è stato il miglior pubblico che abbiamo mai avuto. Quando abbiamo cantato a piazza Politeama non ci siamo beccati tutti questi applausi”. E in effetti, tra gli 80 detenuti che volontariamente hanno aderito all’iniziativa, le voci degli studenti hanno scatenato grandi ovazioni. “Ogni artista - dice Marco della V A - vorrebbe essere accolto così”. Rossini, Piovani, Freddie Mercury e altri big della musica classica e pop: il repertorio musicale sfoggiato dai ragazzi ha fatto impazzire il pubblico nel teatro del carcere gremito come un uovo. Ma a scaldare di più la platea degli 80 carcerati che volontariamente hanno aderito all’iniziativa è stata la mattinata siciliana “E vui durmiti ancora!” di Calì. Alla fine del concerto, il pubblico ha preteso il bis. L’iniziativa del coro Melica, diretto dalla maestra Antonina Terzo e accompagnato da Giuseppe Messina al pianoforte, è nata da una collaborazione con l’associazione Amici della Musica, che ha dato vita a vari progetti di formazione musicale realizzati anche con il centro giovanile Don Giuseppe Puglisi di Brancaccio e le scuole “Madre Teresa di Calcutta” e “Federico II”. Per i liceali è stata l’occasione per conoscere un microcosmo nuovo, perché, per la prima volta, hanno messo piede in quello che loro stessi definiscono un “monumento al nero”. Sfatando molti pregiudizi. “Ce lo eravamo sempre immaginati come un luogo chiuso, buio, tetro”, ammettono. A proporre l’incontro sono stati la direttrice del carcere Rita Barbera e il responsabile del sert 4 dell’Asp di Palermo Sergio Paderi. “Non è la prima volta che cerchiamo di portare qua dentro il mondo esterno - dice la direttrice - già la settimana scorsa abbiamo ospitato gli studenti del liceo classico Umberto. E poi tutte le iniziative, purché siano a sfondo culturale, sono ben accette. Del resto lo scopo del carcere è rieducare”. “Mettere in comunicazione il dentro e il fuori - dice Paderi - è molto importante”. Per i detenuti è stata una boccata di libertà. Nel “vuoto d’eventi” che il carcere è per definizione, la musica è una terapia. Come la pittura, la scuola, il lavoro manuale. “Abbiamo quattro corsi di scuola media, il biennio del liceo scientifico, un corso di scuola elementare e 10 di formazione professionale in cucina, grafica pubblicitaria, informativa, fotovoltaico”, dice Nunzio Brigugnano, responsabile dell’area pedagogica dell’Ucciardone. C’è anche un corso molto particolare: “Si tratta di quello di digitalizzazione dei documenti, che sta impegnando i detenuti nel digitalizzare tutta la messe di materiale del maxi-processo alla mafia”. E tra i carcerati c’è chi ha deciso di impiegare il tempo che deve scontare in galera investendo su sé stesso. “Ho preso la licenza media qui e ora frequento il liceo scientifico”, dice Giuseppe. Che è pronto a scommettere: “Di questo passo, prima di uscire, fra altri 5 anni se tutto va bene, prenderò la laurea”. Stati Uniti: il super giudice americano Scalia “Chiudere Guantánamo? Un’ipocrisia” Intervista di Paolo Valentino Corriere della Sera, 27 maggio 2013 “Quando protestate per i detenuti a Guantánamo, rispondo: “Vorreste prenderne qualcuno da voi?”. La risposta è sempre no”. “L’attivismo giudiziario è un abuso di potere e distrugge la pretesa dei magistrati di essere il legittimo arbitro finale del significato della legge”. Lo dirà stamane Antonin Scalia a Torino nel “Discorso Bruno Leoni”, la conferenza che l’omonimo istituto organizza in occasione del centenario della nascita del filosofo liberale. Il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, punta di lancia della cultura conservatrice, parlerà del rapporto tra democrazia, attivismo giudiziario e libero mercato. Il suo sarà un atto di accusa, come sempre diretto ed esplicito, alle “agende politiche di moda” che portano molti magistrati a sottovalutare le protezioni costituzionali dei diritti economici. Scalia ha in mente gli Usa, ma il suo messaggio sulla necessità per i giudici di “interessarsi di più ai diritti proprietari e alle libertà economiche” previste dalla Costituzione americana, acquista valore di appello universale. Con Antonin “Nino” Scalia, nato nel 1936 a Trenton, New Jersey, da immigrati siciliani, abbiamo parlato al telefono alla vigilia dell’appuntamento torinese. Mr. Justice, il presidente Obama ha detto di recente che la guerra al terrorismo, come tutte le guerre, dovrà finire, ammettendo anche che gli Stati Uniti in questi anni sono stati in conflitto con i propri stessi principi. Lei crede che dopo l’11 settembre l’America, in nome della sicurezza, sia stata in difetto con la sua Costituzione? “La nostra Costituzione protegge i non-americani quando sono in America, ma non limita le attività del governo all’estero, eccezion fatta quando si tratta di cittadini americani. Questa è la legge. Naturalmente il presidente decide quale politica debbano seguire i militari”. Ma non esistono dei diritti universali? “Io non applico diritti universali. Io devo applicare la legge americana, espressa nella Costituzione e nelle leggi approvate dal Congresso. Non applico le leggi di Dio o di chiunque promulghi la cosiddetta legge internazionale”. Ma ci sono convenzioni internazionali, cui gli Stati Uniti aderiscono... “Certo. E nella misura in cui le abbiamo sottoscritte, sono diventate leggi americane che vincolano l’esecutivo. Ma non ne conosco una, in tema di guerra al terrorismo, che limiti le azioni degli Stati Uniti contro i nemici che ci attaccano. Certo, c’è la Convenzione di Ginevra. Ma non si può invocarla, se non si è un esercito, soggetto al comando di qualcuno, che indossa un’uniforme. I terroristi non indossano uniformi, giusto? Ginevra si applica nel caso di una guerra e non si applica a chiunque decida di far esplodere una scuola o un grattacielo”. Lei non pensa che nella guerra al terrore l’America abbia violato principi che sono alla base della sua democrazia? “Troppo generale. A me interessa sapere se l’America abbia violato la sua Costituzione”. Ma è possibile mettere qualcuno in prigione per sempre senza giudicarlo? “Sta parlando di Guantánamo?”. Sì. “Non è una descrizione accurata. Il tema non è se uno possa essere detenuto laggiù, ma se vi possa rimanere senza un processo civile. I detenuti a Guantánamo sono stati giudicati da commissioni militari, cosa normale in guerra. Nessuno delle centinaia di migliaia di tedeschi catturati nella Seconda guerra mondiale ebbe un processo civile negli Usa, furono giudicati da tribunali militari. Questa nozione che stiamo facendo qualcosa di inaudito è assurda. Quando parlo con i miei amici europei e mi dicono che non possiamo tenerli in prigione per sempre, rispondo: “Bene, ci stiamo pensando. Vorreste prenderne qualcuno in Italia, in Germania, in Francia, visto che siete così ligi ai principi del rispetto dei diritti umani?”. La risposta è sempre no. Trovo questa polemica molto ipocrita”. Lei è considerato la maggiore forza intellettuale dietro la cosiddetta lettura “originalist” della Costituzione americana. Può un testo redatto quasi due secoli e mezzo fa essere applicato, senza interpretazione, a una società radicalmente cambiata ed evoluta da allora? “Ovviamente dev’essere interpretato. Quando ci sono nuovi fenomeni che non esistevano al tempo in cui la Costituzione fu scritta, uno deve calcolare in che modo lo spirito di quel testo si applica a loro. Per esempio, il diritto di espressione: come si applica alla radio, alla tv, ai social media. Ciò che non accade, secondo gli originalist, è che i fenomeni che esistevano al tempo vengano improvvisamente trattati diversamente poiché lo pensano i giudici di oggi. L’esempio migliore è la pena di morte. C’è qualcuno che pensa che la pena di morte sia diventata incostituzionale. Assolutamente incomprensibile per me: il popolo americano non ha votato per renderla incostituzionale. Ogni Stato se crede può abolirla e 17 di questi lo hanno fatto. Ma non c’è alcuna base per dire che la nostra Costituzione proibisca la pena di morte, chi lo dice è un incendiario”. E questo si applica anche al diritto di portare armi? “Esattamente”. Ma allora l’autodifesa aveva senso, oggi ci sono istituzioni che proteggono il cittadino. “Bene, allora cambino il secondo emendamento. E sarebbe anche più facile, perché il suo scopo era di consentire ai cittadini di difendersi dalla tirannia del potere. Se la gente non lo ritiene più necessario, allora si cambi la Costituzione, ma non mi dite che qualcosa sia cambiato. Ci sono molte proposte di legge che riguardano quali armi possano essere portate. Per esempio, armi a spalla che possono lanciare missili in grado di abbattere un aereo. Ma il principio generale che i cittadini possano avere armi, incluse armi da guerra, è chiaro nel testo del secondo emendamento. Se si vuole essere onesti e non si vuole che siano i giudici a scrivere la legge, i cittadini americani hanno il diritto di portare armi, come difesa dai tiranni”. Ma è un fatto che sempre più di frequente queste armi sono usate per uccidere persone innocenti... “Nonsense. Non c’è nessuna prova che le combat arms o le “armi d’assalto” siano la causa di questi episodi. Ogni cacciatore in America ha un fucile automatico”. Yemen: Sanaa pronta a organizzare rientro in patria dei detenuti di Guantánamo Agi, 27 maggio 2013 Lo Yemen è pronto a organizzare il rientro dei detenuti di Guantánamo. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Abu Bakr al-Kurbi, spiegando che il suo dicastero si sta coordinando con le autorità Usa per preparare il rimpatrio dei detenuti yemeniti a Guantánamo. “Stiamo prendendo contatti con le autorità Usa - ha detto il ministro – per preparare il rimpatrio dei nostri detenuti a Guantánamo”. Riteniamo, ha aggiunto, che gli Americano vogliano procedere al rimpatrio per gruppi. Degli 86 detenuti che possono essere rimpatriati, 56 sono yemeniti. In tutto, i detenuti dello Yemen a Guantánamo sono 84, il gruppo maggiore per nazionalità.