Lettera aperta a Ristretti Orizzonti e ai Responsabili del DAP di Mario Iannucci, Psichiatra della CC di Sollicciano in Firenze Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2013 Oggi sono indubbiamente amareggiato. Lo sono sempre quando mi sfugge il senso di un confronto che, invece di avere toni civili e riflessivi, scade nella polemica. Specie se si tratta di una polemica di cui non capisco le origini. Assisto perplesso alle “precisazioni” del DAP relative alla questione dei suicidi in carcere e ai “rimproveri” mossi a Ristretti Orizzonti. Può anche darsi che nei dati forniti da Ristretti vi sia stata qualche imprecisione. D’altronde posso testimoniare che le imprecisioni sono abituali in taluni dati forniti abitualmente dal DAP. Posso dirlo con certezza, ad esempio, per quello che riguarda i dati relativi alle patologie psichiatriche in ambito penitenziario. Io, però, mi chiedo come si possa rimproverare una testata come Ristretti Orizzonti, che in maniera davvero puntuale ed ecumenica ospita opinioni anche di segno opposto relative alle questioni penitenziarie, dimostrando un interesse per tali questioni, e quindi per gli uomini detenuti, che non può che essere grandemente lodato. La questione dei suicidi e delle morti in ambito penitenziario è di sicuro rilievo. Lo sa bene l’attuale Direttore Generale del DAP, il Presidente Giovanni Tamburino, che per anni, quando era a capo dell’Ufficio Studi e Ricerche, ha fortemente voluto una Commissione per lo studio dei suicidi in carcere. Io, personalmente, avrei composto quella Commissione (o comunque quel Gruppo) in maniera diversa da come fece il Presidente Tamburino, con il coinvolgimento di coloro che si occupano direttamente dell’assistenza dei detenuti. Resta tuttavia encomiabile l’attenzione che il Presidente Tamburino dimostrò in quella circostanza. Non capisco, allora, come si possa attaccare una testata come Ristretti Orizzonti, quasi l’unica che da anni ci informa con grande puntualità di tutte le questioni che riguardano i detenuti, compresa la questione dei suicidi. Io, dunque, sono grato a Ornella Favero e a tutti gli amici (li considero tali) di Ristretti Orizzonti, poiché la loro passione e la loro tenacia mi inducono a credere che vi sia ancora una consistente parte civile in questa nostra società. Poco mi importa che talora le posizioni di Ristretti Orizzonti possano apparire a tutta prima un po’ di parte. Stare dalla parte dei deboli denota in ogni caso un po’ di coraggio. Auspico dunque che il DAP apra un dialogo franco con tutti coloro che si occupano, in maniera appassionata dei temi del penitenziario. Tanto più se lo fanno ricercando notizie, scambiandosele, divulgandole. La trasparenza e la competenza sono requisiti essenziali perché i problemi vengano affrontati e risolti. Specie in un campo dove la sinergia di tutte le professioni in gioco è assolutamente indispensabile perché si raggiungano buoni risultati e perché coloro che lavorano in ambito penitenziario riescano a cogliere davvero il senso del loro lavoro, apprezzandone l’utilità. Non dimentichiamo, infatti, che se l’incidenza del suicidio fra i detenuti è decisamente superiore a quella della popolazione generale, lo è anche, seppure in misura meno marcata, l’incidenza del suicidio fra gli operatori penitenziari, in particolare fra quelli della Polizia Penitenziaria. Caligaris (Sdr): solidarietà e rispetto a Ristretti Orizzonti per informazione puntuale Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2013 “La redazione di Ristretti Orizzonti merita rispetto per la concreta, puntuale e oggettiva attività d’informazione che svolge da anni sul carcere. È un punto di riferimento importante e significativo. Socialismo Diritti Riforme esprime solidarietà alla Direttrice e agli operatori. Le dichiarazioni di Luigi Pagano, vice Capo del Dap, che accusa i responsabili dell’agenzia di gonfiare i dati dei suicidi in carcere, sono sintomo di debolezza del sistema”. “Permangono nel nostro Paese - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR - condizioni di profondo disagio negli Istituti Penitenziari, molte delle quali purtroppo sfociano in atti tragici e incontrovertibili. Sottacerli o minimizzarli non serve. È però inutile ritenere che si possano gonfiare dati giacché la realtà è molto più problematica di quella che raccontano i numeri”. Giustizia: carceri disumane… rinviare la pena? di Antonio Maria Mira Avvenire, 22 maggio 2013 La pena è legale solo se non consiste in trattamento contrario al senso di umanità”, perciò “la pena inumana è “non pena” e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolge in condizioni talmente degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato”. Lo scrive il Tribunale di sorveglianza di Venezia nell’ordinanza di rinvio alla Consulta, ponendo la questione di costituzionalità dell’articolo 147 del Codice penale che prevede il differimento della pena solo per infermità fisica o mentale, e per detenute-madri con figli di meno di 3 anni. Ma non “per trattamento disumano e degradante”, quale è il sovraffollamento, così come stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in meno di 3 mq per detenuto. Una richiesta sulla quale la Consulta deciderà nei prossimi mesi, come annunciato dal presidente, Franco Gallo. “La affronteremo con più urgenza possibile, entro luglio e poco dopo l’estate”. Non è l’unica ordinanza perché una, praticamente uguale (violazione degli articoli 3, 27 e 117 della Costituzione), è stata inviata dal Tribunale di sorveglianza di Milano che ritiene che “il detenuto stia subendo un trattamento “disumano” e degradante e che, dunque, si pone in tutta evidenza una questione di compatibilità della sua detenzione con i principi di non disumanità della pena e di rispetto della dignità della persona detenuta sottesi all’applicazione proprio dell’istituto del differimento della pena”. Ma questa, come detto, si può applicare solo in specifici casi (malattia e maternità) e non per il sovraffollamento che i due Tribunali descrivono in modo puntiglioso (vedi altro articolo). Invece, scrivono, il differimento sarebbe “l’unico strumento di effettiva tutela in sede giurisdizionale al fine di ricondurre nell’alveo della legalità costituzionale l’esecuzione della pena a fronte di condizioni detentive che si risolvono in trattamenti disumani e degradanti”. Una situazione che, secondo in giudici, contrasta nettamente con l’articolo 27 della Costituzione, non solo perché i “trattamenti” sono “contrari al senso di umanità” ma anche “al finalismo rieducativo”. “Ogni pena eseguita in condizioni di “inumanità” - scrive infatti il Tribunale di Milano - non può mai dispiegare pienamente la sua finalità rieducativa poiché la restrizione in spazi angusti, a ridosso di altri corpi, produce invalidazione di tutta la persona e quindi deresponsabilizzazione e rimozione del senso di colpa non inducendo nel condannato quel significativo processo modificativo che, attraverso il trattamento individualizzato, consente l’instaurazione di una normale vita di relazione”. Una condizione per la quale i magistrati denunciano di avere le mani legate. “Il Tribunale di sorveglianza - scrivono le toghe di Venezia - è chiamato a dover dare applicazione al principio di non disumanità della pena in un caso in cui, pur ricorrendo i parametri in fatto di un trattamento disumano e degradante, così come verificati in casi analoghi dalla costante giurisprudenza della Corte europea, non si può ricorrere all’istituto del rinvio facoltativo della pena, poiché tale ipotesi non si trova ricompresa tra quelle tassativamente previste dalla norma”. E dunque, aggiungono, “da un lato il trattamento inumano non potrebbe tollerare una sua indebita protrazione”, ma “dall’altro si deve registrare la sostanziale ineffettività della tutela riconosciuta”. Anzi, rincara la dose il Tribunale di Milano, “il magistrato di sorveglianza, qualora accerti la violazione di un diritto del detenuto da parte dell’Amministrazione penitenziaria e ne ordini la rimozione, non ha, tuttavia, alcun potere di intervento diretto in caso di inerzia”. E ricorda come siano passati invano 14 anni dalla sentenza della Consulta con la quale “il Parlamento era stato invitato a prevedere forme di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale”. Ora toccherà nuovamente alla Corte e “con urgenza”. Brande pieghevoli e sacchi di abiti sotto il letto Una cella di 23,09 metri quadri per 9-10 detenuti. Poi un’altra di 24,58 per altrettanti carcerati. Infine il “miglioramento” con una cella di 9,09 ma per solo 3 detenuti. Sono quelle che hanno ospitato uno dei detenuti che hanno fatto ricorso. Prima casa circondariale e poi casa di reclusione, sempre a Padova. Per 9 giorni ha avuto a disposizione 2,43 mq, per altri 122 è salito a 2,58, per passare a 3,03 col cambio di carcere. Nel primi due casi, scrive il Tribunale di sorveglianza di Venezia, “nettamente al di sotto del limite vitale di 3 mq come stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Ancor più ridotto per la presenza di 7 armadietti. Ma anche nel terzo caso il limite è ulteriormente abbassato dalla presenza di 3 armadi grandi, scendendo a 2,83 mq a detenuto, come calcola con precisione il Tribunale. Ancora peggiore è la descrizione della Casa circondariale San Quirico di Monza. L’istituto, scrive il Tribunale di sorveglianza di Milano, “aperto nel 1992, comprende 16 sezioni ordinarie (di cui due inagibili), ciascuna composta da 25 camere detentive previste, nel progetto originario, per una sola persona, ma in cui sono state alloggiate, sin dall’apertura, due persone; successivamente - prosegue la descrizione -, dal 2008, l’elevata presenza di ingressi ha determinato l’utilizzo della terza branda di tipo pieghevole”. O anche “un materasso a terra”. Il detenuto preso in esame “si trova ubicato nella sezione 7 del circuito AS3 ove sono presenti 25 stanze” ma ne sono “occupate solo 12, in cui sono sistemati complessivamente 35 ristretti, in quanto le altre risultano inagibili per carenze strutturali dovute all’infiltrazione dell’acqua piovana”. La cella misura 11 mq e quindi, teoricamente, lo spazio disponibile per ciascun detenuto è di 3,30 mq. Ma, aggiunge il Tribunale, “considerando l’ingombro della limitata mobilia messa a disposizione, lo spazio disponibile è di gran lunga inferiore ai 3 mq”. Mobilio peraltro “insufficiente”, denunciano i giudici, al punto che “la branda pieghevole è posizionata (quando è chiusa) al lato del muro lasciato libero e non sotto il letto in quanto è occupato da tre sacchi di vestiti e scarpe”. Inoltre nel bagno (senza finestre né acqua calda) non ci sono suppellettili “tanto che i detenuti hanno realizzato delle rudimentali mensole con pacchetti di sigarette aperti e attaccati al muro ove posizionare sapone e spazzolino da denti”. Giustizia: Cancellieri; sulle carceri senso di responsabilità come ministro e come cittadino Prima Pagina News, 22 maggio 2013 “La situazione di criticità in cui versa il sistema carcerario italiano, sconta, come è noto, un pluriennale ritardo nell’adozione di misure radicali che avrebbero dovuto consentire di dare una risposta strutturale e organica dell’emergenza. È una situazione che va a colpire e a creare disagio e sofferenza non solo alla popolazione carceraria ma anche agli uomini e alle donne della polizia penitenziaria cui va tutta la mia personale gratitudine e l’apprezzamento per la dedizione, l’umanità e lo spirito di sacrificio con cui quotidianamente svolgono il loro servizio consentendo con il loro impegno di sopperire, sia pure in parte, alle carenze del sistema. Analogo sentimento di riconoscenza, voglio rivolgere a tutto il resto del personale, medici, psicologi e operatori, che con altrettanta dedizione presta la propria opera all’interno delle nostre carceri. È mio dovere indefettibile e indifferibile agire, non intendo sottrarmi a questa che sento come una pressante responsabilità, certamente come ministro, ma anche da cittadino e come persona”. Queste le parole del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, in audizione in commissione Giustizia alla Camera. Giustizia: intervista al magistrato Guido Brambilla “ci vuole subito l’amnistia o l’indulto” www.ilsussidiario.net, 22 maggio 2013 Il carcere non può essere più “l’unica soluzione possibile” solo perché lo Stato “non è in grado di trovarne di altre. È per questo motivo che, davanti alla commissione Giustizia del Senato, il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha avanzato diverse proposte. Tra queste, quella di limitare la reclusione “ai soli reati più gravi” e di intervenire “valutando tutte soluzioni alternative”, a cominciare da “nuove pene detentive non carcerarie”, ad esempio la sospensione del processo o la messa alla prova, la riforma della contumacia e in particolare “un percorso di decriminalizzazione”. Abbiamo analizzato le parole del ministro insieme a Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza di Milano. Il ministro Cancellieri ha detto che “le priorità sono quelle per cui siamo carenti nei confronti dell’Europa, come le carceri e la giustizia civile”. Cosa ne pensa? Alcuni tribunali di sorveglianza italiani, tra i quali anche quello di Milano, sono giunti a sottoporre alla Corte costituzionale, nell’assenza di attuali soluzioni legislative, il vaglio di legittimità dell’articolo 147 del codice penale nella parte in cui non prevede, oltre ai casi ivi espressamente contemplati, l’ipotesi di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena quando essa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità, per violazione degli articoli 27, comma 3, 117, comma 1 (nella parte in cui recepisce l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo del 4 novembre 1950), 2 e 3 della Costituzione. Il problema, quindi, non è più differibile. Quanto alla giustizia civile? Penso che si tratti di altra questione improcrastinabile, non solo per consentire una più sollecita soddisfazione delle legittime rivendicazioni dei privati cittadini, ma anche perché, nell’attuale quadro di grave crisi economica che sta attraversando l’Italia, le lentezze, se non la paralisi, dei contenziosi civili, inibiscono l’attrazione di investimenti stranieri. Il mio pensiero, comunque, sia in materia penale che civile, è quello di uscire dall’autarchia del processo ordinario, accreditando nuove agenzie per la soluzione dei conflitti sociali. Al momento la Cancellieri sembra non voler toccare temi sensibili, come una nuova anti-corruzione (come vorrebbe il Pd) o una riforma delle intercettazioni, come chiede invece il Pdl. È solo un motivo politico o effettivamente non sono riforme così urgenti? Quali tra le due è più necessaria secondo lei? La normativa che reprime la corruzione e quella che disciplina le intercettazioni telefoniche esistono già. Penso però, con riguardo alla corruzione, che l’ampliamento o modifica del momento repressivo non costituisca, di per sé, la soluzione del problema - quando è endemico in un sistema sociale - perché diventa inevitabilmente una questione di vasta portata culturale e politica che va affrontata, per non generare conseguenze deleterie sulla comunità tutta, nella pluralità dei suoi diversi fattori genetici. Occorre un dibattito serio sul fenomeno prima di intervenire con manovre correttive di tipo sanzionatorio. Idem per le intercettazioni telefoniche? Sì. È indiscutibile che se ne debba fare un uso accorto e finalizzato esclusivamente alla ricerca della prova, anche perché, poi, i costi delle stesse finiscono per gravare sui contribuenti. Detto ciò, tuttavia, il problema delle intercettazioni come necessario strumento investigativo va distinto da quello, certamente stigmatizzabile, dell’uso mass-mediatico delle stesse. Qui sì, a mio parere, dovrebbero porsi urgentemente dei paletti legislativi per evitare il dilagare di “gogne” gratuite prima dell’accertamento, auspicabilmente sereno e discreto, di una verità processuale. Il fatto di affrontare l’emergenza carceri è legato esclusivamente all’assenza di risorse? Il problema del sovraffollamento carcerario, già adesso, oltre che una drammatica questione umanitaria, costituisce una non trascurabile fonte di spesa per lo Stato e, quindi, per il cittadino. Ogni detenuto ha un costo: per il suo mantenimento, la sua assistenza sanitaria e la sua rieducazione, nei vari livelli in cui si struttura il trattamento penitenziario. Costruire più carceri non risolve il problema, lo amplifica. La questione è: il carcere è l’unico rimedio praticabile per garantire sicurezza con riguardo a tutti i livelli di devianza o pericolosità sociale? Solo i soggetti a rischio di recidiva di comportamenti etero-aggressivi o non altrimenti rieducabili potrebbero trovare, in un carcere adeguatamente strutturato, un ultima possibilità di emenda e di recupero con contestuale tutela della collettività. Negli altri casi, punizione e risocializzazione dovrebbero trovare altri “asset” risolutivi. Quali sono gli altri snodi del sistema giudiziario che occorre affrontare per imprimere una svolta all’emergenza delle carceri con probabilità di successo? Innanzitutto mi sembra necessario un provvedimento di clemenza. L’amnistia (o l’indulto) “resettando” il sistema penitenziario e giudiziario, lo porterebbe a livelli di tolleranza. Ma per evitare il ripetersi di situazioni cicliche (non più auspicabili), occorrerebbe un contestuale potenziamento delle misure alternative e dei lavori socialmente utili. Io troverei più pratica ed elastica l’istituzione di un’unica, significativa, misura alternativa (in luogo delle diverse oggi esistenti), sul modello dell’affidamento in prova (una vera e propria “pena comunitaria”), con limiti pena più ampliati rispetto al presente ed adattabile caso per caso, attraverso l’adozione di idonee prescrizioni, alla singola posizione del condannato. Ed anzi, onde evitare la sequenza “indagini - processo - appello - cassazione - esecuzione penale - fase di sorveglianza”, sequenza lunga e dispendiosa (oltre che spesso inefficace anche in termini di effettività sanzionatoria), auspicherei una “diversion” delle sinergie processuali. Da un lato il processo penale ordinario, per i reati sanzionati con pene più elevate. Dall’altro un processo orientato fin dall’inizio alla misura alternativa, più snello ed integrato con la partecipazione di esperti e delle varie agenzie del territorio (Uepe, Sert, Cps, Servizi sociali dei Comuni, ecc..) che possono sin da subito organizzare un progetto di reinclusione sociale, ora riservato solo alla fine di un lungo percorso processuale. Secondo il ministro andrebbe approvato il ddl Severino sulle pene alternative: “la reclusione va limitata ai soli reati gravi, introducendo la detenzione domiciliare come sanzione autonoma e i lavori di pubblica utilità”. Cosa ne pensa? Come dicevo, la detenzione domiciliare è una misura alternativa contenitiva, tuttavia poco efficace in termini rieducativi, a meno che non si trasformi, prima o poi, attraverso la modulazione delle prescrizioni, l’intervento di fattori esterni di sostegno, o l’ammissione al lavoro del condannato, in una forma spuria di affidamento in prova. Che cosa produrrebbe un eventuale rinvio delle priorità indicate dal ministro? Non posso prevederlo. Certo degli elevati costi umani, sociali ed economici. La priorità vera, però, a mio vedere, è che la società, prima ancora della politica (cui si demanda sempre tutto) cominci a reinterrogarsi sui fondamenti della giustizia e del diritto di punire. Sono domande oggi da reimpostare culturalmente, tenuto conto della crisi dello Stato moderno, del formarsi di Entità sovranazionali e del loro rapporto con la persona, singolarmente intesa e nelle forme comunitarie ove essa vive ed esprime la propria personalità e le sue esigenze fondamentali. Il programma del ministro parte però dai famosi tribunalini, dal loro taglio. È d’accordo? L’accentramento della giustizia, con l’eliminazione di sedi periferiche comporterebbe dei risparmi economici. Ma, a mio avviso, allontanerebbe ancor di più la giustizia dal territorio e quindi dalla sua conoscenza, dal rapporto vivo con la gente. Così è già stato, ad esempio, per molte stazioni dei Carabinieri, ormai soppresse, che molto avevano contribuito, in passato, a fare da “utile filtro conciliativo” tra le istanze del cittadino e la macchina giudiziaria. La storia della giustizia italiana è passata dalle Preture dei piccoli mandamenti. Andiamo verso una digitalizzazione della giustizia, più organizzata e meno costosa, ma perdiamo, forse, il meglio dell’umanità della stessa. Alla luce della sua conoscenza del problema, cosa pensa della proposta Kyenge di abolizione del reati di immigrazione clandestina? Posso solo dire, al riguardo, che la risposta in termini sanzionatori-espulsivi in tema di immigrazione clandestina, al momento, non ha dato buona prova. Penso tuttavia che occorra prima chiarire a livello europeo (perché di questione sovranazionale si tratta), che tipo di politica condivisa si intenda attuare per favorire o meno l’immigrazione e l’integrazione dei cittadini extracomunitari, che tipo di interventi solidali si intendono attuare nei loro confronti, in che misura farli partecipare alla formazione del consenso politico e, una volta attuata (o nel mentre si attui) una politica programmatica di accoglienza, come affrontare il problema della relativa devianza. Non penso perciò ad una soluzione solo italiana. Giustizia: Dap; su laboratorio centrale Dna né inaugurazioni né sprechi Comunicato Dap, 22 maggio 2013 In riferimento alle “voci” diffuse dall’organizzazione sindacale Sappe in merito a una fantomatica cerimonia di inaugurazione del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, realizzato dall’Amministrazione Penitenziaria presso il polo di Rebibbia, e di un immaginario affidamento dello stesso a personale della Polizia di Stato e dei Carabinieri, il Dap interviene per denunciare la totale inconsistenza di tali notizie. I fatti. Lo scorso 13 maggio non c’è stata alcuna inaugurazione né attivazione del citato laboratorio, bensì solo la consegna dello stesso, oramai terminato, da parte della ditta che ha eseguito i lavori, all’Amministrazione penitenziaria nella persona del Direttore generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi del Dap, Cons. Alfonso Sabella. Allo stato si sta procedendo a organizzare il complesso delle attività propedeutiche e necessarie a consentire l’accreditamento del Laboratorio Centrale presso l’ente certificatore nazionale “Accredia” secondo la norma Uni En Iso Iec 17025:2005. Trattasi di attività che richiedono competenze tecnico scientifiche molto settoriali in ambito genetico e di analisi forense nonché sul piano della gestione dei sistemi di qualità. Al fine di supportare, sul piano tecnico-scientifico, l’istituzione del laboratorio e la predetta attività, già dal marzo 2010 si era provveduto alla stipula di una Convenzione con il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, per un impegno complessivo pari a euro 80.565,16 (oltre iva) e non già “parecchie centinaia di migliaia di euro l’anno” su cui si favoleggia. Per inciso, è opportuno aggiungere che, con i fondi accreditati, l’Amministrazione ha realizzato, in tutti i 207 istituti della nazione, i laboratori che saranno utilizzati per il prelievo dei reperti biologici sia dei detenuti già presenti sia di quanti entreranno in futuro, ha formato il personale che vi provvederà e ha creato, presso la C.R. di Rebibbia, il laboratorio centrale completandolo di attrezzature tecnologicamente all’avanguardia e realizzando un risparmio di oltre un milione di euro. Il laboratorio, quindi, non è ancora in funzione, come del pari non è attiva la Banca Dati del Ministero degli Interni, e, di conseguenza, non è gestito da alcuno, neppure da personale di altre forze di Polizia, né lo sarà in futuro, perché, lo si ribadisce ancora una volta, così come vuole la legge e come è impegno formale di questa Amministrazione, la sua conduzione sarà affidato ai ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria non appena saranno completate le relative procedure concorsuali. Bisogna, invece, qui, pubblicamente, ringraziare i vertici della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri, con cui il Dap siede al tavolo di confronto e coordinamento interforze istituito dopo il varo della legge 85/2009 per consentire un andamento parallelo e coordinato delle attività poste dalla norma in capo al ministero della Giustizia e a quello degli Interni, che, in un leale rapporto di collaborazione istituzionale, hanno offerto la disponibilità, gratuita, di loro dirigenti tecnici a coadiuvare il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nelle attività di prova, consentendoci di accelerare i tempi dell’accreditamento e di realizzare un non disprezzabile, ulteriore, risparmio di fondi, che servirà nel futuro, quando il laboratorio entrerà in funzione. Questa è la realtà dei fatti, accertabile e verificabile da parte di chiunque. Una riflessione, però, sull’accaduto è necessaria. Il continuo, sistematico ripetersi della propalazione di sensazionali notizie che, poi, si rivelano assolutamente false, da parte della sigla sindacale Sappe, con attacchi oramai giunti al vilipendio personale, non può più essere considerata quale legittima, seppur serrata, critica sindacale, ma è andata degenerando in una operazione di disinformazione atta a gettare discredito sull’Amministrazione e a ledere gravemente l’immagine dello stesso Corpo di Polizia Penitenziaria. Giustizia: le carceri nell’Odg Commissione della Camera, con ddl sulla “messa alla prova” Ansa, 22 maggio 2013 Riparte dalle carceri la commissione Giustizia di Montecitorio. All’odg è stato infatti messo un testo, approvato dalla sola Camera nella scorsa legislatura, che prevede la possibilità per gli imputati di processi con pena massima 4 anni, di chiedere la sospensione del processo e di accedere a un programma di rieducazione. I relatori sono Enrico Costa del Pdl e la presidente della commissione, Donatella Ferranti, che spiega che “il testo potrebbe avere un canale di priorità se tutte le forze politiche sono d’accordo”. La corsia preferenziale, spiega la Ferranti, potrebbe avere una via preferenziale in base all’articolo 107 del regolamento della Camera “in quanto già approvato nella scorsa legislatura”. “Noi - spiega - lo abbiamo ripresentato uguale”. Oggi Costa ha svolta la relazione e si è dunque aperta la discussione generale in commissione. Il testo prevede, tra l’altro, che dopo la “messa alla prova”, se questa va a buon fine il reato venga cancellato. C’è poi una delega al governo a legiferare sulla pena alternativa degli arresti domiciliari per chi è stato condannato al carcere per meno di quattro anni, eccezion fatta per gli stalker. E, infine, in ottemperanza a una sentenza della Corte Europea il testo prevede anche la sospensione dei processi il cui imputato è irreperibile. Il giudice è comunque tenuto a disporre nuove ricerche dell’imputato al massimo dopo un anno dal rinvio dell’udienza. Ferranti (Pd): stop provocazioni, concentriamoci su priorità “Basta con le polemiche, lavoriamo subito alle priorità”. Lo ha detto il presidente della Commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti. “In un momento di profonda crisi economica come quello che attraversiamo - spiega - è necessario un sistema giudiziario che funzioni. C’è una stretta connessione tra giustizia efficiente e investimenti di un Paese. Bisogna fronteggiare alcuni punti critici del sistema come la ragionevole durata del processo, l’adeguata organizzazione delle risorse e la piena attuazione del processo di informatizzazione. Positiva - aggiunge - anche la volontà condivisa di monitorare lo stato di attuazione delle leggi contro la violenza alle donne per far emergere l’esigenza di interventi urgenti, partendo dall’analisi della legislazione in materia di violenza sessuale, di abusi familiari e di stalking”. “Tra le priorità c’è anche la delicatissima questione del sovraffollamento carcerario. Il sistema penale deve essere ispirato ai principi di rieducazione e umanizzazione. Le misure alternative e la messa alla prova si muovono in tale direzione e potrebbero godere della corsia d’urgenza essendo già state approvate dalla Camera durante la scorsa legislatura. Mi pare che i lavori della Commissione si muovano nel solco delle priorità già indicate dal ministro Annamaria Cancellieri. Voglio sottolineare - conclude - il clima leale e costruttivo della Commissione, presupposto essenziale per poter lavorare in modo serio e veloce”. Giustizia: Presidente Senato Grasso; subito commissione parlamentare su femminicidio Dire, 22 maggio 2013 “Come presidente del Senato ho già assicurato il massimo impegno affinché venga costituita la commissione parlamentare, concordemente richiesta da tutte le forze politiche, al fine di studiare il fenomeno del femminicidio per delineare analisi, interpretazioni e adeguate soluzioni”. Lo dice il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo all’Audit nazionale sulla violenza di genere. “Un passo deciso in questa direzione - spiega Grasso - può essere compiuto con un adeguamento del nostro ordinamento giuridico ai più innovativi strumenti di tutela dei diritti delle donne, dobbiamo investire nella prevenzione e nella protezione delle vittime, dobbiamo prevedere misure di sostegno medico, psicologico e legale alle vittime e azioni istituzionali di prevenzione nel settore educativo e dell’informazione”. Perché, sottolinea, “se è indifferibile l’approvazione di ogni norma necessaria, occorre nel contempo acquisire la consapevolezza che la violenza contro le donne è socialmente, prima ancora che penalmente, inaccettabile. Di questo dobbiamo parlare, su questo vanno sensibilizzati i ragazzi e le ragazze. Perché maturi una sensibilità diffusa e profonda sul tema della violenza di genere. È necessaria una reazione di condanna forte e chiara. Non esiste tolleranza né giustificazione alcuna per le condotte che ledono i diritti delle donne, e la consapevolezza condivisa della gravità del problema, come spesso succede nel campo dei comportamenti sociali, è il presupposto indispensabile perché davvero, un giorno, cambino le cose”. Giustizia: video Provenzano; Ministro chiede accertamenti a Dap ed a ispettorato generale 9Colonne, 22 maggio 2013 In relazione all’articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica” del 21 maggio - si legge in un comunicato del ministero della Giustizia - nel quale si fa riferimento, nei colloqui con il figlio, a presunte percosse subite da Bernardo Provenzano, detenuto in regime di 41bis presso l’istituto penitenziario di Parma, il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha incaricato il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di verificare ciò che risulta nel colloquio pubblicato dal giornale. Il Guardasigilli ha dato incarico altresì all’Ispettorato Generale di accertare le circostanze in cui è avvenuta la divulgazione del colloquio video-registrato tra Bernardo Provenzano ed il figlio. Valle d’Aosta: Cosp; nelle carceri situazione sanitaria allarmante, intervenga la Regione Ansa, 22 maggio 2013 “La situazione allarmante appare essere la sanità nazionale che dal 2008 doveva transitare alle regioni dal dipartimento amministrazione penitenziaria”. Lo rende noto, dopo una visita al carcere di Brissogne, il segretario generale del Coordinamento sindacale penitenziario (Cosp), Domenico Mastrulli, chiedendo “l’intervento della Regione Valle d’Aosta sulla sanità e maggiore attenzione del dipartimento”. “Nulla si è fatto - specifica Mastrulli - per l’inceppamento della burocrazia politica Regione-Stato, con costi che vanno oltre 100mila euro semestrali”, fondi che “a luglio prossimo termineranno, come terminerà la scarsa presenza del servizio medico oggi solo di dodici ore al giorno e non di 24 ore su 24”. Inoltre secondo il sindacato “sono visibili le criticità del sistema trasporto detenuti dal carcere all’Usl e alle strutture specialistiche”. Nell’occasione il sindacato ha reso “omaggio ai 161 baschi azzurri che operano in situazione di difficoltà territoriale” e con una “carenza di polizia penitenziaria stimata in 40 unità”. Piemonte: Radicali; se Consiglieri restituissero rimborsi spese, fondi Garante per 50 anni www.associazioneaglietta.it, 22 maggio 2013 Dichiarazione di Igor Boni (presidente Associazione radicale Adelaide Aglietta) e Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani): “Ci risiamo. Mentre 56 consiglieri regionali su 60 devono rispondere alla Procura della Repubblica di Torino per un monte di rimborsi spese percepiti pari a oltre 1 milione e mezzo di euro (solo Pdl + Lega superano il milione di euro), il capogruppo Pdl Gianluca Pedrale ha portato in aula la sua proposta di legge per abolire il garante delle carceri, motivandola con l’esigenza che la Regione deve risparmiare, deve dare il buon esempio in questi tempi di crisi. È inutile ripetere a chi non vuol sentire che un garante regionale determinato e capace porterebbe ad una riduzione del danno (anche e soprattutto in termini economici), agevolando, ad esempio, la fruizione di pene alternative al carcere (ogni detenuto costa ai cittadini circa 160 euro al giorno, la retta giornaliera in una comunità per tossicodipendenti è di circa 50 euro al giorno). Pedrale è abituato a discorsi più ruspanti: gli chiediamo allora di convincere i membri del suo gruppo a restituire i rimborsi spese contestati, pari a 760.000 euro circa: con quella cifra, ponendo un investimento minimo di 30.000 euro annui per il garante, la Regione Piemonte avrebbe assicurato la dotazione finanziaria del garante per i prossimi 25 anni. Se consideriamo l’intero importo dei rimborsi contestati, arriviamo al mezzo secolo di autofinanziamento! Diamo atto al PD e alle altre opposizioni di non avere fatto passare sotto silenzio il vergognoso tentativo del Centrodestra di far fuori l’istituto del garante. Invitiamo i consiglieri di opposizione ad utilizzare tutti gli strumenti che il regolamento consiliare offre loro (ostruzionismo compreso) per bloccare la proposta di legge “ammazza garanti”. Infine, una domanda che d’ora in avanti porremo in calce a tutti i prossimi comunicati che faremo relativi al Consiglio Regionale. Perché i consiglieri regionali non mettono on-line i rimborsi spese che gli sono stati contestati dalla Procura della Repubblica di Torino? C’è questo bel link, a loro disposizione da mesi: www.cr.piemonte.it/cms/organizzazione/trasparenza/anagrafe-degli-eletti.html”. Torino: Camera Penale; dopo morte ergastolano denuncia su condizioni vita dei detenuti Ansa, 22 maggio 2013 “La Camera Penale Vittorio Chiusano di Piemonte Occidentale e Valle d’Aosta non può esimersi dal denunciare nuovamente le condizioni di vita dei detenuti negli istituti di pena italiani, già condannate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la nota sentenza Torreggiani, di cui l’ennesima morte di un detenuto, peraltro anziano, è segnale drammatico e inconfutabile”. Con queste parole l’organo di rappresentanza degli avvocati penalisti torinesi interviene in merito alla vicenda di Giuseppe Ciulla, ergastolano morto nel reparto detenuti dell’ospedale Molinette, a Torino, due giorni fa. Il comunicato ricorda che dall’inizio dell’anno i decessi in carcere sono arrivati a settantuno. Savona: Sappe; i detenuti dormono in terra senza materassi, sono 91 in celle per 36 posti Adnkronos, 22 maggio 2013 “Novantuno detenuti stipati in celle costruite per ospitare 36 persone, alcuni costretti a dormire per terra perché senza materasso e altri a vivere 20 ore al giorno in camere di detenzione con una sola finestra nel corridoio, celle ricavate peraltro dall’aula scolastica e dalla sala yoga. Un clima incandescente, quello del carcere S. Agostino di Savona, dove mancano persino 25 Agenti di Polizia Penitenziaria rispetto all’organico previsto dal Ministero della Giustizia”. È quanto denuncia il Sappe, Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, chiedendo al guardasigilli Annamaria Cancellieri urgenti interventi per il S. Agostino. “La situazione è semplicemente scandalosa e allarmante - spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. Il carcere di Savona è diventato una pattumiera per chi è detenuto e per chi ci lavora: altro che dignità umana da garantire a chi ha commesso un reato e per questo si trova, giustamente, in galera. Altro che trattamento e rieducazione come prevede la Costituzione. A Savona il carcere è talmente sovraffollato che alcuni detenuti dormono per terra: non hanno neppure i beni di prima necessità come bicchieri, carta igienica, spazzolino o le gavette per mangiare. Il S. Agostino non ha neppure un direttore che diriga stabilmente e quotidianamente il carcere e il personale di Polizia penitenziaria, che è sotto organico di ben 25 unità, paga in prima persona le tensioni che il sovraffollamento delle celle determina”. Il Sappe auspica che delle gravi criticità del carcere di Savona “si possa occupare in prima persona il ministro Cancellieri perché la situazione è davvero insostenibile. Noi ci auguriamo un urgente provvedimento di sfollamento del carcere che riconduca le presenze dei detenuti a condizioni di vivibilità ed un incremento di agenti alla fine dei corsi attualmente in atto. Ma al guardasigilli chiediamo anche quel coraggio che è mancato ai suoi predecessori perché la città di Savona possa davvero avere un nuovo carcere, predecessori che, al contrario, non hanno ritenuto necessario inserirla nel piano straordinario di edilizia penitenziaria del ministero”. Viterbo: Davide Rosci in sciopero fame con altri detenuti, contro sistema inumano carceri Ansa, 22 maggio 2013 Inizia oggi lo sciopero della fame di Davide Rosci, l’esponente di sinistra condannato a 6 anni di carcere per gli scontri di Roma dell’ottobre 2011. Il 33enne teramano in una lettera ha annunciato che “in accordo con altri compagni e detenuti abbiamo deciso d’intraprendere uno sciopero della fame che inizierà il 22 maggio per appoggiare il corteo che si svolgerà a Parma il 25 maggio contro il sistema inumano delle carceri, la differenziazione, il carcere duro e l’isolamento. Il nostro fine è cercare una solidarietà di classe a sostegno delle lotte di tutti i prigionieri. È una forma estrema, ma siamo consapevoli che solo con la lotta da dentro e fuori queste mura si possano ottenere cambiamenti”. Rosci si trova nel penitenziario di Mammagialla a Viterbo dopo che gli sono stati revocati i domiciliari per evasione: Rosci nella sua lettera ribadisce che “Qui a Viterbo sono testimone di uno stato di cose che fa gridare allo scandalo e come compagno prima e come detenuto poi voglio cambiarlo. Non chiediamo sconti di pena, impunità o altro, chiediamo solo un carcere degno di un Paese civile”. Rosci è stato condannato insieme ad altri 5 giovani che presero parte all’assalto del furgone dei Carabinieri il 15 ottobre del 2011 durante la manifestazione degli Indignados. Il blindato venne dato alle fiamme in piazza San Giovanni, teatro di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Insieme al 33enne ritenuto dagli inquirenti militante di Azione antifascista Teramo; furono ammanettati Marco Moscardelli, 33 anni di Giulianova; Mauro Gentile, 37 anni di Teramo; Mirko Tomasetti, 30 anni; Massimiliano Zossolo, 28 anni; Cristian Quatraccioni 33 anni. Per tutti, già agli arresti domiciliari, è stato contestato il reato di devastazione e resistenza e lesioni a pubblico ufficiale pluriaggravata. La decisione del gup Massimo Battistini, è arrivata al termine del rito abbreviato. Il pm, Simona Marazza, aveva chiesto 8 anni di pena per tutti. Sassari: sit-in e interrogazione alla Regione, per avere un autobus per il nuovo carcere La Nuova Sardegna, 22 maggio 2013 Trasformare l’apertura del carcere di Bancali in una opportunità per avvicinare la borgata di Bancali alla città. Anche per questo lunedì sera, alcuni residenti di bancali hanno partecipato al sit-in davanti ai cancelli del cantiere del nuovo penitenziario, per protestare contro il mancato finanziamento di una linea di bus dedicata a quella tratta. “La Regione chiede all’Atp di finanziare la tratta apportando una variazione o tagliando qualche altra corsa, ma Atp è un’azienda sana e non deve fare alcun taglio”, ha spiegato Nicola Sanna (Pd) assessore provinciale al Bilancio che ha partecipato alla manifestazione. Partita dopo la protesta del garante dei detenuti di Sassari, Cecilia Sechi, che sulla necessità del collegamento ha spiegato: “Col trasferimento del penitenziario da San Sebastiano a Bancali non spostiamo solo corpi, ma attività”, ha detto riferendosi a quella che potrebbe essere - nella speranza dei residenti - anche una opportunità. Intanto i consiglieri regionali di centrosinistra Luigi Lotto, Mario Bruno, Gavino Manca e Valerio Meloni hanno depositato una interrogazione al presidente della Regione Cappellacci sulla decisione di non finanziare la modifica della tratta del servizio bus fino a Bancali chiesta dall’Atp per arrivare fino al carcere. I consiglieri chiedono “come si intenda intervenire affinché venga garantito il collegamento della nuova struttura col centro cittadino”. Firenze: ecosostenibilità, nel carcere di Solliccianino parte la raccolta differenziata Redattore Sociale, 22 maggio 2013 Nell’istituto penitenziario fiorentino verranno adottate una serie di misure straordinarie per ridurre l’impatto ambientale ed educare i settanta detenuti all’ecosostenibilità. Nel carcere di Solliccianino di Firenze arriva la raccolta differenziata e la riduzione dei rifiuti. Lo prevede un protocollo d’intesa fra Provincia, direzione carceraria, Publiacqua e Quadrifoglio che intende rispettare l’ambiente ed educare all’ecosostenibilità i circa settanta detenuti a custodia attenuata. Sul piano della riduzione dei rifiuti saranno eliminate le bottigliette di plastica e verrà incentivato l’uso dell’acqua erogata dalla rete idrica. Per questo sono stati installati 50 filtri nei rubinetti e sono state distribuite 148 borracce e 40 caraffe. Anche i bicchierini di plastica per il caffè sono stati sostituiti con tazzine in ceramica. Per educare al consumo ecosostenibile saranno organizzati momenti di informazione e formazione sulle caratteristiche qualitative e organolettiche dell’acqua erogata dalla rete e verranno forniti materiali cartacei esplicativi delle tematiche connesse alla risorsa idrica. Sul piano della raccolta differenziata, saranno posizionati vari contenitori per carta, plastica, pile e rifiuti organici. In questo ambito Quadrifoglio ha svolto un’azione di formazione che ha affrontato la tematica della differenziazione dei rifiuti, trattandola in forma generale, ma con un’attenzione particolare alla frazione organica e al multi materiale. Tale formazione, oltre ai detenuti, ha interessato l’intero personale carcerario. Il protocollo d’intesa prevede inoltre la realizzazione di azioni all’esterno della casa circondariale, tra cui un laboratorio di formazione ambientale che si terrà il prossimo 4 giugno a Villa Demidoff e alcune uscite sulle sponde dell’Arno per operazione di pulizia. Sciacca (Ag): Centro Studi Pedagogicamente; arriva il Garante per i diritti dei detenuti… Giornale di Sicilia, 22 maggio 2013 Il carcere di Sciacca potrebbe essere il primo in Sicilia a dotarsi di un Garante dei diritti dei detenuti, figura importante che si posizionerà al centro tra le problematiche quotidiane dei detenuti e la mancanza di risorse e il sovraffollamento. Lo ha annunciato - nel corso di un convegno sullo lo stato delle carceri italiane, la mancata applicazione delle leggi sulle pene alternative e il fallimento degli assistenti sociali - il saccense Antonello Nicosia, direttore del Centro Studi Pedagogicamente. Nicosia ha sottolineato di avere incontrato il sindaco di Sciacca Fabrizio Di Paola per l’istituzione del Garante dei diritti dei detenuti. Una novità emersa in occasione del primo convegno sul sovraffollamento delle carceri e il riconoscimento dei diritti umani svoltosi a Palermo nella Sala delle Carrozze di Villa Niscemi, organizzato dall’Anfi (Associazione nazionale familiaristi italiani) e coordinato dalla neo consulente della legalità per il Comune di Palermo l’avvocato Sonia Spallitta. La presenza di tutte le categorie direttamente interessate ha fatto emergere “la consapevolezza dell’urgenza della problematica e la necessità di un interventi) sinergico in cui ciascuno assuma le proprie responsabilità”. Tra i numerosi interventi, Antonello Nicosia ha focalizzato l’attenzione dentro le carceri in cui “la drammaticità della disumanità delle condizioni socio-igienico-sanitarie va scalfita da un intervento immediato e diretto a recuperare la dignità della vita quotidiana dentro le strutture stesse orientando con l’educazione e la formazione la costruzione di un percorso di vita alternativo”. Parma: Sappe; 10 avvisi garanzia per evasione 2 detenuti, ma responsabilità sono del Dap Ansa, 22 maggio 2013 Dieci avvisi di garanzia sono stati notificati nel carcere di Parma per la rocambolesca evasione di due detenuti avvenuta lo scorso febbraio. A renderlo noto un comunicato del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria). “Sono stati notificati al direttore provvisorio, al Comandante di Reparto e a otto agenti di Polizia Penitenziaria: viene contestato loro la colpa del custode e la procurata evasione. Il Sappe si è già attivato per garantire una adeguata tutela legale, ma le responsabilità sono altre”, hanno detto Donato Capece ed Errico Maiorisi, rispettivamente segretario generale e vice segretario regionale Sappe, chiamandp in causa il dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria. Valentin Frokkaj e Taulant Toma, albanesi di 35 e 29 anni, fuggirono il 2 febbraio dal carcere di Parma dopo avere segato le sbarre della loro cella. Poi si erano calati con una corda fatta con le lenzuola ed erano fuggiti in direzione della vicina area di servizio dell’Autosole Cortile San Martino Sud. Frokkaj è stato condannato per l’omicidio di un connazionale avvenuto a Brescia nel 2007. Toma ha precedenti per rapina e spaccio di droga, e un precedente per un’evasione analoga, il 9 ottobre 2009 dal supercarcere di Terni. “Le responsabilità sono del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - dicono i sindacalisti del Sappe - che ha tolto da due anni il direttore titolare per assegnarlo all’Ufficio distacchi del Personale; che non ripiana le gravi carenze di organico, ben 150 Agenti di Polizia Penitenziaria in meno in servizio, tali da non permettere neppure di mettere le sentinelle sul muro di cinta del carcere. Le risposte dell’Amministrazione penitenziaria all’emergenza penitenziaria sono favole, come quella della fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica, che accorpa ed abolisce posti di servizio dei Baschi Azzurri mantenendo però in capo alla Polizia penitenziaria il reato penale della colpa del custode (articolo 387 del Codice penale)”. Il Dap - secondo gli esponenti del Sappe – “favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria. Per questo auspichiamo un avvicendamento degli attuali vertici dell’Amministrazione penitenziaria che vede attualmente a capo del Dipartimento dirigenti, come il Capo Dap Giovanni Tamburino ed il Vice capo Luigi Pagano, che non sono stati in grado di trovare valide soluzioni ai problemi penitenziari”. Durante (Sappe): evasione frutto smantellamento “Non si può non evidenziare come il carcere di Parma, un istituto di massima sicurezza, fiore all’occhiello di tutta l’amministrazione, sia stato progressivamente smantellato, attraverso scelte scellerate, che hanno prima visto l’avvicendamento del direttore e del comandante, poi richiamato al precedente incarico subito dopo l’evasione, e poi un progressivo allentamento della sicurezza”. Lo afferma Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto Sappe, sui 10 avvisi di garanzia per l’evasione dal carcere di Parma. “Bisogna ricordare che anche a Parma - aggiunge, come in molti altri istituti della regione Emilia-Romagna e d’Italia, non funzionano o funzionano male gli impianti di sicurezza: monitor, impianti anti-intrusione e anti scavalcamento. A ciò si deve aggiungere la forte carenza di personale, mancano infatti circa 150 agenti. Quindi, le responsabilità devono essere cercate più in alto, in chi, come il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha fatto scelte assolutamente sbagliate e costringe il personale a lavorare in condizioni inadeguate, con pochi uomini e in strutture che non garantiscono la necessaria sicurezza. Confidiamo, come sempre, nel corretto lavoro della magistratura che saprà accertare i fatti. Ricordiamo che un avviso di garanzia non è una condanna”. Caltagirone (Ct): lavori al carcere, sarà costruito padiglione che raddoppierà la capienza La Sicilia, 22 maggio 2013 Lavori presto al via - si prevede entro giugno - nella Casa circondariale di contrada Noce, una delle tre carceri siciliane (le altre sono Trapani e Siracusa) che saranno ampliate con la costruzione di appositi padiglioni, destinati a ospitare 200 detenuti ciascuno. La stipula del protocollo di legalità, avvenuta ieri l’altro in Prefettura, a Catania, prelude all’inizio degli interventi che, stando alle rassicurazioni date dall’impresa ai sindacati, sono ormai dietro l’angolo. La costruzione di un nuovo padiglione, che comporterà un investimento di 11 milioni di euro, aumenterà di oltre il doppio l’attuale capienza dell’istituto calatino. “Finalmente una buona notizia - commentano Felice Barelli, Francesco Intelisano e Nunzio Martorana, segretari rispettivamente di Filca - Cisl, Feneal - Uil e Fillea - Cgil di Caltagirone. Questi lavori, infatti, daranno un po’ d’ossigeno a un comparto oggi più che mai in crisi. Certo, per la loro tipologia, non potranno essere il toccasana, ma daranno, comunque, occupazione a qualche decina di operatori del settore, sperando che vengano assunte maestranze locali. Si tratta di una goccia nel mare - tengono a precisare i rappresentanti sindacali -, perché, per il resto, si assiste a una pericolosa e perdurante situazione di impasse. L’unica opera pubblica consistente in questo momento in corso di svolgimento è, infatti, la Licodia Euba - Libertinia per ciò che attiene al suo secondo lotto funzionale. Per il resto la situazione è drammatica e impone al più presto un’inversione di rotta”. Martorana, Intelisano e Barelli reiterano, pertanto, ai sindaci del territorio, “la richiesta di incontro per attivare un tavolo di confronto e monitoraggio attraverso il quale - spiegano - individuare le opere cantierabili e quelle su cui si registrano intoppi, con l’obiettivo di impegnarsi sinergicamente affinché esse vengano sbloccate e diano, quindi, risposte concrete sul versante occupazionale”. “Il prossimo avvio dei lavori per la costruzione di un nuovo padiglione del carcere - commenta il sindaco di Caltagirone Nicola Bonanno, intervenuto a Catania alla firma del protocollo di legalità - è positivo in quanto i lavori, di grande utilità per porre fine all’affollamento della struttura, potranno consentire anche di far tirare una boccata d’ossigeno al settore edile, con l’impiego di manodopera”. Macomer (Nu): immagini e storie dal carcere nel cortometraggio di Gianluca Nieddu La Nuova Sardegna, 22 maggio 2013 “Anche se non sono gigli” è il titolo di un cortometraggio realizzato all’interno del carcere di Macomer da Gianluca Nieddu e dai detenuti dell’istituto di pena che hanno partecipato a un laboratorio cinematografico organizzato dal Centro di servizi culturali condotto da Nieddu. Il filmato verrà proiettato giovedì 23 maggio alle 18 alle caserme Mura nel corso della presentazione dei due volumi “La Cella di Gaudì, storie di galeotti e di scrittori”, una raccolta di dodici racconti di scrittori che hanno ascoltato e a loro volta raccontato le storie di altrettanti detenuti, ed “Evasioni d’inchiostro. Racconti, favole e poesie di dieci prigionieri di seppia”, la descrizione del mondo del carcere visto da chi lo popola e da una molteplicità di sguardi che cercano di immaginare il futuro. L’iniziativa, inserita nel calendario nazionale “Il Maggio dei Libri”, è stata realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione casa di carità arti e mestieri di Nuoro e della la casa di reclusione di Isili. La organizzano il Centro servizi culturali con l’Aib sezione Sardegna e l’assessorato Pubblica istruzione, della Regione nell’ambito del progetto Biblioteche carcerarie “Libera Storie”. Parlerà dei due libri il giornalista e scrittore Gianni Zanata, che dialogherà con Gueorgui Ivanov Borissov e Farath Amor, protagonisti di “La cella di Gaudì”, e con alcuni degli autori e dei curatori dei racconti e delle poesie. Opera (Mi): un progetto di ricerca in Alta Sicurezza… i detenuti “indagano” su se stessi La Provincia Pavese, 22 maggio 2013 È possibile coinvolgere detenuti in apparenza inavvicinabili come quelli reclusi presso una Sezione ad Alta Sicurezza e portarli a parlare di sé, a costruire uno strumento di indagine su come ci si relazione tra compagni di detenzione e con gli operatori penitenziari?”. È partendo da questa domanda che due ricercatrici hanno provato lo strano esperimento di trasformare, per qualche tempo, un gruppo di detenuti del carcere di Opera, in “ricercatori su se stessi”, sullo stato della loro detenzione. L’operazione ha sostanzialmente funzionato, seppure con tutte le cautele del caso, permettendo ai detenuti - più che di fornire risultati sulla qualità della vita in carcere - di riflettere sulla loro condizione. Solo questo aspetto valeva il tempo impiegato dalle due ricercatrici: la pavese Elena Galliena, che dal 2008 è giudice esperto presso il Tribunale della Sorveglianza di Milano e che in qualità di vice-presidente della Coop. Soc. Officina Lavoro Onlus, si occupa della progettazione e della direzione di interventi nel settore penitenziario; e Fabrizia Brocchieri, psicologa, mediatrice familiare, presidente della cooperativa Officina Lavoro. Entrambe, dal 2006, collaborano con la Direzione della Casa di Reclusione di Milano - Opera da cui scaturisce la pubblicazione, e con gli istituti di Voghera e Bollate. Il loro lavoro “Carcere e trattamento in alta sicurezza - Protagonisti a confronto” (FrancoAngeli) potrebbe avere, ed probabilmente ha, due piani di lettura. Il primo per addetti ai lavori, il secondo piano di lettura è molto più semplice: è il racconto del carcere e di alcune sue dinamiche interne che, come per altro molti lavori di questo genere, ci aiuta a capire un mondo diverso ma con il quale, direttamente o indirettamente, spesso dobbiamo fare i conti. Sassari: traffico di droga a San Sebastiano, rinviati a giudizio 42 ex detenuti e 3 agenti di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 22 maggio 2013 Teschio e Melacotta, il Conte e Scaldabagno, Draculino, Prezzemolo e Cagamutande. Non sono pseudonimi scelti da blogger di pessimo gusto o nomignoli affibbiati a scuola. Quasi tutti i 45 imputati del presunto traffico di droga a San Sebastiano ce l’hanno. Ormai sono così distintivi, caratterizzanti, da meritare pure una menzione nell’elenco degli indagati sul frontespizio del principale atto di indagine, l’avviso di conclusione dell’inchiesta, notificato agli indagati nel settembre 2012. Ci sono pure Formichina, Van Damme, Gigi Lupo, Costanzo e tanti altri, che in un documento ufficiale quasi assumono il carattere di dato anagrafico. Quarantadue tra ex detenuti e qualche parente, assieme a tre agenti della Polizia penitenziaria in congedo, uno dei quali già condannato per aver partecipato a una organizzazione di trafficanti di droga. Sono 45 gli imputati della maxi-inchiesta sulla cocaina e l’eroina che secondo alcuni pentiti circolava nel carcere sassarese di San Sebastiano, fino al 2008, destinata anche ai tanti tossicodipendenti. Per la gran parte - 43 - il pm della Direzione distrettuale antimafia Alessandro Pili ieri ha sollecitato il processo al giudice dell’udienza preliminare Giuseppe Pintori. Tra loro c’è anche l’ex agente Giovanni Calvia. Per due colleghi, invece, la posizione è sospesa. Antonio Santucciu, algherese di 50 anni, imputato come le altre divise di concorso esterno in associazione a delinquere, ha chiesto il giudizio con rito abbreviato. Abbreviato “secco”, cioè sulla base delle stesse carte raccolte dalla Dda e dal pm sassarese Giovanni Porcheddu. Il legale Alberto Sechi si dice “certo che contro Santucciu non c’è alcuna prova”, ha spiegato in attesa di discutere il merito delle accuse, forse dal prossimo 3 giugno, data di una nuova udienza. Nessuna decisione invece per quanto riguarda l’ex agente Antonio Del Rio, 40 anni, nato a Sassari ma residente a Sorso, tornato in carcere per effetto di una sentenza di condanna confermata dalla Cassazione qualche giorno fa. Deve scontare 6 anni per concorso esterno in un’altra organizzazione di trafficanti, quella scoperta dalla procura di Cagliari nel 2008, a capo della quale ci sarebbero stati i sassaresi Alberto Campus e Renato Garau. L’avvocato di Del Rio, Agostinangelo Marras, ha chiesto di poter scegliere un eventuale rito alternativo nel corso della prossima udienza, rinviata a lunedì. Quella di ieri, per la pubblica accusa, è stata la naturale conclusione di un percorso iniziato nel 2008, proprio nei bracci del penitenziario sassarese, quando per primo Giuseppe Bigella - teste chiave nel processo sulla morte del detenuto sassarese Marco Erittu - aveva parlato di spaccio e connivenze. E aveva dato il via all’inchiesta. Poi erano arrivati gli altri collaboratori di giustizia, Pasquale Cozzolino e Giovanni Brancaccio, a confermare in gran parte le sue dichiarazioni. E ancora, intercettazioni, ambientali e telefoniche, e le indagini affidate al nucleo di Polizia penitenziaria, intenzionata a scoprire eventuali divise sporche. In 45, soprattutto detenuti ed ex reclusi, erano finiti sotto accusa, molti per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, altri per singoli episodi di cessione di stupefacente, i tre agenti imputati di concorso esterno. Dalle carte emerge l’immagine di un carcere permeabile a hashish, eroina e polvere bianca. Che sarebbe entrata anzitutto grazie alla complicità di alcuni familiari di detenuti, ingegnosi nel nascondere la droga persino nei maialetti e negli agnelli cucinati e portati ai loro cari. Un altro livello sarebbe stato poi quello delle divise, una delle quali era stata per anni al vertice di quel sistema chiuso che è il carcere: tra il 2002 e il 2007 l’allora ispettore capo Santucciu aveva le funzioni di comandante. Bigella lo accusa di aver aiutato il presunto boss dell’organizzazione, Pino Vandi, ad evitare perquisizioni, controlli, addirittura intercettazioni. Per gli inquirenti, Santucciu ha fatto entrare tra le celle droga, persino armi intere o smontate, “strumenti da taglio”, telefonini per i detenuti. E sarebbe stato a disposizione di Vandi anche nella centrale attività, all’interno di un penitenziario, della attribuzione delle funzioni ai reclusi. Così aveva fatto con un uomo molto vicino a Vandi, Nicolino Pinna, oggi con Vandi imputato al processo per la morte di Marco Erittu. Pinna era diventato scrivano sebbene non ne avesse i requisiti. Grazie a quell’incarico poteva parlare con chiunque e avere una ampia libertà di movimento. E lo divenne “su insistenza di Santucciu”, scrive il pm Porcheddu in una delle informative finali agli atti dell’inchiesta. Durante una perquisizione all’ex ispettore era stata sequestrata la lettera di un detenuto che segnalava l’imminente ingresso di droga, grazie alla complicità di Del Rio. Un testimone, un suo collega, racconta di aver ricevuto dallo stesso detenuto almeno dieci lettere che segnalavano flussi di stupefacente. E di averle consegnate a Santucciu, come proverebbe la lettera sequestrata. Ma secondo il teste, l’ex comandante non le aveva mai consegnate alla procura. Ieri i difensori Marco Manca, Massimiliano Tore, Elias Vacca, Herika Dessì, Anna Laura Vargiu, Luigi Esposito, hanno sollecitato il non luogo a procedere per i loro clienti. L’udienza è rinviata a lunedì. Francia: Claudio Faraldi è stato stroncato da un edema polmonare acuto mal curato Ansa, 22 maggio 2013 Claudio Faraldi, l’uomo di 29 anni di Ventimiglia morto l’8 maggio scorso nel carcere francese di Grasse, in Francia, è stato stroncato da un edema polmonare acuto mal curato. Lo hanno riferito oggi i familiari, che hanno ricevuto l’esito dell’autopsia, effettuata il 16 maggio scorso, all’ospedale Pasteur di Nizza. I funerali di Faraldi si terranno giovedì prossimo a Nizza, presso la chiesa di Notre Dame. Il corpo sarà poi tumulato nel locale cimitero. La madre vive a Nizza e il giovane aveva trasferito nella città francese la propria residenza. Nessuna percossa, dunque, sul corpo del giovane italiano, come invece ipotizzato in un primo momento dal padre, Giancarlo Faraldi. Il sospetto era nato dal fatto che nel 2010 nello stesso carcere era deceduto un altro detenuto italiano, Daniele Francheschi, 36 anni, di Viareggio. Per la sua morte sono oggi indagate tre persone. Romania: senato respinge iniziativa legislativa per amnistia detenuti con pene sotto 6 anni Nova, 22 maggio 2013 Il senato romeno ha respinto con una maggioranza schiacciante di 84 voti a favore e uno contrario l’iniziativa legislativa riguardante l’amnistia o la grazia per tutti i carcerati del sistema penitenziario condannati a pene detentive fino a sei anni. L’iniziativa era stata presentata dal deputato socialdemocratico Madalin Voicu e dal deputato del gruppo delle minorazione nazionali, del Partito dei rom, Nicolae Paun. Il disegno di legge prevedeva che tutti i detenuti con pene fino a quattro anni beneficiassero dell’amnistia, mentre quelli con pene fino a sei anni venissero graziati. Albania: ministro Giustizia Halimi; le carceri private ridurranno le spese dello Stato Etleboro, 22 maggio 2013 Il Ministero della Giustizia ha concretizzato l’iniziativa riguardante le prigioni private - è quanto reso noto dal Ministro della Giustizia, Eduard Halimi, nel corso di un workshop sulla privatizzazione delle carceri. In questa occasione Halimi ha affermato che, a breve, inizierà la costruzione di un carcere privato, in grado di ospitare 300 detenuti. Stati Uniti: il governo tunisino chiede rimpatrio 5 cittadini detenuti a Guantánamo Adnkronos, 22 maggio 2013 Sono cinque i cittadini tunisini ancora detenuti a Guantánamo. Lo ha reso noto il ministro tunisino per i diritti umani, Samir Dilou, sottolineando che “la Tunisia vorrebbe vedere i suoi cinque connazionali rimpatriati”. Il ministro ha sottolineato che i cinque rinchiusi nella prigione istituita dagli Stati Uniti nella base militare a Cuba per la detenzione dei sospetti terroristi, dove da mesi è in corso uno sciopero della fame che ora coinvolge oltre 100 detenuti, non sono mai stati incriminati per nessun reato. Nigeria: liberate tutte le donne detenute per terrorismo Agi, 22 maggio 2013 La Nigeria ha annunciato la liberazione di tutte le donne messe in carcere per attività terroristiche. “La mossa è conforme alla posizione del governo federale in risposta alle richieste del comitato presidenziale sul dialogo e la riconciliazione” si legge in un comunicato del ministero della Difesa. Si tratta di un gesto di pacificazione mentre sono in corso le offensive dell’esercito contro i ribelli di Boko Haram nel nord del Paese. Il gruppo estremista aveva chiesto più volte il rilascio delle donne prigioniere ma il ministero della Difesa non ha fatto menzione della richiesta. Turchia: scrittore di origine armena condannato a 13 mesi di carcere per blasfemia Ansa, 22 maggio 2013 Lo scrittore turco di origine armena Sevan Nisanyan, 57 anni, è stato condannato oggi per blasfemia da un tribunale di Istanbul a 13 mesi di carcere per una frase considerata offensiva per il profeta Maometto, riferisce la stampa turca. La sentenza interviene ad un mese da una decisione analoga contro il pianista turco di fama mondiale Fazil Say, condannato a 10 mesi con la condizionale per “offesa ai valori religiosi di una parte della popolazione”. Cina: Ai Weiwei ora canta, nel suo singolo “Dumbass” (idiota) fa la parodia del carcere Ansa, 22 maggio 2013 Dopo il video stile Gangnam style, Ai Weiwei, il noto artista e dissidente cinese che nel 2011 scontò 81 giorni di carcere ufficialmente per evasione fiscale ma in realtà per il suo impegno politico, si lancia ora nella musica heavy metal. È infatti appena uscito il suo singolo “Dumbass” (idiota), ispirato proprio al periodo della sua carcerazione. L’artista ha descritto il brano come una sua riflessione sulla difesa dei diritti umani in Cina. “Mi alzo come un pazzo, e il paese è come una prostituta”, recita una parte della canzone. Ad accompagnare l’uscita del brano anche un video, che si può vedere e scaricare anche sul sito ufficiale dell’artista www.aiweiwwei.com, girato in una stanza che riproduce dettagliatamente la cella in cui Ai Weiwei trascorse gli 81 giorni della sua prigionia. “Avevo memorizzato ogni singolo dettaglio di quella stanza - ha raccontato l’artista. La canzone e il video sono il miglior modo di rappresentare quella esperienza”. Il brano “Dumbass” è tratto da un album che uscirà a breve, tutto di musica heavy metal, dal titolo “La Divina Commedia”. Tutte le parole delle canzoni sono scritte da Ai Weiwei, mentre la musica è stata composta dal suo amico Zuoxiao Zuzhou.