Giustizia: Cancellieri; problema carceri è indilazionabile, anche sotto il profilo morale Ristretti Orizzonti, 20 maggio 2013 Dall'Audizione del Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, in Commissione Giustizia del Senato, il 20 maggio 2013. "...Il tema della situazione carceraria è questione delicatissima che vede coesistere, in un difficile tentativo di costante equilibrio, l’intreccio tra esigenze di sicurezza, finalità di espiazione e di rieducazione della pena, garanzia dei diritti di dignità della persona. Al 15 maggio 2013, erano presenti - nei 206 istituti carcerari italiani - 65.891 detenuti, di cui oltre 23.000 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 47.040 detenuti. Di questi, 24.691 sono indagati o imputati in custodia cautelare, 40.118 sono condannati e 1.176 internati. Non possiamo più permetterci di ritardare la soluzione di un problema indilazionabile, anche sotto il profilo morale. La complessità del tema ha bisogno di una risposta articolata e modulata su più fronti, che parta da una nuova prospettiva culturale ed in cui la pena detentiva carceraria non sia più l’unica opzione possibile, solo perché il sistema non è in grado di individuare soluzioni alternative. Appare peraltro ineludibile intraprendere un percorso di umanizzazione della vita carceraria, onde rendere effettivo il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. La situazione di insostenibile degrado in cui versa il sistema carcerario italiano sconta un pregresso particolarmente critico ed un pluriennale ritardo nell’adozione di misure radicali che avrebbero dovuto consentire di dare una risposta strutturale e organica all’emergenza. Ciò ha determinato, tra l’altro, pesanti ricadute anche in termini di responsabilità dell’Italia di fronte alla Corte Europea dei diritti dell’uomo; basti ricordare la pronuncia dell’8 gennaio 2013, nota anche come sentenza Torreggiani, che ha imposto strettissimi tempi per l’adeguamento del sistema carcerario italiano agli standard europei di accoglienza. È una situazione che va a colpire e a creare disagio e sofferenza non solo alla popolazione carceraria ma anche agli uomini e alle donne della polizia penitenziaria a cui va tutta la mia personale gratitudine e l’apprezzamento per la dedizione, l’ umanità e lo spirito di sacrificio con cui quotidianamente svolgono il proprio servizio, consentendo con il loro impegno di sopperire, sia pure in parte, alle carenze del sistema. Analogo sentimento di riconoscenza voglio rivolgere a tutto il resto del personale - medici, psicologi, operatori - che con altrettanta dedizione presta la propria opera all'interno delle nostre carceri. È mio dovere indefettibile e indifferibile agire; non intendo sottrarmi a questa che sento come una responsabilità, certamente come Ministro, ma anche come cittadino, come persona. È dunque un accorato richiamo quello che mi sento di rivolgervi: a farci carico, tutti insieme, in uno sforzo comune e responsabile, di un tema su cui si declinano gli elementi essenziali di uno Stato di diritto e la storia della nostra grande tradizione di civiltà. Nella precedente legislatura sono stati avviati interventi importanti e nel solco di questi credo debba riprendere il cammino delle riforme, cercando di dare impulso a ciò che non è stato possibile portare a termine. Senza pregiudiziali ideologiche, senza strumentalizzazioni mediatiche, operando - come dicevo prima - su diversi versanti. Penso innanzitutto alla razionalizzazione del sistema sanzionatorio penale; partendo dal disegno di legge, già approvato a larga maggioranza dalla Camera il 4 dicembre dello scorso anno, non licenziato in via definitiva dal Senato a causa della fine anticipata della legislatura, e da cui credo dovremmo riprendere le mosse. L’intervento sul sistema sanzionatorio dovrà riguardare in primo luogo le nuove pene detentive non carcerarie, nel solco di quanto è stato già fatto nel 2010 e nel 2011 (esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori rispettivamente a dodici mesi e a diciotto mesi), valutando tutte le soluzioni alternative tecnicamente percorribili. La reclusione va limitata ai soli reati più gravi, con l’introduzione, come sanzioni autonome, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, inteso quest’ultimo come obbligo di fare a favore della comunità. Le nuove pene detentive non carcerarie consentirebbero di attuare il principio del minor sacrificio possibile della libertà personale, al quale la Corte Costituzionale ha ripetutamente fatto richiamo. Non si tratta di un intervento risolutivo di tutti i problemi delle carceri, lo so bene, ma di un buon inizio. In secondo luogo, è il caso di prevedere forme alternative di definizione del procedimento penale, condizionate a programmi di trattamento cui sottoporre l’imputato (come per l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova). Infine, la riforma della contumacia, con la previsione della sospensione del processo nei casi in cui l’interessato assente non abbia avuto una effettiva conoscenza dell’imputazione a suo carico. Si tratta di un tema di cui si discute da anni e che deve essere affrontato, con coraggio e realismo, una volta per tutte. Sempre nel solco dei lavori avviati nella precedente legislatura, riterrei utile riprendere le mosse dagli esiti della commissione ministeriale di studio che ha perseguito l’obiettivo di un diritto penale come extrema ratio di tutela nonché di una deflazione processuale. In particolare andrebbe affrontato, in termini condivisi, sia un percorso di “decriminalizzazione astratta” (ossia di abrogazione di fattispecie di reato o trasformazione di reati in illeciti amministrativi), che di “depenalizzazione in concreto”, attraverso l’introduzione dell’istituto della irrilevanza del fatto e di meccanismi di giustizia riparativa. Molti spunti interessanti possono essere tratti dai lavori della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza (cd. Commissione “Giostra”), che ha indicato una serie di misure dirette specificamente a contrastare la tensione detentiva determinata dal sovraffollamento. I dati statistici, cui ho fatto prima cenno, confermano che una elevatissima percentuale della popolazione carceraria è costituita da soggetti ristretti per reati in materia di stupefacenti. Occorre favorire l’accesso all’affidamento terapeutico nella consapevolezza che la dimensione carceraria, sotto il profilo organizzativo e strutturale, non può costituire la principale risposta che lo Stato possa dare ad un problema così diffuso di disagio sociale. Contemporaneamente, deve essere completato il piano per l’edilizia carceraria, anche attivando strumenti di finanziamento innovativi- come la possibilità di effettuare permute tra strutture carcerarie in avanzato stato di degrado - ma appetibili sotto il profilo edilizio, che verrebbero cedute in cambio di edifici nuovi, concepiti dal punto di vista strutturale e di sicurezza secondo le più moderne funzionalità. Ciò permetterebbe di raggiungere l’obiettivo di disporre di carceri più adeguate alle esigenze dei detenuti e in linea con la tradizione giuridica del nostro Paese. Della massima importanza è anche la prosecuzione dei progetti di natura organizzativa finalizzati a ridisegnare le modalità di custodia, valorizzare l’attività di trattamento, ottimizzare l’impiego delle risorse umane, massimizzare il lavoro carcerario che, come dimostrano le statistiche, abbatte la recidiva. La possibilità di migliorare la distribuzione dei detenuti dentro il sistema, e quindi di razionalizzare l’uso degli spazi esistenti, è attuabile in tempi brevi ed è collegata alla capacità di distinguere i detenuti, in modo da corrispondere più adeguatamente ad una popolazione variegata, e destinarli a circuiti appropriati alle loro caratteristiche. Questo consentirà di ottenere importanti risultati sulle condizioni di vita dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria e potrà costituire, per l’Italia, un importante passo in avanti, da portare alla attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo". Giustizia: Pd; al via progetto di legge per “un’equilibrata politica di decarcerazione” Agenparl, 20 maggio 2013 Non un “indiscriminato svuota-carceri”. Così viene definita la nuova proposta di legge in materia di misure detentive depositata dai deputati del Partito Democratico, di cui il primo firmatario è Donatella Ferranti, Presidente della Commissione di Giustizia che domani inizierà l’iter. La novità consiste nel prevedere che il giudice della cognizione nel pronunciare la condanna per reati puniti con pene detentive non superiori a quattro anni possa stabilire che, in luogo della detenzione carceraria, la reclusione o l’arresto siano eseguiti presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, anche per fasce orarie o per giorni della settimana, in misura non inferiore a quindici giorni e non superiore a quattro anni, nel caso di delitto, ovvero non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni, nel caso di contravvenzioni. Si tratterebbe di un’eventuale modifica al testo già approvato dalla Camera nella passata legislatura il 4 dicembre 2012. Modifica che con le nuove pene previste mira “seppur in parte, evitando il carcere a chi del carcere non abbia bisogno per finalità retributive ed educative, ad ovviare alla drammaticità del problema del sovraffollamento carcerario di cui soffre il nostro sistema penitenziario”. In sintesi, sono le due le modifiche di maggior rilievo che vengono richieste, ovvero: una pena detentiva non carceraria in via alternativa alla pena detentiva principale, un’unica concessione della sospensione del processo con messa alla prova per evitare l’uso strumentale di essa e, che in caso di revoca o esito negativo, il periodo della messa alla prova compiuto dall’imputato venga parametrato in maniera più garantista. Si rifanno all’art. 27 della Costituzione i firmatari della proposta, secondo il quale deve essere “bandito ogni trattamento disumano e crudele, escludendo dalla pena ogni afflizione che non sia inscindibilmente connessa alla restrizione della libertà personale”. Il carcere dovrebbe quindi essere considerato un’estrema ratio a cui ricorrere in caso di inefficienza delle altre sanzioni, in modo tale che il condannato non debba più “subire l’inadeguatezza del sistema penitenziario” e possa finalmente appellarsi a quel diritto e principio di rieducazione ed umanità. “Si tratta di un primo passo di avvicinamento a quei sistemi penali, specialmente anglosassoni - scrivono nell’illustrazione relativa alla proposta di legge i deputati del Pd - dove la pena si modula ogni volta sulle reali e concrete esigenze rieducative del condannato, senza mai perdere di vista le valenze retributive e preventive che pena deve comunque sempre mantenere”. Pare che l’applicazione della pena non sia automatica e scontata, ma che si applichi quando preventivamente accertata una prognosi negativa di pericolosità del condannato. Verranno utilizzati adeguati strumenti di controllo, tra cui i braccialetti elettronici saranno i principali, ma non gli unici. Si è poi intervenuti sul luogo dove può essere espiata la detenzione. Sono stati previsti i luoghi pubblici o privati di cura, assistenza e accoglienza sennonché un nuovo istituto della messa alla prova. Quest’ultimo, tipico del processo minorile viene concesso anche nel processo penale per adulti in relazione a reati di minor gravità. Se nel processo minorile però la messa alla prova è concessa dal giudice, in questo caso va invece richiesta direttamente dall’imputato. Come si spiega nella relazione illustrati va, l’istituto di messa alla prova “offre ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo e, al contempo, svolge una funzione deflativa dei procedimenti penali in quanto è previsto che l’esito positivo della messa alla prova estingua il reato con sentenza pronunciata dal giudice”. Ad ogni modo, sarebbe previsto un puntuale e cadenzato controllo, da parte del giudice, della pericolosità del soggetto, a seguito del quale potrebbe anche essere ritirato il diritto della messa alla prova. Inoltre si regolamenta che l’istituto predisposto per la messa alla prova conceda al condannato “la prestazione di un lavoro di pubblica utilità nonché condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato”. La prestazione lavorativa prevista è da intendersi priva di retribuzione, non inferiore alla durata di 30 giorni e di pura utilità sociale. Ciò non deve però pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio e di famiglia dell’imputato, non superando pertanto una durata di 8 ore. Infine, secondo quanto riportato nella proposta di legge “un principio fondamentale è quello secondo cui, in caso di revoca ovvero di esito negativo della prova, l’istanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato non può essere riproposta”. Questo proverebbe per un futuro che il soggetto recidivo non è meritevole di misure alternative che rappresenterebbero comunque un beneficio. Giustizia: il Pd; basta mine Pdl sul governo… di Mario Stanganelli Il Messaggero, 20 maggio 2013 Si riaccende lo scontro tra i poli, affondo di Epifani su Berlusconi. Vietti incalza l’esecutivo: “Sono necessarie riforme radicali Reazione degli azzurri, Schifani: il leader democrat vuole farsi notare e una politica giudiziaria ma temo che le priorità siano altre”. La giustizia resta un punto cruciale e dolente per il governo e la sua maggioranza. Ieri è stato il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti, a rinnovare le pressioni su uno degli aspetti più controversi dell’ordinamento, quello delle prescrizioni. “Al Paese serve una politica giudiziaria, intervenendo soprattutto sui tempi della prescrizione che manda in fumo 150 mila processi l’anno. Ma - ha osservato - il numero due del Csm - sembra che questa maggioranza abbia altre priorità, e ciò non è rassicurante nell’ottica dello sviluppo del Paese”. Parlando al Salone del Libro di Torino, Vietti ha anche commentato la proposta di legge sulle intercettazioni, recentemente presentata dal Pdl al Senato: “No a provvedimenti spot nell’interesse dell’una o dell’altra parte - ha detto il vice di Napolitano a Palazzo dei Marescialli - alla giustizia servono riforme profonde e radicali nell’interesse del cittadino e del sistema Paese”. A questo proposito, Vietti si è detto convinto che la riforma delle intercettazioni vada fatta “non contro qualcuno, né contro la privacy, né contro la magistratura, né contro i giornalisti. Si potrebbe agire in modo settoriale per tutelare maggiormente la riservatezza”. A deludere le richieste del vicepresidente del Csm provvede rapidamente il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta: “Non è proprio questa la legislatura in cui - dice - si possa pensare di fare una riforma organica della giustizia. Non si può fare dal momento che Pd e Pdl sono in disaccordo”. Mine sul governo Opinione quella di Brunetta che, nella sostanza, appare condivisa dal segretario del Pd, Guglielmo Epifani, almeno per quanto riguarda la distanza delle reciproche posizioni. “Bisogna lasciare lavorare il governo e Berlusconi - afferma il nuovo leader del Nazareno in tour elettorale ad Avellino - la deve smettere di disporre mine e fare attentati pensando di mettere il governo in fibrillazione con la questione giudiziaria”. E contro Epifani che attacca il Cavaliere scatta immediato il dispositivo di difesa degli azzurri, che aprono un concentrico fuoco di sbarramento. In prima fila i due capigruppo parlamentari: “Epifani, appena entrato in campo dalla panchina del Pd, -dice Renato Schifani - sa che tra poco sarà sostituito a sua volta e cerca di farsi notare accusando ingiustamente Berlusconi di provocare per far cader il governo. In realtà - sostiene il presidente dei senatori Pdl - è un esperto in simulazioni di fallo: si butta a terra senza che nessuno l’abbia toccato”. Epifani, afferma a sua volta Renato Brunetta, “sta sbagliando tutto. È invidioso dell’azione del governo. Ad esempio, doveva essere contento che il primo atto del governo fosse l’intervento sull’Imu, e invece ha fatto lui opposizione al governo”. E per criticare l’ex segretario della Cgil passato alla politica, Sandro Bondi si rifà a un apologo dell’antichità: “Caro Epifani - dice il coordinatore nazionale del Pdl - dire che Berlusconi pensa di mettere in fibrillazione il governo con la questione giudiziaria è come il lupo che accusa l’agnello di intorbidare l’acqua anche se si trova a valle. Questo è il pretesto meno adatto per criticare Berlusconi, le cui parole sono sempre dirette a sostenere il lavoro dell’attuale governo”. In linea con i maggiorenti del partito la deputata Gabriella Giammanco, che prega il leader del Pd di “risparmiarle la pantomima del segretario di lotta domenicale. A minare il percorso del governo è chi ricorre all’insulto, chi usa la minaccia come risposta ai problemi, chi non rispetta gli accordi presi in Parlamento (vedi questione Nitto Palma), di certo non chi, come Berlusconi, sostiene lealmente l’esecutivo”. Complicato - vista l’aria che corre sui temi della giustizia all’interno della maggioranza - il compito del Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, che oggi comincia, in commissione Giustizia del Senato, l’illustrazione delle linee programmatiche e degli interventi che intende attuare nel corso del suo mandato, e prevedendo di replicare in settimana nella omologa commissione della Camera. Giustizia: Sabelli (Anm); ora non dividiamoci, le priorità sono le carceri e i processi civili di Massimo Martinelli Il Messaggero, 20 maggio 2013 Consigliere Sabelli, da presidente dell’Anm cosa pensa delle considerazioni del vicepresidente del Csm sull’assenza di una vera e propria politica giudiziaria nel programma dell’attuale maggioranza? “Ho pensato, ed è il mio timore, che la giustizia venga vissuta come un argomento che divide, che rischia di mettere a repentaglio la tenuta del governo”. Appare inevitabile. “Ma potrebbe, anzi dovrebbe, non essere così. Se si affrontassero i temi concreti le divisioni non ci sarebbero”. Che intende dire? “Io vorrei che tutti capissero che la giustizia non è un tema che divide, anzi. Se si riuscisse a sganciarsi dalla suggestione di certi singoli processi, la giustizia unirebbe le forze politiche. Perché intervenire sulla giustizia significa intervenire sull’efficienza del processo, quindi sulla tutela dei diritti. Oppure intervenire sulla situazione incivile delle carceri. E allora è possibile che questi possano essere temi non condivisi?”. Poi però si finisce per parlare di riforma delle intercettazioni. E il dibattito di infiamma, anche da parte vostra. “Ma guardi, adesso vorrei chiarire un grande equivoco. Il problema delle intercettazioni che viene posto da tutti è legato alla questione della loro diffusione in violazione del segreto e della riservatezza. Questo soprattutto quando non vi è una rilevanza delle conversazioni ai fini di prova e nonostante questo avviene la diffusione a mezzo stampa. Ebbene, l’esigenza di porre rimedio a questo fenomeno è condivisa anche dall’Anm. Si tratta solo di valutare come farlo; c’è il rischio di ledere il diritto all’informazione, ma credo che le soluzioni tecniche ci siano”. Quindi? “Quindi il problema delle intercettazioni si pone quando, col pretesto della tutela della riservatezza, si punta a riformare i presupposti per l’utilizzo dello strumento delle intercettazioni. E allora il discorso cambia completamente”. Quali sono le priorità, per l’Anm? “Due sono fra quelle che abbiamo indicato al Guardasigilli Cancellieri nell’incontro di alcune settimane fa: soluzione dell’emergenza carceraria e smaltimento dell’arretrato civile, soprattutto dei processi di appello. E mi pare che entrambi i temi non presentino caratteristiche in grado di dividere la maggioranza. Il problema diventa più complicato quando si cerca di risolvere le criticità nel settore penale”. Perché? “Perché si toccano temi che portano a divisioni. Ma anche qui, se si affrontassero i temi della lotta alla criminalità e i problemi concreti che si riflettono tutti i giorni nelle aule dei tribunali, allora probabilmente tante divisioni sulla giustizia non ci sarebbero”. Giustizia: madri dentro… l’insensata pretesa di far crescere i figli in galera di Adriano Sofri La Repubblica, 20 maggio 2013 Ci sono pochi dati altrettanto rivelatori della disparità di opportunità e di risultati fra uomini e donne che le rispettive percentuali dei detenuti: le donne non raggiungono il 5 per cento del totale (il dato è tanto più significativo perché vale su scala mondiale: le donne detenute sono una minoranza che va da un 2 a un 9 per cento). È una circostanza enorme, cui un redivivo reverendo Swift saprebbe rendere giustizia. Noi restiamo alle ingiustizie, non minore fra le quali è la struttura maschile delle prigioni, in cui, con poche eccezioni, le sezioni femminili sono appendici del tutto inappropriate alle loro abitatrici. Che è oltretutto un paradosso, perché in molti illustri casi le prigioni maschili sono ex conventi femminili, e sulla reclusione scrupolosamente efferata di monacate a forza si modellò largamente quella degli uomini. Non ci sono specchi, in galera: che è un’offesa agli uomini, vanitosi come sono, ma un tormento alle donne. Disadatte a donne, le prigioni lo sono più sciaguratamente ai bambini. Una legge consente alle madri carcerate di tenerli con sé fino ai 3 anni di età - frase che va riletta nel suo rovescio, perché dice che i bambini di tre anni vanno sottratti alle madri detenute. Quella legge fu un passo avanti, rispetto alla separazione di mamme e bambini dalla nascita, e altri passi, piccoli per lo più, importanti a volte (grazie ad associazioni volontarie o a stabilimenti di custodia attenuata come l’Icam di Milano) si sono via via compiuti. Una nuova legge (dal 2014) raddoppia l’età in cui tenere i bambini con le madri, dunque a 6 anni; in alcune galere funzionano dei “nidi”. Ma lo scandalo dei bambini in carcere - ce ne sono mediamente 60-70 - resta intatto. Pensate a chi trascorra i primi tre anni in una galera in cui sia il solo bambino - succede: l’adulto sarà Leonardo da Vinci o una persona infelicissima. Di Leonardo ne riescono pochi. Poi ci sono le decine di migliaia di figli che stanno fuori, e le mamme dentro. Cristina Scanu, giornalista, fa uscire per Jaca Book un libro sulle carceri femminili visitate e studiate con lungo impegno: Mamma è in prigione. Una le racconta: “La sera, quando chiudono le celle, ho visto bambini con le lacrime agli occhi bussare al blindato per farsi aprire”. Il libro ha il merito di occuparsi dell’intero universo penitenziario femminile, agenti, direttrici, educatrici, volontarie. Non c’è persona non dico di cuore, ma semplicemente di intelligenza e competenza, che non sia persuasa dell’insensatezza gratuita della prigione per mamme e bambini. Quando a Milano si inaugurò l’edificio a custodia attenuata, lo slogan era: “Lo abbiamo aperto, ma lo chiuderemo, perché di bambini in carcere non ce ne siano più”. Scanu ha scritto nella speranza ragionata di contribuire a realizzarlo. Pressoché contemporaneamente è uscito per Einaudi un romanzo di Rosella Postorino, Il corpo docile. Al centro stanno la nascita e l’infanzia in carcere; anche Postorino ne ha avuto un’esperienza diretta, come volontaria, nella Roma in cui Leda Colombini, gran donna - è morta nel 2011 - , dedicò i suoi anni maturi a quelle madri e quei bambini. Da lei Postorino ascoltò racconti toccanti: “Non potrò mai dimenticarmi gli occhi dei piccoli quando hanno visto per la prima volta il mare, gli animali della fattoria, la neve. Ricordo che una di loro, Edera, cercava di mettersi la neve in tasca per portarla a sua madre e ricordo anche Eugenia che dopo aver guardato a lungo la stanza di una delle volontarie che ospitava i bambini a casa sua ha detto “che bella cella che hai!”“. La protagonista di Postorino, Milena, è nata in carcere, da una madre mite e tradita che tentò maldestramente di uccidere il marito. “Se sei un bambino, sconti la colpa di tua madre”. Milena ventenne torna da volontaria al suo carcere, a occuparsi di quei bambini, a cercare nei loro corpi che si affidano una conciliazione col proprio corpo renitente. “In che mondo vivi?”, le chiedono tutti, convinti che il mondo giusto sia il loro. Nel mondo di Milena c’è Eugenio, che è stato bambino con lei in cella, ed è sempre rimasto il suo compagno. Volevano un animale domestico, allora, e catturarono uno scarafaggio, Eugenio lo mise in una scarpa coperta da un’altra scarpa, così era in gabbia e non poteva uscire. Eugenio però ora sa stare anche nel mondo degli altri. Lei no. È come con il letto nel salotto in cui l’hanno messa a dormire quando l’hanno espulsa dal carcere: lo aprono la sera, lo richiudono la mattina, lenzuola piegate, il letto ingoiato dalla parete, ogni traccia di lei cancellata. È come con le tesi che lei scrive a pagamento per gli altri: consegna la tesi, il candidato ci scrive il suo nome, e Milena è sparita. Che cosa fai?, le chiedono. Fa una che non esiste, ecco che cosa fa. Arriva un uomo nella sua vita, un uomo normale, di quell’altro mondo cui ogni sua fibra rilutta. Le succede di poter soccorrere il bambino delle sue premure, la cui madre evade fortunosamente dal carcere, e lei resta a mezzo fra la complicità e la fuga. Qualcosa la richiama indietro, al suo immeritato carcere infantile, al peccato originale. Una specie di inferno terrestre prima della cacciata (si può dire inferno terrestre?). Ai bambini si spiega che la prigione è il posto di chi è stato cattivo. “Se la prigione è il posto di chi è stato cattivo, basta essere cattivi per tornarci. Comportarsi male, per tornare nel nido delle suore, e dormire di nuovo con la mamma”. Il romanzo è pieno di personaggi - più forti, la madre, i bambini, o meno, come l’uomo “normale” da cui Milena è travolta, che sembra un coglione, e forse non a caso fa il giornalista - e di cose che succedono, con un ritmo e una concatenazione efficaci fra gli episodi. E anche un racconto che diventa via via più incalzante, fino a permettersi un andamento visionario (fino a ricordare Herta Müller, in certe immagini). Vorrei aggiungere un dubbio, oltre la mia competenza di recensore penitenziario e non letterario. Il romanzo si intitola Il corpo docile, citazione di Foucault, e pregnante (pregnante, aggettivo femminile e corporale). Postorino sa come la reclusione sia una tecnica millenaria di violazione e umiliazione dei corpi. Che la libertà e la persona sia affare del corpo. Dunque si è proposta - leggo in una sua intervista - “una lingua corporale e sensoriale, tattile persino, dove ogni memoria o rimozione fosse una traccia sul corpo, del corpo… Nell’indocilità del corpo di Milena, che si inceppa, che non funziona bene, che la fa sentire inadatta (come prima o poi accade, in modi diversi, a tutti noi), c’è una forma di resistenza a quella conformità che la società pretende da lei e da chiunque”. Ecco: mi chiedo se a questa ricerca sia appropriata l’iperestesia patetica, l’oltranzismo psicomatico cui la scrittrice si impegna. Ne cito alcuni esempi, sapendo di far torto a immagini estratte dal loro contesto: “Sente il bacino segarsi, qualcosa che dal centro del corpo deflagra fino a lambire la fronte… I capelli schizzano come scarpe in una pozzanghera… Un’impennata di nostalgia è montata come un dolore alle scapole…”. Fino alla più spericolata: “Milena ha occhi vetrosi. Eugenio la guarda - le sue unghie larghe, piatte, le sue dita storte le fanno formicolare i femori”. “Potrei spiegare la scelta o l’irruzione di ogni mia singola parola in quelle 230 pagine”, dice ancora Postorino. Forse convincerebbe anche uno maschio e vecchio, dunque anestetizzato. Uno che, di fronte a un formicolio di femori, lascerebbe lì il libro: e in questo caso avrebbe fatto male, perché il libro è bello e toccante. Lettere: l’inizio… dell’internamento… dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Maria Chiara Sicari Ristretti Orizzonti, 20 maggio 2013 È iniziato. In Sicilia, precisamente l’Uepe di Messina, sta per essere internato nella Casa Circondariale di Gazzi. Gli uffici Epe sono preposti al reinserimento del condannato nella società attraverso le misure alternative al carcere. Statistiche riportano che il 18% dei soggetti che sono stati ammessi all’esecuzione penale esterna torna a delinquere e, in opposizione, al 79% di coloro che hanno scontato tutta la condanna dentro le mura dei penitenziari. Gli operatori degli Uepe, cioè gli assistenti sociali penitenziari, hanno il compito di occuparsi “dell’esterno”, di tutto quello che ruota attorno al soggetto e al terzo settore per la messa in rete nel percorso di reinserimento del condannato. Il significato degli Uepe, se internati, verrà inevitabilmente a cambiare. Alcuni anni fa si iniziò con la sostituzione del nome: da Cssa - Centro Servizio Sociale Adulti - a Uepe perdendo, così, il valore della parola “Sociale” all’interno di un Servizio preposto a questo. Accompagnare il condannato in un percorso di reinserimento è possibile solo se viene svolto completamente fuori e lontano dall’istituzione carceraria che lo ha privato, per un periodo, della libertà e della possibilità di scelta (quale elemento essenziale per la vita “esterna”). Le misure alternative costituiscono una prospettiva di uscita per il soggetto recluso e, un totale sconto della pena in regime extra murario per quelle persone condannate che non varcano il carcere. Anche se la futura ubicazione dell’Uepe di Messina sarà “fuori le mura di cinta”, è comunque vicino all’istituzione della reclusione. Il reinserimento si svolge fuori, non dentro l’istituzione totale, quale il carcere. Il settore penitenziario e della giustizia penale è completamente immerso nei disagi della società: l’unicità della persona, la dignità, le problematiche familiari, alloggiative, lavorative e, anche, in materia di sicurezza sociale. Bisogna concedere più misure alternative, in particolar modo l’affidamento in prova al servizio sociale, in assoluto la migliore per il reinserimento in società attraverso un percorso dominato dall’attività lavorativa e dal “riallaccio” dei legami familiari e sociali con il sostegno degli operatori penitenziari esterni. Il valore degli Uepe è quello “dell’esterno” ed è importante mantenerlo tale, affinché il significato del reinserimento nel tessuto sociale resti letteralmente tale. Lettere: è alleato del crimine anche chi ammassa i reclusi come se fossero bestie… di Salvo Fleres (Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia) La Sicilia, 20 maggio 2013 Secondo il dott. Pietro Grasso, allora procuratore nazionale antimafia, oggi autorevole presidente del Senato, “la criminalità si pone come rete di servizi”. Credo che la definizione sia assolutamente calzante e rispondente al metodo che essa, soprattutto quella organizzata, adotta nei confronti dei suoi interlocutori intesi sia come aderenti, sia come simpatizzanti, sia come vittime. Nulla, infatti, giova di più alla criminalità se non uno Stato assente, inadeguato, litigioso, autoreferenziale, impastoiato, instabile. Giova alla criminalità uno Stato che trascura parti del proprio territorio, come accade al Sud; giova alla criminalità uno Stato rappresentato da una classe politica non all’altezza del compito che essa dovrebbe svolgere; giova alla criminalità un sistema istituzionale che esalta il conflitto piuttosto che la soluzione; giova alla criminalità uno Stato che non guarda agli amministrati bensì agli amministratori, come accadrebbe se si pensasse che le ferrovie debbano essere funzionali ai ferrovieri piuttosto che ai passeggeri, le scuole agli insegnanti piuttosto che agli allievi, gli ospedali ai medici piuttosto che agli ammalati; giova alla criminalità una burocrazia incompetente, corrotta o semplicemente svogliata. Insomma, giova alla criminalità un sistema inefficiente, incerto ed insicuro, a cui sostituirsi, con “una rete di servizi”, ogni volta che ciò sia possibile, magari grazie a qualche aiutino più o meno consapevole. In tutti questi casi la criminalità si insinua nelle fessure provocate dalle lesioni dello Stato e dilaga, come sta accadendo nel sistema penitenziario italiano, che ormai fa acqua da tutte le parti, per responsabilità varie e diffuse. Già, perché se lo Stato delegittima se stesso, tradendo il dettato costituzionale e le disposizioni sulle carceri, se legifera male, se amministra peggio, se non offre opportunità scolastiche o lavorative, se non contrasta l’offensivo sovraffollamento, se ostacola, attraverso il ricorso a maldestri quanto sprovveduti funzionari, l’azione di chi, come i garanti dei diritti dei detenuti, tenta di contribuire a ricostituire atteggiamenti legali nelle carceri, ecco, in questi casi, lo Stato, con la complicità, anzi, grazie all’opera di taluni ben individuati soggetti, diviene il migliore e più sicuro alleato della criminalità che, invece, dovrebbe voler contrastare. Intendo dire che è alleato del crimine chi allunga i tempi della giustizia, chi ammassa i reclusi come se fossero bestie, chi non adegua gli organici della polizia penitenziaria, chi non recepisce le norme sulla sanità in carcere, chi definanzia le leggi per il lavoro ai detenuti. Così come è alleato della criminalità chi tenta di indebolire, con iniziative che somigliano tanto ad un “avvertimento”, l’azione dei Garanti dei diritti dei detenuti e chi tutela la burocrazia inetta quanto infedele, che costituisce l’humus nel quale meglio attecchirà la corruzione, il crimine, la violenza e la sfiducia verso atteggiamenti legali. Non credo che una tale situazione possa essere ulteriormente tollerata, anzi, penso che sia dovere di ciascuno, dei Garanti in particolare, non tollerare affatto persone, luoghi o situazioni che costituiscono, consapevolmente o non consapevolmente, il terreno di coltura dell’antistato. Lo Stato vince se ha la forza di resistere persino ai mali che esso stesso rischia di causare. Per raggiungere la meta non vi sono scorciatoie né giustizialiste, né sicuritarie, ciò che serve è il buonsenso e la legalità da parte di tutti, persone e istituzioni! Torino: muore ergastolano 67enne, da inizio anno sono deceduti 8 detenuti ultra 65enni Ristretti Orizzonti, 20 maggio 2013 Giuseppe Ciulla, che stava scontando l’ergastolo nel carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino, è morto nel pomeriggio di venerdì 18 maggio scorso nel Repartino Detenuti dell’Ospedale “Molinette”, dove era stato trasportato a seguito dell’aggravamento delle patologie di cui soffriva. Con il decesso di Giuseppe Ciulla salgono a 71 i detenuti che hanno perso la vita da inizio anno (21 per suicidio, 32 per malattia e 18 per cause “da accertare). Otto di loro avevano più di 65 anni e 5 avevano superato i 70 anni, limite oltre il quale è possibile scontare la pena in detenzione domiciliare presso la propria abitazione, o presso un luogo di cura, come previsto dalla Legge n. 251 del 5 dicembre 2005 (cosiddetta “ex-Cirielli”, o anche “Salva Previti”). Nonostante la suddetta norma sia in vigore da oltre 7 anni, 31 dicembre 2012 gli ultrasettantenni presenti nelle carceri italiane risultavano ben 587, mentre i detenuti con un’età compresa tra i 60 ed i 70 anni erano 2.489. L’attuale situazione carceraria, caratterizzata in molti Istituti di Pena da sovraffollamento, condizioni igieniche ed ambientali degradate, carenze dell’assistenza sanitaria e insufficiente presenza di Personale penitenziario, per i detenuti anziani rappresenta una vera e propria condanna a “morire di carcere”. Iglesias (Ca): mancano soldi, la Comunità per detenuti di Terramanna rischia di chiudere La Nuova Sardegna, 20 maggio 2013 L’attività della Comunità Terramanna rischia di fermarsi per mancanza di fondi regionali. È da due anni che la cooperativa sociale San Lorenzo che gestisce la struttura che si occupa del recupero dei detenuti, non riceve finanziamenti per sostenere progetti importanti per il reinserimento sociale dei condannati. Il problema è stato denunciato da don Salvatore Benizzi, responsabile della Comunità dove alcuni mesi fa è stato ospite anche il presidente del Cagliari Massimo Cellino. “Dal 2004 al 2011- dice don Benizzi - abbiamo sempre ottenuto dei finanziamenti regionali con il progetto Solki, destinato a condannati sottoposti ad esecuzione penale esterna e ai detenuti. Obiettivo: dare una risposta al problema del recupero socio lavorativo di soggetti ammessi a esecuzione penale esterna nel Sulcis Iglesiente”. A Terramanna, un’impresa sociale sulla provinciale 86 a 4 chilometri da Villamassargia, vasta 28 ettari e con diversi caseggiati, si svolgono tante attività come florovivaismo, allevamento, produzione agricola in campo e in serra. Esiste anche una ex stalla, dove è stata allestita una grande cucina: il sogno della a San Lorenzo è di realizzare un centro ristorazione. Terramanna rappresenta quindi un punto di riferimento importante per il recupero dei condannati, ma nello stesso tempo è un’azienda che necessita di risorse umane per continuare la sua attività e migliorarla. “La cooperativa - dicono gli operatori Carla Casu e Francesco Diana - ha perseverato attraverso il consolidamento della rete sociale con i servizi territoriali e il Ministero di Grazia e Giustizia, arrivando alla stipula di due convenzioni”. Una con il Tribunale di Cagliari, per lavori di pubblica utilità del codice della strada, guida in stato di ebbrezza e guida sotto l’effetto di droga; l’altro con l’ufficio di esecuzione penale esterna di Cagliari per lavori di pubblica utilità per detenuti sottoposti a misure alternative. Titti i lavori sono a favore della collettività. “Ma senza i fondi regionali - conclude don Benizzi , non possiamo quindi dare retribuzioni a chi lavora e gli ospiti alla fine fanno solo volontariato. Il compenso è importante perché cambia la vita del condannato, lo fa sentire integrato e utile nella società. Inoltre si manda avanti un’impresa sociale nata per il recupero dei detenuti che al momento non può reggersi da sola”. Napoli: Ucpi-Radicali; manifestazione a Poggioreale per amnistia e indulto e visita ispettiva Roma, 20 maggio 2013 Manifestazione a Poggioreale e visita ispettiva, gli avvocati penalisti protestano per le difficili condizioni dei detenuti. Domani dalle ore 11 alle 13,30 l’associazione radicale “Per la Grande Napoli” terrà una manifestazione presso il carcere di Poggioreale con l’obiettivo di rilanciare la lotta per l’amnistia, l’indulto e la riforma della giustizia. Contemporaneamente, all’interno dell’Istituto Penitenziario si terrà una visita ispettiva, condotta da Corrado Gabriele. Il consigliere della Regione Campania sarà accompagnato da Domenico Ciruzzi, presidente della Camera Penale di Napoli e Luigi Mazzotta, del Comitato Nazionale di Radicali Italiani. “Continuiamo - precisa Mazzotta - la lotta per l’Amnistia e l’Indulto per uscire immediatamente dalla condizione di flagranza criminale in cui si trova il nostro Stato. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, bocciando il ricorso presentato dall’Italia, ha ribadito l’obbligo di rimuovere rapidamente le cause strutturali che generano trattamenti “inumani e degradanti” nei nostri istituti penitenziari. Il Carcere di Poggioreale, che monitoriamo costantemente da due anni, è un simbolo delle illegalità che denunciamo. Chiediamo interventi urgenti contro il sovraffollamento e l’emergenza sanitaria che vive la struttura, ormai al limite del collasso”. Proprio l’Unione Camere Penali italiane, in accordo con venti tra le più attive associazioni del settore, ha di recente vagliato l’idea di una raccolta di firme per tre progetti legislativi di iniziativa popolare. Palermo: convegno sul sovraffollamento delle carceri con Centro Studi Pedagogicamente Ristretti Orizzonti, 20 maggio 2013 Il Dott. Antonello Nicosia direttore del Centro Studi Pedagogicamente denuncia lo stato delle Carceri italiane, la mancata applicazione delle leggi sulle pene alternative, il fallimento degli assistenti sociali, in particolare l’inefficienza dell’Uepe (ufficio esecuzione penale esterna) di Agrigento. Forte e chiaro l’urlo di denuncia partito sabato dal primo convegno sul sovraffollamento delle carceri e il riconoscimento dei diritti umani svoltosi a Palermo presso la Sala delle Carrozze di Villa Niscemi, organizzato dall’Anfi (Associazione Nazionale Familiaristi Italiani) e coordinato dalla neo consulente della legalità per il Comune di Palermo l’avv. Sonia Spallitta. La presenza di tutte le categorie direttamente interessate fa emergere la consapevolezza dell’urgenza della problematica e la necessità di un intervento sinergico in cui ciascuno assuma le proprie responsabilità. Se da una parte l’appello formulato dalla dott.ssa Gamberini, Giudice del Riesame del Tribunale di Palermo, invita i magistrati a rendersi, operatori attenti del sistema ordinamentale utilizzando adeguatamente le misure cautelari, dall’ altra le testimonianze accorate della dott.ssa Rita Barbera direttore della Casa Circondariale Ucciardone di Palermo e del dott. Mazzamuto Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Messina e del Dott. Antonello Nicosia focalizzano l’attenzione dentro le carceri in cui la drammaticità della disumanità delle condizioni socio-igienico-sanitarie va scalfita da un intervento immediato e diretto a recuperare la dignità della vita quotidiana dentro le strutture stesse orientando con l’educazione e la formazione la costruzione di un percorso di vita alternativo. Certo, annichilisce per superficialità e chiusura il passo citato di una relazione di un’assistente sociale dell’Uepe di Agrigento che considera “esaltazione delle proprie capacità” il coraggio di reagire con una scelta di studio e di cambiamento da parte di un soggetto sottoposto a misura detentiva e pone allo stesso tempo un cocente interrogativo, ma chi sono gli operatori a supporto dei detenuti, quale è il loro tipo di formazione, il criterio per il loro reclutamento e soprattutto chi monitora e controlla il loro operato? La condizione di detenuto non coincide solo con la privazione della libertà ma si connota spesso di uno spiccato senso di solitudine, isolamento e rischio di alienazione pertanto è fondamentale il supporto ad essi fornito e sia gli avvocati sono chiamati a farsi mediatori d’interazione tra giustizia e imputati sia la politica non può rimanere inerte, non può più né strumentalizzare né far finta di non vedere i suicidi nelle carceri o le continue violazioni dei diritti denunciate dalla sentenza Torregiani. I detenuti sono parte integrante della società che li esprime e le carceri, come auspica Leoluca Orlando Sindaco di Palermo, devono essere luoghi in cui i diritti della persona devono potersi concretizzare intervenendo, ove necessario, in modo significativo anche in ambito legislativo restituendo a ciascun uomo la dignità e il diritto di potersi definire cittadino italiano. Il Dott. Nicosia ha incontrato l’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Sciacca prof.ssa Daniela Campione, il Sindaco Avv. Fabrizio Di Paola e il consigliere comunale Davide Emmi per chiedere l’istituzione del Garante dei Diritti dei Detenuti, figura importante che si posizionerà al centro tra le problematiche quotidiane dei detenuti e la mancanza di risorse e il sovraffollamento. il Dott. Nicosia si augura che presto venga individuato un professionista che conosca bene questo microcosmo e possa con passione e professionalità svolgere appieno questo delicato compito. Il prossimo incontro si svolgerà a Sciacca nel mese di giugno. Saluzzo (Cn): progetto “Voltapagina”, i detenuti incontrano Concita De Gregorio www.targatocn.it, 20 maggio 2013 La giornalista di Repubblica, per Voltapagina, ha presentato il suo libro “Io vi maledico” ai detenuti della sezione alta sicurezza del Morandi. Domani mattina alle 11 Giacomo Poretti del trio Aldo Giovanni e Giacomo presenta “Alto come un vaso di gerani”. Hanno iniziato di getto i detenuti della Sezione alta sicurezza del carcere Morandi a porre domande e interloquire con Concita De Gregorio, giornalista, scrittrice, ex direttore de l’Unità che nel penitenziario saluzzese ha presentato ieri, per il terzo incontro di Voltapagina, il suo libro “Io vi maledico” (Einaudi). Libro su cui si sono preparati con insegnanti, operatori e volontari molti dei carcerati presenti all’incontro e che, come aveva previsto il direttore della struttura Giorgio Leggieri, è stato terreno di fitta interazione con la giornalista, nota firma di Repubblica. “Il mio lavoro è di raccontare. È ciò che faccio da trent’anni - ha iniziato Concita De Gregorio presentata dalla collega Rai Simonetta Rho e accompagnata da Marco Pautasso del Salone del libro di Torino. Nel suo reportage ha dato voce a chi si è sentito dimenticato, escluso in questi anni, a storie comuni di cronaca e di ingiustizia sociale che ci sono quasi scivolate addosso, finendo nelle brevi dei giornali. Storie che sono il ritratto corale dell’Italia di adesso, della grandissima rabbia interna, ha raccontato “che nasce dall’ingiustizia e povertà, dalla distanza dalla politica, dalla mancanza di obiettivi, da una giustizia lenta e da una scuola povera. Un sentimento di frustrazione visibile anche da esplosioni violente scatenate dal senso di sopraffazione ed esasperazione per ciò che non ti rende giustizia” .Insieme alla rabbia una grande fragilità di chi non sa reagire ad ostacoli e difficoltà, non avendo avuto esperienza di prove dure come ha vissuto invece la generazione precedente. “Ma lei non spiega come uscire dalla rabbia?” la interrompe un detenuto “Un problema che mi sono posta spesso- risponde la giornalista - perché è importante dare soluzioni. In molti casi l’unica soluzione è proprio poterla raccontare, come ho fatto in questo libro, per parlare a chi governa attraverso questi fatti che non conosce. E anche per il destino dei bambini e degli adolescenti. A noi è andata come è andata, ma a loro dobbiamo dare prospettive.” Anche loro hanno interiorizzato la rabbia e sono verdi di rabbia, ha continuato Concita De Gregorio analizzando un supereroe d’irrequietezza, l’incredibile Hulk, che suo figlio di 10 anni ama. Si identificano per il fatto di vivere una condizione permanente, quotidiana di “sempre arrabbiati”. Rabbia che sanno gestire perché convive con loro. Il reportage della giornalista arriva al tema della mafia, tasto altamente sensibile per la platea di detenuti presenti, molti dei quali stanno scontando pene per questo genere di reato. Parla del disegnatore di fumetti di Palermo che nel quartiere Brancaccio aveva visto, a otto anni il suo primo omicidio, parla delle storie delle donne sindaco del Sud, “eroiche” che le hanno raccontato la loro vita .”In queste terre donne di mafia e di legge lavorano per lo stesso obiettivo, rendere più vivibile questo posto per i figli. Viviamo lo stesso ambiente, vogliamo la stessa cosa, bonificare per dare un’altra possibilità alle nuove generazioni, mi dicevano, mentre io pensavo: ma lo saprà il Presidente della Repubblica”. Mafia, mentalità mafiosa, geografia della mafia, responsabilità del tessuto sociale nella genesi del fenomeno e responsabilità individuale nel coinvolgimento, estirpazione dal basso e dall’alto, cancro in luoghi in cui dovrebbe essere fronteggiata, diventano argomenti di confronto con la giornalista. E a lei, considerata paladina dei temi sociali, che afferma loro di aver sempre raccontato finora ciò che ha visto, una consegna di fiducia: portare sulle pagine dei giornali il racconto della rabbia dei detenuti, dare all’opinione pubblica anche i fatti comuni, non solo quelli clamorosi, anche la storia silenziosa del loro riscatto all’interno del carcere, attraverso la scuola ( è aperta la sezione carceraria del liceo Bertoni Soleri) attraverso le attività culturali e professionali. L’occhio critico della giornalista, autrice di “Io vi maledico” il cui titolo riprende la scritta sulla lapide che un operaio dell’Ilva di Taranto ha voluto in strada e quella della figlia di un imprenditore che si è ucciso per usura bancaria, si è posato anche sulla cultura e sulla mentalità italiana “individualista, “del vicino è il mio nemico”, sviluppatasi a partire dagli anni 80” e sulla crisi della Sinistra che, secondo lei, ha cercato di imitare quella che in Italia è la Destra, la Destra economica. Domani alle 11, sempre nel carcere Morandi Saluzzo, ultimo incontro di Voltapagina : Giacomo Poretti del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo parlerà del suo libro d’esordio “Alto come un vaso di gerani” (Mondadori). Un libro racconta la sua infanzia e giovinezza vissute in un paese della provincia milanese che negli anni Sessanta si avvia verso boom economico, senza sapere che ne uscirà trasformato. Presenta Marco Piccat, saluzzese, docente all’Università di Trieste. Alessandria: progetto “Voltapagina”; Beppe Severgnini in carcere… a parlare di futuro La Stampa, 20 maggio 2013 È un esperimento quello di domani alla Casa circondariale di San Michele: sette grandi autori del Salone Internazionale del Libro fra i detenuti delle carceri. L’iniziativa s’intitola Voltapagina, ha coinvolto anche il carcere di Saluzzo e quello di Quarto d’Asti con scrittori come Lella Costa, Concita De Gregorio, Giacomo Poretti (del trio Aldo Giovanni e Giacomo), Rosella Postorino e appunto Beppe Severgnini, l’ospite ad Alessandria. Ognuno presenta il suo ultimo libro, o meglio ne discute con i presenti visto che nelle settimane che precedono i detenuti che hanno volontariamente scelto di partecipare a Voltapagina sono stati guidati alla lettura e all’approfondimento da un gruppo di assistenti sociali, educatori e volontari dei penitenziari. Per Sevegnini il libro è “Italiani di domani, 8 porte sul futuro”. Maggiori informazioni sul giornale in edicola domani. Immigrazione: Gonnella (Antigone); due minori bengalesi in Cie Roma, rilasciarli subito Ansa, 20 maggio 2013 “Chiediamo l’immediato rilascio dal Cie di Ponte Galeria di due giovanissimi minorenni stranieri di origine bengalese. Sono rinchiusi nel centro di identificazione romano dal 13 maggio”. Lo chiede Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri, che ricorda come “per i minori stranieri non accompagnati si dovrebbero applicare le norme protettive previste nella legislazione umanitaria internazionale”. “I minori dovrebbero essere assistiti e protetti. Non rinchiusi in luoghi malsani dove rischiano di starci per lunghi diciotto mesi, come prevede la legge italiana - aggiunge. Per questo invitiamo le forze politiche e i singoli parlamentari a prendere posizione e a fare quanto possibile perché siano ricondotti in luoghi dove vi sia attenzione per la loro giovanissima età”. Secondo Gonnella è “questo un vulnus grave al sistema dei diritti dell’infanzia. Il loro internamento è una violazione della Convenzione Onu. Le responsabilità - conclude - sono in questo caso di chi ha prodotto questa decisione, ovvero giudice tutelare e Comune di Roma, attraverso la polizia di Roma capitale”. India: Sbai (Pdl) a ministro Bonino sul “caso marò”; non dimenticarli in un paese ostile… Agenparl, 20 maggio 2013 “Un processo giusto e veloce, in un Paese che più volte ha manifestato ostilità nei nostri confronti, mi pare del tutto fuori questione e praticamente irrealizzabile. Mi permetto di far notare al Ministro Bonino che la sorte dei nostri due fucilieri è ancora più in bilico di prima. Che fine faranno? Perché questo silenzio di tomba su di loro? Perché il Ministro non sollecita l’Europa sulla loro sorte invece di attendere un processo pericolosissimo?” Così Souad Sbai, ex parlamenta re Pdl e giornalista, commenta il silenzio sulla vicenda dei Marò, che dovranno andare a processo in India. “La piega che questi eventi hanno preso è preoccupante e credo che una conclusione degna a questa storia, offensiva per tutta l’Italia, possa aversi solo con una presa di posizione. Io non ho mai creduto a processi giusti ed equi in Paesi dove molti nostri connazionali sono detenuti, spesso senza giusta causa. Conosco la sensibilità del Ministro e la sua presenza all’estero in tutti questi anni, ma occorre dare corso ad un’azione diplomatica risolutiva. Tutto questo assieme alle associazioni che si occupano dei diritti umani e che spesso, in questa vicenda, sono stati silenti. Non possiamo attendere inermi il punto di non ritorno, agiamo prima che sia troppo tardi” Brasile: Bueno (Gruppo Misto); ratificare con urgenza trattato su trasferimento detenuti Agenparl, 20 maggio 2013 “È necessario che il Governo ratifichi con urgenza il Trattato firmato tra l’Italia e il Brasile il 27 marzo del 2008 in materia di trasferimento delle persone condannate affinché queste possano scontare la pena nel loro Paese d’origine”. Così si è espressa la parlamentare italo-brasiliana Renata Bueno, eletta nella Circoscrizione America Meridionale e membro della Commissione Esteri, presentando una proposta di legge alla Camera. “Ho già presentato un’interrogazione al Ministro Bonino - ha proseguito la Bueno - ma il repentino aggravarsi della disumana condizione che continuano a vivere tanti nostri connazionali e detenuti di altre nazionalità nelle carceri brasiliane, ci pone di fronte ad un carattere di urgenza nel trovare delle soluzioni condivise tra i nostri due Paesi”. Infatti, l’articolo 2 del Trattato stabilisce i principi generali ovvero che le parti si impegnano a cooperare reciprocamente nel trasferimento delle persone che, condannate nel territorio di una delle Parti, potranno essere trasferite nel territorio dell’altra Parte per scontare la pena inflitta con la sentenza. “Purtroppo dal 2008 ad oggi i tempi si sono dilazionati - ha sottolineato Bueno - e non è stato ancora presentato dal Governo al Parlamento lo strumento di ratifica di questo Trattato. Le angherie e i soprusi che tante persone sono costrette a subire in queste carceri sono contrari a qualsiasi rispetto della dignità dell’individuo e violano i principi contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e con il trattamento umanitario dei detenuti sanciti da Carte e Accordi internazionali. Inoltre, da informazioni di stampa e dati risalenti agli ultimi anni si apprende quanto gli italiani detenuti nelle carceri brasiliane, e viceversa i brasiliani reclusi nei penitenziari italiani, costino molto ai rispettivi Paesi in termini di sussidi per il lavoro di Ambasciate e Consolati, senza contare le enormi spese a cui vanno incontro le loro famiglie per viaggi, soggiorni e assistenza legale. Con questa iniziativa legislativa-ha concluso la parlamentare - intendo chiedere al Governo di intervenire rapidamente per la ratifica del Trattato che consentirebbe, oltre all’alto valore umanitario, dei significativi risparmi per l’erario che, ad esempio, potrebbero essere dirottati al potenziamento della Rete Consolare in Brasile”. Svizzera: giuristi contrari alla privatizzazione parziale della sorveglianza carceraria www.tio.ch, 20 maggio 2013 Il Gruppo giuristi Vpod Ticino esprime la propria preoccupazione per l’approvazione da parte del Gran Consiglio ticinese dell’articolo 8b della Legge sull’esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti, che consente all’esecutivo cantonale il trasferimento a privati della sorveglianza delle persone sottoposte a fermo o a carcerazione amministrativa secondo la Legge federale sugli stranieri, collocate tanto all’interno quanto all’esterno delle strutture carcerarie. Particolare preoccupazione viene espressa per rapporto ai primi momenti dopo il fermo o l’incarcerazione: si tratta di fasi delicate da gestire, che necessitano di professionalità garantita solamente da agenti cantonali di custodia formati. Inoltre la nuova base legale consente al Governo di estendere ai cosiddetti richiedenti l’asilo “recalcitranti” (ai sensi dell’art. 26 Legge federale sull’asilo) la cerchia delle persone collocate all’interno delle strutture carcerarie cantonali, la cui sorveglianza può essere trasferita, in casi eccezionali, a privati. La modifica di legge banalizza infatti i problemi legati alla sorveglianza all’interno delle carceri, volendo inserire nelle strutture carcerarie, se pure a titolo eccezionale (ma dove si situa il confine nella prassi?) addetti alla sicurezza poco formati, dipendenti da società private a scopo di lucro. La gestione dei detenuti è in realtà una funzione complessa e delicata, e può implicare l’uso di mezzi coercitivi: pertanto essa necessita di personale qualificato, che sia alle dipendenze dirette dello Stato, come gli attuali agenti di custodia cantonali. La presenza di personale privato impiegato nella sorveglianza carceraria può favorire inoltre il rischio di collusione e fughe di notizie dalle strutture carcerarie. Il Gruppo giuristi Vpod ritiene che nell’ambito della sicurezza carceraria il Cantone debba formare agenti di custodia pubblici in numero sufficiente per affrontare i nuovi compiti e pertanto invita la popolazione a sottoscrivere il referendum allo scopo di aprire una discussione approfondita sul tema e per consentire la votazione popolare. Ci vuole una legge federale Il regime penitenziario dovrebbe essere regolato da una legge nazionale. È quanto ritiene lo specialista dell’esecuzione delle pene Benjamin Brägger in un’intervista pubblicata oggi dalla Zentralschweiz am Sonntag. Nella Svizzera latina - continua l’esperto, professore incaricato presso le Università di Berna e Losanna - ogni cantone fa a modo suo. La Confederazione dovrebbe impegnarsi di più a livello finanziario, aggiunge Brägger, segretario della Commissione degli affari giuridici penali della Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia. Secondo lui, ciò permetterebbe di gestire meglio le carceri. Attualmente “nessuno sa quanti posti siano esattamente a disposizione in ogni prigione. Per trovare un detenuto bisogna fare 26 telefonate ai 26 cantoni. È impossibile”. I due concordati svizzerotedeschi sull’esecuzione pene hanno una filosofia comune, aggiunge l’esperto, mentre nella Svizzera latina “ogni cantone si dà da fare per conto proprio”. Nel Canton Vaud, recentemente colpito dal dramma di Marie, il problema è strutturale, continua Brägger. Nella Svizzera tedesca il ricorso di un detenuto così pericoloso non avrebbe mai prodotto un effetto sospensivo della decisione di carcerazione, ritiene Brägger. Russia: in diminuzione numero detenuti; 695mila condannati, 113mila in attesa processo Ansa, 20 maggio 2013 È stato calcolato che in Russia nel primo trimestre del 2013 quasi 695.000 persone condannate stanno scontando la pena nelle carceri. La notizia è stata data dal governo russo nel suo resoconto. Secondo il materiale presentato ci sono più di 100.000 persone incarcerate in meno rispetto al 2010. Secondo i dati del ministero di giustizia altre 113.000 persone si trovano in blocchi di isolamento, in attesa di verdetto. Una delle ragioni che ha comportato la diminuzione dei detenuti è il fatto che i tribunali sempre più spesso condannano a scontar la pena con i lavori forzati. Nel 2012 il numero di tali condanne è cresciuto del 56%. Pussy Riot: corte accoglie secondo ricorso Aliokhina La corte regionale di Perm ha annullato uno dei quattro provvedimenti disciplinari inflitti a Maria Aliokhina, una delle tre Pussy Riot condannate a due anni di reclusione per una preghiera anti Putin nella cattedrale ortodossa di Mosca. Lo rendono noto i media russi. La censura riguardava il mancato rispetto della sveglia mattutina. Lo scorso febbraio il tribunale locale di Berezhniki, nella regione di Perm, sugli Urali, dove Aliokhina è detenuta,aveva revocato altre due sanzioni disciplinari, accogliendo parzialmente il suo ricorso. Ora ne resta solo una, per violazione della corrispondenza carceraria: la detenuta è accusata di aver tentato di passare al suo avvocato una lettera per la corte europea dei diritti dell’uomo. Dopodomani è prevista un’udienza per esaminare la richiesta avanzata da Aliokhina per la liberazione anticipata, prevista dalla legislazione dopo l’espiazione di metà della pena. Israele: oggi 100 cittadini palestinesi visiteranno i parenti detenuti nel carcere di Nafha Infopal, 20 maggio 2013 L’ufficio stampa dell’Associazione Wàed per i prigionieri e gli ex detenuti palestinesi ha reso noto che le autorità di occupazione hanno concesso, ad un centinaio di palestinesi, di visitare i propri cari rinchiusi nella prigione israeliana di Nafha. In un comunicato stampa, l’ufficio ha rivelato che la visita avrà inizio nelle prime ore di lunedì 20 maggio, quando le famiglie di 50 prigionieri rivedranno i propri parenti rinchiusi nel carcere israeliano. Ha spiegato che oltre ai genitori e mogli, ci sono 17 bambini di età inferiore agli otto anni che avranno modo di rivedere i propri padri, dopo un’interruzione durata sei anni. Wàed ha auspicato che la visita (che inizierà all’alba e finirà nel tardo pomeriggio) possa procedere nel migliore dei modi, esortando il Comitato internazionale della Croce Rossa ad agevolarla, a causa delle complicate procedure di sicurezza adottate dalle forze di occupazione. Più di cinque mila prigionieri palestinesi sono detenuti nelle carceri israeliane, 450 dei quali provengono dalla Striscia di Gaza, la maggior parte di loro sono detenuti da lunghi periodi e scontano alte condanne. Le autorità di occupazione hanno acconsentito alla ripresa del programma di visite ai prigionieri della Striscia di Gaza, che nel aprile del 2012 avevano condotto uno sciopero della fame, conclusosi dopo 28 giorni con l’accordo della “dignità”, raggiunto tra i leader del movimento dei detenuti e l’amministrazione carceraria dell’occupazione, con mediazione egiziana. L’accordo in questione ha disposto la ripresa delle visite ai prigionieri di Gaza, la fine dell’isolamento e della detenzione amministrativa, oltre al ripristino di tutte le agevolazioni, sospese durante lo sciopero.